Minestra riscaldata per rilanciare l’Europa.
Minestra
riscaldata per rilanciare l’Europa.
La
minestra riscaldata di Macron e Scholz.
Startmag.it
– (2 Giugno 2024) – David Carretta – Christian Spillmann – ci dicono:
L'articolo
di Macron e Scholz sul “Financial Times” letto e commentato da David Carretta
nella newsletter Mattinale Europeo con Christian Spillmann.
Emmanuel
Macron e Olaf Scholz hanno scelto il Financial Times per annunciare la “Zeitenwende”
dell’Unione Europea di fronte alla guerra di aggressione della Russia, la
minaccia economica della Cina, il pericolo del ritorno di Donald Trump alla
Casa Bianca e gli altri sconvolgimenti globali che rendono la nostra Europa
“mortale”.
Ma la “svolta epocale” dell’Ue può attendere.
Una
volta superate le prime righe della premessa – “l’Europa sta vivendo la sua
Zeitenwende (…). La nostra Europa è mortale e dobbiamo essere all’altezza della
sfida” –
il
presidente francese e il cancelliere tedesco offrono altro “business as usual”:
un programma per i prossimi cinque anni che
non affronta le decisioni difficili che le sfide che ha di fronte l’Ue
comportano, limitato dalle numerose linee rosse della Germania.
Prima del loro incontro a Meseberg, che segue
due anni di relazioni franco-tedesche conflittuali, i due leader hanno cercato
di mostrare la loro capacità di lavorare su obiettivi comuni.
Ma il
risultato è molto al di sotto delle aspettative.
Zeitenwende
è un termine tedesco che significa “svolta epocale”, tornato di moda dopo il discorso
di Scholz al Bundestag all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, nel quale il
cancelliere ha annunciato un fondo da 100 miliardi di euro per la difesa della
Germania e la volontà di uscire dalla dipendenza dall’energia russa.
Nell’articolo
sul “Financial Times”, Macron ha ottenuto da Scholz una prima frase a effetto,
che ricalca gli avvertimenti lanciati nel suo secondo discorso della Sorbona
sui pericoli esistenziali che corre l’Ue.
Nel
concreto, la ricetta della loro (finta) Zeitenwende è una sintesi di ciò che è
già stato deciso o discusso, che difficilmente può ispirare fiducia nelle
capacità di sopravvivenza politiche ed economiche dell’Ue, per non parlare
degli elettori che andranno alle urne il 6-9 giugno.
La prima proposta è un “impeto rinnovato per
la competitività” con i soliti slogan su “più innovazione, più mercato unico,
più investimenti, più parità di condizioni e meno burocrazia”.
Non
ricorda nulla?
È l’impegno assunto al Consiglio europeo di
aprile.
Nell’articolo
non manca l’appello macroniano per “rafforzare la sovranità dell’Ue e ridurre
le nostre dipendenze critiche” e il solito richiamo al vertice di Versailles
del marzo del 2022.
Tuttavia
per la politica industriale (dall’Intelligenza artificiale alle tecnologie
verdi) si deve semplicemente accelerare l’utilizzo degli “strumenti dell’Ue
esistenti”.
Le
regole della concorrenza vanno “modernizzate”, ma non è chiaro come. Nemmeno
sul commercio internazionale, Macron e Scholz sono riusciti ad avvicinare le
loro posizioni su un cambio di direzione (per non parlare di un cambio di
epoca) significativo.
“Sosterremo
insieme una politica commerciale europea ambiziosa, robusta, aperta e
sostenibile che permetta accordi commerciali equi e promuova gli interessi
dell’Ue”.
Nucleare
o rinnovabili?
La
decarbonizzazione sarà realizzata attraverso “un mercato pienamente integrato e
interconnesso, rispettando le scelte nazionali sul rispettivo mix energetico”.
Nulla di nuovo sul “Financial Times”.
I
bruxellelogi – gli osservatori politici di affari europei che cercano di imitare i
cremlinologi di vecchia data – hanno dovuto scorrere rapidamente questa lunga
serie di banalità per arrivare al dunque:
la
montagna di investimenti necessari all’Ue per la doppia transizione verde e
digitale e il rafforzamento della difesa.
Anche
su questo capitolo sono rimasti delusi.
Il
richiamo all’Unione dei mercati dei capitali per usare i risparmi europei che
emigrano verso gli Stati Uniti ricalca sempre le conclusioni del Consiglio
europeo di aprile:
migliorare
la convergenza e l’efficienza della vigilanza, armonizzare aspetti rilevanti
delle leggi sull’insolvenza societaria e del diritto fiscale, semplificare il
quadro normativo.
E gli investimenti pubblici?
“Dobbiamo
adeguare il bilancio dell’Ue al futuro e dare ulteriore priorità agli
investimenti nella spesa per la trasformazione e nei beni pubblici europei,
lavorando al contempo sull’introduzione di nuove ‘risorse proprie’ come
concordato nel 2020”.
Avete
letto bene: la Zeitenwende finanziaria risale a quattro anni fa.
Prima del Green deal, prima del Covid-19, prima della
guerra della Russia contro l’Ucraina.
Nell’articolo sul “Financial Times” non c’è alcun
accenno a nuovi strumenti di debito comune o Eurobond per la difesa, come
quelli proposti da “Kaja Kallas”.
E
nemmeno alla volontà di Emmanuel Macron di raddoppiare il bilancio dell’Ue.
La
linea frugale di Scholz prevale.
Non è
un caso se la presidente uscente della Commissione, la tedesca Ursula von der
Leyen, candidata del PPE e soprattutto garante degli interessi del suo paese,
ha indicato di preferire nuove “risorse proprie” a un nuovo strumento di
debito.
Per
memoria:
le risorse proprie sono le entrate autonome
del bilancio dell’Ue, attualmente sotto forma di dazi doganali e una parte
dell’Iva.
Tradotto,
significano nuove tasse.
“Mujtaba
Rahman”, dell’”Eurasia Group”, su “X” ha inserito l’agenda promessa di Macron e
Scholz per i prossimi cinque anni nella categoria “minimo comune denominatore”
e “deludente”.
Se si
tradurrà nell’agenda strategica dell’Ue che i leader dei ventisette adotteranno
al Consiglio europeo il 27 e 28 giugno per la prossima legislatura.
La prudenza e le esitazioni Scholz saranno
prevalse.
Il
cancelliere tedesco rischia però di sottovalutare la vera “Zeitenwende” che è
in corso tra i tradizionali alleati della Germania tra i paesi frugali.
I
paesi baltici hanno già abbandonato la loro opposizione a uno strumento di
debito comune per rafforzare la difesa dell’Ue e affrontare la minaccia della
Russia.
Anche la Danimarca sta cambiando posizione.
“Siamo
aperti a discutere… idee innovative, sia che si tratti di utilizzare i proventi
dei beni russi congelati per finanziare un nuovo prestito comune per investire
in Ucraina, o obbligazioni di difesa o altro”, ha detto a “Politico.eu” il
ministro degli Esteri danese, “Lars Løkke Rasmussen”.
Moni
Ovadia su Israele:
“Nulla
più della Verità Aiuta la Pace!”
Conoscenzealconfine.it
– (4 Luglio 2024) - Veronica Tarozzi – ci dicono:
Gli
israeliani hanno perpetrato violazioni del Diritto Internazionale e crimini di
guerra, avendo garantita l’impunità.
L’impunità
l’hanno garantita gli americani, che sono complici allo stesso titolo!
In
questa fase cruciale della guerra di Israele al popolo palestinese, le notizie
si rincorrono a ritmi forsennati, rendendo difficile comprenderne l’effettiva
portata. Come
quella della volontà dell’esercito israeliano di portare la guerra oltre il
confine col Libano o quella dell’accentramento dei poteri su Netanyahu, a
seguito dello scioglimento del gabinetto di guerra.
Ci
sono però notizie la cui rilevanza spicca prepotentemente su tutte le altre,
come il recente servizio del “Guardian”, che attesterebbe le forti pressioni e
minacce da parte dell’ex capo dei servizi segreti israeliani, “Yossi Cohen”, ai
danni dell’allora procuratrice capo della” Corte Penale Internazionale” (CPI),
“Fatou Bensouda”, affinché abbandonasse l’indagine sui presunti crimini
israeliani contro l’umanità nei territori occupati.
Indagine
che è andata avanti nonostante tutto, e che è culminata lo scorso mese nella
richiesta di arresto da parte della CPI per il primo ministro israeliano, “Benjamin
Netanyahu”, e il ministro della Difesa, “Yoav Gallant”; ma anche per tre leader
di “Hamas”.
Quanto
segue è l’estratto di una lunga intervista allo scrittore, attore e musicista “Salomone
Ovadia”, detto Moni.
Di
origine bulgara, ma trapiantato a Milano subito dopo la nascita, è cresciuto in
una famiglia di ascendenza ebraico sefardita.
Rappresenta una delle numerose voci di ebrei sparsi
per il mondo che ripudiano la politica ultranazionalista israeliana e chiedono
a gran voce di farla rientrare nel solco del Diritto internazionale.
–
“Moni”, ti chiedo di fare un’analisi oggettiva di ciò che sta accadendo in
Medio Oriente.
Secondo
me quello che sta succedendo in Palestina in questo periodo, se non si vuole
usare la parola “genocidio” in quanto terrorizza, è comunque una strage di
massa alla stregua della rappresaglia di tipo etnico.
Io
credo che dovremmo chiedere che ci sia una Commissione indipendente sul 7
ottobre, perché non c’è stata.
Le
commissioni di parte non sono credibili, né dall’una, né dall’altra parte, ci
vuole una “Commissione indipendente”, perché gli israeliani, purtroppo per
loro, non l’hanno permessa, per cui resterà sempre il dubbio.
Sono
certamente state ammazzate delle persone innocenti, ma sul fatto dei bambini
decapitati e di tutte quelle atrocità, non ci sono prove.
I
palestinesi potrebbero rivendicare orrori e violenze che hanno subito 1 milione
di volte più di quelle che hanno subito gli israeliani, quindi dove si va in
questo modo?
Da
nessuna parte, e poi se tu sei sicuro che la tua gente abbia subito delle cose
così atroci, perché devi avere paura di una Commissione indipendente?
Dunque
è venuto il momento di cessare immediatamente questa carneficina e soprattutto
dovremmo tenere conto dei bambini:
che vite avranno quelli che hanno sofferto
queste atrocità?
E
pensare che degli uomini del Governo israeliano hanno osato dire che lì [in
Palestina, ndr.] son tutti terroristi, anche i bambini.
–
Corsi e ricorsi della storia…
Questo
è lo stesso linguaggio che i nazisti usavano nei confronti degli ebrei:
è come un corto circuito psico-patologico,
bisogna avere il coraggio di riconoscere i propri errori.
Anche quando c’è una lite fra i due coniugi,
dire: “Sai, forse ho sbagliato”, immediatamente permette l’instaurarsi di un
clima di pace.
Io
credo che l’umanità non abbia ancora imparato questa lezione.
Il
Giappone, ad esempio, non ha ancora ufficialmente riconosciuto i danni fatti
alla Cina con il massacro di Nanchino (1937-38 ndr.).
È stupido!
Perché
come dimostra la Germania, chi riconosce i crimini dei governi che ha
albergato, cammina a testa alta: la Germania oggi è una nazione rispettata.
Gli
israeliani hanno subito purtroppo un terrificante lavaggio del cervello persino
nelle scuole.
C’è un
libro di una giornalista israeliana che ha ricevuto il “Premio Sacharov”, “Nurit
Peled-Elhanan”, che si intitola “La Palestina nei testi scolastici di Israele –
Ideologia e propaganda nell’istruzione”.
Anche
i nazisti, quando nazificarono la nazione, convinsero tanti bravi tedeschi che
gli ebrei erano come dei parassiti, dei topi di fogna.
Non
bisogna fare mai queste cose, questa è la prima lezione che viene dalla Torah:
“Il nemico
è un essere umano come te”.
Nel
Levitico c’è un versetto: “Se incontrerai un bue del tuo nemico o un suo asino disperso,
glielo riporterai”.
Quando
si cessa di vederla in questo modo, non c’è limite alla catastrofe.
Del
resto, Netanyahu continua a dire:
“Non ci sarà uno Stato palestinese”, ma lui
non ha la sovranità su quelle terre, ha solo la sovranità su quelle che la
comunità internazionale riconosce essere di Israele, eppure parla come se fosse
sovrano su ogni terra!
Lo
Stato di Israele non si è mai dato confini, questo fa capire perché non l’hanno
fatto:
perché speravano di allargarsi contro tutte le
regole del Diritto internazionale, contro tutte le regole della Convenzione di
Ginevra.
–
Potresti commentare la richiesta di mandato d’arresto della CPI per i leader
israeliani e quelli di Hamas?
La
prima cosa che va detta è che Hamas è un’organizzazione palestinese che ha
scelto la via del terrorismo.
Ma è
comunque una reazione a un’oppressione enorme.
Quindi
va detto, tutto va detto, troppo comodo sottacere che i palestinesi sono
occupati, colonizzati, discriminati, segregati.
Le
condizioni [tra Israele e Hamas, n.d.r.] sono assolutamente diverse:
uno ha
perpetrato il ruolo di carnefice, si è appropriato di terre non sue, le ha
colonizzate e ha sottoposto il popolo colonizzato a vessazioni inaudite;
l’altra
è una reazione a questa situazione.
E se
nella reazione sono stati perpetrati crimini, vanno individuati, stigmatizzati
e condannati, ma tenendo conto della situazione, se no si fa la solita
retorica, la solita ipocrisia.
I
palestinesi si difendono da un’aggressione israeliana ultracinquantennale fatta
di ogni sorta di crimini, vessazioni, devastazioni.
Non si possono mettere sullo stesso piano.
Anche se ci sono crimini commessi da Hamas non sono paragonabili.
Gli
israeliani sono i carnefici perduranti – parliamo di oltre 56 anni – e i
palestinesi, dopo aver subito di tutto e di più, hanno reagito.
Ora,
se anche loro nella loro reazione hanno espresso comportamenti criminali,
questo va stigmatizzato, ma considerando che è una reazione a una situazione di
oppressione inenarrabile e perdurante da quasi 6 decenni, ininterrottamente.
Però
gli USA, che fanno sanzioni a tutti, non hanno fatto altro che perpetrare
guerre criminali con uccisioni di civili e violazione di ogni regola del
Diritto Internazionale.
Sono
decine e decine di guerre in tutto il Novecento che gli americani hanno
perpetrato:
guerre criminali con prezzo pagato dai civili.
Israele
non avrebbe subito il 7 ottobre se da così tanti anni i palestinesi non fossero
stati costretti a vivere in una prigione a cielo aperto subendo ogni forma di
vessazione, di negazione dei propri diritti.
–
Potrebbe essere la fine dell’impunità per Israele?
Io mi
auguro che venga dato inizio a un processo di demolizione e trasformazione di
quello che è stato finora; cioè gli israeliani hanno perpetrato violazioni del
Diritto Internazionale e crimini di guerra, avendo garantita l’impunità.
Mi
auguro che i governanti e i membri dell’apparato militare sappiano che è finita
l’impunità.
L’impunità
l’hanno garantita gli americani, che sono complici allo stesso titolo!
Si
rendano conto che è finita!
La
grande parte dell’umanità non accetta più queste cose. Perché i Paesi che hanno
riconosciuto che lo Stato di Palestina debba avere gli stessi diritti degli
altri Stati e degli altri popoli costituiscono la stragrande maggioranza
dell’umanità. È finita l’epoca del dominio israeliano che ha garantito impunità
a Stati Uniti e Israele!
Io
spero che subiscano un giusto processo e che vengano condannati per ciò che
hanno fatto:
crimini contro l’umanità e crimini di natura
genocida.
Io
spero che sarò ancora vivo quando finirà l’egemonia degli USA, che ha provocato
così tanti crimini!
Certo,
non sono stati solo gli americani e gli Occidentali a perpetrare crimini.
Ma mi
auguro che finisca la leggenda dei buoni e dei cattivi!
Dell’Impero
del bene e dell’Impero del male!
Che
gli americani vengano finalmente giudicati per quello che hanno fatto.
– Da
ebreo e da uomo di grande saggezza quale sei, come immagini si possano
interrompere le ostilità e cominciare delle trattative di pace?
Tutti
quelli che ritengono di avere responsabilità, devono accettarle e accoglierle
perché questo le riporta in un contesto di rispetto universale.
Bisogna
affidarsi a uomini che non siano piegati a una volontà di mortificare
l’avversario.
C’è una grande differenza fra il concetto di
pace e pacificazione, quella pacificazione – in inglese “appeasement”- di cui
sappiamo a seguito della I Guerra Mondiale.
Una
vera pace, non può che fondarsi sul concetto di giustizia e di pari dignità
degli interlocutori, altrimenti non si può fare la pace.
Ecco quale fu l’errore di Versailles nel Primo
Dopoguerra:
quello
di mortificare i tedeschi, accusandoli di essere stati gli unici responsabili,
gravandoli con delle condizioni infernali, umiliandoli, e questo ha favorito la
Seconda Guerra Mondiale!
Ma non
è una cosa che si dice ex post:
qualcuno
l’aveva capito già allora, nel Primo Dopoguerra, come il grande economista
inglese “John Maynard Keynes”:
aveva
lasciato le trattative di pace a cui era stato chiamato, dicendo:
“Queste
non sono trattative di pace, questa pacificazione prepara una nuova guerra.”
Ed è stato proprio così!
Per la
Palestina, che viene oltretutto da anni di occupazione delle terre da parte
israeliana, ci vorrebbe proprio un grande colpo di reni da parte di una nuova
dirigenza israeliana, che si renda conto che non si può andare avanti così,
perché sarà il male di Israele, non solo dei palestinesi, che sono le vittime,
evidentemente.
Non
dire queste cose non aiuta la pace:
nulla più della verità aiuta la pace e la
presa di consapevolezza da parte di chi impedisce anche solo il costituirsi di
un’ipotesi di pace.
(Intervista
di Veronica Tarozzi a Moni Ovadia).
(pressenza.com/it/2024/06/nulla-piu-della-verita-aiuta-la-pace-moni-ovadia-su-israele-il-mandato-di-arresto-per-netanyau-e-la-risoluzione-del-conflitto/).
Tra
unanimità e clausola di condizionalità:
qual è il ruolo per i valori europei oggi?
Geopolitica.info - DAVIDE ZAMPOLI – (16/06/2023)
– ci dice:
“L’Unione
si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti
umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.
Questi
valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal
pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla
solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
Oggi
questi valori sono la bussola delle istituzioni europee, eppure potrebbero
essere in contrasto con alcuni obiettivi dell’Unione Europea.
Con
queste parole, l’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea (TUE; 2007) sancisce i
valori fondamentali dell’UE, i quali hanno carattere vincolante per gli Stati
membri: è necessario rispettarli se si vuole far parte del sistema comunitario.
Come
ogni altra disposizione di legge, l’articolo citato ha bisogno di un sistema
sanzionatorio-coercitivo con il quale tutelare chi dovesse essere leso da un
comportamento contrario a quanto previsto dalla norma.
Questo
è contenuto all’interno dell’Art. 7 TUE:
“Il
Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli
Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento
europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da
parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato
tale Stato membro a presentare osservazioni”.
In
poche parole, attraverso un procedimento cui partecipano tutte le istituzioni
politiche europee, è possibile definire la violazione dei valori fondamentali e
conseguentemente adottare una serie di misure sanzionatorie.
Negli
ultimi anni alcuni Paesi membri sono stati accusati di non rispettare detti
valori.
In particolare, Ungheria e Polonia hanno fatto
sollevare non poche preoccupazioni riguardo il rispetto della “rule of law”
(stato di diritto) nei loro sistemi giudiziari, la cui indipendenza dal potere
esecutivo è dubbia.
Tuttavia,
l’Art. 7 non è mai stato attivato.
Come
mai le istituzioni europee non hanno intrapreso le iniziative legittime per
contrastare la deriva illiberale di Ungheria e Polonia?
Per poter attivare la disposizione richiamata
il Consiglio europeo necessita un voto unanime con l’esclusione dello Stato
imputato.
Di
conseguenza, Polonia e Ungheria si sono supportate nell’impedire l’attivazione
della procedura nei loro confronti:
qualora
uno dei due Stati fosse stato imputato, l’altro avrebbe esercitato il proprio
diritto di veto derivante dalla formula dell’unanimità.
Tale
situazione ha aperto un dibattito all’interno delle istituzioni Europee su come
rafforzare i valori dell’Unione nei sistemi giuridici nazionali.
Data
la sostanziale inapplicabilità dell’Art. 7, nel 2020 la Commissione europea ha
proposto l’adozione di un regime generale di condizionalità:
un meccanismo che correla il rispetto
dell’Art. 2 con l’erogazione dei fondi comunitari.
Il Regolamento 2020/2092 entrato in vigore il
1° gennaio 2021 ha concretizzato questo meccanismo.
Di
conseguenza, qualora la Commissione europea dovesse ritenere che il budget
comunitario possa essere speso in maniera non trasparente, a causa del non
rispetto dell’Art. 2, è autorizzata a sospendere parzialmente o completamente
l’erogazione dei fondi europei verso lo Stato imputato.
Tale
decisione deve essere poi approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata. In
altre parole, la Commissione può tagliare le linee di credito fornite dai fondi
strutturali europei a Paesi non in linea con i valori fondamentali dell’Unione.
Il 18
settembre 2022 la Commissione ha fatto ricorso alla c.d. clausola di
condizionalità per la prima volta sanzionando l’Ungheria.
La
proposta presentata è stata il congelamento del 65% dei fondi di Coesione
destinati a Budapest (EUR 7.5 mld).
Successivamente,
nel dicembre 2022 il Consiglio ha approvato il congelamento di 6.3 mld di euro
dei fondi comunitari destinati all’Ungheria, autorizzando anche il fermo dei
fondi Next Generation EU.
Si è
trovato in una situazione simile uno dei principali alleati di Orban: Varsavia.
La
Polonia ha, infatti, accesso a 36 mld di euro da Next Generation EU e circa 75
mld dalla politica di coesione per il periodo 2021-2027 (il Paese UE che ne
usufruisce maggiormente).
Come
nel caso ungherese, il 17 ottobre 2022 la Commissione ha dichiarato che la
Polonia non avrebbe più ricevuto finanziamenti europei finché il ruolo della
“rule of law” non sarà ristabilito.
Queste
misure hanno funzionato?
L’Unione Europea ha trovato uno strumento
utile per assicurare l’adesione ai valori fondativi?
Parzialmente
sì.
Difatti,
il tema principale su cui la Commissione europea ha stabilito il mancato
rispetto dell’Art. 2 nei paesi di Visegrad è la commistione tra potere
esecutivo e potere giudiziario.
In
altre parole, l’indipendenza del sistema giudiziario dal governo non è
sufficiente in Polonia e Ungheria, e di conseguenza i cittadini sono
impossibilitati a far valere pienamente i propri diritti.
Sotto
questo profilo, Varsavia e Budapest hanno recentemente avviato i lavori
parlamentari per riformare i propri sistemi di giustizia, promettendo maggiore
trasparenza e compliance con le linee guida segnalate dalle istituzioni UE.
La commissione si è detta ben disposta a
scongelare gradualmente i fondi qualora le misure sopracitate venissero
approvate e fossero ritenute sufficienti.
Nonostante
questo apparente successo, il regime generale di condizionalità presenta dei
lati controversi.
Il
primo riguarda la definizione degli standard da rispettare e l’influenza di
altre situazioni negoziali sugli stessi.
Come
detto, la Commissione europea scongelerà i fondi al raggiungimento di certi
standard da parte di Polonia e Ungheria.
Nondimeno,
questi obiettivi sono stati calmierati grazie ai negoziati tra Paesi membri
riguardo le sanzioni UE applicati alla Russia.
Difatti,
essendo le sanzioni uno strumento di politica estera, esse vanno decise con
voto unanime di tutti gli Stati UE.
Inoltre, lo strumento delle sanzioni è
caratterizzato dalla sua temporaneità e di conseguenza ogni sei mesi i
pacchetti di sanzioni UE devono essere votati all’unanimità e nel caso
aggiornati.
Su
questo tavolo negoziale Orban si è mosso per mitigare gli effetti del regime
generale di condizionalità legando il suo voto favorevole alle sanzioni ad uno
scongelamento parziale del credito europeo bloccato.
Con il
protrarsi della guerra in Ucraina, la questione delle sanzioni sarà sempre di
maggior rilievo.
L’UE
sarà chiamata a dimostrare fermezza e responsabilità continuando a supportare
le misure decise.
Tuttavia,
questo permetterà ai Paesi europei di avere un tavolo negoziale su cui forzare
benefici nei loro confronti legando il proprio appoggio alle sanzioni a sconti
sull’implementazione di altre policy europee.
Il
secondo profilo problematico riguarda la conflittualità tra la clausola di
condizionalità ed altre policy europee di grande rilevanza.
Difatti,
i fondi di coesione garantiscono la principale linea di credito per garantire
l’implementazione di diversi programmi UE.
Si
prenda, a titolo di esempio, la mobilità sostenibile.
Come
conosciuto, l’elettrificazione dei veicoli è uno dei principali obiettivi del
Green deal europeo.
Sotto
questo profilo, diverse città polacche hanno utilizzato i fondi di coesione per
poter modernizzare i mezzi pubblici e offrire autobus di linea elettrici.
In
generale, il secondo obiettivo della politica di coesione (in termini di budget
dedicato) è il finanziamento di progetti atti a facilitare il raggiungimento
degli obiettivi ambientali dell’Unione.
Di
conseguenza, se l’approccio intrapreso per rafforzare il rispetto della “rule
of law “in Europa rimarrà il congelamento dei fondi, questo potrebbe impedire
alle comunità degli Stati accusati di raggiungere quegli obiettivi per cui i
fondi Europei sono fondamentali.
La
conflittualità risulta evidente:
se si
sceglie di bloccare i fondi si rallentano i lavori in campi con risvolti
strategici come la transizione verde e l’indipendenza energetica.
Questo
darà grande spazio negoziale agli Stati sotto accusa nel definire gli standard
minimi da raggiungere per poter godere nuovamente dei fondi destinati loro,
minacciando di ritardare ulteriormente lo sviluppo dei progetti legati a obiettivi
UE.
Tuttavia,
essendo l’Art. 7 TUE inutilizzabile finché i Paesi di Visegrad si copriranno a
vicenda, e non potendo modificare i Trattati senza il supporto di tutti gli
Stati UE, un meccanismo amministrativo come la clausola di condizionalità
rappresenta una misura innovativa.
Il regime di condizionalità risulta il
‘migliore dei mali.
Nonostante
questo, le situazioni contingenti storiche e la conflittualità con altri
obiettivi essenziali per l’Unione pongono i valori europei in seconda luce al
rispetto delle misure di contenimento contro la Russia e altri obiettivi
strategici.
Il futuro dei valori europei rimane incerto in
un momento in cui, forse, alcune contingenze geo-strategiche vengono percepite
come maggiormente salienti. Tuttavia, il mancato rispetto dei principi UE potrebbe
depotenziare la reputazione dell’Unione nel mondo.
UE
rafforza la sua protezione
dalla
coercizione economica.
Regione.toscana.it
– Redazione – (16 -12-2021) – ci dice:
La
Commissione europea ha proposto un nuovo strumento per contrastare l'uso della
coercizione economica da parte dei paesi terzi.
Si tratta
di uno strumento giuridico creato per reagire alle pressioni economiche cui
l'UE e gli Stati membri sono stati intenzionalmente esposti negli ultimi anni.
Rafforza l'insieme di strumenti a disposizione dell'UE consentendole di
difendersi meglio sulla scena mondiale.
L'obiettivo
è dissuadere i paesi terzi dal limitare o minacciare di restringere gli scambi
o gli investimenti per provocare cambiamenti nelle politiche dell'UE in ambiti
quali la politica fiscale, la sicurezza alimentare o i cambiamenti climatici.
Eventuali
contromisure adottate dall'UE sarebbero messe in atto se non c'è altro modo per
affrontare l'intimidazione economica, che può assumere molte forme, come l'uso
esplicito, da parte di paesi terzi, della coercizione e degli strumenti di
difesa commerciale contro l'UE, l'esecuzione di controlli selettivi alle
frontiere o sulla sicurezza alimentare di merci provenienti da un determinato
paese dell'UE o anche il boicottaggio di merci aventi una determinata origine.
Con tale strumento si mira a preservare il
diritto legittimo dell'UE e degli Stati membri di compiere scelte politiche e
di prendere decisioni e a prevenire gravi interferenze nella sovranità dell'UE
o degli Stati membri.
Questo
nuovo strumento permetterà all'UE di rispondere ai casi di coercizione
economica in modo strutturato e uniforme.
È
oggetto di un quadro legislativo specifico che garantisce prevedibilità e
trasparenza, sottolineando l'adesione dell'UE a un approccio basato su norme,
anche a livello internazionale.
L'UE
si impegnerà direttamente con il paese interessato per porre fine
all'intimidazione economica.
Se
quest'ultima non cessa immediatamente, il nuovo strumento consentirà all'UE di
reagire con rapidità ed efficacia, fornendo una risposta su misura e
proporzionata per ogni situazione, dall'imposizione di dazi alla restrizione
delle importazioni dal paese in questione, da restrizioni sui servizi o sugli
investimenti a misure per limitare l'accesso del paese in questione al mercato
interno dell'UE.
La
proposta dovrà essere discussa e approvata dal Parlamento europeo e dal
Consiglio dell'Unione europea.
Nei
prossimi due mesi le parti interessate e i cittadini potranno fornire ulteriori
riscontri, sui quali la Commissione UE riferirà al Parlamento e al Consiglio.
Il
Patto per la migrazione dell’UE:
un
pericoloso regime di sorveglianza
delle
persone migranti.
Meltingpot.org
– (8 MAGGIO 2024) – Redazione – ci dice:
La
coalizione #ProtectNotSurveil:
una
nuova era mortale di sorveglianza digitale.
In una
dichiarazione congiunta diverse organizzazioni che aderiscono alla coalizione
#ProtectNotSurveil criticano il nuovo Patto UE su migrazione e asilo da una
prospettiva digitale, guardando all’intersezione tra migrazione e
digitalizzazione.
«Il Nuovo Patto», scrivono, «inaugura una
nuova era mortale di sorveglianza digitale, ampliando l’infrastruttura digitale
per un regime di frontiera dell’UE basato sulla criminalizzazione e la
punizione delle persone migranti, rifugiati e richiedenti asilo».
Il 10
aprile 2024, il Parlamento europeo ha adottato il” Nuovo Patto sulla Migrazione
e l’Asilo”, un pacchetto di riforme che amplia la criminalizzazione e la
sorveglianza digitale delle persone migranti.
Nonostante
i ripetuti avvertimenti delle organizzazioni della società civile, il Patto “normalizzerà l’uso arbitrario della
detenzione per motivi di immigrazione, anche per bambini e famiglie, aumenterà
la profilazione razziale, utilizzerà le procedure ‘di crisi’ per consentire i
respingimenti e rimpatrierà le persone nei cosiddetti ‘Paesi terzi sicuri’,
dove rischiano di subire violenze, torture, e detenzioni arbitrarie.“
Il
Nuovo Patto UE inaugura una nuova era mortale di sorveglianza digitale,
ampliando l’infrastruttura digitale per un regime di frontiera dell’UE basato
“sul criminalizzare e punire i migranti e le persone razzializzate“.
La
presente dichiarazione illustra come il quadro generale consentirà e in alcuni
casi imporrà l’impiego di tecnologie e pratiche di sorveglianza dannose contro
i migranti.
Evidenziamo, inoltre, la presenza di alcune
zone grigie in cui il Patto lascia aperta la possibilità di ulteriori sviluppi
dannosi in futuro che includono pratiche invasive e violente di sorveglianza e
trattamento dei dati.
Il
Patto sulla Migrazione consente la sorveglianza digitale delle persone
migranti.
Mentre
alle frontiere e nei centri di detenzione verrà impiegata una tecnologia più
invasiva, i dati personali delle persone verranno raccolti in massa e scambiati
tra le forze di polizia da una parte all’altra dell’UE, e i sistemi di
identificazione biometrica verranno utilizzati per tracciare gli spostamenti
delle persone e aumentare i controlli di polizia nei confronti dei migranti
privi di documenti.
Il
Nuovo Patto sulla Migrazione imporrà tutta una serie di sistemi tecnologici per
identificare, selezionare, tracciare, valutare e controllare le persone che
entrano o sono già in Europa.
Questi
sistemi rafforzeranno uno status quo già crudele.
I decisori politici europei hanno scelto per
anni di trattare il movimento delle persone in Europa principalmente come una
questione di sicurezza.
I risultati sono i molto limitati percorsi
sicuri e regolari per fare ingresso in Europa, la diffusa criminalizzazione
della maggior parte di coloro che compiono il viaggio, e lo sfruttamento
sistematico e la discriminazione verso coloro che già vivono qui.
Gli
investimenti in tecnologie per sostenere questo sistema già dannoso saranno a
beneficio principalmente delle aziende del settore tecnologico e della
sicurezza che raccoglieranno i frutti finanziari di questa politica, spingendo
al contempo le persone verso rotte più pericolose e dando maggior spazio alla
profilazione razziale alle nostre frontiere e nelle nostre comunità.
Ecco i
principali modi in cui il “Patto sulla Migrazione” crea un pericoloso sistema
di sorveglianza dei migranti:
I
migranti come sospetti: un vasto regime di monitoraggio digitale.
Il”
Patto sulla Migrazione” estende un ampio sistema di raccolta e scambio
automatico di dati, portando a un regime di sorveglianza di massa dei migranti.
Le
modifiche al “Regolamento Eurodac” imporranno la raccolta sistematica dei dati
biometrici dei migranti (che ora includono anche le immagini del volto), che
saranno conservati in enormi database fino a 10 anni, scambiati in ogni fase
del processo migratorio e resi accessibili alle forze di polizia di tutta
l’Unione europea per scopi di tracciamento e controllo dell’identità.
L’età
minima per la raccolta dei dati è stata abbassata da quattordici a sei anni,
con la possibilità di ricorrere alla coercizione in caso di fallimento dei
metodi “adatti al bambino”.
Inoltre,
le nuove procedure di screening e le procedure di frontiera (Regolamento sullo screening) imporranno vari
controlli di sicurezza e valutazioni di tutte le persone che entrano in Europa
in modo irregolare, anche per chiedere asilo, con un potenziale processo
decisionale automatizzato e basato sull’intelligenza artificiale.
Queste
procedure richiederanno che i dati personali e biometrici di ogni persona che
entra nell’UE siano sottoposti a controlli incrociati con molteplici database
nazionali ed europei di polizia e immigrazione, nonché con i sistemi gestiti da
Europol e Interpol, aumentando la possibilità di repressione transnazionale dei
difensori dei diritti umani.
Le
persone identificate come “rischio per la sicurezza nazionale o per l’ordine
pubblico” saranno sottoposte a procedure di frontiera accelerate con minori
garanzie per il trattamento della domanda di asilo (Regolamento sulle Procedure
di Asilo e Regolamento sulle Procedure di Rimpatrio).
I
concetti di sicurezza nazionale e ordine pubblico non solo sono pericolosamente
vaghi e indefiniti, lasciando ampia discrezionalità agli Stati membri, ma
aprono anche la strada a pratiche potenzialmente discriminatorie nelle
procedure di screening, utilizzando la nazionalità come sostituito per la razza
e l’etnia in queste valutazioni.
Inoltre,
anche le famiglie con bambini e i minori non accompagnati potrebbero essere
trattenuti nelle procedure di frontiera, con un elevato rischio di detenzione
di fatto.
Nel
contesto delle procedure di asilo, il Patto renderà possibili pratiche
tecnologiche invasive in varie fasi del procedimento di asilo.
Il regolamento sulle procedure di asilo prevede un
aumento delle perquisizioni degli oggetti personali, aprendo la strada a
pratiche invasive come l’estrazione dei dati dai telefoni cellulari, che
comporta il sequestro e l’analisi di dispositivi elettronici personali (come
telefoni o laptop) per estrarre dati che possono essere utilizzati per trovare
prove al fine di valutare la veridicità delle dichiarazioni (ad esempio, per la
richiesta di asilo) o per verificare la loro identità, età o Paese di origine.
Tali
pratiche invasive sono state contestate con successo in Germania e nel Regno
Unito, ma continuano a essere utilizzate in diversi Paesi europei. Inoltre, il
regolamento sulle procedure di asilo consente anche di utilizzare colloqui a
distanza e videoconferenze per le persone in detenzione e durante la procedura
di appello.
Questo
non solo solleva problemi di privacy e di protezione dei dati, ma aumenta
l’isolamento di persone che si trovano già in una situazione di vulnerabilità e
rischia di influire negativamente sulla qualità e sull’equità delle procedure.
Gestione
tecnologica delle strutture carcerarie per migranti.
Le
nuove procedure di screening e di frontiera porteranno un numero maggiore di
persone, tra cui bambini e famiglie, a essere trattenute in strutture detentive
simili a prigioni, sul modello del “Centro Chiuso ad Accesso Controllato
(CCAC)” già in funzione in Grecia.
Questi
centri sono caratterizzati da sensori di movimento, telecamere e accesso
tramite impronte digitali, definendo un sistema di gestione digitale delle
strutture per l’immigrazione che si basa sulla sorveglianza ad alta tecnologia
per monitorare e controllare le persone.
In base al Patto, si prevede che almeno 30.000
persone saranno sottoposte a “procedure di frontiera” in qualsiasi momento, che
probabilmente comporteranno la detenzione o la restrizione della libertà
personale.
Lungi
dal considerare la detenzione come “ultima risorsa“, in modo agghiacciante il
Patto prevede l’espansione della detenzione in tutta Europa.
Profilazione
razziale abilitata dalla tecnologia alle frontiere interne dell’UE.
Accanto
al Patto sulla Migrazione vi sono altre modifiche legislative alla politica
migratoria dell’UE.
La
riforma del Codice delle frontiere Schengen, che sarà adottata il 24 aprile
2024, generalizzerà i controlli di polizia ai fini dell’applicazione della
legge sull’immigrazione,
facilitando la pratica del profiling razziale
all’interno del territorio dell’UE.
Questa
nuova legge incoraggia un maggiore uso delle tecnologie di sorveglianza e
monitoraggio alle frontiere interne ed esterne.
Tecnologie
come droni, sensori di movimento, termo camere e altre vengono utilizzate per
identificare le persone che attraversano le frontiere prima dell’arrivo e hanno
dimostrato di facilitare i respingimenti.
Aprire
la porta a una futura espansione del complesso di sorveglianza delle frontiere.
Il
Patto sulla Migrazione si basa sui quadri normativi esistenti che regolano
l’uso della sorveglianza digitale nella migrazione.
La
legge dell’UE sull’intelligenza artificiale introduce un quadro indulgente per
l’uso dell’IA da parte delle forze dell’ordine e delle agenzie di controllo
dell’immigrazione e di sicurezza nazionale, fornisce scappatoie e incoraggia
persino l’uso di pericolosi sistemi di sorveglianza sui soggetti più
marginalizzati dalla società.
In
questo quadro, combinato con il Patto sulla Migrazione e i nuovi sviluppi
esistenti nella tecnologia di sorveglianza, possiamo aspettarci:
● Profilazione automatizzata e
valutazioni del rischio per controlli di sicurezza e vulnerabilità, al fine di
facilitare le decisioni relative alle procedure di asilo, alle valutazioni di
sicurezza, alla detenzione e alla deportazione dei migranti.
Il
Patto allude a numerosi casi in cui possono essere utilizzati processi
decisionali basati sull’intelligenza artificiale, ad esempio durante la
procedura di screening per valutare se una persona rappresenta un “rischio per
la sicurezza nazionale” o una minaccia per la “sicurezza pubblica“, o per
valutare il livello di vulnerabilità di un richiedente asilo.
Ciò non solo può portare a numerose violazioni
degli obblighi di protezione dei dati e violazioni della privacy, ma viola per
sua natura il diritto alla non discriminazione, nella misura in cui codifica
ipotesi sul legame tra dati personali e categorie con particolari rischi.
L’introduzione
della valutazione automatizzata nelle procedure di asilo comporterà una
riduzione delle tutele e delle salvaguardie, e un ulteriore allontanamento dal
principio per il riconoscimento della protezione internazionale della
valutazione caso per caso, individualizzata e basata sulle specifiche esigenze.
●
L’uso di strumenti di previsione che si basano su dati statistici distorti
raccolti sugli ingressi irregolari e sulle domande di asilo per tentare di
prevedere i movimenti di persone su larga scala, e che possono essere
utilizzati per orientare le azioni sul campo per scoraggiare o bloccare tali
movimenti.
Uno strumento simile è stato testato nel
progetto ITFlows di Horizon 2020.
● Rilevatori di menzogne che hanno la
pretesa di capire se qualcuno è sincero analizzando i movimenti del viso, che
sono pericolosi e inaffidabili tanto da essere vietati dalla legge europea
sull’intelligenza artificiale, tranne che nei contesti di frontiera e polizia.
●
Sistemi di riconoscimento dialettale e altre tecnologie intrusive utilizzate
nel contesto delle domande di asilo o di visto, per valutare la veridicità
delle dichiarazioni dei richiedenti. Questa tecnologia, oltre a rafforzare un
quadro generalizzato di sospetto nei confronti delle persone che chiedono
asilo, si basa su presupposti discriminatori, non scientifici e spesso distorti
che formano le decisioni del mondo reale, che impattano in modo dannoso sulla
vita delle persone.
●
Tecnologie di sorveglianza delle frontiere, come l’identificazione biometrica a
distanza nelle aree di confine, i droni e le telecamere termiche per impedire
l’attraversamento delle frontiere all’interno dell’Unione europea.
Mentre
alcune tecnologie di sorveglianza sono già in uso, un’ampia gamma di sistemi
viene massicciamente testata in progetti finanziati dall’UE come FOLDOUT
Solution, ROBORDER, BorderUAS, Nestor. Il loro utilizzo alle frontiere interne
è incoraggiato dal Codice delle frontiere Schengen.
Cosa
succederà in seguito?
Nella
sua versione finale, il Patto rappresenta l’ulteriore radicamento delle
tecnologie di sorveglianza nell’UE, e non solo, come parte sempre più
importante del suo arsenale per sostenere la Fortezza Europa.
Rappresenta
quindi un’ulteriore erosione dei diritti fondamentali e la normalizzazione
della sorveglianza digitale alle frontiere e all’interno delle stesse,
giustificata da un approccio alla politica migratoria basato sulla repressione
piuttosto che sui diritti.
Come
coalizione #ProtectNotSurveil, continueremo a contestare l’uso delle tecnologie
digitali nei diversi livelli delle politiche e delle pratiche dell’UE e a
sostenere la possibilità per le persone di muoversi e di cercare sicurezza e
opportunità senza correre il rischio di subire danni, sorveglianza o
discriminazione. La coalizione pubblicherà a tempo debito un’analisi più
dettagliata degli impatti digitali del “Patto sulla Migrazione”.
Il
Governo fa cassa
coi
gioielli di famiglia.
Partitosocialista.it – (06/04/2024) - Enzo
Maraio – ci dice:
Nemmeno
un governo che si dice sovranista, come quello di Giorgia Meloni è in grado di
rilanciare i gioielli di famiglia.
Dal
suo insediamento ad oggi, questo Esecutivo ha saputo solo dimostrare di non
avere una visione industriale affidandosi al bancomat delle privatizzazioni.
Poste,
Eni, Ferrovie, Raiway, il sistema portuale, Tim;
nulla
sembra salvarsi dalla nuova ondata di cessioni sul mercato.
Un
errore nel metodo e nel merito, perpetuato negli anni anche dai governi di
centrosinistra che, sbagliando, hanno avviato la totale svendita di aziende
statali fiori all’occhiello dell’economia nostrana e principali fautori del
“miracolo italiano”.
Un
esempio su tutti.
A fine
novembre, la cessione del 25% di Mps.
Una
cessione avvenuta a 2,92 euro, senza che ci fossero vincoli stringenti da
Bruxelles per le tempistiche.
Oggi i titoli valgono quasi un euro in più.
Sarebbe
bastato aspettare qualche mese e lo Stato avrebbe ricavato oltre il 10 per
cento in più dall’operazione.
E invece nulla.
In questi giorni il Tesoro ha svenduto un
altro 12,5% di Mps.
Atti sciagurati, quelli commessi dal governo
Meloni, che sta offrendo affari d’oro a fondi speculativi stranieri.
E lo si fa in barba anche a quel becero
principio di nazionalismo, valore fortemente radicato nella cultura politica di
destra.
Principi
sventolati, come tavole sacre, in campagna elettorale solo per dare propano ad
un elettorato rimasto congelato.
È chiaro che senza una visione strategica non
si va da nessuna parte.
Senza
cioè un piano serio per il recupero (vero) dell’evasione fiscale, senza alcuna
revisione della spesa pubblica.
Semplicemente colpendo i più poveri e senza
introdurre una corretta politica industriale, capace di determinare crescita
economica, occupazione e risoluzione delle tante crisi aziendali aperte.
In un
momento storico in cui sarebbe il caso di avviare un piano di rilancio del
Paese, si preferisce affidarsi alla solita minestra riscaldata che ci fa
perdere il controllo di interi asset strategici, realizzando la privatizzazione
di aziende partecipate pubbliche al solo scopo di fare cassa e senza alcuno
significato strategico.
Il tutto, per la sola gestione della spesa
corrente.
E così la nostra economia groviera, mostra i
segni dello sfascio, con ricadute pesanti su occupazione e servizi.
Peraltro,
i risultati sono sotto gli occhi di tutti:
organici ridotti, lavoro precario e
parcellizzato, part-time involontari, appalti e subappalti al massimo ribasso,
bassi salari e lavoro insicuro rappresentano le emergenze
frutto
di politiche che hanno svalorizzato il lavoro e la dignità dei lavoratori.
Un’emergenza per la quale bisogna intervenire utilizzando tutti gli strumenti
democratici a disposizione.
Democrazia
Futura. Il
rilancio
del
bipolarismo come habitat mentale.
Keybiz.it
- Celestino
Spada – (10 Maggio 2023) – ci dice:
L'Italia
e la sfida delle riforme dopo l’elezione di Elly Schlein alla guida del Partito
Democratico.
La
riflessione di Celestino Spada.
Celestino
Spada torna sulla novità del quadro politico italiano “Dopo l’elezione di Elly
Schlein alla guida del Partito Democratico” in un mini saggio “Il rilancio del
bipolarismo come habitat mentale.
“L’elezione di una donna a segretario
nazionale del Pd – scrive Spada – non ha mancato di richiamare il fatto che da
qualche mese è una donna a guidare il governo italiano, Giorgia Meloni, leader
del centro-destra:
quasi una risposta da parte del “popolo” delle
primarie Pd a una conquista storica delle donne italiane e del nostro paese,
realizzata dal centrodestra.
Nessuno
può dire se e quanto questo ha contato nel voto per Elly Schlein, ma in ogni
caso, quale ne sia stata la valenza emulativa, è un fatto che oggi due donne
sono alla guida degli schieramenti politici la cui alternanza al governo ha
caratterizzato (con qualche pausa recente) gli ultimi trent’anni della nostra
storia”.
Il
caso ha voluto che, nelle ore in cui veniva scelto, con le ‘primarie’ del 26
febbraio 2023, il nuovo segretario nazionale del Partito Democratico, sulla
costa calabrese della Penisola siano venuti ad approdare, trovandovi anche la
morte in una tempesta di vento e di mare, decine di disperati – uomini, donne,
bambini – in fuga dall’Afghanistan, dal terremoto, dalle guerre da tempo in
corso in Turchia e in Siria.
Si
sono così proposte sui nostri media – all’attenzione di animi più o meno
disposti ad essere coinvolti – immagini e grida di dolore di persone che si
aggiungono a quelle che, da decenni, regimi politici, guerre e situazioni di
sottosviluppo a noi vicine e remote inducono a rischiare la vita attraversando
con ogni mezzo il Mediterraneo.
E
subito si è imposta la situazione di “emergenza” con i suoi caratteri
ineludibili in termini di tempo, attenzione e impegno richiesti alle
istituzioni – dal ministero degli Interni alla magistratura, alle
amministrazioni locali, alla sanità – tutte seguite da presso dai media e
incalzate dalle polemiche nell’opinione e a livello politico-parlamentare.
Nulla
più di questa tragedia poteva fare di nuovo presente a Elly Schlein, uscita
vincitrice dalle urne, questo aspetto non secondario del contesto nel quale è
chiamata a operare nella sua nuova responsabilità, un aspetto a cui dal
febbraio 2022 è venuta ad aggiungersi la situazione di opinione e di scelte e
confronto politico conseguente all’aggressione dell’Ucraina da parte della
Russia – per richiamare l’altro fattore esogeno di prima grandezza che
caratterizza in questa fase la vita del nostro Paese e che ne condizionerà il
futuro almeno immediato.
Tanto
più se si considera il discorso nel quale il presidente degli Stati Uniti
d’America, Joe Biden, a Varsavia, il 21 febbraio 2023, ha annunciato che la
Nato tutta intera (e quindi anche l’Italia) è entrata in guerra al fianco
dell’Ucraina – una “svolta”, per molti commentatori.
Sicché
è facile prevedere che nel nostro spirito pubblico, accanto ai fattori
domestici e identitari attivati dagli sbarchi e da quel che ne seguirà in
termini di accoglienza o non accoglienza, di aumento dei clandestini e di
politiche europee al riguardo, verranno sempre più a definirsi i connotati
italiani delle reazioni e degli schieramenti già attivati nei diversi Paesi
della piattaforma continentale europea – nell’Unione europea in particolare –
fino a poco tempo fa ben ferma e oggi posta sui rulli dello scorrimento verso
ovest o verso est dall’evoluzione di quella guerra.
La
risposta del “popolo” delle primarie: una donna alla guida del principale
partito della sinistra.
Nessuno può dire se e quanto questo ha contato
nel voto per Elly Schlein, ma in ogni caso, quale ne sia stata la valenza
emulativa, è un fatto che oggi due donne sono alla guida degli schieramenti
politici la cui alternanza al governo ha caratterizzato (con qualche pausa
recente) gli ultimi trent’anni della nostra storia.
Come
anche è un fatto che, nel contesto mediale e sociale dominante della politica
personalizzata, lo scrutinio della loro vita e delle loro scelte private non
mancherà (già accade) di rilevarne differenze e affinità che peseranno, con la
loro valenza simbolica, nella formazione della loro immagine sociale e
culturale:
ciò
che avrà il suo ruolo nella formazione e nella conquista del consenso politico
attorno a ciascuna di loro e al partito e allo schieramento che rappresentano.
Di
questo lavorio personale e mediatico si sono avuti accenni fin dalle prime ore,
risultando la storia e l’immagine di Giorgia Meloni più consona agli elementi
più comuni e condivisi, che accompagnano la percezione di una donna da sempre
(anche) sulla scena politica, di quanto possa risultare a prima vista la
newcomer Elly Schlein con le sue scelte personali private.
Un
fatto – che anche componenti dell’entourage di quest’ultima si sono premurati
di sottolineare – che non si sa quanto possa risultare in un vantaggio
competitivo per Giorgia Meloni, data la grande varietà attuale delle percezioni
e sensibilità personali e “di massa” alle questioni di genere e la fluidità
delle opinioni su di esse, come si può quotidianamente verificare per
esperienza diretta e nell’offerta mediale con i suoi risultati di pubblico (non ultima, e al massimo livello
della popolarità, la recente edizione del Festival di Sanremo).
Piuttosto,
stando così le cose e tali rimanendo prevedibilmente per un non breve periodo
di tempo, viene da pensare che, con l’avvento di due donne nei ruoli apicali
della politica italiana, si è determinata una situazione culturale e
istituzionale nuova che potrebbe indurre l’Italia a rinnovare ai governanti
della Repubblica Islamica dell’Iran la richiesta di un deciso cambiamento delle
leggi e delle scelte di governo e di polizia nei confronti delle donne –
richiesta già fatta dal Presidente Sergio Mattarella, fra i pochi statisti nel
mondo a esprimere ad essi l’indignazione e l’insofferenza che suscita anche in Italia quanto succede in quel paese
nei confronti di metà del genere umano.
Il PD
nel suo primo quindicennio da Veltroni a Bersani, da Renzi a Zingaretti: un
soggetto politico o “uno spazio politico dove ognuno esercita il suo protagonismo?”
Insieme
al loro esito le “primarie” del Pd hanno fatto notizia per l’affluenza al voto,
maggiore di quella prevista, quasi a indicare per alcuni una controtendenza
rispetto all’astensione-record registrata nelle elezioni politiche del
settembre 2022. A parte l’aspetto fantasioso di questo confronto, più
interessante è il nesso che si è voluto vedere fra l’affluenza alle urne delle
“primarie”, la consistenza e la cogenza del mandato politico affidato dal
“popolo” al segretario così eletto e la leadership effettiva, il governo, del
Pd.
Qui la storia è andata, come si sa, in
un’unica direzione – da Walter Veltroni, plebiscitato nel 2007, con il suo
programma di governo, da oltre tre milioni di voti e dimissionario poco più di
un anno dopo, senza motivazioni pubbliche nelle sedi del partito o altrove, e
da Pierluigi Bersani, eletto alle “primarie” del 2009 e del 2012 e sconfessato
nel 2013 da 101 fra parlamentari e rappresentanti regionali del Pd nel corso
dell’elezione del presidente della Repubblica (anche qui senza motivazioni
pubbliche), a Matteo Renzi, eletto nelle primarie del 2013 e sconfitto nel
referendum istituzionale del 2016 con il contributo di alcuni fra i maggiori
esponenti del gruppo dirigente del Pd, poi anche usciti dal partito, a Nicola
Zingaretti, eletto nel 2019 e dimissionario due anni dopo con una lettera resa
pubblica di critica della vita interna del partito e di denuncia delle priorità
che egli ha visto orientare le scelte dei suoi massimi dirigenti.
Un’esperienza
quindicennale a senso unico per la quale vale ancora il quesito posto
dall’onorevole Pierluigi Bersani dopo il voto dei 101:
“Vogliamo
essere un soggetto politico o uno spazio politico dove ognuno esercita il suo
protagonismo?”.
E che
egli, con la consueta onestà intellettuale, è venuto a ricordare (anche) alla
nuova segretaria quando ha enunciato il “dover essere” del Pd nel quale, con la
elezione di Elly Schlein, è rientrato:
“I
meccanismi con i quali abbiamo fatto i congressi lasciano un inespresso sul
piano politico… non c’è stato un confronto di merito sui nodi veri… un partito
plurale esiste se si può discutere di politica.”
Che
cosa è stato e sia il Pd, nel contesto della “partitocrazia senza partiti”
(Mauro Calise) succeduta alla “prima repubblica”, resta materia di riflessione.
Qui
importa prendere atto che dalla nuova segretaria chi l’ha sostenuta e votata si
attende una iniziativa politica e alleanze che segnino il rilancio del
bipolarismo che ha caratterizzato la seconda repubblica e, con esso,
dell’orizzonte mentale duale “amico/nemico”, che nelle menti e nei cuori degli
italiani è stata la struttura portante dell’assetto della rappresentanza
politica nazionale per quasi trent’anni.
L’assetto
che ha assicurato (anche) alle forze raccolte nel Pd, insieme, il riferimento
ad esse del loro insediamento sociale e culturale e la possibilità concreta,
vincendo le elezioni, di accedere ai ruoli di governo, offerta dalla
“democrazia dell’alternanza” come portato inevitabile del sistema elettorale
maggioritario.
La
fine del bipolarismo del sistema politico italiano in un contesto di crescita
continua di disaffezione al voto.
Anche
senza considerare che, nel corso degli anni, proprio il sistema elettorale è
stato modificato in senso più o meno proporzionale per iniziativa e con il
consenso, in pratica, di tutte le forze politiche in Parlamento, il fatto di
cui si deve prendere atto da almeno un decennio è la fine del bipolarismo del
sistema politico italiano: acquisita nel voto popolare e nel confronto
parlamentare, in crescita nell’informazione e nei processi di formazione
dell’opinione pubblica, aperta, con l’affermazione elettorale e la leadership
di Fratelli d’Italia, nel centrodestra oggi al governo, a una nuova, diversa
caratterizzazione della rappresentanza sostenuta dal voto maggioritario degli
italiani.
Sul
primo versante, dopo le elezioni del 2008, che assicurarono al centro-destra la
più grande maggioranza parlamentare nella storia della Repubblica, è stato più
o meno rapido ma continuo lo smottamento del consenso fino ad allora raccolto
dai due poli – prima sul versante del centrodestra, come evidenziato dai
risultati elettorali del 2013, poi su quello del centrosinistra – con
l’affermarsi nelle urne del Movimento5stelle, un “non-partito” che dopo il
successo del 2018, nel giro di tre anni, e in tutta la scorsa legislatura, è
riuscito a esprimere in Parlamento due maggioranze di governo con formazioni
opposte (la Lega di Matteo Salvini, una volta, e il Pd e i vari gruppi della
sinistra, l’altra) e a farsi parte di un’altra maggioranza ancora, a sostegno
di un terzo governo, quello presieduto da Mario Draghi.
Nel
contesto della crescita continua dell’astensione per la quale, nel 2022, la
maggioranza (e poi il governo) uscita vincente dalle elezioni è espressa da
meno del trenta per cento dell’elettorato.
La
prospettiva di recupero del ruolo politico del Pd affidata al rilancio del
bipolarismo anche con la “costruzione di un campo largo”, come si dice, e la
conquista di nuovi consensi nella società e nelle urne, se punta al voto
giovanile, mira soprattutto a ridurre l’area dell’astensione dal voto.
Un obbiettivo, questo, più che problematico
dal momento che una rinnovata offerta politica del Pd continuerebbe ad essere
respinta o a lasciare indifferenti gli ex-elettori del centrodestra – per la
impermeabilità reciproca di opinioni e scelte di voto dell’elettorato dei due
poli (un dato costante nell’analisi dei flussi elettorali dell’ultimo decennio)
– mentre rischia di apparire una
minestra riscaldata ai suoi ex-elettori passati all’astensione o ad altre
scelte, e di non risultare “nuova” stanti gli esponenti politici e l’orizzonte
mentale da essi riproposto.
In
concreto, oltre che affidarsi alle alee del confronto politico e delle scelte
cui è e sarà chiamato il governo del paese, l’obiettivo del rilancio del
bipolarismo tiene fermo e conta soprattutto sulla persistenza del contesto
politico-culturale nel quale viviamo da quasi trenta anni.
Durante
i quali (come di rado è avvenuto nella loro storia unitaria, e senz’altro in
quella della Repubblica) gli italiani si sono trovati a condividere forse al
massimo grado i caratteri dello spirito pubblico e le prassi dominanti la
stessa “società civile”, per il ruolo che la politica ha assunto nella nostra
vita quotidiana, dei singoli come delle collettività.
Non
sono molti, a questo proposito, i contributi di analisi e riflessioni maturati
all’interno degli stessi partiti e schieramenti, ma è un fatto che, fin dagli
anni Novanta, gli elettori, nella quasi totalità, insieme alla fiducia nei loro
rappresentanti variamente dislocati sui versanti del maggioritario, non solo
hanno condiviso l’universo mentale duale delle contese elettorali (l’“O di qua!
O di là!” delle reti Fininvest dal 1993-1994) e ne hanno accettato e sostenuto,
con il loro consenso, le ricadute degli esiti delle votazioni in termini di
spoil system (“i pesi e le misure”, nella sintesi dell’onorevole Bersani) nelle
istituzioni e nella società, ma, soprattutto, hanno assunto essi stessi
identità, credito e influenza nei rapporti sociali, nell’economia e nelle
istituzioni, in termini di “appartenenza”, “vicinanza”, “contiguità”,
“riferimento” agli esponenti, alle componenti e agli schieramenti politici.
A
partire dall’informazione e dalla comunicazione (nella Rai come nei media
audiovisivi e a stampa privati), nelle istituzioni e organismi pubblici, nelle
imprese, nelle professioni e nei mestieri, nella cultura, nella scuola, nelle
università e nella sanità:
la stragrande maggioranza delle persone si è
definita, è stata o si è fatta accreditare in quei termini e la “lottizzazione”
è diventata pensiero e logica organizzativa all’interno, e criterio di scelta e
di decisione verso l’esterno, di istituzioni e organizzazioni pubbliche e
private.
Il
contesto – va ricordato, per concludere su questo punto – nel quale, dalla metà
degli anni Novanta, nelle istituzioni e nel governo della Repubblica (da cui
erano stati esclusi per mezzo secolo) hanno assunto piena cittadinanza i
dirigenti e gli elettori di Alleanza Nazionale con le loro motivazioni e i loro
obbiettivi.
E nel quale, dal 2013, è stato possibile
integrare gli eletti e gli esponenti del Movimento 5 Stelle, stemperando e
assorbendo la valenza eversiva, “anti-sistema”, della loro genesi e ragion
d’essere grillina.
(Una cosa prevista dagli interlocutori di
Antonio Polito che, in non dimenticati reportage da alcune città della
Campania, nel 2018 riferiva sul Corriere della Sera di professionisti e docenti
universitari orientati a votare per quel Movimento, “avendo già dato i partiti
quello che potevano dare”.)
I
media strutture portanti del bipolarismo inteso come habitat mentale e del
ritorno dei “notabili.”
Com’è
noto, sono stati i media, e la comunicazione da essi prodotta e proposta al
pubblico, le strutture portanti e incessantemente attive del bipolarismo:
ben
più dei partiti che, in varia misura, più che al loro insediamento territoriale
e alle relazioni dirette con le persone, hanno affidato all’offerta mediale i
loro rapporti con i cittadini/elettori, per conquistarne o mantenerne il
consenso.
Con il
risultato di promuovere e rendere dominante la “personalizzazione” mediale
della politica e di riproporre sulla scena pubblica la figura dei “notabili”,
ben radicati nel loro territorio, fonti e riferimento di dichiarazioni e
“notizie” e “padroni” delle liste elettorali: la figura tipica dell’“Italietta
liberale” prima dell’avvento dei partiti politici moderni, con il Psi, nel
1892.
(E
forse anche la vicenda del Pd trova qui una sua chiave di lettura.)
Un
rilancio del bipolarismo come habitat mentale, in cui si continui a proporre
giorno dopo giorno il confronto sociale e politico, e come prassi in cui si
coltivino e si formino opinioni e scelte politiche (quando il tutto non si
riduca al semplice “posizionamento” sul “mercato politico”), verrebbe per lo
meno a tener fermo quanto ha caratterizzato la comunicazione politica negli
ultimi trent’anni.
E cioè
una professione giornalistica esercitata a ridosso – più o meno – del personale
politico e un’industria mediale che ha affidato il suo rapporto con il
pubblico, e anche le sue prospettive di tenuta e di sviluppo economico, alle
dinamiche competitive in cui maturano e si coltivano le simpatie e le affinità,
se non anche i processi di identificazione attivati dall’“O di qua! O di là!”.
Con esiti deficitari in termini di percezione
della realtà, come si rese evidente nel 2012, quando i media, che avevano
salutato il “ritorno della politica” dopo la parentesi (da loro stessi mal
sopportata) del “governo dei tecnici” presieduto da Mario Monti, scoprirono
nelle urne elettorali che milioni di cittadini avevano smesso di votare per
entrambi i poli.
E nel
2014, quando le retate disposte dalla Procura della Repubblica di Roma
(qualificate dai nostri media “Mafia Capitale”) portarono alla ribalta
relazioni e intrecci fra esponenti politici, settori della pubblica
amministrazione (al centro e nei municipi) e malavita che nonostante la loro
frequentazione quotidiana e ravvicinata dei politici quasi nessun giornalista a
Roma aveva prima percepito.
Un
orizzonte mentale e una prassi, in ogni caso, che hanno pregiudicato la
formazione e lo sviluppo di una opinione pubblica maturata e in grado di
compiere scelte politiche in base alla considerazione del merito delle proposte
e alla verifica dell’azione dei governi:
una
“vera” opinione pubblica, nutrita dal sentimento della comune cittadinanza, a
fondamento della nostra democrazia, come ci hanno promesso a suo tempo, con la
“fine delle ideologie”, i seppellitori della “prima repubblica”.
Il
ritorno di una politica improntata al perseguimento dell’interesse della
collettività?
In
ogni caso, dal 2018, stante la conferma e anzi il primato elettorale di un
terzo polo e, nel corso dei mesi e degli anni, con la girandola delle alleanze
parlamentari e il mutare dei governi, è venuto (sta venendo) meno, anche
nell’offerta dei media, il carattere bipolare del sistema politico per la
ricerca più o meno decisa di nuove priorità della loro agenda e di nuovi
soggetti sociali e culturali coinvolti nella loro offerta, insieme e grazie ai
quali assumere essi stessi, fornendole al loro pubblico, informazioni e
verifiche delle scelte e dei risultati di una politica che sia sottratta ai
personalismi e riportata alla sua ragione e dovere essere, in termini di bene
comune.
Una disposizione degli intelletti e degli
animi e un’esigenza di fondamento oggettivo e di verifica di validità del
servizio reso alle loro audience, e alla collettività nazionale, che prima
l’emergenza della pandemia da COVID-19, con il bene primario della salute di
ciascuno e di tutti messo a rischio, poi l’imperativo di una quanto più rapida
ripresa dell’economia, con il più vasto possibile sostegno alle imprese e al
lavoro, e ancora poi le opportunità offerte dai finanziamenti del PNRR
dell’Unione Europea hanno imposto – più o meno, fossero o meno disposti – a
tutti.
“C’è
voluta la mano di Dio” perché il perseguimento dell’interesse della
collettività – di ciascuno e di tutti – si imponesse come ragion d’essere e
criterio di valutazione delle proposte e dei risultati dell’azione politica,
nonché della organizzazione e dell’attività della pubblica amministrazione.
Un
riassetto di priorità e di criteri ad oggi non si sa quanto condiviso nelle
stesse classi dirigenti e a livello “di massa”, di cui sembrano tornati ad
essere parte integrante la qualità e l’apporto del lavoro e gli obbiettivi di
crescita economica e sociale del Paese dopo trent’anni di stagnazione se non di
regresso.
Una
“svolta”, forse, di cui sembra prova anche l’attenzione e il favore diffuso che
ha accompagnato nei media l’attività del governo presieduto da Mario Draghi
(senza confronto con quanto avvenne nel 2011-12 con il governo Monti), sulla
cui solidità, allo stato, nessuno può scommettere dato che, tuttora, l’offerta
mediale è impegnata nella “campagna elettorale permanente che da trent’anni
caratterizza la nostra vita pubblica” (Angelo Panebianco), con i “borsini
elettorali” dei vari partiti, rilevati dai sondaggi e pubblicati a cadenza
settimanale.
La
riaffermazione del principio dell’elezione popolare come criterio di
investitura
E una
svolta, in ogni caso, di cui non ha potuto non prendere atto l’onorevole
Giorgia Meloni, attenta a quanto realizzato se non anche al consiglio di Mario
Draghi quando, dall’opposizione, riaffermava il principio della elezione
popolare come criterio di investitura della potestà di governo nella nostra
democrazia, ed oggi con la continuità rispetto a quell’esperienza di alcune fra
le più rilevanti scelte del governo da lei guidato.
Sarà
interessante, già nei prossimi mesi, osservare quali caratteri assumeranno il
confronto, se non anche la lotta politica fra il Pd, il maggior partito di
opposizione, guidato da Elly Schlein e la maggioranza di centrodestra che
sostiene ed esprime il governo presieduto da Giorgia Meloni.
Una “new
comer”, tutto sommato, della politica nazionale e una politica di lungo corso,
esponente di un “movimento” chiamato trent’anni fa dal monopolista della
televisione privata nazionale a far massa nelle urne per “impedire la vittoria
dei comunisti” realizzando in Italia la “rivoluzione liberale”, che si è
emancipata da quella condizione servente quando si è resa evidente nelle urne
elettorali del 2012 la crisi del centrodestra, ha raccolto attorno a sé
militanti, quadri e dirigenti di un “partito” nuovo e ha vinto le elezioni
politiche del 25 settembre 2023, leader della stessa coalizione in cui era
stata ammessa per far numero.
Fratelli
d’Italia, un partito nazionale distinto dal partito personale di Berlusconi nel
centro-destra.
Nel
libro, estremamente sorvegliato nel linguaggio, con cui l’attuale Presidente
del Consiglio aveva voluto presentarsi al pubblico dei lettori (dieci edizioni
fra maggio e giugno 2021)[, si rende evidente che, fin dal nome, il partito da
lei fondato e guidato segna una netta presa di distanza dall’orizzonte mentale
delle identità contrapposte (spesso soltanto “posizionamenti”) che hanno
caratterizzato il sistema politico bipolare italiano.
Fratelli
d’Italia lancia un ponte “di là” del dualismo amico-nemico che ha segnato la
seconda repubblica.
Lo fa
come partito nazionale nello stesso centro-destra, distinguendosi dal partito
personale di Silvio Berlusconi e dalla Lega Nord, che negli anni ha saputo
offuscare il suo originario carattere divisivo dell’unità e della comunità
nazionale entrando nella rete delle alleanze elettorali e dello spoil system di
governo.
E lo fa, nel segno dell’Italia, rispetto alle
formazioni raccolte nel centro-sinistra, il cui “popolo” è oggettivamente
assunto a interlocutore, appunto, “fraterno”.
Certo,
una parte che si identifica con la bandiera nazionale – in questo caso
addirittura con l’appello iniziale dell’Inno di Mameli – mette per ciò stesso
gli “altri”, tanto più i loro avversari politici, nella condizione di essere
contro l’unità del popolo italiano sotto l’insegna nazionale.
Questo,
lo si voglia o no – questa retorica – nella nostra storia, ha un precedente sul
versante di destra del Diciannovismo, per richiamare le riflessioni di Pietro
Nenni sulle origini del fascismo.
E si
capisce l’allarme antifascista che ha accompagnato i primi mesi del governo
presieduto da Giorgia Meloni, anche in presenza di assalti alle persone di
diverso orientamento e di manifestazioni che di “fraterno” hanno davvero poco,
da parte di organizzazioni o di gruppi che al suo partito fanno riferimento.
In
ogni caso, non ci vorrà molto per capire quanto siano sincere e conseguenti le
assicurazioni degli esponenti di Fratelli d’Italia circa il rispetto della
legge (anche) a questo proposito e le responsabilità istituzionali che ne
conseguono per la premier e il suo governo.
E per
vedere in che misura e rilievo gli obiettivi dichiarati di contrastare il
declino demografico dell’Italia, di rilanciare
l’occupazione, in particolare femminile, di riproporre la “crescita”, la
“modernizzazione” e lo “sviluppo” dell’Italia quali obbiettivi primari
dell’azione di governo – in dichiarata continuità con quello presieduto da
Mario Draghi – insieme alla evocazione del ruolo delle imprese pubbliche nello
sviluppo di produzioni e infrastrutture di rilievo strategico per il nostro
Paese (anche nel contesto europeo – una nota che mancava da anni nelle prime
dichiarazioni di un presidente del consiglio in Parlamento circa la sua
responsabilità in proposito) – si concretizzeranno in scelte legislative
coerenti e nel perseguimento effettivo di questi obiettivi.
Parole
e impegni di cui è difficile negare la novità da parte di un leader di
centrodestra in Italia, nei quali si avverte la presenza, nel gruppo dirigente
che si è stretto attorno a Giorgia Meloni, di esponenti e quadri dell’impresa
pubblica e della politica da tempo ai margini, se non esclusi dai ruoli di
governo.
Un
fatto che si è reso particolarmente evidente nella sola enunciazione – in sede
di presentazione del suo governo alle Camere – di un “Piano Mattei per
l’Africa”, un nome (quello di Enrico Mattei) forse mai fatto da un leader di
partito e da un Primo Ministro italiano da sessant’anni, in quella circostanza.
E un’idea, un progetto, che già nei primi mesi
di governo sembra costituire la cornice strategica – e il frame comunicativo –
degli incontri e dei viaggi di Stato della premier e che viene a costituire un
ancoraggio di prima grandezza delle priorità e delle scelte alle quali il
nostro Paese è chiamato dalla sua collocazione nel Mediterraneo e dalla guerra
in Europa.
Gli elementi del contesto nel quale Elly
Schlein è venuta ad assumere il suo nuovo ruolo, e da cui ha preso avvio questo
articolo.
(mondoperaio.senato.it)
Chi è
Keir Starmer? Il nuovo primo
ministro
britannico è complesso,
inconoscibile,
offensivo.
Politico.eu
- TANYA GOLD – (5 LUGLIO 2024) – ci dice:
Un
viaggio verso nord con il leader più potente del Regno Unito da una
generazione.
“Keir
Stormer”, un avvocato per i diritti umani di una cittadina nel sud
dell'Inghilterra, è il nuovo primo ministro del Regno Unito. L
a sua
vittoria del 4 luglio è stata schiacciante.
Eppure
la Gran Bretagna sa a malapena chi è.
Stormer
è in politica da soli nove anni e, da quando è stato incoronato leader del
partito laburista del Regno Unito nel 2020, ha guidato il suo partito dalla
peggiore sconfitta elettorale degli ultimi quasi un secolo fino a diventare la
forza dominante nella politica britannica.
Oltre
a ciò, il suo successo — proprio come gli alleati occidentali flirtano con il
populismo — lo colloca immediatamente tra i leader di centro più in vista al
mondo.
Potrebbe essere un posto solitario, alla fine
dell'anno.
Pochi
pensavano che una tale trasformazione fosse possibile.
I suoi
nemici la chiamano fortuna: dicono che ha tratto beneficio dalla calamità dei
Tory (e in effetti è così) e che è vincitore per impostazione predefinita.
La
verità è più curiosa e impressionante.
A 61
anni, Stormer ha una lunga storia alle spalle. Suo padre era un attrezzista
silenzioso e autoritario.
(Stormer
ci ricorda il mestiere del padre così spesso che la classe politica, e a volte
gli elettori, lo prendono in giro per questo.)
Sua madre era un'infermiera, con la malattia
debilitante di Still.
Lo
chiamarono così in onore di Keir Hardie, il primo leader del partito laburista.
Eccelleva
a scuola. Suonava il flauto e il football — uno delicato, l'altro selvaggio — e
divenne avvocato.
I suoi fratelli lo chiamavano "Super
boy".
Era
socialista, stava passando alla sinistra soft, e quando il leader laburista di
estrema sinistra Jeremy Corbyn cadde nel 2019, Stormer si candidò alla
leadership del partito su una piattaforma sfacciatamente di sinistra, facendo
10 promesse per fare appello agli accoliti del suo predecessore.
Una
volta al potere, li scartò tutti, tranne l'ultimo, per fornire un'opposizione
efficace.
I corbynisti e gli antisemiti furono espulsi
dal partito.
Stormer
dice ora che il Covid-19, l'Ucraina e lo stato delle finanze pubbliche gli
impediscono di procedere con la sua piattaforma originale.
La
verità è che voleva vincere le elezioni generali e non esiste un percorso
socialista per arrivarci in una monarchia costituzionale.
"Sono
all'opposizione da nove lunghi anni", mi ha detto Stormer a gennaio.
"Questo non sta cambiando le vite. Abbiamo dovuto prendere il partito
laburista e letteralmente capovolgerlo. Abbiamo perso la strada fino al 2019
come partito, abbiamo perso la strada, abbiamo perso l'orientamento".
Lo ha
pensato anche lui all'epoca? "Sì", ha detto, e si è subito spostato.
Stormer ha esiliato Corbyn dal partito,
anche se in segreto lo odiava (Stormer ha una moglie per metà ebrea e l'antisemitismo era
dilagante nel partito laburista sotto il suo predecessore), non lo ha mai detto apertamente.
Nel
cuore dei conservatori.
Ho
incontrato Stormer su una banchina ferroviaria per un breve tour di Milton
Keynes, una nuova città a nord di Londra.
L'obiettivo
di Stormer per questo viaggio è la criminalità, la strategia del Labour è
quella di aggirare i Torie nelle loro solite aree di battaglia.
Ovunque possibile, Stormer sta di fronte alle
Union Jack.
Stormer
afferma ora che il Covid-19, l'Ucraina e lo stato delle finanze pubbliche gli
impediscono di procedere con la sua piattaforma originale.
Lui
spingeva la sua valigia.
La sua
voce è calma e piatta; il suo atteggiamento è diffidente, quasi timido.
Una donna ha esclamato: "Buona fortuna con le
elezioni", e si è mostrata sorpresa di sé.
È imbarazzante vedere Stormer ricevere un
complimento: come un appuntamento andato male.
"Non
riesco a credere che siano passati quattro anni", ha detto della sua
leadership.
Gli ho
detto di aver visto il suo discorso alla conferenza del Partito Laburista del
2021.
"L'anno in cui abbiamo approvato le
modifiche alle regole", ha risposto, cogliendo subito di mira il
funzionale.
Ci
dirigiamo verso un Hilton, un generico hotel aziendale collegato, stranamente,
a uno stadio di calcio.
È la
sede dei Milton Keynes Dons, che un tempo erano il Wimbledon FC, con sede nel
sud di Londra.
Hanno
alienato i tifosi più accaniti per trasferirsi in quartieri migliori.
Quella
sera, mentre Stormer parlava in un teatro di crimini da coltello, una donna
svenne.
Sentimmo vetri infranti e un leggero tonfo
quando cadde a terra. Il pubblico — laburista, preoccupato — si fermò e aspettò
che Stormer prendesse la parola.
"...
Penso che sia svenuta", ha detto Stormer alla fine, anche se non sono
riuscito a vedergli la faccia.
Non
era su un palco ed è alto 1,73 m.
Poi ha
detto: "Abbiamo un agente di polizia molto esperto..." e se n'è
andato.
Mi
sono chiesto cosa avrebbe fatto “Tony Blair “con questa scena. Saltare giù dal
palco (avrebbe avuto un palco) e prenderla tra le braccia?
Sorridere? Piangere?
Parlare
di quella volta che una volta è svenuto durante un discorso?
"Il
gatto è ancora morto."
“Tom
Baldwin”, il giornalista che ha scritto " Keir Stormer: The Biography ", paragona lo stile di Stormer
al modo in cui un padre potrebbe sbarazzarsi di un gatto di famiglia.
"Keir
torna dal giardino e dice, 'il gatto è morto', e non ha molta voglia di
parlarne.
Ma
Tony Blair direbbe, 'quello era il gatto più bello che abbiamo mai avuto! Non è
stato meraviglioso, e non dovremmo parlare di più del gatto?'
Hanno
stili molto diversi ma alla fine della giornata", — Baldwin fa una pausa —
"il gatto è comunque morto".
Stormer
non ama i comizi: è troppo cauto, troppo timido, e l'unica volta in cui è
sbocciato a un comizio è stato per un errore.
Alla
conferenza del partito laburista del 2023, un uomo ha lanciato dei brillantini
su Stormer sul palco ed è stato portato via dalla sicurezza, urlando.
Nelle
fotografie, che mostrano Stormer sotto un arcobaleno di brillantini, mentre ci
prova — è Super boy! — alla fine sembrava interessante.
Di
solito ha la meglio sui manifestanti: fa loro da genitore. (I meme di Stormer come un padre
crociato ma giusto sono ovunque).
Quando
un padrone di casa lo ha buttato fuori da un pub a Bath nel 2021, urlando con
rabbia sulle restrizioni dovute alla pandemia, Stormer gli ha restituito con
calma gli occhiali (perché li aveva?) e se n'è andato.
Era
chiaramente furioso. Ma gli ha dato gli
occhiali.
A
Milton Keynes ho visto Stormer ospitare una "colazione per leader" in
una sala con vista sullo stadio di football.
Stormer
ha chiesto ai candidati locali e ai loro ospiti (insegnanti, imprenditori,
operatori di beneficenza e sanitari) le loro preoccupazioni.
"Le
posizioni migliori nascono dall'ascolto", mi ha detto. "Coloro che
hanno interessi in gioco lo sanno meglio. Ci credo molto".
Hanno
detto che la criminalità stava aumentando vertiginosamente; c'era un uso aperto
di droga per strada; le ragazze non uscivano di giorno a causa delle molestie.
C'era
stato un aumento del 48 percento nell'uso delle mense dei poveri a livello
locale; 3.700 famiglie nella zona non potevano permettersi di accendere il
riscaldamento.
Non
c'erano risorse per gestire la crescente violenza domestica;
c'era un'attesa di due anni per una diagnosi
di autismo;
i
bambini venivano puniti piuttosto che ammettere che i loro genitori non
potevano permettersi gli scarpini da calcio per le lezioni di sport a scuola.
Stormer, calmo con penna e quaderno, sembrava
agitato solo una volta: quando ha sbagliato un nome.
Non gli piace fare errori.
Penso
che l'archetipo di Stormer sia il figlio genitore: il soccorritore.
Stormer
ha raccontato a Baldwin che, quando aveva 13 anni, i suoi genitori erano in
ospedale e suo padre aveva telefonato a casa.
"Non
pensava che la mamma ce l'avrebbe fatta.
Quella
sera, ho pensato che avrei dovuto restare sveglio tutta la notte per fare la
guardia nel caso in cui avesse telefonato di nuovo, ma alla fine devo essermi
addormentato perché mi sono svegliato sentendo il rumore dell'auto di papà
fuori casa nostra alle 7.30 del mattino".
Un adulto
per tutta la vita.
Keir
Stormer è stato direttore dell'ufficio pubblico delle accuse.
A
scuola sventava i bulli: impediva loro di attaccare un bambino a una lapide con
lo scotch.
Il figlio genitore ha due difetti: una
tendenza all'autoritarismo e, se il suo salvataggio viene sventato, la rabbia.
La
sorella di Stormer
,
Katy, ha detto a Baldwin: "Ha dovuto essere adulto per tutta la
vita".
Ma c'è
anche del romanticismo. Ama Mozart, il Northern Soul e, da giovane, l'eyeliner.
Le
fotografie del giovane Stormer sono affascinanti.
Sembra
affamato e afflitto.
"Tanta
politica è stata uno spettacolo", mi ha detto Baldwin.
"Tony
Blair con castelli di carta in aria che non andavano oltre l'impressione
dell'artista.
[Boris]
Johnson dava fuoco a tutto quello che avevamo.
Stormer
spostava i mattoncini.
'Ne
puoi avere uno qui e puoi metterne un altro qui e forse dovremmo capovolgerlo'.
È
noioso da guardare ma alla fine, ti ritrovi con una fottuta casa".
Baldwin
la chiama la "cupa, pragmatica determinazione" di Stormer.
Alla
fine della colazione a Milton Keynes, che nessuno mangiò, andarono sul balcone
a guardare lo stadio di football vuoto.
La
politica del Labour ha molto in comune con il football, e questo tormenta il
partito, e spiega in parte l'innato conservatorismo della sua campagna
elettorale. Entrambe vi spezzeranno il cuore.
Quando
sono state indette le elezioni il 22 maggio, Stormer è andato al quartier
generale del partito laburista per parlare allo staff.
Ho
visto un video. Lo staff si alza per salutarlo e applaudirlo.
Lui è
in piedi, mani in tasca, testa bassa.
Stringe
la mano destra nella sinistra, come se il peso del mondo fosse sulle sue
spalle.
Ha
fatto una videochiamata con il gabinetto ombra e ha detto loro che era il
momento che aspettavano.
Poi è
tornato a casa dalla sua famiglia nel nord di Londra (è sposato con un'impiegata del
Servizio sanitario nazionale e hanno due figli, mai nominati pubblicamente) e
ha mangiato lasagne.
La
campagna si è concentrata sugli elettori indecisi nelle circoscrizioni
marginali. Gli strateghi del Labour erano particolarmente ossessionati da
Stevenage Woman, un'elettrice (immaginaria) quarantenne, con figli e un lavoro
mal pagato. Si preoccupa del costo della vita, del National Health Service e
dell'immigrazione. Pensa che Westminster sia banale.
"La
cosa buffa", mi ha detto Josh Simons, un importante stratega del Labour, e
ora parlamentare, "è che nel suo istinto Keir è esattamente come non solo
gli elettori in generale, ma in particolare questo elettore bersaglio
disimpegnato, che è scettico nei confronti della politica e della maggior parte
dei politici".
Lo
stesso Stormer mi ha detto:
"Sinceramente
preferisco di gran lunga essere in viaggio a fare campagna elettorale piuttosto
che trovarmi nell'ambiente molto più claustrofobico del parlamento, con due
fazioni che si urlano contro in un'aula".
Stevenage
Woman, c'est moi .
Benvenuti
a Middleton.
Mentre
visitavamo la filiale di Milton Keynes della YMCA, Stormer mi ha raccontato che
l'estate scorsa è andato in vacanza in un villaggio nel Sussex chiamato
Middleton-on-Sea. (Che nome!)
"Ogni
volta che uscivamo per una passeggiata, la gente veniva da me, il che è
positivo perché siamo in territorio conservatore", ha detto.
La
gente parlava di mutui e fognature:
"I temi erano assolutamente
coerenti".
Ha
detto che gli piace ascoltare gli elettori e lo ha dimostrato con un adagio:
"Ecco
perché hai una bocca e due orecchie".
È
curiosamente antiquato.
Ma poi
Stormer aveva un padre che non gli permetteva di guardare la televisione. Stormer
ha negoziato un'eccezione, il programma di sintesi calcistica della BBC
"Match of the Day".
È
diventato un tifoso di calcio per evitare conversazioni a scuola sulla TV che
non aveva guardato.
Stormer
ha detto che non vedeva l'ora di entrare al governo e che desiderava
ardentemente porre fine "allo psicodramma autoindulgente del partito
conservatore".
"Arrivano
al potere, si infiltrano a Westminster e poi si mettono al lavoro vero e
proprio, facendosi a pezzi a vicenda. Mentre ciò accade, il paese viene
trascurato", ha detto.
Gli ho
chiesto del personaggio principale di quello psicodramma dei Tory, Boris
Johnson, il primo leader conservatore che Stormer ha affrontato.
"La
maggior parte delle persone", si è corretto, "molte persone, dicevano
che Johnson sarebbe stato primo ministro per 10 anni.
Non ci
ho mai creduto. Ho sempre pensato che alla fine sarebbe stato il suo carattere
a farlo cadere".
A Stormer
non piacciono i comizi: è troppo cauto, troppo timido e l'unica volta in cui è
sbocciato in un comizio è stato per un errore.
Il
carattere è destino?
"Il
carattere è destino", ha ripetuto, "e con lui, profondamente".
Ha
lottato con i suoi avversari Tory, però.
Al
primo dibattito della campagna elettorale, quando Rishi Sunak ha urlato che il
partito laburista avrebbe aumentato le tasse di £ 2.000, secondo il servizio
civile - un'affermazione che è stata dichiarata palesemente falsa dal servizio
civile - Stormer ha risposto con un' espressione ferita .
I suoi
occhi si sono spalancati come quelli di un bambino.
Ma la
critica, dice, è come "l'acqua che cade dalla schiena di un'anatra".
Ha
aggiunto: "Sono sempre stato così, ma non lo faccio per me stesso...
Questa è una cosa più grande di me.
Si
tratta di ciò che dobbiamo fare per il nostro Paese.
E questo mi consente di andare avanti e di
ignorare tutto ciò che mi viene lanciato contro".
Qualcosa?
"Chiunque vinca le prossime elezioni si troverà di fronte a una terribile
eredità", mi ha detto il professor “John Curtice”, il principale
sondaggista britannico.
"Abbiamo
esaurito la nostra carta di credito, abbiamo livelli record di tassazione, i
servizi pubblici non funzionano, c'è pochissimo margine di manovra fiscale
disponibile e l'economia è in stallo.
Buona fortuna, ragazzi, nel cercare di
risolvere questo problema".
Inconoscibile,
vincolato.
Ho
visto Stormer visitare una stazione di polizia a Milton Keynes.
È la più grande che abbia mai visto, ed è lì
per Stevenage Woman, che non si sente al sicuro in questo mondo.
Abbiamo
aspettato mentre Stormer aveva conversazioni private con gli ufficiali di
polizia e gli venivano mostrate scatole di coltelli.
Faceva
freddo e i corvi gracchiavano.
Un
furgone che vendeva caffè trasmetteva la sigla del "Padrino", una
delle canzoni di Stormer più belle che esistano, perché lui impara dai propri
errori.
Mesi
dopo, l'ho visto lanciare la sua campagna elettorale in una piccola sala di
villaggio sulla costa meridionale dell'Inghilterra, con un vecchio sipario
rosso davanti al palco.
Era
deliberatamente anti-Blairiano, poco appariscente: ma i sondaggisti gli dicono
che la donna di “Stevenage” ha paura della speranza.
C'era
un'altra enorme Union Jack davanti alla tenda - ho scoperto che viaggia con lui
in una scatola - e, in piccole lettere squadrate, la parola
"CAMBIAMENTO".
Ha
pronunciato il suo discorso elettorale:
una
scelta tra 14 anni di declino sotto i conservatori e un rinnovamento nazionale
con un partito laburista cambiato.
Stormer
potrebbe essere un grande primo ministro laburista riformatore.
Oppure potrebbe essere, come lo chiamano i
suoi nemici frustrati, un Tory in rosso, che segue i piani di spesa dei Tory e
si limita a giocare con i margini.
Oppure
potrebbe essere abbattuto dall'economia malata, in fretta: non ha fazione nel
Labour e se fallisce, non ha amici.
Credo
di percepire qualcosa di più coraggioso e fantasioso.
Il bambino staccato dalla lapide!
Gli
occhiali!
Nessun
leader laburista è arrivato al potere senza attrarre elettori che si sono
spostati dai Tories, e quindi, per ora, è ambiguo; limitato.
Mi
chiedo se lui stesso lo sappia già.
Anche così, questa è stata una vittoria per la
sua campagna, se non per la nostra politica.
Mentre
Bruxelles è furiosa, Putin
accoglie
Orbán come leader dell'UE.
Politico.eu
– (5 luglio 2024) - CSONGOR KÖRÖMI – ci dice:
"Sono
a vostra disposizione", afferma il presidente russo, mentre i leader
europei criticano aspramente il primo ministro ungherese.
Al
Cremlino, Orbán ha ringraziato il presidente russo per averlo accolto “in
queste difficili circostanze”.
Venerdì
il presidente russo Vladimir Putin ha dato un caloroso benvenuto al Cremlino a
Viktor Orbán, salutando il leader ungherese come “presidente del Consiglio
dell’Unione Europea”, anche se Bruxelles ha negato che Orbán rappresentasse i
27 paesi dell’UE.
Orbán
è volato a Mosca solo pochi giorni dopo che l'Ungheria ha assunto la presidenza
di turno semestrale del Consiglio dell'UE.
Gli
altri stati membri sono stati quasi unanimi nel condannare il viaggio,
insistendo sul fatto che il leader ungherese non ha alcuna autorizzazione dal
blocco per negoziare.
Quel
rimprovero non turbò il presidente russo.
"Capisco
che siete venuti qui non solo come nostro partner, ma anche come presidente del
Consiglio dell'Unione Europea", ha detto Putin nel suo saluto.
"Spero che saremo in grado di parlare delle
nostre relazioni bilaterali in queste difficili circostanze, e parleremo della
più grande crisi europea, la situazione in Ucraina", ha aggiunto.
"Sono
a vostra disposizione e capisco che potreste sapere quali sono le mie posizioni
su questo tema e quali proposte abbiamo avanzato", ha detto il leader
russo a Orbán.
"Sono
pronto a parlare di tutti gli aspetti della situazione e mi aspetto che
condividerete con me la vostra posizione e la prospettiva dei partner
europei".
I
leader dell'UE erano furiosi.
Il
cancelliere tedesco Olaf Scholz ha sottolineato che Orbán stava "viaggiando
da Putin come primo ministro ungherese", non come inviato del Consiglio
europeo.
Ciò ha
riecheggiato il messaggio del presidente del Consiglio europeo Charles Michel,
che ha scritto su “X”:
"La
presidenza di turno dell'UE non ha alcun mandato per impegnarsi con la Russia
per conto dell'UE".
Il
Primo Ministro estone “Kaja Kallas”, che è in lizza per diventare il prossimo
capo della diplomazia dell'UE, ha detto che Orbán " non rappresenta in
alcun modo l'UE o le posizioni dell'UE" in visita a Mosca.
"Sta sfruttando la posizione di
presidenza dell'UE per seminare confusione", ha detto.
Orbán
ha detto venerdì mattina che stava continuando una " missione di pace
" che includeva anche una visita a Kiev martedì, dove il leader ungherese
ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy.
Ma il segretario generale della NATO Jens
Stoltenberg ha detto che non c'erano "segni che Putin fosse pronto a
negoziare per la pace".
Al
Cremlino, Orbán ha ringraziato il presidente russo per averlo accolto “in
queste difficili circostanze”.
"Dal
2009, è il nostro 11° dialogo faccia a faccia.
Ma è
un'occasione più speciale delle precedenti.
Come
hai detto, l'Ungheria detiene la presidenza del Consiglio dell'UE dal 1°
luglio", ha affermato il leader ungherese.
"Devo
ammettere che il numero di paesi in grado di parlare con entrambe le parti in
questa guerra sta lentamente scomparendo", ha detto Orbán nel suo discorso
di benvenuto.
"Stiamo
lentamente raggiungendo il punto in cui l'Ungheria è l'unico paese in Europa
che può parlare con tutti gli altri paesi.
E volevo approfittare di questa situazione per
parlare con voi di questioni importanti per l'Europa".
Orbán
in precedenza sembrava aver riconosciuto di non avere alcun mandato per
negoziare.
"Quello che sto facendo potrebbe sembrare
un formato di negoziazione perché ci sediamo dietro un tavolo e discutiamo di
questioni, ma non negoziamo", ha detto in un'intervista alla radio di
stato ungherese venerdì mattina.
"Ecco
perché non ho nemmeno bisogno di un mandato perché non rappresento nulla".
I suoi
omologhi dell'UE la vedevano diversamente.
Come
ha detto il Primo Ministro svedese Ulf Kristensen:
"Invia un segnale sbagliato al mondo
esterno ed è un insulto alla lotta del popolo ucraino per la propria
libertà".
In una
dichiarazione rilasciata ai giornalisti dopo l'incontro, Putin ha affermato che
i leader hanno discusso delle relazioni UE-Russia, ma ha iniziato parlando
delle questioni bilaterali tra Ungheria e Russia, per poi passare alla guerra
in Ucraina.
Il
presidente russo ha affermato che sono sempre stati aperti a una soluzione
diplomatica e che la Russia è a favore di una "piena risoluzione del
conflitto".
Ma ha
sottolineato che intendeva un "pieno ritiro delle truppe ucraine"
dalle quattro regioni ucraine che la Russia ha parzialmente occupato, cosa che
Kiev respinge.
Nonostante
le proteste dei partner europei di Orbán, i due leader hanno anche discusso
delle relazioni tra Russia e Unione Europea, che secondo Putin sono "ai
minimi storici".
Il
leader russo ha affermato di vedere la visita di Orbán come un tentativo di
"ripristinare il dialogo" tra gli attori internazionali.
Nel
suo discorso, Orbán ha anche sottolineato che hanno “compiuto il primo
importante passo verso il ripristino del dialogo” e ha affermato che
“continuerà a lavorarci” durante i sei mesi di presidenza ungherese dell’UE.
Secondo
Orbán, ha chiesto a Putin tre punti principali:
gli
attuali piani di pace, la possibilità di un cessate il fuoco e il futuro del
sistema di sicurezza europeo.
"Sono
grato al presidente per la discussione aperta e onesta", ha detto Orbán.
"Ho
imparato che le posizioni sono lontane tra loro".
Gli
eurodeputati di destra detestano
il
Green Deal, ma non hanno
un
piano d’attacco.
Politica.eu
– (3 luglio 2024) - LEONIE CATER, MARIANNE GROS E LOUISE GUILLOT- ci dicono:
La
fazione in ascesa deve ancora offrire una strategia concreta. Non è nemmeno
chiaro se tutti possano sopportarsi a vicenda.
"Non
possiamo, come Europa da sola, imporre così tante regole alla nostra gente, che
è come punirla e allontanare le nostre aziende perché non c'è più parità di
condizioni",
ha detto a POLITICO “Assita Kanko”,
vicepresidente dell'ECR ed europarlamentare belga per il partito nazionalista
fiammingo “Nieuw-Vlaamse Alliantie”.
La
cosa difficile è come incanalare quell'odio.
Anche
se gli scettici ambientalisti sono destinati ad arrivare al Parlamento europeo
in numeri record, non esiste un piano evidente per trasformare la loro ira in
azioni legislative, secondo le interviste con una mezza dozzina di eurodeputati
dei gruppi di destra Conservatori e Riformisti Europei (ECR) e di estrema destra
Identità e Democrazia (ID).
Le
fazioni emergenti devono ancora decidere quali parti del Green Deal intendono
affrontare, come lo faranno o se saranno in grado di collaborare.
La
nuova eurodeputata belga di estrema destra “Barbara Bonte” ha dichiarato a
POLITICO che il suo obiettivo è quello di “abolire” il Green Deal.
Ma
pressata sui dettagli, Bonte, membro del partito separatista fiammingo “Vlaams
Belang” (ID), ha semplicemente detto che avrebbe “votato contro ogni tipo di
misura” e “ascoltato la gente”.
Anche
se ci fosse un piano concreto, la destra incontrerebbe ostacoli significativi.
Gran
parte del Green Deal è già scolpito nella pietra, il che significa che i suoi
oppositori dovranno trovare modi creativi per rivedere le misure esistenti.
Anche
i legislatori di” ECR” e “ID “spesso non vanno d'accordo:
alcuni vogliono stare nella tenda politica
mainstream, mentre altri storicamente lanciano bombe dall'esterno.
“Estremamente
conflittuali”: così l’eurodeputato “Pietro Fiocchi”, di Fratelli d’Italia
(ECR), ha definito i suoi colleghi più a destra.
"Bisogna
essere pragmatici e costruire una maggioranza se si vogliono ottenere
risultati", ha aggiunto.
"Se
si urla non si ottiene nulla nel Parlamento europeo".
Ambiente
al manzo.
L'attacco
agli ambientalisti è stato un elemento popolare (e drammatico) della retorica
elettorale della destra.
I
candidati fiduciosi si sono arrampicati per farsi dei selfie con gli
agricoltori che protestavano sul sentiero di guerra del Green Deal, si sono
lamentati erroneamente del fatto che Bruxelles sta cercando di costringere il
blocco a mangiare vermi e, durante un discorso al Parlamento, hanno
trionfalmente accartocciato un foglio di carta con la scritta "Green
Deal" stampata sopra.
Ora stanno
portando questa energia al Parlamento, dove la destra avrà un'influenza senza
precedenti all'interno dell'organismo composto da 720 membri.
Partecipazione:
51,05% (+0,4%).
Parlamento
europeo e POLITICO.
Insieme,
i gruppi “ECR” e “ID” hanno vinto almeno 141 seggi, circa due dozzine in più
rispetto alle ultime elezioni.
E
potrebbero guadagnare ancora più membri, dato che una manciata di crociati
anti-politiche verdi deve ancora unirsi a un gruppo politico.
La
loro cautela verde troverà un orecchio più ricettivo in Parlamento che mai.
Il Partito Popolare Europeo (PPE) di
centro-destra, il gruppo più numeroso del Parlamento, è sempre più dubbioso
sulle nuove norme e regolamentazioni ambientali.
E l'Europa è sommersa da una reazione verde.
Le
preoccupazioni sono state incentrate sulla competitività economica.
Le
aziende europee stanno lottando per tenere il passo con gli Stati Uniti e la
Cina, che stanno entrambi pompando denaro nella produzione e hanno regimi
ambientali più flessibili.
"Non
possiamo, come Europa da sola, imporre così tante regole al nostro popolo, che
sarebbe come punirlo e allontanare le nostre aziende perché non c'è più parità
di condizioni",
ha detto a POLITICO “Assita Kanko”,
vicepresidente dell'”ECR” ed eurodeputata belga per il partito nazionalista
fiamming”o Nieuw-Vlaamse Alliantie” .
“Fiocchi
“e “Bonte” hanno entrambi riecheggiato questi punti.
Era anche la spinta di una mozione simbolica
presentata dagli eurodeputati” ID” a febbraio per “abolire del tutto il Green
Deal”.
Ma il “Green
Deal” non se ne andrà:
i suoi principi fondamentali hanno ampio
sostegno.
E i
sostenitori affermano che la transizione verde è in realtà il modo ideale per
rendere l'Europa competitiva nell'economia di domani, che è legata alla corsa
per la tecnologia rispettosa del clima.
Coreografare
una risposta.
Annullare
o revocare tali politiche sarà più facile a dirsi che a farsi, e sarà ancora
più complicato se la destra non collaborerà.
Sia il
gruppo “ECR” che quello “ID” sono ancora in evoluzione e si sentono incerti
l'uno nei confronti dell'altro come partner di ballo.
Mentre
alcuni membri dell'”ECR” hanno stuzzicato una collaborazione con “ID”, altri si
stanno tirando indietro all'idea.
In
generale, l'ECR è più interessato a cercare di convincere l'EPP a un'alleanza,
il che richiede di mettere un po' di distanza tra sé e ID.
Gli
eurodeputati del partito ID sono consapevoli di non avere nel gruppo ECR un
alleato ideale.
Alla
domanda se l'“ID” sarebbe disposto a collaborare con l'”ECR” per raggiungere i
suoi obiettivi, l'eurodeputata francese “Mathilde Androuët”, membro del partito
di estrema destra “Rassemblement National”, ha risposto:
"Sì, penso di sì, ma su alcuni argomenti
non credo che ci seguiranno tutti".
Ha
aggiunto: "Su
alcuni fascicoli ci saranno delle negoziazioni e la situazione potrebbe essere
tesa".
Poi
c'è un'altra carta jolly: Viktor Orbán.
Il
leader ungherese sta lanciando una nuova alleanza di estrema destra
"Patriots of Europe", che potrebbe attrarre grandi nomi dell'”ECR” e
di altri gruppi, complicando ulteriormente qualsiasi grande piano.
Considerando
tutte le parti in movimento, l'eurodeputata francese “Virginie Joron”, un altro
membro del “National Rally”, ha ammesso che “ID” non si sta concentrando su una
"strategia" più ampia per ora.
Sta
anche contando sulle elezioni legislative francesi, che dovrebbero portare
grandi guadagni all'estrema destra, costringendo più persone a lavorare con i
suoi compagni.
Anche
senza un piano concreto, alcune politiche verdi hanno già un bersaglio sulla
schiena.
La
politica agricola comune dell'UE, evidenziata da “Joron”, che stabilisce
numerosi incentivi verdi per gli agricoltori, deve essere riformata nel 2027.
Ci
sarà anche la possibilità nel 2026 di rivedere il divieto dell'UE del 2035
sulle vendite di auto tradizionali, e si sta creando slancio per rivedere la
misura.
La destra ha anche messo gli occhi sulla
strategia "dal produttore al consumatore", il piano dell'UE per
rendere i sistemi di produzione alimentare più sostenibili.
Poi ci
sono le politiche verdi che devono ancora essere pubblicate o sottoposte a
revisione nei prossimi anni.
Ciò include le norme sulla sicurezza chimica,
la tassazione del carbonio, i piani per ridurre le emissioni industriali e le
restrizioni sulla plastica monouso.
L'eurodeputato
ceco “Ivan David”, che fa parte del gruppo” ID”, ha affermato che "una parte sostanziale dei progetti
del Green Deal dovrà essere annullata" se l'UE desidera un settore
agricolo funzionante.
Ma,
come alcuni dei suoi omologhi, non ha specificato quali politiche sarebbero
state (o avrebbero potuto essere) prese di mira.
Cosa
succederebbe se i ferventi
esponenti
della destra italiana
e
francese si unissero?
Politico.eu
– (5 luglio 2024) – Giorgio Leali – ci dice:
Una
volta in carica, l'italiana Giorgia Meloni ha moderato le sue posizioni. Marine
Le Pen farà lo stesso?
Le
ultime due volte che Marine Le Pen si è candidata alla presidenza, gli elettori
francesi hanno giudicato le sue politiche di estrema destra così tossiche che
tutti gli altri schieramenti dello spettro politico si sono uniti per tenerla
fuori dalla carica.
Questa
settimana, il suo partito “National Rally “ha fatto un grande passo avanti
verso la presa del potere, arrivando primo in un'elezione nazionale per la
prima volta nella sua storia.
Domenica, nel primo turno di un'elezione
parlamentare, il partito ha rastrellato più del 33 percento dei voti, ben prima
di un'ampia alleanza di sinistra e del partito Ensemble del presidente francese
Emmanuel Macron.
Il
risultato promette di far sprofondare la Francia in un tumulto politico ed
economico.
Ancora
una volta, ci si aspetta che gli altri partiti del paese chiedano ai loro
elettori di unirsi per impedire al” Raggruppamento Nazionale” di ottenere la
maggioranza.
Il
risultato più probabile del secondo turno del 7 luglio è un parlamento in
stallo, ma non si può escludere un governo guidato dal protetto di Le Pen,
Jordan Bardella, 28 anni.
L'ottima
performance del “Raggruppamento Nazionale” apre anche la possibilità che Le
Pen, che ha fatto campagna per prendere le distanze dalla NATO e dall'UE e ha
promesso migliori relazioni con la Russia, possa finalmente candidarsi con
successo alla presidenza nel 2027, scatenando un'onda d'urto in tutto il mondo
occidentale.
Per
l'establishment di Parigi e Bruxelles, la domanda scottante è se Le Pen pensi
davvero quello che dice.
In Italia, Giorgia Meloni, una focosa di
destra diventata primo ministro nel 2022, si è rimodellata come leader
conservatrice costruttiva, sostenendo l'Ucraina e lavorando a stretto contatto
con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Se Le
Pen venisse eletta presidente della Francia, settima economia mondiale e
potenza nucleare, si potrebbe contare su di lei per una metamorfosi simile, un
processo che la stampa francese ha soprannominato “mélonisation” ?
O più
probabilmente punterebbe il suo potere appena acquisito ai due pilastri
dell'ordine politico europeo?
Da
Benito a Ursula: le radici neofasciste di Meloni.
Prima
di diventare primo ministro, la biografia di Meloni non lasciava intendere che
sarebbe stata osannata dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e corteggiata
da alcune delle figure più importanti di Bruxelles.
La
leader italiana ha mosso i primi passi in politica all'età di 15 anni, quando
si è unita alla sezione giovanile di un partito politico neofascista il cui
simbolo era la fiamma tricolore e che era stato fondato dopo la seconda guerra
mondiale da un capo di stato maggiore dell'ultimo governo di Benito Mussolini.
Era un'attivista adolescente quando, in una
registrazione ormai famosa, ha affermato che il dittatore italiano era stato
"un bravo politico".
Dopo
essere stata eletta al parlamento nel 2006, è stata scelta da Silvio Berlusconi
per ricoprire il ruolo di più giovane ministro italiano dalla fine della
seconda guerra mondiale.
Dopo la caduta del governo nel 2011, Meloni ha
fondato il partito di estrema destra Fratelli d'Italia, scegliendo la fiamma
tricolore come simbolo.
Ha
trascorso la maggior parte del decennio successivo nel deserto politico,
costruendosi un seguito con la retorica di estrema destra sull'immigrazione e
sui diritti LGBTQ+ e frequenti attacchi a Bruxelles, Berlino e Parigi.
Ma
mentre celebrava la vittoria elettorale di Vladimir Putin del 2018 come
rappresentante "della volontà inequivocabile del popolo russo", ha cambiato rotta dopo
l'invasione dell'Ucraina, diventando uno degli oppositori più accaniti del
presidente russo prima di diventare primo ministro nel 2022.
“È
cambiata, ma è fedele alla fiamma tricolore, c'è una certa fedeltà al
neofascismo”, ha detto “Marc Lazar”, esperto di politica franco-italiana presso
le università” Sciences Po” e “Luiss”.
Tuttavia,
Meloni ha lavorato a stretto contatto con la NATO e l'UE, ha aggiunto.
Al
contrario, Le Pen ha trascorso anni cercando di moderare la sua immagine. Dopo
aver preso in mano il suo partito da suo padre, “Jean-Marie Le Pen”, un
negazionista dell'Olocausto che una volta liquidò le camere a gas naziste come
un "dettaglio" nella storia della seconda guerra mondiale, ha avviato
un processo di de-demonizzazione, levigando gli angoli più duri del partito.
Ciò
includeva l'espulsione del padre dal partito nel 2015, il suo nuovo nome e il
reclutamento di Bardella come volto rispettabile del “Rassemblement National” .
Ciò
che Le Pen non ha fatto, tuttavia, è stato abbassare la pressione sulla NATO e
l'UE.
Mentre
ha fatto marcia indietro sui precedenti appelli a lasciare l'UE o la sua area
monetaria comune, non ha fatto mistero del suo disprezzo per Bruxelles e del
suo desiderio di limitare i poteri della Commissione.
La
piattaforma presidenziale di Le Pen per il 2022 includeva appelli alla Francia
per uscire dal comando militare integrato della NATO.
E
mentre ha condannato la guerra in Ucraina, il suo partito si è astenuto nelle
votazioni chiave in Francia e nel Parlamento europeo per il sostegno a Kiev.
Un
rapporto parlamentare francese del 2023 ha accusato il “Rassemblement National”
di fungere da portavoce del Cremlino.
La
de-demonizzazione di Le Pen.
Tuttavia,
man mano che si avvicinava al potere, il “Raggruppamento Nazionale” ha cercato
di minimizzare alcune delle sue promesse più radicali.
In
vista delle elezioni di questa settimana, il partito di Le Pen ha lasciato
intendere che probabilmente avrebbe fatto marcia indietro su alcuni dei suoi
piani di spesa più sontuosi, tra cui l'impegno di abbassare l'età pensionabile
a 60 anni.
Il
partito ha anche rimosso silenziosamente parte della sua politica di difesa dal
suo sito web, cancellando sezioni che proponevano di approfondire i legami
diplomatici con la Russia, di interrompere i progetti di cooperazione con la
Germania e di uscire dal comando militare integrato della NATO.
Bardella
ora descrive la Russia come "una minaccia multidimensionale sia per la
Francia che per l'Europa".
Parlando
a POLITICO a marzo, Bardella ha detto che, sebbene il “National Rally” volesse
ancora lasciare il comando integrato della NATO, lo avrebbe fatto solo dopo la
fine della guerra in Ucraina.
"Non si cambiano i trattati in tempo di
guerra", ha detto Bardella.
"Le
Pen ha chiaramente messo un po' d'acqua nel suo vino", ha detto “Thierry
Chopin”, esperto dell'“Istituto Jacques Delors” e professore al” Collegio
d'Europa”, anche se ha aggiunto che il “Raggruppamento Nazionale” mantiene
ancora quelle che ha descritto come alcune "posizioni radicali", come
la convinzione che il diritto francese dovrebbe avere la precedenza sulle norme
dell'UE.
Alcuni
hanno interpretato il riposizionamento di Le Pen come un'indicazione del fatto
che il leader dell'estrema destra francese intende seguire l'esempio di” Meloni
“e collaborare con l'UE e la NATO, anziché contro di loro.
“Si
può fare un parallelo con il governo Meloni”, ha detto “Francesco Saraceno”,
professore di economia a” Sciences Po” Paris.
“L’economia
e le relazioni con l’Europa sono i dossier su cui Meloni ha meno territorio
segnato perché in effetti ci sono vincoli difficili da aggirare”.
Un
dirigente aziendale francese, a cui è stato concesso l'anonimato per parlare
apertamente, ha affermato che gli imprenditori del Paese erano più spaventati
dalla possibilità di un governo guidato dal partito di sinistra “Nuovo Fronte
Popolare” che dal “Rassemblement National” di Le Pen.
"Se
vuole seriamente avere una possibilità alle elezioni del 2027, deve dimostrare
di essere una politica che sa fare la differenza",
ha
affermato un diplomatico di un paese dell'UE con sede a Bruxelles, osservando
che Le Pen dovrà scegliere tra seguire l'esempio di Meloni o svolgere un ruolo
più ostile come ha fatto il primo ministro ungherese Viktor Orbán.
"Se
vuoi essere un politico che mantiene le promesse, non puoi andare contro
l'UE", ha affermato il diplomatico.
"Le
Pen è l'esatto opposto di Meloni."
Quindi,
l'esempio di Meloni significa che l'establishment occidentale può tirare un
sospiro di sollievo?
Probabilmente
no.
Qualunque
sia la loro posizione sulla scena internazionale, nessuno dei due leader ha
ammorbidito la propria posizione in patria.
Le Pen continua a sostenere la revoca dei
benefici sociali ai genitori di minori condannati per reati e ha chiesto di
vietare alle persone con più cittadinanze di ricoprire incarichi di vertice
nella pubblica amministrazione.
È stato scoperto che alcuni dei suoi candidati
al parlamento francese hanno fatto commenti razzisti e antisemiti.
Meloni
ha anche mantenuto alcune delle sue posizioni più conservatrici, presentando
una legge che consentirebbe agli attivisti anti-aborto di avere un posto
all'interno delle cliniche che forniscono la procedura.
I leader dell'ala giovanile del suo partito
sono stati filmati mentre facevano commenti antisemiti e si vantavano di essere
fascisti, nazisti e razzisti.
In
materia di politica estera e affari europei, Le Pen avrebbe più margine di
manovra rispetto a Meloni, che in quanto leader di un governo di coalizione
deve coordinarsi con i suoi partner.
Prima
del voto di domenica scorsa, Le Pen ha giurato di sfidare Macron sulla politica
estera, tradizionalmente prerogativa del presidente, se il suo partito avesse
ottenuto la maggioranza in parlamento.
A
Macron, ha detto, sarebbe stato impedito di inviare istruttori militari per
aiutare l'Ucraina.
"Sull'Ucraina,
il presidente non sarà in grado di inviare truppe", ha detto Le Pen in
un'intervista al quotidiano “Le Télégramme”.
"Le
Pen è l'esatto opposto di Meloni", ha detto “Benjamin Haddad”, un
parlamentare uscente del partito di Macron che si candida per la rielezione.
"Ha
rifiutato ogni forma di sostegno all'Ucraina, aveva il ritiro dalla NATO nella
sua agenda ed è filo-russa.
La sua visione indebolirebbe la Francia e
l'Europa in un momento di guerra nel nostro continente".
Sebbene
sia l'Italia che la Francia siano paesi fortemente indebitati, le dimensioni
della Francia e il suo ruolo fondamentale in tutti i dossier dell'UE darebbero
a Le Pen più influenza su Bruxelles.
"La
Francia è un paese più forte dell'Italia e dipende meno dall'Europa, quindi
potrebbero esserci altri scossoni", ha aggiunto” Saraceno”, l'economista.
“Philippe
Olivier”, cognato e stretto consigliere di Le Pen, ha sostenuto che mentre Roma
è troppo dipendente dai fondi UE per attaccare Bruxelles, Parigi avrebbe molte
meno limitazioni.
"L'Italia non è nella stessa situazione
economica della Francia... abbiamo più margine di manovra per piegare
Bruxelles", ha detto Olivier, che è stato rieletto al Parlamento europeo a
giugno.
"Dato
che siamo la France siamo più liberi, non siamo schiavizzati", ha
aggiunto.
Data
la forza della sua retorica, Le Pen finirebbe anche sotto pressione da parte
dei suoi sostenitori per mantenere alcune delle sue promesse radicali.
"È
una svolta più complicata", ha detto “Lazar,” esperto di politica
franco-italiana. "Rinunciare alla sua posizione le costerebbe il consenso
e deluderebbe una parte dei suoi elettori euroscettici".
L'estrema
destra si allea.
Poi
c'è il fatto che Le Pen non sarebbe l'unica a sostenere le sue posizioni, e
nemmeno Meloni.
Finora
l'italiana ha scelto di tenere Le Pen a distanza.
Alla
domanda se preferisse Le Pen a Macron prima delle elezioni presidenziali
francesi del 2022, Meloni ha risposto che non si sentiva rappresentata da
nessuno dei due.
Ha
anche respinto una proposta di Le Pen di fare squadra prima delle elezioni del
Parlamento europeo del mese scorso.
Ma una
cosa è spronare una figura politicamente tossica dell'opposizione, soprattutto
quando sei isolato tu stesso.
Un'altra
è confrontarsi con un presidente della seconda economia più grande dell'UE che
la pensa potenzialmente come te.
Lunedì,
Meloni si è congratulata con Le Pen per la sua vittoria al primo turno delle
elezioni e ha sostenuto il suo partito per il ballottaggio di domenica
prossima.
La Francia, ha osservato, è un paese altamente
polarizzato e "ovviamente preferisco la destra".
Durante
una riunione del Consiglio europeo del mese scorso, il leader italiano si
sarebbe mostrato furioso per essere stato escluso dal dibattito sulla prossima
generazione di leader dell'UE, unendosi all'ungherese Orbán nell'opposizione
alla decisione.
Da
soli, Meloni e Orbán potevano fare ben poco. Con Le Pen al tavolo, il risultato
avrebbe potuto essere diverso.
Quando
si tratta di Le Pen e Meloni, la domanda migliore potrebbe non essere se uno si
comporterà come l'altro.
È come entrambi si comporterebbero se si
trovassero al potere insieme.
“Sarà
un’altra storia se il “National Rally “vincerà le elezioni presidenziali del 2027 e otterrà la maggioranza
assoluta nell’Assemblea nazionale”, ha previsto “Chopin”, il politologo.
“In
quel caso, c’è un rischio reale di adottare un atteggiamento molto più radicale
e conflittuale”.
(Clea
Caulcutt ha contribuito al reportage).
L’Entente
Cordiale Parigi-Londra è oggi
cosa
di sinistra (con prossima guerra annessa?).
Mittdolcino.com
-Mitt Dolcino – (5 luglio 2024) – ci dice:
Mai
dimenticare che il Labour inglese Tony Blair, la cui fondazione è basata in
Toscana (e di cui Matteo Renzi fa parte), contraddistinse il suo premierato con
innumerevoli guerre inglesi nel mondo, quasi fosse proprio Londra ad
indirizzare Washington e non viceversa.
Oggi negli USA la situazione è profondamente diversa.
Ed
anche in EU, ormai moribonda e senza colonie (francesi, in Africa):
sembra
dunque chiaro che l'entente cordiale, elezioni francesi a seguire, cercheranno
una guerra in EU, per salvare i potentati coloniali europei storici, post fine
del USD LIBOR (30.9.2024).
Rishi
Sunak ha chiamato una elezione che sapeva di perdere.
E l’ha
persa, come conservatori.
Da
oggi l’approccio inglese a Giorgia Meloni riteniamo cambierà radicalmente.
Anche
perché l’entente cordiale, Londra-Parigi, del 1904, era mirata alla difesa
delle proprie colonie a cavallo della Manica, colonie che oggi in larghissima
parte non ci sono più, perse in 120 anni, praticamente tutte.
E per
spunto di Roosevelt, ossia degli USA mai coloniali:
parlo
della famosa decolonizzazione rooseveltiana, iniziata con l’India e continuata
con Suez tornata egiziana.
Poi
finalmente decolonizzando anche l’Indocina francese (la chiamarono guerra del
Vietnam) per evitare che i francesi usassero l’arma dell’oppio raffinato, in
cui i francesi sono stati maestri, per inondare gli States di droghe, sulla
falsa riga di come fece Londra con la Cina un paio di secoli prima (e di come
sta facendo Pechino oggi, a letto – come interessi – con chiunque sia
avversario del suo nemico, l’America, soprattutto quella trumpiana).
Sui
francesi, esclusi dall’oppio sud-asiatico via guerra in Indocina fomentata dai
successi USA nella WWII, e poi del Vietnam, in pochi purtroppo rammentano che
ciò coincise con la sparizione del clan dei marsigliesi.
In
quanto l’oppio raffinato, venduto dai clan e pure (!) dallo Stato francese nel
mondo, dove era legale, passava per la manodopera marsigliese cancellata dai
siciliani filo USA diventati portatori di aggiornati interessi (post Vietnam),
prima di tutto di difesa americana.
Marsigliesi
prima molto presenti anche a Roma, si dice anche coinvolti nei primi attentati
di Stato anti-italiani di inizi anni ’70 contro, addirittura con tentativi
golpisti annessi fortunatamente falliti [grazie agli interventi militari
americani] (…).
Oggi
infatti, negli USA, con il fentanil, se ben notate la mafia americana è
totalmente esclusa da tali traffici in quanto tutto gira attraverso un altro
attore, la Cina, che si appoggia alla criminalità messicana (…).
Tornando
al titolo, ieri i labour hanno vinto alla grande, in una elezione “chiamata”
incredibilmente da “Rishi Sunak” PER PERDERLA.
Mai
vista una cosa del genere.
Abbiamo
già spiegato
il
motivo: Sunak – indiano, dunque ex colonizzato – NON vuole prendersi la
responsabilità della guerra in Europa di cui i potentati ex coloniali
anacronisticamente necessitano, per mantenere i propri privilegi ex coloniali,
appunto.
Stesso
trucco attuato tante volte in Europa nei secoli, con guerre farlocche in cui
Londra e Parigi erano sempre presenti, in realtà i fini erano di potere e
ricchezza apicali, ossia di privilegi, spesso concordati dalle grandi famiglie
di sangue Europee (…).
Dunque
tali privilegi coloniali, oggi, come con Tony Blair, il Premier più
guerrafondaio dai tempi di Churchill (ma senza guerra mondiale), stanno a
sinistra.
Tutto
perfetto direi:
si illude un popolo sul bene di certi fini e
poi se ne perseguono altri, elitari, a vantaggio dei soliti noti.
Nel mentre si manda la gente a morire.
A
leggerla bene sembra di avere innanzi una versione rivista e corretta della
genesi del fascismo dimostrata magistralmente da “Robert O. Paxton”, quando
spiegava che i fascismi, sempre nati a sinistra per altro (destra e sinistra
invenzione inglese, ndr) nascono sempre per ipotetici nobili fini, poi invece…
Ovvero,
poi si arriva alla guerra necessaria alle Elite.
Londra
è accomunata in tale intento con Parigi, Entente Cordiale appunto, che a breve
giro guarda caso avrà anche lei la sua elezione.
In cui
Macron-uomo di Davos (bureau delle élite) sta con la sinistra, tutto direi
davvero perfetto.
E non
solo: infatti Parigi è anche la cicala d’Europa, che NON vuole fare sacrifici,
come invece dovrebbe, trovando il suo Monti.
Cosa che non farà, sperando di far pagare il
conto alle sue nuove colonie.
Berlino
in ogni caso, che ha interessi diversi dal duo sopra citato, ha già avvertito
negli scorsi giorni: i parametri austeri EU valgono anche per la Francia.
Costringendo Macron all’All In.
Tutto
chiarissimo.
In tal
contesto Parigi, d’intento con Londra, vorrebbe – per salvarsi, oggi, estrema
ratio – applicare le sue regole coloniali all’EU, specificamente in due quadri
strategici di suo interesse, con scenari inevitabilmente bellicosi:
all’Ucraina,
dove c’è il litio su cui in molti vogliono mettere le mani, a Mariupol e
dintorni.
E
sull’Italia, da spartire ed annettere in qualche modo, dovrei dire depredare,
per evitare di fare sacrifici oltralpe, parlo soprattutto della Francia.
Nel
mezzo, la fine del LIBOR, che determinerà l’impossibilità Europea di
finanziarsi in dollari senza averli.
Visto
che a breve, qualche mese, la fine del LIBOR in dollari toglierà la possibilità
di fatto di stampare in qualche modo, indirettamente, i dollari che non si
hanno.
Chiaramente
anche in tale contesto Londra e Parigi sono accomunate:
se
Parigi perde l’accesso al dollaro, Londra perde la finanza. Dunque, perché tante banche
dovrebbero restare a Londra in assenza del cd. panel LIBOR?
Spero
intendiate, quando si dice unità di interessi.
L’Italia
fortunatamente ha deciso di stare con gli USA, che puntualmente hanno risposto
a dovere, in direi rapida successione:
1.
Camp Darby ora è collegato alle FFSS italiane, pur essendo una base
sommergibilistica, la più grande del suo tipo fuori dai confini USA.
2. E
pure con il recentissimo spostamento della sede NATO per l’Intervento Rapido in
Italia, a Solbiate Olona, tanto per far capire che ‘l’Italia sta bene come è”
(tradotto: Parigi dunque non si sogni di annetterla in qualche modo).
3.
Poi, molto interessante, la nuova sede dei carabinieri del Tuscania, più altri
corpi d’élite, DENTRO il parco che ospita Camp Darby, a San Rossore.
Immaginate
l’arma dei Carabinieri, erede di Dalla Chiesa, aver accesso alle armi USA
presso Camp Darby:
in tal caso fare colpi di Stato dall’interno
dell’Italia sarebbe tremendamente più difficile per chiunque non fosse
americano
(mai dimenticare che i blindati dei Carabinieri furono
mandati dal governo Conte, per questo odiatissimo dai leghisti a letto coi
francotedeschi, nei capoluoghi del nord Italia durante le fasi calde del COVID;
precisamente quando qualcuno si sognava la “Zona Rossa Economica” al nord, una
sorta di secessione di fatto, ed invece ottenne il lockdown nazionale, ndr…).
Tutto
quanto sopra serve per farvi capire che andiamo a qualche giorno prima che
l’Entente Cordiale cerchi di dipingersi di rosso, anche a Parigi come a Londra,
con Macron alleato della sinistra anti – Le Pen.
Il resto a seguire.
Sebbene,
come al solito, Londra saprà fare le cose per bene, di par suo.
Mentre
Parigi rischia invece – come suo solito – di incendiare la torre di ferro,
direi tutto già scritto:
forse Macron, perdente, ovvero non più in
grado di governare cercherà una sorta di colpo di Stato invocando l’articolo 16
della Costituzione francese?
O qualcosa del genere? Andiamo a giorni per
saperlo.
Da qui
al 30.9.2024, la fine dell’USD LIBOR, molte cose succederanno.
Siate pronti (comunque sia, stiamo vivendo le
ultime fasi della decolonizzazione voluta da Roosevelt)
(MD)
Armi
cinesi sequestrate in Calabria.
E in
USA il mortifero fentanil cinese:
cosa
sta succedendo?
Mittdolcino.com
– Mitt Dolcino – (4 Luglio 2024) – ci dice:
Gli
squilibri economici globali tra i vari blocchi restano colossali, con l’America
iper-indebitata che difende con le unghie il dollaro egemone, facendo leva sui
suoi consumi a debito.
E con l’EU che inizia ad intravedere la fine
della moneta unica (post fine del LIBOR, 30.9.2024).
Restano le armi cinesi sequestrate a Reggio
Calabria, andavano in Libya…
La
Cina ha un serio problema:
dipende per il suo benessere dagli acquisti
occidentali dei suoi manufatti.
Si ferma l’import straniero, ovvero si ferma
l’export cinese, e la Cina implode “dal di dentro”:
le fabbriche si fermano, l’occupazione crolla,
la cuspide del partito imperante salta.
Appunto,
trattasi di un regime comunista, che non deve fare utili:
il suo
solo compito è mantenere la pace sociale (anche con la coercizione, vedasi
DDR).
E
l’occupazione.
Facendo
un passo oltre, va ricordato che – in assenza di materie prime quale è il caso
della Cina – la situazione diventa addirittura esplosiva in caso di bizze dei
clienti che, riducendo i propri consumi di prodotti cinesi, possono assestare
un colpo mortale all’occupazione nella terra di” Xi”.
Leggasi
anche fin della pace sociale ovvero del regime che ne è al comando, nell’ex
impero celeste.
Da
quanto sopra deriva la necessità di espansionismo cinese, a lungo termine:
chiamarla via della seta o controllo dei canali commerciali marini non cambia.
Stante
la fattualità di quanto sopra è chiaro che un’America che diventa, assieme
all’Occidente, protezionista verso i prodotti cinesi automaticamente diventa
una minaccia addirittura mortale per la cuspide comunista di Pechino.
Dunque
a “Xi”, per rompere l’assedio, non resta che tentare di dividere il fronte
occidentale.
E per
fare questo Pechino non può che allearsi coi nipoti dei nazisti, come ha fatto,
parlo dell’EU franco-tedesca.
Peccato
che la guerra in Ucraina, in grado potenzialmente di tagliare gli
approvvigionamenti di energia (russa) ai tedeschi del 90%, all’EU per più del
50%, costringa Berlino a scendere a più miti consigli
(Gli USA stanno in Ucraina NON per
creare problemi ai russi ma per poter “osservare da vicino” le pipelines oil
and gas tra la Russia e l’Europa che fanno prosperare le industrie tedesche,
ndr)
Dunque,
che mai potrà fare la Cina per uscire dal giogo?
Da una
parte può destabilizzare gli USA, dal di dentro, vedi comprando i politici
americani, da qui il richiamo USA di queste ore a combattere presunte
infiltrazioni politiche “pro Dem” dell’apparato cinese nelle prossime elezioni
presidenziali.
O
supportare attentati mirati a minare la filiera produttiva USA (non sono incidenti), epilogo sotto molti punti di vista
preconizzato da John Loftus, “The Belarus Secret”(…).
O a
far leva sul “fentanil” esportato dalla Cina negli USA via Messico e Canada,
devastando la salute e la voglia di battersi dei giovani americani.
Cosa
manca per completare il puzzle?
A
logica, destabilizzare i paesi alleati degli USA.
O
comprando i loro politici (da tempo ci chiediamo chi incassasse le laute consulenze
dal grande operatore del commercio online cinese per la vendita del Made in
Italy a Pechino e dintorni…)
O, nel
caso di alleati pavidi, anche spaventandoli a morte.
Anche
con le armi puntate, nel caso.
E qui
entra in ballo lo strano sequestro dei droni DA GUERRA cinesi destinate alla
Libya;
armi che non si capisce a cosa servirebbero se
non a prendere le parti di “qualcuno” proprio a cavallo dei confini italiani.
Tre
mega sequestri in pochi mesi di armi da guerra, anche droni da tonnellate di
stazza, momento molto pericoloso va detto chiaro.
Forse
si sta cucinando una guerra davanti alla Sicilia? Con armi cinesi?
O
magari tutto questo sta accadendo per difendere – lato cinese – l’alleato
francese di Pechino che, se privato dell’accesso in Libya, perde ogni accesso
all’Africa del Franco CFA?
Ovvero
implode distruggendo l’euro…
Resta
che gli squilibri economici globali tra i vari blocchi restano colossali, con
l’America iper-indebitata che difende con le unghie il dollaro egemone, facendo
leva sui suoi consumi a debito.
E con
l’EU che inizia ad intravedere la fine della moneta unica (post fine del LIBOR,
30.9.2024).
E
restano le armi cinesi sequestrate a Reggio Calabria, andavano in Libya…
In
tale contesto la Cina, disperata nella sua cuspide ormai a rischio
esistenziale, terminale, non può fare altro che contrattaccare.
L’importante
in tutta questa narrazione è capire il contesto, poi ci lasceremo tutti stupire
da come la Cina affronterà il ritorno di Trump.
E come
Trump reagirà ai tradimenti Europei, visto che mezzo establishment EU è a letto
con Pechino in qualche forma.
Ricordo
infatti che Trump mise il veto sul raddoppio del North Stream, storcendo pure
il naso al North Stream I approvato da Obama:
appena
fu eletto Joe Biden al suo posto, invece, tale raddoppio si concretizzò con il
deliberato supporto francotedesco, a letto con San Pietroburgo.
Ma –
notate – non a letto con Mosca.
Le
conseguenze le conosciamo:
anche
in tale frangente l’Italia venne attaccata e quasi annichilita in veste di
primo alleato USA in Europa.
Domani
ri-succederà? E, nel caso, in che termini?
È una domanda che va fatta.
(MD).
Quelle
accuse di mafia dentro
la
massoneria: il nuovo capitolo
della
guerra tra grembiulini.
Lacrunadellago.net
– Cesare Sacchetti – (5 luglio 2024) – ci dice:
Li
avevamo lasciato così, soltanto due settimane fa, intenti a scagliarsi addosso
diffide e decreti di scomuniche massoniche incrociate.
La
guerra dentro la massoneria italiana è iniziata non da oggi, ma da almeno un
anno, quando il “regno” del precedente Gran Maestro, “Stefano Bisi”, volgeva al
termine e iniziavano le consultazioni elettorali per stabilire il suo
successore.
Apparentemente
non sembrava esserci una particolare tensione quando giunsero i risultati che
assegnavano la vittoria a” Leo Taroni”, massone di rilievo per la sua
appartenenza al “Rito Scozzese Antico Accettato”, l’RSSA, che costituisce una
sorta di piano superiore della massoneria italiana e il passaporto
indispensabile per accedere ai piani superiori di questa religione esoterica.
A
distanza di poco tempo poi, c’è stato quello che può definirsi un vero e
proprio “ribaltone”, quando un riconteggio delle schede ha consegnato lo
scettro della massoneria italiana ad “Antonio Seminario”, massone prescelto da
Bisi, e ciò ha scatenato le faide massoniche che già iniziavano a covare sotto
la cenere dalla fine del 2023.
Le evoluzioni
di questa sanguinosa guerra tra fratelli muratori hanno portato i vari massoni
a minacce di risolvere la questione nelle corti dei tribunali ordinari pur di
placare una disputa così furibonda come non la si vedeva dai tempi della morte
del famigerato” Adriano Lemmi,” primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia,
e famigerato satanista con un lungo passato da criminale e usuraio al servizio
di un altro noto massone, “Giuseppe Mazzini”, padre del risorgimento italiano
assieme a Cavour.
Esiste
una certa vulgata, poiché di questo si tratta, che vuole mettere in
contrapposizione Mazzini e Cavour quando in realtà essi erano entrambi
appartenenti alla massoneria ed erano mossi dalle stesse forze.
Costoro
anelavano agli stessi fini che sono la costituzione di una repubblica
universale massonica che schiacci definitivamente la sovranità delle nazioni,
soltanto che potevano trovarsi in disaccordo sui mezzi attraverso i quali
raggiungere quei fini ultimi.
Crediamo
sia importante ribadire tale concetto per sgombrare il campo da un altro
depistaggio diffuso negli ultimi anni da alcuni liberi muratori che hanno
raccontato la favoletta della massoneria “buona” e che hanno persino salutato
la venuta di Mario Draghi, uomo di Goldman Sachs, definendola come una
“operazione massonica”.
I
massoni italiani oggi sono combinati così.
Sono
invischiati in una feroce guerra dalla quale non si vede, a nostro parere, una
via d’uscita se non una che porti ad una serie di scismi a catena fino a
provocare una completa dissoluzione della intera libera muratoria italiana.
La
prima, e sanguinolenta, scissione è stata quella che ha visto “Seminario”
imporre ai massoni del Grande Oriente d’Italia di interrompere ogni rapporto
con quelli del RSSA, e ciò non è una questione di poco conto, se si considera
che il” Rito Scozzese è alquanto ambito” non solo perché consente di accedere
alle “segrete stanze” della massoneria ma perché è una loggia di respiro
internazionale legata a quelle angloamericane che sono da sempre, dalla nascita
di tale setta nel 1717 a Londra, le vere arbitre e padrone della massoneria
mondiale.
Questa
contiguità, o forse sarebbe meglio dire perfetta integrazione, tra il mondo
protestante e la massoneria si spiega con il fatto che il primo ha adottato una
teologia, quella luterana, che ha poco di cristiano in quanto si priva l’uomo
del suo libero arbitrio e lo si “libera” dal fardello del peccato dicendogli
che in fondo è Dio a decidere della salvezza dell’uomo, indipendentemente dalle
opere di bene compiute dall’individuo, ed è da questo presupposto che nasce il
famigerato motto di Lutero “pecca fortiter, sed crede fortius”.
Il
buon cardinal “Caro Y Rodriguez” nelle sue fondamentali opere sulla massoneria
ci insegna che essere protestanti già di per sé vuol dire essere predisposti ad
essere per metà un libero muratore, in quanto la massoneria, per sua natura e
storia, è sempre stata ferocemente opposta alla Chiesa Cattolica, unica vera
custode del mondo cristiano e per questo oggetto di una strisciante
infiltrazione che dura da più di un secolo e che è sfociata nell’infausto “Concilio
Vaticano II”, dal quale è uscita una falsa chiesa, liberale, modernista e
secolare.
Le
accuse di contiguità della massoneria con la mafia.
Avevamo
lasciato i massoni italiani alle prese, come si diceva prima, con la
sospensione da parte del GOI verso il RSSA, seguita poi dalla risposta di
quest’ultimo nei riguardi di Bisi, espulso dal rito scozzese poiché
appartenente a tutti e due i riti, ma in realtà soltanto per ritorsione nei confronti
di Seminario.
Il
nuovo capitolo di questa guerra tra grembiulini è quello che vede ora il notaio
messinese, “Silverio Magno”, a sua volta massone del Grande Oriente, rilasciare
delle dichiarazioni nelle quali si accusa apertamente la loggia più importante
d’Italia, che annovera 23mila iscritti circa, di mafia.
Magno
avrebbe pronunciato una sorta di j’accuse nei riguardi, apparentemente, dei
vertici che gestiscono la libera muratoria, e lo scorso 7 giugno si sarebbe
espresso in questi termini sulla questione.
“La
mentalità mafiosa è qua, dentro le colonne. È dentro le telefonate di minaccia,
con cui si cerca di sapere chi c’è in una chat.
È
dentro quelle ispezioni che non hanno né capo né coda.
Questa
è mafia, fratelli, è mafia e abuso di determinate posizioni per incutere
timore.
I
fratelli hanno paura e quanti messaggi devo continuare a leggere di fratelli
che mi dicono “non vengo perché il giorno dopo mi tormenterebbero”, in Sicilia
e in Calabria e non altrove.
Parlando
di accostamento mafia massoneria, che ci importa se si parla di masso mafia?
L’istituzione va bene perché illuminiamo campetti di
calcio
(riferimento alla riparazione del campo di Norcia dopo il terremoto del 2016,
ndr).
Questa
vi assicuro è la realtà.
È necessario
ribadire che non avere condotto una ferma condanna del fenomeno mafioso con
iniziative importanti ha alimentato l’uso di un termine che è un’offesa per
tutti noi e di chi ci ha preceduto fra le colonne?”
Ora
che alcuni massoni abbiano in passato provare a recitare la parte delle vergini
immacolate sulla questione mafia e massoneria, è cosa nota.
Alcuni
grembiulini entrano dentro l’organizzazione e poi parlano della commistione tra
questa e la mafia, quasi come negli ultimi 160 anni nulla fosse accaduto al
riguardo.
Noi
dubitiamo che questi signori non conoscano la storia e dubitiamo che costoro
siano trasparenti e non vedano nulla di quanto accade dentro le logge.
Se la
massoneria è una società esoterica ed iniziatica dove le verità ultime vengono
rivelate soltanto ai fratelli che giungono vicini al 33° grado, è evidente che
per sua natura questa società è una società segreta e la trasparenza è l’ultima
cosa che viene praticata nel chiuso delle logge.
Le
logge non vivono di luce, ma di oscurità, poiché la natura della massoneria è
quella di una società occulta che trama nell’ombra per distruggere la civiltà
cattolica e sostituire al suo posto il regno di Dio con quello del GADU, il
Grande Architetto dell’Universo, la misteriosa entità massonica che altri non è
che Lucifero, come rivelato da diversi massoni di alto grado, e vogliamo
ricordare a coloro che ancora si illudono che la massoneria non sia una società
satanica, che tutta la simbologia massonica è luciferiana e che i suoi capi, a
partire da Adriano Lemmi e Albert Pike, adoravano espressamente Satana.
La
condizione in cui nasce e opera la massoneria, va da sé, non può far pensare
che essa poi possa essere qualcos’altro nella sua applicazione pratica a meno
che non si sia proprio degli inguaribili “ingenui” o forse degli inguaribili
furbi che soltanto ora provano a far vedere che il loro grembiulino non è
insozzato come quello dell’altro fratello.
I
rapporti tra la massoneria, la mafia e l’anglosfera.
Siamo
scettici nei riguardi di costoro, lo ammettiamo, e se vogliamo iniziare il tema
della discussione tra mafia e massoneria occorrerebbe farlo dal lontano 1860,
quando i mille garibaldini, che avevano già ricevuto l’assistenza di Londra e dei
Rothschild, decisero di lanciare la loro spedizione alla conquista del Regno delle
Due Sicilie, e lo fecero soltanto con l’indispensabile aiuto delle mafie
locali.
La
mafia, prima della massoneria, non era che un fenomeno locale, ridotto più che
altro alle campagne laddove il picciotto di turno non aveva minimamente il
potere che assunse dopo l’Unità d’Italia e che la massoneria gli diede per la
creazione di uno Stato unitario che non si richiamava di certo alle gloriose
tradizioni cattoliche e greco-romane dell’Italia, ma a quelle illuministe e
secolari di altri iniziati francesi, quali “Voltaire” e “Rousseau”, che non
nascondevano affatto il loro odio verso la cristianità nelle loro lettere e nei
loro scritti.
Soltanto
l’avvento del fascismo interruppe il connubio tra mafia e massoneria, poiché
scopo del fascismo non era quello di coesistere con due entità parastatali e di
fatto eversive, ma era piuttosto quello di eliminare ogni potere che
minacciasse la sovranità dello Stato e che portasse avanti una sua propria
agenda in contrasto con quella della nazione e del bene comune del suo popolo.
A
riportare in auge il connubio massonico e mafioso non fu altri che Cassibile,
propiziato da re Vittorio Emanuele II, già colluso con gli inglesi ai tempi del
caso Matteotti, il quale consegnò le chiavi della sovranità dell’Italia
all’anglosfera.
È
piuttosto interessante notare la ripetizione degli stessi meccanismi che
consentirono l’Unità d’Italia prima e lo sbarco degli alleati poi nel 1943.
A
distanza di 80 anni a consentire l’attuazione dell’uno e dell’altro processo fu
quella imprescindibile unione tra le potenze dell’anglosfera, la massoneria e
la mafia, che altro non è che soltanto la base di un potere ben più vasto dei
vari Brusca e Provenzano, pedine di poco conto in questo gioco, e che raggiunge
invece le sfere dell’alta finanza askenazita (Rothschild) che utilizza i mafiosi come
manovalanza criminale per compiere meglio le sue malefatte.
Se si
dicesse pertanto che la mafia esiste perché la massoneria esiste, non si
farebbe altro che ammettere una evidenza di fatto, e suonano quindi
tremendamente ipocrite le parole di Magno e degli altri massoni sulla mafia,
poiché non può esistere alcuna seria lotta alla mafia senza prima partire dal
piano superiore del fenomeno mafioso, che altro non è che quello massonico.Quante volte abbiamo sentito dire ai
“campioni dell’antimafia” quali Marco Travaglio e Roberto Saviano che non
esiste nessuna seria possibilità di sconfiggere la mafia se prima non si
sconfigge la massoneria?
Nessuna,
e lasciamo che siano i lettori a valutare quale agenda e quali poteri veramente
proteggono questi personaggi che i media ci hanno proposto come “oppositori”
della mafia.
Al
momento ci interessa mettere in rilievo l’ipocrisia di quanto detto da Magno
che soltanto ora si risveglia dal suo “sonno,” non probabilmente perché animato
da qualche spontaneo e sincero moto di giustizia, ma piuttosto dal proposito di
assestare qualche fendente alle fazioni massoniche che si stanno ferocemente
scannando da quasi 4 mesi a questa parte.
In
palio, c’è non soltanto la guida della massoneria italiana e ovviamente ciò un
tempo avrebbe significato avere in mano le chiavi della politica italiana,
anche se questo oggi non appare più possibile, poiché l’anglosfera come entità
politica e geopolitica è in via di dissoluzione e la repubblica di Cassibile
difficilmente potrà sopravvivere senza la protezione di chi le fece vedere la
luce.
Noi
pensiamo che ci sia in gioco più che altro la mera sopravvivenza a questa
generale fase di dismissione e soprattutto in palio ci sono i cordoni della
borsa.
La
posta in gioco proprio quest’ultima questione è alta.
Il GOI
ha un patrimonio immobiliare di circa 240 milioni di euro senza contare quelle
che vengono chiamate nel linguaggio del codice civile come “immobilizzazioni
materiali”, per le quali si intendono macchinari, terreni, vetture e altri beni
di questo tipo che raggiungerebbero la cifra stimata di 25 milioni di euro,
anche se pare che il valore effettivo sia ben più alto.
Chi
riuscirà ad avere la meglio in questa feroce guerra tra logge riuscirà
probabilmente ad aggiudicarsi questa torta, anche se noi pensiamo che da questa
guerra non ci saranno vincitori, ma soltanto vinti.
La
massoneria italiana è soltanto una costola di quella angloamericana, e se la
seconda è in crisi, appare difficile, come si accennava prima, che la prima
possa sorreggersi da sola.
La
massoneria in crisi strutturale?
A
rendere più difficile una via d’uscita che garantisca un assetto stabile è il
fatto che i massoni dopo “il fallimento del Grande Reset”, sono allo sbando.
Il GOI
voleva il trionfo di quella società distopica perché questa avrebbe consentito
l’inaugurazione del Nuovo Ordine Mondiale.
La
storia ha svoltato in un’altra direzione e la massoneria si trova a dover fare
i conti con il suo fallimento.
La
guerra tra logge scaturisce da qui, ovvero dall’inevitabile esigenza di
mettersi in salvo prima che la piena della storia spazzi via tutto.
E ciò
sta determinando tutta quella serie di strani “suicidi” di personaggi che non
avevano nessuna apparente intenzione di suicidarsi e le cui circostanze delle
loro morti sono tutt’altro che chiarite.
Non
c’è stata chiarezza sulla morte del generale Graziano, già accusato per
l’Italia gate e del quale non si sa nemmeno con quale arma si sarebbe sparato,
e non c’è chiarezza sulla morte di Franco Anelli, rettore della Cattolica, così
come non c’è chiarezza alcuna sulla morte di Angelo Onorato, marito di
Francesca Donato, sulla quale la procura di Palermo sembra incredibilmente, e
purtroppo non sorprendentemente, virare sulla ipotesi del suicidio.
Avremmo
il primo caso di uomo che riesce a strangolarsi da solo con una fascetta da
elettricista, ma dalla magistratura italiana ci si può aspettare questo e
altro, se si pensa che i togati sono stati in grado di dire che Gardini si
sarebbe sparato da solo nonostante l’arma con la quale lo avrebbe fatto era a
diversi metri dal suo letto, e nonostante non ci fosse polvere da sparo sulle
sue mani.
Vedremo
quindi con ogni probabilità il prosieguo di una guerra in superficie nelle
logge a colpi di dichiarazioni infuocate e di altri decreti di espulsione, e
vedremo al tempo stesso il prosieguo di un’altra, sotterranea, attraverso
“suicidi” inspiegabili alla cui lista soltanto ieri si è aggiunto “Stefano
Bontempelli”, dirigente di “Neuberger Berman” e ancora più di rilievo ex membro del
Cda della società che sviluppò la famigerata” App Immuni,” utilizzata per
tracciare le persone.
La
fine della repubblica di Cassibile sarà dunque accompagnata dalla più feroce e
violenta guerra che la massoneria italiana si ricordi, e in fin dei conti è
giusto così.
E’
giusto che se muore l’anglosfera, con essa se ne vada il suo frutto malato
rappresentato dalla libera muratoria.
La
sinistra e il centro sopprimeranno
la
destra in Francia?
Unz.com - TIMOTHY VORGENSS – (3 LUGLIO 2024) –
ci dice:
Il
primo turno delle elezioni legislative del 2024 del 30 giugno ha visto il
Rassemblement National (RN, l'ex Front National fondato da Jean-Marie Le Pen)
arrivare primo con il 31% dei voti, seguito dalla coalizione
"Ensemble" del presidente Emmanuel Macron con il 24% e dal “Nouveau Front Populaire “(NFP) di sinistra al 22%.
I
Repubblicani – l'equivalente francese di estrema destra dei Repubblicani
americani – hanno ottenuto l'11 per cento dei voti, mentre i Verdi e altri
piccoli partiti hanno raccolto le briciole rimanenti.
Gli
operai e i lavoratori autonomi sono ancora l'elettorato più forte per la RN.
Gli
uomini hanno votato un po' di più (34 per cento) rispetto alle donne (29 per
cento).
Il
sostegno per l'NFP, che è una coalizione difficile che va dal socialismo
morbido all'”antifa”, è stato particolarmente forte tra i giovani tra i 18 e i
24 anni (41%) e tra i 25 e i 34 anni (38%).
I
dirigenti e i professionisti continuano a propendere più per il centrosinistra
di Macron (che ora può essere considerato di estrema sinistra, dal momento che
ha stretto alleanze elettorali con il NFP per sconfiggere il RN) e per i
repubblicani ormai sostanzialmente evirati.
L'immigrazione
ha avuto un impatto significativo sul voto.
Le
regioni con il maggior numero di immigrati tendono a sostenere il RN, che ha
tradizionalmente promesso di tagliare l'immigrazione.
La
ragione di ciò è ovvia a chiunque viva in queste aree, ed è diventato sempre
più difficile per i centristi – persi nelle comodità della vita e radicati
nelle loro abitudini di voto – fingere che l'immigrazione non abbia importanza.
Uno
studio del” British Politics and Policy Blog” della “London School of Economics”
ha rilevato che anche un leggero aumento degli immigrati porta automaticamente
a un aumento significativo dei voti per l'estrema destra.
I meno
qualificati hanno sempre visto gli immigrati come concorrenti per i posti di
lavoro;
ora sempre più francesi di ogni classe li
vedono come potenziali criminali.
L'ex
ministro dell'Interno “Gérard Collomb” ha avvertito nel 2018:
"Oggi viviamo fianco a fianco, temo che
domani vivremo faccia a faccia".
All'epoca
questo sconvolse i giornalisti ma, naturalmente, stava affermando l'ovvio.
L'impulso
distruttivo dell'estrema sinistra.
L'estrema
sinistra è guidata da quello che sembra essere un desiderio di morte:
preferisce
di gran lunga coloro che distruggono a coloro che costruiscono, gli economisti
anti-crescita agli ingegneri nucleari, i rivoltosi agli imprenditori di
successo e i vandali ambientalisti agli agricoltori.
Ciò si
riflette nel suo sostegno sistematico ai delinquenti pluri- recidivi e ai
radicali islamici, e nel suo risentimento contro chiunque abbia successo.
E' una
strategia del "doppio o niente" attraverso la quale i bianchi possono
unirsi al ribollente risentimento del Terzo Mondo nei confronti dell'Occidente.
Molti
elettori e persino giornalisti sono terrorizzati da questa nuova estrema
sinistra, che difende “Hamas” come un eroico movimento di resistenza
palestinese.
Il
programma del PFN di 236 miliardi di euro di spesa annuale aggiuntiva e
massicci aumenti delle tasse soffocherebbe l'economia, porterebbe nel panico i
creditori e manderebbe in bancarotta il paese. Le sue proposte di porre fine al
libero scambio, controllare gli affitti, congelare i prezzi e porre fine ai
trattati europei sul controllo del bilancio sono politiche che hanno portato
miseria ovunque siano state tentate.
“Raphaël
Arnault” del NFP è un candidato “antifa”, noto per la violenza. Incarna la
strategia del fronte di unire elementi marginali e violenti alla causa di
sinistra.
Il NFP
vede la violenza come un mezzo di mobilitazione politica, e mira a galvanizzare
una base militante pronta ad agire nelle strade per fare pressione sulle
istituzioni democratiche e sugli oppositori politici.
E' stata imbaldanzita da decenni di impunità e si
tirerà indietro solo se verrà ripristinata la vera autorità.
Il “NFP”
include anche rappresentanti apertamente antisemiti che attirano nordafricani e
neri giocando sulla causa palestinese.
Questa
strategia di "segnalazione perversa di virtù" per mostrare sostegno
alle cause del Terzo Mondo è spesso insincera e opportunistica. I discorsi e le azioni di alcuni
leader del NFP mostrano un'evidente incoerenza tra le loro precedenti
dichiarazioni pubbliche e la loro ritrovata sollecitudine per nuovi amici
radicali.
C'è un
recente brano rap particolarmente violento "No Pasaran" (che in
spagnolo significa "non avranno successo") che si crogiola nell'odio
per la RN:
"Se
i fascisti passano di lì io uscirò con il mio grosso calibro";
"Meritano di morire"; "Marine (Le Pen) e Marion (Maréchal) sono
puttane.
Prendi
un bastone su quelle puttane in calore"; "Jordan (Bardella,
presidente della RN) sei morto."
La sinistra è divisa tra coloro che pensano
che questo sia un terribile messaggio politico e coloro che vogliono vedere la
guerra civile.
Marion
Maréchal, nipote di Jean-Marie Le Pen e identitaria molto più forte di sua zia,
Marine, ha twittato in risposta: "Grazie a questi rapper per le
migliaia di voti che la loro clip d'odio ci porterà".
I
media si sono attenuti ai loro soliti doppi standard. Tre anni fa, quando
"Papacito", un influencer nazionalista civico, ha postato un video in
cui simulava l'uccisione di un elettore dell'estrema sinistra, c'è stata
un'indignazione diffusa.
Anche
la violenza simbolica non è ammissibile nel dibattito democratico. Tuttavia, le reazioni alla canzone
"No Pasaran" – che promette la morte reale a Marine Le Pen, Jordan
Bardella e Éric Ciotti (un repubblicano che sostiene il RN) – sono state molto
più caute.
L'NFP
fa strani compagni di letto.
Jean-Luc Mélenchon, che guida la coalizione,
certamente flirta con l'antisemitismo, ma candidati ebrei di sinistra come “Esther
Benbassa” e “Raphaël Glucksmann” si sono uniti alla coalizione, probabilmente
attratti dalla promessa di un ambizioso programma sociale e nella speranza di
fermare il RN.
Un
video illustra questo dilemma: un gambero emerge da un cesto pieno di frutti di
mare, pensando di essere fuggito verso la libertà, solo per essere fritto
all'istante mentre cade in un wok pieno di olio bollente. Durante la campagna elettorale, gli
elettori ebrei definiscono questi candidati "maledetti traditori".
Il
gioco antidemocratico dei ritiri.
Le
proiezioni mostrano chiaramente l'impatto delle alleanze elettorali sui
risultati del secondo turno.
Se, al primo turno, nessun candidato ottiene
la maggioranza assoluta, i candidati superstiti passano a un secondo turno.
Questi sono i primi due classificati, insieme
a qualsiasi altro candidato che abbia ottenuto almeno il 12,5% del numero di
elettori registrati nel suo distretto.
In queste gare a tre, tutti i partiti si
coalizzano contro la RN.
Se il
candidato del NFP è più debole del candidato macronista, si ritira dalla corsa
in modo che il voto non RN non venga diviso.
Se il
candidato macronista è più debole, si ritira.
In
ogni caso, il candidato del RN ha una lotta molto più dura contro
un'opposizione unita.
Le
proiezioni mostrano che senza un'alleanza anti-RN di ritiri, il RN potrebbe
ottenere tra i 250 e i 290 seggi, con 289 che gli danno la maggioranza assoluta
nell'Assemblea.
Tuttavia,
con i ritiri, la RN ottiene solo da 200 a 230 seggi.
Molti
vedono queste alleanze elettorali – spesso tra gruppi che si odiano a vicenda –
come profondamente antidemocratiche.
Sottrae
un numero significativo di elettori alla rappresentanza proporzionale.
Il
partito di Macron ha finalmente mostrato il suo vero volto.
Si
ritirerà in lotte a tre per aiutare l'estrema sinistra a vincere.
Gli
elettori centristi stanno cominciando a rendersi conto che non c'è più un
centro.
I
rispettivi interessi delle diverse categorie sociali rimangono simili a quelli
che erano ai tempi del Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen.
I lavoratori tendono a votare per i partiti
che promettono una maggiore protezione sociale e tengono fuori gli immigrati,
che percepiscono come minacce per i loro posti di lavoro.
Queste persone sostengono la RN.
Dirigenti
e professionisti spesso beneficiano della globalizzazione e delle politiche di
libero mercato, e quindi si orientano verso il campo macronista e i
repubblicani. Sembra che si preoccupino solo dei loro conti di risparmio.
Tuttavia,
queste elezioni hanno rivelato una tendenza interessante: un certo numero di
giovani elettori si sta rivolgendo al RN.
Si
tratta di un notevole cambiamento nel panorama politico.
Il 41
per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha votato per il Nouveau Front
Populaire (NFP), mentre il 23 per cento ha votato per il RN.
Nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34
anni, la NFP ha raccolto il 38% e la RN il 28%.
Queste
cifre mostrano che, mentre la sinistra ha ancora la maggiore presa sui giovani
elettori, il RN sta facendo progressi significativi.
Il RN,
con il suo giovane leader carismatico Jordan Bardella, i suoi leader e
sostenitori fisicamente attraenti (molto importanti per ottenere voti) e i
continui discorsi sulla sicurezza e sull'identità nazionale, sta producendo
qualcosa di senza precedenti.
Le giovani donne che indossano i loghi RN
fanno video di ballo di se stesse.
Mila,
una giovane studentessa delle superiori che ha ricevuto minacce di morte da
parte di giovani musulmani, ha prestato la sua voce a una canzone che elogiava
il rimpatrio forzato di arabi e neri.
Il suo
titolo” Je partira pas” (che significa "non me ne andrò") è
volutamente sgrammaticato, sottolineando gli errori commessi dai non-bianchi
scarsamente assimilati.
Questo
tipo di aperto nazionalismo razziale era impensabile solo pochi anni fa.
Il RN
è ora visto come un partito anti-establishment, che si rivolge ai giovani
disillusi dai partiti tradizionali e dal sistema attuale.
Credono
che la RN possa ribaltare l'ordine stabilito e offrire nuove soluzioni.
Tuttavia, il NFP rimane l'attrazione
principale tra i giovani elettori, in particolare quelli impegnati in cause
sociali e ambientali.
L'elettorato
centrista e la borghesia media hanno probabilmente il destino della Francia
nelle loro mani morbide.
Gli
attivisti politici li hanno sempre definiti vigliacchi perché la loro posizione
socio-economica permette loro di passare da un partito all'altro a seconda
delle circostanze.
I RN dovranno giocare con la loro versatilità
e il loro amore per il denaro.
Spesso votano contro candidati che minacciano
i loro portafogli, e l'unico argomento che conta per loro è che il male più
grande deve essere evitato.
Devono
essere convinti che il PFN di sinistra è la porta del caos.
Vantaggio: il RN non avrà bisogno di mentire.
Tuttavia,
ciò che i centristi hanno in comune con la sinistra sono le convinzioni di
lusso: hanno
i mezzi per credere a cose assurde, ma ne evitano le conseguenze.
La
Francia, con i suoi tre popoli – Destra, Sinistra e Centro – che si odiano, è
diventata ingovernabile?
Se il
RN otterrà la maggioranza assoluta, dovrà prendere il controllo di un paese
che, nelle parole di Jordan Bardella, è in rovina.
Nell'improbabile
eventualità che Bardella diventi primo ministro, Jean-Luc Mélenchon intende
governare attraverso l'azione nelle strade.
Non
per niente ha promosso gli elementi più radicali dell'alleanza facendoli
candidati.
Sta
forse anticipando la sconfitta alle urne, per ottenere meglio la vittoria con
la rivolta?
Nonostante
la coalizione antidemocratica contro di esso, il RN avrà sicuramente il maggior
numero di deputati, ma probabilmente non i 289 di cui ha bisogno per una
maggioranza assoluta che renderebbe Bardella una scelta essenzialmente
obbligata per il primo ministro.
Ciò che potrebbe mettere il partito sopra le
righe sarebbe il risentimento degli elettori contro il fatto che gli venga
detto di votare per candidati che non gli piacciono al solo scopo di tenere
fuori una "estrema
destra" che sempre più francesi pensano dovrebbe avere una possibilità di
andare al potere.
Anche
senza una maggioranza assoluta, il RN potrebbe mettere insieme abbastanza
alleati dalla frangia conservatrice del partito repubblicano e da pochi
identitari alla sua destra per formare un governo?
O
potrebbe esserci un governo sedicente di "Fronte Repubblicano",
composto da Soft Right, Socialisti, Ecologisti e Verdi che avrebbe abbastanza
deputati per formare un governo che tenga fuori sia il RN che la sinistra più
selvaggia?
Il
voto del secondo turno di questa domenica potrebbe essere solo l'inizio di un
frenetico giro di mercanteggiamenti da parte di gruppi che si sono sempre
disprezzati a vicenda, ma che sono costretti a lavorare insieme nel tentativo
di evitare che il sistema politico francese si rompa completamente.
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