Inizia la battaglia contro il bando termico europeo.

 

Inizia la battaglia contro il bando termico europeo.

 

 

La Lega chiede la revoca del bando

delle auto termiche entro il 2035.

Msn.com – Mondo Motori – Redazione - Christian Luca Di Benedetto – (6-9-2024) – ci dice:

 

La Lega, guidata da Matteo Salvini, si oppone allo stop alle auto a benzina e diesel previsto per il 2035.

I dettagli.

Il tema dello stop alla vendita di auto a benzina e diesel entro il 2035 continua a essere al centro del dibattito politico.

 La Lega, guidata da Matteo Salvini, ha recentemente annunciato la sua intenzione di opporsi a questo provvedimento, che vieterebbe la vendita di vetture con motori termici a partire da quella data.

 In un comunicato ufficiale, il partito ha espresso la sua preoccupazione per le conseguenze economiche che questa misura potrebbe comportare.

La Lega si oppone allo stop delle auto a benzina e diesel nel 2035

“La Lega è pronta a chiedere la revoca del bando dei motori benzina e diesel dal 2035″, si legge nella nota.

 “Lo stop alla loro produzione sta già creando gravissimi danni all’economia europea, senza alcuna certezza di ottenere miglioramenti significativi dal punto di vista ambientale.

 Non a caso, la revoca del bando è tema di dibattito anche in Germania”.

Con queste parole, il partito di Salvini si prepara a presentare una mozione sia in Parlamento italiano sia in sede europea, chiedendo che il provvedimento venga rivisto.

Ripercussioni economiche e dubbi sulla transizione elettrica.

Secondo la Lega, il bando delle auto a combustione interna rischia di mettere in ginocchio settori industriali cruciali, portando a una massiccia perdita di posti di lavoro e danni economici irreversibili.

Salvini e i suoi alleati sostengono che una transizione così rapida verso l’elettrico potrebbe non essere sostenibile, soprattutto considerando che l’infrastruttura necessaria per supportare un parco auto interamente elettrico è ancora largamente insufficiente.

In particolare, il partito solleva dubbi sulla disponibilità di risorse necessarie per la produzione di batterie e sulla rete di ricarica europea, che al momento non sarebbe in grado di gestire un aumento esponenziale della domanda.

 Inoltre, si teme che il costo della transizione ricada eccessivamente sui cittadini e sulle aziende.

La Lega propone dunque un approccio più equilibrato alla riduzione delle emissioni, valutando anche soluzioni alternative come i carburanti sintetici e l’idrogeno, che potrebbero offrire una via intermedia tra la tutela ambientale e la salvaguardia dell’economia.

L’obiettivo del partito è quello di evitare decisioni affrettate, garantendo che la transizione sia sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico.

 

 

 

Il “greenwashing” degli eserciti

è un paradosso grottesco.

Lucysullacultura.com – (17 Maggio 2024) - Camilla Capasso – ci dice:

 

Gli eserciti più importanti del mondo si stanno sempre più posizionando a favore della sostenibilità climatica, cercando di spacciare per "verdi" persino le guerre.

Una scelta che sembra essere dettata, più che da una reale preoccupazione per la causa, da logiche di reclutamento e da meri interessi economici.

Lo scorso anno l’esercito del Regno Unito ha pubblicato un breve video promozionale di 40 secondi in cui un gruppo di militari interviene durante un’alluvione per soccorrere una madre rimasta intrappolata in auto con il proprio bambino.

 Il video mostra un quartiere residenziale inglese completamente allagato, case e veicoli sono inagibili e i militari che avanzano tra i detriti con l’acqua alla vita.

Dopo aver raggiunto l’auto e messo in salvo la madre, uno dei militari prende in braccio il neonato, lo culla dolcemente e sussurra piano per tranquillizzarlo:

Shhh I got you, I got you (“Ti ho preso, ti ho preso”).

Lo spot, che è parte di una campagna di reclutamento per raccogliere nuove adesioni, termina con uno slogan dai toni aspirazionali:

 “The army is more advanced than ever, but nothing can do what a soldier can do” (“L’esercito è più avanzato che mai, ma niente può fare ciò che fa un soldato”) a sottolineare che nessuna tecnologia, per quanto all’avanguardia, possa sostituire le qualità umane di un militare in carne e ossa.

Al di là del messaggio, quello che più colpisce del video è il racconto di uno scenario ormai sempre più familiare anche in zone dove prima non lo era: quello delle alluvioni.

 Nel 2023 quasi ogni regione del mondo è stata colpita da forti alluvioni che hanno causato numerosi morti e feriti, oltre che danni ingenti.

 Gli eventi estremi che hanno toccato Emilia-Romagna e Toscana hanno lasciato cicatrici profonde, ma anche Spagna e Grecia sono state colpite duramente.

In Libia, a settembre 2023, più di 4.000 persone sono morte a causa delle inondazioni provocate dal passaggio dell’uragano Daniel.

 I tifoni non hanno risparmiato nemmeno “Taiwan” e “Hong Kong,” così come molte zone degli Stati Uniti e del Brasile.

I dati climatici raccolti negli ultimi decenni dimostrano come dietro l’aumento del numero di eventi climatici estremi, e della loro intensità, si celino gli effetti del riscaldamento globale.

 I dati ci dicono anche che quella cui stiamo assistendo è solo l’inizio, e che eventi finora classificati come estremi sono destinati ad aumentare.

Le forze armate del Regno Unito, questo, sembrano averlo capito molto bene e in un mondo stravolto dai cambiamenti climatici si stanno ritagliando un ruolo preciso:

quello di alleati.

 Il soldato che nel video salva il neonato dall’alluvione è lì per rassicurare la popolazione che la presenza più utile da avere al nostro fianco nella crisi climatica è proprio l’esercito.

D’altra parte “nothing can do what a soldier can do”.

 

Ma la loro strategia “verde” non si limita a questo.

Già nel 2021, l’esercito del Regno Unito ha adottato l’”Approccio Strategico per il Cambiamento Climatico e la Sostenibilità”, un “piano climatico per affrontare i cambiamenti ambientali”, ridurre le proprie emissioni e arrivare a soddisfare gli obiettivi della strategia nazionale net zero.

 I britannici non sono gli unici:

 negli ultimi anni, in linea con una crescente consapevolezza a livello globale, le forze armate di diversi paesi – Italia compresa – stanno investendo sempre maggiore tempo e risorse nel posizionarsi rispetto al tema dei cambiamenti climatici; sia a livello strategico che comunicativo.

Nel 2022, anche il Pentagono pubblica la propria strategia sul clima e anche in quel caso gli obiettivi sono ambiziosi:

convertire le infrastrutture militari ad energia elettrica entro il 2030, raggiungere emissioni net zero entro il 2045, sviluppare veicoli tattici elettrici entro il 2050 e preparare l’esercito ad intervenire in un mondo segnato dagli effetti della crisi climatica.

“Le forze armate del Regno Unito, questo, sembrano averlo capito molto bene e in un mondo stravolto dai cambiamenti climatici si stanno ritagliando un ruolo preciso: quello di alleati”.

Nella prefazione alla strategia, il Segretario dell’Esercito “Christine Wormuth” scrive:

“Il cambiamento climatico minaccia la sicurezza dell’America e sta alterando il panorama geostrategico così come lo conosciamo.

Per i soldati di oggi che operano in ambienti con temperature estreme, che combattono gli incendi boschivi e che offrono supporto durante e dopo il passaggio degli uragani, il cambiamento climatico non è un futuro lontano, ma una realtà”.

Qualche mese più tardi l’esercito francese adotta una “Strategia per la Difesa e il Clima” in cui si prefigge di ridurre il consumo di combustibili fossili e le emissioni di gas serra delle infrastrutture militari, proteggere gli ecosistemi presenti all’interno delle proprietà militari e adottare veicoli corazzati ibridi entro il 2025.

Anche in Italia, dichiaratamente in linea con gli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”, nel 2022 il Governo presenta un documento che delinea la transizione ecologica della Difesa.

L’obiettivo, si legge, è quello di raggiungere maggiore efficienza e indipendenza energetica contenendo le spese e tutelando l’ambiente.

Una delle iniziative descritte è quella delle “Caserme Verdi” di cui già si parlava nel 2019 e che prevede un investimento di 1,5 miliardi di euro nell’arco di vent’anni per la costruzione di infrastrutture militari che seguano “i principi della green economy, del risparmio energetico e della tutela ambientale”.

La comunicazione, su questi temi, gioca un ruolo importante, soprattutto se l’obiettivo è quello di superare un momento storico in cui sempre meno persone decidono di arruolarsi.

Le campagne di reclutamento puntano sulla sensibilità di una generazione cresciuta con la minaccia climatica e le offrono, arruolandosi, l’opportunità di riavvicinarsi alla natura e creare comunità.

 Ne è un ottimo esempio la campagna “This Is Belonging”, lanciata nel Regno Unito con l’obiettivo di spingere più “millennials ad arruolarsi”, e che mostra soldati in ambienti naturali – selvaggi e bellissimi – che finalmente sentono, arruolandosi, di appartenere a un gruppo.

In una recente analisi delle principali motivazioni che spingono i giovani ad arruolarsi, il desiderio di riavvicinarsi alla natura occupa in effetti una posizione sempre più rilevante.

Intervistato dagli autori dello studio, “Younes” (nome di fantasia) dichiara di essersi arruolato nelle forze armate svedesi perché “desideroso di allontanarsi dalla città, di conoscere sé stesso trascorrendo del tempo nella natura e allo stesso tempo di restituire qualcosa al suo Paese”.

Per quanto paradossale possa sembrare, quindi, l’ecologia offre alle forze armate nuove opportunità.

Da un lato, quella di militarizzare la crisi climatica, richiedendo maggiori investimenti e adesioni per far fronte a quelle che saranno le conseguenze ambientali e geopolitiche dei cambiamenti climatici.

Dall’altro, quella di ridefinire la propria immagine, posizionandosi come alleati di sostenibilità.

Si tratta, di fatto, di “greenwashing”:

una strategia marketing usata soprattutto dalle aziende per costruire un’immagine di sé falsamente green con il duplice scopo di mascherare gli effetti negativi delle proprie operazioni sull’ambiente e di guadagnarsi la fiducia dei consumatori.  

Ma se è vero che i cambiamenti climatici non faranno altro che peggiorare i conflitti globali e le tensioni sociali portandoci verso un mondo molto più insicuro, siamo certi che investire in eserciti più sostenibili – qualunque cosa significhi – sia una soluzione auspicabile?

A inizio anno il «Guardian» ha pubblicato un articolo sull’ impatto ambientale del conflitto a Gaza:

 numeri che impallidiscono davanti ai costi umani, ma che è comunque importante identificare.

 Secondo i dati analizzati, nei suoi primi 60 giorni, l’offensiva di Israele ha avuto” un costo ambientale” equivalente alla combustione di almeno 150.000 tonnellate di carbone.

Questo dato comprende la CO2 emessa dai veicoli militari e dalla fabbricazione ed esplosione delle bombe, ma anche quella emessa dagli aerei cargo americani che trasportavano rifornimenti militari a Israele.

Globalmente, si stima che i conflitti armati producano il 5% delle emissioni, un dato significativo ma parziale che non tiene conto della distruzione degli ambienti naturali e dell’inquinamento degli ecosistemi – conseguenze non da poco di qualsiasi conflitto armato, come anche la guerra in Ucraina sta dimostrando.

Tra il 1950 e il 2000, si stima che l’80% dei conflitti armati abbia avuto luogo all’interno di aree considerate “biodiversity hotspots”, cioè molto ricche da un punto di vista della biodiversità.

 

In generale, poi, c’è anche poca chiarezza per quanto riguarda le emissioni prodotte dalle attività militari non conflittuali:

spesso bisogna ricorrere a stime approssimative per calcolarne la portata.

Nello studio citato dal «Guardian», ad esempio, si è cercato di calcolare l’impatto ambientale dell’esercito israeliano nel 2019 partendo dalla spesa militare della difesa.

Secondo questa stima, Israele – uno stato per molti versi all’avanguardia nella ricerca di tecnologia “verde” – ha avuto, nel 2019, un impatto ambientale legato alle attività militari non conflittuali di quasi 7 milioni di tonnellate metriche di CO2, cioè l’equivalente di tutta la CO2 emessa da Cipro in un anno.

“Globalmente, si stima che i conflitti armati producano il 5% delle emissioni, un dato significativo ma parziale che non tiene conto della distruzione degli ambienti naturali e dell’inquinamento degli ecosistemi”.

 

Per quanto potenzialmente accurate possano essere, poi, tutte le stime rimangono approssimative:

le forze armate non sono tenute a dichiarare le emissioni dovute alle proprie attività militari, se non su base volontaria.

Ad oggi è impossibile, inoltre, monitorare qualsiasi progresso rispetto agli obiettivi riportati nelle strategie climatiche degli eserciti perché le forze armate non sono tenute a dichiarare il proprio impatto ambientale.

E la possibilità di fare “greenwashing” fiorisce in questa opacità, che permette agli stati di non dover rispondere delle proprie emissioni militari.

Durante la “COP28 a Dubai” il dibattito si è fatto molto acceso, soprattutto nei confronti della partecipazione di Israele, ma le accuse di greenwashing non hanno, almeno per il momento, portato a nessun reale cambiamento politico.

Eppure è difficile ignorare il legame stretto tra conflitti e combustibili fossili, i principali responsabili della crisi climatica.

Gas e petrolio non sono solo ingredienti vitali delle guerre ma anche una delle loro principali cause e l’industria dei combustibili fossili beneficia ampiamente dai conflitti armati.

A febbraio di quest’anno, «Global Witness» ha pubblicato un’indagine sui legami tra i profitti delle compagnie oil & gas europee e americane e la guerra in Ucraina.

I risultati erano in parte prevedibili: le maggiori compagnie fossili europee e statunitensi hanno realizzato profitti per oltre un quarto di trilione di dollari da quando la Russia ha invaso l’Ucraina.

Patrick Galey”, uno degli autori dell’indagine ed esperto di combustibili fossili, ha dichiarato:

“Indipendentemente da ciò che accade in prima linea, le grandi compagnie fossili sono i principali vincitori di questa guerra.

Hanno accumulato ricchezze incalcolabili grazie a morte e distruzione e all’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia.

Ora stanno spendendo i loro guadagni in elargizioni agli investitori e in una produzione sempre maggiore di gas e petrolio, di cui l’Europa non ha bisogno e che il clima non può sopportare.”

Che la guerra sia un affare sporco – con o senza carri armati alimentati ad energia solare – non è una sorpresa, è ormai evidente che dietro le strategie militari per il clima e la comunicazione sostenibile si nascondano tattiche di greenwashing.

 La mancanza di qualsiasi meccanismo di controllo nazionale ed internazionale permette agli eserciti di disegnare liberamente la propria comunicazione nel tentativo di manipolare la narrazione collettiva.

Le implicazioni di questo” greenwashing militare” sono preoccupanti. Raccontare il “cambiamento climatico come una questione di sicurezza nazionale” pone le questioni ambientali nelle mani di un’istituzione per definizione belligerante, e rischia di indirizzare la maggior parte delle risorse e dei finanziamenti per il clima verso il settore militare.

In parte questo sta già succedendo:

se da un lato la spesa militare è cresciuta di oltre un quarto nell’ultimo decennio, superando i 2,2 miliardi di dollari nel 2022, raggiungere gli obiettivi economici da destinare alla crisi climatica è sempre più difficile.

Uno studio ha recentemente stabilito che se il 5% della spesa militare globale venisse destinato al fondo climatico, si raccoglierebbero 110 miliardi di dollari – una cifra superiore all’obiettivo annuale di 100 miliardi che gli stati fanno fatica a raggiungere. 

“Le implicazioni di questo ‘greenwashing’ militare sono preoccupanti. Raccontare il cambiamento climatico come una questione di sicurezza nazionale pone le questioni ambientali nelle mani di un’istituzione per definizione belligerante”.

Non solo:

anziché promuovere un cambiamento di rotta verso un mondo più sostenibile e collaborativo, adottare questa prospettiva suggerisce implicitamente che l’unico futuro possibile sia quello dominato da conflitti climatici.

Questo solleva serie questioni etiche riguardo alla militarizzazione di ciò che dovrebbe essere un obiettivo condiviso.

In altre parole: può davvero un mondo, che immaginiamo sostenibile, essere militarizzato?

(Camilla Capasso.)

(Camilla Capasso scrive di cambiamenti climatici, accesso alla terra e sicurezza alimentare per organizzazioni internazionali, ONG e agenzie delle Nazioni Unite.)

 

Perché gli attivisti per il clima e

 l’ambiente prende di mira

 le opere d’arte?

 

Bnews.unimib.it - Enzo Scudieri – (01 Febbraio 2023) – Redazione - protesteclima.png – ci dice:

 

Da Goya a Van Gogh, ma anche Monet fino al più recente Cattelan, sono davvero molte le opere d’arte prese di mira dagli attivisti per il clima negli ultimi mesi.

Una nuova forma di protesta per la difesa dell’ambiente, che si è diffusa nelle principali città europee.

“Il nostro non è vandalismo, ma il grido di allarme di cittadini disperati che non si rassegnano ad andare incontro alla distruzione del Pianeta e, con esso, della propria vita”, dichiarano gli attivisti contro il clima.

“Non ce ne faremo nulla dell’arte e dei capolavori su un pianeta che brucia. Servirà a poco la bellezza quando non avremo acqua né cibo”.

Approfondiamo il tema con la professoressa “Carmen Leccardi”, emerita di “Sociologia della cultura” presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca.

Nelle scorse settimane, a Milano, gli attivisti di “Ultima Generazione” hanno introdotto una serie di azioni di protesta per il clima prendendo di mira le opere d’arte.

Cosa ne pensa dunque di queste nuove forme di contestazione giovanile?

È fondamentale partire dalla considerazione che epoche storiche e periodi differenti utilizzano forme di protesta diverse.

Forme così eclatanti sicuramente non sarebbero potute esistere, ad esempio, all’interno del movimento del Sessantotto.

In quel periodo storico la speranza del cambiamento era assolutamente prevalente;

il contrario della disillusione – in un certo senso anche della disperazione – che caratterizza l'attuale fase storica.

A mio giudizio, una chiave di lettura per capire le forme di protesta odierna ha certamente a che fare con il tema del tempo.

 Perché i musei e i luoghi dell’arte presi di mira dagli attivisti per il clima racchiudono opere immortali, e dunque senza tempo.

La protesta riguarda infatti l’impossibilità di accettare la fine del tempo che la distruzione del pianeta a cui la crisi climatica rinvia porta inevitabilmente con sé.

Sul piano simbolico, versare della vernice sui vetri che proteggono questi capolavori dell’umanità, o altre forme di protesta inusuali (come incollare le proprie mani a questi vetri) richiamano l’impossibilità stessa della creazione artistica in un universo che va verso l’auto-distruzione.

 Si protesta in questo modo anche contro l’ideologia del produttivismo a tutti i costi, e l'indifferenza etica che lo guida.

La battaglia contro le diseguaglianze sociali sempre più forti si intreccia dunque a quella per la salvaguardia del pianeta e del vivente, umano e non umano, che esso esprime.

 E questo, va sottolineato, ignorando gli appelli sempre più drammatici della scienza.

Dunque, se mai prima ci siamo trovati di fronte a forme di protesta così particolari come quelle odierne, occorre anzitutto riflettere sul particolare periodo sociale e storico a cui esse sono collegate.

Quando gruppi come “Extinction Rebellion” o “Ultima Generazione” realizzano proteste di questo tipo esprimono la determinazione delle generazioni più giovani ad opporsi a forme di sfruttamento delle risorse del pianeta ad esclusivo fine di lucro.

Il tema della crisi ambientale è davvero urgente, capace di bloccare le aspirazioni e le speranze di coloro che entrano nella vita sociale e per questo molto sentito dai “Millenials” e “post Millenials”.

Non necessariamente le proteste del climattivismo sono così estreme -.o devono essere estreme.

Un movimento come “Fridays for Future”, ad esempio, da diversi anni porta avanti forme di protesta meno clamorose ed eclatanti, ma non meno efficaci.

Di tanto in tanto, ad ogni modo, anche questo movimento si affida a mobilitazioni che non esiterei a definire a loro volta clamorose.

È accaduto ad esempio nel mese di gennaio di quest’anno, in Germania.

Il governo tedesco ha deciso l’espansione di una miniera di carbone a cielo aperto – complice la crisi energetica generata dall’invasione russa dell’Ucraina - e ragazze e ragazzi di FFF si sono opposte/i occupando il terreno e facendosi ‘portare via’ dalla polizia (Greta Thunberg inclusa).

Due villaggi dovranno essere rasi al suolo per procedere alla realizzazione di questa operazione.

In questa fase storica in cui l’equilibrio geopolitico del pianeta è particolarmente critico, quello che noi adulti dovremmo forse chiederci è se davvero preferiremmo che le nuove generazioni fossero più “silenziose".

La loro voce, le loro lotte, credo, sono preziose perché ci impediscono di prendere sonno – un sonno che potrebbe essere letale.

Il Louvre di Parigi, la National Gallery a Londra, il Museo del 900 a Milano, gli Uffizi a Firenze.

Questi sono solo alcuni dei luoghi presi di mira durante le recenti proteste per il clima.

Ma non c’è alcun collegamento diretto con il tema stesso della protesta.

Che rapporto c'è quindi per questi giovani attivisti tra il mezzo e il fine?

Sicuramente, come già accennato, il focus sta proprio nel simbolismo stesso delle forme di protesta.

Le opere d’arte patrimonio dell’umanità, infatti, sono sempre protette da vetri e chiaramente con queste azioni non c’è una reale volontà di danneggiare l’opera d’arte in quanto tale.

 Piuttosto, azioni quali lanciare vernice, incatenarsi alle opere, attaccare i musei si propongono, a mio parere, un obiettivo specifico.

 Fin qui i grandi artisti espressi dalla storia hanno lavorato per mettere a disposizione dell’umanità le proprie straordinarie abilità, per lasciare nella memoria collettiva il segno della bellezza immortale.

Le opere d’arte prese di mira rappresentano infatti la possibilità di bypassare i limiti del tempo.

 Van Gogh, Klimt, Goya, Botticelli, Monet …sono tutte chiaramente opere senza tempo.

Ma se la “catastrofe climatica” verso la quale siamo avviati contiene il messaggio della distruzione, dell’impossibilità della continuazione della vita sul nostro pianeta, allora anche le opere d’arte, e la possibilità stessa dell’espressione artistica è messa in forse.

Alla luce di queste considerazioni atti estremi ed apparentemente insensati come quelli di cui stiamo discutendo possono rappresentare forme di provocazione non del tutto assurde.

Le emissioni di gas serra sembrano impossibili da contenere, il riscaldamento della superficie terrestre in parallelo.

Non si tratta, purtroppo, di questioni astratte.

Gli eventi climatici estremi sono uno degli indicatori di questo squilibrio;

anche il nostro paese, l’Italia, sempre più spesso è coinvolto direttamente in questo processo distruttivo.

Pensiamo ad esempio a tutte le difficoltà e i problemi che il caldo torrido della scorsa estate, e la mancanza di piogge, ha provocato in una città come Milano – così come nel resto dell’Italia e dell’Europa, per restare in questo emisfero.

 Siamo esseri umani, il nostro corpo e la nostra mente vivono in stretta dipendenza con l’ambiente e dunque con il pianeta, i suoi ritmi, i suoi cicli.

Se il pianeta perde la propria armonia, anche noi inevitabilmente la perdiamo. Forse spesso ci dimentichiamo di questo aspetto, o comunque non ci riflettiamo sopra a sufficienza.

 Si tratta invece di un aspetto strategico.

Se Gaia è in armonia anche il vivente, umano e non umano, lo è.

 Il nostro benessere è collegato, è il suo.

Tornando più specificamente alla domanda da cui siamo partiti, è chiaro che in questo scenario c’è una forte correlazione tra il fine ultimo dell’azione degli attivisti per il clima e i mezzi attraverso i quali la loro azione viene perseguita.

In gioco oggi c’è l’urgenza di arrestare questa deriva che porta dritta verso la distruzione.

Attraverso queste forme di lotta, quindi, ragazze e ragazzi esprimono il loro tentativo di opporsi alla fine del pianeta, dunque anche alla fine della vita stessa.

Gli stessi nomi scelti da questi gruppi di attivisti ambientalisti dovrebbero indurci alla riflessione:

Extinction Rebellion” (Ribellione all’estinzione), “Ultima generazione”… per citare alcuni tra i più noti.

Quando non compare direttamente l’evocazione della fine, della vita e del tempo, è il tema del futuro a presentarsi.

Ad esempio, per Fridays for Future, il gruppo meno implicato nelle azioni eclatanti di cui stiamo discutendo, più aperto alla possibilità del cambiamento, alla speranza, la relazione con il tempo è comunque presente, anche se qui declinata in positivo.

Costruire un futuro diverso, nonostante tutto, è ancora possibile, ed è il cuore del suo messaggio.

 In sostanza, per comprendere veramente queste forme di protesta dobbiamo prima di tutto capire che cosa sta succedendo intorno a noi.

 

Professoressa “Leccardi”, ha ancora senso oggi usare forme di protesta così controverse?

Il vero punto della questione, in realtà, non sono queste forme di protesta, ma gli obiettivi a cui queste azioni sono dirette.

Gli/le attiviste per il clima domandano, per loro tramite, risposte concrete dai governi, dai politici, dalle istituzioni.

In passato la mediazione tra le forme di protesta di movimento e la loro espressione istituzionale è stata garantita - almeno idealmente - in primo luogo dai partiti politici.

 La crisi contemporanea di questi ultimi asciuga le radici stesse di tale possibilità. Se è vero che la giustizia climatica va oggi considerata espressione della giustizia sociale in senso lato, allora altre istituzioni devono farsi carico di questa mediazione.

A partire, a mio giudizio, da quelle formative, per definizione espressione dell’approccio scientifico alla vita.

 

In concreto questo significa che “per risolvere il problema dobbiamo prima comprenderlo” (come scrive Greta Thunberg in ‘The Climate Book’, pubblicato in italiano nel 2022).

 Le istituzioni di alta formazione come le università giocano dunque un ruolo strategico a questo livello.

Sono i dati scientifici relativi al riscaldamento globale e alla crisi ambientale in generale a confermare che il pianeta non è più in grado di tollerare questa situazione.

 Il tema della transizione energetica è cruciale, così come quello di un modello di sviluppo in sintonia con la “lingua del pianeta”.

La protezione della biodiversità, i danni irreversibili della deforestazione, lo smaltimento delle plastiche (le cosiddette microplastiche in particolare), il rapporto tra salute umana e salute del pianeta, e in generale l’analisi delle interdipendenze all’interno del “sistema Gaia” sono altrettanti aspetti di una medesima realtà.

 Una realtà che richiede una crescita di consapevolezza collettiva in tempi strettissimi.

In sostanza, i movimenti ambientalisti e le loro dinamiche, incluse le forme di mobilitazione, sono molto diversi dal passato perché diversa è la posta in gioco.

Le migrazioni, le risorse decrescenti di gran parte della popolazione mondiale di contro alla crescita di ricchezza di una super minoranza sono, direttamente o indirettamente, collegate alla lotta per la sopravvivenza nel nuovo regime climatico.

 

Vorrei anche ricordare qui il cosiddetto ‘paradosso dell’incertezza’ in relazione al climattivismo.

Le nuove generazioni sono cresciute confrontandosi quotidianamente con il tema dell’incertezza.

Sul piano sociale e esistenziale l’incertezza permea le loro vite:

dal lavoro alle relazioni affettive alla mobilità territoriale, dall’identità personale a quella sociale le ultime generazioni devono confrontarsi con l’assenza di approdi sicuri.

Paradossalmente, in questo paesaggio connotato dall’incertezza la sola certezza inconfutabile, sulla base dei rilievi scientifici, è la minaccia alla vita del e sul pianeta.

Da qui anche, io credo, la scelta di modalità di protesta estreme.

 

In questo quadro minaccioso noi adulti che non siamo attivisti, non siamo politici, ma semplici cittadini e cittadine, magari anche indignati/e di fronte a questi attacchi all’arte, anziché giudicare questi gruppi come “nemici della democrazia” dovremmo forse prima di tutto domandarci cosa stiamo facendo di concreto per salvare il pianeta, e dunque anche le nostre vite.

Come sono cambiate negli ultimi anni le forme di protesta e attivismo giovanile?

Se pensiamo all’Italia, negli ultimi decenni del Novecento ci sono stati diversi movimenti capaci di segnare in profondità il clima culturale.

Accanto al movimento operaio e alle sue lotte il movimento del Sessantotto, quello femminista, il movimento del Settantasette hanno indubbiamente - tra gli altri effetti - modernizzato l’Italia.

Accompagnando la nostra espansione economica (e le sue crisi), ma anche democratica e culturale.

Durante la ‘stagione dei movimenti’, come è stata chiamata, le lotte si esprimevano attraverso manifestazioni di piazza, sit-in e così via.

Forme di lotta tradizionali, diremmo oggi.

 In quell’epoca, tuttavia, considerate forme eversive tout-court.

Tra l'inizio degli anni Ottanta e la fine del secolo l’attenzione si è poi spostata sul cosiddetto fenomeno del riflusso, ovvero una chiusura nel privato che in realtà si è rivelata più apparente che effettiva.

È stato infatti rimesso in discussione il rapporto tra quello che è considerato ‘privato’ e ciò che era, almeno fin lì, considerato ‘politico’.

Il grande tema dei diritti, a partire dall’espressione ad esempio di una sessualità auto-determinata, è balzato al centro della scena pubblica;

 così è stato, in parallelo, per i rapporti tra donne e uomini.

L’area del ‘politico’ si è via via estesa - fino ad includere, oggi, l’intero pianeta e la sua cura.

È necessario riflettere anche su questi aspetti per comprendere ciò che sta accadendo nelle forme di protesta.

Con l’inizio del secolo, e con l’accentuazione delle diseguaglianze sociali, ci sono state anche in questo caso nuove forme di lotta e di mobilitazione, spesso e volentieri introdotte da piccoli collettivi.

Ma anche accompagnati, di volta in volta, da grandi mobilitazioni di massa – si pensi ad esempio agli” indignados spagnoli” (e ai loro ‘accampamenti).

 Così è accaduto anche per il femminismo del nuovo secolo, che ha via via costruito forme di lotta inedite (si pensi, per fare un esempio, allo ‘sciopero delle donne dell'8 Marzo).

 Accanto a forme forse meno visibili, ma certo non meno importanti sul piano quotidiano.

In questo nuovo contesto sociale e politico, individuale e collettivo si rimescolano e si ridefiniscono.

 L’espressione di sé, delle proprie capacità e competenze, ma anche dei propri bisogni e sentimenti diventa sempre più terreno di lotta e di mobilitazione.

Fino ad arrivare ai giorni nostri, e alla recente pandemia.

Che ha accentuato la sensazione di incontrollabilità del mondo.

Ma, allo stesso tempo, ha fatto nascere, non solo in Italia, diverse azioni di solidarietà e di sostegno - nel quartiere, nell’isolato, nel singolo caseggiato -a favore di coloro che sono apparsi socialmente meno forti ed attrezzati.

Non solo sotto il profilo economico, ma anche, ad esempio, per ragioni di salute, per capitale sociale e culturale, e così via.

In sostanza, è bene a mio giudizio comprendere che le lotte per la giustizia climatica sono strettamente imparentate alle numerose forme di azione collettiva diventate particolarmente visibili nel nuovo secolo, per lo più intrecciate alla crescente centralità dei processi di individualizzazione (come qualche anno fa abbiamo scritto, con Paolo Volonté, nel libro “Un nuovo individualismo?”) L’approccio dei movimenti per la giustizia climatica rappresenta dunque non un’anomalia, ma un’espressione dei movimenti sociali del nostro tempo.

 

Questo recente fenomeno è in qualche modo riconducibile anche alla "cancel culture"?

Non credo che questo tipo di proteste possa essere legato alla” cancel culture” e alle sue dinamiche.

Qui non è in gioco il passato ‘bianco’ del potere nel mondo, e le sue espressioni che perdurano.

Penso invece ad un diverso quadro, a richieste dirette in primo luogo alle istituzioni, ma anche a tutti noi, affinché venga assunta la responsabilità che a ciascuno/a compete.

Possiamo ancora cambiare la situazione, ma il tempo rimasto è davvero pochissimo.

È necessario uscire dal letargo.

A mio parere, la forza delle azioni di protesta contro le opere d’arte si basa proprio su questo simbolismo potente legato al tempo che scorre, e ci porta non verso il progresso, ma sempre più verso la distruzione.

 

 

 

 

La strategia italiana per l'AI.

Bnews.uniomib.it - Andrea Rossetti – (08 Agosto 2024) – ci dice:

 

Non bisogna pensare che l’unico strumento di regolazione dell’IA sia il regolamento europeo (le puntate precedenti di questa serie di articoli);

poco dopo la pubblicazione sulla Gazzetta dell’Unione, è stato pubblicato il documento contenente la “Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026”.

 Il testo è stato elaborato da un Comitato di esperti per assistere il Governo nella creazione di una normativa nazionale e delle strategie riguardanti questa tecnologia.

Il Comitato, formato da quattordici membri, ha lavorato per analizzare l’impatto dell’intelligenza artificiale e sviluppare un piano strategico volto a guidare lo sviluppo dell'IA in modo responsabile e inclusivo.

Come spesso accade questi documenti che mirano ad essere generali, sono invece solo generici:

raccolte di buoni propositi e promesse che non sempre vengono recepite dal legislatore di cui invece dovrebbero indirizzare l’opera.

L'intelligenza artificiale è riconosciuta dal Comitato di esperti come un potente catalizzatore per lo sviluppo economico e sociale dell'Italia, con applicazioni che spaziano dall'ottimizzazione dei processi aziendali e pubblici alla salute, dall'educazione alla sostenibilità ambientale.

 L'efficacia crescente dell'IA nel potenziare la produttività e la qualità dei servizi è già una realtà, e le sue capacità di migliorare la qualità della vita e la gestione delle risorse sono evidenti.

Il nostro paese si trova quindi di fronte all'opportunità di sfruttare le sue peculiarità nazionali per potenziare la competitività e la qualità della vita attraverso l'IA.

Questo richiede un impegno per sviluppare tecnologie adatte al contesto specifico italiano, non possiamo come paese limitarci a importare e sfruttare tecnologie che siano state sviluppate altrove (per ora negli Stati Uniti, ma in prospettiva anche in Cina).

 L'Italia deve attuare strategie su quattro macroaree principali:

Ricerca, Pubblica Amministrazione, Imprese e Formazione.

 La ricerca dovrà concentrarsi su innovazioni specifiche per il contesto italiano e sulla promozione di una collaborazione interdisciplinare.

 Per le pubbliche amministrazioni e le imprese, è essenziale l'adozione di soluzioni di IA che migliorino l'efficienza e aprano nuove opportunità di crescita.

 Infine, la formazione dovrà mirare a elevare le competenze nazionali in IA, con un forte accento sull'interdisciplinarità e sull'integrazione di questioni etiche e sociali. Questo ampio impegno strategico e operativo permetterà all'Italia di trasformare l'IA in un motore di crescita sostenibile e inclusivo.

 

In particolare la strategia per la ricerca scientifica (una delle due che come Università ci tocca più da vicino), ha come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita delle persone e del contesto sociale.

 In un contesto di rapida evoluzione tecnologica, l'Italia deve rafforzare la propria competitività internazionale attraverso un robusto impegno nella ricerca.

 È essenziale valorizzare sia la ricerca applicata sia quella orientata alla sostenibilità ecologica, sociale, etica e legale, in linea con i valori dell'Italia e dell'Europa.

 Ciò include il consolidamento del trasferimento tecnologico, il supporto alla mobilità e al ritorno di talenti italiani dall'estero, l'attrazione di talenti stranieri. Parallelamente, si propone di rafforzare le sinergie tra università, centri di ricerca e il settore produttivo, particolarmente nel settore ICT, per supportare l'innovazione e mantenere la competitività a livello globale.

 Questi sforzi mirano a creare un ambiente fertile per lo sviluppo di spin- off e start-up innovative e per sostenere l'economia italiana nelle sfide globali future.

Per quello che riguarda la strategia per la formazione (l’altra che come Ateneo ci interessa particolarmente), lo studio auspica l’adozione di un ampio piano di formazione che includa l'intero sistema educativo, dagli Istituti Tecnologici Superiori (ITS) alle università, con un focus particolare sui dottorati di ricerca.

Questo impegno dovrebbe anche affrontare questioni sociali come la riduzione del “gender gap” nelle” discipline STEM” e la necessità di una formazione interdisciplinare.

 Parallelamente, per non lasciare indietro i lavoratori attuali, è cruciale implementare programmi di “reskilling” e “upskilling” che li reintegrino nel ciclo produttivo e li rendano capaci di utilizzare consapevolmente le nuove tecnologie.

Inoltre, per garantire che i benefici dell'IA si estendano a tutta la società e per ridurre i rischi di una crescente divisione digitale, è necessario espandere la formazione sull'IA a tutti i livelli della società.

Ciò include l'introduzione di programmi educativi nelle scuole, campagne informative e percorsi di alfabetizzazione digitale per cittadini di tutte le età, particolarmente concentrati sulle categorie più vulnerabili.

Il dibattito globale sull'Intelligenza Artificiale (IA) ha messo in luce anche numerosi rischi che l’adozione di questa tecnologia, come ogni altra tecnologia, porta con sé;

 rischi che possono oscurare i suoi potenziali benefici per l'economia e la società.

Uno dei pericoli principali è la potenziale accelerazione delle disuguaglianze sociali e i rischi per la democrazia.

 Inoltre, la natura "non neutrale" dell'IA, influenzata dalle informazioni e scelte umane, richiede una gestione attenta e consapevole.

C’è anche il rischio di omogeneizzazione culturale:

l'adozione di sistemi di” IA generativa”, come ad esempio “chatGPT”, principalmente sviluppati all'estero e partendo unicamente dalla lingua inglese, potrebbe non rispecchiare i valori e la cultura giuridica italiana ed europea.

D’altra parte, l'iper -regolazione potrebbe soffocare l'innovazione, mentre il divario digitale e il rischio di inefficacia delle strategie sono preoccupazioni costanti.

Questi rischi richiedono un approccio metodologico che include la promozione di modelli di IA che rispettino i valori democratici e etici, l'implementazione dell'IA secondo i regolamenti dell'Unione Europea, e strategie per minimizzare l'inefficacia attraverso coordinamento e monitoraggio continuo.

 La strategia nazionale deve quindi essere agile, mirata, e rispettosa dei valori costituzionali e culturali italiani.

 Vedremo, nel prossimo articolo, come il DDL sull’intelligenza artificiale proposto dal governo cerchi di attualizzare la strategia italiana per l’IA.

 

 

 

 

Da dove viene l’eco-fascismo:

quando la destra si appropria dell’ecologia.

Editorialedomani.it - Alice Valeria Oliveri – (28 maggio 2024) – ci dice:

 

«Considerare l’ecologia un sistema ideologico progressista e di sinistra è un” bias cognitivo”», scrive “Francesca Santolini” nel suo saggio “Eco-fascismo” pubblicato di recente da Einaudi.

Un percorso sorprendentemente rivelatore, una ricostruzione dei rapporti tra l’estrema destra e l’ecologia:

 l’idea che l’ambiente possa essere usato da una fazione politica che in apparenza si fa forte del suo machismo anti-ecologista, è molto più sensata e pericolosa di quanto si possa pensare.

Siamo abituati al fatto che i “deliri negazionisti del cambiamento climatico “di personaggi onnipresenti in televisione, sui giornali, tra le “stories del Pd “che incita goffamente a ignorarli siano parte del dibattito pubblico.

Siamo abituati agli sproloqui di vecchi giornalisti che inveiscono contro “Greta Thunberg” e contro qualsiasi forma di protesta per il “riscaldamento globale”, ai programmi radiofonici ascoltati da centinaia di migliaia di persone che “demonizzano il dissenso giovanile”, ridicolizzando realtà come quella di “Ultima generazione”, parlando di “eco-vandali” ed “estremismo green”.

 

«Consiglio la lettura soprattutto ai talebani del green», scrive “Nicola Porro” a proposito di uno dei tanti articoli pubblicati sul suo blog che smontano la narrazione ecologista e catastrofista contemporanea, colpevole di gettare il panico in una situazione perfettamente sotto controllo.

L’ecologia, insomma, non è roba per la destra italiana con i suoi intellettuali organici, che alle auto elettriche preferisce quelle tradizionali, che alla carne sintetica preferisce una cara vecchia bistecca e che, a chi imbratta i monumenti per capriccio, preferisce chi tutela il patrimonio artistico e la tradizione, quella che promuove con grandiose campagne in stile “Open to Meraviglia”.

 

 

(Ambiente.

Rivoluzione anziana: l’attivismo climatico ha bisogno degli over 65.

Ferdinando Cotugno.)

 

Dall’altro lato, il cliché vuole che l’ecologia sia retaggio di una certa” cultura new age.”

Cibo biologico, abiti equi e solidali, lana cotta, fricchettoni con i fiori nei cannoni, vegani che rompono le scatole alle grigliate di Pasquetta, negozi che emanano forte odore di “patchouli”.

I movimenti come “Fridays for Future “ed “Extinction Rebellion” hanno dato una nuova linfa all’immaginario ambientalista, aggiungendo un elemento di protesta giovanile e di rabbia per la poca reattività delle istituzioni nei confronti di un tema così fondamentale, ma restando comunque nel campo semantico del progressismo.

È quel che viene più semplice e intuitivo credere.

«Considerare l’ecologia un sistema ideologico progressista e di sinistra è un bias cognitivo», scrive Francesca Santolini, giornalista scientifica esperta di temi ambientali, nel suo saggio “Eco-fascisti” pubblicato di recente da Einaudi.

 

Ed è un percorso sorprendentemente rivelatore, quello che traccia nella ricostruzione dei rapporti tra l’estrema destra e l’ecologia:

 nonostante gli stereotipi dentro cui costruiamo le nostre convinzioni, l’idea che l’ambiente possa essere usato da una fazione politica che in apparenza non solo non ha alcun interesse, ma, al contrario, si fa forte del suo machismo antiecologista è molto più sensata e pericolosa di quanto si possa pensare.

 

(Politica.

Una campagna elettorale senza idee. Cosa succede se a sinistra dimenticano l’ambiente

Gianfranco Pellegrino – filosofo.)

Partiamo da un presupposto lontano, un immaginario che conosciamo attraverso la storia che studiamo a scuola, i film, i racconti, le giornate della memoria:

 «Per quanto possa sembrare incredibile, gli “ecologisti” nazisti trasformarono l’agricoltura biologica, il culto della natura e di temi correlati in elementi chiave non solo della loro ideologia ma anche nelle loro politiche di governo», scrive “Santolini”.

“Blut” und “Boden”, sangue e suolo, il motto nazista che sintetizza l’idea di purificazione della razza anche attraverso un ritorno alle origini, in simbiosi con la natura, tra misticismo romantico e difesa del proprio territorio, potrebbe sembrare distante anni luce da una concezione contemporanea dell’ecologia in termini di difesa dell’ambiente.

Nessuno farebbe mai un’associazione mentale tra il “Terzo Reich” e i supermercati “Natura Sì”, nessuno direbbe che la difesa della natura potrebbe essere una scusa per difendere i confini, la razza, la propria nazione e la superiorità di un popolo eletto.

 Sono immaginari distanti, che nella nostra visione del mondo hanno poco a che vedere l’uno con l’altro, la difesa della razza e la difesa della respirabilità dell’aria, degli ecosistemi, dello sfruttamento degli esseri umani per la produzione, quella degli animali per l’allevamento intensivo.

 Eppure, la ricerca che troviamo nel saggio di “Santolini” dimostra che non è così.

 

Sangue e suolo.

Se da un lato abbiamo una destra che perpetra il negazionismo delle origini antropiche del cambiamento climatico, facendo leva sul sollevamento delle responsabilità umane di tale evento e usando questi temi per fare propaganda – pensiamo anche solo a” Matteo Salvini “e alla sua difesa di casa e macchina, come se l’obiettivo dell’ecologia fosse strapparle dai cittadini – dall’altro esiste un movimento che si estende nel tempo, che affondava le sue origini in teorie tardo ottocentesche, e al quale oggi possiamo dare il nome di eco fascismo.

 

(Cultura.

La crisi climatica è in tavola ma millennial e politici lo ignorano.

Caterina Orsenigo.)

 

Il verde dell’ecologia che incontra il nero dell’estrema destra:

difendere il rapporto tra la natura e l’uomo in chiave nazionalista, protezionista, sovranista e razzista.

 Fare eco-bordering, ossia chiudere le frontiere ai migranti che mescolano le razze e vengono a esaurire le nostre risorse ambientali, negare di conseguenza la realtà dell’immigrazione climatica, condannare chi pratica il nomadismo in quanto privo di radici, trascurare le relazioni strutturali tra temi climatici e modello di sviluppo capitalista in favore di una ideologia reazionaria e protezionista che abbia come obiettivo quello di pensare solo alla salvaguardia del proprio orto, sia letteralmente che metaforicamente.

Invece di attribuire la questione climatica al consumo eccessivo delle risorse naturali da parte dei paesi più ricchi del mondo, come fa la comunità scientifica all’unanimità, l’eco-fascismo, che più che un movimento organizzato è una modalità organizzativa, sposta l’attenzione sulla difesa dei suoli nazionali, della purezza del sangue, ancora una volta “Blut und Boden”.

 

In Italia.

L’eco-fascismo è un laboratorio dentro cui si possono riversare frange verdi di destra del “Rassemblement National francese”, o del “British National Party”, dell’”alt-right americana” che brulica nei forum e nel sottobosco trumpiano, nel “partito spagnolo Vox” o nel manifesto di un suprematista bianco come il responsabile dell’”attentato di Christchurch “in Nuova Zelanda o in quello del “terrorista di El Paso” che ha ucciso ventitré persone per difendere i confini statunitensi dall’invasione messicana, minaccia per le persone e per l’ambiente.

 

In Italia l’eco-fascismo sembra ancora molto distante dalla vulgata di destra che vede il green come un pericolo talebano e gli attivisti come dei pagliacci da usare per nutrire” flame televisivi” o radiofonici, tra ragazzini che bloccano il traffico e vernice sulle statue contro cui inveire.

 

(Ambiente.

Il declino definitivo di un pensiero ambientalista a destra.

Gianfranco Pellegrino -filosofo)

Eppure, qualcosa in comune tra questo universo verde-nero e la nostra destra c’è: sentir parlare di difesa dei confini, di chiusura nei confronti della migrazione intesa come invasione – e non come un’emergenza, anche di tipo climatico – e di difesa del suolo nazionale in termini esplicitamente xenofobi e complottisti è all’ordine del giorno.

Finché la difesa della macchina e dei combustibili fossili sarà strumentale per fare propaganda politica, l’avanzare dell’eco-fascismo potrebbe essere lontano.

Cosa succederà invece quando la “questione climatica” diventerà davvero un tema che non si potrà più ignorare, e dunque facile da strumentalizzare, a prescindere dal proprio orientamento politico?

 

 

 

 

Allarmismo climatico ed

eco-ansia: cui prodest?

Centrostudilivatino.it – (Ago 14, 2023) – Maurizio Milano – ci dice:

 

Terra surriscaldata.

I media mainstream hanno colto l’occasione del rialzo delle temperature, un fenomeno che accompagna generalmente l’inizio del periodo estivo, per paventare un’emergenza climatica causata dall’uomo, che richiederebbe misure radicali e urgenti.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, “António Guterres”, ha parlato dell’inizio dell’«era dell’ebollizione globale», affermando che «il cambiamento climatico è qui.

 È terrificante. Ed è solo l’inizio».

 Poi le temperature sono bruscamente ridiscese e con esse, almeno per un po’, anche i toni.

 

Deve trattarsi dell’”effetto Seneca”.

 Il celebre filosofo latino, Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.), nell’Epistula XVIII delle “Lettere morali a Lucilio”, scriveva infatti:

«Omnis aestas hominibus calidissima semper videtur», e cioè

 «Ogni estate sembra agli uomini la più calda di sempre».

Non si dovrebbe però confondere il meteo, per sua natura variabile e capriccioso, col clima, le cui tendenze si misurano su scale temporali pluridecennali, se non secolari.

 Ci sono pochi dubbi sul fatto che anche il clima sia naturalmente soggetto a cambiamento, e ciò non da quando esiste l’uomo o a partire dalla rivoluzione industriale, ma da quando esiste il mondo.

 Eppure l’ipotesi della predominante responsabilità umana nel (recente?) cambio del clima ha acquisto nel corso degli ultimi lustri un consenso crescente all’interno del mondo politico, economico-finanziario, di parte dell’accademia e dell’informazione globale.

 

La teoria del «riscaldamento globale» di supposta origine antropica (l’acronimo inglese è “AGW”: “Anthropogenic Global Warming”) e del più ampio concetto di «cambiamento climatico» che ne deriverebbe – al centro dell’attività dell”’Intergovernmental Panel on Climate Change” (IPCC), un’agenzia dell’Onu dedicata allo studio dell’impatto umano sul cambiamento climatico – è però solamente un’ipotesi, non dimostrata e non dimostrabile.

Sono moltissimi gli scienziati autorevoli che la criticano apertamente:

per rimanere al nostro Paese scienziati di fama mondiale come “Antonino Zichichi”, “Carlo Rubbia” e il climatologo “Franco Prodi “che la definisce una “suggestione”, per di più non esente da conflitti di interesse, qualificando la climatologia come una «disciplina acerba».

Le loro critiche sono considerate scomode in quanto contraddicono la narrazione dominante, e quindi non trovano spazio nei media mainstream.

 Recentemente il “Fondo Monetario Internazionale” ha cancellato una conferenza già programmata del celebre fisico statunitense e premio Nobel, “John Francis Clauser (1942), dopo che aveva dichiarato:

 «Posso dire con fiducia che non c’è reale crisi climatica, e che il cambiamento climatico non causi condizioni metereologiche o eventi estremi».

Diviene difficile per la vulgata dominante screditare scienziati di tale livello rubricandoli a terrapiattisti, meglio allora oscurarli dal pubblico dibattito come venne fatto durante la crisi sanitaria col biologo e virologo francese, il premio Nobel “Luc Montagnier” (1932-2022).

I più zelanti propendono di risolvere definitivamente la questione con la forza pubblica,” istituendo il reato di negazionismo climatico”.

“ Schwab” scrive che «particolare attenzione dovrà essere prestata a quelli che non riconoscono o semplicemente negano la scienza (sic) del cambiamento climatico»(Cfr. Klaus Schwab, Thierry Malleret, The Great Narrative, For a Better Future, ed. Forum Publishing, 2021, § 2.3.3).

 Se poi, “malauguratamente”, la temperatura dovesse ridiscendere nessun problema:

il riscaldamento c’è ma non si vede, come la nebbia di Milano in un famoso film di Totò.

 Insomma, passeremmo dal malato asintomatico al “riscaldamento globale asintomatico”.

Per contro, il metodo scientifico presupporrebbe toni pacati, esperimenti e verifiche sul campo, senza preconcetti o agende nascoste, senza chiudere la bocca a nessuno e senza diffondere paura e ansia tra le persone.

 Il magnate-filantropo “Bill Gates”, in analogia e prosecuzione ideale con la pandemia CoViD-19, parla invece di un’incombente pandemia climatica.

Nel suo libro “How to avoid a climate disaster” ha introdotto il concetto di «green premium», «premio verde», per indicare l’extra costo legato all’utilizzo dell’energia verde, cioè l’aumento dei costi su materiali e prodotti energetici dovuti alla transizione verso le energie rinnovabili.

 In tempi non sospetti, un anno esatto prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, “Gates” stimava in 5mila miliardi di dollari Usa annui (su un’economia globale che valeva circa 80mila miliardi di dollari) l’incremento di costi per attuare la transizione climatica.

Ecco allora che l’esplosione dell’inflazione a partire dall’estate del 2021, e poi attribuita principalmente al conflitto russo-ucraino, iniziato però nel febbraio 2022, è attribuibile in realtà in buona misura proprio alla transizione energetica, con sotto-investimenti nei combustibili fossili, oltre che alle politiche monetarie e fiscali ultra-espansive e alla frammentazione delle filiere produttive-distributive a seguito dei lockdown attuati dai governi durante la crisi sanitaria.

 Stiamo andando, insomma, verso una sorta di socialismo verde e quando avanza il socialismo sono a rischio proprietà privata, privacy e libertà, non solo economica:

 la contrazione in atto della classe media ne è un sintomo evidente.

“Bill Gates” afferma che tali costi, per quanto immani, sono però necessari «per evitare l’incombente disastro climatico», dipinto con tinte così fosche da rivaleggiare con le bibliche sette piaghe d’Egitto:

 «tempeste, incendi, rinnalzamento dei livelli dei mari, miseria e migrazioni dai Paesi poveri, guerre».

“Gates” sostiene anche che se non iniziamo a bloccare subito le emissioni di gas serra, ogni anno moriranno milioni di persone per il cambiamento climatico, e contro ciò, dice con una certa compiaciuta ironia, non ci sarà nessun “vaccino” disponibile.

E dire che l’Articolo 658 del codice penale prevederebbe sanzioni contro «chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme», senonché nel caso del clima purtroppo sono proprio «l’Autorità, gli enti e le persone che esercitano un pubblico servizio» a rendersi responsabili di tale “procurato allarme”.

Ecco allora spiegato il senso dell’allarmismo climatico:

solo se le persone saranno persuase che non ci sono alternative si potrà procedere nella direzione indicata dall’”Agenda Onu 2030” per il cosiddetto “sviluppo sostenibile” e portata avanti dalla «iniziativa del Great Reset» di Davos, che si prefigge il prometeico obiettivo di «ripensare, reimmaginare e resettare il nostro mondo», come scrive il prof. Klaus Schwab nel suo famoso testo “CoViD-19: The Great Reset”, pubblicato nel luglio 2020.

I programmi decisi dall’alto trovano sponda nell’operato dei movimenti ecologisti, da “Fridays For Future” a “Extinction Rebellion”, da quelli che imbrattano le opere d’arte nei musei in favore di telecamere a quelli che bloccano la circolazione stradale, ferroviaria o aerea, fino ai gruppi eco-terroristi.

Pensare che i giovani protestano perché il piano delineato dai potenti del mondo sia attuato ancora più in fretta e in modo ancora più radicale fa sorridere, e spiace che la buona fede della base, per quanto così mal riposta, sia strumentalizzata in modo così cinico.

“La nostra casa è in fiamme” è il verbo eco-catastrofista propagandato dalla giovane ambientalista svedese “Greta Thunberg” (2003) e dagli “attivisti green”, con afflato religioso, richieste di pentimento, sacrifici ed espiazione, che purtroppo sta creando tra i giovani una nuova “patologia”, l’eco-ansia, alimentata dalla propaganda dei media e, purtroppo, dalle stesse istituzioni.

Ma come è possibile spingere le persone ad andare contro i propri interessi?

Lo spiega molto bene l’antropologo, psicologo e sociologo francese “Gustave le Bon” (1841-1931):

 «In una folla, ogni sentimento, ogni atto è contagioso, e contagioso al punto che l’individuo sacrifica molto facilmente il proprio interesse personale all’interesse collettivo.

 È un’attitudine fortemente contraria alla sua natura, e l’uomo ne è capace solo quando fa parte di una folla» (Cfr. Gustave Le Bon, Psychologie des foules, Livre I, Cap. 1., ed. Felix Alcan, Parigi 1895).

 Le Bon introduce il concetto di “folla psicologica”, in cui l’individuo, preso da solo magari anche intelligente e colto, perde la coscienza dei propri pensieri e dei propri atti, e diviene come ipnotizzato.

L’importante, per fare presa sulle folle, è «esagerare, affermare, ripetere, e mai tentare di dimostrare con un ragionamento» (Ibidem, Cap. 2 § 3.).

 L’autore evidenzia il grande potere delle parole, al punto che «scegliendo le giuste parole si possono fare accettare alle folle le cose più odiose» (Ibidem, Livre II, Cap. 2 § 1).

Le giovani generazioni, più facilmente suggestionabili, sono considerate come gli agenti ideali per promuovere un cambiamento radicale, a fronte di: «ineguaglianze di reddito, cambiamento climatico, riforme economiche, eguaglianza di genere e diritti LGBTQ, tutte parti di un più generale problema di ineguaglianza.

La giovane generazione è fermamente all’avanguardia del cambiamento sociale. Non ci sono dubbi che sarà il catalizzatore del cambiamento» (Cfr. Klaus Schwab, Thierry Malleret, The Great Narrative, For a Better Future, op. cit., § 2.5).

 Il clima, come si vede, è il grimaldello verde per portare avanti un’agenda molto più ampia.

L’adesione entusiasta del mondo politico nei confronti di quella che possiamo definire “ideologia climatica” è spiegata dall’accentramento di risorse e decisioni reso possibile dall’implementazione di tali agende;

l’adesione dei settori economici che godranno degli incentivi è ovviamente comprensibile, come anche quella della cosiddetta finanza sostenibile che vede schiudersi straordinarie opportunità di profitto da un business aperto “ope legis” dalla politica;

il mondo dell’accademia allineato può beneficiare di fondi copiosi, mentre gli scienziati dissenzienti si vedono chiuse opportunità di carriera e visibilità;

 i media mainstream fanno poi da cassa di risonanza per diffondere una voce il verbo green.

D’altronde, come si può convincere qualcuno della fallacia di idee su cui si basa la sua fortuna?

Oltre ai costi esorbitanti e ai cattivi investimenti, un altro rischio di tali visioni ideologiche è quello di distogliere l’attenzione da quanto si potrebbe e dovrebbe fare, a partire dal singolo e dalle comunità locali, per convivere con fenomeni metereologici talvolta estremi.

Lo stesso tifone che semina morte e distruzione su “Haiti” porta danni decisamente inferiori in Florida: la differenza, in positivo, la fa l’uomo.

 Ecco allora che la soluzione dovrebbe pragmaticamente seguire la logica del principio di sussidiarietà, perseguendo il bene possibile, dal basso verso l’alto;

esattamente l’opposto di quanto propugnato da Davos, secondo cui problemi globali richiederebbero soluzioni globali imposte dall’alto, sollevando di conseguenza gli amministratori locali dalle proprie responsabilità.

Qualsiasi cosa accada è colpa del clima, e quindi dell’umanità che emette gas serra, e perciò l’unica strada è resettare alla base il sistema produttivo, distributivo e di consumo, dalle auto alle città, dall’alimentazione alle case.

Invece di distogliere preziose risorse per combattere contro le emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra, non avrebbe invece più senso investire nella cura del territorio e nella prevenzione dei rischi?

 Se davvero il clima sta cambiando perché non cercare di adattarci, come abbiamo sempre fatto nella nostra breve storia sul pianeta terra?

Perché non perseguire un’autentica ecologia integrale, rispettosa della natura dell’uomo e quindi anche del creato, dono di Dio?

Gli approcci ideologici, purtroppo, hanno poco rispetto del principio di realtà.

 A fronte della perdita del senso comune, nel suo libro Eretici del 1905 il celebre scrittore inglese “Gilbert Keith Chesterton” (1874-1936) affermava:

 «Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.

Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate».

Visto l’andazzo corrente occorre forse completare la frase aggiungendo «…e che in estate fa caldo!».

Una volta, quando si incontrava qualcuno con cui non si era in confidenza si parlava del tempo, un argomento che a differenza della politica e della religione era considerato non divisivo, sicuro:

ora che il clima ha assunto rilevanza politica e un afflato religioso, di che cosa potremo ancora parlare senza correre il rischio di essere tacciati (anche) di negazionismo climatico?

(Maurizio Milano).

 

 

 

 

Il ‘nuovo mondo’ di Davos: dalla transizione

ecologica al controllo sociale?

Centrostudilevantino.it – (Dic. 21, 2021) – Maurizio Milano – ci dice:

 

Secondo Klaus Schwab, fondatore ed Executive Chairman del World Economic Forum (WEF) di Davos, il paradigma sociale ed economico dominante nel secondo dopoguerra, in crisi già da alcuni decenni, è giunto oramai al punto di non-ritorno.

 Solo la conversione dallo “shareholder capitalism” allo “stakeholder capitalism” del XXI secolo potrà consentire alle “società capitalistiche di sopravvivere e prosperare nell’attuale era, caratterizzata da cambiamento climatico, globalizzazione e digitalizzazione”.

 La “soluzione” proposta, tuttavia, va nella direzione opposta a quella desiderabile, aggravando ulteriormente i mali che si pretenderebbe voler curare.

1. Nel suo recente libro “Stakeholder Capitalism”:

A Global Economy that Works for Progress, People and Planet, il prof. Klaus Schwab afferma che il modello sociale, economico e politico attuale è giunto al capolinea.

 Secondo il leader del WEF, le prime avvisaglie di tale crisi erano già evidenti negli anni 1970, a partire dal “Rapporto Meadows” del 1972, commissionato dal “Club di Roma» di Aurelio Peccei, che individuava i “limiti dello sviluppo” nella crescita “eccessiva” della popolazione rispetto alle risorse disponibili.

I documenti e i programmi dell’ultimo mezzo secolo, concretizzatisi nelle varie Conferenze dell’ONU incentrate sul cosiddetto “sviluppo sostenibile” – dal Rapporto Brundtland della “Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo” (WCED) del 1987 (in cui venne introdotta la nozione di “sostenibilità”) fino ad arrivare all’”Accordo di Parigi” sul clima nel 2015 con l’approvazione dell’”Agenda Onu 2030“, nella quale sono definiti “17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile” – hanno portato avanti una visione neo-malthusiana, in cui il focus iniziale sull’inadeguatezza delle risorse a sostenere il modello di crescita economica si è progressivamente spostato sui presunti effetti negativi dell’uomo sull’ambiente.

A partire dal 1996, introdotta da “Mathis Wackernagel” e da “William Rees”, si è diffusa, infatti, l’ipotesi della cosiddetta “impronta ecologica “, che misurerebbe l’impatto negativo dell’uomo sulla Terra mediante un complesso indicatore aggiornato periodicamente dal WWF a partire dal 1999.

 Per l’ideologia “verde” oggi dominante, la popolazione è indubbiamente considerata come la principale minaccia per la “salute” stessa del pianeta, anche al di là del solito tema dei presunti squilibri tra crescita della popolazione e risorse disponibili.

Il concetto di “sostenibilità” si inscrive quindi all’interno di un quadro di riferimento culturale che viene da molto lontano, ostile alla vita e alla famiglia naturale, anche se, ovviamente, non tutti ne sono consapevoli.

 Benedetto XVI, in “Caritas in veritate”, non parlava mai di “sviluppo sostenibile” bensì di “sviluppo umano integrale” che poi, in fondo, è l’unico sviluppo davvero “sostenibile”, anche sul piano materiale.

L’invecchiamento demografico congiunto al crollo della natalità, infatti, comporta dei progressivi problemi di “sostenibilità” a livello economico e sociale a causa dei crescenti costi – sanitari, previdenziali ed assistenziali – che si scaricano su una popolazione in età lavorativa in costante contrazione.

Un rischio che persino la Cina ha compreso, introducendo a fine maggio 2021 la possibilità per le famiglie di avere fino a tre figli:

è certamente la solita visione statalista e ideologica che considera le persone come una “massa” da manovrare a seconda dei mutevoli interessi economici e politici, ma comunque un segno evidente di come il “reale” alla lunga si imponga sempre sull’ideologia.

2. Schwab si focalizza poi sulla svolta definita come «neo-liberista», iniziata negli anni 1980 con la Reaganomics e il Thatcherismo, incentrata “maggiormente su fondamentalismo del mercato e individualismo e meno sull’intervento statale o sull’implementazione di un contratto sociale”, giudicandola “un errore”.

Egli afferma che il modello dominante – che definisce “shareholder capitalism” perché la responsabilità delle imprese è limitata alla produzione di utili per gli azionisti, senza ulteriori implicazioni “sociali” – dev’essere urgentemente superato nella direzione di quello che definisce lo “stakeholder capitalism del XXI secolo”, dove debbono essere presi in considerazione tutti i “portatori di interesse”, dai clienti ai lavoratori, dai cittadini alle comunità, dai governi al pianeta, in una prospettiva non più locale o nazionale ma “globale”, che richiede quindi un nuovo “multilateralismo”.

In linea di principio, la logica dello “stakeholder capitalism” è anche condivisibile, giacché le imprese non vivono nel vacuum, ma in contesti sociali e politici.

Quindi, oltre alla generazione di profitto per i propri azionisti, servendo al meglio i clienti in una libera e leale concorrenza, è equo che sostengano i costi delle eventuali esternalità e si assumano responsabilità più ampie, secondo il principio del bene comune a cui tutti sono tenuti a contribuire.

Che cosa si intende però esattamente col termine “stakeholder capitalism del XXI secolo”?

 Al cuore di tale modello secondo Schwab vi sono due realtà: le “persone” e il “pianeta”.

2.1. Le “persone”:

 Schwab scrive che “il benessere delle persone in una società influisce su quello di altre persone in altre società, e spetta a tutti noi come cittadini globali ottimizzare il benessere di tutti”.

 I “cittadini globali” astratti indicati da Schwab esistono però solo nelle visioni ideologiche:

 le “persone” concrete hanno sempre relazioni, a partire dalla famiglia e dalla società circostante, e sono sempre portatrici di una storia – e di una geografia –, nonché di una visione del mondo.

Non esistono i “cittadini del mondo”, se non tra le élite tecnocratiche apolidi a cui si indirizza, evidentemente, il prof. Schwab.

Nella prospettiva evocata, la sussidiarietà e la stessa sovranità nazionale verrebbero sostituite da prospettive centralistiche e dirigistiche.

 

2.2. Il “pianeta”:

Schwab lo definisce come “lo stakeholder centrale nel sistema economico globale, la cui salute dovrebbe essere ottimizzata nelle decisioni effettuate da tutti gli altri stakeholder.

In nessun altro punto ciò è divenuto più evidente come nella realtà del cambiamento climatico planetario e nei conseguenti eventi climatici estremi provocati”.

 La teoria del “riscaldamento globale” di supposta origine antropica (l’acronimo inglese è “AGW”: Anthropogenic Global Warming) e del più ampio concetto di “cambiamento climatico” che ne deriverebbe – al centro dell’attività dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un’agenzia dell’Onu dedicata allo studio dell’impatto umano sul cambiamento climatico – è appunto soltanto una teoria, su cui molti scienziati autorevoli non concordano (per es. gli scienziati di fama mondiale Antonino Zichichi e Carlo Rubbia, per restare all’Italia), non una realtà, in quanto manca di conferme scientifiche certe.

A ben guardare, pur considerando l’uomo come il “cancro” del pianeta, l’ideologia ecologista pecca paradossalmente per eccesso di “antropocentrismo” perché attribuisce all’essere umano un potere che nei fatti è ben lungi da avere:

 non è forse prometeico pretendere di abbassare la temperatura del pianeta come si fa col climatizzatore dell’ufficio e pensare di potere cambiare il clima della Terra come se fosse quello della serra dell’orto di casa?

A ciò si aggiunga che tutte le previsioni catastrofistiche fatte in passato sull’evoluzione del clima e sugli impatti sul pianeta e sull’uomo si sono rivelate erronee.

 

Ovviamente, con ciò non si vuole sminuire l’importanza di contrastare l’inquinamento e di migliorare costantemente nella gestione dei beni creati, anche nel senso della cosiddetta “economia circolare” e nella continua innovazione tecnologica per ridurre gli sprechi:

questa corretta “ecologia” non ha però nulla a che spartire con l’approccio ideologico e ostile all’uomo – e alla natalità – della decarbonizzazione e della transizione energetica degli approcci sopra indicati.

 È ideologico, non scientifico, trasformare una teoria in una certezza, su cui poi impostare azioni di portata colossale e con costi astronomici.

Nella prospettiva del cosiddetto “cambiamento climatico” – che è per definizione globale – è chiaro che la sovranità nazionale dovrebbe cedere il passo al multilateralismo e alla governance mondiale: a problemi globali soluzioni globali. Cui prodest?

 

3. Schwab non ne parla nel libro citato, ma la “transizione ecologica” a guida ONU non si limiterà alle tematiche di tipo “energetico”, con l’abbandono dei combustibili fossili – che stanno già comportando fortissimi rialzi delle materie prime energetiche con ricadute in termini di dinamiche inflazionistiche sui prodotti e sui servizi –, ma si estenderà anche al cambio dei modelli alimentari, incentivando, ad esempio, la “conversione” al veganesimo e al consumo di “carne sintetica”; per non parlare della “suggestione” ad avere preferibilmente un solo figlio per famiglia, ad adottare uno stile di vita all’insegna dell’austerità, rinunciando a viaggiare per non inquinare oppure preferendo andare a piedi o in bicicletta e utilizzare solo i mezzi pubblici; e chissà cos’altro in futuro, perché la rivoluzione verde, come tutte le rivoluzioni, è un processo in divenire perenne, e quindi non può arrestarsi.

I costi saranno probabilmente stratosferici:

Bill Gates li stima in 5.000 miliardi di dollari annui, che potranno progressivamente scendere nel corso del tempo, grazie all’innovazione tecnologica, fino a “soli” 250 miliardi di dollari annui di extra-costo nel 2050.

Tale extra-costo è indicato col termine green premium.

Sembra proprio che ogniqualvolta compare l’aggettivo “verde” dobbiamo preoccuparci:

 i nuovi e pesanti costi, infatti,  hanno già iniziato a scaricarsi su contribuenti e consumatori, con inevitabili gravi alterazioni della concorrenza, e quindi delle stesse prospettive di crescita economica futura, a danno dei più e a beneficio delle industrie favorite da tali progetti, oltre che della cosiddetta “finanza sostenibile”. Per non parlare delle pesanti restrizioni alla libertà, che abbiamo già iniziato ad “assaporare”: una decrescita, insomma, davvero poco felice. 

 

4. Se lo “stakeholder capitalism del XXI secolo” del prof. Klaus Schwab si fonda su questi due pilastri, su “cittadini” ridotti a monadi e su un “pianeta” da difendere dagli attacchi dell’uomo – e quindi non più un “creato” che dell’uomo costituisce la dimora –, c’è da temere derive liberticide.

 Mentre le società e l’iniziativa economica nascono logicamente e storicamente dal basso, a partire dalle persone concrete, inserite in famiglie e in comunità, per poi svilupparsi secondo logiche sussidiarie nei vari corpi intermedi, qui ci troviamo di fronte a una visione distopica fondata su un’antropologia distorta, e conseguentemente su una sociologia “rovesciata”.

 Una prospettiva atomistica e materialistica, centralistica e dirigistica, dove i “migliori” vorrebbero guidare dal centro e dall’alto, come nella città ideale vagheggiata da molti utopisti che si sono industriati, nel corso dei secoli, di immaginare un “mondo migliore”.

 

5. Con riferimento ai pretesi “eccessi di libertà” dei “privati” che avrebbero portato fuori strada il paradigma di crescita impostosi nel secondo dopoguerra, occorre poi fare una precisazione.

Di quali “privati” si sta parlando?

 I Paesi contemporanei sono caratterizzati tutti, chi più chi meno, da una presenza molto forte dello Stato nella vita economica e sociale, da un livello di pressione fiscale e contributiva importante, da un’elevata collusione dei grandi gruppi industriali e finanziari col potere politico – il cosiddetto capitalismo clientelare – e da un monopolio statale sul denaro, la cui quantità viene manipolata ad libitum dalle rispettive Banche centrali che negli ultimi lustri intervengono in modo sempre più attivo e spregiudicato per orientare i sistemi finanziari, e quindi economici, dei propri Paesi.

 

Negli stessi USA, considerati l’emblema dell’economia libera, il potere politico è colluso con i grandi gruppi privati e lo stesso andamento di Wall Street – nell’immaginario collettivo icona del “capitalismo selvaggio” e del “turbo-capitalismo” – dipende in realtà sempre più dalla politica, in particolare dalle politiche monetarie ultra-espansive attuate dal 2009 dalla Federal Reserve statunitense, solo formalmente indipendente dall’establishment politico-economico.

Non ci sono dubbi che esista una “liaison malsana” tra i grandi gruppi privati e la politica, in forte crescita nell’ultimo quarto di secolo, e ciò va denunciato col termine di “capitalismo clientelare”:

aumentando ulteriormente la spesa pubblica non si farebbe altro che accrescere ancora la quota di ricchezza nazionale gestita da tali élite politico-economiche, a tutto beneficio di chi è più vicino ai rubinetti della spesa e a danno di tutti gli altri che pagheranno il conto.

Lo vedremo, molto probabilmente, con l’implementazione del “Piano di rilancio europeo” denominato “Next Generation EU “(il cosiddetto Recovery Fund), per la ricostruzione post-pandemica, a cui è collegato il piano di attuazione italiano (il cosiddetto Piano nazionale di ripresa e resilienza – PNRR):

entrambi di tipo top-down, basati sul debito e calati dall’alto in modo dirigistico-accentratore.

Nel sistema che si sta disegnando, la piccola e la media impresa, che già hanno poca voce in capitolo adesso, rischiano di essere ancora più marginalizzate.

 

6. Com’è noto, infatti, la prospettiva di Davos è quella del “Great Reset” dei sistemi economici-sociali-politici attuali per andare verso un “New Normal”, una sorta di governance mondiale, dove delle “cabine di regia” sempre più alte, composte da organismi sovranazionali, Stati, Banche centrali, grandi gruppi finanziari ed economici, media globali, think tank come Davos, assumeranno il ruolo di direttori d’orchestra per decidere dove andare, con quali mezzi e in che modo, per “ricostruire il mondo in modo migliore”, secondo lo slogan B3W-Build Back a Better World del Presidente statunitense Joe Biden, condiviso dai Paesi del G7.

Ma come imporre tali cambiamenti?

In un suo libro precedente, molto conosciuto, “COVID-19: The Great Reset”, il prof. Schwab scriveva che l’epidemia CoVid-19 costituisce una “grande opportunità” per “ripensare, reimmaginare e resettare il nostro mondo”.

Il leader del WEF sottolinea che al di là dei dati di fatto, della “realtà”, «”le nostre azioni e reazioni umane […] sono determinate dalle emozioni e dai sentimenti: le narrazioni guidano il nostro comportamento”, lasciando cioè intendere che, con uno story-telling adeguato, sarà possibile indurre un po’ per volta il cambiamento dall’alto, creando il consenso con un mix di bastone e di carota.

L’importanza della “narrazione” per guidare il cambiamento era già stata indicata da Schwab come una priorità in un altro suo testo del 2016 dedicato alla Quarta Rivoluzione Industriale, “The Fourth Industrial Revolution”:

il passaggio dalla narrazione alla propaganda rischia di essere molto veloce, e particolarmente pericoloso se si aggiunge al controllo dei flussi finanziari, a regolamentazioni sempre più rigide, fino alla stessa limitazione della libertà di movimento personale.

L’attuazione della “iniziativa del Grande Reset” verso il “Brave New World post-pandemico” sembra procedere, in questi mesi, con quella «fretta» raccomandata da Schwab come condizione di efficacia.

Schwab non ne parla ma è una strategia che ricorda molto quella della “Fabian Society”, il più antico think tank politico britannico, fondata a Londra nel 1884 e da allora punto di riferimento della sinistra mondiale:

“For the right moment you must wait […] but when the time comes you must strike hard”, cioè “devi attendere il momento giusto […] ma quando arriva devi colpire duramente”.

 L’immagine scelta dai fabiani, un lupo travestito da agnello, completa il quadro.

 

7. In conclusione, lo “stakeholder capitalism del XXI secolo” del prof. Schwab sembra delineare una sorta di “socialismo benevolo”, un’evoluzione su scala planetaria di quel mito evergreen che è lo Stato-assistenziale dei Paesi dell’Europa settentrionale.

 La collaborazione stretta tra grande finanza, big-tech, media e capitalismo clientelare è, ovviamente, necessaria alla realizzazione del progetto:

 promesse di “salute” e “sicurezza”, garantite dall’alto (nella forma di maggiori sussidi pubblici e di “reddito universale di cittadinanza”);

più tasse, meno libertà (e meno responsabilità), meno privacy e meno scelta individuale.

Un “socialismo liberale”, insomma, un po’ gnostico e un po’ fabiano, che intende mantenere la sovrastruttura liberal-democratica, ridotta però a un guscio vuoto, mentre le risorse e le decisioni importanti sono destinate ad essere sempre più accentrate presso “tecnici” e “competenti”, presso “cabine di regia” sempre più lontane.

Una prospettiva distopica che ricorda più quella evocata nel “Nuovo Mondo” di Aldous Huxley (1894-1963) che non quella paventata in “1984” di George Orwell (1903-1950).

Quos Deus perdere vult, dementat prius:

qualsiasi progetto contrario alla natura dell’uomo e all’ordine delle cose è destinato inevitabilmente al fallimento finale, ma può tuttavia arrecare dei seri danni, per molti anni a venire.

Quando torneremo, dunque, alla normalità?

 “Quando? Mai”, scrive Schwab.

 Ė scritto nero su bianco, basta prendersi la briga di andare a leggere e studiare quello che scrive.

Ciò non è rassicurante:

occorre approfondire queste tematiche con un serio studio in ordine alla realtà delle cose e ai costi sociali, insostenibili per gli uomini concreti, che sono esigiti per la costruzione del “mondo migliore” immaginato da Schwab. (Maurizio Milano).

«“GENE-EDITED” VS “GENETICAMENTE

 MODIFICATO”: QUAL È LA DIFFERENZA?»

Inchiostronero.it - Kit Cavalleresco – Redazione – (8-9-2024) – ci dice:

 

Hai sentito?

Le colture e il bestiame geneticamente modificati sono qui per risolvere tutti i nostri problemi!

Sì, tutto, dalle pandemie alla crisi del costo della vita ai cambiamenti climatici, sta per migliorare notevolmente.

Non è un sollievo?

Cinque giorni fa, il” WaPo” ha riferito che esistono i “gene-editor”.

Tre settimane prima, lo stesso giornale aveva parlato di alberi geneticamente modificati per produrre carta.

Nel Regno Unito possiamo aspettarci che il primo grano geneticamente modificato venga raccolto quest’anno.

Negli Stati Uniti, le foglie di insalata geneticamente modificate non sono molto lontane.

Il Giappone ha approvato anni fa i “super pomodori” che possono “abbassare la pressione sanguigna”.

Patate geneticamente modificate vengono create in Sud America.

 Grano in Egitto. Cotone e mais in Etiopia.

Già nel 2022 avevo segnalato che gli alimenti geneticamente modificati venivano già venduti al pubblico come “più economici” , “più nutrienti” e “in grado di prevenire future pandemie” .

Due settimane fa il “Japan Times” ha dichiarato che crede in queste affermazioni.

Ora, nel caso in cui siate preoccupati, vi assicuro che stanno parlando di cibo geneticamente modificato, il che è fantastico, NON di organismi geneticamente modificati (OGM), che sappiamo tutti essere una cosa negativa.

Ma qual è la differenza effettiva?

A volte è difficile dirlo, soprattutto perché i media tradizionali tendono ancora a usare i termini in modo intercambiabile (ad esempio, l’articolo del Japan Times di cui sopra usa “gene-edited” nel titolo, ma “OGM” nel sottotitolo).

Esiste una scheda informativa “DEFRA” del governo del Regno Unito del 2021 per alcuni chiarimenti in merito.

È stata individuata la parola scappatoia super speciale?

Avviciniamoci per osservare più da vicino.

Che posto strano per inserire la parola “generalmente”.

Una persona cinica potrebbe dire che la sua presenza rende l’intera frase priva di significato.

Non preoccupatevi, puoi star certo che una differenza c’è sicuramente, anche se questa differenza è in gran parte normativa.

In merito esiste un nuovo foglio informativo del” DEFRA”.

Ah, interessante….

Vi sorprenderebbe sapere che il governo del Regno Unito ha modificato tali regole tramite il “Genetic Technology” (Precision Breeding) Act 2023 ?

Da oggi in poi la precedente regolamentazione sugli organismi geneticamente modificati non si applica più agli organismi “geneticamente modificati”.

La legge stessa evita “Geneticamente modificato” in favore di “Allevato con precisione” (probabilmente perché suona più naturale) e definisce un organismo “allevato con precisione” in merito…ma sembra ancora piuttosto vago.

Certamente, esiste il potenziale affinché la differenza tra “geneticamente modificato” (GE) e “geneticamente modificato” (GM) diventi in gran parte semantica.

Ho notato nel mio precedente articolo che la campagna di pubbliche relazioni pro-gene editing era globale.

E la spinta del Regno Unito per la deregolamentazione è allo stesso modo rispecchiata in tutto il mondo, qualcosa che è sempre degno di nota di per sé.

A febbraio di quest’anno, l’Unione Europea ha votato per “semplificare la regolamentazione delle colture geneticamente modificate.”

Tre settimane fa, il “Genetic Literacy Project” con sede negli Stati Uniti ha intitolato “Nella speranza di ridurre l’uso di pesticidi, la Svizzera si avvicina alla legalizzazione dell’editing genetico delle colture.”

Solo pochi giorni fa, è stato riferito che la “Food Standards Australia New Zealand” (FSANZ) avrebbe utilizzato una “nuova definizione” di organismi geneticamente modificati che escludeva le colture geneticamente modificate.

Tutto questo parlare di deregolamentazione e di “nuove definizioni” dovrebbe far drizzare un sopracciglio a tutti. Chiaramente, c’è il potenziale per la madre di tutte le scappatoie.

Le notizie non sono migliori dall’altra parte della nuova cortina di ferro.

La Russia è sempre stata la nazione più apertamente contraria agli OGM, vietandone l’importazione, la coltivazione e la distribuzione sul suolo russo.

Ciò ha rappresentato una fonte di grande speranza per coloro che hanno investito nell’idea che la Russia e le nazioni BRICS in generale si oppongano all’incipiente distopia che si sta sviluppando in Occidente.

Purtroppo, però, la Russia investe miliardi di rubli nell ’“editing genetico” dal 2019.

La Cina sta andando nella stessa direzione. A maggio 2023 lo  è stato riportato.

Esattamente un anno dopo, la Cina ha ufficialmente approvato il grano geneticamente modificato per il consumo umano.

Sembra quindi che le colture geneticamente modificate siano nel menù, indipendentemente da chi vincerà la tanto attesa Terza Guerra Mondiale.

I governi e le grandi aziende agricole di tutto il mondo stanno salutando l’ascesa di una nuovissima e geniale tecnologia di “editing genetico”, lasciando le normative sulla stupida e vecchia “modifica genetica” a guardia di una stanza vuota.

Questo è semplicemente il modo in cui va il mondo nell’era post-Covid, post-verità, dove i poteri forti riformulano, ridefiniscono e reinterpretano le parole come ritengono necessario.

 I fatti sono temporanei.

 La realtà malleabile.

Modifica Wikipedia e hai cambiato la storia, se mai ne avessi bisogno puoi semplicemente cambiarla di nuovo.

Finora abbiamo parlato delle presunte differenze tra “geneticamente modificato” e “geneticamente modificato”, forse dovremmo prenderci un momento per discutere di alcune somiglianze.

Ad esempio, sia i semi che le colture geneticamente modificati (GE) potrebbero essere brevettati, conferendo un enorme potere a pochi giganti internazionali della biotecnologia, che potrebbero così esercitare un controllo sulla fornitura di sementi e, di conseguenza, sulla fornitura di cibo.

Lo riporta anche Politico.

Allo stesso modo, le colture geneticamente modificate potrebbero essere soggette a tecnologie di restrizione dell’uso genetico (GURT) o “semi terminatori”, il che significa che non possono riprodursi naturalmente.

Ciò, si sostiene, è necessario per proteggere la proprietà intellettuale e impedire l’incrocio con specie selvatiche o non geneticamente modificate.

 

Forse questa argomentazione ha un certo fondamento, ma l’impatto reale delle colture sterili porterebbe gli agricoltori a dipendere completamente dai giganti della biotecnologia per i semi in ogni stagione di semina.

Torniamo quindi alla nostra domanda iniziale: qual è la differenza tra “geneticamente modificato” e “geneticamente modificato”?

La risposta è potenzialmente molto semplice.

Gli “organismi geneticamente modificati” sono una tecnologia relativamente nuova e in gran parte sperimentale che ha il potere di cedere il controllo della fornitura alimentare a una manciata di aziende biotecnologiche ed è soggetta a un’ampia regolamentazione legale.

Gli “alimenti geneticamente modificati” sono una tecnologia relativamente nuova e ampiamente sperimentale che ha il potere di cedere il controllo della fornitura alimentare a una manciata di aziende biotecnologiche… e che NON è soggetta a una regolamentazione legale estesa.

(Kit Cavalleresco).

 

Dall'agrarismo al transumanesimo:

la lunga marcia verso la distopia.

Globalresearch.ca – (18 agosto 2024) - Colin Todhunter – ci dice:

 

"È in corso una demolizione totale delle precedenti forme di esistenza: il modo in cui si viene al mondo, il sesso biologico, l'educazione, le relazioni, la famiglia, persino la dieta che sta per diventare sintetica".

(“Silvia Guerini,” ecologa radicale, in "Dal corpo 'neutro' al cyborg -postumano: una critica dell'ideologia di genere" - 2023)

Attualmente stiamo assistendo a un'accelerazione del consolidamento aziendale dell'intera filiera agroalimentare globale.

 I conglomerati dei big data, tra cui Amazon, Microsoft, Facebook e Google, si sono uniti ai giganti tradizionali dell' agro-business , come Corteva, Bayer, Cargill e Syngenta, nel tentativo di imporre il loro modello di alimentazione e agricoltura al mondo.

 

Anche la Fondazione Bill e Melinda Gates e le grandi istituzioni finanziarie, come BlackRock e Vanguard, sono coinvolte, sia attraverso l'acquisto di enormi tratti di terreni agricoli , sia attraverso la promozione di tecnologie alimentari biosintetiche (false) e di ingegneria genetica o, più in generale, facilitando e finanziando gli obiettivi delle mega multinazionali agroalimentari.

Gli interessi miliardari dietro a questo cercano di ritrarre il loro tecno-soluzionismo come una sorta di sforzo umanitario:

salvare il pianeta con "soluzioni rispettose del clima", "aiutare gli agricoltori" o "nutrire il mondo".

Ma in realtà si tratta di riconfezionare e fare “greenwashing” delle strategie espropriative dell'imperialismo.

 

Si tratta di uno spostamento verso una " agricoltura mondiale " sotto il controllo dell' “agritech” e dei giganti dei dati, che deve essere basata su sementi geneticamente modificate, prodotti creati in laboratorio che assomigliano al cibo, agricoltura "di precisione" e "basata sui dati" e agricoltura senza agricoltori, con l'intera catena agroalimentare, dal campo (o laboratorio) alla vendita al dettaglio, governata da piattaforme di e-commerce monopolistiche determinate da sistemi di intelligenza artificiale e algoritmi.

Coloro che stanno portando avanti questa agenda hanno una visione non solo per gli agricoltori, ma anche per l'umanità in generale.

Le élite, attraverso il loro complesso militare-digitale-finanziario (Pentagono/Silicon Valley/Big Finance) vogliono usare le loro tecnologie per rimodellare il mondo e ridefinire cosa significa essere umani.

Considerano gli esseri umani, le loro culture e le loro pratiche, come la natura stessa, come un problema e carenti.

Gli agricoltori devono essere spostati e sostituiti con droni, macchine e computer basati su cloud.

Il cibo deve essere ridefinito e le persone devono essere nutrite con prodotti sintetici e geneticamente modificati.

 Le culture devono essere sradicate e l'umanità deve essere completamente urbanizzata, sottomessa e disconnessa dal mondo naturale.

Ciò che significa essere umani come esseri radicalmente trasformati.

Ma cosa ha significato essere umani fino ad ora o almeno prima della (relativamente recente) rivoluzione industriale e dell'urbanizzazione di massa associata?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo discutere del nostro legame con la natura e di ciò in cui la maggior parte dell'umanità era coinvolta prima dell'industrializzazione: coltivare il cibo.

Molti degli antichi rituali e celebrazioni dei nostri antenati sono stati costruiti attorno a storie, miti e rituali che li hanno aiutati a venire a patti con alcune delle domande più fondamentali dell'esistenza, dalla morte alla rinascita e alla fertilità. Queste credenze e pratiche culturalmente radicate servivano a santificare il loro rapporto pratico con la natura e il suo ruolo nel sostenere la vita umana.

Poiché l'agricoltura divenne la chiave per la sopravvivenza umana, la semina e la raccolta dei raccolti e altre attività stagionali associate alla produzione alimentare erano fondamentali per queste usanze.

Gli esseri umani hanno celebrato la natura e la vita a cui ha dato vita. Antiche credenze e rituali erano intrisi di speranza e rinnovamento e le persone avevano un rapporto necessario e immediato con il sole, i semi, gli animali, il vento, il fuoco, la terra e la pioggia e il mutare delle stagioni che nutrivano e portavano la vita. Le nostre relazioni culturali e sociali con la produzione agraria e le divinità associate avevano una solida base pratica.

La vita delle persone è stata legata alla semina, al raccolto, ai semi, al suolo e alle stagioni per migliaia di anni.

“Silvia Guerini”, la cui citazione introduce questo articolo, sottolinea l'importanza delle relazioni profonde e dei rituali che le riaffermano.

Dice che attraverso i rituali una comunità riconosce sé stessa e il suo posto nel mondo.

Creano lo spirito di una comunità radicata contribuendo a radicare e a far durare un'unica esistenza in un tempo, in un territorio, in una comunità.

Il professore “Robert W. Nicholls” spiega che i culti di “Woden” e “Thor” si sovrapposero a credenze molto più antiche e meglio radicate legate al sole e alla terra, alle colture e agli animali e alla rotazione delle stagioni tra la luce e il calore dell'estate e il freddo e il buio dell'inverno.

Il rapporto dell'umanità con l'agricoltura e il cibo e le nostre connessioni con la terra, la natura e la comunità hanno definito per millenni cosa significa essere umani.

Prendiamo l'India, per esempio.

Lo scienziato ambientale “Viva Kermani” afferma che l'induismo è la più grande religione basata sulla natura del mondo che:

“… riconosce e cerca il Divino nella natura e riconosce tutto come sacro. Considera la terra come nostra Madre e quindi sostiene che non dovrebbe essere sfruttata. La perdita di questa comprensione che la terra è nostra madre, o piuttosto una deliberata ignoranza di questo, ha portato all'abuso e allo sfruttamento della terra e delle sue risorse.

“Kermani” osserva che le antiche scritture insegnavano alle persone che gli animali e le piante che si trovano in India sono sacri e, quindi, tutti gli aspetti della natura devono essere venerati.

 Aggiunge che questa comprensione e riverenza verso l'ambiente è comune a tutti i sistemi religiosi e spirituali indiani: induismo, buddismo e giainismo.

Secondo “Kermani,” le divinità vediche hanno un profondo simbolismo e molti strati di esistenza.

Una di queste associazioni è con l'ecologia.

“Surya” è associato al sole, la fonte di calore e luce che nutre tutti;” Indra” è associato alla pioggia, ai raccolti e all'abbondanza; e “Agni” è la divinità del fuoco e della trasformazione e controlla tutti i cambiamenti.

 

Osserva che il “Vrikshayurveda”, un antico testo sanscrito sulla scienza delle piante e degli alberi, contiene dettagli sulla conservazione del suolo, la semina, la semina, il trattamento, la propagazione, come affrontare parassiti e malattie e molto altro ancora.

 

Come “Nicholls”, “Kermani” fornisce una visione di alcuni dei profondi aspetti culturali, filosofici e pratici del legame dell'umanità con la natura e la produzione alimentare.

 

Questa connessione risuona con l'agrarismo, una filosofia basata sul lavoro cooperativo e sull'amicizia, che è in netto contrasto con i valori e gli impatti della vita urbana, del capitalismo e della tecnologia che sono visti come dannosi per l'indipendenza e la dignità.

 Anche l'agrarismo sottolinea una dimensione spirituale e il valore della società rurale, delle piccole aziende agricole, della proprietà diffusa e del decentramento politico.

L'eminente sostenitore dell'agrarismo “Wedell Berry” dice :

"La rivoluzione iniziata con le macchine e i prodotti chimici continua ora con l'automazione, i computer e le biotecnologie".

Per “Berry”, l'agrarismo non è un desiderio sentimentale di un tempo passato.

Gli atteggiamenti coloniali, nazionali, stranieri e ora globali, hanno resistito al vero agrarismo quasi fin dall'inizio:

non c'è mai stata un'economia completamente sostenibile, stabile, adattata localmente, basata sulla terra.

Tuttavia,” Berry” fornisce molti esempi di piccole (e più grandi) aziende agricole che hanno una produzione simile a quella dell'agricoltura industriale con un terzo dell'energia.

Nella sua poesia "A Spiritual Journey", Berry scrive quanto segue:

"E il mondo non può essere scoperto con un viaggio di miglia,

non importa quanto lungo,

ma solo con un viaggio spirituale, un viaggio di un pollice, molto arduo,

umiliante e gioioso,

attraverso il quale arriviamo a terra ai nostri piedi,

e impariamo a essere a casa".

Ma nella fredda, centralizzata, tecnocratica distopia che è stata pianificata, il legame spirituale dell'umanità con la campagna, il cibo e la produzione agraria devono essere gettati nella pattumiera della storia.

“Silvia Guerini” ci dice:

"Il passato diventa qualcosa da cancellare per spezzare il filo che ci lega a una storia, a una tradizione, a un'appartenenza, per il passaggio verso una nuova umanità sradicata, senza passato, senza memoria... una nuova umanità disumanizzata nella sua essenza, totalmente nelle mani dei manipolatori della realtà e della verità".

Questa umanità disumanizzata e separata dal passato fa parte della più ampia agenda del transumanesimo.

Ad esempio, non stiamo solo assistendo a una spinta verso un mondo senza agricoltori e tutto ciò che ci ha legato alla terra ma, secondo “Guerini”, anche un mondo senza madri.

Sostiene che coloro che stanno dietro ai bambini in provetta e alla maternità surrogata ora hanno gli occhi puntati sull'ingegneria genetica e sugli uteri artificiali, che taglierebbero le donne fuori dal processo riproduttivo.

“Guerini” prevede che gli uteri artificiali potrebbero prima o poi essere richiesti, o meglio commercializzati, come un diritto per tutti, comprese le persone transgender.

 È interessante notare che il linguaggio intorno alla gravidanza è già contestato con l'omissione di "donne" da affermazioni come "persone che possono rimanere incinte".

Naturalmente, da tempo si è diffusa una linea di demarcazione tra biotecnologia, eugenetica e ingegneria genetica.

Le colture geneticamente modificate, i gene drive e l'editing genetico sono ora una realtà, ma l'obiettivo finale è sposare l'intelligenza artificiale, la bionanotecnologia e l'ingegneria genetica per produrre il transumano di un mondo unico.

A spingerlo sono potenti interessi che, secondo “Guerini”, stanno usando una “sinistra arcobaleno, transgenica e organizzazioni LGBTQ+” per promuovere una nuova identità sintetica e rivendicare nuovi diritti.

 Dice che questo è un attacco alla vita, alla natura, a "ciò che è nato, al contrario dell'artificiale" e aggiunge che tutti i legami con il mondo reale, naturale, devono essere recisi.

È interessante notare che nel suo rapporto “Future of Food” , il gigante britannico dei supermercati “Sainsburys” celebra un futuro in cui siamo microchippati e tracciati e i lacci neurali hanno il potenziale per vedere tutti i nostri dati genetici, sanitari e situazionali registrati, archiviati e analizzati da algoritmi che potrebbero capire esattamente di quale cibo (consegnato da un drone) abbiamo bisogno per sostenerci in un particolare momento della nostra vita.

Il tutto venduto come "ottimizzazione personale".

Inoltre, è probabile, secondo il rapporto, che otterremo nutrienti chiave attraverso gli impianti.

Parte di questi nutrienti arriverà sotto forma di cibo coltivato in laboratorio e insetti.

Un laccio neurale è una rete ultrasottile che può essere impiantata nel cranio, formando una raccolta di elettrodi in grado di monitorare la funzione cerebrale. Crea un'interfaccia tra il cervello e la macchina.

“Sainsburys” fa un buon lavoro nel cercare di promuovere un futuro distopico in cui l'intelligenza artificiale ha preso il tuo lavoro, ma, secondo il rapporto, hai un sacco di tempo per celebrare il meraviglioso mondo distorto della "cultura del cibo" creato dal supermercato e dai tuoi signori digitali.

Il tecno-feudalesimo incontra il transumanesimo, tutto per la vostra comodità, ovviamente.

Ma niente di tutto questo accadrà da un giorno all'altro. E resta da vedere se la tecnologia sarà all'altezza. Coloro che stanno promuovendo questo nuovo mondo potrebbe aver esagerato con la loro mano, ma passeranno i decenni successivi a cercare di portare avanti la loro visione.

Ma l'arroganza è il loro tallone d'Achille.

C'è ancora tempo per educare, organizzarsi, resistere e agitarsi contro questa arroganza, non da ultimo sfidando i giganti alimentari industriali e il sistema che li sostiene e sostenendo e creando movimenti alimentari di base ed economie locali che rafforzino la sovranità alimentare.

 

 

 

 

Il mondo sta camminando con gli

occhi bendati verso una guerra nucleare?

 

Globalresarch.ca - Prof. Rodrigue Tremblay – (08 settembre 2024) – ci dice:

"Attraverso il rilascio dell'energia atomica, la nostra generazione ha portato al mondo la forza più rivoluzionaria dalla scoperta del fuoco da parte dell'uomo preistorico.

 Questo potere fondamentale dell'universo non può essere inserito nel concetto antiquato di nazionalismi ristretti.”

“Dichiarazione del Comitato di Emergenza degli Scienziati Atomici, presieduto da Albert Einstein, 22 gennaio 1947.”

 

"Non so con quali armi si combatterà la Terza Guerra Mondiale, ma la Quarta Guerra Mondiale sarà combattuta con bastoni e pietre".

(Albert Einstein (1879-1955), fisico teorico tedesco (in un'intervista in "Liberal Judaism", aprile-maggio 1949)

"Mentre difendono i nostri interessi vitali, le potenze nucleari devono evitare questi scontri, che portano un avversario a scegliere tra una ritirata umiliante o una guerra nucleare.

Adottare questo tipo di linea di condotta nell'era nucleare sarebbe solo la prova del fallimento della nostra politica, o di un desiderio collettivo di morte per il mondo John F. Kennedy (1917-1963), 35° Presidente degli Stati Uniti, 1961-1963, (nel suo discorso di inaugurazione intitolato "Una strategia di pace" pronunciato all' Università Americana di Washington, DC, lunedì 10 giugno 1963)

Introduzione.

Durante il fatidico anno 2024, l'attenzione del mondo è stata distratta, in primo luogo dalla guerra in corso e in espansione provocata da Stati Uniti e NATO contro la Russia, "per indebolire la Russia" dal segretario alla Difesa, il generale “Lloyd Austin” , una guerra per procura pianificata molto tempo fa, nel 1991, dopo il crollo dell'Unione Sovietica .

È un dato di fatto, questa è stata una guerra per procura fin dall'inizio tra Stati Uniti e Russia, promossa dai neoconservatori americani.

 Si tratta di una guerra che è iniziata ufficialmente con il governo degli Stati Uniti che ha finanziato il rovesciamento violento del governo filo-russo eletto dal presidente” Viktor Yanukovich”, nel febbraio 2014.

In secondo luogo, c'è il conflitto in corso tra Israele e i palestinesi a Gaza, iniziato con un attacco di Hamas nell'ottobre 2023.

A questo ha fatto seguito l'uccisione di oltre 40.000 palestinesi da parte del governo israeliano Netanyahu.

Un massacro così diffuso di civili e la distruzione hanno lasciato orfani migliaia di bambini, scioccati gli storici del genocidio e svergognato la coscienza del mondo. Ciononostante, il massacro moderno del popolo palestinese sembra non avere fine in vista.

D'altra parte, quest'anno abbiamo anche assistito allo svolgimento delle grandiose Olimpiadi estive di Parigi.

Quella grande celebrazione della pace tra le nazioni è stata seguita da una saga politica nella campagna elettorale presidenziale americana, quando il presidente democratico in carica “Joe Biden” è stato costretto a ritirare la sua candidatura a favore della vicepresidente” Kamala Harris”.

Tuttavia, altri sviluppi più spaventosi si sono verificati nell'ombra.

In effetti, il “New York Time”s ha rivelato martedì 20 agosto che lo scorso marzo il presidente” Joe Biden”, in una pericolosa esibizione di politica del rischio calcolato, ha segretamente approvato una nuova strategia nucleare americana coordinata.

Si tratta di un piano per scontri nucleari simultanei degli Stati Uniti con la Russia, la Cina e la Corea del Nord.

Che esista un piano del genere non è molto rassicurante, considerando che gli Stati Uniti sono stati il primo e unico paese ad aver sganciato bombe nucleari sulle città, quelle di Hiroshima e Nagasaki, nell'agosto del 1945, provocando centinaia di migliaia di morti.

Che una guerra nucleare mondiale al giorno d'oggi possa essere considerata possibile, persino probabile, è sbalorditiva.

Come illustra la citazione del presidente John F. Kennedy nel suo discorso del giugno 1963, "adottare quel tipo di corso nell'era nucleare sarebbe solo la prova del fallimento o della nostra politica, o di un desiderio collettivo di morte per il mondo".

 

Le terribili conseguenze dei paesi che si preparano a una guerra nucleare.

I programmi di spesa nucleare delle tre maggiori potenze nucleari – Cina, Russia e Stati Uniti – minacciano di innescare una corsa agli armamenti nucleari a tre, mentre l'architettura mondiale del controllo degli armamenti crolla.

La Russia e la Cina stanno espandendo le loro capacità nucleari e a Washington aumenta la pressione, soprattutto tra i sostenitori del complesso militare-industriale (MIC) degli Stati Uniti, affinché gli Stati Uniti rispondano allo stesso modo.

 

La mancanza di fiducia e la volontà di controllare e limitare la produzione di armi nucleari può annunciare una nuova era di sviluppo di nuove armi nucleari, compreso il dispiegamento di armi nucleari offensive a raggio intercontinentale.

Ciò significa che le principali potenze nucleari potrebbero espandere lo sviluppo di nuove armi nucleari proprio mentre le tensioni geopolitiche continuano ad aumentare.

Questo è destinato a mettere in pericolo la sicurezza di tutte le nazioni.

L'orologio dell'Apocalisse dell'umanità si sta avvicinando sempre di più alla mezzanotte.

Secondo il “Bulletin of the Atomic Scientists”, la sua metafora o simbolo dell'”Orologio dell'Apocalisse” , creato nel 1947, è stato impostato su 90 secondi a mezzanotte nel gennaio 2023.

 È stato mantenuto a quel punto alto nel gennaio 2024, perché  l' umanità continua ad affrontare un alto livello di pericolo in tre aree principali:

 il maggior rischio di guerra nucleare , le conseguenze negative in corso del cambiamento climatico e la nuova minaccia dell'Intelligenza Artificiale.

Nel luglio del 1991, alla fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti (il presidente George HW Bush) e l'Unione Sovietica/Russia (il presidente Mikail S. Gorbatchev) firmarono il Trattato bilaterale per la riduzione delle armi strategiche (START I), progettato per promuovere il disarmo nucleare.

 

Ha dato mandato a entrambe le parti di ridurre i loro arsenali di armi nucleari offensive strategiche.

L'orologio dell'apocalisse degli scienziati atomici è stato quindi impostato su 17 minuti dalla mezzanotte.

(NB: START I è stato un successo. Ha avuto l'effetto di rimuovere circa l'80% di tutte le armi nucleari strategiche allora esistenti, quando la sua attuazione finale è stata completata, alla fine del 2001.)

Oggi, tuttavia, con il mondo gettato in una nuova “Seconda Guerra Fredda”, con l'acuirsi delle tensioni geopolitiche tra USA-UE-NATO, da un lato e Russia-Cina-Corea del Nord-Iran, dall'altro, i rischi di un grande cataclisma nucleare globale è molto alto.

A partire dallo “START I”, la maggior parte degli accordi sul controllo degli armamenti sono falliti.

Dopo il successo del trattato “START I”, ci sono stati due ulteriori trattati firmati tra gli Stati Uniti e la Russia per ridurre ulteriormente le scorte di armamenti nucleari. Entrambi sono falliti.

In primo luogo, nel gennaio 1993, il presidente americano George HW Bush e il presidente russo Boris Eltsin firmarono un nuovo “Trattato per la Riduzione delle Armi Strategiche chiamato START II”, per ampliare ciò che il trattato START I aveva realizzato.

Tuttavia, questo nuovo trattato non entrò mai in vigore.

Questo perché l'amministrazione di George W. Bush ha deciso, nel giugno 2002, di ritirarsi dal trattato sui missili anti-balistici (ABM) che esisteva tra gli Stati Uniti e l'URSS dal 1972, e che era una delle condizioni per lo sviluppo dello START II.

Molti osservatori considerano il ritiro americano del “trattato ABM” come il primo passo verso l'abbandono di efficaci vincoli legali sulla proliferazione nucleare.

In secondo luogo, il presidente Barack Obama ha tentato di rilanciare la riduzione reciproca delle armi nucleari offensive per garantire un mondo più sicuro, quando ha firmato un nuovo trattato START, nell'aprile 2010, con l'allora presidente della Federazione Russa Dmitry Medvedev.

Tuttavia, c'era un crescente scetticismo sulle riduzioni delle armi nucleari tra alcuni senatori repubblicani degli Stati Uniti e dai think tank di Washington DC, come la “Heritage Foundation”.

 

Il trattato “New START “doveva durare dieci anni, con la possibilità di rinnovarlo per un massimo di cinque anni con l'accordo di entrambe le parti.

Tuttavia, nel febbraio 2017, l'allora presidente Donald Trump disse al presidente russo Vladimir Putin che si sarebbe ritirato dal nuovo trattato START, esprimendo l'opinione che fosse troppo favorevole alla Russia e che si trattasse di un "cattivo accordo negoziato dall'amministrazione Obama".

Tutti i tentativi tra Trump e Putin di redigere un sostituto del nuovo trattato START prima della sua scadenza nel 2021 sono falliti.

 La Russia è arrivata al punto di accusare l'amministrazione Trump di aver "deliberatamente e intenzionalmente" smantellato gli accordi internazionali sul controllo degli armamenti e ha fatto riferimento al suo approccio "controproducente e apertamente aggressivo" nei colloqui.

Ciononostante, nel gennaio 2001, la neoeletta amministrazione Biden accettò la proposta russa di estendere il trattato “New START” sulla riduzione delle armi nucleari per cinque anni, cioè fino al 2026.

Questo è stato l'ultimo tentativo da parte degli Stati Uniti e della Russia di aumentare la loro reciproca sicurezza nucleare attraverso i negoziati bilaterali.

Uno storico precedente.

Le relazioni politiche tra Stati Uniti e Russia sono diventate sempre più tese, soprattutto dopo che la Russia ha invaso la vicina Ucraina nel febbraio 2022.

Il governo russo ha evocato due ragioni principali per la sua mossa: proteggere la minoranza russofona ucraina dalle esazioni di Kiev e impedire a quest'ultimo paese di aderire alla NATO, il che significherebbe il dispiegamento di missili nucleari americani al confine con la Russia.

Questa guerra ha provocato enormi distruzioni, sofferenze e numerose morti. È una guerra che si sarebbe potuta evitare con un minimo di buona fede, diplomazia e qualche concessione.

Il conflitto ricorda la crisi missilistica cubana del 1962.

 L'Unione Sovietica aveva piazzato missili nucleari a Cuba, a 90 miglia dalla costa degli Stati Uniti, in risposta agli schieramenti americani di missili nucleari in Italia e Turchia.

Alla fine fu raggiunto un compromesso tra il presidente Kennedy e il presidente Krusciov:

il governo sovietico avrebbe smantellato le sue armi offensive a Cuba e il governo degli Stati Uniti accettò, segretamente, di smantellare tutte le armi offensive che aveva schierato in Turchia.

Conclusioni.

Il mondo è diventato sempre più un luogo caotico e pericoloso. Ciò ha molto a che fare con l'attuale mancanza di accordi di deterrenza nucleare tra le principali potenze nucleari.

 Se un paese nucleare dovesse lanciare un attacco con un'arma nucleare in un clima di sfiducia, ciò potrebbe creare una minaccia esistenziale per centinaia di milioni di abitanti del Pianeta.

Una guerra nucleare devastante non avrebbe solo tragiche conseguenze umane, ma anche economiche.

 Sarebbe un enorme spreco di risorse, ma potrebbe anche creare un inverno nucleare con ricadute dannose sui raccolti che porterebbero alla carestia, oltre a essere una delle principali fonti di inquinamento atmosferico.

Una guerra nucleare potrebbe giovare all'industria nucleare militare in alcuni paesi, ma creerebbe il caos nell'economia globale, causando la caduta nei paesi coinvolti e creando stagflazione nel settore privato delle economie nazionali.

 

Se i leader delle nazioni con armi nucleari continuano a “banalizzare” la minaccia di una guerra nucleare su vasta scala e a fantasticare sull'idea demenziale di poter "vincere" una guerra nucleare, il mondo potrebbe dirigersi dritto verso una catastrofe esistenziale.

 

Pertanto, spetta a tutti, leader e cittadini, lavorare per l'abolizione delle guerre, che non fanno progredire l'umanità, ma piuttosto la fanno arretrare.

(Dr. Rodrigue Tremblay.)

 

 

 

 

"Un'invasione della Russia nucleare da parte della NATO è attualmente in corso, e il mondo non sa che si tratta di una terza guerra mondiale". La pazienza del presidente Putin ha raggiunto i suoi limiti?

Globalresearch.ca - Peter Koenig – (08 settembre 2024) – ci dice:

 

Tutte le linee rosse attraversate - più volte.

È attualmente in corso un'invasione della Russia nucleare da parte della NATO e il mondo non sa che si tratta di una terza guerra mondiale, come riportato da “Megatron” (14 agosto 2024).

La regione russa di Kursk è attualmente piena di armi, truppe, logistica e altro ancora, molti dei quali distruttivi.

Esiste una mappa in merito.

 L'Ucraina mira a destabilizzare la Russia con l'incursione di Kursk.

Le riprese video provengono da dozzine di veicoli della NATO, sistemi di difesa aerea, carri armati e altro ancora; anche se distrutta e catturata dalle forze russe nella regione di Kursk.

Le forze di Kiev, di circa 11.600 uomini, sotto la guida delle truppe della NATO, non sono riuscite a conquistare la città di Kurchatov e la sua centrale nucleare.

A quanto pare, il presidente Zelenskyj ha utilizzato tutte le truppe rimanenti di Kiev, oltre alle forze extra polacche (NATO).

Le perdite di Kiev sono più di 2.000.

Il generale” Allaudin” prevede inoltre che l'operazione speciale di Kiev si concluderà entro la fine del 2024, con una vittoria totale dell'esercito russo e la resa del regime di Kiev e dei suoi padroni a Washington e Londra. (Borzzikman 15 agosto 2024)

Resta da vedere se la resa da parte dell'Occidente avverrà davvero.

 Non è un'abitudine dell'Occidente, anche in condizioni terminali, perdere la faccia – quindi, ulteriori aggressioni, forse di un attacco diretto della NATO alla Russia, è una possibilità.

A questo punto, il presidente Putin si rifiuta ancora di dichiarare guerra, anche se il territorio della Russia è stato invaso e i russi sono stati uccisi sul loro territorio dalle forze della NATO.

Potrebbero essere pianificati attacchi più diretti della NATO.

Per ora, Washington la sta facendo franca con un "omicidio"; letteralmente.

Passo dopo passo, Washington e i suoi partner della NATO hanno attraversato una linea rossa dopo l'altra.

In primo luogo, le armi della NATO in Ucraina;

poi truppe NATO in Ucraina;

poi la caccia all'F-16 in Ucraina;

poi i soldati della NATO che comandano le sofisticate armi fornite dall'Occidente;

poi le truppe della NATO sui territori russi; poi i droni e gli aerei della NATO che attaccano obiettivi russi sul territorio russo – e infine le truppe della NATO che tentano di prendere il controllo di un intero distretto russo, prendendo prigionieri russi, uccidendo russi.

Gli aeroporti di tutta la Russia sono stati costantemente bombardati per diverse settimane dai droni della NATO.

 

Il 9 agosto 2024, i media statali russi hanno riferito di un'esplosione, seguita da un incendio nella base aerea russa nella regione di” Lipetsk”, a circa 280 chilometri dal confine con l'Ucraina nord-orientale, come se le forze ucraine/NATO hanno attaccato l'aeroporto e distrutto un magazzino e diverse altre strutture con bombe aeree guidate; guidati da esperti della NATO.

 

Alcuni ipotizzano che Kiev/la NATO possano aver utilizzato una piccola arma tattica nucleare.

 Non ci sono, tuttavia, provano di una storia di aggressione e la Russia rimane in silenzio.

Secondo l'esercito russo, la loro offensiva (russa) ha coinvolto circa 1.000 soldati e più di due dozzine di veicoli blindati e carri armati.

L'esercito russo avanza costantemente nel Donbass, difendendo la popolazione di lingua russa dai vigliacchi attacchi azov-nazisti che hanno ucciso negli ultimi 10 anni circa 18.000 persone, la maggior parte delle quali donne e bambini.

La Russia, sul suo territorio, riceve colpi pesanti e dolorosi dalle armi della NATO. La NATO è ovunque, con le comunicazioni, la logistica e il comando della NATO.

Oltre 35 paesi stanno investendo centinaia di miliardi di dollari dei contribuenti per fornire all'Ucraina armi per effettuare questi attacchi mortali contro la Russia – sul territorio russo, con i soldati della NATO, che l'Occidente ama chiamare "mercenari stranieri".

Circa 80 anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando la Russia sconfisse la Germania nazista, i carri armati tedeschi – dati all'Ucraina – come 80 anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando la Russia sconfisse la Germania nazista, i carri armati tedeschi – dati all'Ucraina

Ma il fascismo oggi ticchetta ed è ben vivo, ricordando i tempi degli anni '40.

Putin è stato irremovibile nello sradicare il nazismo in Ucraina, rendendo l'Ucraina un paese neutrale e libero dalla NATO, una condizione chiave per i negoziati di pace.

La NATO sta tentando di creare gradualmente brigate nell'Europa orientale, con l'obiettivo di affrontare la Russia.

È un gioco di osservazione, " fin dove possiamo arrivare ", osservando attentamente la reazione della Russia.

Le difficoltà che potrebbero avere, sono quelle di dotare le brigate di soldati, poiché i giovani europei non sono disposti a morire per i guerrafondai occidentali e per i profitti delle industrie belliche occidentali.

Secondo “Megatron”, è molto probabile che la NATO intenda invadere la Bielorussia.

Putin e i suoi consiglieri hanno calcolato male l'audacia della NATO, sperando di non passare dall'Ucraina ai territori russi, per evitare un'ulteriore escalation?

E ora che tutte le linee rosse sono state superate, e più di una volta?

In una recente dichiarazione, l'ex presidente russo Dmitry Medvedev ha affermato che la Russia non dovrebbe più tirarsi indietro:

"Da questo momento, l'operazione militare speciale [di Kiev] dovrebbe diventare apertamente di natura extraterritoriale", ha sostenuto Medvedev, che ricopre il ruolo di vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, in un post giovedì.

"Possiamo e dovremmo andare oltre ciò che esiste ancora come Ucraina. A Odessa, Kharkov, Dnepropetrovsk, Nikolaev. A Kiev è oltre. Non dovrebbero esserci restrizioni in termini di confini riconosciuti".

 

Se il presidente Putin sta aspettando ancora più aggressioni occidentali / NATO sul territorio russo, può darsi che abbia in serbo una risposta forte, che non può essere accusata come risposta a una "false flag", perché ciò che Kiev e la NATO stanno facendo sui territori russi non è chiaramente una "false flag", ma pura provocazione.

La Russia ha la capacità militare di spazzare via contemporaneamente i centri decisionali e militari occidentali, così come i centri finanziari, con armi nucleari tattiche ultra-precise e supersoniche, mantenendo la perdita di vite umane al minimo, ma disabilitando le strutture di potere occidentali.

(Peter Koenig).

 

 

 

 

La "governance globale" e l'adozione

del controverso "Patto per il futuro."

Globalresearch.ca - Jacob Nordangard – (05 settembre 2024) – ci dice:

(Le cronache di Pharos – Jacob Nordangård, PhD).

 

Si svolgerà 33 anni dopo la pubblicazione dello scioccante documento "Iniziativa per la Carta della Terra Eco-92".

Il documento ha inquietanti somiglianze con le recenti "azioni di governance ambientale raccomandate" dalla Global Challenges Foundation.

La terza revisione del Patto per il Futuro è stata pubblicata il 27 agosto.

È ora sotto procedura tacita fino al 3 settembre.

Se nessuno si opponga, sarà accettato. Il Patto, la cui adozione è prevista per domenica 22 settembre in occasione del Vertice del futuro, afferma in modo drammatico che:

Siamo in un momento di profonda trasformazione globale.

Ci troviamo di fronte a crescenti rischi catastrofici ed esistenziali, molti dei quali causa dalle scelte che facciamo.

 Gli altri esseri umani stanno sopportando terribili sofferenze.

 Se non cambiamo rotta, rischiamo di precipitare in un futuro di crisi e collasso persistenti.

Secondo le Nazioni Unite, il sistema di governance globale deve essere aggiornato per salvaguardare gli interessi delle generazioni presenti e future ed essere in grado di gestire shock globali complessi.

 

Per una strana coincidenza, l'adozione avverrà esattamente 33 anni dopo che un documento inquietante è stato distribuito in una conferenza a “Des Moines “dall'Associazione delle Nazioni Unite” dell'Iowa, in preparazione della conferenza ambientale delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro nel 1992.

 

Il documento, chiamato "The Initiative for Eco-92 Earth Charter" dal Segretariato per l”'Ordine Mondiale dei Cobden Clubs” , affermava che il tempo stringeva, e diceva senza mezzi termini che non erano stati fatti progressi sufficienti nella riduzione della popolazione.

Ciò ha richiesto un'azione immediata e decisiva:

 

Il “Consiglio di Sicurezza dell'ONU,” guidato dalle “Grandi Potenze Nazionali anglosassoni”, decreterà che d'ora in poi il Consiglio di Sicurezza informerà tutte le nazioni che la sua sofferenza sulla popolazione è cessata, che tutte le nazioni hanno citato di RIDUZIONE su base annua , che saranno applicati dal Consiglio di Sicurezza mediante embargo selettivo o totale del credito, articoli di commercio, tra cui cibo e medicine, o con la forza militare, quando necessario.

Il “Consiglio di Sicurezza dell'ONU” informerà tutte le nazioni che le nozioni antiquate di sovranità nazionale saranno scartate e che il Consiglio di Sicurezza ha completa giurisdizione legale, militare ed economica in qualsiasi regione del mondo.

 

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si impossesserà di tutte le risorse naturali, compresi i bacini idrografici e le grandi foreste, da utilizzare e preservare per il bene delle Grandi Nazioni del Consiglio di Sicurezza.

 

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU spiegherà che non tutte le razze e i popoli sono uguali, né dovrebbero esserlo.

Quelle razze che si sono dimostrate superiori grazie a risultati superiori dovrebbero governare le razze inferiori, prendendosi cura di loro con la sofferenza che collaborano con il Consiglio di Sicurezza.

Il processo decisionale, compresi i piani bancari, commerciali, valutari e di sviluppo economico, sarà preso sotto la guida delle principali nazioni.

Il documento è stato rivelato dal consulente aziendale “George W. Hunt “£, la cui compagnia è riuscita ad entrare in un incontro privato (non consentito al pubblico) con gli addetti ai lavori alla conferenza e a portare con sé il documento.

Secondo Hunt, il Cobden Clubs era un think tank che promuoveva il "sistema di razza anglosassone" britannico.

 

Sebbene Hunt abbia detto di non sapere se il documento fosse vero o uno scherzo, le dichiarazioni hanno alcune inquietanti somiglianze con le recenti "azioni di governance ambientale raccomandate" per il Summit of the Future dalla Global Challenges Foundation , dal Potsdam Institute for Climate Impact Research e dall'Università delle Nazioni Unite .

Considerando che la popolazione mondiale è passata da 5,4 miliardi a 8,2 miliardi dal 1991, le soluzioni più severe sono state riproposte sul tavolo.

Per ovvie ragioni, la loro proposta congiunta viene spogliata del linguaggio rozzo e inquietante dei “Cobden Club” e parla invece di "proteggere" l'umanità dal superamento di "pericolosi punti di non ritorno" espandendo il concetto di "beni comuni globali" per includere tutti i sistemi di supporto alla vita – "l'atmosfera (aria), l'idrosfera (acqua), la biosfera (vita), la litosfera (terra) e la criosfera (ghiaccio)" – e propone che questi "dovrebbero essere gestiti collettivamente: "

La governance dei beni comuni planetari richiederebbe un passaggio dagli attuali approcci nazionalistici e a compartimenti stagni alla protezione dell'ambiente, riconoscendo il fatto fondamentale che il nostro pianeta è composto da sistemi interconnessi e interdipendenti.

 Invece di un sistema frammentato e basato su trattati, l'approccio dei beni comuni planetari propone una struttura di governance "nidificata" che coinvolge più livelli di regolamentazione che attuano risposte locali altamente personalizzate, il tutto supervisionato da un organo di governance globale.

Sembra proprio una cattura di tutte le risorse del mondo! Come ho scritto in un precedente articolo, la “Global Challenges Foundation” è stata fondata dal finanziere miliardario “László Szombatfalvy” con l'obiettivo di sviluppare "modelli decisionali globali migliorati".

E se – John Lennon fosse stato l'ultimo visionario che ha predetto i tempi della globalizzazione e la dottrina del globalismo, Szombatfalvy scrisse articoli di opinione insieme al presidente del “Club di Roma Anders Wijkman” sul "problema della popolazione", e donò denaro al Progetto Sovrappopolazione”, con il suo motto:

"Troppe persone che consumano troppo".

Una delle loro soluzioni prescritte era:

Creare un “nuovo trattato globale” per porre fine alla crescita demografica, con tutti i paesi che scelgono obiettivi demografici ogni mezzo decennio con un piano su come raggiungerli.

Ciò significa che Szombatfalvy condivideva essenzialmente la stessa visione del mondo malthusiana dei "British Race Patriots" e degli "sponsor viventi della volontà del grande Cecil Rhodes", che affermava di essere l'autore del documento "The Initiative for Eco-92 Earth Charter" e che chiedeva un Nuovo Ordine Mondiale, in cui "tutte le nazioni, regioni e razze coopereranno con le decisioni delle principali nazioni del Consiglio di Sicurezza".

Va notato che il “Royal Institute of International Affairs” (Chatham House) nel Regno Unito e il suo ramo americano “Council on Foreign Relations” (CFR) sono stati lanciati come organizzazioni di facciata del “Round Table Movement “, che era stato creato per portare avanti la volontà dell “imperialista britannico Cecil Rhodes” di federare il mondo anglofono e promuovere i valori dell'élite britannica. Questo è stato successivamente ampliato fino all'obiettivo di una federazione mondiale di tutte le nazioni della Terra.

 

Come ha scritto “Carroll Quigley “, storico del CFR e professore alla “Georgetown Universit”y, in “Tragedy and Hope” :

Gli scopi principali di questa elaborata organizzazione semi-segreta erano in gran parte lodevoli:

coordinare le attività internazionali e le prospettive di tutto il mondo di lingua inglese in un unico (che sarebbe stato in gran parte, è vero, quello del gruppo di Londra) ;

lavorare per mantenere il ritmo; aiutare le aree arretrate, coloniali e sottosviluppate a progredire verso la stabilità, la legge e l'ordine e la prosperità lungo linee in qualche modo simili a quelle insegnate a Oxford e all'Università di Londra.

 

“Quigley” considerava questi uomini come "gentiluomini gentili e colti con un'esperienza sociale piuttosto limitata che erano molto preoccupati per la libertà di espressione delle minoranze e lo stato di diritto per tutti", ma obiettava sui loro desideri di rimanere sconosciuti e su alcuni dei loro metodi.

 

Lo “Stimson Center”, che insieme alla “Global Challenges Foundation” è stato il principale coordinatore durante i preparativi per il” Summit of the Future”, è stato fondato dai “membri del CFR Barry Blechman e Michael Krepon”, e prende il nome dal membro "quintessenziale" del CFR Henry Stimson, Segretario alla Guerra degli Stati Uniti dal 1940 al 1945.

Stimson era un avvocato presso” JP Morgan, la potente dinastia bancaria che è stata la forza principale dietro il “CFR” nei suoi anni di fondazione.

Il CFR , presieduto da David Rockefeller dal 1970 al 1985, è anche strettamente correlato al “think tank Trilateral Commission” fondato da Rockefeller.

Ogni presidente del CFR da David è stato membro del “TriCom”.

L'attuale presidente del CFR,”Gruppo Carlyle”.

 

Il Quarto Congresso sulla Natura Selvaggia.

George W. Hunt, volontario al” Fourth World Wilderness Congress” in Colorado nel 1987, rimase scioccato da ciò che vide e udì alla conferenza e cominciò a mettere in guardia contro una completa acquisizione del mondo attraverso il pretesto della protezione ambientale.

Tra i partecipanti che “Hunt” ebbe la sorpresa di incontrare c'erano i membri della “Commissione Trilaterale “David Rockefeller”, “Edmond de Rothschild”, William Ruckelshaus , Maurice Strong , il presidente del FMI “Michel Camdessus “, il presidente della “Banca Mondiale” “Barber B. Conable Jr.” e il segretario generale della “Commissione Brundtland” “Jim Mac Neill”.

Le discussioni durante la conferenza hanno rivelato alcune opinioni ciniche e fredde.

 Il banchiere d'investimento canadese “David Lank “ha affermato durante una delle sessioni:

Suggerisco quindi che questo non venga venduto attraverso un processo democratico, che richiederà troppo tempo e divorerà troppi fondi per educare la carne da cannone, purtroppo, che popola la terra.

David Rockefeller ha scritto nel libro della “conferenza For the” Conservation of Earth” che:

 

Attribuire tutta la colpa di un comportamento ambientale inaccettabile all'industrializzazione o alle grandi aziende, tuttavia, è chiaramente grossolanamente impreciso.

Gran parte della devastazione dell'ambiente mondiale, specialmente nel mondo di oggi, è dovuta a individui che sono privati di potere e che sono intrappolati in una povertà opprimente.

La deforestazione, ad esempio, è spesso più il prodotto di azioni intraprese per disperazione dai poveri piuttosto che attraverso lo sfruttamento irresponsabile da parte dei giganti industriali.

Circa il 70% della popolazione mondiale in rapida crescita si affida attualmente alla legna per l'energia per cucinare e riscaldarsi.

Le conseguenze di questo fatto sono a dir poco disastrose.

 

La super classe ultra-ricca sembra mostrare un profondo disprezzo per i poveri e vuole privarli del diritto di utilizzare le risorse del mondo.

 Non sono inclusi nel gioco.

Sono invece incolpati per i mali del mondo e ritratti come il nemico inquinante della Terra che emette carbonio.

Hanno quindi bisogno di essere governati dai "re filosofi illuminati" e di servire come sudditi nell'utopia sostenibile immaginata dalle élite.

Sono le "pratiche commerciali sostenibili" degli ultra-ricchi, come delineato nel rapporto della “Commissione Trilaterale Oltre l'interdipendenza”:

“l'intreccio tra l'economia mondiale e l'ecologia della Terra", che salveranno il mondo dalla distruzione ambientale dei poveri e dalla caccia illegale alla fauna selvatica.

Il primo “World Wilderness Congress” è stato ospitato dal Sudafrica nel 1977 con il banchiere franco-svizzero “Edmond de Rothschild” e l'ambientalista sud africano Ian Player nei ruoli di primo piano.

Il giocatore ha ricevuto l'Ordine dell'Arca d'Oro dal principe Bernardo dei Paesi Bassi nel 1981.

La controversa scelta della location non fu probabilmente una coincidenza, dato che “Cecil Rhodes”, con il sostegno di Rothschild & Co, creò il monopolio del commercio mondiale dei diamanti attraverso la società sudafricana di diamanti” De Beers”.

Come primo ministro della Colonia del Capo, Rhodes espropriò le terre agli africani neri e istigò la colonizzazione dell'area in seguito chiamata Rhodesia (ora Zimbabwe).

 Usò quindi la sua grande fortuna per fondare una "Società Segreta, il cui vero scopo e oggetto sarà l'estensione del dominio britannico in tutto il mondo", con l'obiettivo finale di gettare "le fondamenta di una potenza così grande da rendere impossibile" le guerre e promuovere i migliori interessi dell'umanità".

(Jacob Nordangard).

 

 

 

 

Furia Distruttrice

di Israele Senza Fine!

 

 Conoscenzealconfine.it – (8 Settembre 2024) - Alessandro Ferretti – ci dice:

 

Cisgiordania allo stremo e attacchi agli operatori umanitari.

L’esercito israeliano, mentre continua incessantemente i bombardamenti su quel che resta di Gaza, sta distruggendo ogni infrastruttura in Cisgiordania, con l’intento sempre più evidente di rendere inabitabile ai palestinesi l’intera area.

E il sistema mediatico sistematicamente nasconde tutto ciò.

La situazione a “Jenin” è gravissima: i residenti del campo profughi sono senza accesso a cibo, acqua ed elettricità, mentre le forze israeliane ostacolano l’arrivo di aiuti umanitari e bloccano le ambulanze, mettendo in pericolo la vita dei feriti. Almeno 24 palestinesi sono stati uccisi durante questo assalto, con molti altri feriti o detenuti.

Le autorità israeliane hanno anche distrutto gran parte delle infrastrutture cittadine:

il 70% delle strade e il 20% delle reti idriche e fognarie sono state demolite, lasciando l’80% del campo profughi senza acqua potabile.

L’assedio di “Jenin” fa parte di una più ampia campagna militare israeliana in Cisgiordania, parallela all’intensificazione dei bombardamenti su Gaza, che hanno già causato oltre 40.000 morti tra i palestinesi.

Secondo “Kenneth Roth”, ex direttore di “Human Rights Watch”, “Israele sta trasformando la sua campagna militare in una vera e propria guerra contro la popolazione civile, impedendo l’accesso a beni di prima necessità e servizi medici, il che rappresenta un chiaro crimine di guerra.”

Insomma, una pulizia etnica in piena regola.

Ma l’Occidente non muove un dito, anzi, con i propri media copre tutto questo, quando non lo sostiene apertamente.

L’Attacco ai Convogli Umanitari.

Sabato scorso Israele ha bombardato il camion guida di un convoglio di aiuti umanitari, pienamente segnalato e concordato, ammazzando così cinque persone che stavano portando carburante e medicine all’ospedale di Rafah.

L’attacco è avvenuto in pieno giorno e l’esercito israeliano ha tranquillamente ammesso la responsabilità diramando una spiegazione che definire “lunare” è riduttivo:

hanno detto che “un gruppo di uomini armati” aveva preso il controllo del camion e che “l’attacco ha rimosso la minaccia che prendesse il controllo dell’intero convoglio”.

Assolutamente nulla di tutto ciò si è mai verificato, come afferma con forza l’”ONG Anera” che gestiva il convoglio, e viene da domandarsi come sia possibile che l’ipertecnologico esercito di Israele veda un assalto armato dove non ce n’è stata alcuna traccia.

Peraltro, il convoglio era in continuo contatto con l’esercito israeliano al quale sarebbe bastato parlare con i responsabili per capire immediatamente la situazione.

Ma la telefonata non c’è stata perché sono tutte balle in libertà:

 come ricorda il” Financial Times”, questo è il quarto attacco israeliano a convogli e operatori umanitari a Gaza nel giro di una settimana, ed avviene giusto il giorno dopo l’attacco israeliano contro un’auto delle Nazioni Unite, anch’essa notificata, segnalata e autorizzata.

 Dieci colpi di mitra tutti contro i finestrini, fortunatamente antiproiettile e che hanno retto i colpi.

Qui neanche i più biechi apologeti del massacro possono trovare scuse:

quattro attacchi ad operatori umanitari nel giro di una settimana non avvengono per sbaglio, avvengono perché l’obiettivo di Israele sono proprio gli operatori umanitari che ostacolano il progetto di far morire di fame, sete, ferite, malattie e dolore il più grande numero possibile di palestinesi che si ostinano a non farsi rubare la loro terra.

(Alesssandro Ferretti)

(kulturjam.it/in-evidenza/furia-distruttrice-di-israele-senza-fine-cisgiordania-allo-stremo-e-attacchi-agli-operatori-umanitari/)

 

 

 

Ce n’era un Gran Bisogno.

Conoscenzealconfine.it – (9 Settembre 2024) - Lorenzo Merlo – ci dice:

 

Considerazioni su chi comanda il mondo.

In un blog leggo: “Ce n’era un gran bisogno”.

Era il commento di un noto economista italiano in merito a ciò che aveva scritto un’altra persona, da lui definita “antisistema”.

Si tratta della medesima persona, dottore, professore e chissà quant’altro, alla quale a suo tempo avevo chiesto se, a suo parere, il capitalismo era la miglior forma economica disponibile.

Senza incertezza, né timore, aveva risposto affermativamente.

E tutte le sue manchevolezze? Avevo ribattuto.

Non c’è problema, per quelle, occorrono gli aggiustamenti necessari, aveva concluso.

Dall’origine del capitalismo, la ricchezza si è accentrata nelle tasche di pochi, le spese a suo sostegno si sono distribuite tra i più.

 A parte la prima fase, ancora – per modo di dire – a sfondo familiare e, in qualche misura, leale, in cui il profitto non prevaricava la dimensione umana (tralasciamo sulle giornate di 12 e più ore di lavoro e le condizioni generali della classe operaia. Non eravamo già nel miglior sistema sociale possibile?), il sistema capitalistico, non ha che degradato il mondo, la cultura umanistica, il senso spirituale e quello etico.

 Non ha distribuito che scorie e alienazioni, nonché legittimato la violenza. L’assenza di un’etica a che altro porta?

Non ha che depredato la terra e gli uomini.

In questa fase contemporanea, detta del capitalismo finanziario, ha lasciato alla concreta produzione e relativa – risicata – distribuzione della ricchezza soltanto la facciata, almeno per chi crede nelle favole.

 Denaro, lavoro e uomini sono mutati in personaggi di un racconto che i media, estensioni funzionali, strutturali e sostanziali del sistema capitalistico, spacciano agli ingenui che credono di vivere in una democrazia, che credono che il loro voto abbia un peso.

 Quale democrazia è possibile se la prima legge è quella del mercato?

Se chi l’ha imposta e alimentata ora deve difendere la ricchezza accumulata?

E per farlo distribuisce guerre come autolegittimato strumento per mantenere la pace?

O ho capito male, egregio professore?

I potentati del capitalismo hanno talmente tanto denaro da poter possedere tutto. Si sono comprati la politica, se volessero – e di fatto lo stanno facendo – si potrebbero comprare interi stati, potrebbero avere il loro esercito e, nel caso, lo avranno, quando non riusciranno più ad impiegare quello apparentemente di altri.

Che pecette possiamo porre a tutto ciò egregio dottore?

 

Ora che Russia, Cina, India, Pakistan, eccetera, da terzo mondo, sono divenuti concorrenti dai quali guardarsi, il capitalismo occidentale, dai costi esorbitanti rispetto a quello dei dirimpettai d’oriente, ha inscenato – sempre per il bene comune – il Great Reset.

Un progetto imposto dagli esponenti intoccabili di una piccola parte della popolazione del mondo, che ha come fine primo proprio quello della riduzione dei costi di autosostentamento del capitalismo, al fine di far fronte a quello dell’est, di mantenere l’egemonia o il controllo del mondo, o di non sopperire.

 

A tal fine si rende necessario evitare di spendere sui servizi sociali (privatizzazioni), ridurre il costo delle pensioni (abbandono degli anziani e innalzamento dell’età pensionabile), quello del lavoro (precariato e immigrazione disposta a tutto pur di restare nel – secondo loro – paese del bengodi), e puntare alla censura ormai a scena aperta, alla salarizzazione dei giornalisti, alla realizzazione del mondo orwelliano a suon di spot h24 per vendere un mondo al rovescio.

E, per ora, ci sono riusciti.

 

Risparmi necessari ad implementare tutta la tecnologia (dipendenza e controllo), le forze armate (meno scuole, ospedali, servizi, manutenzione infrastrutture sociali), riduzione e controllo della popolazione mondiale, la cui quantità tende ad essere ingestibile, se non con la semina di paure, bisogni, vita a punti, obbedienze e zelanti devozioni;

 la cui complessità tende a generare autocombustioni (leggi mancanza di rispetto nei confronti del sistema) improvvise.

Suicidi, omicidi, rivolte, stragi, violenza, malessere esistenziale, nichilismo sono il prodotto del “miglior sistema del mondo”.

Quello che, per chi non se ne è ancora accorto, va avanti sull’inerzia ben pasturata del consumismo di futilità e sulla fertile terra delle guerre, prima campi di battaglia, cioè rivendite di armi, poi campi di cemento, cioè ricostruzione, quindi campi di controllo ed espansione a est.

Fortunatamente, sempre nello stesso blog, ma da parte di una persona di tutt’altra stirpe rispetto al nostro noto economista progressista, si legge:

 “Negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta molto spesso bastava una sola persona per mantenere una famiglia.

 Ora ne servono quasi sempre due, sottopagate”.

Per tacere sul fallimento dell’Unione Europea, nient’altro che il figlio dannato di genitori materialisti, scientisti, capitalisti.

Esimio dottore, al contrario di quanto affermi, è proprio di te e di quelli come te che non se ne sentiva il bisogno.

Quelli che siccome hanno in casa il frigorifero, la lavatrice, l’utilitaria per tutti e l’ospedale con la risonanza magnetica, inconsapevoli adulatori della tua stessa fede e ideologia, ti rispondono vai n Cina allora.

O in Russia, adesso.

 Grazie a questi, la curva umanistica della vita, non ha fatto che scendere.

Molto si poteva fare ma l’opulenza e l’edonismo, due carte del mazzo capitalista, hanno imbambolato il senso comune e l’individualismo, un’altra sua carta, l’ha annientato.

Ora stiamo precipitando tutti, anche quelli abbracciati al televisore, alla villetta e alla poltrona.

 E anche loro, progressisti in testa, e i loro sodali in cima alla piramide.

Molti di questi ultimi cadranno in piedi.

E con bel sorriso imbonitore e modi gentili, dopo aver abbruttito e svenduto valli, coste e pianure, venderanno tutto ciò che resta loro ai musi gialli – business is business – in cambio di qualche cammello battriano sul quale saranno comunque ancora in sella, galoppini del nuovo padrone.

Ce n’era un gran bisogno.

(Lorenzo Merlo)

 

 

 

Il negazionismo non negazionista

dell'Olocausto di Tucker Carlson.

 Unz.com - Thomas Dalton – (6 settembre 2024) ci dice:

Bene, la lobby ebraica è di nuovo all'opera.

 Nell'ultimo putiferio sulla "negazione dell'Olocausto", gli ebrei e i loro sicofanti sono in subbuglio per un'“intervista podcast” andata in onda il 2 settembre in cui “Tucker Carlson” ha parlato a lungo con uno "storico popolare" di nome “Darryl Cooper”.

L'episodio di due ore è intitolato "La vera storia del culto di “Jones Town”, della seconda guerra mondiale e di come Winston Churchill ha rovinato l'Europa", un po' esagerato per un singolo spettacolo, ma con il tema centrale che la storia convenzionale o ortodossa è spesso sbagliata su eventi piccoli e grandi, e quindi spesso ha bisogno di revisione.

La storia non è scritta solo dai vincitori, ma è sostenuta da potenti lobby che hanno un interesse personale in una certa interpretazione degli eventi passati.

Questo è così ovvio che non c'è quasi bisogno di menzionarlo.

Eppure, quando si tratta della Seconda Guerra Mondiale e in particolare dell'Olocausto, tutte le regole vanno fuori dalla finestra.

I "vincitori" non possono essere nominati;

Non sono ammesse interpretazioni alternative;

e il revisionismo è dichiarato un crimine.

Nell'intervista, Cooper offre la più mite delle dichiarazioni riguardo ai suoi pensieri sulla Seconda Guerra Mondiale e su ciò che è accaduto ai "civili e ai prigionieri di guerra" in quel momento.

Due punti sembravano aver suscitato la più grande ira:

che Churchill, non Hitler, fosse il vero cattivo della guerra;

 e che i milioni di persone che morirono – intendendo milioni di ebrei – furono, in effetti, vittime accidentali piuttosto che bersagli di un genocidio premeditato e pianificato.

 I nostri guardiani culturali sono sconvolti dal primo punto, ma veramente infuriati dal secondo.

L'orrore di affermare tali opinioni è stato troppo sia per i nostri media ebraici che per il nostro regime di Biden di ispirazione ebraica.

I titoli sono allarmanti: " Tucker Carlson critico per aver ospitato un revisionista dell'Olocausto " (NYT);

" Tucker Carlson dà il benvenuto a un'apologeta di Hitler nel suo spettacolo " (NYT, Michelle Goldberg);

" La Casa Bianca condanna l'intervista di Tucker Carlson alla 'propaganda nazista' come 'insulto disgustoso e sadico'" (CNN);

 Tucker Carlson è stato fatto saltare in aria per un'intervista con un revisionista dell'Olocausto " (The Hill).

La CNN riferisce che l'amministrazione Biden ha preso l'insolita decisione di "denunciare Tucker Carlson" e il suo ospite.

Il vice segretario stampa “Andrew Bates” ha rilasciato una dichiarazione formale, non solo definendo l'intervista "un insulto disgustoso e sadico a tutti gli americani", ma anche condannando Carlson per "aver dato un microfono a un negazionista dell'Olocausto che diffonde propaganda nazista ".

La principale preoccupazione di Bates sembra essere per "gli oltre 6 milioni di ebrei che sono stati assassinati per il genocidio di Adolf Hitler".

"Hitler è stata una delle figure più malvagie della storia umana", ci assicura “Bates, "punto e basta".

 Certamente non è consentito alcun revisionismo in questa nazione più "amante della libertà".

L'intero incidente merita una certa riflessione.

Permettetemi di iniziare con ciò che ha detto esattamente Cooper.

 Ecco le dichiarazioni rilevanti (dalle 46:30 alle 49:00):

 

Quando [i tedeschi] andarono all'Est, nel 1941, lanciarono una guerra in cui erano completamente impreparati ad affrontare i milioni e milioni di prigionieri di guerra, i prigionieri politici locali, e così via, che avrebbero dovuto gestire.

Sono entrati senza alcun piano per questo.

E hanno semplicemente gettato queste persone nei campi e milioni di persone sono finite morte lì.

Già nel luglio, nell'agosto del 1941 ci sono lettere dei comandanti di questi campi di fortuna che stanno allestendo per questi milioni di persone che si arrendono o che stanno radunando.

E sono passati due mesi dal lancio dell'Operazione Barbarossa a giugno, e stanno scrivendo all'alto comando di Berlino dicendo:

 "Non possiamo sfamare questa gente..."

E uno di loro in realtà dice: "Piuttosto che aspettare che muoiano tutti Lentamente di fama quest'inverno, non sarebbe più umano finirli in fretta ora?"

Alla fine della giornata, [Hitler] lanciò quella guerra [contro l'URSS] senza alcun piano per prendersi cura dei milioni e milioni di civili e prigionieri di guerra che sarebbero finiti sotto il [suo] controllo.

 E milioni di persone sono morte a causa di questo.

Per valutare ciò che Cooper sta dicendo qui, dobbiamo ricordare a noi stessi i fatti fondamentali:

 Hitler lanciò la sua guerra contro la Polonia all'inizio di settembre del 1939.

 Sulla base di un patto di non aggressione reciproca, Stalin attaccò la Polonia da est due settimane dopo, e le due grandi potenze divisero rapidamente la Polonia a metà.

L'Inghilterra e la Francia dichiararono guerra alla Germania, non viceversa (aspettate, chi era di nuovo l'aggressore?), e così Hitler fu costretto a dirigere i suoi sforzi militari verso ovest.

 Non ha mai voluto una guerra a ovest e, come spiega Cooper, Hitler cercò spesso di fare la pace con Chamberlain (non ancora Churchill).

 Chamberlain cercò un compromesso, ma il resto del suo governo diviso, incluso Churchill, preferì continuare una guerra che non erano in grado di combattere.

La Germania invase i Paesi Bassi nel maggio 1940, Chamberlain si dimise e Churchill fu elevato a primo ministro.

 

Per tutta la seconda metà del 1940 e nella prima metà del 1941, Hitler continuò la sua impressionante serie di vittorie.

La Francia era quasi sconfitta e l'Inghilterra era agli sgoccioli.

Poi, improvvisamente, il 22 giugno 1941, Hitler ruppe il suo patto con Stalin e invase l'Unione Sovietica ("Operazione Barbarossa").

Questa, dice Cooper, fu la guerra in cui la Germania era impreparata a gestire "milioni" di prigionieri.

E infatti, più di 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici passarono sotto il controllo della Germania entro la fine del 1941, molti dei quali si arresero o disertarono.

 Inizialmente furono ospitati nei quasi 100 campi ad hoc istituiti nella Russia controllata dai tedeschi, e le condizioni erano davvero orribili, come suggerisce Cooper.

Più di 500.000 prigionieri di guerra sovietici morivano ogni mese:

circa due milioni di morti alla fine del 1941.

Per quanto ne sappiamo, questo non era pianificato;

i tedeschi erano troppo occupati a combattere al fronte per prendersi cura dei loro 3 milioni di prigionieri appena catturati.

In effetti semplicemente "sono finiti morti", come dice Cooper.

In particolare, da nessuna parte Cooper parla dei prigionieri ebrei.

L'intera discussione è incentrata sui prigionieri di guerra sovietici e su altri prigionieri politici, di cui c'erano relativamente pochi ebrei.

Gli ebrei hanno pagato un prezzo durante il Barbarossa, ma è stato perché erano combattenti partigiani: attaccavano le truppe tedesche da dietro le linee del fronte.

Secondo le regole internazionali della guerra, i partigiani devono essere trattati allo stesso modo dei soldati, il che significa che potrebbero essere catturati o uccisi.

 E i tedeschi preferirono uccidere i partigiani; questo era logico, dati i loro campi di prigionia ad hoc già sovraffollati.

Questo ha portato al vero inizio dell'"Olocausto", se vogliamo chiamarlo così. Migliaia di ebrei partigiani furono fucilati sul fronte orientale, forse 30.000 o 40.000 nel 1941, sulla base di tempi ragionevoli (certamente non i 400.000 o 500.000 che i nostri storici ortodossi vorrebbero farci credere).

Ma Cooper non stava discutendo di queste morti.

Anche gli ebrei morirono nei ghetti nel 1941, forse altri 40.000 o 50.000, la maggior parte per cause naturali (vecchiaia, malattia, incidente, suicidio).

E precisamente zero ebrei morirono nelle "camere a gas omicide" o nei "campi di sterminio" nel 1941;

nessuno dei famigerati sei campi – Auschwitz, Belzec, Sobibor, Treblinka, Chełmno e Majdanek – era operativo quell'anno.

Del resto, esattamente zero ebrei morirono nelle "camere a gas omicide" durante l'intera guerra, proprio perché tali cose non esistevano.

Ma né Carlson né Cooper hanno osato entrare in quel ticket appiccicoso.

Quindi, in difesa di Cooper (e Carlson), il brano in questione non dice nulla sugli ebrei e quindi nulla sull'"Olocausto".

Tutto ciò che Cooper ha detto lì era fattualmente corretto.

Infatti, nell'intera intervista di oltre due ore, gli ebrei sono stati menzionati solo una manciata di volte, e l'"Olocausto" nemmeno una volta, che io ricordi.

 

Gli ebrei vanno all'attacco.

Ma non è così che la vede la nostra lobby ebraica. Ogni riferimento a "milioni" di morti è, per loro, un riferimento in codice agli ebrei.

Anche solo parlare di Hitler come di qualcuno che non sia un pazzo comicamente malvagio significa che sei un simpatizzante nazista, un "negazionista" (qualunque cosa significhi), o semplicemente "disgustoso e sadico".

Un buon esempio della risposta ortodossa assurdamente insulsa si può trovare nell'editoriale di “Michelle Goldberg” (ebrea) sul New York Times(ebreo) del 6 settembre.

Il presunto "apologeta di Hitler" Darryl Cooper non è riuscito a seguire la linea del partito sulla malvagità incondizionata dei nazisti, e quindi la condanna nei termini più forti, senza nemmeno sapere di cosa sta parlando.

 Chiaramente non le piace l'idea che l'Olocausto sia la nostra attuale "religione di stato" (e lo è), ed è infuriata quando Cooper menziona giustamente i "fattori emotivi" che ci impediscono di porre domande difficili.

A Goldberg, Cooper ci offre solo "formulazioni retoriche intelligenti" che sono presentate in un "modo pacato, finto-ragionevole".

 È così sopraffatta dall'audacia di Carlson e Cooper che si riduce alla seguente idiozia:

"La simpatia nazista è il punto di arrivo naturale di una politica basata sul disinvolto contro arianesimo sulla trasgressione di destra e sul risentimento etnico".

Questo, da un giornalista del “New York Times”.

Più precisamente, nonostante la totale mancanza di menzione dell'Olocausto nell'intervista,” Goldberg è fissato su questa presunta deduzione.

 Lamenta "la svolta di Carlson verso lo scetticismo sull'Olocausto";

si preoccupazione per "l'autore caduto in disgrazia e negazionista dell'Olocausto “David Irving" (come se fosse rilevante qui);

e si lamenta del fatto che "ci sono pochi troll migliori dei negazionisti dell'Olocausto".

Quei negazionisti intelligenti "amano atteggiarsi a ricercatori di verità eterodosse" ed "eccellono nell'imitare le forme e il linguaggio della legittima erudizione", quando in realtà il loro livello di erudizione spesso eguaglia o supera quello dei nostri cosiddetti esperti convenzionali.

I negazionisti "colpiscono i loro avversari con dettagli storici fuori contesto e domande in malafede" (Come osano entrare nei dettagli! Come osano fare domande!).

Alla fine, "sanno solo usare la rozza provocazione per attirare l'attenzione", dice l'ebrea in cerca di attenzione.

 

Uno dei più grandi timori di Goldberg è che, nel suo universo ideologico controllato dagli ebrei, la situazione potrebbe essere compromessa.

 Si preoccupa della convinzione della destra che fa la pillola rossa "che tutto ciò che ti è stato detto sulla natura della realtà è una bugia, e quindi tutto è in palio".

 In effetti, molto di ciò che ci è stato detto dalla nostra ortodossia di ispirazione ebraica è stata una bugia, o una mezza verità, o altrimenti profondamente ingannevole, e Goldberg teme che sempre più persone lo stiano capendo.

E ha ragione a preoccuparsi: un risveglio di massa significherà grossi guai per lei e i suoi co-etnici.

Infine, alla fine del suo pezzo, mette il dito su un po' di verità:

"In definitiva, la negazione dell'Olocausto non riguarda affatto la storia, ma ciò che è ammissibile nel presente e immaginabile nel futuro".

 Hitler e i nazisti devono essere visti "come la negazione dei nostri valori più profondi", altrimenti saremo "addolciti" per il fascismo alla Trump.

La negazione dell'Olocausto, ovvero mettere in discussione a fondo i presupposti di base di quell'evento, non riguarda davvero la storia semplicemente perché i revisionisti hanno vinto:

 la storia ortodossa delle "camere a gas omicide", "dei 6 milioni" e il presunto folle complotto nazionalsocialista per uccidere tutti gli ebrei, sono stati tutti completamente demoliti.

Gli storici ortodossi non provano nemmeno più a rispondere ai revisionisti perché sanno che saranno disonorati.

 Invece, loro e i loro potenti sostenitori ebrei ricorrono alla censura, alla “law fare”, alla calunnia, all'intimidazione e (in molti paesi) alla prigionia per soffocare il revisionismo.

Tali cose sono un segno sicuro di sconfitta.

Quanto alla sua osservazione su ciò che è ammissibile e immaginabile, anche questa è corretta:

 la storia standard dell'Olocausto è la chiave di volta del potere ebraico odierno negli Stati Uniti e in Occidente;

tutto si basa sulla nostra colpa collettiva e tutte le atrocità ebraiche/israeliane sono quindi giustificate.

Il potere ebraico dichiara attualmente che mettere in discussione l'Olocausto è inammissibile;

e che una società in cui Hitler e il nazionalsocialismo sono visti in modo neutrale o addirittura positivo è non immaginabile.

Ma questo cambierà presto.

Quando il revisionismo dell'Olocausto diventerà ammissibile e il nazionalsocialismo diventerà immaginabile, allora tutto, tutto, cambierà.

 Quel giorno non può arrivare abbastanza presto.

La grande ironia di tutto questo tanto rumore per nulla è che avrebbe potuto essere qualcosa:

Carlson e Cooper avrebbero potuto discutere effettivamente i molti problemi con la storia dell'Olocausto, e avrebbero potuto effettivamente porre le difficili domande a cui l'ortodossia non può rispondere.

Avrebbero potuto esaminare le numerose opere di “German Rudolf “o “Carlo Mattogno”;

avrebbero potuto esaminare le ragioni per cui le camere a gas omicide erano tecnicamente impossibili;

avrebbero potuto spiegare che le migliori prove fino ad oggi suggeriscono che forse 500.000 ebrei sono morti durante la guerra, non 6 milioni.

E quando tutto questo verrà fuori, Michelle Goldberg e i suoi amici avranno davvero qualcosa da temere.

(Thomas Dalton, PhD, è autore o curatore di diversi libri e articoli sulla politica, la storia e la questione ebraica.)

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