La guerra tra i padroni del mondo.
La guerra tra i padroni del mondo.
Il
secondo tentativo di assassinio
contro Trump: l’ombra di BlackRock
e la
guerra dei Rothschild a Trump.
lacrunadellago.net
– (Set. 19, 2024) - Cesare Sacchetti – ci dice
Stavolta
la canna del fucile diretto contro Trump non si trovava sopra un tetto, e a
tenerla in mano non c’era Thomas Crooks, l’aspirante assassino del presidente
americano che cercò di uccidere Trump lo scorso luglio.
Stavolta
la canna di un fucile era tenuta in mano da Ryan Reuth che si nascondeva in un
cespuglio nel campo da golf nel quale il presidente avrebbe dovuto giocare una
partita con due personaggi quali il miliardario di origini ebraiche Steve
Witkoff e il commissario di polizia di New York, Bernard Kerik, che fu uno
degli ufficiali del dipartimento newyorchese a ritrovare miracolosamente
intatti i passaporti dei terroristi che si sarebbero schiantati con gli aerei
sulle Torri Gemelle.
Trump
avrebbe dovuto passare il pomeriggio della scorsa domenica con questi due
personaggi e oggi ci si chiede da dove sia partita la soffiata che ha informato
l’aspirante assassino Reuth sugli spostamenti del presidente e come abbia fatto
a violare i protocolli di sicurezza che avrebbero dovuto impedire l’accesso al
campo da golf ad estranei, e che, soprattutto, avrebbero dovuto impedire che
una qualsiasi arma superasse quelle protezioni che avrebbero dovuto sulla carta
esserci.
Soltanto
dall’interno può essere partita questa informazione, e i diretti interessati
sono o il servizio segreto che scortava Trump oppure, forse, quei due uomini in
sua compagnia che non sembrano avere molto in comune con lui e i suoi propositi
di restituire la sovranità perduta agli Stati Uniti d’America, ma invece
sembrano appartenere a quei circoli che hanno dichiarato guerra a Trump.
Anche
l’emittente MSNBC di proprietà di Vanguard e BlackRock, sempre presenti anche
in questo secondo tentativo di omicidio come vedremo a breve, dovrebbe forse
dare qualche spiegazione dato che loro erano lì a filmare Trump mentre giocava
a golf, e non si comprende perché loro fossero proprio lì in quel momento.
I
media, per qualche incredibile “coincidenza”, accorrono sempre quando qualcosa
di grave potrebbe accadere a Trump, come accaduto a luglio quando la CNN si
precipitò a riprendere il raduno del presidente nonostante prima non avesse mai
mostrato particolare interesse a coprire questi eventi.
Stavolta,
l’epilogo però è stato diverso da quello che abbiamo visto a Butler, in
Pennsylvania. Il cecchino che si trovava ad una distanza di circa 300 metri da
Trump non avrebbe nemmeno fatto in tempo a sparare con la sua arma,
apparentemente un AK47, poiché gli agenti del servizio segreto hanno visto
immediatamente la canna da fucile che usciva da un cespuglio e hanno fatto
fuoco contro di essa.
Reuth,
resosi conto, di essere stato scoperto si è dato alla fuga ma è stato arrestato
subito dopo dalla polizia locale, e ora le autorità hanno in mano l’aspirante
omicida che potrebbe aiutare a risalire alle vere trame del complotto che, come
al solito, sembrano andare molto al di là di quelle che invece piacciano molto
ai media che sono già impegnati a suonare lo spartito del pazzo solitario.
E’ un
mondo di pazzi solitari e, casualmente, ognuno di questi ha un fucile e vuole
fare fuoco contro Trump e mai, stranamente, contro Barack Obama, George Soros o
uno dei vari esponenti dei club mondialisti che non fanno altro che gridare
contro i presunti “odiatori”, quando costoro poi sono i primi ad allestire
delle vere e proprie campagne di odio contro i loro avversari che non di rado
sfociano nel terreno dell’apologia del regicidio, poiché chi è contro la
governance mondiale agli occhi di questi ipocriti è un “tiranno”-
Siamo
al solito capovolgimento della realtà e non dobbiamo stupirci se anche in
questa occasione i media stanno provando a smorzare la portata dei gravissimi
fatti di domenica.
Reuth:
uomo della CIA e del Mossad?
L’uomo
che voleva sparare a Trump non era infatti proprio un personaggio qualunque.
Sui suoi profili social era molto attivo nel reclutamento di mercenari da
trasportare in Ucraina, ed era stato persino citato e intervistato dai media
mainstream americani come un punto di contatto per coloro che volevano andare a
combattere al fianco dei nazisti ucraini.
Ryan
Reuth intervistato da Newsweek nel 2022.
Non è
questa un’attività che può fare un civile qualunque. Occorre l’assistenza della
CIA, del MI6 e del Mossad, ovvero di quegli apparati di intelligence che si
sono incaricati di aiutare Zelensky nei combattimenti contro la Russia, nel
fornirgli quei mercenari che sono stati uccisi in gran quantità dalla Russia,
come visto nell’ultimo bombardamento di Poltava, e nel dare a Zelensky anche
quei consulenti militari sul campo che assistono il “presidente” ucraino nel
conflitto contro Mosca.
C’è
poi un fatto estremamente interessante che lega Reuth a Crooks e che sembra
indicare come la matrice dei due attentati sia la stessa. Nelle movimentazioni
dei conti correnti di Crooks, studente di BlackRock, è emerso che quest’ultimo
aveva fatto dei pagamenti a favore di Reuth, e questo dimostra che
probabilmente i due si conoscevano ed erano stati addestrati a sparare con ogni
probabilità dalle stesse persone, legate anche queste presumibilmente a
BlackRock.
Ci
troviamo di fronte con ogni probabilità a degli assassini addestrati che
vengono utilizzati da questo conglomerato finanziario globale per portare
avanti le sue operazioni.
Non
sono soltanto questi gli elementi, già molto significativi, che riconducono a
BlackRock.
A
luglio c’erano state già altre vistose anomalie prima dell’attentato a Trump.
I
giorni precedenti l’attentato dal quale Trump è scampato per puro miracolo,
c’erano stati dei movimenti molto inconsueti sui mercati, nei quali un fondo di
investimenti, l’Austin Private Wealth, aveva piazzato delle scommesse al
ribasso contro il titolo mediatico di Trump in borsa.
Sono
le famigerate “put options” che erano state piazzate anche, sempre per una
fortuita coincidenza, anche prima dell’11 settembre contro le compagnie aeree
americane che poi saranno protagoniste degli eventi di quel giorno, a
dimostrazione che la verità su quel colpo di Stato e su questi attentati non va
cercata in qualche remota grotta dell’Afghanistan o a Teheran, come affermano
ridicolmente i media nelle mani del movimento sionista, ma a New York, laddove
sono concentrate le banche e gli istituti finanziari nelle mani di potenti
famiglie di origini askenazite.
L’Austin
Wealth non è anch’esso immune alla regola che riguarda gli altri importanti
fondi di investimento internazionali, ed è la regola che ognuno di questi ha
nel proprio azionariato BlackRock assieme ad un altro fondo,Vanguard, e i
proprietari delle due società non sono rivelati.
Per
risalire ad essi occorre infatti risalire a tutto il reticolato di corporation
da queste possedute, nelle quali si trovano sempre gli stessi nomi dei
Rothschild, dei Rockefeller, dei Warburg e dei DuPont.
La
guerra che è in corso è questa. E’ una guerra per far sì che gli Stati Uniti
tornino sotto il controllo di quei poteri finanziari che hanno sempre
fermamente detenuto il potere in America assieme a quelle lobby sioniste quali
l’AIPAC, che ha in mano il Congresso degli Stati Uniti, e l’altro pericoloso
gruppo sionista messianico di Chabad che entrava nell’ufficio Ovale del
presidente come se fosse casa sua, talmente è tanta l’arroganza di questi
personaggi.
Esiste
un filone disinformativo, in via di esaurimento ci pare, che ancora oggi,
incredibilmente prova ad associare Trump a questi gruppi nonostante è del tutto
evidente che sono questi ambienti a volere che Donald Trump non metta piede
alla Casa Bianca.
La
campagna disinformativa non fa altro che riproporre alla nausea la stessa
immagine di Trump di fronte al muro del pianto a Gerusalemme e mostra poi le
onorificenze sioniste che sono state date allo stesso Trump da alcuni gruppi
sionisti oppure il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele.
Non si
premurano però i disinformatori di spiegare che il presidente oltre alle
dichiarazioni di stima formale nei riguardi dello stato ebraico non va, tanto
da aver ordinato il ritiro delle truppe in Medio Oriente, oppure di spiegare
che parte dell’ambasciata americana risulta essere ancora a Tel Aviv e il
trasferimento non è mai stato completato come avrebbe dovuto.
Donald
Trump non è chiaramente un altro George W. Bush, membro della società occulta
Skulls & Bones, che mise a ferro e fuoco il Medio Oriente per compiacere i
desiderata di una delle varie derivazioni della lobby sionista, i neocon, che
avevano già nel 1997 partorito una strategia per rovesciare tutti quei Paesi
considerati un pericolo per l’espansione dello stato ebraico, tra i quali
c’erano, l’Iraq di Saddam, la Siria di Assad, attaccata dall’ISIS, legata a CIA
e Mossad, e l’Iran, la grande ossessione del sionismo mondiale che vorrebbe
scatenare una guerra a Teheran e trascinare il mondo in un conflitto mondiale
che ricorda la nefasta “profezia” del massone Albert Pike a Mazzini.
Trump
vanta un primato unico sotto la sua presidenza. Nessuna guerra in giro per il
mondo. La dimensione guerrafondaia di Washington si è chiaramente esaurita
sotto il suo mandato ma il presidente utilizza una strategia comunicativa per
sottrarsi agli attacchi multipli del mondo ebraico.
Il
magnate ha passato una vita a New York, una delle città più influenzate
dall’ebraismo e conosce bene le differenti anime di questo mondo.
Astutamente
si dichiara amico di una parte di esso, quello sionista messianico, per poi
lanciare strali alla parte progressista sorosiana dall’anima più
internazionalista, ma il presidente non è al servizio né dell’una, né
dell’altra parte e se non lo si è compreso ora, dubitiamo che qualcuno possa
farlo ancora in futuro.
Siamo
evidentemente di fronte ad una sorta di eterno ritorno dell’uguale. Il
presidente americano si trova nelle stesse condizioni nelle quali si trovavano
i suoi illustri predecessori quali Abraham Lincoln e John Kennedy.
Lincoln
attraverso la sua decisione di stampare direttamente moneta attraverso il
Tesoro americano senza passare dalle banche private aveva sfidato il potere
degli onnipresenti Rothschild che già nel 1861 erano diventati i veri signori
della politica europea, seduti sulle loro ricchezze e sotto il fiume di sangue
delle guerre da essi scatenate.
Kennedy,
da par suo, aveva toccato la stessa sfera di interessi quando decise di sfidare
la creatura dei Rothschild, lo stato ebraico, e chiedendo conto del programma
nucleare israeliano che stava procedendo senza il consenso degli Stati Uniti e,
che, ancora oggi, rappresenta una grava minaccia per l’intero Medio Oriente,
dal momento che la leadership israeliana è composta da un manipolo di
pericolosi esaltati sanguinari che vedono chiunque non sia ebreo come un
insetto da schiacciare, in omaggio alle loro credenze talmudiche.
JFK
Ben-Gurion
Kennedy
e Ben Gurion che disprezzava fortemente il presidente americano.
Trump
sta approdando nel territorio dove i suoi predecessori non erano mai riusciti
ad approdare. Trump sta chiudendo il cerchio e sta trascinando l’America fuori
da tale morsa, ma questo suo intento ha delle conseguenze devastanti per i
signori del caos.
Non
siamo nel 1861, quando gli Stati Uniti erano ancora una giovane nazione che si
stava costruendo e nella quale c’era ancora l’epopea del vecchio West dove il
confine si spostava di giorno in giorno sempre più a Occidente.
L’America
oggi è una nazione matura. E’ l’architrave di tutta l’ordine liberale
internazionale, o almeno lo era fino all’avvento di Trump nel 2016, anno nel
quale è iniziata la separazione degli Stati Uniti dalla globalizzazione e dalla
NATO.
Il
Nuovo Ordine Mondiale aveva scelto l’America e la sua potenza per instaurare il
governo unico mondiale che avrebbe dovuto esserci dopo la farsa pandemica, ma,
come si è visto, sono troppe le potenze che si sono opposte a quel piano,
provocandone l’inevitabile fallimento.
Siamo
però alla fase finale. Siamo vicini alla chiusura del cerchio e coloro che
hanno dominato il’900 e creato il culto olocaustico, che di fatto ha sostituito
la fede in Cristo, non vogliono rassegnarsi alla fine del loro potere, e si
giocano tutte le carte che hanno a disposizione.
I
segnali poi che quella in corso è una battaglia spirituale appaiono sempre più
evidenti.
Il 13
luglio, giorno del primo attentato del 2024, era il giorno nel quale la Madonna
di Fatima comparve per la terza volta di fronte ai tre pastorelli.
Il 15
settembre era invece il giorno nel quale si ricordano i dolori patiti da Maria.
A noi sembra di vedere in queste ricorrenze una mano mariana che accompagna
Trump nel suo percorso e continua ad assisterlo in quanto lui rappresenta uno
strumento per mettere fine una volta per tutte ad un potere massonico e nemico
della cristianità che per troppo tempo ha oppresso l’Europa e gli Stati Uniti.
Sarà
per questo che il presidente per la prima volta ha fatto gli auguri di
compleanno alla Vergine nel giorno della sua Natività, l’8 settembre, fatto
irrituale per un protestante che sulla carta non osserva il culto di Maria, ma
che forse si sta avvicinando sempre di più al cattolicesimo.
I
cospiratori hanno comunque, come si è visto, ancora una volta fallito e ora
manca soltanto un mese e mezzo all’appuntamento elettorale del 4 novembre.
Le
finestre per provare nuovi attentati sono sempre più ristrette e Trump sarà
sempre più accorto nell’individuare coloro che lo hanno tradito.
Siamo
alle battute finali. Il tempo è ormai agli sgoccioli e la paura di chi sta per
perdere tutto sembra ormai avere esondato ogni fragile diga.
Il
fondo Austin di BlackRock che
aveva scommesso contro Trump:
Wall
Street sapeva del piano
per
uccidere il presidente?
Lacrunadellago.net
– Cesare Sacchetti – (19/07/2024) – ci dice:
Se
fossimo stati ai tempi dell’Antica Roma, avremmo detto a Donald Trump di
guardarsi non dalle Idi di marzo che furono fatali a Giulio Cesare, ma
piuttosto da quelle di luglio in quanto è nel corso di questa estate che ha
avuto luogo un complotto persino più esteso di quello che si consumò a Roma
contro Cesare nel 44 a.C.
Cesare
si apprestava a diventare imperatore e un manipolo di senatori che erano ancora
fedeli all’idea della corrotta repubblica romana del tempo non volevano che ciò
si avverasse e iniziarono a tramare contro il dictator romano.
Se a
dare le prime pugnalate tra i congiurati romani furono i famigerati Bruto e
Cassio passati alla storia anche per il celebre dramma shakespeariano
sull’assassinio di Cesare, in questo caso invece le trame dell’eversione
moderna negli Stati Uniti sembrano essere persino più estese e profonde di
quelle che portarono all’assassinio del presidente Kennedy del quale abbiamo
recentemente parlato.
Abbiamo
potuto vedere come il percorso del presidente Trump sia molto simile a quello
dell’allora presidente democratico, in quanto John Fitzgerald Kennedy era
alquanto determinato a non lasciare le chiavi della politica estera americana
allo stato di Israele, vero arbitro di Washington dall’inizio del secolo scorso
sino agli anni più recenti precedenti l’amministrazione Trump.
Kennedy
aveva intorno a sé dei nemici che lo tradirono a Dallas e lo lasciarono
giustiziare pubblicamente in modo da voler mandare un messaggio a tutti i
successori che si insediarono alla Casa Bianca negli anni successivi che mai
osarono discostarsi dalla volontà del movimento sionista, con l’unica eccezione
di Richard Nixon negli anni’70, il quale parlò della infedeltà del mondo
ebraico nei suoi confronti per poi essere travolto dalla montatura del
Watergate allestita dal suo segretario di Stato, Henry Kissinger.
In
questa occasione i segnali della cospirazione sembrano essere ancora più
evidenti se si dà uno sguardo a quanto accaduto prima del tentato assassinio a
Donald Trump.
Quei
fondi vicini a BlackRock che scommettevano contro Trump prima del tentato
omicidio
E se
si guarda a tali segnali si vede che diversi soggetti sapevano che il 13 luglio
qualcosa di estremamente grave sarebbe potuto accadere a Donald Trump, e questi
uomini si sono adoperati anche per speculare sui crimini da essi stessi
perpetrati.
Alcuni
profili di X molto attenti al mondo dell’economia e della finanza hanno fatto
notare come nelle due settimane precedenti l’attentato a Trump, c’erano degli
strani e irrituali movimenti speculativi contro il titolo del gruppo mediatico
di Trump, il Trump Media & Technology group.
Erano
partite delle massicce vendite al ribasso contro il titolo del presidente in
una enorme movimentazione di quelle note nel gergo borsistico come “put
options” che altro non sono che appunto delle scommesse sulla perdita di un
valore di un titolo in borsa.
Ai
tempi dell’11 settembre, si mise in moto un meccanismo pressoché identico. Sui
mercati in quell’epoca diversi speculatori, la cui identità non fu mai cercata
dall’amministrazione Bush né dall’FBI, iniziarono a scommettere al ribasso
contro i titoli delle compagnie aeree coinvolte negli attentati di quel tragico
giorno settimane prima che gli attacchi alle Torri avessero luogo.
Qualcuno
evidentemente sapeva, e questo qualcuno era molto introdotto nel mondo di Wall
Street dominato notoriamente dai “grandi” nomi della finanza askenazita quali
Goldman Sachs, JP Morgan, Bank of America, Warburg e diverse altre banche
sempre legate alla onnipresente famiglia Rothschild che si serve di frequente
di agenti e di intermediari, spesso noti come le classiche teste di legno o
prestanome, per non figurare direttamente tra i proprietari di tutte le grosse
banche che contano e osservare la massima che lasciò il capostipite della
famiglia Amschel Mayer ai suoi figli.
Mai
rivelare al mondo esterno la vera natura e proporzione della ricchezza della
famiglia. Mai far sapere che questa famiglia in un modo o nell’altro attraverso
i suoi fondi riesce ad arrivare ovunque e costituisce un potere economico e
finanziario di gran lunga superiore a quello di una moderna nazione avanzata.
Le
chiavi del potere dopo la rivoluzione francese sono passate dalle monarchie
alla finanza, e i lettori potranno avere modo di riflettere su chi, a distanza
di due secoli e mezzo, siano stati i veri vincitori del processo rivoluzionario
francese.
Oggi
si fa i conti con una rivisitazione di quanto accaduto 23 anni prima, a poche
settimane dal crollo delle Torri Gemelli.
Gli
stessi invisibili soggetti si sono mossi per speculare e guadagnare enormi
cifre da un evento del quale non solo avevano contezza in anticipo, ma che con
ogni probabilità è stato da loro stessi propiziato.
Stavolta
lo speculatore ha assunto le forme di un fondo del Texas, l’Austin Private
Wealth, che ha piazzato un altissimo numero di scommesse contro il titolo di
Trump, ben 120mila opzioni put in quella che è stata indubbiamente una enorme
puntata per beneficiare di un eventuale crollo delle azioni della società
mediatica del presidente americano.
I
fondi che hanno scommesso contro il titolo di Trump. Da notare come Bloomberg
abbia nelle ore successive rimosso il nome del fondo Austin
Se si
dà uno sguardo all’Austin Private Wealth si apprendono alcune interessanti
informazioni. Questo fondo è di fatto un’altra degli infiniti scatoloni cinesi
nei quali è riposta la ricchezza dell’accoppiata BlackRock e Vanguard nei
quali, come ricorderanno i lettori, ci siamo imbattuti in non poche occasioni.
Se
volessimo cercare di risalire ai veri proprietari di questi due fondi dovremo
cercare di risalire al filo di Arianna della liquidità messa in essi, ed è una
operazione che dobbiamo fare da soli poiché i proprietari ufficialmente non
sono resi noti dai due gruppi a dimostrazione di quanto sia “trasparente” e
“libero” il mercato partorito dalla dottrina neoliberale, vero e proprio
vestito su misura per la oligarchia finanziaria che domina l’epoca moderna.
Una
volta fatta questa operazione e scomposta la partecipazione dei fondi, si
vedono sempre, e ancora una volta, i nomi di quei finanzieri che abbiamo citato
sopra e che sono stati i veri padroni della politica americana ed europea e che
hanno lasciato dietro di sé un fiume di innumerevoli guerre pur di raggiungere
i loro scopi.
Questi
signori hanno bisogno di guerre e di sangue per poter giungere al loro scopo e
soprattutto hanno bisogno di crisi artificiali, si ricordi la massima montiana
al riguardo, per poter vedere manifestato quello che costoro chiamano Nuovo
Ordine Mondiale, una espressione partorita nel chiuso delle logge già ai tempi
dell’illuminismo francese, a dimostrazione di quanto sia antica tale visione.
Stavolta
a costoro serviva rimuovere un ostacolo insormontabile come quello
rappresentato da Donald Trump che ha tolto loro il controllo della Casa Bianca
e che ha reso impossibile l’ultimarsi di tale disegno che senza la superpotenza
americana diventa semplicemente irrealizzabile.
Il
mondialismo si ritrova stritolato tra gli Stati Uniti post-impero e l’avanzata
del mondo multipolare guidato dalla Russia e l’ultima chance che avevano questi
poteri era di cercare di mettere di nuovo dentro l’ufficio Ovale qualcuno che
ricostruisse gli “equilibri” del passato e fermasse il processo storico che si
è messo in moto soprattutto dopo il fallimento della farsa pandemica, che
avrebbe dovuto essere l’evento catalizzatore finale, una sorta di 11 settembre
mondiale, per portare il mondo verso la dittatura mondiale o la governance
globale come amano chiamarla i tecnocrati.
Se ci
soffermiamo a guardare più attentamente il fondo Austin poi non solo troviamo
la presenza dei citati BlackRock e Vanguard, ma anche una alquanto stretta
vicinanza con alcune note associazioni del mondo ebraico quali la Congregation
Beth Israel guidata dal rabbino Philip Kaplan, la American Civil Liberty Union,
nella quale la presenza degli americani ebrei è molto radicata da sempre ed è
stata dominata da figure come l’avvocato Steven Shapiro e Nadine Strassen, il
campo estivo Young Judea, giovane Giudea, dove ogni estate si insegna ai
giovani adolescenti americani di origine ebraica l’amore per Israele, la Shalom
Austin, uno dei luoghi più importanti per la comunità ebraica di Austin, in
Texas, alle quali si aggiungono la Austin Jewish Academy, una scuola ebraica e
la Anti-defamation League, fondata nel 1913 dall’ebreo Sigmund G. Livingston
per combattere il fenomeno del cosiddetto “antisemitismo”, e questa
associazione ha reputazione di essere un vero e proprio censore nella vita
pubblica americana, sempre pronta a definire come “antisemita” chiunque esprima
critiche nei confronti dello stato ebraico.
Libano:
Otto Morti e Migliaia di
Feriti
nell’Esplosione dei Cercapersone.
Conoscenzealconfine.it
– (18 Settembre 2024) – redazione – Sadefensa.com – ci dice:
Secondo
quanto riferito, l’ambasciatore iraniano a Beirut è tra le numerose persone
rimaste mutilate o morte dopo che migliaia di cercapersone tascabili sono
esplosi simultaneamente.
Martedì,
in tutto il Libano, sono state uccise otto persone e 3.000 sono rimaste ferite
quando i loro cercapersone sono esplosi, hanno riferito i media locali. Il
gruppo militante libanese Hezbollah ha dichiarato che centinaia dei suoi membri
sono stati colpiti dall’incidente e sta incolpando Israele. Gerusalemme Ovest
non ha commentato gli sviluppi.
Le
persone sarebbero state colpite soprattutto nella periferia sud della capitale
del paese, Beirut, un’area considerata una roccaforte di Hezbollah, così come
nell’est e nel sud del paese. Più di 2.800 persone sono rimaste ferite nelle
detonazioni, che hanno ucciso otto persone, tra cui un bambino, ha riferito
l’agenzia di stampa Al Manar, citando il ministro della Salute libanese Firas
Abiad.
Abiad
ha confermato il numero di feriti in tutto il Paese. Il suo ministero ha anche
messo in allerta gli ospedali e ha detto loro di essere pronti a rispondere
alle emergenze sanitarie, ha detto Al Manar. A tutti gli specialisti sanitari è
stato anche chiesto di “andare nei loro luoghi di lavoro”, ha riferito
l’emittente digitale Naharnet.
Anche
l’ambasciatore iraniano a Beirut, Mojtaba Amani, sarebbe rimasto ferito
nell’esplosione di un cercapersone, ha riferito l’agenzia di stampa iraniana
Mehr. Il diplomatico, che avrebbe riportato ferite lievi, è stato ricoverato in
ospedale. Si ritiene che altri due membri dello staff dell’ambasciata siano
rimasti colpiti dalla serie di detonazioni.
Sui
social media sono comparse foto e video di persone in tutto il Libano con i
loro cercapersone che esplodono nelle tasche e nelle mani. Alcune clip mostrano
anche persone ferite che vengono curate in un ospedale.
Hezbollah
ha definito gli incidenti “la più grande violazione della sicurezza” in quasi
un anno e ne ha attribuito la colpa a Israele. Il gruppo è passato dall’uso
degli smartphone ai cercapersone nelle sue comunicazioni, dopo lo scoppio di un
conflitto tra Gerusalemme Ovest e Gaza l’anno scorso, a causa delle
preoccupazioni circa il potenziale hackeraggio dei dispositivi da parte di
Israele.
Il
gruppo militante e l’esercito israeliano si scambiano attacchi da quasi un
anno, mentre Hezbollah sostiene il gruppo militante Hamas con sede a Gaza nel
suo conflitto. Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno anche colpito
obiettivi in Libano, uccidendo diversi alti ufficiali di Hezbollah, tra cui
Fuad Shukr, che è stato colpito in un attacco aereo a Beirut a fine luglio.
I
funzionari israeliani avrebbero minacciato Hezbollah con una risposta militare
devastante in caso di ulteriore escalation. L’Iran ha poi minacciato Israele con “una guerra
annientatrice” se attaccasse il Libano. Mentre Hezbollah ha lanciato un duro
avvertimento la scorsa settimana, avvertendo che una guerra totale avrebbe
portato a “grandi perdite da entrambe le parti” e a più rifugiati.
(sadefenza.blogspot.com/2024/09/lbano-otto-morti-e-migliaia-di-feriti.html)
L’Intelligence
Russa Dice che l’Ucraina
Pianifica
un Attacco False-Flag “Disumano.”
Conoscenzealconfine.it
– (19 Settembre 2024) – Redazione – Renovatio21.com – ci dice:
Kiev
starebbe preparando un’operazione sotto falsa bandiera, in cui un ospedale
pediatrico o un asilo potrebbero essere colpiti da un presunto attacco
missilistico russo, ha affermato il Servizio di Intelligence estero russo
(SVR).
La
“provocazione disumana” sarebbe orchestrata dai leader dell’Intelligence
ucraina e dall’esercito su consiglio dei “gestori statunitensi”, ha affermato
la dichiarazione dei servizi russi lunedì.
L’obiettivo
sarebbe causare un gran numero di vittime e pubblicizzare l’evento attraverso i
media internazionali, ha aggiunto l’agenzia.
Kiev
spera che il suo piano aiuti a giustificare attacchi a lungo raggio con armi
occidentali nel profondo della Russia, ritiene l’SVR.
Gli
Stati Uniti userebbero quindi l’incidente per aumentare la pressione su Iran e
Corea del Nord per aver presumibilmente fornito missili balistici alla Russia,
ha affermato l’agenzia di spionaggio.
L’8
luglio, Kiev ha accusato Mosca di aver deliberatamente preso di mira l’ospedale
pediatrico “Okhmatdet” nel centro di Kiev durante un bombardamento missilistico
su larga scala.
Il ministro degli Interni “Igor Klimenko” ha
riferito che due adulti sono stati uccisi nell’incidente e 32 persone, tra cui
bambini, sono rimaste ferite.
Mosca
ha negato le accuse ucraine, ribadendo che non prende mai di mira strutture
civili.
L’esercito
russo ha suggerito che la colpa fosse degli operatori della difesa aerea
ucraina.
Il
portavoce del Cremlino “Dmitrij Peskov” aveva detto all’epoca che Kiev stava
usando la tragedia per enfatizzare la partecipazione del leader ucraino
“Volodymyr Zelens’kyj “al summit NATO negli Stati Uniti.
Ha sottolineato un modello di incidenti di
alto profilo, simili all’attentato di “Okhmatdet”, che si verificano prima
degli incontri di Zelensky con alti funzionari stranieri.
“La
cricca di Zelens’kyj ignora le vite dei bambini ucraini che mette in pericolo”,
ha affermato l’SVR.
Ha citato una serie di “provocazioni
sanguinose” nel corso del conflitto, aggiungendo che dopo quelle, “poche
persone al mondo credono che Mosca sia ‘insidiosa’ e Kiev sia ‘innocente’ “.
Secondo
quanto riportato, “Zelens’kyj” sarebbe pronto a recarsi negli Stati Uniti per
incontrare il presidente “Joe Biden” e i due candidati presidenziali per le
elezioni di novembre, la vicepresidente Kamala Harris e l’ex presidente Donald
Trump.
Intende
condividere con loro il suo cosiddetto “piano della vittoria”, una tabella di
marcia in quattro punti che, a suo avviso, consentirà all’Ucraina di porre fine
al conflitto con la Russia alle sue condizioni.
Il
continuo supporto militare degli Stati Uniti e il permesso di condurre attacchi
in profondità all’interno della Russia con armi occidentali sono considerati
cruciali per il suo piano.
In un
discorso della scorsa settimana di inusitata durezza, il presidente russo
Vladimir Putin ha avvertito che Mosca considererà tali attacchi come
un’aggressione diretta da parte dei membri della NATO e reagirà di conseguenza.
Mosca considera il conflitto in Ucraina una guerra per procura guidata dagli
Stati Uniti contro la Russia.
Come
riportato da “Renovatio 21”, durante il conflitto Mosca ha altre volte accusato
Kiev di preparare attacchi sotto falsa bandiera anche con armi chimiche o con
una cosiddetta “bomba sporca“.
(renovatio21.com/lintelligence-russa-dice-che-lucraina-pianifica-un-attacco-false-flag-disumano/)
Le
esplosioni dei cercapersone
di Hezbollah e l’insita natura
terroristica
dello stato di Israele.
Lacrunadellago.net
– (19/09/2024) – Cesare Sacchetti – ci dice:
Si
credeva che tutto fosse finito l’altro ieri, quando hanno iniziato a scorrere
immagini di uomini di Hezbollah mutilati o gravemente feriti dalle esplosioni
dei loro cercapersone da remoto.
Invece
ieri pomeriggio c’è stata una seconda parte di quello che si può definire come
uno degli attacchi terroristici più infami della storia di Israele.
Sono esplosi
altri apparecchi elettronici mentre si stavano celebrando i funerali di coloro
che avevano perso la vita lo scorso martedì.
Al
solito, lo stato ebraico non conferma né smentisce di aver orchestrato questo
attacco, ma di indiziati che avevano la capacità e le motivazioni di commettere
un simile atto, non ce ne sono altri, tranne Tel Aviv.
Sono
già morte 18 persone, e più di 2mila risultano ferite, e non sono affatto tutti
appartenenti al partito armato di Hezbollah, la resistenza libanese che si è
formata nel 1985 dopo che Israele invase il Libano 3 anni prima e continuò ad
occuparlo fino al 2000, quando le truppe sioniste si ritirarono dopo l’accordo
stipulato con le Nazioni Unite.
La
natura di Israele non è certo quella di vivere in pace con i propri vicini.
Israele, dovrebbe essere abbastanza chiaro a questo punto, non nasce per dare
agli ebrei una casa che serva a mettere al repentaglio gli ebrei nel mondo da
eventuali persecuzioni.
Israele
è molto di più di questo. Israele è dominio, imperialismo e “sogno” di
costruire da questa terra un impero che si imponga su altre nazioni.
Non
c’è la falsa e ipocrita necessità di aiutare gli ebrei che all’inizio dell’900
non ne volevano sapere di trasferirsi in una terra, quella della Palestina, che
non era loro e con la quale non avevano più alcun legame da tempo, se mai
effettivamente ce lo hanno avuto.
Sì,
perché larga parte degli ebrei oggi non è più la stessa di 2000 anni fa, e ciò
vuol dire che l’ebreo che visse ai tempi di Cristo non è geneticamente lo
stesso di oggi.
A
dirlo è stato, tra gli altri, un genetista israeliano, “Eran Elhaik,” che nella
sua ricerca ha dimostrato la validità della tesi Kazaca sostenuta dallo
scrittore e storico di origini ebraiche, “Arthur Koestler”, che nella sua
opera, oggi un classico, intitolata “La tredicesima tribù”, sostenne che gli
ebrei oggi non sono altro che i casari vissuti in Europa Orientale ai tempi del
re Bulano, nel VIII secolo d.C., che impose il giudaismo come religione al suo
popolo soltanto per meri motivi di opportunità e non perché animati da un
qualche sincero interesse per il talmudismo.
E’
Arthur Koestler, il primo ricercatore moderno a ipotizzare che gli ebrei siano
originari del regno di Khazaria.
Gli
ebrei che sono ancora parzialmente gli stessi da un punto di vista genetico di
quelli di 2000 anni fa sono i sefarditi che dopo i secoli successivi si
dispersero in Medio Oriente e in Europa, in particolare nella penisola Iberica,
dove diedero assistenza agli invasori islamici che invasero e dominarono la
Spagna per diversi secoli.
Il
terrorismo e la violenza scorrono nelle vene di Israele non da oggi, ma da
quando il suo padre putativo, “Theodor Herz”l, scrisse alla fine del’800 il suo
famoso saggio “Lo stato ebraico” che può essere considerato come il primo vero
atto di fondazione del movimento sionista mondiale.
Già in
quell’epoca fervevano ai piani alti della finanza ebraica i propositi di
costruire uno stato ebraico in Palestina e i primi a mettere a disposizione i
fondi necessari per raggiungere una simile impresa sono stati gli onnipresenti
banchieri che hanno dominato la vita politica europea dalla rivoluzione
francese innanzi, ovvero i Rothschild.
Il
primo congresso sionista mondiale non si sarebbe potuto tenere senza il
contributo di “Edmond James de Rothschild” che ancora oggi nel mondo sionista
viene chiamato “benefattore” talmente importante è stato il suo ruolo nel porre
i primi mattoni del futuro stato di Israele.
Nulla
è cambiato al tempo della prima guerra mondiale, quando il ministro degli
Esteri britannico, “Balfour”, dava vita alla sua celebre dichiarazione nel 1917
nella quale si impegnava con Lord Rothschild
per far sì che la Gran Bretagna diventasse la garante del piano sionista
e che la Palestina fosse strappata dalle mani dell’Impero ottomano in via di
dismissione, per essere consegnata invece agli ebrei sionisti.
Il
tributo di sangue è stato enorme.
C’è
stato certamente quello della prima e della seconda guerra mondiale, senza le
quali qualsiasi proposito di costruire uno stato ebraico sarebbe stato
impensabile e irrealizzabile, poiché questi due eventi di proporzioni mondiali
hanno prima consentito alla Palestina di passare sotto il mandato britannico, e
poi hanno infine permesso di costruire lo stato di Israele dopo le persecuzioni
inflitte da Hitler contro gli ebrei tedeschi, i quali se si rifiutavano di
adempiere alle disposizioni del famigerato trattato “Bavara” firmato dai
nazisti con il movimento sionista, venivano deportati nei campi di
concentramento.
A dare
al futuro stato ebraico la popolazione di cui aveva bisogno è stato proprio il “fuhrer
“che attraverso questo accordo acconsentiva a trasferire gli ebrei in
Palestina, e a dare anche ingenti finanziamenti ai coloni sionisti che volevano
insediarsi lì per costruire la nazione di Israele.
A chi
non conosce la storia potrà apparire un paradosso, ma è così.
Adolf
Hitler, l’uomo che ha inflitto agli ebrei tedeschi le sue pene, è quello al
quale il sionismo deve più di tutti, e sono persino intellettuali ebrei a
riconoscere che, senza di lui, Israele non avrebbe mai visto la luce.
Gli
ebrei che migravano in Palestina avevano in tasca questo documento che gli
consentiva di recuperare le proprie proprietà in Germania.
Gli
stretti rapporti tra sionismo e nazismo rivelano come questa sacrilega alleanza
nata nel 1933, subito dopo l’insediamento di Hitler al potere, non sia mai
morta, e ciò dimostra, ancora una volta, come i due fenomeni politici siano due
facce della stessa medaglia, soprattutto alla luce di quanto avviene in
Ucraina, nella quale ancora oggi è possibile vedere come Israele sia schierata
a fianco del regime nazista, al quale i vari rabbini non mancano di fare avere
la loro benedizione.
La
narrazione liberale si dimostra completamente fallace e mendace anche sotto
questo profilo.
Questa vuole descrivere i nazisti come i più acerrimi
nemici del sionismo, mentre vediamo come in realtà questi due movimenti siano
strettamente alleati e agiscano per il raggiungimento di comuni fini.
La
natura terrorista del sionismo.
Il
sionismo però non ha versato soltanto il sangue delle guerre mondiali ma anche quello
dei civili innocenti che vivevano in Palestina negli anni’30.
All’epoca
erano attive molte falangi terroristiche quali quella più famigerata dell’”Irgun”
di “Menachem Begin”, responsabile di numerosi massacri di civili, e quella
dell’”Haganah” di Ben Gurion, che la storiografia liberale ama descrivere come
“moderata” quando essa ha preso parte a sua volta ad altri agguati
terroristici.
C’è
una lunga lista dalla quale attingere per comprendere quale sia la filosofia
del terrore che ha sempre governato gli uomini del sionismo.
Ne
vediamo un esempio nel 1937, quando l’Irgun uccideva 18 civili palestinesi nel
mercato di Haifa facendo esplodere una bomba, o nel 1939, quando l’”Haganah” di
Ben Gurion a Balad Al-Shaykh rapiva e uccideva 5 civili innocenti.
Nulla
fermava i due uomini animati dalla stessa feroce e irrefrenabile volontà
sanguinaria e disumana di costruire Israele ad ogni costo, senza curarsi
minimamente della vita dei palestinesi e di tutti coloro che non erano ebrei,
che nella filosofia talmudica vengono appellati “goyim,” che sta per “bestie”,
a dimostrazione che le prese di posizione del nazismo sulla superiorità di una
razza su un’altra non sono affatto diverse dalle parti del sionismo che però
assegna lo scettro invece agli ebrei.
La
scia di sangue è proseguita anche negli anni successivi.
Ben
Gurion e Menachem Begin non hanno infatti concluso la loro carriera di
terroristi dopo la seconda guerra, ma anzi, se possibile, hanno ancora più
alzato il tiro quando commetteva un’altra famigerata strage al” King David
Hotel” di Gerusalemme nel 1946, allora utilizzato dagli inglesi come sede
diplomatica in Palestina, e nel quale fu fatta esplodere una bomba.
Menachem
Begin e Ben Gurion.
Il
sionismo non voleva più aspettare. Voleva che gli inglesi si togliessero dai
piedi e che nascesse lo stato ebraico da loro tanto atteso.
Il
massacro quel giorno fu enorme. Vennero uccise 91 persone e larga parte di
queste nemmeno nulla avevano a che fare con la Gran Bretagna, in quanto erano
personale dell’albergo o semplici clienti che alloggiavano nella struttura, ma
questo agli esponenti del sionismo non importava poi molto.
Una
vita umana, se non è ebrea, non vale nulla e allora la carneficina è un mezzo
più che accettabile se questa serve a raggiungere gli scopi del sionismo mondiale.
Ne sa
qualcosa il conte “Folke Bernadotte”, il mediatore delle Nazioni Unite, che
finì crivellato nel settembre del 1948 dai colpi dei tagliagole di un altro
gruppo terrorista, il “Lehi”, noto anche come “banda Stern”, che aveva a sua
volta cercato di stabilire un’alleanza con la Germania nazista, a
dimostrazione, nuovamente, che i legami tra sionismo e nazismo sono davvero
profondi.
Ancora
oggi però, come si accennava prima,
alcuni storici amano mettere in contrapposizione le figure di Ben Gurion
e di Menachem Begin, quando in realtà essi marciavano per lo stesso obiettivo e
avevano una funzione complementare, ovvero quella di mostrare al mondo una
presunta faccia più conciliante e “umana” del sionismo che invece doveva tenere
a bada l’ala più estrema.
Ben
Gurion in questa caratterizzazione viene considerato il leader della sinistra
sionista, mentre Begin, che divenne primo ministro di Israele, è il padre del “Likud”,
oggi capeggiato da Netanyahu.
Questa
narrazione però tace sui massacri compiuti da Ben Gurion e pretende di far
credere che il leader sionista avesse un animo da diplomatico, quando era
anch’egli, come Begin, un terrorista che non esitava a uccidere innocenti pur
di servire gli interessi di Israele.
Israele,
come si vede, è sempre stata dal primo momento guidata da una leadership di
terroristi.
“Ben
Gurion” che soltanto due anni prima faceva massacrare i civili innocenti del “King
David Hotel “diveniva il primo premier dello stato ebraico nel 1948, ed è
considerato uno dei padri fondatori di Israele.
Israele
è stata concepita nel sangue sin dal principio, e i suoi leader sono stati
allattati al seno del terrorismo sin dai primi istanti nei quali i coloni ebrei
si sono insediati in una terra che non era la loro.
Nulla
cambia nemmeno nei primi anni di esistenza in vita dello stato ebraico. Nel
1953, l’allora comandante dell’unità 101 delle forze armate israeliane, Ariel
Sharon, massacrerà civili innocenti nel villaggio palestinese di Qibya, nel
quale verranno uccisi 69 civili palestinesi dopo aver fatto esplodere le loro
case.
“Ariel
Sharon” diverrà poi primo ministro di Israele di Israele nel 2001, in quella
che sembra essere una tipica consuetudine dello stato di Israele.
Il
terrorista in Israele dismette frequentemente i suoi panni e indossa quelli
dello statista o del politico di professione, a dimostrazione che la classe
politica israeliana è composta in larga parte da killer di professione, che non
hanno rispetto alcuno per la vita umana, non di rado nemmeno quella degli
israeliani, quando questi servono a raggiungere i più “alti” fini del movimento
sionista mondiale.
Oggi
di conseguenza, non vediamo altro quella che è sempre stata l’anima originaria
ed autentica del sionismo.
Stiamo vedendo un movimento che disprezza la
vita umana, che non vuole coesistere con nessuno pacificamente e che considera
nemici tutti coloro che non vogliono essere schiavi dello stato ebraico.
Israele,
però, non gode più dell’appoggio incondizionato della potenza americana che gli
ha consentito di esistere e che ha messo a ferro e fuoco il Medio Oriente per
suo conto.
Washington
è stata per larga parte dell’900 un’appendice dello stato ebraico e le lobby
che l’hanno fatto da padrona negli Stati Uniti sono state certamente quelle del
sionismo, rappresentate da gruppi quali l’”AIPAC”,” Chabad” e i” neocon”.
Sono
stati loro a dettare la politica estera degli Stati Uniti che sono piombati nei
Paesi arabi e hanno iniziato a rovesciare quei governi giudicati “ostili” da
Israele e di intralcio al movimento sionista, come accaduto a Saddam Hussein e
a Muammar Gheddafi, che già decenni prima diede proprio alla televisione
italiana, una lezione su quali sono i veri fini del sionismo e come esso abbia
sin dal principio colonizzato una terra, la Palestina, che non è la loro.
Il
sionismo e il desiderio di ricostruire il tempio.
Alcuni
però si chiedono perché il sionismo e i suoi padri fondatori volevano a tutti i
costi insediarsi in quelle aride zone del mondo, e non, ad esempio, in altri
luoghi che pur il congresso sionista mondiale aveva considerato.
Gerusalemme
è solo in Palestina.
Il
sionismo ha bisogno di questa città perché insegue il folle proposito di
ricostruire il secondo tempio distrutto qui dai romani ai tempi di Tito, nel 70
d.C., e incoronare lì quello che “Chabad
“chiama il “moschiach” ebraico, l’uomo che in questa religione dovrà governare
Israele e il mondo intero.
L’istituto
“Temple Institute” è stato creato appositamente per perorare la causa della ricostruzione
del tempio, tanto che ai bambini israeliani sin dai primi anni di vita, viene
insegnato che questa è la causa “buona e giusta” alla quale loro devono
aspirare.
“Chabad
Lubavitch”, uno dei gruppi sionisti più potenti del mondo e riverito da
politici di tutto il mondo, nel suo sito ufficiale è ancora più esplicita.
Il “sionismo
messianico” attende questa figura per erigere quello che viene chiamato come “Nuovo
Ordine Mondiale”, del quale Israele è un pezzo fondamentale.
Non
siamo però vicini ad un trionfo ed un avvento di questa figura.
Non
siamo vicini ad una fine delle nazioni e ad una nascita di questo supergoverno
mondiale che avrebbe dovuto vedere la luce dopo la farsa pandemica.
Siamo
al crepuscolo, se non già al tramonto, di questo delirio di onnipotenza e della
“Grande Israele “che l’ala sionista messianica del “Likud” di Netanyahu
vorrebbe veder nascere.
Ciò
non cambia la intrinseca violenza che connatura lo stato ebraico che fino
all’ultimo istante sparge sangue e cerca di istigare conflitti nei vari Paesi
arabi.
L’attentato
con i telefonini esplosivi è l’espressione della irredimibile natura
terroristica israeliana che come il lupo perde il pelo, ma non il vizio di
uccidere indiscriminatamente chiunque si metta sulla sua strada.
Stavolta
però non siamo più nel XX secolo e non c’è l’impero americano a correre in
soccorso dello stato ebraico.
Israele
a questo giro è sola, ed è difficile pensare che Hezbollah se ne resti con le
mani in mano dopo questo infame attacco, così com’è difficile pensare che
l’Iran possa ancora rimandare ulteriormente la sua annunciata seconda
controffensiva.
Lo
stato ebraico non sembra curarsi minimamente delle conseguenze e della spirale
autodistruttiva che ha innescato.
La
volontà di potenza sionista sembra prevalere su qualsiasi logica.
Soltanto
un ritorno alla realtà potrà far risvegliare taluni dalla loro follia
sanguinaria e imperialista, e non crediamo che questo ritorno tarderà a
manifestarsi.
I
preparativi di guerra si accumulano
dopo 9
morti, 2700+ feriti nell'attacco
di
Israele contro Hezbollah.
Zerohedge.com - Tyler Durden – (18 settembre
2024) – ci dice:
Aggiornamento
(1445ET): I dati ufficiali del Ministero della Sanità libanese dicono che nove
persone sono state uccise nelle esplosioni simultanee del cercapersone, tra cui
una ragazza, e circa 2.750 feriti.
Il
governo libanese ha identificato "l'aggressione israeliana" come
responsabile dell'attacco, mentre Hezbollah afferma di ritenere Israele
"pienamente responsabile".
Israele non ha ancora rilasciato un commento
ufficiale, ma ci sono diversi rapporti dalla regione che i preparativi di
guerra sono in corso.
Ci
sono notizie di bombardamenti serali israeliani sulle posizioni di Hezbollah
nel sud del Libano.
Il
canale israeliano “Channel 14” riferisce che "alti funzionari militari
israeliani si stanno preparando per una terza guerra di Hezbollah che dovrebbe
iniziare quasi immediatamente".
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha detto
che gli Stati Uniti "non erano a conoscenza di questa operazione e non
erano coinvolti" nell'attacco. L'amministrazione Biden afferma che sta
"ancora raccogliendo informazioni".
Il
“WSJ” ha offerto alcuni dettagli iniziali sul sofisticato attacco, che libanesi
e arabi hanno condannato come un grave "attacco terroristico".
"I cercapersone interessati provenivano
da una nuova spedizione che il gruppo ha ricevuto nei giorni scorsi, hanno
detto persone che hanno familiarità con la questione", scrive il WSJ.
"Un
funzionario di Hezbollah ha detto che centinaia di combattenti avevano tali
dispositivi, ipotizzando che il malware possa aver causato l'esplosione dei
dispositivi.
Il funzionario ha detto che alcune persone
hanno sentito i cercapersone riscaldarsi e li hanno smaltiti prima che scoppiassero.
E
ancora: "Hezbollah ha detto che un certo numero di cercapersone
trasportati dai suoi membri sono esplosi contemporaneamente alle 15:30.
Non è
stato possibile determinare immediatamente cosa abbia causato le esplosioni,
che sono state sparse in tutto il paese in diverse aree in cui Hezbollah ha una
forte presenza".
I
media israeliani dicono che il “Mossad” ha truccato le batterie dei
cercapersone di una spedizione che è stata importata cinque mesi fa:
L'agenzia
di spionaggio israeliana ha piazzato una quantità di “PETN”, un materiale
altamente esplosivo, sulle batterie degli ordigni e le ha fatte esplodere
aumentando la temperatura delle batterie da lontano, dice la fonte.
Ci
sono rapporti iniziali secondo cui più compagnie aeree europee hanno iniziato a
cancellare i voli per il Libano e Israele in mezzo a più titoli di piani di
guerra.
Le scuole e le università libanesi hanno
annunciato chiusure diffuse domani. Nel frattempo, l'amministrazione americana
sembra stare a guardare.
La
guerra sembra imminente.
Aggiornamento
(1050ET): Un testimone oculare dice ad Al Jazeera: "Ci sono più di 400
uomini qui. I loro cercapersone sono esplosi, quelli che usano per
comunicare". Ci sono resoconti dei media regionali libanesi di oltre 1.200
operativi di Hezbollah feriti.
“Reuters”
conferma che l'ambasciatore iraniano in Libano “Mojtaba Amani” è tra i feriti
nella serie di esplosioni di cercapersone, sulla base di un rapporto
dell'agenzia di stampa iraniana “Mehr”.
I rapporti successivi dicono che è stato
ferito solo leggermente.
Alcune
delle esplosioni sono avvenute anche in Siria, dicono i rapporti.
Ci
sono notizie di morti civili a Beirut, compresi bambini. Alcune delle
esplosioni sono avvenute all'interno delle case, dove i cercapersone erano su
scaffali o comodini.
Un
corrispondente di “Al Jazeera” scrive: "Stiamo parlando di centinaia di
membri del gruppo negli ospedali. Stiamo vedendo video online di ferite alle
braccia, alle gambe, persino al viso". Il ministero della Salute libanese
sta esortando medici e infermieri a correre negli ospedali a sud di Beirut in
mezzo a una carenza. “Reuters” riferisce che tra gli uccisi confermati c'è il
figlio di un membro del Parlamento di Hezbollah, che faceva parte dell'ala
armata.
Secondo
più degli ultimi:
Otto
morti, 2.750 feriti in Libano che fanno esplodere i cercapersone: ministro
Ministero
della Salute: 200 persone in condizioni critiche.
Ambasciatore
in Libano “Mojtaba Amani”
Da una
presunta fonte di Hezbollah citata da AP e dai media israeliani:
Il
funzionario, parlando a condizione di anonimato perché non è autorizzato a
parlare con i media, afferma che le esplosioni sono state il risultato di
"un'operazione di sicurezza che ha preso di mira i dispositivi".
"Il
nemico [Israele] sta dietro a questo incidente di sicurezza", dice il
funzionario, senza approfondire.
Aggiunge
che i nuovi cercapersone che i membri di Hezbollah portavano con sé hanno
batterie al litio che apparentemente sono esplose.
Questo
segna l'inizio di una più ampia campagna anti-Hezbollah? Sembra di sì.
E ci si aspetta sicuramente che Hezbollah si
intensifichi da parte sua.
Questo potrebbe essere l'inizio di una nuova
guerra in Libano, di portata maggiore rispetto alla guerra del 2006.
Molti
si chiederanno: perché i cercapersone?
Un
corrispondente regionale e collaboratore di “Zero Hedge” spiega:
L'analista
militare “Elijah Magnier” ha detto ad “Al Jazeera” che Hezbollah fa molto
affidamento sui cosiddetti cercapersone per evitare che Israele intercetti le
comunicazioni dei suoi membri.
Ha
anche suggerito che questi dispositivi potrebbero essere stati pre-manomessi
prima di essere dispersi tra i membri di Hezbollah.
"Questo
non è un nuovo sistema. È stato usato in passato", ha detto. "Quindi
in questo caso c'è stato il coinvolgimento di una terza parte ... per
consentire l'accesso ... per attivare a distanza l'esplosione", ha detto.
Un'apparente
operazione segreta del Mossad ha scatenato il caos in un quartiere a sud di
Beirut martedì, provocando vittime su larga scala tra gli operativi di
Hezbollah e, secondo quanto riferito, civili libanesi.
I
dispositivi di telecomunicazione utilizzati dai membri di Hezbollah hanno
iniziato a esplodere, provocando fino a centinaia di feriti nel sobborgo di
Dahiyeh.
Sembra che ci siano vittime, secondo le
immagini grafiche dei social media.
“Reuters”
riferisce: "Centinaia
di membri del gruppo armato libanese Hezbollah, tra cui combattenti e medici,
sono stati gravemente feriti martedì quando i cercapersone che usano per
comunicare sono esplosi", secondo fonti della sicurezza.
Al
Jazeera ha citato testimoni oculari che dicono che ci sono oltre 400 vittime in
un solo ospedale.
Esiste un Fotogramma di uno dei
cercapersone che esplode in un mercato affollato pieno di civili.
"Un
giornalista della “Reuters” ha visto 10 membri di Hezbollah sanguinanti dalle
ferite nel sobborgo meridionale di Beirut noto come Dahiyeh", continua il
rapporto.
Non è
ancora chiaro con quanta precisione l'intelligence israeliana sia stata in
grado di infiltrarsi nelle telecomunicazioni di Hezbollah – se piccole bombe
siano state piazzate nei cercapersone o forse il risultato di una sorta di
hacking informatico su larga scala. Ma ciò che sta diventando chiaro è che sono
stati fatti esplodere a distanza.
Un
funzionario di Hezbollah è stato citato in forma anonima da Reuters, definendo
l'incidente la "più grande violazione della sicurezza" che il gruppo
abbia mai affrontato dall'inizio del conflitto con Israele, durato quasi un
anno.
Gruppi
come Hezbollah usano spesso dispositivi a bassa tecnologia per comunicare tra
loro, dato che i telefoni cellulari sono più facili da intercettare per i
servizi di intelligence.
"I
residenti hanno detto che le esplosioni stavano avvenendo anche 30 minuti dopo
le esplosioni iniziali", osserva ancora il rapporto, citando testimoni
oculari. Le persone chiedono anche urgentemente donazioni di sangue, dato che
questo sembra un evento di massa.
Si
dice che gli ospedali locali siano inondati di vittime e di gruppi di familiari
che si precipitano all'ingresso cercando di scoprire cosa sta succedendo.
Israele
non ha ancora commentato l'apparente operazione segreta.
Un
importante osservatorio di guerra libanese e regionale ha confermato.
Questa
non è una terza guerra
mondiale: questa è una
guerra di terrore.
Unz.com - Pepe Escobar – (18 settembre 2024) –
ci dice:
E la
Russia sta combattendo una guerra esistenziale per la sopravvivenza della
Patria – quella che ha fatto ripetutamente nel corso dei secoli.
Questa
non è una festa Questa non è una discoteca
Non
c'è tempo per ballare O per l'amore Non ho tempo per questo adesso.
Prima
abbiamo avuto l'azione: il presidente Putin – freddo, calmo, raccolto – avverte
che qualsiasi attacco alla Russia con missili a lungo raggio della NATO sarà un
atto di guerra.
Poi
abbiamo avuto la reazione: i topi della NATO che tornavano di corsa alla fogna,
in fretta. Per ora.
Tutto
ciò è stato una conseguenza diretta della debacle di Kursk.
Una
scommessa disperata.
Ma lo
stato delle cose nella guerra per procura in Ucraina era disperato per la NATO.
Fino a quando non è diventato cristallino, è
tutto fondamentalmente irrecuperabile.
Quindi
ci sono due opzioni rimaste.
La
resa incondizionata dell'Ucraina, alle condizioni della Russia, equivale alla
completa umiliazione della NATO.
O
l'escalation verso una guerra totale con la Russia.
Le
classi dirigenti degli Stati Uniti – ma non del Regno Unito – sembrano aver
registrato l'essenza del messaggio di Putin:
se la
NATO è in guerra con la Russia, "allora, tenendo presente il cambiamento
nell'essenza del conflitto, prenderemo le decisioni opportuno in risposta alle
minacce che ci verranno poste".
Il
vice ministro degli Esteri” Sergey Ryabkov” è stato minacciosamente più
preciso: "La decisione è stata presa, la carta bianca e tutte le
indulgenze sono state date [a Kiev], quindi noi [la Russia] siamo pronti a
tutto. E noi reagiamo in un modo che non sarà bello".
La
NATO de facto in guerra con la Russia.
A
tutti gli effetti, la NATO è già in guerra con la Russia:
voli
di riconoscimento senza sosta, attacchi ad alta precisione sugli aeroporti in
Crimea, costringendo la flotta del Mar Nero a trasferirsi fuori da Sebastopoli,
questi sono solo alcuni esempi.
Con il
"permesso" di colpire fino a 500 km di profondità in Russia, e una
lista di diversi obiettivi già presentati da Kiev per "approvazione",
Putin ha chiaramente affermato l'ovvio.
La
Russia sta combattendo una guerra esistenziale per la sopravvivenza della
Patria – quella che ha fatto ripetutamente nel corso dei secoli.
L'URSS
ha subito 27 milioni di perdite ed è emersa dalla seconda guerra mondiale più
forte che mai. Questa dimostrazione di forza di volontà, di per sé, spaventa a
morte l'Occidente collettivo.
Il
ministro degli Esteri “Sergey Lavrov” – la cui pazienza taoista sembra essere
estenuante – ha aggiunto un po' di colore al quadro generale, attingendo dalla
letteratura inglese:
"George
Orwell aveva una ricca immaginazione e lungimiranza storica. Ma nemmeno lui
poteva immaginare come sarebbe stato uno stato totalitario. Ne ha descritto
alcuni dei contorni, ma non è riuscito a penetrare le profondità del
totalitarismo che ora vediamo nel quadro dell'"ordine basato sulle
regole". Non ho nulla da aggiungere. Gli attuali leader di Washington, che
sopprimono ogni dissenso, lo hanno "superato".
Questo
è il totalitarismo nella sua forma più pura".
“Lavrov
ha concluso che "sono storicamente condannati".
Eppure
non hanno davvero il coraggio di provocare la Terza Guerra Mondiale.
I
vigliacchi possono solo ricorrere a una guerra del terrore.
Ecco
alcuni esempi.
L'SVR
– l'intelligence estera russa – ha scoperto un complotto di Kiev per
organizzare un attacco missilistico russo su un ospedale o un asilo nido sul
territorio controllato da Kiev.
Gli
obiettivi dovrebbero sollevare il morale – crollato – dell'AFU;
giustificare la completa rimozione di
qualsiasi restrizione agli attacchi missilistici in profondità all'interno
della Federazione Russa;
e
attirare il sostegno del Sud del mondo, che comprende in modo schiacciante ciò
che la Russia sta facendo in Ucraina.
Parallelamente,
se questa massiccia falsa bandiera funzionasse, l'Egemone la userebbe per
"aumentare la pressione" (Come? Urlando a squarciagola?) sull'Iran e
sulla Corea del Nord, i cui missili sarebbero probabilmente gli autori della
carneficina.
Per
quanto questo possa sembrare inverosimile a livello di “Maximum Stupidistan”,
considerando la “Deep Dementia” che spazia da Washington e Londra a Kiev,
rimane possibile, poiché il “NATOstan” de facto mantiene l'iniziativa
strategica in questa guerra.
La
Russia da parte sua rimane passiva. È la NATO che sta scegliendo il metodo, il
luogo e il momento per i suoi attacchi chiave e di scelta.
Un
altro classico esempio di “Guerra al Terrore “è quello dell'organizzazione
jihadista e spin-off di al-Qaeda “Hayat Tahrir al-Sham” in Siria, che riceve 75
droni da Kiev, in cambio della promessa di inviare un gruppo di combattenti
esperti dallo spazio post-sovietico nel Donbass.
Niente
di nuovo sul fronte del terrore: il capo delle spie ucraine “Kirill Budanov”, osannato in
Occidente come una specie di James Bond ucraino, è sempre in stretto contatto
con i jihadisti a Idlib, come riportato dal quotidiano siriano “Al-Watan”.
Preparazione
al remix dell'”Operazione Barbarossa.”
Parallelamente,
abbiamo avuto il vice segretario di Stato americano “Kurt Campbell” – il
russofobo/sinofobo che ha inventato il "pivot to China" durante la
prima amministrazione Obama – che ha informato gli alti burocrati dell'UE e
della NATO sulla cooperazione militare del nuovo asse del male coniato
dall'Impero: Russia-Cina-Iran.
“Campbell”
si concentra principalmente sull'assistenza del Mosca a Pechino con un know-how
avanzato di sottomarini, missili e stealth, in cambio di mobili cinesi.
È
ovvio che la combinazione dietro lo zombie, che non riesce nemmeno a trovare un
modo per leccare un gelato, non è a conoscenza della collaborazione militare
interconnessa delle partnership strategiche Russia-Cina-Iran.
Cieca
come mille pipistrelli, la” combo” interpreta la Russia che condivide il suo
know-how militare finora pesantemente sorvegliato con la Cina come "un
segno di crescente incoscienza".
La
vera storia inquietante dietro questo mix di ignoranza e panico è che nulla ha
origine dallo zombie che non sa nemmeno leccare un gelato.
È la "combo Biden" che sta infatti
lavorando duramente per preimpostare la traiettoria della guerra per procura in
Ucraina oltre il gennaio 2025, indipendentemente da chi sarà eletto alla Casa
Bianca.
La
guerra del terrore dovrebbe essere il paradigma generale, mentre i preparativi
per la vera guerra contro la Russia continuano, con l'orizzonte fissato per il
2030, secondo le deliberazioni interne della NATO.
Questo
è il momento in cui credeva di essere al massimo della potenza per portare
avanti una versione remixata dell'Operazione Barbarossa del 1941.
Questi
pagliacci sono congenitamente incapaci di capire che Putin non bluffa.
Se non
ci sono alternative, la Russia (corsivo mio) passerà al nucleare.
Così
com'è, Putin e il Consiglio di sicurezza, nonostante la retorica incendiaria di
Medvedev, sono immersi nel difficile compito di assorbire colpo dopo colpo per
impedire l'Armageddon.
Ciò
richiede una pazienza taoista illimitata – condivisa da Putin, Lavrov,
Patrushev – unita al fatto che Putin gioca a “go” giapponese molto più che a
scacchi, ed è un formidabile tattico.
Putin
legge il folle manuale di NATOstan come se fosse un libro di fiabe per bambini
(in effetti lo è).
Nel
momento fatidico di massimo beneficio per la Russia in tutto lo spettro, Putin
ordinerà, ad esempio, la necessaria decapitazione del serpente di Kiev.
L'incessante
e acceso dibattito sull'uso delle armi nucleari da parte della Russia dipende
essenzialmente dal modo in cui il Cremlino considererà un attacco missilistico
della NATO come una minaccia esistenziale.
Neocon
e zio-con, così come i vassalli della NATO, potrebbero desiderare una guerra
nucleare, teoricamente, perché in effetti ciò genererebbe un enorme
spopolamento.
Non
bisogna mai dimenticare che la banda del WEF/Davos vuole e predica una
riduzione della popolazione umana a livello globale di un enorme 85%.
L'unica via per arrivarci è ovviamente una
guerra nucleare.
Ma la
realtà è molto più prosaica.
I codardi neo-con e zio-con – che rispecchiano
l'esempio dei genocidi talmudici di Tel Aviv – vogliono al massimo usare la
minaccia di una guerra nucleare per intimidire soprattutto la partnership
strategica Russia-Cina.
Al
contrario, Putin, “Xi” e alcuni leader della maggioranza globale come “Anwar”
della Malesia continuano a mostrare intelligenza, integrità, pazienza,
lungimiranza e umanità.
Per l'Occidente collettivo e le sue élite
politiche e bancarie spaventosamente mediocri, si tratta sempre di soldi e
profitti.
Bene,
anche questo potrebbe cambiare drasticamente il 22 ottobre a Kazan al vertice
dei BRICS, quando dovrebbero essere annunciati importanti passi verso la
costruzione di un mondo post-unilaterale.
Sulla
bocca di tutti a Mosca.
A
Mosca c'è una discussione furiosa su come porre fine alla guerra per procura in
Ucraina.
La
pazienza taoista di Putin è pesantemente criticata, non necessariamente da
osservatori informati con una conoscenza interna della geopolitica hardcore.
Non capiscono che Washington non accetterà mai
le richieste chiave russe. Parallelamente, quando si tratta di denazificazione
completa dell'Ucraina, Mosca che alla fine si accontenta di un regime meramente
"amico" a Kiev non basta.
Sembra
esserci un consenso sul fatto che l'”Occidente collettivo” non riconoscerà in
alcun modo la sovranità della Russia sulla Crimea così come tutto ciò che è
stato conquistato nei campi di battaglia della “Novorossiya”.
Alla
fine, la prova principale è che tutte le sfumature del piano negoziale della
Russia saranno decise da Putin.
E
questo cambia continuamente.
Ciò
che ha proposto – molto generosamente – alla vigilia di quel patetico vertice
di pace in Svizzera a giugno non è più sul tavolo dopo Kursk.
Tutto
dipende, ancora una volta, da ciò che accade nei campi di battaglia. Se –
piuttosto quando – il fronte ucraino crollerà, la battuta ricorrente intorno a
Mosca sarà in vigore:
"Pietro [il Grande] e Caterina [la
Grande] stanno aspettando".
Beh,
non aspetteranno più, perché questi sono stati i Grandi che hanno di fatto
incorporato ciò che è l'Ucraina orientale e meridionale nella Russia.
E
questo suggerirà l'umiliazione cosmica della NATO.
Da qui
la perpetuazione del Piano B: niente Terza Guerra Mondiale, ma un'implacabile
Guerra del Terrore.
Fare
la guerra per salvare l’economia
capitalistica:
l’impero
Usa
alla
conquista del mondo.
Storiastoriepn.it - Gigi Bettoli – (18 Aprile
2024) – ci dice
(“Joyce
e Gabriel “Kolko”, I limiti della potenza americana. Gli Stati Uniti nel mondo
dal 1945 al 1954, Torino, Einaudi, 1975, pp. 905 -ed. or. 1972).
Ovviamente,
a leggere i classici, bisogna contestualizzare, e poi andare a vedersi tutte le
analisi successive. È anche su questo piano che si capisce lo spessore e
conferma l’attualità di un’analisi.
Va
infatti tenuto conto che si tratta di un libro le cui conclusioni sono
inevitabilmente condizionate dal periodo in cui è stato scritto, con gli Usa
infognati nella guerra del Vietnam, che fu la loro più cocente sconfitta
storica… prima di Cuba, Afganistan, Somalia, Iraq, Siria…
E’ una
ricerca sul piano della politica e dell’economia, dove manca un’analisi della
storia culturale, quella in cui il “secolo americano” ha avuto successo, dando
vita a quel “pensiero unico” che, come in Matrix, produce una avvolgente realtà
virtuale.
Manca
soprattutto un’analisi di quel patto sociale che “Eric J. Hobsbawm” ha definito
come la base dei “trenta gloriosi” anni del secondo dopoguerra:
il consenso occidentale ad una “cortina di
ferro” anticomunista in cambio del “Welfare State” concesso alla
socialdemocrazia europea, inesorabilmente sfaldatosi sotto gli attacchi
neoliberali dopo il 1989 e la “caduta del muro” (oltre che la trasformazione
neoliberale delle socialdemocrazie: non più i Brandt, Kreisky e Palme, ma i
Blair, D’Alema, Dijsselbloem, Stoltemberg e via elencando).
In
questo caso, il senso di questo libro documentatissimo ed implacabile rimane
quello di leggere il dopoguerra senza credere alla favole.
Si
legge “libera iniziativa, economia aperta e democrazia liberale”, ma in
filigrana significa guerra “fredda”.
Un’avvertenza:
durante questa lettura hanno continuato a presentarmisi esempi frequenti di
comparazione tra le vicende del primo decennio postbellico, ed i tempi attuali.
Alcune
le ritroverete continuando a leggere la mia recensione.
Perché
un libro di mezzo secolo fa ci dice quello che non sentiremo mai da un Gianni
Riotta o dai “giornalisti con le bretelle.”
C’è da
infuriarsi, a sentir oggi parlare a sproposito di “piano Mattei” da parte dei
(post?) fascisti neoliberali, o di
«Luigi
Einaudi, primo Capo dello Stato eletto con le regole della Costituzione del
’48, costruttore tra i più importanti della nostra democrazia, figura di
elevato prestigio internazionale che aiutò l’Italia nel dopoguerra a
riconquistare la dignità perduta con il fascismo».
Oppure,
pochi giorni dopo:
«Riferendosi
all’Europa, nel 1954, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi ricordava
che lo spettro delle decisioni per i Paesi del continente si riduceva a
“l’esistere uniti o lo scomparire”.
L’esperienza
dell’Alleanza Atlantica ci conferma il valore di una storia che, in 75 anni,
non ha mai tradito l’impegno di garanzia a beneficio dei 32 Paesi che ne fanno
parte: uniti nella difesa della libertà e della democrazia» .
Bisogna
scegliere, tra un’analisi seria o la riproposizione di narrazioni lenitive: tra
la politica monetarista e deflazionistica di Einaudi (milioni di disoccupati ed
emigranti per ripristinare i capitali della piccola e grande borghesia) oppure
quella espansiva cristiano-sociale di Mattei, realizzazione concreta della
Carta di Camaldoli della Dc clandestina.
Oppure
ci si può alienare a leggere la marea di testi della storiografia cosiddetta
“liberale” (alias “di regime”), per cui tutta la storia dell’Italia postbellica
sarebbe riassumibile nel come evitare la presa del potere da parte del Partito
Comunista più collaborativo e moderato d’Occidente, sostanzialmente
socialdemocratico.
O
ancora, su un altro piano, si può assistere sconcertati alla moltiplicazione
dei libri basati sullo spoglio degli archivi spionistici, fatto senza il minimo
di capacità critica necessaria , forse solo per furbesco adeguamento
conformistico alla moda pervasiva del “giallo” più banale e commerciale, quel
genere magistralmente demolita da “Giampaolo Simi” in uno dei suoi ultimi
libri; tanto il popolo è bue ed allora … diamogli pure da mangiare immondizia !
Oggi
più che mai, la storiografia ai tempi dei “social”, con l’ausilio invadente
della “intelligenza artificiale” si
adegua alla propaganda, approfittando della diffusa “dezinformatsiya” – in
russo, così anche le tecniche invasive di comunicazione possono venir
annoverate tra i “crimini del comunismo”, tanto chi si ricorda che i
“Persuasori occulti” di “Vance Packard”, dedicato ai “mass media” occidentali,
era stato scritto già nel lontano 1957.
A
proposito: era di nove anni prima (estate 1948) la leggenda urbana di “Bartali”
che, vincendo il Tour de France, avrebbe salvato l’Italietta degasperiana dal
comunismo, manco Togliatti si fosse sparato da solo alla testa per provocare
l’insurrezione-trappola sperata/usata dal creatore della Celere, il
superpoliziotto destro democristiano “Mario Scelba”.
Tiepida,
calda, bollente, ma mai “guerra fredda”: il “warfare” del “dopoguerra” come
prototipo del neoliberismo contemporaneo.
«Dalla
fine della seconda guerra mondiale fino alla primavera del 1947 i dirigenti
degli Stati Uniti considerarono la creazione di una “International Trade
Organization” (Ito) come la base di una integrazione generale della economia
globale che fosse compatibile con gli interessi dell’America.
Questo
obbiettivo di un mondo permanentemente aperto al loro commercio ed ai loro
investimenti, che agisse essenzialmente attraverso economie capitalistiche, era
una chimera per raggiungere la quale gli Stati Uniti furono ripetutamente
costretti ad adottare tattiche nuove.
Se i
mezzi iniziali dovevano dimostrarsi inadeguati, e richiedere continue
improvvisazioni, il fine ultimo non doveva mai più mutare dal 1945 – o
addirittura dal 1915 – in poi.». (p. 768).
Più
avanti, nelle conclusioni (a p. 884) gli autori elencano solo alcuni tra questi
strumenti:
oltre l’”Ito”, il “Piano Marshall”, la” Nato”,
la “Ced”, la “bomba A”, ma non vanno dimenticati anche il “Fmi”, la “Banca
Mondiale” ed altri strumenti di dominio oligarchico, dove si vota sulla base
del capitale versato, e quindi comandano sempre quelli.
Ma
iniziamo dalla prima affermazione di questo libro:
ovverossia
che non abbia senso parlare, per il mezzo secolo postbellico, di “guerra
fredda”, perché questa è una “distorsione ideologica eurocentrica”: la guerra in realtà è continuata
senza soluzione di continuità dal 1945 in poi, insanguinando parti consistenti
del pianeta.
«Dopo
la fine della guerra non ci fu alcuna pausa che permettesse alle ferite della
lunga epoca di violenza di richiudersi completamente.
Due
colossali spargimenti di sangue nel giro di trent’anni avevano inflitto a tutte
le società tradizionali un danno apparentemente irreparabile. Dal momento in
cui la seconda guerra mondiale ebbe termine, in molte nazioni la guerra civile,
le insurrezioni o il loro spettro subentrarono al conflitto tra l’Asse e gli
Alleati, mentre la tensione nei rapporti tra l’Unione Sovietica e gli altri
membri di quella che era stata poco più di una temporanea alleanza di
convenienza resa necessaria dalle circostanze lasciava il posto a un’ostilità
implacabile.
Dopo
la conflagrazione globale, in numerose regioni del mondo non sopraggiunse la
pace, ma una violenza ininterrotta, una violenza che doveva intensificarsi mano
a mano che si allargava quell’inevitabile processo di trasformazione sociale e
di decolonizzazione che doveva diventare il fatto dominante dell’epoca
postbellica».
Il
valore dell’opera dei due studiosi statunitensi , basata su documenti e memorie
pubblicate disponibili ben prima di” WikiLeaks”, è quella di svelare i piani
dei governanti Usa, elaborati già durante la seconda guerra mondiale, per non
veder di precipitare nuovamente il loro enorme apparato produttivo, giunta
finalmente la pace, nella crisi di sovrapproduzione, deficit commerciale e
disoccupazione che lo aveva gravemente afflitto a partire dalla crisi del 1929,
superata solo parzialmente e tamponata da enormi produzioni belliche negli anni
‘40.
Una
politica che nascondeva, dietro un apparente internazionalismo – come quello
inconcludente di “Woodrow Wilson” alla fine della Prima guerra mondiale, tanto
applaudito in Europa dai democratici quanto snobbato in patria – e principi
come la “porta aperta”, il multilateralismo e la libertà di iniziativa
economica, il tentativo di riformare l’economia mondiale garantendo la massima
possibilità espansiva per i capitali e le produzioni statunitensi, sia agricole
che manifatturiere, vincolando gli aiuti economici (soprattutto i prestiti)
all’acquisto di merce “Made in Usa”.
Tutto
ciò praticando viceversa politiche restrittive, a tutela dei prezzi di vendita
dei produttori americani (molto influenti sui componenti del Congresso). Come
quando, a fronte della carestia mondiale postbellica del 1945-1947, gli USA
invece di fornire le proprie eccedenze all’”UNRRA” – l’ente internazionale per
i soccorsi, che essi fecero chiudere alla fine del 1946… sì, ha proprio una
sigla che ricorda l’”UNRWA” destinato ai profughi palestinesi – praticarono una
politica di riduzione delle colture e di utilizzo dei cereali per
l’alimentazione animale e la produzione di alcool:
«Ci
sono delle persone che dovranno morire di fame… Siamo nella stessa situazione
di una famiglia che si ritrovi con una intera cucciolata: dobbiamo decidere
quali cuccioli annegare»,
disse
il segretario all’agricoltura “Clinton Anderson” al Congresso nel maggio 1946
(p. 233).
Una
politica impersonata da un ceto professionale costituito (allora come oggi)
prevalentemente da imprenditori e rappresentanti di interessi economici,
direttamente impegnati nei posti chiavi delle amministrazioni Truman
(democratica) ed Eisenhower (repubblicana).
Accompagnando
questa politica con iniziative politico-militari che avrebbero accompagnato
l’invasiva presenza statunitense in ogni parte del pianeta.
Ma «La
quasi continua crisi della strategia seguita dall’America dopo la seconda
guerra mondiale, col suo tormentato e inane sforzo di sostituire la potenza
delle macchine al richiamo dell’ideologia rivoluzionaria, doveva alla fine
concludersi nel disastro.» (p. 591).
«Il
dibattito sul disarmo rivelò almeno una cosa, e cioè che gli Stati Uniti erano
divenuti totalmente dipendenti dalle loro armi per proteggere e perseguire i
loro enormi interessi globali.
Ironicamente […] i dirigenti americani si
preparavano per una guerra che non si attendevano di dover mai combattere, solo
per scoprire che la loro forza era insufficiente quando veniva messa alla prova
in circostanze che virtualmente nessun importante dirigente americano aveva
previsto.
Il
fatto è che nel corso di questo secolo nessuna nazione ha mai avuto la capacità
di controllare il destino di qualcosa di più grande di una frazione minima
della superficie del globo, e fu per non avere imparato questa lezione dalle
sconfitte dei loro predecessori che gli Stati Uniti dovevano in definitiva
aprire la via alla loro stessa profonda crisi interna.» (p. 591)
Sembrano
giudizi avventati – ricordiamolo: formulati nel 1970 – se pensiamo all’enorme
potenza statunitense.
Ma
ricordiamoci della tragedia degli afgani appesi agli aerei americani a Kabul
nel 2021, tale e quale a quella dei loro collaboratori vietnamiti nella Saigon
del 1975. Perché, pronosticavano “Joyce e Gabriel” Kolko,
«finché
ci sarà oppressione, ed esisterà lo sfruttamento, ci saranno resistenza,
violenza e conflitto.» (p. 888).
Nè con gli Usa, né con l’Urss.
Una
premessa:
i due autori basavano la loro analisi di
classe su un’idea molto critica del sistema sovietico, e continuamente
avvertono di come gli interessi di stato dell’Urss si sovrapponessero
negativamente a quelli delle classi lavoratrici mondiali, che a partire dalla
resistenza antifascista avevano espresso una grande combattività, trasformata
già durante la lotta clandestina in organismi di governo popolare. Questi
furono le prime vittime dei “liberatori” di ogni colore (ma in particolare
angloamericani, che li ritenevano una semplice espressione delle “manovre
sovietiche”).
Ci
furono almeno due eccezioni, dove i “comunisti nazionali” presero il destino
nelle loro mani e, non uniformandosi alla politica dei “fronti nazionali” con i
partiti borghesi sostenuta da Mosca, procedettero verso la via rivoluzionaria.
Si
trattò della Jugoslavia e della Cina;
i primi grazie alla base di massa conquistata
nel movimento resistenziale, i secondi reagendo alla politica corrotta e
militarista del regime del Kuomintang, appoggiato dagli Usa, e vincendo la
guerra civile nel 1945-1949 e poi quella di Corea nel 1950-1953.
Alla
critica del comunismo sovietico si accompagna quella verso il parlamentarismo
dei Pc ufficiali, sia per il loro moderatismo (Francia e Italia) che per lo
scarso realismo in situazioni di estrema repressione, come in Grecia ed in
Giappone, che porterà alla scissione di quei partiti.
Gli
autori – che scrivono negli anni in cui era forte il comunismo maoista –
ritengono inconcludenti e non rispondenti alle esigenze dei movimenti popolari
le moderate strategie dei Pc “socialdemocratici”.
Il
loro giudizio è inappellabile quando concludono l’analisi del cosiddetto “colpo
di stato” comunista in Cecoslovacchia – in realtà secondo loro l’esito di uno
sgangherato tentativo dei partiti moderati di provocare lo scioglimento del
governo Gottwald, rimasto in carica grazie alla maggioranza dei ministri
comunisti (che avevano “solo” il 45% dei voti) e socialdemocratici – e
sintetizzano così la sovietizzazione dei paesi dell’Europa orientale:
«Alle
pressioni politiche sovietiche e alle divisioni interne, si aggiunsero i molto
concreti problemi sollevati direttamente dalla trasformazione di paesi agricoli
in paesi industriali, dalle crescenti restrizioni commerciali imposte dagli
Stati Uniti, e dalla scarsità di materie prime essenziali, che costringeva gli
europei orientali a basarsi sulle loro sole limitate risorse.
A tutto questo si aggiunse la crescente
ostilità degli Stati Uniti in un momento in cui i loro uomini politici
utilizzavano l’Europa orientale, come utilizzarono la Cina, per guadagnare
terreno politico all’interno.
Gli
attacchi verbali si trasformarono alla fine, nel 1952, in richieste di
“liberazione” e di “spingere indietro” il comunismo [“rollback”] che in realtà
non erano niente altro che ciniche fantasie ma che contribuirono anche a creare
tensioni irrazionali in entrambe le zone.
«Questo
diede inoltre ad elementi conservatori dell’Europa orientale la speranza di
poter ottenere, se essi avessero resistito, l’aiuto americano, nonostante nei
fatti non ci sia mai stata alcuna possibilità di un aiuto del genere.
Alla
fine, l’ipocrisia avvolse le giustificazioni di entrambi i sistemi, ognuno dei
quali cercò di giustificare i propri abusi parlando dei crimini dell’altro.» (pp. 495-496).
Il
frutto di questa politica furono le rivolte operaie, a partire da quella di
Berlino del 1953, e la loro repressione da parte sovietica.
Alla conquista del mondo.
«Non
sono molti in questo paese coloro i quali accettano la tesi comunista che la
politica americana abbia come obbiettivo deliberato e cosciente quello di
rovinare la Gran Bretagna […].
E se
ogni volta che viene concesso un aiuto vengono poste delle condizioni che
impediscono alla Gran Bretagna di sottrarsi alla necessità di tornare a
chiedere altri aiuti, ottenuti al prezzo di ulteriori umiliazioni e su basi
ancora più dure, allora il risultato sarà certamente quello predetto dai
comunisti…»
Il
progetto statunitense prevedeva la ristrutturazione dell’economia mondiale, con
un’impostazione rigorosamente capitalistica, ed una finalità imperialistica
precisa.
Se gli
USA non volevano ricadere in una crisi economica devastante, bisognava
finanziare l’esportazione dei loro prodotti nel mondo, creando un nuovo tipo di
commercio atlantico triangolare – come quello degli schiavi del XVI-XIX secolo,
che costruì la ricchezza europea e nordamericana – attraverso l’acquisizione a
basso costo di materie prime nel Terzo Mondo coloniale, pagate in dollari che
avrebbero poi finanziato le importazioni dei prodotti Usa nelle metropoli
coloniali europee, attraverso acquisti vincolati da finanziamenti come il Piano
Marshall.
Un
meccanismo pervasivo, che trovava però il suo limite nello scarso impegno del
capitalismo privato statunitense, e dovette essere sostenuto soprattutto dal
bilancio pubblico.
In
cambio, al fine della ristrutturazione dell’economia mondiale, tutti i paesi
coinvolti dovevano darsi politiche rigorosamente monetariste e
deflazionistiche, tagliare la spesa pubblica, diminuire la loro base
occupazionale e destinare i surplus di manodopera all’emigrazione.
In
sintesi: keynesiani a casa loro, liberisti altrove.
Si
tratta di un ragionamento controintuitivo, ma la realtà è che la politica
americana aveva inizialmente ben altri obiettivi primari che l’Unione
Sovietica, e puntava non tanto alla contrapposizione solo con il comunismo, ma
con qualsiasi forma di socialismo o nazionalismo (come quello francese, in
particolare gollista), in primo luogo i laburisti inglesi andati al governo nel
1945.
A
questo proposito, il nemico non era solo il “Piano Beveridge” con la creazione
del sistema sanitario nazionale e di un esteso “Welfare State”, ma qualsiasi
forma di nazionalizzazione delle imprese e di nazionalismo economico, obiettivi
questi che erano perseguiti anche da settori cristiano-sociali, come nel caso
dell’”ENI di Enrico Mattei” e dei suoi ispiratori “Alberto Basevi” e “Pasquale
Saraceno”.
Impegnati
a sostituire il vecchio impero britannico, esauritosi nella Seconda guerra
mondiale, gli Usa avevano bisogno di un mercato comune europeo omogeneo,
eliminando i rapporti bilaterali, in cui ogni paese poteva porre barriere
protettive a tutela delle proprie economie (barriere che invece, a casa loro,
gli statunitensi elevavano, soprattutto a difesa delle loro esportazioni
agricole).
Un
progetto, questo, che si scontrò con ostacoli che gli Usa non riuscirono a
dominare (la tendenza dei propri capitalisti ad incassare a breve, senza
investire a lungo termine), oppure che manco concepirono, come il dispiegarsi
di un movimento operaio e di una sinistra, vivaci e tutt’altro che subordinati
alle manovre sovietiche.
Così
come era una forzatura interpretare come “complotti comunisti” i movimenti di
liberazione – talvolta di sinistra, talaltra nazionalisti – dei paesi del Terzo
Mondo, che furono il vero fatto nuovo del dopoguerra.
Infine, gli Usa commisero un errore
spettacolare:
concentrando
la loro attività soprattutto sull’Europa e su un supposto pericolo di invasione
sovietica, non
si accorsero che ormai il centro delle vicende internazionali si stava
spostando nell’Asia orientale, dove la loro strategia era destinata a fallire,
con le sconfitte successive in Cina, Corea e Vietnam.
Furono
questi i limiti della politica americana, cui i governi Truman e Eisenhower
replicarono con la via d’uscita del “warfare”, quella guerra permanente in
appoggio alla conservazione internazionale che è stata il vero “filo nero”
della politica statunitense di questi ottant’anni.
Il che
portò gli USA ad appoggiare governi corrotti e reazionari contro i movimenti
popolari, come in Grecia ed in Corea;
oppure
a neutralizzare le epurazioni e riutilizzare gli esponenti dei regimi fascisti
nella ricostruzione, in primo luogo in Italia, Germania e Giappone;
oppure
ancora a scatenare attività golpiste contro ogni governo progressista anche
moderato (come quello di Arbenz in Guatemale nel 1954).
Una scelta valida per mobilitare la propria
opinione pubblica e superare le dure resistenze di un Congresso USA ostile ad
ogni politica “internazionalistica” e dominato – allora come oggi – dagli
interessi egoistici delle lobbies locali .
Viceversa,
l’URSS nel biennio postbellico aveva realizzato una politica pragmatica, basata
sulle due esigenze strategiche di trarre le maggiori risorse in termini di
danni di guerra da parte dei paesi ex nemici (Romania, Bulgaria, Ungheria e
Germania) e di vincoli di sicurezza, viste le due invasioni già subite dai
tedeschi nel corso del secolo.
Un
tipo di timore condiviso anche ad ovest, soprattutto in Francia.
La
costruzione della “cortina di ferro”, che spaccò l’Europa per quarant’anni,
viene quindi attribuita dai due autori non tanto alla politica sovietica, volta
ad una rapida ricostruzione ed industrializzazione dei paesi dell’Europa
orientale – mantenendo regimi di coalizione fino a che non si spaccò l’alleanza
tra le potenze antifasciste – quanto alla scelta americana di isolare l’Europa
orientale, che non si piegava alla loro politica, e costruire un sistema
centralizzato che coordinasse le economiche occidentali.
L’Europa
prevista dai piani statunitensi non era quindi l’Europa autonoma e socialista
del “Manifesto di Ventotene”, ma un interlocutore subalterno del nuovo impero
americano.
Dove andava ostacolata ogni forma di
socialismo: la Spd tedesca terzaforzista, il Labour britannico, l’unificazione
socialcomunista della Sed nella zona di occupazione sovietica della Germania
che, grazie alla prevalenza della componente socialdemocratica, avrebbe
garantito, insieme con la maggioranza dei Länder occidentali in mano alla Spd,
un governo di sinistra al paese riunificato.
In
effetti per mezzo secolo l’URSS proporrà una riunificazione e neutralizzazione
della Germania, ostacolata dalla volontà statunitense di usarne la parte
occidentale come laboratorio delle sue politiche economiche.
Inutilmente:
le peggiori minacce per i governi Usa erano sempre le proposte di pace
sovietiche (e cinesi in Asia).
Il fallimento del Piano Marhall.
Se
l’opinione comune e la stessa storiografia l’hanno interpretato come un
generoso intervento statunitense per riattivare l’economia europea, migliorare
le condizioni di vita della popolazione stremata dal conflitto e combattere il
pericolo comunista, gli autori ricordano come, fin dalla Prima guerra mondiale,
gli aiuti Usa fossero concepiti essenzialmente come volti a remunerare i
produttori statunitensi per i prodotti forniti e rimborsare il capitale
prestato.
Il
piano statunitense, in realtà, sviluppò dal 1948 al 1952 una politica di
prestiti condizionati, che permise agli USA di entrare nelle politiche
economiche e fiscali dei singoli paesi (Germania occidentale, Italia, Belgio e
Francia innanzitutto), limitando la spesa sociale, comprimendo i salari operai
e favorendo l’incremento degli utili delle borghesie, aumentando le
diseguaglianze sociali attraverso una politica monetarista e deflazionistica.
Nel caso italiano, con l’aggiunta del
consiglio USA di procedere a far sfogare la crescente disoccupazione tramite
emigrazione, favorendo l’adozione di un mercato libero della manodopera a
livello europeo occidentale.
Queste
politiche accompagnarono la coesione delle borghesie nazionali, favorirono lo
spostamento a destra in politica e permisero il recupero dei quadri e
personalità che si erano compromessi con i regimi fascisti e nazisti, mentre
dure politiche repressive venivano esercitate contro le proteste popolari e gli
ex partigiani.
Gli
aiuti furono subordinati alle esigenze manifatturiere ed agricole americane,
tanto da modificare significativamente le richieste dei paesi europei, e
condizionarli sia attraverso modalità e sistemi di trasporto (imponendo i più
costosi noli marittimi statunitensi), che quanto a forniture di attrezzature e
perfino di prodotti alimentari.
Quello che contava erano innanzitutto gli
interessi del capitalismo statunitense, e solo in secondo luogo i bisogni dei
“beneficiati”.
Come
dimostrò il caso del petrolio, in tal modo gli USA limitarono la capacità di
approvvigionamento autonomo dell’Europa, bloccarono o controllarono la ridotta
costruzione di raffinerie nel vecchio continente e lucrarono sull’aumento
artificioso dei prezzi del prodotto americano fornito.
Tutto
ciò ricorda incredibilmente la “guerra del gas” con cui la Nato ha rapidamente
riconvertito l’approvvigionamento energetico europeo dopo (o prima del?) lo
scoppio della guerra in Ucraina.
I cui episodi salienti potrebbero essere
fissati non nel 2022, e nemmeno nel 2014, ma nel blocco dell’avvio del gasdotto
North Stream II e poi nella distruzione del North Stream I.
Altro che “piano Mattei”:
l’imprenditore
democristiano di sinistra fece esattamente il contrario, aprendo ai paesi
liberati del Terzo Mondo e trattando con l’URSS per ribassare i prezzi e
combattere i monopoli angloamericani petroliferi (le “Sette sorelle”).
Come
scrisse nel 1951 “Paul Gray Hoffman”, il capitalista posto da Truman a capo
dell’”Eca 10” :
«[…]
gli altri paesi non potevano permettersi di continuare a comprare da noi a meno
che noi non dessimo loro il denaro.
Ed è
stato esattamente questo, naturalmente, che noi abbiamo fatto con una dozzina
di piani per prestiti e stanziamenti, a partire dalla prima guerra mondiale
fino alla nostra “Eca “di oggigiorno.
Negli
ultimi 35 anni l’aiuto americano all’Europa occidentale ha raggiunto un valore
di 22 miliardi di dollari, escluse le spese dirette di guerra.
Questo
era… un modo per sovvenzionare le nostre esportazioni, perché praticamente
tutto il denaro americano che andava all’estero… ritornava sempre per
acquistare prodotti americani.» (p. 554).
La
filosofia dell’amministrazione Truman era stata cinicamente riassunta nel 1949
dal banchiere “Joseph M. Dodge”, incaricato dagli Usa di supervisionare le
(contro)riforme economiche in Germania occidentale ed in Giappone:
«[…]
un aumento della disoccupazione porterà ad un aumento dell’efficienza del
lavoro e ad una maggiore produzione […] Una politica deflazionistica mira a
portare la domanda generale […] a un livello un po’ inferiore all’insieme
dell’offerta […] Non c’è da avere paura della disoccupazione di massa […] qual
è il costo complessivo dei servizi sanitari, del benessere sociale e
dell’istruzione? […] Preparare il paese a lottare duramente per i mercati
d’esportazione […] I radicali […] non ce la faranno mai in una società libera
[…] Le azioni necessarie per rimettere le cose in sesto sono sempre spiacevoli
[…]» (p.
647)
La
politica “internazionalistica” dell’amministrazione Truman trovava però un
ostacolo sul piano interno, cioè nell’interesse egoistico dei gruppi
industriali o dei produttori agricoli di ottenere guadagni a breve termine,
grazie a provvedimenti protezionistici.
I loro
rappresentanti parlamentari furono quindi oggetto della campagna di Truman del
1950 per rifinanziare l’”ERP” (il Piano Marshall) con la scusa del riarmo. Non sembra stranamente lo scontro tra
l’ “internazionalismo” di Joe Biden e l’isolazionismo trumpiano?
A
questo proposito, giova notare che, secondo gli autori, la differenza tra la
“caccia alle streghe” maccarthista e l’anticomunismo di Truman era che, invece
di spendere per l’espansione internazionale, si risparmiava perseguitando il
nemico in casa;
in concreto, comunque, la prevalenza della
tendenza democratica si dimostrò molto più pericolosa per i suoi effetti
bellici.
Ed il
coordinamento tra NATO ed “OECE” proclamato nel 1950, non ricorda quello
attuale tra NATO ed UE, accompagnato da quel sistema oligarchico di governo del
Pianeta (USA-UE-Canada-Giappone, cioè il G7) che ha sostituito dalla fine del
20° secolo il governo tendenzialmente democratico dell’ONU?
Finché c’è guerra c’è speranza.
«L’amministrazione
Eisenhower […] non accantonò mai un giudizio ideologico e ingannevole sulla
natura della crisi mondiale, che concepiva la storia come una cospirazione di
ciniche e quasi magiche élites di agitatori che alimentavano le fiamme del
malcontento, del nazionalismo e del laicismo, ignorando completamente le radici
strutturali della crisi mondiale postbellica. […]
Essenzialmente,
si trattava di una interpretazione utilitaristica, nella quale uomini come
[John Foster] Dulles credevano davvero, ma non al punto da permettere che essa
impedisse una chiara percezione dei fatti e dell’esigenza di mantenere un senso
di pericolo anche quando essi sapevano che non ne esisteva alcuni. […]
Questa
concezione, di conseguenza, richiedeva anche che venissero cinicamente
attribuiti alla Russia piani aggressivi che superavano addirittura qualsiasi
possibilità di spiegare i fatti in base a deduzioni di carattere ideologico.
Nei
primi anni dell’amministrazione Eisenhower, “Dulles” esagerò grandemente il
pericolo di guerra, che in realtà, in privato, egli ammetteva fosse molto meno
probabile.
Coltivare
la paura e i timori divenne così, deliberatamente, un’arma da usare a fini
organizzativi.» (p. 875).
Ma
l’anticomunismo aveva anche un altro valore, innanzitutto rispetto ad
un’opinione pubblica statunitense stanca e disinteressata nel dopoguerra alla
politica estera, ed al Congresso eletto nel 1947, dominato dai repubblicani.
Un quadro complessivamente isolazionista,
riunificabile solo grazie ad una passione forte, che coinvolgesse almeno una
parte dei repubblicani (quelli della costa orientale, più legati al capitale
finanziario e non condizionati dagli agricoltori del Midwest) nella politica
internazionale interventista dell’amministrazione Truman, che permetteva nuove
ampie spese sul piano economico-militare, anche se
«non
c’era alcuna minaccia di una imminente presa del potere da parte dei comunisti
in qualche nazione ritenuta essenziale agli interessi statunitensi, non c’era
alcun minaccioso sviluppo militare da parte della Russia, né una improvvisa
alterazione del rapporto di forze in una regione di importanza vitale.
Fondamentalmente,
l’obiettivo degli Stati Uniti era quello di trovare gli strumenti più
appropriati per realizzare i loro obbiettivi permanenti nel mondo» (p. 415).
Oltre
alla «preoccupazione egualmente grave di Washington per un’altra sfida alla
prosperità americana: quella di un capitalismo europeo occidentale autonomo» (p. 417).
Mentre
l’Urss non desiderava principalmente altro che perseguire la propria
ricostruzione, dopo le tragiche distruzioni della guerra hitleriana, ed il
quasi raggiungimento dei propositi sterministici nazisti (i quasi 27 milioni di
morti sovietici fanno impallidire la stessa Shoah ebraica).
A
questo proposito, la scelta americana di tagliare “generosamente” i danni di
guerra dei paesi aggressori – in primis Germania, Giappone e Italia – verso
l’Unione Sovietica, unita al blocco dei prestiti ed al tentativo di espandere a
favore della propria economia i rapporti con i paesi dell’Europa orientale,
costituirono una vera e propria aggressione, che portò alla guerra “fredda”,
mascherata da motivazioni ideologiche.
Anche
qui il paragone è facile, “mutatis mutandis”:
al
posto di una dittatura comunista socializzatrice a partito unico, una
simil-dittatura di destra espressione dei “nuovi ricchi”, un capitalismo
nazionale alimentato dalla spartizione del patrimonio pubblico ex sovietico,
serve alla propaganda di guerra odierna, che ci propina ogni giorno, a reti
“informative” unificate, la farsa di una volontà di conquista del mondo, quando
la massimo si tratta della “solita”, ma ben diversamente gestibile, politica di
potenza.
Tutto
ciò, perché la Germania occidentale, dopo l’unificazione tra le zone di
occupazione americana e britannica, doveva diventare – unica area europea la
cui economia era direttamente gestita dagli occupanti statunitensi – l’area di
sperimentazione delle politiche Usa in Europa occidentale – grazie alla
creazione di quella che diventerà per vari passaggi intermedi la” Cee-Ue”.
Similmente,
sul Pacifico, accadeva per il Giappone.
A tal
proposito gli Stati Uniti (come stavano facendo in Corea, con la creazione
dello stato separato del Sud) preferirono spezzare in due la Germania, per
bloccare la strada ad una direzione di sinistra, a guida socialdemocratica, di
uno stato unito e tendenzialmente terzaforzista, e magari perfino alleato
dell’URSS (ricordano qualcosa i gasdotti russo-tedeschi North Stream 1 e 2 e la
funzione di amministratore di Gazprom dell’ex cancelliere socialdemocratico
Gerhard Schröder…?).
La
necessità di superare la contraddizione tra “internazionalismo” democratico e
necessità di ampliare la spesa pubblica statunitense per finanziare i propri
progetti – da un lato – e chiusura egoistica dell’ala repubblicana espressione
degli interessi locali, soprattutto degli agricoltori, ebbe come unica
possibilità la mobilitazione dell’opinione pubblica attraverso l’anticomunismo
e la militarizzazione.
Lo sbocco fu non in Europa (obiettivo per il
quale si attuava la mobilitazione) ma nell’Estremo oriente, con la guerra di
Corea.
È
interessante lo spazio attribuito nel libro all’Asia.
Non
solo il Medio oriente mediterraneo, dove – in Grecia ed in Iran, innanzitutto –
gli Usa prendono il posto del declinante imperialismo britannico, che lascia
loro spazio nello sfruttamento delle risorse petrolifere;
ma in
particolare la costa pacifica (Cina, Corea e Giappone).
Ove
risulta evidente come i “liberatori” si comportassero da nuovi colonizzatori,
alleati dei loro predecessori – i giapponesi – o dei collaborazionisti o
reazionari di turno.
La
guerra di Corea risolse vari problemi su cui la diplomazia Usa ed i suoi
corrispondenti europei – come il “Piano Schuman” che portò alla creazione della
“CECA” (Commissione Europea per il Carbone e l’Acciaio), ufficialmente
“europeista” ma in realtà suggerito dall’”ECA” – avevano lavorato, eliminando
le giacenze sia nel settore siderurgico che in quello petrolifero, dove si
erano create anche tensioni tra le multinazionali USA e quelle anglo-olandesi,
rischiando di spaccare il fronte delle “Sette sorelle”.
«[…]
questi erano stati anche gli anni che avevano sottolineato come la pace fosse
pericolosa per il capitalismo mondiale, oltre al fatto che mezzi strettamente
economici, nel quadro di alternative capitalistiche, non erano sufficienti ad
impedire che la grande capacità produttiva degli Stati Uniti e dell’Europa
occidentale affondasse nella stagnazione, se non nella depressione.» (p. 587)
Una serie di domande suscitate dalla
comparazione storica.
La
comparazione è sempre esercizio da utilizzare con cautela.
Ma mai
come in questo caso viene naturale porci una serie di domande, a proposito di
una permanenza di meccanismi che ispirano le iniziative del pur declinante
impero statunitense e delle contraddizioni che esso continua a provocare o a
non riuscire a risolvere.
È
impressionante assistere a fenomeni che sembrano quelli odierni.
Ad
esempio una corrotta classe dirigente greca che galleggia con la sua ricchezza
speculativa, basata sul prelievo dei crediti finanziari delle grandi potenze,
mentre riduce all’estrema povertà la popolazione;
oppure
il vassallaggio imposto ai paesi dell’Europa orientale in cambio del controllo
delle loro economie da parte tedesca e statunitense.
È il
1946 oppure stiamo osservando le vicende di questo inizio del Ventunesimo
secolo?
E che
dire dell’ambasciatore americano che dichiarava che
«Se i
russi avessero allargato la loro influenza sull’Iran, […] ciò avrebbe posto
termine a qualsiasi possibilità di avere concessioni petrolifere americane
nell’Iran, e creato una minaccia potenziale alle nostre immensamente ricche
concessioni dell’Arabia Saudita, Bahrein e Kuwait» (pp. 294-295).
È una
dichiarazione del 1945, ma potrebbe essere stata pronunciata nel 1979, ai tempi
della rivoluzione contro lo Scià, oppure anche oggi.
E che
dire del capo di stato maggiore statunitense “George Marshall “che, prima di
diventare il segretario di stato di Truman e dare il suo nome al piano per
“aiutare” l’Europa, cercava senza esito nel 1946 di far dialogare i comunisti
cinesi con il Kuomintang, mentre forniva aiuti militari in truppe, logistica ed
armamenti a questi ultimi?
Non
sembra esattamente la politica dei democratici statunitensi di Joe Biden, che
ruggiscono sui media verso il governo israeliano, mentre lo armano e sostengono
economicamente?
Continuando
con le comparazioni, che dire, oltre che dei non credibili politici democratici
Usa (cui si contrappongono politici repubblicani non meno cinici e
guerrafondai), della similitudine tra spregiudicata crudeltà militarista e corruzione
sul piano interno di un Chiang Kai-schek e di un Benjamin Netanyahu?
Sembra
proprio di poter costruire visivamente delle tipologie antropologiche di
ricorrenti figure politiche universali, finti esponenti di borghesie
“compradore” che, lasciate a sé stesse dalle potenze imperiali, non potrebbero
resistere a lungo.
Ciò
vale anche per i “padroni del mondo”, insoddisfatti per il carattere e le mosse
indifendibili dei loro turbolenti (in)fedeli vassalli, alla continua ricerca di
un “centro” o di una “destra pulita” – non è solo un fenomeno italiano! –
neanche la realtà non rendesse evidente che mafie, corruzioni, fascismi,
truculenze, non sono “deviazioni” dal retto corso della Storia, ma ne sono
protagonismi irrinunciabili: o li batti, o prevalgono loro, con il loro lascito
di sangue.
Aggiungiamo
un accenno alle politiche di una sinistra realista e di fatto riformista, una
volta preso atto della moderazione del primo dopoguerra, cui abbiamo accennato.
Come
possiamo ad esempio giudicare la parabola di un movimento più simile alla
“nuova sinistra” come “Siryza” in Grecia che, partito su posizioni di rottura
con il sistema neoliberale, ha finito per ripercorrere le tracce note della
gestione dell’austerità, senza poter agire sul piano strutturale, per mancanza
di riferimenti ed aiuti internazionali (di chi? Del governo tedesco impegnato a
tutelare i propri investimenti? Di governanti europei e nazionali fanaticamente
liberisti e tutori del Capitale, come i Draghi e i Renzi?);
limitandosi
infine a cercare di ridurre le ineguaglianze più estreme nel contesto di una
politica di sacrifici, facendo il “lavoro sporco” per quella borghesia
importatrice e speculativa, che poi si è riappropriata anche del potere
politico che aveva abbandonato nel culmine della crisi?
Le
comparazioni odierne sono facili, basta sostituire la nota “isteria
anticomunista” che ha guidato il “secolo americano”, con l’attuale “i.
russofobica” oppure “sinofobia”, oppure “islamofobia”.
I
termini si sovrappongono facilmente – es. degli anni ‘10 e ‘20 del secolo
scorso: l’americanissima “red scare”, accompagnata da estesa xenofobia e dalla
chiusura delle frontiere all’immigrazione – e permettono, attraverso la paura
di fantasmi creati ad arte, di mantenere l’umanità sul ciglio del precipizio,
oltre il quale si profila l’olocausto atomico.
Ancora
oggi, evidentemente, sono valide sia la “dottrina Truman” ed il “containment”
di “George Kennan”, che quel “rollback” che gli Stati Uniti hanno sperimentato
inutilmente contro vari paesi, da ultimo Afganistan ed Iraq.
Con
quali costi umani, si cerca di nasconderlo.
E che
dire infine, quanto alle similitudini che ci suggeriscono, della guerra di
Corea del 1950-1953, con da un lato il generale” Mac Arthur”, novello “Kur”z, a
voler scatenare per le sue ambizioni presidenziali la guerra globale, anche
atomica, per la riconquista della Cina in alleanza con i corrotti dittatori
destrorsi (il sudcoreano “Syngman Rhee” e quello cinese “Chiang Kai-schek”,
rifugiatosi a Formosa/Taiwan dopo averne massacrata la popolazione aborigena)
e, dall’altro, l’amministrazione Truman che invece giocava la Corea
prevalentemente come un pretesto per il riarmo in Europa?
Che
poi, dopo un semestre di veloci offensive, si trascinarono per due lunghi anni
e mezzo in una “guerra d’attrito” sul confine armistiziale del 1945 (quello
odierno, d’altronde), a dispetto dei tentativi di dialogo diplomatico da parte
cinese, indiana e sovietica.
Trattative
che avrebbero solo neutralizzato il grande mercato del riarmo.
Ricorda
qualcuno oggi, forse?
Sicuramente
i milioni di morti costati ad ogni tappa della storia, quella qui raccontata e
quella di tutti i giorni, non sembra interessino poi molto a nessuno.
Guerra
Russia-Ucraina: Kiev, «presi
1.000
chilometri nel Kursk».
L’ira
di Putin.
Ilsole24ore.com – (12 agosto 2024) – Redazione – ci
dice:
L’Ucraina
riceverà “una degna risposta” per la sua invasione del territorio russo.
Vladimir Putin lascia trasparire tutta la sua ira in una nuova riunione di
responsabili delle forze armate e della sicurezza al settimo giorno della
battaglia di Kursk. Primo obiettivo nel conflitto è ora quello di “espellere”
le forze di Kiev dal territorio russo, aggiunge il presidente.
Ma la
situazione resta “complicata”, avverte il governatore, “Alexei Smirnov”,
ammettendo che il nemico ha preso il controllo di 28 località.
Mentre
il comandante delle forze armate ucraine, “Oleksandr Syrsky”, afferma che il
territorio conquistato è pari a mille chilometri quadrati.
“Continuiamo
a condurre operazioni offensive nella regione di Kursk”, ha annunciato “Syrsky”
in un video postato sui canali social del presidente “Volodymyr Zelensky”, che
per la prima volta ha riconosciuto pubblicamente l’offensiva in corso.
E
secondo Smirnov sono già 121.000 i civili evacuati dalle aree di combattimento.
Sull’altro versante della frontiera, nella regione ucraina di Sumy, gli
sfollati sono circa 20.000.
Ma la
Russia ha deciso l’evacuazione della popolazione di un distretto in un’altra
regione di confine, quella di “Belgorod”, dove ci sono “attività nemiche”, ha
detto il governatore “Vyacheslav Gladkov”.
Il
canale Telegram russo “Rybar,” considerato vicino alle forze armate, ha
riferito di un tentativo di infiltrazione a Belgorod di alcune decine di
sabotatori, che sono stati respinti al valico di “Kolotilovka”.
Ma
probabilmente gli ucraini si preparano ad “un altro, più serio attacco”.
Putin
ha aggiunto che la Russia teme azioni ucraine anche in un’altra regione di
frontiera, quella di” Bryansk”.
(Il
presidente del Consiglio della “Federal Reserve” statunitense “Jerome Powell”
risponde a una domanda dei media dopo che la Fed ha tagliato il suo tasso di
interesse di riferimento di mezzo punto dopo la sua conferenza di due giorni
presso la Federal Reserve a Washington, DC, USA.) (EPA/Shawn Thew)
Il
ministero della Difesa di Mosca ha detto che continua a fare affluire truppe e
armamenti verso” Kursk,” e ha parlato di pesanti perdite tra gli ucraini - 260
militari - nelle ultime 24 ore.
Ma il
quadro tracciato dal governatore “Smirno”v è decisamente preoccupante. Le forze
di Kiev sono avanzate fino a una profondità di 12 chilometri su un fronte largo
40, ha detto.
E il
problema principale, ha aggiunto, è che “non c’è una chiara linea del fronte,
non si capisce dove siano le unità ucraine”, che sembrano muoversi a piccoli
gruppi con manovre tattiche che spiazzano quelle russe.
“Smirnov”
ha anche accusato gli ucraini di avere usato armi chimiche in un bombardamento
di artiglieria sul distretto di “Belovo”, dove alcuni “agenti di polizia e il
capo di una comunità rurale sono rimasti intossicati”.
Secondo
il governatore, i civili rimasti uccisi nei bombardamenti ucraini sono finora
12 e i feriti 121, di cui 10 bambini.
Putin
ha spiegato l’offensiva in territorio russo con lo scopo da parte di Kiev di
migliorare la sua posizione in vista di futuri negoziati.
Tutto
ciò “con l’aiuto dell’Occidente”.
Gli Usa e i suoi alleati, ha dichiarato,
“fanno la guerra alla Russia per mano ucraina”.
Il
presidente vede nell’iniziativa bellica anche un tentativo di distogliere
truppe russe dal teatro del Donbass, dove da mesi sono all’offensiva, e di
“seminare discordia” e “distruggere la coesione” della società russa.
Obiettivi
più o meno confermati a Kiev da un alto responsabile ucraino che ha parlato con
l’agenzia “Afp “mantenendo l’anonimato.
Scopi che non saranno raggiunti, ha assicurato
il presidente russo: le forze di Mosca “stanno avanzando lungo tutta la linea
del fronte” in territorio ucraino, ha affermato.
Mentre
il ministero della Difesa russo ha detto che è stato “accelerato il ritmo”
dell’offensiva nella regione di Donetsk, con la conquista di tre villaggi
nell’ultima settimana.
Quanto
ai negoziati, nella situazione attuale sono da escludere.
“Di
cosa possiamo parlare con gente che colpisce indiscriminatamente i civili e
cerca di minacciare gli impianti nucleari?”, ha detto Putin, con un riferimento
all’ultimo incidente che ha visto coinvolta la centrale di” Zaporizhzhia”.
Zelensky ha accusato gli “occupanti russi” di
avere appiccato un incendio avvenuto domenica alle torri di raffreddamento
della centrale, in territorio controllato dalle truppe di Mosca.
Ma la
Russia ha accusato gli stessi ucraini di avere bombardato il sito e la
portavoce del ministero degli Esteri, “Maria Zakharova”, ha giudicato Kiev
colpevole di “terrorismo nucleare”.
Secondo
l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e le autorità russe
locali, non vi è stato comunque alcun rischio di esplosione, perché i sei
reattori dell’impianto sono in fase di spegnimento a freddo.
Fuga dalla morte
tra
bombe e disperazione.
Osservatorioromano.va – (18 settembre 2024) – Federico
Piana – ci dice:
Tutti
stanno fuggendo dal Sudan.
Fuggono
gli uomini, inorriditi da una guerra tra esercito e milizie che porta solo
devastazione e morte.
Fuggono
le donne, impazzite per l’urgenza di portare in salvo i propri bambini. Fuggono
i musulmani, maggioranza religiosa stanca di vedere assaltate le proprie case,
i propri negozi, sgozzati o fucilati a sangue freddo i propri cari.
Fuggono
anche i cattolici che prima dello scoppio del conflitto erano una piccolissima
minoranza di un milione ma oggi si sono ridotti a malapena alla metà. Cercano
di scappare dove possono, in Sud Sudan, in Ciad, in Egitto.
Vogliono
dimenticare orrori come quello denunciato a «L’Osservatore Romano» da un
religioso che preferisce mantenere l’anonimato, per non mettere a repentaglio
la propria sicurezza e quella dei suoi fratelli nella fede:
«Nella
città di” Sennar”, qualche giorno fa, un mercato è stato raso al suolo dalle
bombe.
Le
vittime sono state una quarantina, persone povere la cui unica colpa è stata
quella di cercare cibo per tentare di sopravvivere».
Una
notizia rimasta impantanata nei bassifondi dell’informazione internazionale che
ha ignorato anche altre decine di tragedie quotidiane come quella dello scorso
metà agosto avvenuta ad “El Obeid”, capitale dello stato del “Kordofan”
settentrionale del Paese africano.
Il
religioso si emoziona quando cerca di ricordarla, la sua voce quasi si incrina:
«Decine di bambini sono morti sotto le macerie di una scuola tirata giù con i
missili.
Un
attacco assurdo e deliberato del quale nessuno si è preso pena».
Nessuno
ha interesse per una guerra, combattuta ormai da più di un anno unicamente per
la conquista del potere, che contrappone l’esercito e i miliziani.
E che vive una situazione di drammatico
stallo:
“Khartoum”,
la capitale, devastata da continui bombardamenti;
i
villaggi del “Darfur”, provincia ad occidente della nazione, completamente dati
alle fiamme e depredati, una volta dall’esercito e la volta successiva dalle
milizie; le città di “El Obeid”, “Sennar “e “Kaduqli” rese fantasma da attacchi
a colpi di mitra e cannone.
Non si
vince e non si perde, si continua solo a morire.
Quando
inizia a descrivere la situazione della Chiesa locale in questo inferno di
cadaveri e disperazione, il religioso ha come un sussulto:
«Religiosi
stranieri, preti diocesani, laici: quasi tutti sono fuggiti.
Non
c’è quasi più nessuno.
Nell’arcidiocesi
di “Khartoum”, ad esempio, sono rimasti solo tre sacerdoti che mantengono viva
la vita sacramentale come meglio possono.
Solo nella città di” Port Sudan”, a nord-est
dell’arcidiocesi, c’è una corposa presenza di religiosi comboniani, di suore di
Madre Teresa e di un’altra congregazione di suore indiane».
Non va
meglio nella diocesi di “El Obeid” dove il vescovo può contare solo su tre
sacerdoti.
«Molti di loro, forse la maggioranza, sono
fuggiti sui monti “Nuba”, dove la guerra ancora non è arrivata, ed in Sud
Sudan», sostiene il sacerdote.
Con le stesse proporzioni di preti e suore,
anche i laici hanno abbandonato il Paese.
O
stanno pensando di farlo.
A
quelli che rimangono, la Chiesa locale cerca di garantire la celebrazione dei
sacramenti anche a costo di doverli raggiungere nelle zone più sperdute ed
impervie.
Il
religioso è felice di far sapere che, nonostante tutto, «le piccole comunità
cattoliche che hanno trovato riparo in villaggi lontani possono contare sulla
presenza dei catechisti, ai quali è affidata la liturgia della Parola, e alcune
volte di quei pochi sacerdoti rimasti che si recano da loro con difficoltà ed
abnegazione».
L’impegno
prioritario per la Chiesa locale è diventato anche quello di assistere e
sostenere la popolazione.
Cibo,
acqua, medicine, coperte, costano sempre di più e farle giungere a destinazione
è un’impresa complicata.
Eppure,
il sacerdote conferma che già da tempo «si stanno raccogliendo donazioni ed
offerte con le quali stiamo aiutando la gente in modo diretto. Quando è
possibile, riusciamo anche a far spostare da una zona all’altra chi ha bisogno
di andare in ospedale.
Aiutiamo la gente caso per caso: non solo
cristiani ma chiunque abbia necessità e bussa alla nostra porta».
Alla domanda se la Chiesa potrebbe diventare
parte attiva nei processi di pacificazione delle fazioni in lotta, il religioso
non esita a rispondere partendo da un dato di fatto:
«Non ne abbiamo la forza. Non abbiamo canali
diplomatici diretti con i quali poter interagire politicamente ed
istituzionalmente.
Quello
che la Chiesa può fare è richiamare l’attenzione dei media su ciò che stiamo
vivendo».
Attenzione
che però sembra non esserci, sul Sudan è calato l’oblio.
«È
vero. Ma la Chiesa continua a parlare.
Anche
se ci sentiamo abbandonati totalmente dalla comunità internazionale. Certo, c’è
la guerra in Ucraina ed in Terra Santa ma qui ci sono dieci milioni di
sfollati, decine di migliaia di morti mentre un milione di persone rischia di
morire di fame.
Che cosa deve capitare ancora a questo povero
Paese affinché si ascolti il suo grido disperato?».
(Federico
Piana).
L'anno
dei padroni del mondo.
Wired.it
– (18 gennaio 2924) – Federico Ferrazza - L’editoriale -Redazione – ci dice:
Tra
elezioni e crisi internazionali, le persone a capo delle Big Tech avranno
sempre più potere nel 2024.
Il
2024 sarà un anno elettorale su scala globale.
A
marzo ci saranno le elezioni presidenziali in Russia.
A
maggio sarà il turno dell’India che dovrà scegliere se confermare il primo
ministro conservatore Narendra Modi.
A
giugno noi europei saremo chiamati a eleggere il nuovo parlamento continentale.
E a
novembre gli Stati Uniti decideranno se far restare Joe Biden alla Casa Bianca
per altri quattro anni.
Se consideriamo solo queste poche elezioni,
quasi due miliardi e mezzo di persone (sugli otto miliardi di individui che
siamo oggi sulla Terra) vedranno cambiare o confermare i loro governanti.
Ma il
2024 potrebbe essere ancora più movimentato.
Al
voto andranno infatti tanti altri piccoli stati importanti per gli equilibri
mondiali. A gennaio ci saranno per esempio le consultazioni a Taiwan il cui
esito potrebbe avere un impatto sulla sempre incombente invasione da parte
della Cina, ovviamente non ben vista dagli Stati Uniti e dall’Occidente in
genere.
Insomma,
per il mondo il prossimo sarà un anno cruciale, soprattutto se consideriamo le
varie crisi internazionali di questi mesi/anni:
dall’invasione
dell’Ucraina alla questione israelo-palestinese.
Ma se
fino a un paio di decenni fa l’economia era spettatrice delle dinamiche
elettorali e delle sue conseguenze, oggi non è più così.
Fenomeni
ormai consolidati come la globalizzazione e il predominio e l’influenza
dell’industria digitale hanno fatto perdere al potere politico il primato sull’economia
e sui suoi protagonisti.
Lo
raccontiamo in questo numero di Wired.
Dove
trovate le storie umane e professionali di un’élite di persone in grado di
cambiare le vite di ogni abitante della Terra.
Un
club di “nuovi potenti” divenuti tali non grazie a elezioni più o meno
democratiche ma per le loro capacità imprenditoriali, manageriali e di innovare.
Il
trailer del nuovo numero di Wired, dedicato al futuro della democrazia.
Operano
tutti nell’economia digitale e sono a capo delle più importanti e capitalizzate
aziende del mondo.
E sono
i nuovi potenti (purtroppo al momento quasi tutti maschi) per due motivi.
Il
primo è che molti di loro governano le piattaforme (social o meno) nelle quali
oggi si forma l’opinione pubblica:
da “Alphabe”t
(la holding di Google e YouTube tra le altre) a “Meta” (il contenitore di
Facebook, Instagram e WhatsApp), fino a “TikTok” e “X”, la ex Twitter.
Il secondo è per uno dei principali effetti
dell’economia di internet, che le varie agenzie per l’antitrust di tutto il
mondo non hanno saputo contrastare in questi ultimi anni:
le
aziende più grandi si mangiano tutte le altre, stabilendo oligopoli o monopoli
di fatto.
È così
nel commercio elettronico, nei motori di ricerca, nei social, nei software per
le imprese, nella messaggistica istantanea e così via.
Sarà
così anche nell’intelligenza artificiale generativa?
È
probabile, vista la mole di investimenti e risorse che richiede il suo
sviluppo.
In questo momento (grazie anche agli
impressionanti finanziamenti di Microsoft) in vantaggio c’è “OpenAI”,
l’organizzazione “ibrida”, metà commerciale e metà non profit, da cui è nata
“ChatGpt”, che nei giorni in cui andiamo in stampa è al centro di una lotta per
il potere tra le sue due anime.
Tutti
gli aggiornamenti sulla vicenda li stiamo seguendo quotidianamente su Wired.it,
ma la certezza che caratterizzerà tutto il 2024 è che siamo di fronte a uno
scenario ancora fluido, con concorrenti agguerriti come Alphabet, Amazon e le
varie aziende di Elon Musk.
Che si
contenderanno il ruolo di leader della tecnologia che, con una facile
previsione, più di tutte cambierà il mondo nei prossimi anni.
La
guerra Nord-Sud
disciplina
il pianeta.
Unjmondo.org
– (18 Settembre 2024) – Redazione – Raúl
Zibechi - ci dice:
Siamo
nel mezzo della transizione da un mondo unipolare centrato sul Nord globale
(Usa, parte dell’Ue e i suoi alleati) a un mondo multipolare con diverse
potenze e regioni in lotta.
Il primo problema, scrive Raúl Zibechi”, è che
il “nuovo ordine “probabilmente emergerà dopo una serie di guerre locali e
forse globali.
Intanto, il conflitto operai/padroni non gioca
più un ruolo importante in nessuno scenario, anche se non è scomparso, mentre i
significati di famiglia e lavoro evaporano, tanto da essere valori difesi da
sensibilità progressiste e conservatrici.
In
questo scenario l’autoritarismo è diventato una politica standard in paesi come
Ungheria, Turchia, El Salvador, Polonia, Filippine, India, Nicaragua e
Venezuela, tra gli altri, molti dei quali accettati come democrazie a pieno
titolo.
“La
geopolitica, disciplina maledetta, sta organizzando le relazioni
internazionali… Navighiamo in acque turbolente in cui l’interesse e il
vantaggio sono i valori dominanti”.
La
guerra in Ucraina “è una situazione unica e non può essere paragonata a
nessun’altra guerra o conflitto nel mondo”, spiega il “Comitato Olimpico
Internazionale” (CIO) alla rivista “Time” per giustificare l’esclusione della
Russia dai Giochi di Parigi.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia
è un evento deplorevole che deve essere condannato con forza.
Ma da
dove viene l’idea del CIO che si tratti di una guerra unica e senza precedenti?
Senza
dubbio dalla mentalità colonialista che ancora domina in Occidente, che è alla
base delle decisioni istituzionali e della propaganda dei media mainstream, che
non informano più, ma piuttosto impongono concetti/visioni/punti di vista.
La
verità è che siamo nel mezzo della transizione da un mondo unipolare centrato
sul Nord globale (Stati Uniti, parte dell’Unione Europea e i suoi alleati) a un
mondo multipolare con diverse potenze e regioni che interagiscono su un piano
di parità, senza che nessuna di esse possa assestare il mondo secondo i propri
interessi, qualsiasi analisi sensata svanisce nei venti coloniali che tornano a
soffiare con insolita intensità.
Il “nuovo
ordine” che probabilmente emergerà dopo una serie di guerre locali e forse
globali sarà ancorato in diversi Paesi e regioni del Sud globale e sta
prendendo forma negli ultimi anni sulla scia delle guerre in Ucraina e a Gaza.
Ricordiamo
che la maggioranza del Sud globale (85% della popolazione mondiale) non ha
sostenuto le sanzioni imposte alla Russia dal Nord globale (15% della
popolazione mondiale) e, con alcune eccezioni, riconosce lo Stato palestinese,
una consapevolezza che sta lentamente “contaminando” quasi la metà dei Paesi
dell’Unione Europea.
La
contraddizione Nord globale contro Sud globale ordina e subordina tutte le
altre.
Il
conflitto operai – padroni (borghesi e proletari nel linguaggio marxista) non
gioca più un ruolo importante in nessuno scenario, anche se non è scomparso,
così come il significato di famiglia, lavoro e risparmio è evaporato come
valori difendibili da una sensibilità progressista o addirittura conservatrice.
Nuovi
scenari, tutti inquietanti
e
pericolosi. Il punto.
Unjmondo.org
– Raffaele Crocco - 20 Settembre 2024 – ci dice:
Inevitabilmente,
è l’attacco israeliano a Hezbollah tramite i cercapersone, i walkie talkie ed
altri apparecchi radio a tenere in apprensione il Mondo.
Decine
i morti, centinaia i feriti in questo attacco concertato e simultaneo. Israele
non ha rivendicato nulla, anzi tace, ma tutti i governi – anche quelli alleati
a Tel Aviv – e le agenzie d’intelligence puntano il dito contro il Mossad,
l’intelligence israeliana.
L’operazione
dispiega nuovi scenari, tutti inquietanti e pericolosi.
Di fatto, la possibilità di uccidere chiunque,
ovunque si trovi, è ormai un dato di fatto.
Con
queste operazioni, Israele ha dimostrato che la realtà supera la fantasia.
L’ipotesi più accreditata è che i cercapersone siano stati sabotati prima
dell’arrivo in Libano.
Facciamo un riassunto: funzionano con un
impulso radio, non come i cellulari. Hezbollah all’inizio di quest’anno li
aveva distribuiti ai propri militanti per evitare l’uso dei telefoni portatili,
facilmente tracciabili.
Li ha
comperati a Taiwan.
L’ipotesi
più accreditata è che siano stati manomessi prima dell’arrivo in Libano,
introducendo una piccola carica di esplosivo e un pulsante attivabile a
distanza per l’innesco.
Le
intelligence di mezzo Mondo sono al lavoro per capire chi abbia collaborato con
il Mossad.
Una
fonte libanese sostiene che almeno 5mila apparati elettronici, cioè
cercapersone e walkie talkie, sarebbero stati manomessi.
Ma c’è
chi spiega che cercapersone e dispositivi elettronici in genere avrebbero già,
senza alcuna manomissione o aggiunta di componenti, un alto potenziale
esplosivo, dato dalla presenza di “coltan”, altri minerali e dalle batterie al
“litio”. Basterebbe, quindi, trovare la frequenza giusta per attivare
l’esplosione.
Una tesi fantascientifica che, se accreditata,
mette davvero paura.
Le
indagini in corso ci forniranno probabilmente, nelle prossime settimane, una
risposta, che peserà comunque come una minaccia perenne per chiunque:
tutti possiamo essere colpiti in qualunque
momento.
A
questa “potenziale minaccia privata”, svelata dagli attentati di questa
settimana, va aggiunto il salire rapido della tensione internazionale.
Secca
la condanna dell’operazione del quasi ex Alto rappresentate della politica
estera dell’Unione Europea, “Josep Borrel”, che parla esplicitamente di
escalation militare.
Sulla stessa lunghezza d’onda “Volker Turk”,
Commissario dei diritti umani per l’Onu.
E
mentre gli Stati Uniti fanno sapere di non essere stati coinvolti
nell’operazione, Hamas si dice pronto alla resistenza ad oltranza e l’Iran
promette vendetta.
La
realtà è che il governo Netanyahu sembra voler proseguire verso quella che vede
come la “soluzione finale” nei confronti di varie situazioni: Hamas, i
palestinesi in genere e il proprio ruolo nella Regione.
Mentre
a Gaza continua l’operazione militare e continua la strage di civili, a Nord si
è aperto un altro fronte politico militare, che colpisce Hezbollah in Libano
per minare ruolo e presenza dell’Iran.
La
sfida è ormai continua e Netanyahu la gioca con la certezza di avere alle
spalle Stati Uniti ed Unione Europea, pronti a sostenerlo a prescindere da
tutto.
Disposti
anche a chiudere un occhio sull’operazione di annientamento del popolo
palestinese in atto.
Oltre
a Gaza, la situazione in Cisgiordania è diventata pesantissima, con i coloni
israeliani che di fatto controllano tutto il territorio.
Per i palestinesi pare non esserci più spazio
e ogni romantica ipotesi europea e statunitense di creare “due popoli, due
stati” è definitivamente tramontata per mancanza di territorio disponibile.
Difficile
immaginare che il radicalismo israeliano resti senza risposta da parte degli
Stati dell’area.
È una linea sottile quella che separa le
operazioni militari di Tel Aviv da una guerra allargata, devastante.
Guerra
che continua, senza tregua e macinando migliaia di vittime, anche in Ucraina.
Gli
attacchi incrociati ormai non si contano.
Se
Mosca bombarda sempre più pesantemente le città ucraine, Kiev risponde a tono.
Un deposito militare russo è stato colpito
nella regione di “Tver”.
Si trova a 400 chilometri dal confine.
Sulla
linea del fronte, intanto, continua il massacro.
Le
perdite sono altissime.
L’intelligence militare inglese ha calcolato
che russi e ucraini abbiano avuto, ad oggi, almeno un milione di giovani morti
o mutilati.
Mosca
avrebbe avuto 1.400 morti in un solo giorno, questa settimana.
Per
questa ragione il presidente russo Vladimir Putin ha firmato un decreto che
aumenta il numero dei militari delle forze armate a un milione e mezzo di
effettivi.
Si
tratta di circa 200mila uomini in più.
In questo modo, mettendo nella conta anche il
personale civile, il totale dei militari nelle forze armate russe sale a 2,389
milioni di unità.
Un
numero altissimo, che dimostra come Putin non abbia, al momento, alcuna
intenzione di trattare con il governo ucraino.
(Raffaele
Crocco).
Erik
Davis: non lasciamo il sogno
della
tecnologia ai padroni del tech.
Guerredirete.it
- Philip Di Salvo – (2 Aprile 2024) – ci dice:
Seguire
le discussioni attorno alla tecnologia oggi significa anche, spesso,
confrontarsi con toni estatici, mistici, quasi religiosi.
Lo si
vede attorno all’intelligenza artificiale e alle preoccupazioni da fine del
mondo e della storia che le vengono spesso associate, insieme alle sue capacità
sovrumane.
Non vi
sono dubbi che questi punti di vista siano erronei e persino pericolosi in
termini scientifici, sociali e politici, ma allo stesso tempo dimostrano anche
qualcosa di più ampio e di natura differente.
Le
tecnologie dell’informazione, da che esistono, sono sempre state accompagnate
da una dimensione narrativa quasi spirituale;
per
via dei loro tratti conturbanti o sublimi (come teorizzato dal ricercatore
Vincent Mosco, recentemente scomparso), a tratti quasi disturbanti, e alla loro
capacità di aprire faglie, spalancare orizzonti, connetterci con dimensioni
altre.
“Techgnosis”,
primo saggio del critico e autore statunitense” Erik Davis”, è il libro che,
alla fine degli anni Novanta, ha tracciato la dimensione spirituale della
“cyber cultura” dell’epoca, mappando anche la ricorsività di questi elementi
mistici nella storia della tecnologia e la loro persistenza, anche se
incorporata, animata e spinta da attori molto diversi tra di loro.
Uscito
originariamente nel 1998, “Techgnosis” è diventato progressivamente un elemento
cruciale di quella mistica, un testo ovviamente molto ancorato nello Zeitgeist
in cui è stato scritto, ma allo stesso tempo capace di guardarvi con la giusta
dose di distacco e disincanto, tanto da essere ancora sorprendentemente attuale
ora che viene riproposto dall’editore NERO con una nuova traduzione italiana.
Techgnosis
Quando
il cyberspazio era un futuro migliore.
Rileggere
oggi “Techgnosis” non ha però nulla di nostalgico.
Coincide piuttosto con il guardare indietro, a
un momento storico in cui sembrava davvero possibile che il cyberspazio potesse
essere altro, o lo scheletro di un mondo altro e ovviamente migliore.
“Techgnosis”
è intriso dell’utopismo positivo di quel momento, di cui offre uno spaccato tra
i più chiari, ma offre anche un resoconto delle cose che in prospettiva già
allora si temeva potessero mettersi male, grazie al latente spirito disturbante
e misterioso del libro, di preoccupazione e giusta paranoia che a sua volta lo
pervade.
Leggere
“Techgnosis” oggi, però, in tempi in cui l’immaginazione di altro nella
tecnologia sembra impossibile per chiunque non sia un miliardario intriso di
“bullshit escatologiche” da capitalismo impazzito a un passo dal fascismo, è un
esercizio rivitalizzante.
Leggerlo serve a ricordare che l’utopismo
tecnologico degli anni ’90, al netto dei suoi lati più risibili, era anche un
motore positivo di potenziale cambiamento.
Niente
o quasi di quello che si sognava allora si è materializzato e quella battaglia
è forse persa per sempre, ma in “Techgnosi”s si trova ancora un qualche seme
psichedelico e mistico su cui almeno provare a sognare delle tecnologie che non
siano solo statistica applicata, burocraticizzazione della natura umana,
efficienza quantitativa e incubi securitari.
In
questo senso, “Techgnosi”s suona ancora come un rave di potenzialità concluse
ma ancora possibili e nel suo ritorno si può trovare una qualche forma di
possibilità di immaginazione.
O quanto meno un monito utile a ricordare
quanto possa essere potente continuare a sognare la tecnologia.
Ecco
la nostra intervista con Erik Davis.
GdR:
È
molto affascinante pensare che il libro sia stato pubblicato originariamente
alla fine degli anni ’90.
Pensa
che quel periodo faccia ormai parte della preistoria della rete o è possibile
trovare qualche forma di vicinanza?
Come
si pone di fronte al ritorno di “Techgnosis” nel 2024?
“È
strano, perché si tratta di qualcosa cui ho lavorato tanto tempo fa e quando
ero giovane.
È
stato il mio primo libro e quello che ho fatto allora sembra continui a
risuonare abbastanza da essere prezioso dopo così tanto tempo, specialmente se
guardiamo al tempo in termini tecnologici, un ambito dove tutto si muove così
velocemente.
Penso
spesso agli anni ’90, e mi sento come se non li avessimo integrati o capiti del
tutto.
Per
quanto riguarda la mia vita, è stato il periodo in cui ero giovane e anche il
mio momento di massima vicinanza agli anni ’60.
È
stato un periodo di vera creatività e se non di ottimismo radicale, almeno di
eccitazione, perché la cultura stava cambiando con l’hip-hop e il sampling,
c’erano il ritorno dei rave, la musica elettronica e i nuovi movimenti
psichedelici.
Complessivamente,
c’era un vero senso di vitalità subculturale allora, oltre a tutta
l’eccitazione e alle fantasie su ciò che sarebbe potuto succedere con la rete e
le tecnologie digitali.
Alla
fine degli anni ’90, quella prima ondata di ossessione digitale di massa stava
raggiungendo il culmine, e in parte a causa anche dell’economia della rete, che
in retrospettiva possiamo dire fosse palesemente una sorta di truffa.
Ma al
tempo Wired pubblicava copertine per dire che avevamo di fronte un futuro di
abbondanza perpetua.
Era un
periodo interessante e molto millenario, era davvero la fine del secolo.
Ora prendiamo un po’ in giro il “Millennium
Bug”, perché non è successo nulla. C’era però allora un senso strano attorno al
cambiamento di data:
era
qualcosa di certamente allegorico, eppure anche molto reale.
Si percepiva concretamente un senso di
trasformazione imminente e quel senso era alimentato dall’underground, dalla
psichedelia e, sai, dalla sensazione che qualcosa stesse davvero accadendo.
Detto
questo, sono molto felice di essere stato sufficientemente pessimista allora,
tanto da non farmi coinvolgere troppo nell’hype, e questo rende il libro ancora
utilizzabile oggi”.
GdR:
Cosa
possiamo dire, oggi, dello spirito così ottimista del periodo? Il libro di
certo non è uno di quelli che aderisce semplicemente a quei punti di vista
utopici.
“In
quel periodo ero interessato a tracciare l’uto-pianismo, a seguire la fantasia,
a seguire il millenarismo, ma anche a vedere il lato più oscuro, a vedere la
paranoia, la società del controllo, il lato oscuro della magia.
In un
certo senso, quindi è davvero la preistoria, perché il mondo è davvero cambiato
profondamente.
Non
possiamo chiamare tutto come utopia, sarebbe un po’ ingiusto, perché sappiamo
tutti che le utopie non accadono.
Quindi
potremmo guardare alle visioni positive che c’erano all’epoca e dire che siamo
stati ingenui.
Penso
che il discorso sia più complicato di così, perché alcune di quelle cose
potrebbero effettivamente essere accadute.
A meno
che non si creda che la storia sia completamente determinata, allora c’erano
davvero possibilità e aperture per cose che sarebbero potute andare
diversamente.
Una
delle cose che mi piacciono di “Techgnosis” ora è che, mentre si può leggerlo
con gli occhi di chi, oggi, è deluso da gran parte dell’evoluzione della
tecnologia, il libro ha ancora una carica di possibilità e di riflessione su
ciò che avrebbe potuto accadere.
Penso
che sia meglio continuare a ricordare queste possibilità per mantenerle forse
in vita, invece che semplicemente aderire a qualche punto di vista
completamente pessimista”.
GdR:
La dimensione mistica delle tecnologie
dell’informazione che è al centro del libro sia ancora visibile in qualche modo
oggi? Dove la vede?
Qualche
tempo fa leggevo un numero della sua newsletter “Burning Shore”, dove ha
riproposto un suo articolo proprio degli anni ‘90 dedicato ad “Aphex Twin”.
Negli
anni Novanta l’underground aiutava a percepire quella dimensione.
I
balletti su “TikTok” e la cultura corporate mi sembra evochino qualcosa di
diverso.
Sono
troppo giovane per aver vissuto “Aphex Twin” nei suoi momenti più vitali, ma
forse già troppo vecchio perché “TikTok” mi parli in qualche modo mistico.
“A
livello personale, non mi sto più nutrendo dello Zeitgeist allo stesso modo:
riesco a vedere l’arco lungo della storia, e posso essere più diffidente nei
confronti dell’hype.
Però, sono anche consapevole che alcuni
giovani si stiano davvero sintonizzando sulla magia, sai, proprio attraverso
TikTok.
Parte di quel mondo è certamente superficiale,
ma parte di esso non lo è ed è composto da persone che condividono comunità di
pratiche degli stati alterati che sono permeate proprio dal modo in cui le
immagini fluttuano su quella piattaforma.
Parte di TikTok mi mette a disagio, ma parte
di esso è davvero affascinante e molto più ricco di quello che possa sembrare.
Una delle cose che volevo dire con” Techgnosis”
è che quando ci sono significative trasformazioni in una tecnologia, anche se
la tecnologia non finirà per realizzare le fantasie più utopiche, questa creerà
comunque spazio per fare dei sogni sociali, almeno per un po’ di tempo”.
“Parte
di questo è certamente hype, perché ci sono sempre persone che vogliono
guadagnare sfruttando la novità.
Ma
vedere le cose solo in questa prospettiva ci fa perdere molto dello spirito
umano, della storia, dell’immaginazione, dell’anima, o come vuoi chiamarla, di
queste tecnologie.
La mia generazione ha potuto farlo con
Internet, con le liste di distribuzione, con gli albori del “World Wide Web,”
con la realtà virtuale dei primordi.
Ma
quelle tecnologie ora sono, anche se stanno ancora cambiando molto, in un certo
senso chiuse per quel tipo di sogni.
L’intelligenza
artificiale (AI), invece, è un ottimo esempio.
Nell’AI,
si può vedere perfettamente il medesimo processo fatto di sogni utopici, storie
paranoiche, invocazioni di dei e spiriti e antichi miti.
Che
cosa è davvero questa tecnologia?
È l’apprendista stregone? È il Golem?
È lo “Shoggoth
“di Lovecraft?
Ci
sono già diversi miti intorno all’AI, perché è ancora qualcosa di così nuovo e
dinamico, che in parte ci servono i miti per capire cosa stia succedendo
davvero. C’è, insomma, qualcosa nel modo in cui sogniamo attraverso la
tecnologia che continua a tornare allo stesso modo ciclicamente, perché le
tecnologie a loro volta continuano a cambiare”.
GdR:
Una
delle cose che ho apprezzato di più del libro sono I riferimenti a quelli che
lei chiama momenti di rivelazione, e molti di essi sono ovviamente collegati al
“World Wide Web”, che all’epoca della pubblicazione del testo era all’apice
della sua ascesa.
Leggendo il testo ora, che il web è
dappertutto, ho comunque ricordato il suono del router che si connetteva a
Internet.
A quel
tempo, una faglia storica che ho fatto in tempo a vivere, connettersi alla rete
sembrava davvero coincidere con il varcare una soglia.
Dopo
il “World Wide Web”, pensa ci sia stata un’altra tecnologia con la stessa
carica di immaginazione e potenzialità di rivelazione?
“Direi
che quella dimensione rivelatoria fosse legata in primis al fatto che
immaginassimo il Web come uno spazio, e non a caso si usava diffusamente il
termine cyberspazio, che intendevamo come una sorta di “logosfera “posta sopra
la nostra biosfera in cui, con quel piccolo suono del router, si poteva veniva
trasportati.
Ma una
volta che quello spazio è stato definito e abbiamo iniziato a parteciparvi
quotidianamente, esso è diventato semplicemente più simile a tutto il resto.
La
differenza tra quello spazio e lo spazio biologico si è progressivamente
dissolta.
Oggi
abbiamo gli smartphone ovunque e con essi, i loro sensori.
Tutto
ciò che riguarda la rete è diventato più ordinario e sempre più integrato con
il modo in cui il resto del mondo funziona.
Nel
momento in cui scrivevo “Techgnosis”, invece, erano proprio la distinzione e la
differenza a permetterci di avere quel tipo di momenti rivelatori.
Oggi
penso che solo l’AI ci offra qualcosa di simile, proprio perché è ancora
qualcosa di scioccante e di inquietante, proprio come c’era allora qualcosa di
inquietante nel router e nel rumore che faceva mentre si connetteva alla rete”.
“Una
delle cose più significative accadute in ambito tecnologico dopo l’uscita di “Technosi”s
è stata l’ascesa dei social media.
Per
me, i social media non hanno molto di quel potenziale rivelatorio.
Certamente hanno permesso la crescita delle
sottoculture e altri fenomeni simili. In quegli ambienti tutto è effettivamente
a portata di mano e si possono davvero trovare gruppi che sono interessati allo
Zoroastrismo o a qualsiasi altra cosa si voglia.
C’è
una dimensione spirituale in questo.
Ma i
social media sono più simili a una sorta di dispositivo di cattura.
I social media sono banali di per sé.
Trascorriamo
sempre più tempo all’interno di questi grandi ambienti aziendali incapsulati, e
l’esperienza stessa di essere su Internet non è più quella di vagare, cercare e
imbattersi in queste meravigliose piccole creazioni che costituivano una
creatività distribuita, che aveva di per sé una qualità di ricerca, una forma
di caccia all’archivio.
Tutto
ciò è diventato più organizzato e aziendalizzato.
Tutto
ciò non porta ad alcuna rivelazione, capisci?
Proprio
per niente.
Forse la realtà virtuale potrebbe avere ancora
qualche potenzialità rivelatoria, perché ha ancora un’inquietudine di fondo e
porta con sé una dimensione che potrebbe portare le persone a esplorare alcuni
scenari davvero immaginativi.
Ma è
difficile dire oggi che cosa diventerà davvero”.
GdR:
Le
idee più spirituali o mistiche legate alla tecnologia mi sembra che ora siano
promosse maggiormente dagli ambienti della “Silicon Valley e del “business”.
Penso
alle visioni lungo terministe sul destino dell’umanità o sull’intelligenza
artificiale, indipendentemente da quanto sbagliate o problematiche possano
essere.
Mentre
persone come noi, i critici o anche l’accademia, spingono invece di più
narrazioni che vanno nella direzione di demistificare la tecnologia, cosa
sacrosanta, come ribadire che l’intelligenza artificiale di cui disponiamo oggi
sia semplicemente statistica applicata.
Mi
chiedo anche, però, se così facendo non stiamo perdendo o indebolendo la nostra
capacità immaginativa mentre cerchiamo di razionalizzare queste cose?
In particolare mi chiedo se non stiamo
perdendo la capacità di guardare oltre l’esistente e immaginare alternative?
“Questo
è davvero un dilemma.
Nella mia scrittura personale, forse non in
modo programmatico, cerco in un certo senso di fare entrambe le cose:
c’è
una funzione critica di disincanto che rivela come stanno davvero le cose,
eppure c’è anche un apprezzamento per il modo in cui lo spirito o l’immagine o
la narrazione o la fantasia, o la speranza ritornano ogni volta.
Nella
scrittura critica accademica, purtroppo, temo che non ci sia molto spazio per
questo tipo di approccio, e per ottime ragioni.
Ma hai
ragione nel dire che mentre le norme del XX secolo si sgretolano e si
dissolvono, il capitale ora può permettersi di essere sempre più selvaggio,
speculativo e fantastico e attingere dalla cultura della celebrità e dalla sua
mitologia e dalla sua storia.
Sai
qual è un buon esempio?
La
colonizzazione di Marte.
Se la si guarda criticamente è davvero una
stronzata totale.
Non
c’è modo che accada.
A meno
che non accadano cose magiche.
Ma
tutti noi riconosciamo la gloriosa arroganza di Elon Musk che fantastica al di
là di ogni limite.
E in un certo senso, ha ragione.
Non che ne abbia sul valore della
colonizzazione di Marte di per sé, ma ha ragione, in un certo senso, in merito
all’immaginazione.
E
quindi anche noi, che siamo critici, siamo un po’ bloccati e un po’ limitati
perché è molto difficile contrastare quei tipi di sogni”.
“Come
anche per il recente manifesto di “Marc Andreessen”, che era semplicemente
folle, è come se queste persone dicessero:
hey,
nessuno ci sta guardando, diamo pure di matto.
Cosa è
il manifesto di “Marc Andreessen”
Tutto
questo diventa, in un certo senso, fiction speculativa ed è in buona parte
terrificante perché apre sempre più spazio per una società post-democratica,
cripto-fascista e autoritaria in cui tutti noi siamo solo zombie di cui bisogna
prendersi cura mentre, loro, i grandi, prosperano.
È pura e semplice cattiva fantascienza, ma ora
c’è più spazio per questo tipo di idee perché non c’è effettivamente
nient’altro, non si vedono altri tipi di fantasie o di sogni.
Siamo
in una situazione davvero difficile e quello che sta succedendo attorno alI’AI
è un ottimo esempio.
Noi
due possiamo stare in cima alla collina tutto il giorno con i nostri megafoni e
dire che è solo statistica, che è semplicemente un’operazione algoritmica
parassitaria applicata alla conoscenza umana pre-esistente, e così dicendo.
Ma a
un livello più ampio, quel tipo di fiction speculativa, del mito, continuerà
semplicemente a girare imperterrita e in realtà modellerà anche il modo in cui
le persone interagiscono davvero con tutto questo”.
GdR:
In
Techgnosis c’è un passaggio che mi ha particolarmente colpito, quando
contrappone la volontà di allora di molti di integrare la rete all’economia
globale, con la sua, più aperta invece al continuare a “sognare” la rete.
Ora che la rete è stata integrata ovunque ed è
effettivamente lo scheletro di tutto ciò che facciamo, compresa l’economia, c’è
ancora spazio per “sognare” la rete in qualche modo?
“Una
delle cose che intendevo dire non è solo sognare Internet in quanto oggetto, ma
l’idea della rete, del network stesso.
Questa
sarebbe una conversazione molto diversa se oggi ci fosse più ricchezza che
fluisce verso il basso e la classe media esistesse ancora, ma non è lì che ci
troviamo.
L’idea della rete che emergeva negli anni ’90,
quando la rete stessa aveva raggiunto le sue qualità quasi fantastiche, non ha
mai davvero preso il volo.
Ma in
sostanza, che cos’è una rete?
È un
sistema con molteplici punti al suo interno e che offre connessioni complesse
tra questi punti.
Operare
all’interno della rete è quindi una sorta di processo decentralizzato, de individualizzato
in cui ogni individuo è un nodo, ma ogni nodo è connesso in tutte queste
diverse dimensioni, che si possono modulare mentre si avanza dentro il network.
Questo
è, penso, un modello davvero meraviglioso per interagire con la differenza e la
molteplicità”.
“Ciò
che vediamo ora invece è l’opposto di tutto questo, c’è polarizzazione, e le
persone sono spesso completamente sepolte nelle loro prospettive.
E, di
norma, più sono rumorose, insistenti e cattive, più attenzione ricevono.
Abbiamo smesso di sognare la rete e quel modello relazionale e invece siamo
tornati a un altro sogno, almeno sui social media.
Credo
però che se non saremo in grado di sognare sistemi complessi e così grandi e se
non saremo capaci di trovare la nostra strada attraverso quel sogno, allora non
capiremo nemmeno l’ecologia, e non capiremo tutti gli effetti aggiuntivi, le
esternalità dei processi e dei comportamenti che dobbiamo essere in grado di
modellare nella realtà, anche secondo prospettive non umane, perché è
esattamente ciò che sta accadendo intorno a noi.
Quello
che abbiamo al momento è invece, al massimo, una sorta di umanesimo di ultima
istanza, una sorta di illusione, che consiste proprio nell’allontanarsi dalla
rete come modello di progettazione di una qualche forma di cosmologia.”
Gli
ordigni esplosivi di Israele
in
Libano sono stati un successo?
Comedonchisciotte.org – Redazione CDC – Mattin Jay,
strategic-culture.su – (21 Settembre 2024) -ci dice:
Cadere
sulla propria spada deve essere una preoccupazione sia per Israele che per gli
Stati Uniti.
È
incredibilmente difficile decifrare i recenti eventi in Libano.
Prima c’è stata l’esplosione di cercapersone e
poi, più recentemente, di walkie talkie, con 20 morti e oltre 500 feriti.
Sebbene
Israele non ammetta l’operazione, è chiaro che le sue impronte sono presenti in
tutte le operazioni e quindi sarebbe facile supporre che si sia trattato di un
grande successo per Netanyahu.
Ha
scioccato Hezbollah e messo fuori uso le sue comunicazioni, anche se
temporaneamente, e ha mostrato sia ai libanesi che al mondo che Israele è più
avanti del proxy sostenuto dall’Iran.
È
stato astuto, originale e ingegnoso nella sua semplicità e nella sua efficacia.
Un
attacco del genere ha catturato l’immaginazione dei media occidentali, che
hanno esagerato con la diffusione della notizia.
Naturalmente,
gli esperti dei media e i commentatori a cui si rivolgono non possono dire cosa
accadrà in seguito.
Molti però ipotizzano che questo sia un
preludio a un attacco, una guerra totale tra Israele e Hezbollah, che si
combatte nel sud del Libano.
L’effeminato ed egocentrico “Tom Fletcher”,
che in passato è stato ambasciatore del Regno Unito in Libano, non ha offerto
alcuna preveggenza o intuizione, ma si è limitato a ripetere i vecchi cliché
alla radio della” BBC”.
“Jeremy
Bowen”, un esperto hacker della “BBC” in Medio Oriente, ha offerto di più.
“Bowen”
avverte che negli ultimi giorni la retorica di Israele si è inasprita e che
sono state spostate altre attrezzature militari al confine libanese, il che
indica che un’invasione è imminente.
Tuttavia,
avverte anche che Israele ha una storia di invasione del Libano e se ne è
sempre andata con il naso sanguinante, coniando il cliché di andare oltre
l’abisso.
In
effetti, cadere sulla propria stessa spada deve essere una preoccupazione sia
per Israele che per gli Stati Uniti.
“Bowen”
è anche attento a coprirsi e ad aggiungere che l’attacco dei congegni potrebbe
essere parte di una strategia di intimidazione che non include una vera e
propria invasione.
Nessuno lo sa veramente.
Tuttavia,
un’invasione di terra almeno fino al fiume “Litani” deve essere nella mente di
Netanyahu.
Un’altra
volta per rompere la maledizione, penserà.
Anche
i suoi generali saranno entusiasti di un’impresa del genere, il che
spiegherebbe l’attacco coi cercapersone esplosivi dato che molti combattenti di
Hezbollah sono rimasti accecati o parzialmente accecati.
Ma c’è
un’altra teoria, che non è stata offerta dalla BBC, ossia che i cercapersone e
i walkie talkie siano stati intercettati molto tempo fa, in preparazione di un
attacco – ma che Israele abbia ricevuto informazioni sul fatto che Hezbollah
avesse scoperto lo stratagemma, o stesse per farlo.
In un simile scenario, è logico farli
esplodere entrambi per capitalizzare la vittoria e sperare nel massimo numero
di vittime.
Ma
anche a questo riguardo è possibile che il livello di esplosivo aggiunto a
entrambi i dispositivi sia stato valutato male, dato che le esplosioni stesse,
in termini militari, hanno provocato pochissime vittime.
Per
qualche grammo in più, forse si sarebbero potuti uccidere centinaia di
combattenti di Hezbollah.
Il
Libano è pieno di spie e informatori israeliani.
Gli
israeliani di solito dispongono di un’eccellente intelligence e sanno molto di
più di quanto Hezbollah voglia ammettere.
Non c’è dubbio che questa sia una sconfitta
per Hezbollah, poiché fa sembrare che abbia molte scappatoie per la sicurezza
che il Mossad può attraversare quando vuole.
Naturalmente,
ora questo sarà reso più rigoroso, ma la trovata di Israele è stata geniale e
ha fatto apparire il leader di Hezbollah come un po’ stanco e non in sintonia
con le sue minacce.
L’Iran,
tuttavia, è una bestia più grande, con una posta in gioco maggiore.
Più si
è grandi, più si è duri a cadere si può certamente dire di Teheran.
Gli
iraniani sono stati umiliati dal fatto che il loro miglior generale è stato
assassinato da Trump mentre era in viaggio;
più
recentemente, anche un leader palestinese, in visita a Teheran, è stato
assassinato;
e
troppi comandanti di Hezbollah sono stati uccisi dalle operazioni dell’”IDF/Mossad”
in Libano negli ultimi mesi.
Ogni volta gli esperti della regione parlano
di Hezbollah e dell’Iran che prendono tempo per servire il loro piatto freddo
di vendetta all’Occidente e a Israele, ma sembra che Teheran voglia evitare a
tutti i costi una guerra totale con l’Occidente.
Stranamente,
questo è anche l’obiettivo di Biden, tuttavia, se questi recenti attacchi fanno
parte di un’offensiva di terra pianificata, come anche i comandanti dell’IDF
stanno accennando a un’offensiva che ‘gravita’ verso il Libano, allora Teheran
non avrà altra scelta che alzare la posta in gioco.
Se è
vero che l’attacco dei dispositivi elettronici e ricetrasmittenti è stato
impressionante per la sua originalità, non dobbiamo mai sottovalutare le mosse
che l’Iran potrebbe avere in serbo per l’impresentabile fanteria israeliana sul
campo di battaglia in Libano o anche all’interno di Israele.
L’”IDF”
non ha mai ottenuto nulla che possa essere definito una vittoria con le sue
invasioni sia nel 1982 che, più recentemente, nel 2006.
A quei tempi, Hezbollah ha dato all’IDF una
batosta umiliante all’interno del Libano e Israele farebbe bene a notare che il
suo esercito di combattenti libanesi è ancora migliore oggi di allora.
È una crudele ironia per Israele, ma le sue
invasioni sono servite solo a far progredire la capacità di Hezbollah come
esercito disciplinato di indebolire l’IDF in guerra.
In uno scenario del genere, una sconfitta del
genere significherebbe certamente la fine di qualsiasi governo politico
dell’élite di Tel Aviv, ma potrebbe anche significare la fine di Israele come
lo conosciamo.
Netanyahu è così illuso da rischiare una mossa
del genere?
(Martin Jay, strategic-culture.su.)
(Martin
Jay è un pluripremiato giornalista britannico con residenza in Marocco, dove è
corrispondente del “The Daily Mail” (Regno Unito), che in precedenza ha
raccontato la Primavera Araba per la “CNN” e per “Euronews”.)
(strategic-culture.su/news/2024/09/19/was-israel-exploding-devices-in-lebanon-a-success/)
Il
‘partito della guerra’
fa i
suoi piani.
Comedonchisciotte.org
- Redazione CDC - Patrick Lawrence, scheerpost.com – (20 Settembre 2024) – ci
dice:
La
Casa Bianca di Biden e la macchina del Partito Democratico che cerca di far
avanzare Kamala Harris dal numero 2 del regime al numero 1, devo dire che è
sempre più interessante di settimana in settimana.
La
campagna della Harris ha finalmente pubblicato, due mesi dopo che le élite e i
finanziatori del partito hanno fatto passare la sua candidatura al di là di
qualsiasi parvenza di processo democratico, una piattaforma che chiama “A New
Way Forward” (Una nuova via per il futuro), di cui parlerò a tempo debito.
Ora non mi interessano tanto le parole
pubblicate su un sito web, quanto due recenti sviluppi che dovremmo analizzare
attentamente insieme, anche se nessuno ha ancora pensato di farlo.
Lentamente
e in modo molto sicuro, attraverso queste svolte a cadenza settimanale, diventa
chiaro come un nuovo regime democratico, se Harris dovesse vincere il 5
novembre, si propone di gestire gli affari dell’imperium.
E per quanto molti elettori sciocchi possano
illudersi del contrario, se la Harris conquisterà la Casa Bianca, i suoi affari
non saranno né più né meno che gestire l’imperium: le guerre, le provocazioni,
le sanzioni illegali e altre punizioni collettive, i clienti terroristi in
Israele, i neonazisti a Kiev.
Mercoledì
scorso, 4 settembre, “Liz Cheney” ha sorpreso “Washington” e, suppongo, la
maggior parte di noi, quando ha annunciato che avrebbe sostenuto la corsa della
“Harris” alla presidenza.
L’ex
deputata del Wyoming, una guerrafondaia che coltiva il colpo di stato e che
rimane tra i più falchi della politica estera di destra, non è stata la prima
repubblicana a saltare dall’altra parte del corridoio in questa stagione
politica, e non è stata nemmeno l’ultima:
Due giorni dopo, il padre di “Liz “ha fatto lo
stesso.
“Dick
Cheney”, ovviamente, non ha bisogno di presentazioni.
Immediatamente,
la campagna della” Harris” ha dichiarato di essere felice di avere il sostegno
di questi coraggiosi patrioti, come li ha definiti l’organizzazione nelle sue
dichiarazioni ufficiali.
Una
settimana dopo tutto questo politicantismo di alto livello, il Presidente Biden
si è riunito nello Studio Ovale con “Keir Starmer”, il nuovo Primo Ministro
britannico, per esaminare la proposta dell’Ucraina di sparare missili forniti
dall’Occidente contro obiettivi ben all’interno del territorio russo.
I britannici sono pronti ad assecondare il
regime di Kiev, così come i francesi, ma tutti – Londra, Parigi, Kiev – hanno
bisogno del permesso di Biden per allargare la guerra in questo modo.
Al
momento, Biden e il Segretario di Stato” Blinken” sono nella loro fase “Beh,
forse”, e noi dobbiamo stare con il fiato sospeso a chiederci se
acconsentiranno a questi piani.
Ma non abbiamo già visto questo film e non
sappiamo come finisce?
Non era forse: “Forse invieremo sistemi
missilistici HIMARS”, “Forse carri armati M-1”, “Forse missili Patriot”, “Forse
F-16”?
Anche
prima dell’incontro” Biden-Starmer” della scorsa settimana, “Blinken e David
Lammy”, il Ministro degli Esteri britannico, durante una visita a Kiev per i
colloqui con “Volodymyr Zelensky”, stavano già lanciando pesanti allusioni al
fatto che Biden avrebbe ancora una volta acconsentito ai piani che il
Presidente ucraino e il Premier britannico avevano coreografato per
presentargli.
La
clausola su cui Biden e Blinken pretendono di insistere ora è che non
acconsentiranno a permettere a Kiev di utilizzare armi fornite dagli Stati
Uniti – che sembrano essere diverse dalle armi prodotte dagli Stati Uniti –
contro obiettivi all’interno della Russia.
Questo
non è altro che uno di quei giochi di parole che la Casa Bianca di Biden fa
quando vuole apparire premurosa e prudente, ma non è né l’una né l’altra cosa.
Qualcuno può dirmi che differenza farà per la Russia se Mosca sarà colpita da
un missile inviato da Gran Bretagna, Francia o Stati Uniti?
Queste
persone si stanno riunendo per pianificare l’escalation sconsiderata delle
potenze occidentali di una guerra per procura che non hanno modo di vincere e
sanno di non avere modo di vincere.
La disperazione è ciò che la disperazione fa: questa
è la mia semplice lettura di queste decisioni.
Tra la
pianificazione della guerra e il cambiamento di lealtà politica, a cosa abbiamo
assistito nelle ultime due settimane? Questa è la nostra domanda.
Quando
i Cheney, padre e figlia, si sono arruolati nelle file della campagna della
Harris,” Jen O’Malley Dillon”, presidente della campagna, ha lodato il primo
per il suo coraggio e la seconda per il suo patriottismo.
Altrove nell’“alveare” della “Harri”s, come mi
sembra di capire che lo chiamiamo, i commentatori liberali si sono fermati a un
passo dall’esaltare la migrazione politica di “Liz” e “Dick Cheney”, ignorando
il fatto che sembra essere un mero opportunismo.
“James
Carden” ha scritto un pezzo conciso su questo argomento, “La Cheneymania si
impossessa dei Democratici”, nell’edizione del 12 settembre di “The American
Conservative”.
“L’applauso selvaggio che ha accolto
l’annuncio di “Liz”… è indicativo di dove i liberali collocano le loro
priorità”, ha scritto il commentatore di lunga data di Washington, ‘e spiega
perché non ci si può fidare di loro in materia di sicurezza nazionale’.
C’è
molta politica nell’esuberante saluto dei Democratici ai “Cheney”,
naturalmente.
Gli
uomini della “Harris” vogliono sfruttare al meglio le divisioni tra i
repubblicani e, nel caso di “Liz Cheney”, sfruttare l’astio che si è creato tra
lei e Donald Trump. Ma dobbiamo guardare più da vicino per capire questo
balletto politico.
“Liz
Cheney” una volta ha avuto un battibecco pubblico con “Rand Paul” su chi fosse
più “Trumpier”.
“Dick
Cheney” è colpevole di tanti crimini di guerra, di crimini contro l’umanità e
di sfruttamento della guerra, più di quanto Donald Trump possa mai immaginare
nei suoi sogni più belli.
Nessun
accenno a questo quando pensiamo a queste due defezioni politiche? Non ne ho
letto o sentito parlare all’interno dell’alveare della Harris.
“Stephen
Cohen” era solito scherzare, tranne che non stava giocando, sul fatto che c’è
un solo partito a Washington ed è giustamente chiamato il “Partito della Guerra”.
Abbiamo
appena avuto un richiamo alla preveggenza del defunto ed eminente russista.
Non
c’è alcuna intenzione, tra le persone che stanno dando lezioni a “Kamala Harris”,
di mettere in discussione le numerose aggressioni e le attività illegali di
questa nazione, e nemmeno di riconsiderare le politiche estere disastrose e mal
calcolate del regime di “Biden”, che sono indistinguibili dall’agenda
neoconservatrice che i Democratici, una volta, fingevano di contrastare.
Leggete
“A New Way Forward”, un documento di 13 pagine.
La pagina e mezza dedicata alla sicurezza
nazionale e agli affari esteri si riduce a un discorso dedicato alla “russofobia”,
alla “sinofobia”, alla “NATOfobia” e alla “forza di combattimento più letale
del mondo”, che sembra essere l’idea della “Harris” di un corpo diplomatico.
Ecco come pensa il” Partito della Guerra” di “Steve
Cohen” e come suona.
Come dichiarazione di intenti, la piattaforma “Harris-Walz”
è del tutto accomodante rispetto alla decisione molto probabile della Casa
Bianca di Biden di intensificare il conflitto in Ucraina fino a rischiare la “Terza
Guerra Mondiale” che “Biden finge di non volere”.
L’analisi
più chiara e più preoccupante del pensiero di “Biden-Blinken” – è una mia
parola? – di autorizzare Kiev ad attaccare obiettivi nel profondo della Russia
con missili forniti dall’Occidente, è arrivata da” Vladimir Putin”.
Il
Presidente russo ha parlato giovedì scorso, il giorno prima dei colloqui di “Starmer
con Biden”, in risposta alla domanda di un giornalista.
Vale la pena leggere la sua dichiarazione per
intero, data l’evidente gravità che attribuisce alle deliberazioni
dell’Occidente:
“Stiamo
assistendo a un tentativo di sostituire le idee.
Perché
non si tratta di stabilire se al regime di Kiev sia permesso o meno di colpire
obiettivi in territorio russo.
Sta già effettuando attacchi utilizzando
veicoli aerei senza pilota e altri mezzi.
Ma utilizzare armi di precisione a lungo
raggio di fabbricazione occidentale è una storia completamente diversa”.
“Il
fatto è che – l’ho già detto e qualsiasi esperto, sia nel nostro Paese che in
Occidente, lo confermerà – l’esercito ucraino non è in grado di utilizzare
sistemi all’avanguardia, di alta precisione e a lungo raggio forniti
dall’Occidente.
Non
possono farlo.
Queste armi sono impossibili da utilizzare
senza dati di intelligence dai satelliti, che l’Ucraina non possiede.
Questo
può essere fatto solo utilizzando i satelliti dell’Unione Europea, o i
satelliti degli Stati Uniti – in generale, i satelliti della NATO.
Questo
è il primo punto.”
“Il
secondo punto – forse il più importante, il punto chiave – è che solo il
personale militare della NATO può assegnare missioni di volo a questi sistemi
missilistici.
I militari ucraini non possono farlo.
Pertanto,
non si tratta di permettere al regime ucraino di colpire la Russia con queste
armi o meno. Si tratta di decidere se i Paesi della NATO saranno coinvolti
direttamente nel conflitto militare o meno.”
“Se
questa decisione verrà presa, significherà niente di meno che un coinvolgimento
diretto: significherà che i Paesi della NATO, gli Stati Uniti e i Paesi europei
sono parti in causa nella guerra in Ucraina.
Questo significherà il loro coinvolgimento
diretto nel conflitto, e cambierà chiaramente l’essenza stessa, la natura
stessa del conflitto in modo drammatico.
Ciò
significa che i Paesi della NATO – Stati Uniti e Paesi europei – sono in guerra
con la Russia.
E se
questo è il caso, allora, tenendo conto del cambiamento dell’essenza del
conflitto, prenderemo decisioni appropriate in risposta alle minacce che ci
verranno poste.”
Ci sono chiaramente persone sane di mente
all’interno delle cricche politiche di Washington che possono leggere questa
dichiarazione per quello che è e comprendere il rischio che il regime di Biden
contempla mentre si avvicina a una decisione ufficiale sulla questione dei
missili.
Ma
queste teste più sagge non sembrano in vantaggio.
L’opinione
prevalente sembra essere quella di persone come “William Burns”, il direttore
della “CIA”, che pensa che Putin stia bluffando e, in modo abbastanza assurdo,
è disposto a scoprire se ha ragione dichiarando il bluff.
Ecco
una parte della lettera che 17 ex ambasciatori e generali hanno inviato
all’amministrazione Biden la scorsa settimana, come riportato dal” New York
Times”.
Mentre
leggi queste frasi, pensa al motivo per cui i firmatari di questa lettera
l’hanno scritta e come mai sono così sicuri del loro giudizio come professano:
“L’alleggerimento
delle restrizioni sulle armi occidentali non provocherà un’escalation di Mosca.
Lo sappiamo perché l’Ucraina sta già colpendo
il territorio che la Russia considera suo – tra cui Crimea e Kursk – con queste
armi e la risposta di Mosca rimane invariata.”
“Ora
riflettiamo se coloro che hanno scritto e firmato questa lettera, e per
estensione coloro che gestiscono la politica dell’Ucraina, sono sani di mente o
sono folli”.
Tra le
presunte preoccupazioni del regime di Biden, che sta valutando di autorizzare
l’Ucraina ad allargare la guerra, c’è la differenza che farebbero gli attacchi
all’interno della Russia.
La Casa Bianca e il Pentagono vogliono vedere
il piano, è stato riferito.
È una buona domanda, che chiede quale sia lo
scopo di questo tipo di escalation, ma non sono sicuro che la risposta sia
importante per coloro che siedono al tavolo nella sala di gabinetto della Casa
Bianca.
Come
ho sostenuto più volte in questo spazio, il regime di Biden ha stupidamente
impostato questa guerra come una guerra tra democrazia e autocrazia.
Di conseguenza, può permettersi di rischiare
ogni sorta di escalation precipitosa, ma non può permettersi di perdere.
Entrando
in scena a destra, forse a tempo debito, Volodymyr Zelensky dice ora di voler
mostrare a Biden, e successivamente a Harris e Trump, il suo “piano per la
vittoria sulla Russia”.
Il
Washington Post ha riferito venerdì scorso che sarà composto da pochissime
parti.
“Tutti
i punti dipendono dalla decisione di Biden”, ha detto il presidente ucraino in
un recente forum a Kiev.
Come
ha notato il “Post”, Zelensky non ha ancora rivelato questi punti, ma ci sono
notizie, ben lontane dall’essere confermate, che sono tre.
Il
primo è l’autorizzazione ai missili, il secondo è l’assicurazione che la NATO
dispiegherà sistemi di difesa aerea per proteggere l’Ucraina occidentale, e il
terzo – sentite un po’ – è la garanzia che la NATO invierà truppe di terra
nelle aree di retrovia del conflitto, in modo che le Forze Armate dell’Ucraina
possano dispiegare più truppe al fronte.
Queste
proposte, se confermate durante il prossimo viaggio di Zelensky a Washington,
si allineano tutte in una direzione:
Il
tema ricorrente del regime di Kiev rimane quello di trascinare l’Occidente in
una guerra più intensa, mentre il regime di Netanyahu in Israele cerca sempre
di fare altrettanto in Asia Occidentale.
Zelensky, il Primo Ministro israeliano, Biden:
“ Il
problema del mondo in questo momento, o uno di essi, è che nessuno di questi
popoli può permettersi di perdere le guerre che la loro arroganza li ha portati
a iniziare”.
Gli
anglosassoni e gli americani probabilmente faranno un annuncio ufficiale
sull’uso di missili a lungo raggio contro la Russia dopo che l’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite avrà concluso i suoi lavori il 28 settembre.
“
Starmer” lo ha indicato di recente.
Nel
migliore dei casi, scopriremo che Putin ha spaventato Washington e Londra a tal
punto che faranno un passo indietro rispetto a questo ultimo piano di
escalation.
È possibile.
Ma gli
Stati Uniti e le altre potenze della NATO non hanno fatto molti passi indietro
finora, è bene tenerlo a mente.
“M.K.
Bhadrakumar”, l’ex diplomatico indiano che pubblica la newsletter” Indian
Punchline”, sempre molto attenta, ha pubblicato un articolo lunedì 16
settembre, sostenendo che le potenze anglo-americane stanno trasformando la
guerra per procura in Ucraina in una roulette russa.
Ecco una parte del ragionamento di “Bhadrakumar”.
Gli “Storm Shadows” sono i missili che “Starmer
“permetterebbe a Kiev di sparare verso la Russia, se il regime di Biden
approverà il piano:
“Mosca
prevede che la manovra degli Stati Uniti e del Regno Unito potrebbe essere
quella di sondare il terreno utilizzando per la prima volta (apertamente) il
missile da crociera a lungo raggio” Storm Shadow “della Gran Bretagna, che è
già stato fornito all’Ucraina.
Venerdì,
la Russia ha espulso sei diplomatici britannici assegnati all’ambasciata di
Mosca, avvertendo chiaramente che i legami tra Regno Unito e Russia ne
risentiranno.”
La
Russia ha già avvertito il Regno Unito di gravi conseguenze se lo “Storm Shadow”
dovesse essere utilizzato per colpire il territorio russo.
Ciò
che rende la situazione in via di sviluppo estremamente pericolosa è che il
gioco del gatto e del topo, finora, sul coinvolgimento occulto della NATO nella
guerra in Ucraina, si sta trasformando in un “gioco di roulette russa “che
segue le leggi della “Teoria delle Probabilità”.
“Bhadrakumar”
ha perfettamente ragione, a mio avviso, ma con un piccolo difetto nella sua
argomentazione.
Si può
dire che gli americani e i britannici stiano giocando, per quanto poco seri, ma
i russi no.
(Patrick
Lawrence, scheerpost.com)
(Patrick Lawrence, corrispondente
all’estero per molti anni, soprattutto per l’International Herald Tribune, è un
critico dei media, saggista, autore e docente.)
(scheerpost.com/2024/09/18/patrick-lawrence-the-war-party-makes-its-plans/).
La
pazienza è finita:
è ora
di un gigantesco “pernacchio”
comedonchisciotte.org
- Katia Migliore – Redazione – (21 Settembre 2024) – ci dice:
Non è
più il momento dei grandi proclami propagandistici, da ovunque provengano.
La
pazienza degli utenti dei vari social e delle persone comuni è davvero finita.
A
nessuno viene più permesso di raccontare frottole, perché i fatti che
caratterizzano la nostra quotidianità hanno ormai preso il sopravvento, e ci
danno un quadro chiaro di come stanno veramente le cose.
Dalle
questioni legate all’immigrazione selvaggia, e il disagio che provoca nelle
nostre città e le reazioni “fai da te” di sempre più cittadini, o dalla
propaganda della EU sulla guerra russo-ucraina, alla quale però pare evidente
che nessuno presti più ascolto e infatti la classe politica italiana ha fiutato
l’aria, per passare attraverso la rabbia di chi si è visto inondare la casa
dalle piene dei fiumi da un anno all’altro, e arrivare a non comprare manco
mezza auto elettrica perché le politiche green sono indigeste a tutti, fino ad
arrivare alle censure applicate dai social per tacciare i dissenso (e il
buonsenso) di chi poneva dubbi sui vaccini covid, che ormai si inoculano in ben
pochi, tutto alla fine ci parla di italiani che basta, non ne possono più e lo
dicono a chiare lettere, senza freni e in ogni modo possibile.
E così
si moltiplicano video di denuncia, di protesta, post sarcastici se non
aggressivi nei confronti di chi, ancora una volta, vorrebbe raccontare le cose
come NON stanno.
E
tutti con larghissimo seguito.
I
giornali, le televisioni caricano la dose di verità non dette, se non
addirittura di menzogne, seguendo tutti la stessa velina.
Vorrebbero distorcere i fatti, gli autorevoli
commentatori televisivi e del web.
Ma il risultato, ormai, va oltre la loro
previsione:
pochi
li ascoltano, molti li incalzano, taluni li insultano.
Le
persone comuni, quelle che davvero vivono le difficoltà del quotidiano, non
accettano più sermoni e predicozzi, e lasciano soli, nella loro torre d’avorio,
coloro che pretendono di avere la verità in tasca.
Si dimezza a dire poco la fiducia nei
confronti delle classi dirigenti di ogni settore, incapaci troppo spesso di un
pensiero che abbia concretezza e qualità.
La
reazione è sotto gli occhi di tutti:
le cosiddette fonti autorevoli, classe politica
compresa, vengono ormai quotidianamente sommerse da un gigantesco, liberatorio
e provvidenziale “Pernacchio” alla De Filippo, protagonista del celeberrimo
episodio dall’Oro di Napoli, film diretto da Vittorio de Sica nel 1954.
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