Minestra riscaldata per rilanciare l’Europa.

 

Minestra riscaldata per rilanciare l’Europa.

 

 

La minestra riscaldata di Macron e Scholz.

Startmag.it – (2 Giugno 2024) – David Carretta – Christian  Spillmann – ci dicono:

 

L'articolo di Macron e Scholz sul “Financial Times” letto e commentato da David Carretta nella newsletter Mattinale Europeo con Christian Spillmann.

Emmanuel Macron e Olaf Scholz hanno scelto il Financial Times per annunciare la “Zeitenwende” dell’Unione Europea di fronte alla guerra di aggressione della Russia, la minaccia economica della Cina, il pericolo del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e gli altri sconvolgimenti globali che rendono la nostra Europa “mortale”.

 Ma la “svolta epocale” dell’Ue può attendere.

Una volta superate le prime righe della premessa – “l’Europa sta vivendo la sua Zeitenwende (…). La nostra Europa è mortale e dobbiamo essere all’altezza della sfida” –

il presidente francese e il cancelliere tedesco offrono altro “business as usual”:

 un programma per i prossimi cinque anni che non affronta le decisioni difficili che le sfide che ha di fronte l’Ue comportano, limitato dalle numerose linee rosse della Germania.

 Prima del loro incontro a Meseberg, che segue due anni di relazioni franco-tedesche conflittuali, i due leader hanno cercato di mostrare la loro capacità di lavorare su obiettivi comuni.

Ma il risultato è molto al di sotto delle aspettative.

 

Zeitenwende è un termine tedesco che significa “svolta epocale”, tornato di moda dopo il discorso di Scholz al Bundestag all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, nel quale il cancelliere ha annunciato un fondo da 100 miliardi di euro per la difesa della Germania e la volontà di uscire dalla dipendenza dall’energia russa.

Nell’articolo sul “Financial Times”, Macron ha ottenuto da Scholz una prima frase a effetto, che ricalca gli avvertimenti lanciati nel suo secondo discorso della Sorbona sui pericoli esistenziali che corre l’Ue.

 

Nel concreto, la ricetta della loro (finta) Zeitenwende è una sintesi di ciò che è già stato deciso o discusso, che difficilmente può ispirare fiducia nelle capacità di sopravvivenza politiche ed economiche dell’Ue, per non parlare degli elettori che andranno alle urne il 6-9 giugno.

 La prima proposta è un “impeto rinnovato per la competitività” con i soliti slogan su “più innovazione, più mercato unico, più investimenti, più parità di condizioni e meno burocrazia”.

Non ricorda nulla?

 È l’impegno assunto al Consiglio europeo di aprile.

Nell’articolo non manca l’appello macroniano per “rafforzare la sovranità dell’Ue e ridurre le nostre dipendenze critiche” e il solito richiamo al vertice di Versailles del marzo del 2022.

Tuttavia per la politica industriale (dall’Intelligenza artificiale alle tecnologie verdi) si deve semplicemente accelerare l’utilizzo degli “strumenti dell’Ue esistenti”.

Le regole della concorrenza vanno “modernizzate”, ma non è chiaro come. Nemmeno sul commercio internazionale, Macron e Scholz sono riusciti ad avvicinare le loro posizioni su un cambio di direzione (per non parlare di un cambio di epoca) significativo.

“Sosterremo insieme una politica commerciale europea ambiziosa, robusta, aperta e sostenibile che permetta accordi commerciali equi e promuova gli interessi dell’Ue”.

Nucleare o rinnovabili?

La decarbonizzazione sarà realizzata attraverso “un mercato pienamente integrato e interconnesso, rispettando le scelte nazionali sul rispettivo mix energetico”.

 Nulla di nuovo sul “Financial Times”.

 

I bruxellelogi – gli osservatori politici di affari europei che cercano di imitare i cremlinologi di vecchia data – hanno dovuto scorrere rapidamente questa lunga serie di banalità per arrivare al dunque:

la montagna di investimenti necessari all’Ue per la doppia transizione verde e digitale e il rafforzamento della difesa.

Anche su questo capitolo sono rimasti delusi.

Il richiamo all’Unione dei mercati dei capitali per usare i risparmi europei che emigrano verso gli Stati Uniti ricalca sempre le conclusioni del Consiglio europeo di aprile:

migliorare la convergenza e l’efficienza della vigilanza, armonizzare aspetti rilevanti delle leggi sull’insolvenza societaria e del diritto fiscale, semplificare il quadro normativo.

 E gli investimenti pubblici?

“Dobbiamo adeguare il bilancio dell’Ue al futuro e dare ulteriore priorità agli investimenti nella spesa per la trasformazione e nei beni pubblici europei, lavorando al contempo sull’introduzione di nuove ‘risorse proprie’ come concordato nel 2020”.

Avete letto bene: la Zeitenwende finanziaria risale a quattro anni fa.

 Prima del Green deal, prima del Covid-19, prima della guerra della Russia contro l’Ucraina.

 Nell’articolo sul “Financial Times” non c’è alcun accenno a nuovi strumenti di debito comune o Eurobond per la difesa, come quelli proposti da “Kaja Kallas”.

E nemmeno alla volontà di Emmanuel Macron di raddoppiare il bilancio dell’Ue.

La linea frugale di Scholz prevale.

Non è un caso se la presidente uscente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, candidata del PPE e soprattutto garante degli interessi del suo paese, ha indicato di preferire nuove “risorse proprie” a un nuovo strumento di debito.

Per memoria:

 le risorse proprie sono le entrate autonome del bilancio dell’Ue, attualmente sotto forma di dazi doganali e una parte dell’Iva.

Tradotto, significano nuove tasse.

“Mujtaba Rahman”, dell’”Eurasia Group”, su “X” ha inserito l’agenda promessa di Macron e Scholz per i prossimi cinque anni nella categoria “minimo comune denominatore” e “deludente”.

Se si tradurrà nell’agenda strategica dell’Ue che i leader dei ventisette adotteranno al Consiglio europeo il 27 e 28 giugno per la prossima legislatura.

 La prudenza e le esitazioni Scholz saranno prevalse.

Il cancelliere tedesco rischia però di sottovalutare la vera “Zeitenwende” che è in corso tra i tradizionali alleati della Germania tra i paesi frugali.

I paesi baltici hanno già abbandonato la loro opposizione a uno strumento di debito comune per rafforzare la difesa dell’Ue e affrontare la minaccia della Russia.

 Anche la Danimarca sta cambiando posizione.

“Siamo aperti a discutere… idee innovative, sia che si tratti di utilizzare i proventi dei beni russi congelati per finanziare un nuovo prestito comune per investire in Ucraina, o obbligazioni di difesa o altro”, ha detto a “Politico.eu” il ministro degli Esteri danese, “Lars Løkke Rasmussen”.

 

 

 

 

Moni Ovadia su Israele:

“Nulla più della Verità Aiuta la Pace!”

Conoscenzealconfine.it – (4 Luglio 2024) - Veronica Tarozzi – ci dicono:

 

Gli israeliani hanno perpetrato violazioni del Diritto Internazionale e crimini di guerra, avendo garantita l’impunità.

L’impunità l’hanno garantita gli americani, che sono complici allo stesso titolo!

In questa fase cruciale della guerra di Israele al popolo palestinese, le notizie si rincorrono a ritmi forsennati, rendendo difficile comprenderne l’effettiva portata. Come quella della volontà dell’esercito israeliano di portare la guerra oltre il confine col Libano o quella dell’accentramento dei poteri su Netanyahu, a seguito dello scioglimento del gabinetto di guerra.

Ci sono però notizie la cui rilevanza spicca prepotentemente su tutte le altre, come il recente servizio del “Guardian”, che attesterebbe le forti pressioni e minacce da parte dell’ex capo dei servizi segreti israeliani, “Yossi Cohen”, ai danni dell’allora procuratrice capo della” Corte Penale Internazionale” (CPI), “Fatou Bensouda”, affinché abbandonasse l’indagine sui presunti crimini israeliani contro l’umanità nei territori occupati.

Indagine che è andata avanti nonostante tutto, e che è culminata lo scorso mese nella richiesta di arresto da parte della CPI per il primo ministro israeliano, “Benjamin Netanyahu”, e il ministro della Difesa, “Yoav Gallant”; ma anche per tre leader di “Hamas”.

 

Quanto segue è l’estratto di una lunga intervista allo scrittore, attore e musicista “Salomone Ovadia”, detto Moni.

Di origine bulgara, ma trapiantato a Milano subito dopo la nascita, è cresciuto in una famiglia di ascendenza ebraico sefardita.

 Rappresenta una delle numerose voci di ebrei sparsi per il mondo che ripudiano la politica ultranazionalista israeliana e chiedono a gran voce di farla rientrare nel solco del Diritto internazionale.

– “Moni”, ti chiedo di fare un’analisi oggettiva di ciò che sta accadendo in Medio Oriente.

Secondo me quello che sta succedendo in Palestina in questo periodo, se non si vuole usare la parola “genocidio” in quanto terrorizza, è comunque una strage di massa alla stregua della rappresaglia di tipo etnico.

Io credo che dovremmo chiedere che ci sia una Commissione indipendente sul 7 ottobre, perché non c’è stata.

Le commissioni di parte non sono credibili, né dall’una, né dall’altra parte, ci vuole una “Commissione indipendente”, perché gli israeliani, purtroppo per loro, non l’hanno permessa, per cui resterà sempre il dubbio.

Sono certamente state ammazzate delle persone innocenti, ma sul fatto dei bambini decapitati e di tutte quelle atrocità, non ci sono prove.

I palestinesi potrebbero rivendicare orrori e violenze che hanno subito 1 milione di volte più di quelle che hanno subito gli israeliani, quindi dove si va in questo modo?

Da nessuna parte, e poi se tu sei sicuro che la tua gente abbia subito delle cose così atroci, perché devi avere paura di una Commissione indipendente?

Dunque è venuto il momento di cessare immediatamente questa carneficina e soprattutto dovremmo tenere conto dei bambini:

 che vite avranno quelli che hanno sofferto queste atrocità?

E pensare che degli uomini del Governo israeliano hanno osato dire che lì [in Palestina, ndr.] son tutti terroristi, anche i bambini.

 

– Corsi e ricorsi della storia…

 

Questo è lo stesso linguaggio che i nazisti usavano nei confronti degli ebrei:

 è come un corto circuito psico-patologico, bisogna avere il coraggio di riconoscere i propri errori.

 Anche quando c’è una lite fra i due coniugi, dire: “Sai, forse ho sbagliato”, immediatamente permette l’instaurarsi di un clima di pace.

 

Io credo che l’umanità non abbia ancora imparato questa lezione.

Il Giappone, ad esempio, non ha ancora ufficialmente riconosciuto i danni fatti alla Cina con il massacro di Nanchino (1937-38 ndr.).

 È stupido!

Perché come dimostra la Germania, chi riconosce i crimini dei governi che ha albergato, cammina a testa alta: la Germania oggi è una nazione rispettata.

Gli israeliani hanno subito purtroppo un terrificante lavaggio del cervello persino nelle scuole.

C’è un libro di una giornalista israeliana che ha ricevuto il “Premio Sacharov”, “Nurit Peled-Elhanan”, che si intitola “La Palestina nei testi scolastici di Israele – Ideologia e propaganda nell’istruzione”.

Anche i nazisti, quando nazificarono la nazione, convinsero tanti bravi tedeschi che gli ebrei erano come dei parassiti, dei topi di fogna.

Non bisogna fare mai queste cose, questa è la prima lezione che viene dalla Torah: “Il nemico è un essere umano come te”.

Nel Levitico c’è un versetto: “Se incontrerai un bue del tuo nemico o un suo asino disperso, glielo riporterai”.

Quando si cessa di vederla in questo modo, non c’è limite alla catastrofe.

 

Del resto, Netanyahu continua a dire:

 “Non ci sarà uno Stato palestinese”, ma lui non ha la sovranità su quelle terre, ha solo la sovranità su quelle che la comunità internazionale riconosce essere di Israele, eppure parla come se fosse sovrano su ogni terra!

Lo Stato di Israele non si è mai dato confini, questo fa capire perché non l’hanno fatto:

 perché speravano di allargarsi contro tutte le regole del Diritto internazionale, contro tutte le regole della Convenzione di Ginevra.

– Potresti commentare la richiesta di mandato d’arresto della CPI per i leader israeliani e quelli di Hamas?

La prima cosa che va detta è che Hamas è un’organizzazione palestinese che ha scelto la via del terrorismo.

Ma è comunque una reazione a un’oppressione enorme.

Quindi va detto, tutto va detto, troppo comodo sottacere che i palestinesi sono occupati, colonizzati, discriminati, segregati.

 

Le condizioni [tra Israele e Hamas, n.d.r.] sono assolutamente diverse:

uno ha perpetrato il ruolo di carnefice, si è appropriato di terre non sue, le ha colonizzate e ha sottoposto il popolo colonizzato a vessazioni inaudite;

l’altra è una reazione a questa situazione.

E se nella reazione sono stati perpetrati crimini, vanno individuati, stigmatizzati e condannati, ma tenendo conto della situazione, se no si fa la solita retorica, la solita ipocrisia.

I palestinesi si difendono da un’aggressione israeliana ultracinquantennale fatta di ogni sorta di crimini, vessazioni, devastazioni.

 Non si possono mettere sullo stesso piano. Anche se ci sono crimini commessi da Hamas non sono paragonabili.

Gli israeliani sono i carnefici perduranti – parliamo di oltre 56 anni – e i palestinesi, dopo aver subito di tutto e di più, hanno reagito.

Ora, se anche loro nella loro reazione hanno espresso comportamenti criminali, questo va stigmatizzato, ma considerando che è una reazione a una situazione di oppressione inenarrabile e perdurante da quasi 6 decenni, ininterrottamente.

 

Però gli USA, che fanno sanzioni a tutti, non hanno fatto altro che perpetrare guerre criminali con uccisioni di civili e violazione di ogni regola del Diritto Internazionale.

Sono decine e decine di guerre in tutto il Novecento che gli americani hanno perpetrato:

 guerre criminali con prezzo pagato dai civili.

 

Israele non avrebbe subito il 7 ottobre se da così tanti anni i palestinesi non fossero stati costretti a vivere in una prigione a cielo aperto subendo ogni forma di vessazione, di negazione dei propri diritti.

 

– Potrebbe essere la fine dell’impunità per Israele?

 

Io mi auguro che venga dato inizio a un processo di demolizione e trasformazione di quello che è stato finora; cioè gli israeliani hanno perpetrato violazioni del Diritto Internazionale e crimini di guerra, avendo garantita l’impunità.

Mi auguro che i governanti e i membri dell’apparato militare sappiano che è finita l’impunità.

L’impunità l’hanno garantita gli americani, che sono complici allo stesso titolo!

Si rendano conto che è finita!

 

La grande parte dell’umanità non accetta più queste cose. Perché i Paesi che hanno riconosciuto che lo Stato di Palestina debba avere gli stessi diritti degli altri Stati e degli altri popoli costituiscono la stragrande maggioranza dell’umanità. È finita l’epoca del dominio israeliano che ha garantito impunità a Stati Uniti e Israele!

 

Io spero che subiscano un giusto processo e che vengano condannati per ciò che hanno fatto:

 crimini contro l’umanità e crimini di natura genocida.

Io spero che sarò ancora vivo quando finirà l’egemonia degli USA, che ha provocato così tanti crimini!

Certo, non sono stati solo gli americani e gli Occidentali a perpetrare crimini.

Ma mi auguro che finisca la leggenda dei buoni e dei cattivi!

Dell’Impero del bene e dell’Impero del male!

Che gli americani vengano finalmente giudicati per quello che hanno fatto.

– Da ebreo e da uomo di grande saggezza quale sei, come immagini si possano interrompere le ostilità e cominciare delle trattative di pace?

 

Tutti quelli che ritengono di avere responsabilità, devono accettarle e accoglierle perché questo le riporta in un contesto di rispetto universale.

Bisogna affidarsi a uomini che non siano piegati a una volontà di mortificare l’avversario.

 C’è una grande differenza fra il concetto di pace e pacificazione, quella pacificazione – in inglese “appeasement”- di cui sappiamo a seguito della I Guerra Mondiale.

Una vera pace, non può che fondarsi sul concetto di giustizia e di pari dignità degli interlocutori, altrimenti non si può fare la pace.

 Ecco quale fu l’errore di Versailles nel Primo Dopoguerra:

quello di mortificare i tedeschi, accusandoli di essere stati gli unici responsabili, gravandoli con delle condizioni infernali, umiliandoli, e questo ha favorito la Seconda Guerra Mondiale!

Ma non è una cosa che si dice ex post:

qualcuno l’aveva capito già allora, nel Primo Dopoguerra, come il grande economista inglese “John Maynard Keynes”:

aveva lasciato le trattative di pace a cui era stato chiamato, dicendo:

“Queste non sono trattative di pace, questa pacificazione prepara una nuova guerra.”

 Ed è stato proprio così!

Per la Palestina, che viene oltretutto da anni di occupazione delle terre da parte israeliana, ci vorrebbe proprio un grande colpo di reni da parte di una nuova dirigenza israeliana, che si renda conto che non si può andare avanti così, perché sarà il male di Israele, non solo dei palestinesi, che sono le vittime, evidentemente.

Non dire queste cose non aiuta la pace:

 nulla più della verità aiuta la pace e la presa di consapevolezza da parte di chi impedisce anche solo il costituirsi di un’ipotesi di pace.

(Intervista di Veronica Tarozzi a Moni Ovadia).

(pressenza.com/it/2024/06/nulla-piu-della-verita-aiuta-la-pace-moni-ovadia-su-israele-il-mandato-di-arresto-per-netanyau-e-la-risoluzione-del-conflitto/).

 

 

 

Tra unanimità e clausola di condizionalità:

 qual è il ruolo per i valori europei oggi?

   Geopolitica.info - DAVIDE ZAMPOLI – (16/06/2023) – ci dice:

 

“L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.

Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

Oggi questi valori sono la bussola delle istituzioni europee, eppure potrebbero essere in contrasto con alcuni obiettivi dell’Unione Europea.

Con queste parole, l’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea (TUE; 2007) sancisce i valori fondamentali dell’UE, i quali hanno carattere vincolante per gli Stati membri: è necessario rispettarli se si vuole far parte del sistema comunitario.

 

Come ogni altra disposizione di legge, l’articolo citato ha bisogno di un sistema sanzionatorio-coercitivo con il quale tutelare chi dovesse essere leso da un comportamento contrario a quanto previsto dalla norma.

Questo è contenuto all’interno dell’Art. 7 TUE:

“Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni”.

In poche parole, attraverso un procedimento cui partecipano tutte le istituzioni politiche europee, è possibile definire la violazione dei valori fondamentali e conseguentemente adottare una serie di misure sanzionatorie.

Negli ultimi anni alcuni Paesi membri sono stati accusati di non rispettare detti valori.

 In particolare, Ungheria e Polonia hanno fatto sollevare non poche preoccupazioni riguardo il rispetto della “rule of law” (stato di diritto) nei loro sistemi giudiziari, la cui indipendenza dal potere esecutivo è dubbia.

 

Tuttavia, l’Art. 7 non è mai stato attivato.

Come mai le istituzioni europee non hanno intrapreso le iniziative legittime per contrastare la deriva illiberale di Ungheria e Polonia?

 Per poter attivare la disposizione richiamata il Consiglio europeo necessita un voto unanime con l’esclusione dello Stato imputato.

Di conseguenza, Polonia e Ungheria si sono supportate nell’impedire l’attivazione della procedura nei loro confronti:

qualora uno dei due Stati fosse stato imputato, l’altro avrebbe esercitato il proprio diritto di veto derivante dalla formula dell’unanimità.

Tale situazione ha aperto un dibattito all’interno delle istituzioni Europee su come rafforzare i valori dell’Unione nei sistemi giuridici nazionali.

Data la sostanziale inapplicabilità dell’Art. 7, nel 2020 la Commissione europea ha proposto l’adozione di un regime generale di condizionalità:

 un meccanismo che correla il rispetto dell’Art. 2 con l’erogazione dei fondi comunitari.

 Il Regolamento 2020/2092 entrato in vigore il 1° gennaio 2021 ha concretizzato questo meccanismo.

 

Di conseguenza, qualora la Commissione europea dovesse ritenere che il budget comunitario possa essere speso in maniera non trasparente, a causa del non rispetto dell’Art. 2, è autorizzata a sospendere parzialmente o completamente l’erogazione dei fondi europei verso lo Stato imputato.

Tale decisione deve essere poi approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata. In altre parole, la Commissione può tagliare le linee di credito fornite dai fondi strutturali europei a Paesi non in linea con i valori fondamentali dell’Unione.

 

Il 18 settembre 2022 la Commissione ha fatto ricorso alla c.d. clausola di condizionalità per la prima volta sanzionando l’Ungheria.

La proposta presentata è stata il congelamento del 65% dei fondi di Coesione destinati a Budapest (EUR 7.5 mld).

Successivamente, nel dicembre 2022 il Consiglio ha approvato il congelamento di 6.3 mld di euro dei fondi comunitari destinati all’Ungheria, autorizzando anche il fermo dei fondi Next Generation EU.

Si è trovato in una situazione simile uno dei principali alleati di Orban: Varsavia.

La Polonia ha, infatti, accesso a 36 mld di euro da Next Generation EU e circa 75 mld dalla politica di coesione per il periodo 2021-2027 (il Paese UE che ne usufruisce maggiormente).

Come nel caso ungherese, il 17 ottobre 2022 la Commissione ha dichiarato che la Polonia non avrebbe più ricevuto finanziamenti europei finché il ruolo della “rule of law” non sarà ristabilito.

Queste misure hanno funzionato?

 L’Unione Europea ha trovato uno strumento utile per assicurare l’adesione ai valori fondativi?

 

Parzialmente sì.

Difatti, il tema principale su cui la Commissione europea ha stabilito il mancato rispetto dell’Art. 2 nei paesi di Visegrad è la commistione tra potere esecutivo e potere giudiziario.

In altre parole, l’indipendenza del sistema giudiziario dal governo non è sufficiente in Polonia e Ungheria, e di conseguenza i cittadini sono impossibilitati a far valere pienamente i propri diritti.

Sotto questo profilo, Varsavia e Budapest hanno recentemente avviato i lavori parlamentari per riformare i propri sistemi di giustizia, promettendo maggiore trasparenza e compliance con le linee guida segnalate dalle istituzioni UE.

 La commissione si è detta ben disposta a scongelare gradualmente i fondi qualora le misure sopracitate venissero approvate e fossero ritenute sufficienti.

 

Nonostante questo apparente successo, il regime generale di condizionalità presenta dei lati controversi.

 

Il primo riguarda la definizione degli standard da rispettare e l’influenza di altre situazioni negoziali sugli stessi.

Come detto, la Commissione europea scongelerà i fondi al raggiungimento di certi standard da parte di Polonia e Ungheria.

Nondimeno, questi obiettivi sono stati calmierati grazie ai negoziati tra Paesi membri riguardo le sanzioni UE applicati alla Russia.

Difatti, essendo le sanzioni uno strumento di politica estera, esse vanno decise con voto unanime di tutti gli Stati UE.

 Inoltre, lo strumento delle sanzioni è caratterizzato dalla sua temporaneità e di conseguenza ogni sei mesi i pacchetti di sanzioni UE devono essere votati all’unanimità e nel caso aggiornati.

Su questo tavolo negoziale Orban si è mosso per mitigare gli effetti del regime generale di condizionalità legando il suo voto favorevole alle sanzioni ad uno scongelamento parziale del credito europeo bloccato.

Con il protrarsi della guerra in Ucraina, la questione delle sanzioni sarà sempre di maggior rilievo.

L’UE sarà chiamata a dimostrare fermezza e responsabilità continuando a supportare le misure decise.

Tuttavia, questo permetterà ai Paesi europei di avere un tavolo negoziale su cui forzare benefici nei loro confronti legando il proprio appoggio alle sanzioni a sconti sull’implementazione di altre policy europee.

Il secondo profilo problematico riguarda la conflittualità tra la clausola di condizionalità ed altre policy europee di grande rilevanza.

Difatti, i fondi di coesione garantiscono la principale linea di credito per garantire l’implementazione di diversi programmi UE.

Si prenda, a titolo di esempio, la mobilità sostenibile.

Come conosciuto, l’elettrificazione dei veicoli è uno dei principali obiettivi del Green deal europeo.

Sotto questo profilo, diverse città polacche hanno utilizzato i fondi di coesione per poter modernizzare i mezzi pubblici e offrire autobus di linea elettrici.

In generale, il secondo obiettivo della politica di coesione (in termini di budget dedicato) è il finanziamento di progetti atti a facilitare il raggiungimento degli obiettivi ambientali dell’Unione.

 

Di conseguenza, se l’approccio intrapreso per rafforzare il rispetto della “rule of law “in Europa rimarrà il congelamento dei fondi, questo potrebbe impedire alle comunità degli Stati accusati di raggiungere quegli obiettivi per cui i fondi Europei sono fondamentali.

La conflittualità risulta evidente:

se si sceglie di bloccare i fondi si rallentano i lavori in campi con risvolti strategici come la transizione verde e l’indipendenza energetica.

Questo darà grande spazio negoziale agli Stati sotto accusa nel definire gli standard minimi da raggiungere per poter godere nuovamente dei fondi destinati loro, minacciando di ritardare ulteriormente lo sviluppo dei progetti legati a obiettivi UE.

Tuttavia, essendo l’Art. 7 TUE inutilizzabile finché i Paesi di Visegrad si copriranno a vicenda, e non potendo modificare i Trattati senza il supporto di tutti gli Stati UE, un meccanismo amministrativo come la clausola di condizionalità rappresenta una misura innovativa.

 Il regime di condizionalità risulta il ‘migliore dei mali.

Nonostante questo, le situazioni contingenti storiche e la conflittualità con altri obiettivi essenziali per l’Unione pongono i valori europei in seconda luce al rispetto delle misure di contenimento contro la Russia e altri obiettivi strategici.

 Il futuro dei valori europei rimane incerto in un momento in cui, forse, alcune contingenze geo-strategiche vengono percepite come maggiormente salienti. Tuttavia, il mancato rispetto dei principi UE potrebbe depotenziare la reputazione dell’Unione nel mondo.

 

 

 

UE rafforza la sua protezione

dalla coercizione economica.

Regione.toscana.it – Redazione – (16 -12-2021) – ci dice:

 

La Commissione europea ha proposto un nuovo strumento per contrastare l'uso della coercizione economica da parte dei paesi terzi.

Si tratta di uno strumento giuridico creato per reagire alle pressioni economiche cui l'UE e gli Stati membri sono stati intenzionalmente esposti negli ultimi anni. Rafforza l'insieme di strumenti a disposizione dell'UE consentendole di difendersi meglio sulla scena mondiale.

L'obiettivo è dissuadere i paesi terzi dal limitare o minacciare di restringere gli scambi o gli investimenti per provocare cambiamenti nelle politiche dell'UE in ambiti quali la politica fiscale, la sicurezza alimentare o i cambiamenti climatici.

Eventuali contromisure adottate dall'UE sarebbero messe in atto se non c'è altro modo per affrontare l'intimidazione economica, che può assumere molte forme, come l'uso esplicito, da parte di paesi terzi, della coercizione e degli strumenti di difesa commerciale contro l'UE, l'esecuzione di controlli selettivi alle frontiere o sulla sicurezza alimentare di merci provenienti da un determinato paese dell'UE o anche il boicottaggio di merci aventi una determinata origine.

 Con tale strumento si mira a preservare il diritto legittimo dell'UE e degli Stati membri di compiere scelte politiche e di prendere decisioni e a prevenire gravi interferenze nella sovranità dell'UE o degli Stati membri.

Questo nuovo strumento permetterà all'UE di rispondere ai casi di coercizione economica in modo strutturato e uniforme.

È oggetto di un quadro legislativo specifico che garantisce prevedibilità e trasparenza, sottolineando l'adesione dell'UE a un approccio basato su norme, anche a livello internazionale.

 

L'UE si impegnerà direttamente con il paese interessato per porre fine all'intimidazione economica.

Se quest'ultima non cessa immediatamente, il nuovo strumento consentirà all'UE di reagire con rapidità ed efficacia, fornendo una risposta su misura e proporzionata per ogni situazione, dall'imposizione di dazi alla restrizione delle importazioni dal paese in questione, da restrizioni sui servizi o sugli investimenti a misure per limitare l'accesso del paese in questione al mercato interno dell'UE.

La proposta dovrà essere discussa e approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell'Unione europea.

Nei prossimi due mesi le parti interessate e i cittadini potranno fornire ulteriori riscontri, sui quali la Commissione UE riferirà al Parlamento e al Consiglio.

 

 

 

Il Patto per la migrazione dell’UE:

un pericoloso regime di sorveglianza

delle persone migranti.

Meltingpot.org – (8 MAGGIO 2024) – Redazione – ci dice:

 

 

La coalizione #ProtectNotSurveil:

una nuova era mortale di sorveglianza digitale.

In una dichiarazione congiunta diverse organizzazioni che aderiscono alla coalizione #ProtectNotSurveil criticano il nuovo Patto UE su migrazione e asilo da una prospettiva digitale, guardando all’intersezione tra migrazione e digitalizzazione.

 «Il Nuovo Patto», scrivono, «inaugura una nuova era mortale di sorveglianza digitale, ampliando l’infrastruttura digitale per un regime di frontiera dell’UE basato sulla criminalizzazione e la punizione delle persone migranti, rifugiati e richiedenti asilo».

 

Il 10 aprile 2024, il Parlamento europeo ha adottato il” Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo”, un pacchetto di riforme che amplia la criminalizzazione e la sorveglianza digitale delle persone migranti.

Nonostante i ripetuti avvertimenti delle organizzazioni della società civile, il Patto “normalizzerà l’uso arbitrario della detenzione per motivi di immigrazione, anche per bambini e famiglie, aumenterà la profilazione razziale, utilizzerà le procedure ‘di crisi’ per consentire i respingimenti e rimpatrierà le persone nei cosiddetti ‘Paesi terzi sicuri’, dove rischiano di subire violenze, torture, e detenzioni arbitrarie.“

Il Nuovo Patto UE inaugura una nuova era mortale di sorveglianza digitale, ampliando l’infrastruttura digitale per un regime di frontiera dell’UE basato “sul criminalizzare e punire i migranti e le persone razzializzate“.

La presente dichiarazione illustra come il quadro generale consentirà e in alcuni casi imporrà l’impiego di tecnologie e pratiche di sorveglianza dannose contro i migranti.

 Evidenziamo, inoltre, la presenza di alcune zone grigie in cui il Patto lascia aperta la possibilità di ulteriori sviluppi dannosi in futuro che includono pratiche invasive e violente di sorveglianza e trattamento dei dati.

Il Patto sulla Migrazione consente la sorveglianza digitale delle persone migranti.

Mentre alle frontiere e nei centri di detenzione verrà impiegata una tecnologia più invasiva, i dati personali delle persone verranno raccolti in massa e scambiati tra le forze di polizia da una parte all’altra dell’UE, e i sistemi di identificazione biometrica verranno utilizzati per tracciare gli spostamenti delle persone e aumentare i controlli di polizia nei confronti dei migranti privi di documenti.

Il Nuovo Patto sulla Migrazione imporrà tutta una serie di sistemi tecnologici per identificare, selezionare, tracciare, valutare e controllare le persone che entrano o sono già in Europa.

Questi sistemi rafforzeranno uno status quo già crudele.

 I decisori politici europei hanno scelto per anni di trattare il movimento delle persone in Europa principalmente come una questione di sicurezza.

 I risultati sono i molto limitati percorsi sicuri e regolari per fare ingresso in Europa, la diffusa criminalizzazione della maggior parte di coloro che compiono il viaggio, e lo sfruttamento sistematico e la discriminazione verso coloro che già vivono qui.

Gli investimenti in tecnologie per sostenere questo sistema già dannoso saranno a beneficio principalmente delle aziende del settore tecnologico e della sicurezza che raccoglieranno i frutti finanziari di questa politica, spingendo al contempo le persone verso rotte più pericolose e dando maggior spazio alla profilazione razziale alle nostre frontiere e nelle nostre comunità.

Ecco i principali modi in cui il “Patto sulla Migrazione” crea un pericoloso sistema di sorveglianza dei migranti:

 

I migranti come sospetti: un vasto regime di monitoraggio digitale.

Il” Patto sulla Migrazione” estende un ampio sistema di raccolta e scambio automatico di dati, portando a un regime di sorveglianza di massa dei migranti.

Le modifiche al “Regolamento Eurodac” imporranno la raccolta sistematica dei dati biometrici dei migranti (che ora includono anche le immagini del volto), che saranno conservati in enormi database fino a 10 anni, scambiati in ogni fase del processo migratorio e resi accessibili alle forze di polizia di tutta l’Unione europea per scopi di tracciamento e controllo dell’identità.

 

L’età minima per la raccolta dei dati è stata abbassata da quattordici a sei anni, con la possibilità di ricorrere alla coercizione in caso di fallimento dei metodi “adatti al bambino”.

Inoltre, le nuove procedure di screening e le procedure di frontiera  (Regolamento sullo screening) imporranno vari controlli di sicurezza e valutazioni di tutte le persone che entrano in Europa in modo irregolare, anche per chiedere asilo, con un potenziale processo decisionale automatizzato e basato sull’intelligenza artificiale.

Queste procedure richiederanno che i dati personali e biometrici di ogni persona che entra nell’UE siano sottoposti a controlli incrociati con molteplici database nazionali ed europei di polizia e immigrazione, nonché con i sistemi gestiti da Europol e Interpol, aumentando la possibilità di repressione transnazionale dei difensori dei diritti umani.

 

Le persone identificate come “rischio per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico” saranno sottoposte a procedure di frontiera accelerate con minori garanzie per il trattamento della domanda di asilo (Regolamento sulle Procedure di Asilo e Regolamento sulle Procedure di Rimpatrio).

I concetti di sicurezza nazionale e ordine pubblico non solo sono pericolosamente vaghi e indefiniti, lasciando ampia discrezionalità agli Stati membri, ma aprono anche la strada a pratiche potenzialmente discriminatorie nelle procedure di screening, utilizzando la nazionalità come sostituito per la razza e l’etnia in queste valutazioni.

Inoltre, anche le famiglie con bambini e i minori non accompagnati potrebbero essere trattenuti nelle procedure di frontiera, con un elevato rischio di detenzione di fatto.

Nel contesto delle procedure di asilo, il Patto renderà possibili pratiche tecnologiche invasive in varie fasi del procedimento di asilo.

 Il regolamento sulle procedure di asilo prevede un aumento delle perquisizioni degli oggetti personali, aprendo la strada a pratiche invasive come l’estrazione dei dati dai telefoni cellulari, che comporta il sequestro e l’analisi di dispositivi elettronici personali (come telefoni o laptop) per estrarre dati che possono essere utilizzati per trovare prove al fine di valutare la veridicità delle dichiarazioni (ad esempio, per la richiesta di asilo) o per verificare la loro identità, età o Paese di origine.

 

Tali pratiche invasive sono state contestate con successo in Germania e nel Regno Unito, ma continuano a essere utilizzate in diversi Paesi europei. Inoltre, il regolamento sulle procedure di asilo consente anche di utilizzare colloqui a distanza e videoconferenze per le persone in detenzione e durante la procedura di appello.

Questo non solo solleva problemi di privacy e di protezione dei dati, ma aumenta l’isolamento di persone che si trovano già in una situazione di vulnerabilità e rischia di influire negativamente sulla qualità e sull’equità delle procedure.

 

Gestione tecnologica delle strutture carcerarie per migranti.

Le nuove procedure di screening e di frontiera porteranno un numero maggiore di persone, tra cui bambini e famiglie, a essere trattenute in strutture detentive simili a prigioni, sul modello del “Centro Chiuso ad Accesso Controllato (CCAC)” già in funzione in Grecia. 

Questi centri sono caratterizzati da sensori di movimento, telecamere e accesso tramite impronte digitali, definendo un sistema di gestione digitale delle strutture per l’immigrazione che si basa sulla sorveglianza ad alta tecnologia per monitorare e controllare le persone.

 In base al Patto, si prevede che almeno 30.000 persone saranno sottoposte a “procedure di frontiera” in qualsiasi momento, che probabilmente comporteranno la detenzione o la restrizione della libertà personale.

Lungi dal considerare la detenzione come “ultima risorsa“, in modo agghiacciante il Patto prevede l’espansione della detenzione in tutta Europa.

 

Profilazione razziale abilitata dalla tecnologia alle frontiere interne dell’UE.

Accanto al Patto sulla Migrazione vi sono altre modifiche legislative alla politica migratoria dell’UE.

La riforma del Codice delle frontiere Schengen, che sarà adottata il 24 aprile 2024, generalizzerà i controlli di polizia ai fini dell’applicazione della legge sull’immigrazione,

 facilitando la pratica del profiling razziale all’interno del territorio dell’UE.

Questa nuova legge incoraggia un maggiore uso delle tecnologie di sorveglianza e monitoraggio alle frontiere interne ed esterne.

Tecnologie come droni, sensori di movimento, termo camere e altre vengono utilizzate per identificare le persone che attraversano le frontiere prima dell’arrivo e hanno dimostrato di facilitare i respingimenti.

 

Aprire la porta a una futura espansione del complesso di sorveglianza delle frontiere.

Il Patto sulla Migrazione si basa sui quadri normativi esistenti che regolano l’uso della sorveglianza digitale nella migrazione.

La legge dell’UE sull’intelligenza artificiale introduce un quadro indulgente per l’uso dell’IA da parte delle forze dell’ordine e delle agenzie di controllo dell’immigrazione e di sicurezza nazionale, fornisce scappatoie e incoraggia persino l’uso di pericolosi sistemi di sorveglianza sui soggetti più marginalizzati dalla società.

In questo quadro, combinato con il Patto sulla Migrazione e i nuovi sviluppi esistenti nella tecnologia di sorveglianza, possiamo aspettarci:

Profilazione automatizzata e valutazioni del rischio per controlli di sicurezza e vulnerabilità, al fine di facilitare le decisioni relative alle procedure di asilo, alle valutazioni di sicurezza, alla detenzione e alla deportazione dei migranti.

Il Patto allude a numerosi casi in cui possono essere utilizzati processi decisionali basati sull’intelligenza artificiale, ad esempio durante la procedura di screening per valutare se una persona rappresenta un “rischio per la sicurezza nazionale” o una minaccia per la “sicurezza pubblica“, o per valutare il livello di vulnerabilità di un richiedente asilo.

 Ciò non solo può portare a numerose violazioni degli obblighi di protezione dei dati e violazioni della privacy, ma viola per sua natura il diritto alla non discriminazione, nella misura in cui codifica ipotesi sul legame tra dati personali e categorie con particolari rischi.

L’introduzione della valutazione automatizzata nelle procedure di asilo comporterà una riduzione delle tutele e delle salvaguardie, e un ulteriore allontanamento dal principio per il riconoscimento della protezione internazionale della valutazione caso per caso, individualizzata e basata sulle specifiche esigenze.

 

● L’uso di strumenti di previsione che si basano su dati statistici distorti raccolti sugli ingressi irregolari e sulle domande di asilo per tentare di prevedere i movimenti di persone su larga scala, e che possono essere utilizzati per orientare le azioni sul campo per scoraggiare o bloccare tali movimenti.

 Uno strumento simile è stato testato nel progetto ITFlows di Horizon 2020.

 

Rilevatori di menzogne che hanno la pretesa di capire se qualcuno è sincero analizzando i movimenti del viso, che sono pericolosi e inaffidabili tanto da essere vietati dalla legge europea sull’intelligenza artificiale, tranne che nei contesti di frontiera e polizia.

 

● Sistemi di riconoscimento dialettale e altre tecnologie intrusive utilizzate nel contesto delle domande di asilo o di visto, per valutare la veridicità delle dichiarazioni dei richiedenti. Questa tecnologia, oltre a rafforzare un quadro generalizzato di sospetto nei confronti delle persone che chiedono asilo, si basa su presupposti discriminatori, non scientifici e spesso distorti che formano le decisioni del mondo reale, che impattano in modo dannoso sulla vita delle persone.

 

● Tecnologie di sorveglianza delle frontiere, come l’identificazione biometrica a distanza nelle aree di confine, i droni e le telecamere termiche per impedire l’attraversamento delle frontiere all’interno dell’Unione europea.

Mentre alcune tecnologie di sorveglianza sono già in uso, un’ampia gamma di sistemi viene massicciamente testata in progetti finanziati dall’UE come FOLDOUT Solution, ROBORDER, BorderUAS, Nestor. Il loro utilizzo alle frontiere interne è incoraggiato dal Codice delle frontiere Schengen.

 

Cosa succederà in seguito?

Nella sua versione finale, il Patto rappresenta l’ulteriore radicamento delle tecnologie di sorveglianza nell’UE, e non solo, come parte sempre più importante del suo arsenale per sostenere la Fortezza Europa.

Rappresenta quindi un’ulteriore erosione dei diritti fondamentali e la normalizzazione della sorveglianza digitale alle frontiere e all’interno delle stesse, giustificata da un approccio alla politica migratoria basato sulla repressione piuttosto che sui diritti.

Come coalizione #ProtectNotSurveil, continueremo a contestare l’uso delle tecnologie digitali nei diversi livelli delle politiche e delle pratiche dell’UE e a sostenere la possibilità per le persone di muoversi e di cercare sicurezza e opportunità senza correre il rischio di subire danni, sorveglianza o discriminazione. La coalizione pubblicherà a tempo debito un’analisi più dettagliata degli impatti digitali del “Patto sulla Migrazione”.

 

 

 

 

Il Governo fa cassa

coi gioielli di famiglia.

  Partitosocialista.it – (06/04/2024) - Enzo Maraio – ci dice:

 

Nemmeno un governo che si dice sovranista, come quello di Giorgia Meloni è in grado di rilanciare i gioielli di famiglia.

Dal suo insediamento ad oggi, questo Esecutivo ha saputo solo dimostrare di non avere una visione industriale affidandosi al bancomat delle privatizzazioni.

Poste, Eni, Ferrovie, Raiway, il sistema portuale, Tim;

nulla sembra salvarsi dalla nuova ondata di cessioni sul mercato.

Un errore nel metodo e nel merito, perpetuato negli anni anche dai governi di centrosinistra che, sbagliando, hanno avviato la totale svendita di aziende statali fiori all’occhiello dell’economia nostrana e principali fautori del “miracolo italiano”.

Un esempio su tutti.

A fine novembre, la cessione del 25% di Mps.

Una cessione avvenuta a 2,92 euro, senza che ci fossero vincoli stringenti da Bruxelles per le tempistiche.

 Oggi i titoli valgono quasi un euro in più.

Sarebbe bastato aspettare qualche mese e lo Stato avrebbe ricavato oltre il 10 per cento in più dall’operazione.

 E invece nulla.

 In questi giorni il Tesoro ha svenduto un altro 12,5% di Mps.

 Atti sciagurati, quelli commessi dal governo Meloni, che sta offrendo affari d’oro a fondi speculativi stranieri.

 E lo si fa in barba anche a quel becero principio di nazionalismo, valore fortemente radicato nella cultura politica di destra.

Principi sventolati, come tavole sacre, in campagna elettorale solo per dare propano ad un elettorato rimasto congelato.

 È chiaro che senza una visione strategica non si va da nessuna parte.

Senza cioè un piano serio per il recupero (vero) dell’evasione fiscale, senza alcuna revisione della spesa pubblica.

 Semplicemente colpendo i più poveri e senza introdurre una corretta politica industriale, capace di determinare crescita economica, occupazione e risoluzione delle tante crisi aziendali aperte.

In un momento storico in cui sarebbe il caso di avviare un piano di rilancio del Paese, si preferisce affidarsi alla solita minestra riscaldata che ci fa perdere il controllo di interi asset strategici, realizzando la privatizzazione di aziende partecipate pubbliche al solo scopo di fare cassa e senza alcuno significato strategico.

 Il tutto, per la sola gestione della spesa corrente.

 E così la nostra economia groviera, mostra i segni dello sfascio, con ricadute pesanti su occupazione e servizi.

Peraltro, i risultati sono sotto gli occhi di tutti:

 organici ridotti, lavoro precario e parcellizzato, part-time involontari, appalti e subappalti al massimo ribasso, bassi salari e lavoro insicuro rappresentano le emergenze

frutto di politiche che hanno svalorizzato il lavoro e la dignità dei lavoratori. Un’emergenza per la quale bisogna intervenire utilizzando tutti gli strumenti democratici a disposizione.

 

 

 

 

Democrazia Futura. Il rilancio

del bipolarismo come habitat mentale.

Keybiz.it - Celestino Spada – (10 Maggio 2023) – ci dice:

 

L'Italia e la sfida delle riforme dopo l’elezione di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico.

La riflessione di Celestino Spada.

Celestino Spada torna sulla novità del quadro politico italiano “Dopo l’elezione di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico” in un mini saggio “Il rilancio del bipolarismo come habitat mentale. 

 “L’elezione di una donna a segretario nazionale del Pd – scrive Spada – non ha mancato di richiamare il fatto che da qualche mese è una donna a guidare il governo italiano, Giorgia Meloni, leader del centro-destra:

 quasi una risposta da parte del “popolo” delle primarie Pd a una conquista storica delle donne italiane e del nostro paese, realizzata dal centrodestra.

Nessuno può dire se e quanto questo ha contato nel voto per Elly Schlein, ma in ogni caso, quale ne sia stata la valenza emulativa, è un fatto che oggi due donne sono alla guida degli schieramenti politici la cui alternanza al governo ha caratterizzato (con qualche pausa recente) gli ultimi trent’anni della nostra storia”.

Il caso ha voluto che, nelle ore in cui veniva scelto, con le ‘primarie’ del 26 febbraio 2023, il nuovo segretario nazionale del Partito Democratico, sulla costa calabrese della Penisola siano venuti ad approdare, trovandovi anche la morte in una tempesta di vento e di mare, decine di disperati – uomini, donne, bambini – in fuga dall’Afghanistan, dal terremoto, dalle guerre da tempo in corso in Turchia e in Siria.

Si sono così proposte sui nostri media – all’attenzione di animi più o meno disposti ad essere coinvolti – immagini e grida di dolore di persone che si aggiungono a quelle che, da decenni, regimi politici, guerre e situazioni di sottosviluppo a noi vicine e remote inducono a rischiare la vita attraversando con ogni mezzo il Mediterraneo.

E subito si è imposta la situazione di “emergenza” con i suoi caratteri ineludibili in termini di tempo, attenzione e impegno richiesti alle istituzioni – dal ministero degli Interni alla magistratura, alle amministrazioni locali, alla sanità – tutte seguite da presso dai media e incalzate dalle polemiche nell’opinione e a livello politico-parlamentare.

 

Nulla più di questa tragedia poteva fare di nuovo presente a Elly Schlein, uscita vincitrice dalle urne, questo aspetto non secondario del contesto nel quale è chiamata a operare nella sua nuova responsabilità, un aspetto a cui dal febbraio 2022 è venuta ad aggiungersi la situazione di opinione e di scelte e confronto politico conseguente all’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia – per richiamare l’altro fattore esogeno di prima grandezza che caratterizza in questa fase la vita del nostro Paese e che ne condizionerà il futuro almeno immediato.

Tanto più se si considera il discorso nel quale il presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, a Varsavia, il 21 febbraio 2023, ha annunciato che la Nato tutta intera (e quindi anche l’Italia) è entrata in guerra al fianco dell’Ucraina – una “svolta”, per molti commentatori.

Sicché è facile prevedere che nel nostro spirito pubblico, accanto ai fattori domestici e identitari attivati dagli sbarchi e da quel che ne seguirà in termini di accoglienza o non accoglienza, di aumento dei clandestini e di politiche europee al riguardo, verranno sempre più a definirsi i connotati italiani delle reazioni e degli schieramenti già attivati nei diversi Paesi della piattaforma continentale europea – nell’Unione europea in particolare – fino a poco tempo fa ben ferma e oggi posta sui rulli dello scorrimento verso ovest o verso est dall’evoluzione di quella guerra.

La risposta del “popolo” delle primarie: una donna alla guida del principale partito della sinistra.

 Nessuno può dire se e quanto questo ha contato nel voto per Elly Schlein, ma in ogni caso, quale ne sia stata la valenza emulativa, è un fatto che oggi due donne sono alla guida degli schieramenti politici la cui alternanza al governo ha caratterizzato (con qualche pausa recente) gli ultimi trent’anni della nostra storia.

Come anche è un fatto che, nel contesto mediale e sociale dominante della politica personalizzata, lo scrutinio della loro vita e delle loro scelte private non mancherà (già accade) di rilevarne differenze e affinità che peseranno, con la loro valenza simbolica, nella formazione della loro immagine sociale e culturale:

ciò che avrà il suo ruolo nella formazione e nella conquista del consenso politico attorno a ciascuna di loro e al partito e allo schieramento che rappresentano.

Di questo lavorio personale e mediatico si sono avuti accenni fin dalle prime ore, risultando la storia e l’immagine di Giorgia Meloni più consona agli elementi più comuni e condivisi, che accompagnano la percezione di una donna da sempre (anche) sulla scena politica, di quanto possa risultare a prima vista la newcomer Elly Schlein con le sue scelte personali private.

Un fatto – che anche componenti dell’entourage di quest’ultima si sono premurati di sottolineare – che non si sa quanto possa risultare in un vantaggio competitivo per Giorgia Meloni, data la grande varietà attuale delle percezioni e sensibilità personali e “di massa” alle questioni di genere e la fluidità delle opinioni su di esse, come si può quotidianamente verificare per esperienza diretta e nell’offerta mediale con i suoi risultati di pubblico (non ultima, e al massimo livello della popolarità, la recente edizione del Festival di Sanremo).

 

Piuttosto, stando così le cose e tali rimanendo prevedibilmente per un non breve periodo di tempo, viene da pensare che, con l’avvento di due donne nei ruoli apicali della politica italiana, si è determinata una situazione culturale e istituzionale nuova che potrebbe indurre l’Italia a rinnovare ai governanti della Repubblica Islamica dell’Iran la richiesta di un deciso cambiamento delle leggi e delle scelte di governo e di polizia nei confronti delle donne – richiesta già fatta dal Presidente Sergio Mattarella, fra i pochi statisti nel mondo a esprimere ad essi l’indignazione e l’insofferenza che suscita  anche in Italia quanto succede in quel paese nei confronti di metà del genere umano.

 

Il PD nel suo primo quindicennio da Veltroni a Bersani, da Renzi a Zingaretti: un soggetto politico o “uno spazio politico dove ognuno esercita il suo protagonismo?”

Insieme al loro esito le “primarie” del Pd hanno fatto notizia per l’affluenza al voto, maggiore di quella prevista, quasi a indicare per alcuni una controtendenza rispetto all’astensione-record registrata nelle elezioni politiche del settembre 2022. A parte l’aspetto fantasioso di questo confronto, più interessante è il nesso che si è voluto vedere fra l’affluenza alle urne delle “primarie”, la consistenza e la cogenza del mandato politico affidato dal “popolo” al segretario così eletto e la leadership effettiva, il governo, del Pd.

 Qui la storia è andata, come si sa, in un’unica direzione – da Walter Veltroni, plebiscitato nel 2007, con il suo programma di governo, da oltre tre milioni di voti e dimissionario poco più di un anno dopo, senza motivazioni pubbliche nelle sedi del partito o altrove, e da Pierluigi Bersani, eletto alle “primarie” del 2009 e del 2012 e sconfessato nel 2013 da 101 fra parlamentari e rappresentanti regionali del Pd nel corso dell’elezione del presidente della Repubblica (anche qui senza motivazioni pubbliche), a Matteo Renzi, eletto nelle primarie del 2013 e sconfitto nel referendum istituzionale del 2016 con il contributo di alcuni fra i maggiori esponenti del gruppo dirigente del Pd, poi anche usciti dal partito, a Nicola Zingaretti, eletto nel 2019 e dimissionario due anni dopo con una lettera resa pubblica di critica della vita interna del partito e di denuncia delle priorità che egli ha visto orientare le scelte dei suoi massimi dirigenti.

Un’esperienza quindicennale a senso unico per la quale vale ancora il quesito posto dall’onorevole Pierluigi Bersani dopo il voto dei 101:

“Vogliamo essere un soggetto politico o uno spazio politico dove ognuno esercita il suo protagonismo?”.

E che egli, con la consueta onestà intellettuale, è venuto a ricordare (anche) alla nuova segretaria quando ha enunciato il “dover essere” del Pd nel quale, con la elezione di Elly Schlein, è rientrato:

“I meccanismi con i quali abbiamo fatto i congressi lasciano un inespresso sul piano politico… non c’è stato un confronto di merito sui nodi veri… un partito plurale esiste se si può discutere di politica.”

 

Che cosa è stato e sia il Pd, nel contesto della “partitocrazia senza partiti” (Mauro Calise) succeduta alla “prima repubblica”, resta materia di riflessione.

Qui importa prendere atto che dalla nuova segretaria chi l’ha sostenuta e votata si attende una iniziativa politica e alleanze che segnino il rilancio del bipolarismo che ha caratterizzato la seconda repubblica e, con esso, dell’orizzonte mentale duale “amico/nemico”, che nelle menti e nei cuori degli italiani è stata la struttura portante dell’assetto della rappresentanza politica nazionale per quasi trent’anni.

L’assetto che ha assicurato (anche) alle forze raccolte nel Pd, insieme, il riferimento ad esse del loro insediamento sociale e culturale e la possibilità concreta, vincendo le elezioni, di accedere ai ruoli di governo, offerta dalla “democrazia dell’alternanza” come portato inevitabile del sistema elettorale maggioritario.

 

La fine del bipolarismo del sistema politico italiano in un contesto di crescita continua di disaffezione al voto.

Anche senza considerare che, nel corso degli anni, proprio il sistema elettorale è stato modificato in senso più o meno proporzionale per iniziativa e con il consenso, in pratica, di tutte le forze politiche in Parlamento, il fatto di cui si deve prendere atto da almeno un decennio è la fine del bipolarismo del sistema politico italiano: acquisita nel voto popolare e nel confronto parlamentare, in crescita nell’informazione e nei processi di formazione dell’opinione pubblica, aperta, con l’affermazione elettorale e la leadership di Fratelli d’Italia, nel centrodestra oggi al governo, a una nuova, diversa caratterizzazione della rappresentanza sostenuta dal voto maggioritario degli italiani.

 

Sul primo versante, dopo le elezioni del 2008, che assicurarono al centro-destra la più grande maggioranza parlamentare nella storia della Repubblica, è stato più o meno rapido ma continuo lo smottamento del consenso fino ad allora raccolto dai due poli – prima sul versante del centrodestra, come evidenziato dai risultati elettorali del 2013, poi su quello del centrosinistra – con l’affermarsi nelle urne del Movimento5stelle, un “non-partito” che dopo il successo del 2018, nel giro di tre anni, e in tutta la scorsa legislatura, è riuscito a esprimere in Parlamento due maggioranze di governo con formazioni opposte (la Lega di Matteo Salvini, una volta, e il Pd e i vari gruppi della sinistra, l’altra) e a farsi parte di un’altra maggioranza ancora, a sostegno di un terzo governo, quello presieduto da Mario Draghi.

Nel contesto della crescita continua dell’astensione per la quale, nel 2022, la maggioranza (e poi il governo) uscita vincente dalle elezioni è espressa da meno del trenta per cento dell’elettorato.

La prospettiva di recupero del ruolo politico del Pd affidata al rilancio del bipolarismo anche con la “costruzione di un campo largo”, come si dice, e la conquista di nuovi consensi nella società e nelle urne, se punta al voto giovanile, mira soprattutto a ridurre l’area dell’astensione dal voto.

 Un obbiettivo, questo, più che problematico dal momento che una rinnovata offerta politica del Pd continuerebbe ad essere respinta o a lasciare indifferenti gli ex-elettori del centrodestra – per la impermeabilità reciproca di opinioni e scelte di voto dell’elettorato dei due poli (un dato costante nell’analisi dei flussi elettorali dell’ultimo decennio) – mentre rischia  di apparire una minestra riscaldata ai suoi ex-elettori passati all’astensione o ad altre scelte, e di non risultare “nuova” stanti gli esponenti politici e l’orizzonte mentale da essi riproposto.

In concreto, oltre che affidarsi alle alee del confronto politico e delle scelte cui è e sarà chiamato il governo del paese, l’obiettivo del rilancio del bipolarismo tiene fermo e conta soprattutto sulla persistenza del contesto politico-culturale nel quale viviamo da quasi trenta anni.

Durante i quali (come di rado è avvenuto nella loro storia unitaria, e senz’altro in quella della Repubblica) gli italiani si sono trovati a condividere forse al massimo grado i caratteri dello spirito pubblico e le prassi dominanti la stessa “società civile”, per il ruolo che la politica ha assunto nella nostra vita quotidiana, dei singoli come delle collettività.

Non sono molti, a questo proposito, i contributi di analisi e riflessioni maturati all’interno degli stessi partiti e schieramenti, ma è un fatto che, fin dagli anni Novanta, gli elettori, nella quasi totalità, insieme alla fiducia nei loro rappresentanti variamente dislocati sui versanti del maggioritario, non solo hanno condiviso l’universo mentale duale delle contese elettorali (l’“O di qua! O di là!” delle reti Fininvest dal 1993-1994) e ne hanno accettato e sostenuto, con il loro consenso, le ricadute degli esiti delle votazioni in termini di spoil system (“i pesi e le misure”, nella sintesi dell’onorevole Bersani) nelle istituzioni e nella società, ma, soprattutto, hanno assunto essi stessi identità, credito e influenza nei rapporti sociali, nell’economia e nelle istituzioni, in termini di “appartenenza”, “vicinanza”, “contiguità”, “riferimento” agli esponenti, alle componenti e agli schieramenti politici.

A partire dall’informazione e dalla comunicazione (nella Rai come nei media audiovisivi e a stampa privati), nelle istituzioni e organismi pubblici, nelle imprese, nelle professioni e nei mestieri, nella cultura, nella scuola, nelle università e nella sanità:

 la stragrande maggioranza delle persone si è definita, è stata o si è fatta accreditare in quei termini e la “lottizzazione” è diventata pensiero e logica organizzativa all’interno, e criterio di scelta e di decisione verso l’esterno, di istituzioni e organizzazioni pubbliche e private.

Il contesto – va ricordato, per concludere su questo punto – nel quale, dalla metà degli anni Novanta, nelle istituzioni e nel governo della Repubblica (da cui erano stati esclusi per mezzo secolo) hanno assunto piena cittadinanza i dirigenti e gli elettori di Alleanza Nazionale con le loro motivazioni e i loro obbiettivi.

 E nel quale, dal 2013, è stato possibile integrare gli eletti e gli esponenti del Movimento 5 Stelle, stemperando e assorbendo la valenza eversiva, “anti-sistema”, della loro genesi e ragion d’essere grillina.

 (Una cosa prevista dagli interlocutori di Antonio Polito che, in non dimenticati reportage da alcune città della Campania, nel 2018 riferiva sul Corriere della Sera di professionisti e docenti universitari orientati a votare per quel Movimento, “avendo già dato i partiti quello che potevano dare”.)

 

I media strutture portanti del bipolarismo inteso come habitat mentale e del ritorno dei “notabili.”

Com’è noto, sono stati i media, e la comunicazione da essi prodotta e proposta al pubblico, le strutture portanti e incessantemente attive del bipolarismo:

ben più dei partiti che, in varia misura, più che al loro insediamento territoriale e alle relazioni dirette con le persone, hanno affidato all’offerta mediale i loro rapporti con i cittadini/elettori, per conquistarne o mantenerne il consenso.

Con il risultato di promuovere e rendere dominante la “personalizzazione” mediale della politica e di riproporre sulla scena pubblica la figura dei “notabili”, ben radicati nel loro territorio, fonti e riferimento di dichiarazioni e “notizie” e “padroni” delle liste elettorali: la figura tipica dell’“Italietta liberale” prima dell’avvento dei partiti politici moderni, con il Psi, nel 1892.

(E forse anche la vicenda del Pd trova qui una sua chiave di lettura.)

 

Un rilancio del bipolarismo come habitat mentale, in cui si continui a proporre giorno dopo giorno il confronto sociale e politico, e come prassi in cui si coltivino e si formino opinioni e scelte politiche (quando il tutto non si riduca al semplice “posizionamento” sul “mercato politico”), verrebbe per lo meno a tener fermo quanto ha caratterizzato la comunicazione politica negli ultimi trent’anni.

E cioè una professione giornalistica esercitata a ridosso – più o meno – del personale politico e un’industria mediale che ha affidato il suo rapporto con il pubblico, e anche le sue prospettive di tenuta e di sviluppo economico, alle dinamiche competitive in cui maturano e si coltivano le simpatie e le affinità, se non anche i processi di identificazione attivati dall’“O di qua! O di là!”.

 Con esiti deficitari in termini di percezione della realtà, come si rese evidente nel 2012, quando i media, che avevano salutato il “ritorno della politica” dopo la parentesi (da loro stessi mal sopportata) del “governo dei tecnici” presieduto da Mario Monti, scoprirono nelle urne elettorali che milioni di cittadini avevano smesso di votare per entrambi i poli.

E nel 2014, quando le retate disposte dalla Procura della Repubblica di Roma (qualificate dai nostri media “Mafia Capitale”) portarono alla ribalta relazioni e intrecci fra esponenti politici, settori della pubblica amministrazione (al centro e nei municipi) e malavita che nonostante la loro frequentazione quotidiana e ravvicinata dei politici quasi nessun giornalista a Roma aveva prima percepito.

Un orizzonte mentale e una prassi, in ogni caso, che hanno pregiudicato la formazione e lo sviluppo di una opinione pubblica maturata e in grado di compiere scelte politiche in base alla considerazione del merito delle proposte e alla verifica dell’azione dei governi:

una “vera” opinione pubblica, nutrita dal sentimento della comune cittadinanza, a fondamento della nostra democrazia, come ci hanno promesso a suo tempo, con la “fine delle ideologie”, i seppellitori della “prima repubblica”.

 

Il ritorno di una politica improntata al perseguimento dell’interesse della collettività?

In ogni caso, dal 2018, stante la conferma e anzi il primato elettorale di un terzo polo e, nel corso dei mesi e degli anni, con la girandola delle alleanze parlamentari e il mutare dei governi, è venuto (sta venendo) meno, anche nell’offerta dei media, il carattere bipolare del sistema politico per la ricerca più o meno decisa di nuove priorità della loro agenda e di nuovi soggetti sociali e culturali coinvolti nella loro offerta, insieme e grazie ai quali assumere essi stessi, fornendole al loro pubblico, informazioni e verifiche delle scelte e dei risultati di una politica che sia sottratta ai personalismi e riportata alla sua ragione e dovere essere, in termini di bene comune.

 Una disposizione degli intelletti e degli animi e un’esigenza di fondamento oggettivo e di verifica di validità del servizio reso alle loro audience, e alla collettività nazionale, che prima l’emergenza della pandemia da COVID-19, con il bene primario della salute di ciascuno e di tutti messo a rischio, poi l’imperativo di una quanto più rapida ripresa dell’economia, con il più vasto possibile sostegno alle imprese e al lavoro, e ancora poi le opportunità offerte dai finanziamenti del PNRR dell’Unione Europea hanno imposto – più o meno, fossero o meno disposti – a tutti.

 

“C’è voluta la mano di Dio” perché il perseguimento dell’interesse della collettività – di ciascuno e di tutti – si imponesse come ragion d’essere e criterio di valutazione delle proposte e dei risultati dell’azione politica, nonché della organizzazione e dell’attività della pubblica amministrazione.

Un riassetto di priorità e di criteri ad oggi non si sa quanto condiviso nelle stesse classi dirigenti e a livello “di massa”, di cui sembrano tornati ad essere parte integrante la qualità e l’apporto del lavoro e gli obbiettivi di crescita economica e sociale del Paese dopo trent’anni di stagnazione se non di regresso.

 

Una “svolta”, forse, di cui sembra prova anche l’attenzione e il favore diffuso che ha accompagnato nei media l’attività del governo presieduto da Mario Draghi (senza confronto con quanto avvenne nel 2011-12 con il governo Monti), sulla cui solidità, allo stato, nessuno può scommettere dato che, tuttora, l’offerta mediale è impegnata nella “campagna elettorale permanente che da trent’anni caratterizza la nostra vita pubblica” (Angelo Panebianco), con i “borsini elettorali” dei vari partiti, rilevati dai sondaggi e pubblicati a cadenza settimanale.

 

La riaffermazione del principio dell’elezione popolare come criterio di investitura

E una svolta, in ogni caso, di cui non ha potuto non prendere atto l’onorevole Giorgia Meloni, attenta a quanto realizzato se non anche al consiglio di Mario Draghi quando, dall’opposizione, riaffermava il principio della elezione popolare come criterio di investitura della potestà di governo nella nostra democrazia, ed oggi con la continuità rispetto a quell’esperienza di alcune fra le più rilevanti scelte del governo da lei guidato.

 

Sarà interessante, già nei prossimi mesi, osservare quali caratteri assumeranno il confronto, se non anche la lotta politica fra il Pd, il maggior partito di opposizione, guidato da Elly Schlein e la maggioranza di centrodestra che sostiene ed esprime il governo presieduto da Giorgia Meloni.

Una “new comer”, tutto sommato, della politica nazionale e una politica di lungo corso, esponente di un “movimento” chiamato trent’anni fa dal monopolista della televisione privata nazionale a far massa nelle urne per “impedire la vittoria dei comunisti” realizzando in Italia la “rivoluzione liberale”, che si è emancipata da quella condizione servente quando si è resa evidente nelle urne elettorali del 2012 la crisi del centrodestra, ha raccolto attorno a sé militanti, quadri e dirigenti di un “partito” nuovo e ha vinto le elezioni politiche del 25 settembre 2023, leader della stessa coalizione in cui era stata ammessa per far numero.

 

Fratelli d’Italia, un partito nazionale distinto dal partito personale di Berlusconi nel centro-destra.

Nel libro, estremamente sorvegliato nel linguaggio, con cui l’attuale Presidente del Consiglio aveva voluto presentarsi al pubblico dei lettori (dieci edizioni fra maggio e giugno 2021)[, si rende evidente che, fin dal nome, il partito da lei fondato e guidato segna una netta presa di distanza dall’orizzonte mentale delle identità contrapposte (spesso soltanto “posizionamenti”) che hanno caratterizzato il sistema politico bipolare italiano.

 

Fratelli d’Italia lancia un ponte “di là” del dualismo amico-nemico che ha segnato la seconda repubblica.

Lo fa come partito nazionale nello stesso centro-destra, distinguendosi dal partito personale di Silvio Berlusconi e dalla Lega Nord, che negli anni ha saputo offuscare il suo originario carattere divisivo dell’unità e della comunità nazionale entrando nella rete delle alleanze elettorali e dello spoil system di governo.

 E lo fa, nel segno dell’Italia, rispetto alle formazioni raccolte nel centro-sinistra, il cui “popolo” è oggettivamente assunto a interlocutore, appunto, “fraterno”.

Certo, una parte che si identifica con la bandiera nazionale – in questo caso addirittura con l’appello iniziale dell’Inno di Mameli – mette per ciò stesso gli “altri”, tanto più i loro avversari politici, nella condizione di essere contro l’unità del popolo italiano sotto l’insegna nazionale.

Questo, lo si voglia o no – questa retorica – nella nostra storia, ha un precedente sul versante di destra del Diciannovismo, per richiamare le riflessioni di Pietro Nenni sulle origini del fascismo.

E si capisce l’allarme antifascista che ha accompagnato i primi mesi del governo presieduto da Giorgia Meloni, anche in presenza di assalti alle persone di diverso orientamento e di manifestazioni che di “fraterno” hanno davvero poco, da parte di organizzazioni o di gruppi che al suo partito fanno riferimento.

In ogni caso, non ci vorrà molto per capire quanto siano sincere e conseguenti le assicurazioni degli esponenti di Fratelli d’Italia circa il rispetto della legge (anche) a questo proposito e le responsabilità istituzionali che ne conseguono per la premier e il suo governo.

E per vedere in che misura e rilievo gli obiettivi dichiarati di contrastare il declino demografico dell’Italia, di rilanciare  l’occupazione, in particolare femminile, di riproporre la “crescita”, la “modernizzazione” e lo “sviluppo” dell’Italia quali obbiettivi primari dell’azione di governo – in dichiarata continuità con quello presieduto da Mario Draghi – insieme alla evocazione del ruolo delle imprese pubbliche nello sviluppo di produzioni e infrastrutture di rilievo strategico per il nostro Paese (anche nel contesto europeo – una nota che mancava da anni nelle prime dichiarazioni di un presidente del consiglio in Parlamento circa la sua responsabilità in proposito) – si concretizzeranno in scelte legislative coerenti e nel perseguimento effettivo di questi obiettivi.

Parole e impegni di cui è difficile negare la novità da parte di un leader di centrodestra in Italia, nei quali si avverte la presenza, nel gruppo dirigente che si è stretto attorno a Giorgia Meloni, di esponenti e quadri dell’impresa pubblica e della politica da tempo ai margini, se non esclusi dai ruoli di governo.

Un fatto che si è reso particolarmente evidente nella sola enunciazione – in sede di presentazione del suo governo alle Camere – di un “Piano Mattei per l’Africa”, un nome (quello di Enrico Mattei) forse mai fatto da un leader di partito e da un Primo Ministro italiano da sessant’anni, in quella circostanza.

 E un’idea, un progetto, che già nei primi mesi di governo sembra costituire la cornice strategica – e il frame comunicativo – degli incontri e dei viaggi di Stato della premier e che viene a costituire un ancoraggio di prima grandezza delle priorità e delle scelte alle quali il nostro Paese è chiamato dalla sua collocazione nel Mediterraneo e dalla guerra in Europa.

 Gli elementi del contesto nel quale Elly Schlein è venuta ad assumere il suo nuovo ruolo, e da cui ha preso avvio questo articolo.

(mondoperaio.senato.it)

 

 

 

 

Chi è Keir Starmer? Il nuovo primo

ministro britannico è complesso,

inconoscibile, offensivo.

Politico.eu - TANYA GOLD – (5 LUGLIO 2024) – ci dice:

 

Un viaggio verso nord con il leader più potente del Regno Unito da una generazione.

“Keir Stormer”, un avvocato per i diritti umani di una cittadina nel sud dell'Inghilterra, è il nuovo primo ministro del Regno Unito. L

a sua vittoria del 4 luglio è stata schiacciante.

Eppure la Gran Bretagna sa a malapena chi è.

Stormer è in politica da soli nove anni e, da quando è stato incoronato leader del partito laburista del Regno Unito nel 2020, ha guidato il suo partito dalla peggiore sconfitta elettorale degli ultimi quasi un secolo fino a diventare la forza dominante nella politica britannica.

Oltre a ciò, il suo successo — proprio come gli alleati occidentali flirtano con il populismo — lo colloca immediatamente tra i leader di centro più in vista al mondo.

 Potrebbe essere un posto solitario, alla fine dell'anno.

Pochi pensavano che una tale trasformazione fosse possibile.

I suoi nemici la chiamano fortuna: dicono che ha tratto beneficio dalla calamità dei Tory (e in effetti è così) e che è vincitore per impostazione predefinita.

La verità è più curiosa e impressionante.

A 61 anni, Stormer ha una lunga storia alle spalle. Suo padre era un attrezzista silenzioso e autoritario.

(Stormer ci ricorda il mestiere del padre così spesso che la classe politica, e a volte gli elettori, lo prendono in giro per questo.)

 Sua madre era un'infermiera, con la malattia debilitante di Still.

Lo chiamarono così in onore di Keir Hardie, il primo leader del partito laburista.

Eccelleva a scuola. Suonava il flauto e il football — uno delicato, l'altro selvaggio — e divenne avvocato.

 I suoi fratelli lo chiamavano "Super boy".

Era socialista, stava passando alla sinistra soft, e quando il leader laburista di estrema sinistra Jeremy Corbyn cadde nel 2019, Stormer si candidò alla leadership del partito su una piattaforma sfacciatamente di sinistra, facendo 10 promesse per fare appello agli accoliti del suo predecessore.

Una volta al potere, li scartò tutti, tranne l'ultimo, per fornire un'opposizione efficace.

 I corbynisti e gli antisemiti furono espulsi dal partito.

Stormer dice ora che il Covid-19, l'Ucraina e lo stato delle finanze pubbliche gli impediscono di procedere con la sua piattaforma originale.

La verità è che voleva vincere le elezioni generali e non esiste un percorso socialista per arrivarci in una monarchia costituzionale.

"Sono all'opposizione da nove lunghi anni", mi ha detto Stormer a gennaio. "Questo non sta cambiando le vite. Abbiamo dovuto prendere il partito laburista e letteralmente capovolgerlo. Abbiamo perso la strada fino al 2019 come partito, abbiamo perso la strada, abbiamo perso l'orientamento".

Lo ha pensato anche lui all'epoca? "Sì", ha detto, e si è subito spostato.

 

Stormer ha esiliato Corbyn dal partito, anche se in segreto lo odiava (Stormer ha una moglie per metà ebrea e l'antisemitismo era dilagante nel partito laburista sotto il suo predecessore), non lo ha mai detto apertamente.

Nel cuore dei conservatori.

Ho incontrato Stormer su una banchina ferroviaria per un breve tour di Milton Keynes, una nuova città a nord di Londra.

L'obiettivo di Stormer per questo viaggio è la criminalità, la strategia del Labour è quella di aggirare i Torie nelle loro solite aree di battaglia.

 Ovunque possibile, Stormer sta di fronte alle Union Jack.

Stormer afferma ora che il Covid-19, l'Ucraina e lo stato delle finanze pubbliche gli impediscono di procedere con la sua piattaforma originale.

Lui spingeva la sua valigia.

La sua voce è calma e piatta; il suo atteggiamento è diffidente, quasi timido.

 Una donna ha esclamato: "Buona fortuna con le elezioni", e si è mostrata sorpresa di sé.

 È imbarazzante vedere Stormer ricevere un complimento: come un appuntamento andato male.

 

"Non riesco a credere che siano passati quattro anni", ha detto della sua leadership.

Gli ho detto di aver visto il suo discorso alla conferenza del Partito Laburista del 2021.

 "L'anno in cui abbiamo approvato le modifiche alle regole", ha risposto, cogliendo subito di mira il funzionale.

Ci dirigiamo verso un Hilton, un generico hotel aziendale collegato, stranamente, a uno stadio di calcio.

È la sede dei Milton Keynes Dons, che un tempo erano il Wimbledon FC, con sede nel sud di Londra.

Hanno alienato i tifosi più accaniti per trasferirsi in quartieri migliori.

Quella sera, mentre Stormer parlava in un teatro di crimini da coltello, una donna svenne.

 Sentimmo vetri infranti e un leggero tonfo quando cadde a terra. Il pubblico — laburista, preoccupato — si fermò e aspettò che Stormer prendesse la parola.

 

"... Penso che sia svenuta", ha detto Stormer alla fine, anche se non sono riuscito a vedergli la faccia.

Non era su un palco ed è alto 1,73 m.

Poi ha detto: "Abbiamo un agente di polizia molto esperto..." e se n'è andato.

 

Mi sono chiesto cosa avrebbe fatto “Tony Blair “con questa scena. Saltare giù dal palco (avrebbe avuto un palco) e prenderla tra le braccia?

 Sorridere? Piangere?

Parlare di quella volta che una volta è svenuto durante un discorso?

"Il gatto è ancora morto."

“Tom Baldwin”, il giornalista che ha scritto " Keir Stormer: The Biography ", paragona lo stile di Stormer al modo in cui un padre potrebbe sbarazzarsi di un gatto di famiglia.

"Keir torna dal giardino e dice, 'il gatto è morto', e non ha molta voglia di parlarne.

Ma Tony Blair direbbe, 'quello era il gatto più bello che abbiamo mai avuto! Non è stato meraviglioso, e non dovremmo parlare di più del gatto?'

Hanno stili molto diversi ma alla fine della giornata", — Baldwin fa una pausa — "il gatto è comunque morto".

Stormer non ama i comizi: è troppo cauto, troppo timido, e l'unica volta in cui è sbocciato a un comizio è stato per un errore.

Alla conferenza del partito laburista del 2023, un uomo ha lanciato dei brillantini su Stormer sul palco ed è stato portato via dalla sicurezza, urlando.

Nelle fotografie, che mostrano Stormer sotto un arcobaleno di brillantini, mentre ci prova — è Super boy! — alla fine sembrava interessante.

 

Di solito ha la meglio sui manifestanti: fa loro da genitore. (I meme di Stormer come un padre crociato ma giusto sono ovunque).

Quando un padrone di casa lo ha buttato fuori da un pub a Bath nel 2021, urlando con rabbia sulle restrizioni dovute alla pandemia, Stormer gli ha restituito con calma gli occhiali (perché li aveva?) e se n'è andato.

Era chiaramente furioso.  Ma gli ha dato gli occhiali.

A Milton Keynes ho visto Stormer ospitare una "colazione per leader" in una sala con vista sullo stadio di football.

Stormer ha chiesto ai candidati locali e ai loro ospiti (insegnanti, imprenditori, operatori di beneficenza e sanitari) le loro preoccupazioni.

"Le posizioni migliori nascono dall'ascolto", mi ha detto. "Coloro che hanno interessi in gioco lo sanno meglio. Ci credo molto".

Hanno detto che la criminalità stava aumentando vertiginosamente; c'era un uso aperto di droga per strada; le ragazze non uscivano di giorno a causa delle molestie.

C'era stato un aumento del 48 percento nell'uso delle mense dei poveri a livello locale; 3.700 famiglie nella zona non potevano permettersi di accendere il riscaldamento.

Non c'erano risorse per gestire la crescente violenza domestica;

 c'era un'attesa di due anni per una diagnosi di autismo;

i bambini venivano puniti piuttosto che ammettere che i loro genitori non potevano permettersi gli scarpini da calcio per le lezioni di sport a scuola.

 Stormer, calmo con penna e quaderno, sembrava agitato solo una volta: quando ha sbagliato un nome.

 Non gli piace fare errori.

Penso che l'archetipo di Stormer sia il figlio genitore: il soccorritore.

Stormer ha raccontato a Baldwin che, quando aveva 13 anni, i suoi genitori erano in ospedale e suo padre aveva telefonato a casa.

"Non pensava che la mamma ce l'avrebbe fatta.

Quella sera, ho pensato che avrei dovuto restare sveglio tutta la notte per fare la guardia nel caso in cui avesse telefonato di nuovo, ma alla fine devo essermi addormentato perché mi sono svegliato sentendo il rumore dell'auto di papà fuori casa nostra alle 7.30 del mattino".

 

Un adulto per tutta la vita.

Keir Stormer è stato direttore dell'ufficio pubblico delle accuse.

A scuola sventava i bulli: impediva loro di attaccare un bambino a una lapide con lo scotch.

 Il figlio genitore ha due difetti: una tendenza all'autoritarismo e, se il suo salvataggio viene sventato, la rabbia.

 

La sorella di Stormer

, Katy, ha detto a Baldwin: "Ha dovuto essere adulto per tutta la vita".

Ma c'è anche del romanticismo. Ama Mozart, il Northern Soul e, da giovane, l'eyeliner.

Le fotografie del giovane Stormer sono affascinanti.

Sembra affamato e afflitto.

"Tanta politica è stata uno spettacolo", mi ha detto Baldwin.

"Tony Blair con castelli di carta in aria che non andavano oltre l'impressione dell'artista.

[Boris] Johnson dava fuoco a tutto quello che avevamo.

Stormer spostava i mattoncini.

'Ne puoi avere uno qui e puoi metterne un altro qui e forse dovremmo capovolgerlo'.

È noioso da guardare ma alla fine, ti ritrovi con una fottuta casa".

Baldwin la chiama la "cupa, pragmatica determinazione" di Stormer.

Alla fine della colazione a Milton Keynes, che nessuno mangiò, andarono sul balcone a guardare lo stadio di football vuoto.

La politica del Labour ha molto in comune con il football, e questo tormenta il partito, e spiega in parte l'innato conservatorismo della sua campagna elettorale. Entrambe vi spezzeranno il cuore.

Quando sono state indette le elezioni il 22 maggio, Stormer è andato al quartier generale del partito laburista per parlare allo staff.

Ho visto un video. Lo staff si alza per salutarlo e applaudirlo.

Lui è in piedi, mani in tasca, testa bassa.

Stringe la mano destra nella sinistra, come se il peso del mondo fosse sulle sue spalle.

Ha fatto una videochiamata con il gabinetto ombra e ha detto loro che era il momento che aspettavano.

Poi è tornato a casa dalla sua famiglia nel nord di Londra (è sposato con un'impiegata del Servizio sanitario nazionale e hanno due figli, mai nominati pubblicamente) e ha mangiato lasagne.

La campagna si è concentrata sugli elettori indecisi nelle circoscrizioni marginali. Gli strateghi del Labour erano particolarmente ossessionati da Stevenage Woman, un'elettrice (immaginaria) quarantenne, con figli e un lavoro mal pagato. Si preoccupa del costo della vita, del National Health Service e dell'immigrazione. Pensa che Westminster sia banale.

"La cosa buffa", mi ha detto Josh Simons, un importante stratega del Labour, e ora parlamentare, "è che nel suo istinto Keir è esattamente come non solo gli elettori in generale, ma in particolare questo elettore bersaglio disimpegnato, che è scettico nei confronti della politica e della maggior parte dei politici".

Lo stesso Stormer mi ha detto:

"Sinceramente preferisco di gran lunga essere in viaggio a fare campagna elettorale piuttosto che trovarmi nell'ambiente molto più claustrofobico del parlamento, con due fazioni che si urlano contro in un'aula".

Stevenage Woman, c'est moi .

Benvenuti a Middleton.

Mentre visitavamo la filiale di Milton Keynes della YMCA, Stormer mi ha raccontato che l'estate scorsa è andato in vacanza in un villaggio nel Sussex chiamato Middleton-on-Sea. (Che nome!)

"Ogni volta che uscivamo per una passeggiata, la gente veniva da me, il che è positivo perché siamo in territorio conservatore", ha detto.

La gente parlava di mutui e fognature:

 "I temi erano assolutamente coerenti".

Ha detto che gli piace ascoltare gli elettori e lo ha dimostrato con un adagio:

"Ecco perché hai una bocca e due orecchie".

È curiosamente antiquato.

Ma poi Stormer aveva un padre che non gli permetteva di guardare la televisione. Stormer ha negoziato un'eccezione, il programma di sintesi calcistica della BBC "Match of the Day".

È diventato un tifoso di calcio per evitare conversazioni a scuola sulla TV che non aveva guardato.

Stormer ha detto che non vedeva l'ora di entrare al governo e che desiderava ardentemente porre fine "allo psicodramma autoindulgente del partito conservatore".

"Arrivano al potere, si infiltrano a Westminster e poi si mettono al lavoro vero e proprio, facendosi a pezzi a vicenda. Mentre ciò accade, il paese viene trascurato", ha detto.

Gli ho chiesto del personaggio principale di quello psicodramma dei Tory, Boris Johnson, il primo leader conservatore che Stormer ha affrontato.

"La maggior parte delle persone", si è corretto, "molte persone, dicevano che Johnson sarebbe stato primo ministro per 10 anni.

Non ci ho mai creduto. Ho sempre pensato che alla fine sarebbe stato il suo carattere a farlo cadere".

A Stormer non piacciono i comizi: è troppo cauto, troppo timido e l'unica volta in cui è sbocciato in un comizio è stato per un errore.

Il carattere è destino?

"Il carattere è destino", ha ripetuto, "e con lui, profondamente".

Ha lottato con i suoi avversari Tory, però.

Al primo dibattito della campagna elettorale, quando Rishi Sunak ha urlato che il partito laburista avrebbe aumentato le tasse di £ 2.000, secondo il servizio civile - un'affermazione che è stata dichiarata palesemente falsa dal servizio civile - Stormer ha risposto con un' espressione ferita .

I suoi occhi si sono spalancati come quelli di un bambino.

Ma la critica, dice, è come "l'acqua che cade dalla schiena di un'anatra".

Ha aggiunto: "Sono sempre stato così, ma non lo faccio per me stesso... Questa è una cosa più grande di me.

Si tratta di ciò che dobbiamo fare per il nostro Paese.

 E questo mi consente di andare avanti e di ignorare tutto ciò che mi viene lanciato contro".

 

Qualcosa? "Chiunque vinca le prossime elezioni si troverà di fronte a una terribile eredità", mi ha detto il professor “John Curtice”, il principale sondaggista britannico.

"Abbiamo esaurito la nostra carta di credito, abbiamo livelli record di tassazione, i servizi pubblici non funzionano, c'è pochissimo margine di manovra fiscale disponibile e l'economia è in stallo.

 Buona fortuna, ragazzi, nel cercare di risolvere questo problema". 

 

Inconoscibile, vincolato.

Ho visto Stormer visitare una stazione di polizia a Milton Keynes.

 È la più grande che abbia mai visto, ed è lì per Stevenage Woman, che non si sente al sicuro in questo mondo.

Abbiamo aspettato mentre Stormer aveva conversazioni private con gli ufficiali di polizia e gli venivano mostrate scatole di coltelli.

Faceva freddo e i corvi gracchiavano.

Un furgone che vendeva caffè trasmetteva la sigla del "Padrino", una delle canzoni di Stormer più belle che esistano, perché lui impara dai propri errori.

Mesi dopo, l'ho visto lanciare la sua campagna elettorale in una piccola sala di villaggio sulla costa meridionale dell'Inghilterra, con un vecchio sipario rosso davanti al palco.

Era deliberatamente anti-Blairiano, poco appariscente: ma i sondaggisti gli dicono che la donna di “Stevenage” ha paura della speranza.

C'era un'altra enorme Union Jack davanti alla tenda - ho scoperto che viaggia con lui in una scatola - e, in piccole lettere squadrate, la parola "CAMBIAMENTO".

Ha pronunciato il suo discorso elettorale:

una scelta tra 14 anni di declino sotto i conservatori e un rinnovamento nazionale con un partito laburista cambiato.

Stormer potrebbe essere un grande primo ministro laburista riformatore.

 Oppure potrebbe essere, come lo chiamano i suoi nemici frustrati, un Tory in rosso, che segue i piani di spesa dei Tory e si limita a giocare con i margini.

Oppure potrebbe essere abbattuto dall'economia malata, in fretta: non ha fazione nel Labour e se fallisce, non ha amici.

Credo di percepire qualcosa di più coraggioso e fantasioso.

 Il bambino staccato dalla lapide!

Gli occhiali!

Nessun leader laburista è arrivato al potere senza attrarre elettori che si sono spostati dai Tories, e quindi, per ora, è ambiguo; limitato.

Mi chiedo se lui stesso lo sappia già.

 Anche così, questa è stata una vittoria per la sua campagna, se non per la nostra politica.

 

 

 

 

Mentre Bruxelles è furiosa, Putin

accoglie Orbán come leader dell'UE.

Politico.eu – (5 luglio 2024) - CSONGOR KÖRÖMI – ci dice:

 

"Sono a vostra disposizione", afferma il presidente russo, mentre i leader europei criticano aspramente il primo ministro ungherese.

Al Cremlino, Orbán ha ringraziato il presidente russo per averlo accolto “in queste difficili circostanze”.

Venerdì il presidente russo Vladimir Putin ha dato un caloroso benvenuto al Cremlino a Viktor Orbán, salutando il leader ungherese come “presidente del Consiglio dell’Unione Europea”, anche se Bruxelles ha negato che Orbán rappresentasse i 27 paesi dell’UE.

Orbán è volato a Mosca solo pochi giorni dopo che l'Ungheria ha assunto la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell'UE.

Gli altri stati membri sono stati quasi unanimi nel condannare il viaggio, insistendo sul fatto che il leader ungherese non ha alcuna autorizzazione dal blocco per negoziare.

Quel rimprovero non turbò il presidente russo.

 

"Capisco che siete venuti qui non solo come nostro partner, ma anche come presidente del Consiglio dell'Unione Europea", ha detto Putin nel suo saluto.

 "Spero che saremo in grado di parlare delle nostre relazioni bilaterali in queste difficili circostanze, e parleremo della più grande crisi europea, la situazione in Ucraina", ha aggiunto.

"Sono a vostra disposizione e capisco che potreste sapere quali sono le mie posizioni su questo tema e quali proposte abbiamo avanzato", ha detto il leader russo a Orbán.

"Sono pronto a parlare di tutti gli aspetti della situazione e mi aspetto che condividerete con me la vostra posizione e la prospettiva dei partner europei".

 

I leader dell'UE erano furiosi.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha sottolineato che Orbán stava "viaggiando da Putin come primo ministro ungherese", non come inviato del Consiglio europeo.

Ciò ha riecheggiato il messaggio del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che ha scritto su “X”:

"La presidenza di turno dell'UE non ha alcun mandato per impegnarsi con la Russia per conto dell'UE".

Il Primo Ministro estone “Kaja Kallas”, che è in lizza per diventare il prossimo capo della diplomazia dell'UE, ha detto che Orbán " non rappresenta in alcun modo l'UE o le posizioni dell'UE" in visita a Mosca.

 "Sta sfruttando la posizione di presidenza dell'UE per seminare confusione", ha detto.

Orbán ha detto venerdì mattina che stava continuando una " missione di pace " che includeva anche una visita a Kiev martedì, dove il leader ungherese ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy.

 Ma il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha detto che non c'erano "segni che Putin fosse pronto a negoziare per la pace".

Al Cremlino, Orbán ha ringraziato il presidente russo per averlo accolto “in queste difficili circostanze”.

"Dal 2009, è il nostro 11° dialogo faccia a faccia.

Ma è un'occasione più speciale delle precedenti.

Come hai detto, l'Ungheria detiene la presidenza del Consiglio dell'UE dal 1° luglio", ha affermato il leader ungherese.

"Devo ammettere che il numero di paesi in grado di parlare con entrambe le parti in questa guerra sta lentamente scomparendo", ha detto Orbán nel suo discorso di benvenuto.

"Stiamo lentamente raggiungendo il punto in cui l'Ungheria è l'unico paese in Europa che può parlare con tutti gli altri paesi.

 E volevo approfittare di questa situazione per parlare con voi di questioni importanti per l'Europa".

Orbán in precedenza sembrava aver riconosciuto di non avere alcun mandato per negoziare.

 "Quello che sto facendo potrebbe sembrare un formato di negoziazione perché ci sediamo dietro un tavolo e discutiamo di questioni, ma non negoziamo", ha detto in un'intervista alla radio di stato ungherese venerdì mattina.

"Ecco perché non ho nemmeno bisogno di un mandato perché non rappresento nulla".

I suoi omologhi dell'UE la vedevano diversamente.

Come ha detto il Primo Ministro svedese Ulf Kristensen:

 "Invia un segnale sbagliato al mondo esterno ed è un insulto alla lotta del popolo ucraino per la propria libertà".

In una dichiarazione rilasciata ai giornalisti dopo l'incontro, Putin ha affermato che i leader hanno discusso delle relazioni UE-Russia, ma ha iniziato parlando delle questioni bilaterali tra Ungheria e Russia, per poi passare alla guerra in Ucraina.

Il presidente russo ha affermato che sono sempre stati aperti a una soluzione diplomatica e che la Russia è a favore di una "piena risoluzione del conflitto".

Ma ha sottolineato che intendeva un "pieno ritiro delle truppe ucraine" dalle quattro regioni ucraine che la Russia ha parzialmente occupato, cosa che Kiev respinge.

Nonostante le proteste dei partner europei di Orbán, i due leader hanno anche discusso delle relazioni tra Russia e Unione Europea, che secondo Putin sono "ai minimi storici".

Il leader russo ha affermato di vedere la visita di Orbán come un tentativo di "ripristinare il dialogo" tra gli attori internazionali.

Nel suo discorso, Orbán ha anche sottolineato che hanno “compiuto il primo importante passo verso il ripristino del dialogo” e ha affermato che “continuerà a lavorarci” durante i sei mesi di presidenza ungherese dell’UE.

Secondo Orbán, ha chiesto a Putin tre punti principali:

gli attuali piani di pace, la possibilità di un cessate il fuoco e il futuro del sistema di sicurezza europeo.

"Sono grato al presidente per la discussione aperta e onesta", ha detto Orbán.

"Ho imparato che le posizioni sono lontane tra loro".

 

 

 

 

Gli eurodeputati di destra detestano

il Green Deal, ma non hanno

un piano d’attacco.

Politica.eu – (3 luglio 2024) - LEONIE CATER, MARIANNE GROS E LOUISE GUILLOT- ci dicono:

 

La fazione in ascesa deve ancora offrire una strategia concreta. Non è nemmeno chiaro se tutti possano sopportarsi a vicenda.

"Non possiamo, come Europa da sola, imporre così tante regole alla nostra gente, che è come punirla e allontanare le nostre aziende perché non c'è più parità di condizioni",

 ha detto a POLITICO “Assita Kanko”, vicepresidente dell'ECR ed europarlamentare belga per il partito nazionalista fiammingo “Nieuw-Vlaamse Alliantie”.

La cosa difficile è come incanalare quell'odio.

Anche se gli scettici ambientalisti sono destinati ad arrivare al Parlamento europeo in numeri record, non esiste un piano evidente per trasformare la loro ira in azioni legislative, secondo le interviste con una mezza dozzina di eurodeputati dei gruppi di destra Conservatori e Riformisti Europei (ECR) e di estrema destra Identità e Democrazia (ID).

Le fazioni emergenti devono ancora decidere quali parti del Green Deal intendono affrontare, come lo faranno o se saranno in grado di collaborare.

La nuova eurodeputata belga di estrema destra “Barbara Bonte” ha dichiarato a POLITICO che il suo obiettivo è quello di “abolire” il Green Deal.

Ma pressata sui dettagli, Bonte, membro del partito separatista fiammingo “Vlaams Belang” (ID), ha semplicemente detto che avrebbe “votato contro ogni tipo di misura” e “ascoltato la gente”.

Anche se ci fosse un piano concreto, la destra incontrerebbe ostacoli significativi.

Gran parte del Green Deal è già scolpito nella pietra, il che significa che i suoi oppositori dovranno trovare modi creativi per rivedere le misure esistenti.

Anche i legislatori di” ECR” e “ID “spesso non vanno d'accordo:

 alcuni vogliono stare nella tenda politica mainstream, mentre altri storicamente lanciano bombe dall'esterno. 

 

“Estremamente conflittuali”: così l’eurodeputato “Pietro Fiocchi”, di Fratelli d’Italia (ECR), ha definito i suoi colleghi più a destra.

"Bisogna essere pragmatici e costruire una maggioranza se si vogliono ottenere risultati", ha aggiunto.

"Se si urla non si ottiene nulla nel Parlamento europeo".

Ambiente al manzo.

L'attacco agli ambientalisti è stato un elemento popolare (e drammatico) della retorica elettorale della destra.

I candidati fiduciosi si sono arrampicati per farsi dei selfie con gli agricoltori che protestavano sul sentiero di guerra del Green Deal, si sono lamentati erroneamente del fatto che Bruxelles sta cercando di costringere il blocco a mangiare vermi e, durante un discorso al Parlamento, hanno trionfalmente accartocciato un foglio di carta con la scritta "Green Deal" stampata sopra.

Ora stanno portando questa energia al Parlamento, dove la destra avrà un'influenza senza precedenti all'interno dell'organismo composto da 720 membri.

 

Partecipazione: 51,05% (+0,4%).

Parlamento europeo e POLITICO.

Insieme, i gruppi “ECR” e “ID” hanno vinto almeno 141 seggi, circa due dozzine in più rispetto alle ultime elezioni.

E potrebbero guadagnare ancora più membri, dato che una manciata di crociati anti-politiche verdi deve ancora unirsi a un gruppo politico.

La loro cautela verde troverà un orecchio più ricettivo in Parlamento che mai.

 Il Partito Popolare Europeo (PPE) di centro-destra, il gruppo più numeroso del Parlamento, è sempre più dubbioso sulle nuove norme e regolamentazioni ambientali.

 E l'Europa è sommersa da una reazione verde.

Le preoccupazioni sono state incentrate sulla competitività economica.

Le aziende europee stanno lottando per tenere il passo con gli Stati Uniti e la Cina, che stanno entrambi pompando denaro nella produzione e hanno regimi ambientali più flessibili.

"Non possiamo, come Europa da sola, imporre così tante regole al nostro popolo, che sarebbe come punirlo e allontanare le nostre aziende perché non c'è più parità di condizioni",

 ha detto a POLITICO “Assita Kanko”, vicepresidente dell'”ECR” ed eurodeputata belga per il partito nazionalista fiamming”o Nieuw-Vlaamse Alliantie” .

“Fiocchi “e “Bonte” hanno entrambi riecheggiato questi punti.

 Era anche la spinta di una mozione simbolica presentata dagli eurodeputati” ID” a febbraio per “abolire del tutto il Green Deal”.

 

Ma il “Green Deal” non se ne andrà:

 i suoi principi fondamentali hanno ampio sostegno.

E i sostenitori affermano che la transizione verde è in realtà il modo ideale per rendere l'Europa competitiva nell'economia di domani, che è legata alla corsa per la tecnologia rispettosa del clima.

Coreografare una risposta.

Annullare o revocare tali politiche sarà più facile a dirsi che a farsi, e sarà ancora più complicato se la destra non collaborerà.

Sia il gruppo “ECR” che quello “ID” sono ancora in evoluzione e si sentono incerti l'uno nei confronti dell'altro come partner di ballo.

Mentre alcuni membri dell'”ECR” hanno stuzzicato una collaborazione con “ID”, altri si stanno tirando indietro all'idea.

In generale, l'ECR è più interessato a cercare di convincere l'EPP a un'alleanza, il che richiede di mettere un po' di distanza tra sé e ID.

Gli eurodeputati del partito ID sono consapevoli di non avere nel gruppo ECR un alleato ideale.

Alla domanda se l'“ID” sarebbe disposto a collaborare con l'”ECR” per raggiungere i suoi obiettivi, l'eurodeputata francese “Mathilde Androuët”, membro del partito di estrema destra “Rassemblement National”, ha risposto:

 "Sì, penso di sì, ma su alcuni argomenti non credo che ci seguiranno tutti".

Ha aggiunto: "Su alcuni fascicoli ci saranno delle negoziazioni e la situazione potrebbe essere tesa".

Poi c'è un'altra carta jolly: Viktor Orbán.

Il leader ungherese sta lanciando una nuova alleanza di estrema destra "Patriots of Europe", che potrebbe attrarre grandi nomi dell'”ECR” e di altri gruppi, complicando ulteriormente qualsiasi grande piano.

Considerando tutte le parti in movimento, l'eurodeputata francese “Virginie Joron”, un altro membro del “National Rally”, ha ammesso che “ID” non si sta concentrando su una "strategia" più ampia per ora.

Sta anche contando sulle elezioni legislative francesi, che dovrebbero portare grandi guadagni all'estrema destra, costringendo più persone a lavorare con i suoi compagni.

Anche senza un piano concreto, alcune politiche verdi hanno già un bersaglio sulla schiena.

La politica agricola comune dell'UE, evidenziata da “Joron”, che stabilisce numerosi incentivi verdi per gli agricoltori, deve essere riformata nel 2027.

Ci sarà anche la possibilità nel 2026 di rivedere il divieto dell'UE del 2035 sulle vendite di auto tradizionali, e si sta creando slancio per rivedere la misura.

 La destra ha anche messo gli occhi sulla strategia "dal produttore al consumatore", il piano dell'UE per rendere i sistemi di produzione alimentare più sostenibili.

Poi ci sono le politiche verdi che devono ancora essere pubblicate o sottoposte a revisione nei prossimi anni.

 Ciò include le norme sulla sicurezza chimica, la tassazione del carbonio, i piani per ridurre le emissioni industriali e le restrizioni sulla plastica monouso.

L'eurodeputato ceco “Ivan David”, che fa parte del gruppo” ID”, ha affermato che "una parte sostanziale dei progetti del Green Deal dovrà essere annullata" se l'UE desidera un settore agricolo funzionante.

Ma, come alcuni dei suoi omologhi, non ha specificato quali politiche sarebbero state (o avrebbero potuto essere) prese di mira.

 

 

 

Cosa succederebbe se i ferventi

esponenti della destra italiana

e francese si unissero?

Politico.eu – (5 luglio 2024) – Giorgio Leali – ci dice:

Una volta in carica, l'italiana Giorgia Meloni ha moderato le sue posizioni. Marine Le Pen farà lo stesso?

Le ultime due volte che Marine Le Pen si è candidata alla presidenza, gli elettori francesi hanno giudicato le sue politiche di estrema destra così tossiche che tutti gli altri schieramenti dello spettro politico si sono uniti per tenerla fuori dalla carica.

Questa settimana, il suo partito “National Rally “ha fatto un grande passo avanti verso la presa del potere, arrivando primo in un'elezione nazionale per la prima volta nella sua storia.

 Domenica, nel primo turno di un'elezione parlamentare, il partito ha rastrellato più del 33 percento dei voti, ben prima di un'ampia alleanza di sinistra e del partito Ensemble del presidente francese Emmanuel Macron.

Il risultato promette di far sprofondare la Francia in un tumulto politico ed economico.

Ancora una volta, ci si aspetta che gli altri partiti del paese chiedano ai loro elettori di unirsi per impedire al” Raggruppamento Nazionale” di ottenere la maggioranza.

Il risultato più probabile del secondo turno del 7 luglio è un parlamento in stallo, ma non si può escludere un governo guidato dal protetto di Le Pen, Jordan Bardella, 28 anni.

 

L'ottima performance del “Raggruppamento Nazionale” apre anche la possibilità che Le Pen, che ha fatto campagna per prendere le distanze dalla NATO e dall'UE e ha promesso migliori relazioni con la Russia, possa finalmente candidarsi con successo alla presidenza nel 2027, scatenando un'onda d'urto in tutto il mondo occidentale.

Per l'establishment di Parigi e Bruxelles, la domanda scottante è se Le Pen pensi davvero quello che dice.

 In Italia, Giorgia Meloni, una focosa di destra diventata primo ministro nel 2022, si è rimodellata come leader conservatrice costruttiva, sostenendo l'Ucraina e lavorando a stretto contatto con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Se Le Pen venisse eletta presidente della Francia, settima economia mondiale e potenza nucleare, si potrebbe contare su di lei per una metamorfosi simile, un processo che la stampa francese ha soprannominato “mélonisation” ?

O più probabilmente punterebbe il suo potere appena acquisito ai due pilastri dell'ordine politico europeo?

Da Benito a Ursula: le radici neofasciste di Meloni.

Prima di diventare primo ministro, la biografia di Meloni non lasciava intendere che sarebbe stata osannata dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e corteggiata da alcune delle figure più importanti di Bruxelles.

La leader italiana ha mosso i primi passi in politica all'età di 15 anni, quando si è unita alla sezione giovanile di un partito politico neofascista il cui simbolo era la fiamma tricolore e che era stato fondato dopo la seconda guerra mondiale da un capo di stato maggiore dell'ultimo governo di Benito Mussolini.

 Era un'attivista adolescente quando, in una registrazione ormai famosa, ha affermato che il dittatore italiano era stato "un bravo politico".

Dopo essere stata eletta al parlamento nel 2006, è stata scelta da Silvio Berlusconi per ricoprire il ruolo di più giovane ministro italiano dalla fine della seconda guerra mondiale.

 Dopo la caduta del governo nel 2011, Meloni ha fondato il partito di estrema destra Fratelli d'Italia, scegliendo la fiamma tricolore come simbolo.

Ha trascorso la maggior parte del decennio successivo nel deserto politico, costruendosi un seguito con la retorica di estrema destra sull'immigrazione e sui diritti LGBTQ+ e frequenti attacchi a Bruxelles, Berlino e Parigi.

Ma mentre celebrava la vittoria elettorale di Vladimir Putin del 2018 come rappresentante "della volontà inequivocabile del popolo russo", ha cambiato rotta dopo l'invasione dell'Ucraina, diventando uno degli oppositori più accaniti del presidente russo prima di diventare primo ministro nel 2022.

“È cambiata, ma è fedele alla fiamma tricolore, c'è una certa fedeltà al neofascismo”, ha detto “Marc Lazar”, esperto di politica franco-italiana presso le università” Sciences Po” e “Luiss”.

Tuttavia, Meloni ha lavorato a stretto contatto con la NATO e l'UE, ha aggiunto.

Al contrario, Le Pen ha trascorso anni cercando di moderare la sua immagine. Dopo aver preso in mano il suo partito da suo padre, “Jean-Marie Le Pen”, un negazionista dell'Olocausto che una volta liquidò le camere a gas naziste come un "dettaglio" nella storia della seconda guerra mondiale, ha avviato un processo di de-demonizzazione, levigando gli angoli più duri del partito.

 

Ciò includeva l'espulsione del padre dal partito nel 2015, il suo nuovo nome e il reclutamento di Bardella come volto rispettabile del “Rassemblement National” .

Ciò che Le Pen non ha fatto, tuttavia, è stato abbassare la pressione sulla NATO e l'UE.

Mentre ha fatto marcia indietro sui precedenti appelli a lasciare l'UE o la sua area monetaria comune, non ha fatto mistero del suo disprezzo per Bruxelles e del suo desiderio di limitare i poteri della Commissione.

La piattaforma presidenziale di Le Pen per il 2022 includeva appelli alla Francia per uscire dal comando militare integrato della NATO.

E mentre ha condannato la guerra in Ucraina, il suo partito si è astenuto nelle votazioni chiave in Francia e nel Parlamento europeo per il sostegno a Kiev.

Un rapporto parlamentare francese del 2023 ha accusato il “Rassemblement National” di fungere da portavoce del Cremlino.

 

La de-demonizzazione di Le Pen.

Tuttavia, man mano che si avvicinava al potere, il “Raggruppamento Nazionale” ha cercato di minimizzare alcune delle sue promesse più radicali.

In vista delle elezioni di questa settimana, il partito di Le Pen ha lasciato intendere che probabilmente avrebbe fatto marcia indietro su alcuni dei suoi piani di spesa più sontuosi, tra cui l'impegno di abbassare l'età pensionabile a 60 anni.

Il partito ha anche rimosso silenziosamente parte della sua politica di difesa dal suo sito web, cancellando sezioni che proponevano di approfondire i legami diplomatici con la Russia, di interrompere i progetti di cooperazione con la Germania e di uscire dal comando militare integrato della NATO.

Bardella ora descrive la Russia come "una minaccia multidimensionale sia per la Francia che per l'Europa".

Parlando a POLITICO a marzo, Bardella ha detto che, sebbene il “National Rally” volesse ancora lasciare il comando integrato della NATO, lo avrebbe fatto solo dopo la fine della guerra in Ucraina.

 "Non si cambiano i trattati in tempo di guerra", ha detto Bardella.

"Le Pen ha chiaramente messo un po' d'acqua nel suo vino", ha detto “Thierry Chopin”, esperto dell'“Istituto Jacques Delors” e professore al” Collegio d'Europa”, anche se ha aggiunto che il “Raggruppamento Nazionale” mantiene ancora quelle che ha descritto come alcune "posizioni radicali", come la convinzione che il diritto francese dovrebbe avere la precedenza sulle norme dell'UE.

Alcuni hanno interpretato il riposizionamento di Le Pen come un'indicazione del fatto che il leader dell'estrema destra francese intende seguire l'esempio di” Meloni “e collaborare con l'UE e la NATO, anziché contro di loro.

 

 

“Si può fare un parallelo con il governo Meloni”, ha detto “Francesco Saraceno”, professore di economia a” Sciences Po” Paris.

“L’economia e le relazioni con l’Europa sono i dossier su cui Meloni ha meno territorio segnato perché in effetti ci sono vincoli difficili da aggirare”.

Un dirigente aziendale francese, a cui è stato concesso l'anonimato per parlare apertamente, ha affermato che gli imprenditori del Paese erano più spaventati dalla possibilità di un governo guidato dal partito di sinistra “Nuovo Fronte Popolare” che dal “Rassemblement National” di Le Pen.

"Se vuole seriamente avere una possibilità alle elezioni del 2027, deve dimostrare di essere una politica che sa fare la differenza",

ha affermato un diplomatico di un paese dell'UE con sede a Bruxelles, osservando che Le Pen dovrà scegliere tra seguire l'esempio di Meloni o svolgere un ruolo più ostile come ha fatto il primo ministro ungherese Viktor Orbán.

"Se vuoi essere un politico che mantiene le promesse, non puoi andare contro l'UE", ha affermato il diplomatico.

"Le Pen è l'esatto opposto di Meloni."

Quindi, l'esempio di Meloni significa che l'establishment occidentale può tirare un sospiro di sollievo?

Probabilmente no.

 

Qualunque sia la loro posizione sulla scena internazionale, nessuno dei due leader ha ammorbidito la propria posizione in patria.

 Le Pen continua a sostenere la revoca dei benefici sociali ai genitori di minori condannati per reati e ha chiesto di vietare alle persone con più cittadinanze di ricoprire incarichi di vertice nella pubblica amministrazione.

 È stato scoperto che alcuni dei suoi candidati al parlamento francese hanno fatto commenti razzisti e antisemiti.

Meloni ha anche mantenuto alcune delle sue posizioni più conservatrici, presentando una legge che consentirebbe agli attivisti anti-aborto di avere un posto all'interno delle cliniche che forniscono la procedura.

 I leader dell'ala giovanile del suo partito sono stati filmati mentre facevano commenti antisemiti e si vantavano di essere fascisti, nazisti e razzisti.

In materia di politica estera e affari europei, Le Pen avrebbe più margine di manovra rispetto a Meloni, che in quanto leader di un governo di coalizione deve coordinarsi con i suoi partner.

Prima del voto di domenica scorsa, Le Pen ha giurato di sfidare Macron sulla politica estera, tradizionalmente prerogativa del presidente, se il suo partito avesse ottenuto la maggioranza in parlamento.

A Macron, ha detto, sarebbe stato impedito di inviare istruttori militari per aiutare l'Ucraina.

"Sull'Ucraina, il presidente non sarà in grado di inviare truppe", ha detto Le Pen in un'intervista al quotidiano “Le Télégramme”.

 

"Le Pen è l'esatto opposto di Meloni", ha detto “Benjamin Haddad”, un parlamentare uscente del partito di Macron che si candida per la rielezione.

"Ha rifiutato ogni forma di sostegno all'Ucraina, aveva il ritiro dalla NATO nella sua agenda ed è filo-russa.

 La sua visione indebolirebbe la Francia e l'Europa in un momento di guerra nel nostro continente".

Sebbene sia l'Italia che la Francia siano paesi fortemente indebitati, le dimensioni della Francia e il suo ruolo fondamentale in tutti i dossier dell'UE darebbero a Le Pen più influenza su Bruxelles.

"La Francia è un paese più forte dell'Italia e dipende meno dall'Europa, quindi potrebbero esserci altri scossoni", ha aggiunto” Saraceno”, l'economista.

“Philippe Olivier”, cognato e stretto consigliere di Le Pen, ha sostenuto che mentre Roma è troppo dipendente dai fondi UE per attaccare Bruxelles, Parigi avrebbe molte meno limitazioni.

 "L'Italia non è nella stessa situazione economica della Francia... abbiamo più margine di manovra per piegare Bruxelles", ha detto Olivier, che è stato rieletto al Parlamento europeo a giugno.

"Dato che siamo la France siamo più liberi, non siamo schiavizzati", ha aggiunto.

Data la forza della sua retorica, Le Pen finirebbe anche sotto pressione da parte dei suoi sostenitori per mantenere alcune delle sue promesse radicali.

"È una svolta più complicata", ha detto “Lazar,” esperto di politica franco-italiana. "Rinunciare alla sua posizione le costerebbe il consenso e deluderebbe una parte dei suoi elettori euroscettici".

L'estrema destra si allea.

Poi c'è il fatto che Le Pen non sarebbe l'unica a sostenere le sue posizioni, e nemmeno Meloni.

Finora l'italiana ha scelto di tenere Le Pen a distanza.

Alla domanda se preferisse Le Pen a Macron prima delle elezioni presidenziali francesi del 2022, Meloni ha risposto che non si sentiva rappresentata da nessuno dei due.

Ha anche respinto una proposta di Le Pen di fare squadra prima delle elezioni del Parlamento europeo del mese scorso.

Ma una cosa è spronare una figura politicamente tossica dell'opposizione, soprattutto quando sei isolato tu stesso.

Un'altra è confrontarsi con un presidente della seconda economia più grande dell'UE che la pensa potenzialmente come te.

Lunedì, Meloni si è congratulata con Le Pen per la sua vittoria al primo turno delle elezioni e ha sostenuto il suo partito per il ballottaggio di domenica prossima.

 La Francia, ha osservato, è un paese altamente polarizzato e "ovviamente preferisco la destra".

Durante una riunione del Consiglio europeo del mese scorso, il leader italiano si sarebbe mostrato furioso per essere stato escluso dal dibattito sulla prossima generazione di leader dell'UE, unendosi all'ungherese Orbán nell'opposizione alla decisione.

Da soli, Meloni e Orbán potevano fare ben poco. Con Le Pen al tavolo, il risultato avrebbe potuto essere diverso.

Quando si tratta di Le Pen e Meloni, la domanda migliore potrebbe non essere se uno si comporterà come l'altro.

 È come entrambi si comporterebbero se si trovassero al potere insieme.

“Sarà un’altra storia se il “National Rally “vincerà le elezioni presidenziali del 2027 e otterrà la maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale”, ha previsto “Chopin”, il politologo.

“In quel caso, c’è un rischio reale di adottare un atteggiamento molto più radicale e conflittuale”.

(Clea Caulcutt ha contribuito al reportage).

 

 

L’Entente Cordiale Parigi-Londra è oggi

cosa di sinistra (con prossima guerra annessa?).

Mittdolcino.com -Mitt Dolcino – (5 luglio 2024) – ci dice:

Mai dimenticare che il Labour inglese Tony Blair, la cui fondazione è basata in Toscana (e di cui Matteo Renzi fa parte), contraddistinse il suo premierato con innumerevoli guerre inglesi nel mondo, quasi fosse proprio Londra ad indirizzare Washington e non viceversa.

 Oggi negli USA la situazione è profondamente diversa.

Ed anche in EU, ormai moribonda e senza colonie (francesi, in Africa):

sembra dunque chiaro che l'entente cordiale, elezioni francesi a seguire, cercheranno una guerra in EU, per salvare i potentati coloniali europei storici, post fine del USD LIBOR (30.9.2024).

Rishi Sunak ha chiamato una elezione che sapeva di perdere.

E l’ha persa, come conservatori.

Da oggi l’approccio inglese a Giorgia Meloni riteniamo cambierà radicalmente.

Anche perché l’entente cordiale, Londra-Parigi, del 1904, era mirata alla difesa delle proprie colonie a cavallo della Manica, colonie che oggi in larghissima parte non ci sono più, perse in 120 anni, praticamente tutte.

E per spunto di Roosevelt, ossia degli USA mai coloniali:

parlo della famosa decolonizzazione rooseveltiana, iniziata con l’India e continuata con Suez tornata egiziana.

Poi finalmente decolonizzando anche l’Indocina francese (la chiamarono guerra del Vietnam) per evitare che i francesi usassero l’arma dell’oppio raffinato, in cui i francesi sono stati maestri, per inondare gli States di droghe, sulla falsa riga di come fece Londra con la Cina un paio di secoli prima (e di come sta facendo Pechino oggi, a letto – come interessi – con chiunque sia avversario del suo nemico, l’America, soprattutto quella trumpiana).

 

Sui francesi, esclusi dall’oppio sud-asiatico via guerra in Indocina fomentata dai successi USA nella WWII, e poi del Vietnam, in pochi purtroppo rammentano che ciò coincise con la sparizione del clan dei marsigliesi.

In quanto l’oppio raffinato, venduto dai clan e pure (!) dallo Stato francese nel mondo, dove era legale, passava per la manodopera marsigliese cancellata dai siciliani filo USA diventati portatori di aggiornati interessi (post Vietnam), prima di tutto di difesa americana.

Marsigliesi prima molto presenti anche a Roma, si dice anche coinvolti nei primi attentati di Stato anti-italiani di inizi anni ’70 contro, addirittura con tentativi golpisti annessi fortunatamente falliti [grazie agli interventi militari americani] (…).

Oggi infatti, negli USA, con il fentanil, se ben notate la mafia americana è totalmente esclusa da tali traffici in quanto tutto gira attraverso un altro attore, la Cina, che si appoggia alla criminalità messicana (…).

 

Tornando al titolo, ieri i labour hanno vinto alla grande, in una elezione “chiamata” incredibilmente da “Rishi Sunak” PER PERDERLA.

Mai vista una cosa del genere.

Abbiamo già spiegato

il motivo: Sunak – indiano, dunque ex colonizzato – NON vuole prendersi la responsabilità della guerra in Europa di cui i potentati ex coloniali anacronisticamente necessitano, per mantenere i propri privilegi ex coloniali, appunto.

Stesso trucco attuato tante volte in Europa nei secoli, con guerre farlocche in cui Londra e Parigi erano sempre presenti, in realtà i fini erano di potere e ricchezza apicali, ossia di privilegi, spesso concordati dalle grandi famiglie di sangue Europee (…).

Dunque tali privilegi coloniali, oggi, come con Tony Blair, il Premier più guerrafondaio dai tempi di Churchill (ma senza guerra mondiale), stanno a sinistra.

Tutto perfetto direi:

 si illude un popolo sul bene di certi fini e poi se ne perseguono altri, elitari, a vantaggio dei soliti noti.

 Nel mentre si manda la gente a morire.

A leggerla bene sembra di avere innanzi una versione rivista e corretta della genesi del fascismo dimostrata magistralmente da “Robert O. Paxton”, quando spiegava che i fascismi, sempre nati a sinistra per altro (destra e sinistra invenzione inglese, ndr) nascono sempre per ipotetici nobili fini, poi invece…

 

Ovvero, poi si arriva alla guerra necessaria alle Elite.

 

Londra è accomunata in tale intento con Parigi, Entente Cordiale appunto, che a breve giro guarda caso avrà anche lei la sua elezione.

In cui Macron-uomo di Davos (bureau delle élite) sta con la sinistra, tutto direi davvero perfetto.

E non solo: infatti Parigi è anche la cicala d’Europa, che NON vuole fare sacrifici, come invece dovrebbe, trovando il suo Monti.

 Cosa che non farà, sperando di far pagare il conto alle sue nuove colonie.

Berlino in ogni caso, che ha interessi diversi dal duo sopra citato, ha già avvertito negli scorsi giorni: i parametri austeri EU valgono anche per la Francia. Costringendo Macron all’All In.

Tutto chiarissimo.

In tal contesto Parigi, d’intento con Londra, vorrebbe – per salvarsi, oggi, estrema ratio – applicare le sue regole coloniali all’EU, specificamente in due quadri strategici di suo interesse, con scenari inevitabilmente bellicosi:

all’Ucraina, dove c’è il litio su cui in molti vogliono mettere le mani, a Mariupol e dintorni.

E sull’Italia, da spartire ed annettere in qualche modo, dovrei dire depredare, per evitare di fare sacrifici oltralpe, parlo soprattutto della Francia.

Nel mezzo, la fine del LIBOR, che determinerà l’impossibilità Europea di finanziarsi in dollari senza averli.

Visto che a breve, qualche mese, la fine del LIBOR in dollari toglierà la possibilità di fatto di stampare in qualche modo, indirettamente, i dollari che non si hanno.

Chiaramente anche in tale contesto Londra e Parigi sono accomunate:

se Parigi perde l’accesso al dollaro, Londra perde la finanza. Dunque, perché tante banche dovrebbero restare a Londra in assenza del cd. panel LIBOR?

Spero intendiate, quando si dice unità di interessi.

L’Italia fortunatamente ha deciso di stare con gli USA, che puntualmente hanno risposto a dovere, in direi rapida successione:

1. Camp Darby ora è collegato alle FFSS italiane, pur essendo una base sommergibilistica, la più grande del suo tipo fuori dai confini USA.

2. E pure con il recentissimo spostamento della sede NATO per l’Intervento Rapido in Italia, a Solbiate Olona, tanto per far capire che ‘l’Italia sta bene come è” (tradotto: Parigi dunque non si sogni di annetterla in qualche modo).

3. Poi, molto interessante, la nuova sede dei carabinieri del Tuscania, più altri corpi d’élite, DENTRO il parco che ospita Camp Darby, a San Rossore.

Immaginate l’arma dei Carabinieri, erede di Dalla Chiesa, aver accesso alle armi USA presso Camp Darby:

 in tal caso fare colpi di Stato dall’interno dell’Italia sarebbe tremendamente più difficile per chiunque non fosse americano

 (mai dimenticare che i blindati dei Carabinieri furono mandati dal governo Conte, per questo odiatissimo dai leghisti a letto coi francotedeschi, nei capoluoghi del nord Italia durante le fasi calde del COVID; precisamente quando qualcuno si sognava la “Zona Rossa Economica” al nord, una sorta di secessione di fatto, ed invece ottenne il lockdown nazionale, ndr…).

Tutto quanto sopra serve per farvi capire che andiamo a qualche giorno prima che l’Entente Cordiale cerchi di dipingersi di rosso, anche a Parigi come a Londra, con Macron alleato della sinistra anti – Le Pen.

 Il resto a seguire.

Sebbene, come al solito, Londra saprà fare le cose per bene, di par suo.

Mentre Parigi rischia invece – come suo solito – di incendiare la torre di ferro, direi tutto già scritto:

 forse Macron, perdente, ovvero non più in grado di governare cercherà una sorta di colpo di Stato invocando l’articolo 16 della Costituzione francese?

 O qualcosa del genere? Andiamo a giorni per saperlo.

Da qui al 30.9.2024, la fine dell’USD LIBOR, molte cose succederanno.

 Siate pronti (comunque sia, stiamo vivendo le ultime fasi della decolonizzazione voluta da Roosevelt)

(MD)

 

 

 

 

Armi cinesi sequestrate in Calabria.

E in USA il mortifero fentanil cinese:

cosa sta succedendo?

Mittdolcino.com – Mitt Dolcino – (4 Luglio 2024) – ci dice:

 

Gli squilibri economici globali tra i vari blocchi restano colossali, con l’America iper-indebitata che difende con le unghie il dollaro egemone, facendo leva sui suoi consumi a debito.

 E con l’EU che inizia ad intravedere la fine della moneta unica (post fine del LIBOR, 30.9.2024).

 Restano le armi cinesi sequestrate a Reggio Calabria, andavano in Libya…

La Cina ha un serio problema:

 dipende per il suo benessere dagli acquisti occidentali dei suoi manufatti.

 Si ferma l’import straniero, ovvero si ferma l’export cinese, e la Cina implode “dal di dentro”:

 le fabbriche si fermano, l’occupazione crolla, la cuspide del partito imperante salta.

Appunto, trattasi di un regime comunista, che non deve fare utili:

il suo solo compito è mantenere la pace sociale (anche con la coercizione, vedasi DDR).

E l’occupazione.

Facendo un passo oltre, va ricordato che – in assenza di materie prime quale è il caso della Cina – la situazione diventa addirittura esplosiva in caso di bizze dei clienti che, riducendo i propri consumi di prodotti cinesi, possono assestare un colpo mortale all’occupazione nella terra di” Xi”.

Leggasi anche fin della pace sociale ovvero del regime che ne è al comando, nell’ex impero celeste.

Da quanto sopra deriva la necessità di espansionismo cinese, a lungo termine: chiamarla via della seta o controllo dei canali commerciali marini non cambia.

Stante la fattualità di quanto sopra è chiaro che un’America che diventa, assieme all’Occidente, protezionista verso i prodotti cinesi automaticamente diventa una minaccia addirittura mortale per la cuspide comunista di Pechino.

Dunque a “Xi”, per rompere l’assedio, non resta che tentare di dividere il fronte occidentale.

E per fare questo Pechino non può che allearsi coi nipoti dei nazisti, come ha fatto, parlo dell’EU franco-tedesca.

Peccato che la guerra in Ucraina, in grado potenzialmente di tagliare gli approvvigionamenti di energia (russa) ai tedeschi del 90%, all’EU per più del 50%, costringa Berlino a scendere a più miti consigli

(Gli USA stanno in Ucraina NON per creare problemi ai russi ma per poter “osservare da vicino” le pipelines oil and gas tra la Russia e l’Europa che fanno prosperare le industrie tedesche, ndr)

 

Dunque, che mai potrà fare la Cina per uscire dal giogo?

Da una parte può destabilizzare gli USA, dal di dentro, vedi comprando i politici americani, da qui il richiamo USA di queste ore a combattere presunte infiltrazioni politiche “pro Dem” dell’apparato cinese nelle prossime elezioni presidenziali.

O supportare attentati mirati a minare la filiera produttiva USA (non sono incidenti), epilogo sotto molti punti di vista preconizzato da John Loftus, “The Belarus Secret”(…).

O a far leva sul “fentanil” esportato dalla Cina negli USA via Messico e Canada, devastando la salute e la voglia di battersi dei giovani americani.

Cosa manca per completare il puzzle?

A logica, destabilizzare i paesi alleati degli USA.

O comprando i loro politici (da tempo ci chiediamo chi incassasse le laute consulenze dal grande operatore del commercio online cinese per la vendita del Made in Italy a Pechino e dintorni…)

O, nel caso di alleati pavidi, anche spaventandoli a morte.

Anche con le armi puntate, nel caso.

E qui entra in ballo lo strano sequestro dei droni DA GUERRA cinesi destinate alla Libya;

 armi che non si capisce a cosa servirebbero se non a prendere le parti di “qualcuno” proprio a cavallo dei confini italiani.

Tre mega sequestri in pochi mesi di armi da guerra, anche droni da tonnellate di stazza, momento molto pericoloso va detto chiaro.

Forse si sta cucinando una guerra davanti alla Sicilia? Con armi cinesi?

O magari tutto questo sta accadendo per difendere – lato cinese – l’alleato francese di Pechino che, se privato dell’accesso in Libya, perde ogni accesso all’Africa del Franco CFA?

Ovvero implode distruggendo l’euro…

Resta che gli squilibri economici globali tra i vari blocchi restano colossali, con l’America iper-indebitata che difende con le unghie il dollaro egemone, facendo leva sui suoi consumi a debito.

E con l’EU che inizia ad intravedere la fine della moneta unica (post fine del LIBOR, 30.9.2024).

E restano le armi cinesi sequestrate a Reggio Calabria, andavano in Libya…

In tale contesto la Cina, disperata nella sua cuspide ormai a rischio esistenziale, terminale, non può fare altro che contrattaccare.

L’importante in tutta questa narrazione è capire il contesto, poi ci lasceremo tutti stupire da come la Cina affronterà il ritorno di Trump.

E come Trump reagirà ai tradimenti Europei, visto che mezzo establishment EU è a letto con Pechino in qualche forma.

Ricordo infatti che Trump mise il veto sul raddoppio del North Stream, storcendo pure il naso al North Stream I approvato da Obama:

appena fu eletto Joe Biden al suo posto, invece, tale raddoppio si concretizzò con il deliberato supporto francotedesco, a letto con San Pietroburgo.

Ma – notate – non a letto con Mosca.

Le conseguenze le conosciamo:

anche in tale frangente l’Italia venne attaccata e quasi annichilita in veste di primo alleato USA in Europa.

Domani ri-succederà? E, nel caso, in che termini?

 È una domanda che va fatta.

(MD).

 

 

 

Quelle accuse di mafia dentro

la massoneria: il nuovo capitolo

della guerra tra grembiulini.

 

Lacrunadellago.net – Cesare Sacchetti – (5 luglio 2024) – ci dice:

 

Li avevamo lasciato così, soltanto due settimane fa, intenti a scagliarsi addosso diffide e decreti di scomuniche massoniche incrociate.

La guerra dentro la massoneria italiana è iniziata non da oggi, ma da almeno un anno, quando il “regno” del precedente Gran Maestro, “Stefano Bisi”, volgeva al termine e iniziavano le consultazioni elettorali per stabilire il suo successore.

Apparentemente non sembrava esserci una particolare tensione quando giunsero i risultati che assegnavano la vittoria a” Leo Taroni”, massone di rilievo per la sua appartenenza al “Rito Scozzese Antico Accettato”, l’RSSA, che costituisce una sorta di piano superiore della massoneria italiana e il passaporto indispensabile per accedere ai piani superiori di questa religione esoterica.

A distanza di poco tempo poi, c’è stato quello che può definirsi un vero e proprio “ribaltone”, quando un riconteggio delle schede ha consegnato lo scettro della massoneria italiana ad “Antonio Seminario”, massone prescelto da Bisi, e ciò ha scatenato le faide massoniche che già iniziavano a covare sotto la cenere dalla fine del 2023.

 

Le evoluzioni di questa sanguinosa guerra tra fratelli muratori hanno portato i vari massoni a minacce di risolvere la questione nelle corti dei tribunali ordinari pur di placare una disputa così furibonda come non la si vedeva dai tempi della morte del famigerato” Adriano Lemmi,” primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, e famigerato satanista con un lungo passato da criminale e usuraio al servizio di un altro noto massone, “Giuseppe Mazzini”, padre del risorgimento italiano assieme a Cavour.

Esiste una certa vulgata, poiché di questo si tratta, che vuole mettere in contrapposizione Mazzini e Cavour quando in realtà essi erano entrambi appartenenti alla massoneria ed erano mossi dalle stesse forze.

Costoro anelavano agli stessi fini che sono la costituzione di una repubblica universale massonica che schiacci definitivamente la sovranità delle nazioni, soltanto che potevano trovarsi in disaccordo sui mezzi attraverso i quali raggiungere quei fini ultimi.

Crediamo sia importante ribadire tale concetto per sgombrare il campo da un altro depistaggio diffuso negli ultimi anni da alcuni liberi muratori che hanno raccontato la favoletta della massoneria “buona” e che hanno persino salutato la venuta di Mario Draghi, uomo di Goldman Sachs, definendola come una “operazione massonica”.

I massoni italiani oggi sono combinati così.

Sono invischiati in una feroce guerra dalla quale non si vede, a nostro parere, una via d’uscita se non una che porti ad una serie di scismi a catena fino a provocare una completa dissoluzione della intera libera muratoria italiana.

La prima, e sanguinolenta, scissione è stata quella che ha visto “Seminario” imporre ai massoni del Grande Oriente d’Italia di interrompere ogni rapporto con quelli del RSSA, e ciò non è una questione di poco conto, se si considera che il” Rito Scozzese è alquanto ambito” non solo perché consente di accedere alle “segrete stanze” della massoneria ma perché è una loggia di respiro internazionale legata a quelle angloamericane che sono da sempre, dalla nascita di tale setta nel 1717 a Londra, le vere arbitre e padrone della massoneria mondiale.

Questa contiguità, o forse sarebbe meglio dire perfetta integrazione, tra il mondo protestante e la massoneria si spiega con il fatto che il primo ha adottato una teologia, quella luterana, che ha poco di cristiano in quanto si priva l’uomo del suo libero arbitrio e lo si “libera” dal fardello del peccato dicendogli che in fondo è Dio a decidere della salvezza dell’uomo, indipendentemente dalle opere di bene compiute dall’individuo, ed è da questo presupposto che nasce il famigerato motto di Lutero “pecca fortiter, sed crede fortius”.

 

Il buon cardinal “Caro Y Rodriguez” nelle sue fondamentali opere sulla massoneria ci insegna che essere protestanti già di per sé vuol dire essere predisposti ad essere per metà un libero muratore, in quanto la massoneria, per sua natura e storia, è sempre stata ferocemente opposta alla Chiesa Cattolica, unica vera custode del mondo cristiano e per questo oggetto di una strisciante infiltrazione che dura da più di un secolo e che è sfociata nell’infausto “Concilio Vaticano II”, dal quale è uscita una falsa chiesa, liberale, modernista e secolare.

 

Le accuse di contiguità della massoneria con la mafia.

Avevamo lasciato i massoni italiani alle prese, come si diceva prima, con la sospensione da parte del GOI verso il RSSA, seguita poi dalla risposta di quest’ultimo nei riguardi di Bisi, espulso dal rito scozzese poiché appartenente a tutti e due i riti, ma in realtà soltanto per ritorsione nei confronti di Seminario.

Il nuovo capitolo di questa guerra tra grembiulini è quello che vede ora il notaio messinese, “Silverio Magno”, a sua volta massone del Grande Oriente, rilasciare delle dichiarazioni nelle quali si accusa apertamente la loggia più importante d’Italia, che annovera 23mila iscritti circa, di mafia.

Magno avrebbe pronunciato una sorta di j’accuse nei riguardi, apparentemente, dei vertici che gestiscono la libera muratoria, e lo scorso 7 giugno si sarebbe espresso in questi termini sulla questione.

La mentalità mafiosa è qua, dentro le colonne. È dentro le telefonate di minaccia, con cui si cerca di sapere chi c’è in una chat.

È dentro quelle ispezioni che non hanno né capo né coda.

Questa è mafia, fratelli, è mafia e abuso di determinate posizioni per incutere timore.

I fratelli hanno paura e quanti messaggi devo continuare a leggere di fratelli che mi dicono “non vengo perché il giorno dopo mi tormenterebbero”, in Sicilia e in Calabria e non altrove.

Parlando di accostamento mafia massoneria, che ci importa se si parla di masso mafia?

 L’istituzione va bene perché illuminiamo campetti di calcio (riferimento alla riparazione del campo di Norcia dopo il terremoto del 2016, ndr).

Questa vi assicuro è la realtà.

È necessario ribadire che non avere condotto una ferma condanna del fenomeno mafioso con iniziative importanti ha alimentato l’uso di un termine che è un’offesa per tutti noi e di chi ci ha preceduto fra le colonne?”

Ora che alcuni massoni abbiano in passato provare a recitare la parte delle vergini immacolate sulla questione mafia e massoneria, è cosa nota.

Alcuni grembiulini entrano dentro l’organizzazione e poi parlano della commistione tra questa e la mafia, quasi come negli ultimi 160 anni nulla fosse accaduto al riguardo.

Noi dubitiamo che questi signori non conoscano la storia e dubitiamo che costoro siano trasparenti e non vedano nulla di quanto accade dentro le logge.

Se la massoneria è una società esoterica ed iniziatica dove le verità ultime vengono rivelate soltanto ai fratelli che giungono vicini al 33° grado, è evidente che per sua natura questa società è una società segreta e la trasparenza è l’ultima cosa che viene praticata nel chiuso delle logge.

 

Le logge non vivono di luce, ma di oscurità, poiché la natura della massoneria è quella di una società occulta che trama nell’ombra per distruggere la civiltà cattolica e sostituire al suo posto il regno di Dio con quello del GADU, il Grande Architetto dell’Universo, la misteriosa entità massonica che altri non è che Lucifero, come rivelato da diversi massoni di alto grado, e vogliamo ricordare a coloro che ancora si illudono che la massoneria non sia una società satanica, che tutta la simbologia massonica è luciferiana e che i suoi capi, a partire da Adriano Lemmi e Albert Pike, adoravano espressamente Satana.

La condizione in cui nasce e opera la massoneria, va da sé, non può far pensare che essa poi possa essere qualcos’altro nella sua applicazione pratica a meno che non si sia proprio degli inguaribili “ingenui” o forse degli inguaribili furbi che soltanto ora provano a far vedere che il loro grembiulino non è insozzato come quello dell’altro fratello.

 

I rapporti tra la massoneria, la mafia e l’anglosfera.

Siamo scettici nei riguardi di costoro, lo ammettiamo, e se vogliamo iniziare il tema della discussione tra mafia e massoneria occorrerebbe farlo dal lontano 1860, quando i mille garibaldini, che avevano già ricevuto l’assistenza di Londra e dei Rothschild, decisero di lanciare la loro spedizione alla conquista del Regno delle Due Sicilie, e lo fecero soltanto con l’indispensabile aiuto delle mafie locali.

La mafia, prima della massoneria, non era che un fenomeno locale, ridotto più che altro alle campagne laddove il picciotto di turno non aveva minimamente il potere che assunse dopo l’Unità d’Italia e che la massoneria gli diede per la creazione di uno Stato unitario che non si richiamava di certo alle gloriose tradizioni cattoliche e greco-romane dell’Italia, ma a quelle illuministe e secolari di altri iniziati francesi, quali “Voltaire” e “Rousseau”, che non nascondevano affatto il loro odio verso la cristianità nelle loro lettere e nei loro scritti.

Soltanto l’avvento del fascismo interruppe il connubio tra mafia e massoneria, poiché scopo del fascismo non era quello di coesistere con due entità parastatali e di fatto eversive, ma era piuttosto quello di eliminare ogni potere che minacciasse la sovranità dello Stato e che portasse avanti una sua propria agenda in contrasto con quella della nazione e del bene comune del suo popolo.

A riportare in auge il connubio massonico e mafioso non fu altri che Cassibile, propiziato da re Vittorio Emanuele II, già colluso con gli inglesi ai tempi del caso Matteotti, il quale consegnò le chiavi della sovranità dell’Italia all’anglosfera.

È piuttosto interessante notare la ripetizione degli stessi meccanismi che consentirono l’Unità d’Italia prima e lo sbarco degli alleati poi nel 1943.

A distanza di 80 anni a consentire l’attuazione dell’uno e dell’altro processo fu quella imprescindibile unione tra le potenze dell’anglosfera, la massoneria e la mafia, che altro non è che soltanto la base di un potere ben più vasto dei vari Brusca e Provenzano, pedine di poco conto in questo gioco, e che raggiunge invece le sfere dell’alta finanza askenazita (Rothschild) che utilizza i mafiosi come manovalanza criminale per compiere meglio le sue malefatte.

 

Se si dicesse pertanto che la mafia esiste perché la massoneria esiste, non si farebbe altro che ammettere una evidenza di fatto, e suonano quindi tremendamente ipocrite le parole di Magno e degli altri massoni sulla mafia, poiché non può esistere alcuna seria lotta alla mafia senza prima partire dal piano superiore del fenomeno mafioso, che altro non è che quello massonico.Quante volte abbiamo sentito dire ai “campioni dell’antimafia” quali Marco Travaglio e Roberto Saviano che non esiste nessuna seria possibilità di sconfiggere la mafia se prima non si sconfigge la massoneria?

Nessuna, e lasciamo che siano i lettori a valutare quale agenda e quali poteri veramente proteggono questi personaggi che i media ci hanno proposto come “oppositori” della mafia.

Al momento ci interessa mettere in rilievo l’ipocrisia di quanto detto da Magno che soltanto ora si risveglia dal suo “sonno,” non probabilmente perché animato da qualche spontaneo e sincero moto di giustizia, ma piuttosto dal proposito di assestare qualche fendente alle fazioni massoniche che si stanno ferocemente scannando da quasi 4 mesi a questa parte.

 

In palio, c’è non soltanto la guida della massoneria italiana e ovviamente ciò un tempo avrebbe significato avere in mano le chiavi della politica italiana, anche se questo oggi non appare più possibile, poiché l’anglosfera come entità politica e geopolitica è in via di dissoluzione e la repubblica di Cassibile difficilmente potrà sopravvivere senza la protezione di chi le fece vedere la luce.

Noi pensiamo che ci sia in gioco più che altro la mera sopravvivenza a questa generale fase di dismissione e soprattutto in palio ci sono i cordoni della borsa.

La posta in gioco proprio quest’ultima questione è alta.

Il GOI ha un patrimonio immobiliare di circa 240 milioni di euro senza contare quelle che vengono chiamate nel linguaggio del codice civile come “immobilizzazioni materiali”, per le quali si intendono macchinari, terreni, vetture e altri beni di questo tipo che raggiungerebbero la cifra stimata di 25 milioni di euro, anche se pare che il valore effettivo sia ben più alto.

Chi riuscirà ad avere la meglio in questa feroce guerra tra logge riuscirà probabilmente ad aggiudicarsi questa torta, anche se noi pensiamo che da questa guerra non ci saranno vincitori, ma soltanto vinti.

La massoneria italiana è soltanto una costola di quella angloamericana, e se la seconda è in crisi, appare difficile, come si accennava prima, che la prima possa sorreggersi da sola.

La massoneria in crisi strutturale?

A rendere più difficile una via d’uscita che garantisca un assetto stabile è il fatto che i massoni dopo “il fallimento del Grande Reset”, sono allo sbando.

Il GOI voleva il trionfo di quella società distopica perché questa avrebbe consentito l’inaugurazione del Nuovo Ordine Mondiale.

La storia ha svoltato in un’altra direzione e la massoneria si trova a dover fare i conti con il suo fallimento.

La guerra tra logge scaturisce da qui, ovvero dall’inevitabile esigenza di mettersi in salvo prima che la piena della storia spazzi via tutto.

E ciò sta determinando tutta quella serie di strani “suicidi” di personaggi che non avevano nessuna apparente intenzione di suicidarsi e le cui circostanze delle loro morti sono tutt’altro che chiarite.

Non c’è stata chiarezza sulla morte del generale Graziano, già accusato per l’Italia gate e del quale non si sa nemmeno con quale arma si sarebbe sparato, e non c’è chiarezza sulla morte di Franco Anelli, rettore della Cattolica, così come non c’è chiarezza alcuna sulla morte di Angelo Onorato, marito di Francesca Donato, sulla quale la procura di Palermo sembra incredibilmente, e purtroppo non sorprendentemente, virare sulla ipotesi del suicidio.

Avremmo il primo caso di uomo che riesce a strangolarsi da solo con una fascetta da elettricista, ma dalla magistratura italiana ci si può aspettare questo e altro, se si pensa che i togati sono stati in grado di dire che Gardini si sarebbe sparato da solo nonostante l’arma con la quale lo avrebbe fatto era a diversi metri dal suo letto, e nonostante non ci fosse polvere da sparo sulle sue mani.

Vedremo quindi con ogni probabilità il prosieguo di una guerra in superficie nelle logge a colpi di dichiarazioni infuocate e di altri decreti di espulsione, e vedremo al tempo stesso il prosieguo di un’altra, sotterranea, attraverso “suicidi” inspiegabili alla cui lista soltanto ieri si è aggiunto “Stefano Bontempelli”, dirigente di “Neuberger Berman” e ancora più di rilievo ex membro del Cda della società che sviluppò la famigerata” App Immuni,” utilizzata per tracciare le persone.

La fine della repubblica di Cassibile sarà dunque accompagnata dalla più feroce e violenta guerra che la massoneria italiana si ricordi, e in fin dei conti è giusto così.

E’ giusto che se muore l’anglosfera, con essa se ne vada il suo frutto malato rappresentato dalla libera muratoria.

 

 

 

 

La sinistra e il centro sopprimeranno

la destra in Francia?

 Unz.com - TIMOTHY VORGENSS – (3 LUGLIO 2024) – ci dice:

 

Il primo turno delle elezioni legislative del 2024 del 30 giugno ha visto il Rassemblement National (RN, l'ex Front National fondato da Jean-Marie Le Pen) arrivare primo con il 31% dei voti, seguito dalla coalizione "Ensemble" del presidente Emmanuel Macron con il 24% e dal “Nouveau Front Populaire “(NFP) di sinistra al 22%.

I Repubblicani – l'equivalente francese di estrema destra dei Repubblicani americani – hanno ottenuto l'11 per cento dei voti, mentre i Verdi e altri piccoli partiti hanno raccolto le briciole rimanenti.

 

Gli operai e i lavoratori autonomi sono ancora l'elettorato più forte per la RN.

Gli uomini hanno votato un po' di più (34 per cento) rispetto alle donne (29 per cento).

Il sostegno per l'NFP, che è una coalizione difficile che va dal socialismo morbido all'”antifa”, è stato particolarmente forte tra i giovani tra i 18 e i 24 anni (41%) e tra i 25 e i 34 anni (38%).

 

I dirigenti e i professionisti continuano a propendere più per il centrosinistra di Macron (che ora può essere considerato di estrema sinistra, dal momento che ha stretto alleanze elettorali con il NFP per sconfiggere il RN) e per i repubblicani ormai sostanzialmente evirati.

L'immigrazione ha avuto un impatto significativo sul voto.

Le regioni con il maggior numero di immigrati tendono a sostenere il RN, che ha tradizionalmente promesso di tagliare l'immigrazione.

La ragione di ciò è ovvia a chiunque viva in queste aree, ed è diventato sempre più difficile per i centristi – persi nelle comodità della vita e radicati nelle loro abitudini di voto – fingere che l'immigrazione non abbia importanza.

Uno studio del” British Politics and Policy Blog” della “London School of Economics” ha rilevato che anche un leggero aumento degli immigrati porta automaticamente a un aumento significativo dei voti per l'estrema destra.

I meno qualificati hanno sempre visto gli immigrati come concorrenti per i posti di lavoro;

 ora sempre più francesi di ogni classe li vedono come potenziali criminali.

L'ex ministro dell'Interno “Gérard Collomb” ha avvertito nel 2018:

 "Oggi viviamo fianco a fianco, temo che domani vivremo faccia a faccia".

All'epoca questo sconvolse i giornalisti ma, naturalmente, stava affermando l'ovvio.

 

L'impulso distruttivo dell'estrema sinistra.

L'estrema sinistra è guidata da quello che sembra essere un desiderio di morte:

preferisce di gran lunga coloro che distruggono a coloro che costruiscono, gli economisti anti-crescita agli ingegneri nucleari, i rivoltosi agli imprenditori di successo e i vandali ambientalisti agli agricoltori.

Ciò si riflette nel suo sostegno sistematico ai delinquenti pluri- recidivi e ai radicali islamici, e nel suo risentimento contro chiunque abbia successo.

E' una strategia del "doppio o niente" attraverso la quale i bianchi possono unirsi al ribollente risentimento del Terzo Mondo nei confronti dell'Occidente.

Molti elettori e persino giornalisti sono terrorizzati da questa nuova estrema sinistra, che difende “Hamas” come un eroico movimento di resistenza palestinese.

 

Il programma del PFN di 236 miliardi di euro di spesa annuale aggiuntiva e massicci aumenti delle tasse soffocherebbe l'economia, porterebbe nel panico i creditori e manderebbe in bancarotta il paese. Le sue proposte di porre fine al libero scambio, controllare gli affitti, congelare i prezzi e porre fine ai trattati europei sul controllo del bilancio sono politiche che hanno portato miseria ovunque siano state tentate.

“Raphaël Arnault” del NFP è un candidato “antifa”, noto per la violenza. Incarna la strategia del fronte di unire elementi marginali e violenti alla causa di sinistra.

Il NFP vede la violenza come un mezzo di mobilitazione politica, e mira a galvanizzare una base militante pronta ad agire nelle strade per fare pressione sulle istituzioni democratiche e sugli oppositori politici.

 E' stata imbaldanzita da decenni di impunità e si tirerà indietro solo se verrà ripristinata la vera autorità.

 

Il “NFP” include anche rappresentanti apertamente antisemiti che attirano nordafricani e neri giocando sulla causa palestinese.

Questa strategia di "segnalazione perversa di virtù" per mostrare sostegno alle cause del Terzo Mondo è spesso insincera e opportunistica. I discorsi e le azioni di alcuni leader del NFP mostrano un'evidente incoerenza tra le loro precedenti dichiarazioni pubbliche e la loro ritrovata sollecitudine per nuovi amici radicali.

C'è un recente brano rap particolarmente violento "No Pasaran" (che in spagnolo significa "non avranno successo") che si crogiola nell'odio per la RN:

"Se i fascisti passano di lì io uscirò con il mio grosso calibro"; "Meritano di morire"; "Marine (Le Pen) e Marion (Maréchal) sono puttane.

Prendi un bastone su quelle puttane in calore"; "Jordan (Bardella, presidente della RN) sei morto."

 La sinistra è divisa tra coloro che pensano che questo sia un terribile messaggio politico e coloro che vogliono vedere la guerra civile.

Marion Maréchal, nipote di Jean-Marie Le Pen e identitaria molto più forte di sua zia, Marine, ha twittato in risposta: "Grazie a questi rapper per le migliaia di voti che la loro clip d'odio ci porterà".

I media si sono attenuti ai loro soliti doppi standard. Tre anni fa, quando "Papacito", un influencer nazionalista civico, ha postato un video in cui simulava l'uccisione di un elettore dell'estrema sinistra, c'è stata un'indignazione diffusa.

Anche la violenza simbolica non è ammissibile nel dibattito democratico. Tuttavia, le reazioni alla canzone "No Pasaran" – che promette la morte reale a Marine Le Pen, Jordan Bardella e Éric Ciotti (un repubblicano che sostiene il RN) – sono state molto più caute.

 

L'NFP fa strani compagni di letto.

 Jean-Luc Mélenchon, che guida la coalizione, certamente flirta con l'antisemitismo, ma candidati ebrei di sinistra come “Esther Benbassa” e “Raphaël Glucksmann” si sono uniti alla coalizione, probabilmente attratti dalla promessa di un ambizioso programma sociale e nella speranza di fermare il RN.

Un video illustra questo dilemma: un gambero emerge da un cesto pieno di frutti di mare, pensando di essere fuggito verso la libertà, solo per essere fritto all'istante mentre cade in un wok pieno di olio bollente. Durante la campagna elettorale, gli elettori ebrei definiscono questi candidati "maledetti traditori".

 

Il gioco antidemocratico dei ritiri.

Le proiezioni mostrano chiaramente l'impatto delle alleanze elettorali sui risultati del secondo turno.

 Se, al primo turno, nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta, i candidati superstiti passano a un secondo turno.

 Questi sono i primi due classificati, insieme a qualsiasi altro candidato che abbia ottenuto almeno il 12,5% del numero di elettori registrati nel suo distretto.

 In queste gare a tre, tutti i partiti si coalizzano contro la RN.

Se il candidato del NFP è più debole del candidato macronista, si ritira dalla corsa in modo che il voto non RN non venga diviso.

Se il candidato macronista è più debole, si ritira.

In ogni caso, il candidato del RN ha una lotta molto più dura contro un'opposizione unita.

Le proiezioni mostrano che senza un'alleanza anti-RN di ritiri, il RN potrebbe ottenere tra i 250 e i 290 seggi, con 289 che gli danno la maggioranza assoluta nell'Assemblea.

Tuttavia, con i ritiri, la RN ottiene solo da 200 a 230 seggi.

Molti vedono queste alleanze elettorali – spesso tra gruppi che si odiano a vicenda – come profondamente antidemocratiche.

Sottrae un numero significativo di elettori alla rappresentanza proporzionale.

Il partito di Macron ha finalmente mostrato il suo vero volto.

Si ritirerà in lotte a tre per aiutare l'estrema sinistra a vincere.

Gli elettori centristi stanno cominciando a rendersi conto che non c'è più un centro.

I rispettivi interessi delle diverse categorie sociali rimangono simili a quelli che erano ai tempi del Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen.

 I lavoratori tendono a votare per i partiti che promettono una maggiore protezione sociale e tengono fuori gli immigrati, che percepiscono come minacce per i loro posti di lavoro.

 Queste persone sostengono la RN.

 

Dirigenti e professionisti spesso beneficiano della globalizzazione e delle politiche di libero mercato, e quindi si orientano verso il campo macronista e i repubblicani. Sembra che si preoccupino solo dei loro conti di risparmio.

Tuttavia, queste elezioni hanno rivelato una tendenza interessante: un certo numero di giovani elettori si sta rivolgendo al RN.

Si tratta di un notevole cambiamento nel panorama politico.

 

Il 41 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha votato per il Nouveau Front Populaire (NFP), mentre il 23 per cento ha votato per il RN.

 Nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni, la NFP ha raccolto il 38% e la RN il 28%.

Queste cifre mostrano che, mentre la sinistra ha ancora la maggiore presa sui giovani elettori, il RN sta facendo progressi significativi.

Il RN, con il suo giovane leader carismatico Jordan Bardella, i suoi leader e sostenitori fisicamente attraenti (molto importanti per ottenere voti) e i continui discorsi sulla sicurezza e sull'identità nazionale, sta producendo qualcosa di senza precedenti.

 Le giovani donne che indossano i loghi RN fanno video di ballo di se stesse.

Mila, una giovane studentessa delle superiori che ha ricevuto minacce di morte da parte di giovani musulmani, ha prestato la sua voce a una canzone che elogiava il rimpatrio forzato di arabi e neri.

Il suo titolo” Je partira pas” (che significa "non me ne andrò") è volutamente sgrammaticato, sottolineando gli errori commessi dai non-bianchi scarsamente assimilati.

Questo tipo di aperto nazionalismo razziale era impensabile solo pochi anni fa.

Il RN è ora visto come un partito anti-establishment, che si rivolge ai giovani disillusi dai partiti tradizionali e dal sistema attuale.

Credono che la RN possa ribaltare l'ordine stabilito e offrire nuove soluzioni.

 Tuttavia, il NFP rimane l'attrazione principale tra i giovani elettori, in particolare quelli impegnati in cause sociali e ambientali.

L'elettorato centrista e la borghesia media hanno probabilmente il destino della Francia nelle loro mani morbide.

Gli attivisti politici li hanno sempre definiti vigliacchi perché la loro posizione socio-economica permette loro di passare da un partito all'altro a seconda delle circostanze.

 I RN dovranno giocare con la loro versatilità e il loro amore per il denaro.

 Spesso votano contro candidati che minacciano i loro portafogli, e l'unico argomento che conta per loro è che il male più grande deve essere evitato.

Devono essere convinti che il PFN di sinistra è la porta del caos.

 Vantaggio: il RN non avrà bisogno di mentire.

Tuttavia, ciò che i centristi hanno in comune con la sinistra sono le convinzioni di lusso: hanno i mezzi per credere a cose assurde, ma ne evitano le conseguenze.

La Francia, con i suoi tre popoli – Destra, Sinistra e Centro – che si odiano, è diventata ingovernabile?

Se il RN otterrà la maggioranza assoluta, dovrà prendere il controllo di un paese che, nelle parole di Jordan Bardella, è in rovina.

Nell'improbabile eventualità che Bardella diventi primo ministro, Jean-Luc Mélenchon intende governare attraverso l'azione nelle strade.

Non per niente ha promosso gli elementi più radicali dell'alleanza facendoli candidati.

Sta forse anticipando la sconfitta alle urne, per ottenere meglio la vittoria con la rivolta?

Nonostante la coalizione antidemocratica contro di esso, il RN avrà sicuramente il maggior numero di deputati, ma probabilmente non i 289 di cui ha bisogno per una maggioranza assoluta che renderebbe Bardella una scelta essenzialmente obbligata per il primo ministro.

 Ciò che potrebbe mettere il partito sopra le righe sarebbe il risentimento degli elettori contro il fatto che gli venga detto di votare per candidati che non gli piacciono al solo scopo di tenere fuori una "estrema destra" che sempre più francesi pensano dovrebbe avere una possibilità di andare al potere.

Anche senza una maggioranza assoluta, il RN potrebbe mettere insieme abbastanza alleati dalla frangia conservatrice del partito repubblicano e da pochi identitari alla sua destra per formare un governo?

O potrebbe esserci un governo sedicente di "Fronte Repubblicano", composto da Soft Right, Socialisti, Ecologisti e Verdi che avrebbe abbastanza deputati per formare un governo che tenga fuori sia il RN che la sinistra più selvaggia?

Il voto del secondo turno di questa domenica potrebbe essere solo l'inizio di un frenetico giro di mercanteggiamenti da parte di gruppi che si sono sempre disprezzati a vicenda, ma che sono costretti a lavorare insieme nel tentativo di evitare che il sistema politico francese si rompa completamente.

 

 

 

 

 

 

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