La guerra tra i padroni del mondo.

 



La guerra tra i padroni del mondo.

 

Il secondo tentativo di assassinio

 contro Trump: l’ombra di BlackRock

e la guerra dei Rothschild a Trump.

 

lacrunadellago.net – (Set. 19, 2024) - Cesare Sacchetti – ci dice

 

Stavolta la canna del fucile diretto contro Trump non si trovava sopra un tetto, e a tenerla in mano non c’era Thomas Crooks, l’aspirante assassino del presidente americano che cercò di uccidere Trump lo scorso luglio.

 

Stavolta la canna di un fucile era tenuta in mano da Ryan Reuth che si nascondeva in un cespuglio nel campo da golf nel quale il presidente avrebbe dovuto giocare una partita con due personaggi quali il miliardario di origini ebraiche Steve Witkoff e il commissario di polizia di New York, Bernard Kerik, che fu uno degli ufficiali del dipartimento newyorchese a ritrovare miracolosamente intatti i passaporti dei terroristi che si sarebbero schiantati con gli aerei sulle Torri Gemelle.

 

Trump avrebbe dovuto passare il pomeriggio della scorsa domenica con questi due personaggi e oggi ci si chiede da dove sia partita la soffiata che ha informato l’aspirante assassino Reuth sugli spostamenti del presidente e come abbia fatto a violare i protocolli di sicurezza che avrebbero dovuto impedire l’accesso al campo da golf ad estranei, e che, soprattutto, avrebbero dovuto impedire che una qualsiasi arma superasse quelle protezioni che avrebbero dovuto sulla carta esserci.

Soltanto dall’interno può essere partita questa informazione, e i diretti interessati sono o il servizio segreto che scortava Trump oppure, forse, quei due uomini in sua compagnia che non sembrano avere molto in comune con lui e i suoi propositi di restituire la sovranità perduta agli Stati Uniti d’America, ma invece sembrano appartenere a quei circoli che hanno dichiarato guerra a Trump.

 

Anche l’emittente MSNBC di proprietà di Vanguard e BlackRock, sempre presenti anche in questo secondo tentativo di omicidio come vedremo a breve, dovrebbe forse dare qualche spiegazione dato che loro erano lì a filmare Trump mentre giocava a golf, e non si comprende perché loro fossero proprio lì in quel momento.

I media, per qualche incredibile “coincidenza”, accorrono sempre quando qualcosa di grave potrebbe accadere a Trump, come accaduto a luglio quando la CNN si precipitò a riprendere il raduno del presidente nonostante prima non avesse mai mostrato particolare interesse a coprire questi eventi.

Stavolta, l’epilogo però è stato diverso da quello che abbiamo visto a Butler, in Pennsylvania. Il cecchino che si trovava ad una distanza di circa 300 metri da Trump non avrebbe nemmeno fatto in tempo a sparare con la sua arma, apparentemente un AK47, poiché gli agenti del servizio segreto hanno visto immediatamente la canna da fucile che usciva da un cespuglio e hanno fatto fuoco contro di essa.

Reuth, resosi conto, di essere stato scoperto si è dato alla fuga ma è stato arrestato subito dopo dalla polizia locale, e ora le autorità hanno in mano l’aspirante omicida che potrebbe aiutare a risalire alle vere trame del complotto che, come al solito, sembrano andare molto al di là di quelle che invece piacciano molto ai media che sono già impegnati a suonare lo spartito del pazzo solitario.

E’ un mondo di pazzi solitari e, casualmente, ognuno di questi ha un fucile e vuole fare fuoco contro Trump e mai, stranamente, contro Barack Obama, George Soros o uno dei vari esponenti dei club mondialisti che non fanno altro che gridare contro i presunti “odiatori”, quando costoro poi sono i primi ad allestire delle vere e proprie campagne di odio contro i loro avversari che non di rado sfociano nel terreno dell’apologia del regicidio, poiché chi è contro la governance mondiale agli occhi di questi ipocriti è un “tiranno”-

Siamo al solito capovolgimento della realtà e non dobbiamo stupirci se anche in questa occasione i media stanno provando a smorzare la portata dei gravissimi fatti di domenica.

Reuth: uomo della CIA e del Mossad?

 

L’uomo che voleva sparare a Trump non era infatti proprio un personaggio qualunque. Sui suoi profili social era molto attivo nel reclutamento di mercenari da trasportare in Ucraina, ed era stato persino citato e intervistato dai media mainstream americani come un punto di contatto per coloro che volevano andare a combattere al fianco dei nazisti ucraini.

Ryan Reuth intervistato da Newsweek nel 2022.

Non è questa un’attività che può fare un civile qualunque. Occorre l’assistenza della CIA, del MI6 e del Mossad, ovvero di quegli apparati di intelligence che si sono incaricati di aiutare Zelensky nei combattimenti contro la Russia, nel fornirgli quei mercenari che sono stati uccisi in gran quantità dalla Russia, come visto nell’ultimo bombardamento di Poltava, e nel dare a Zelensky anche quei consulenti militari sul campo che assistono il “presidente” ucraino nel conflitto contro Mosca.

C’è poi un fatto estremamente interessante che lega Reuth a Crooks e che sembra indicare come la matrice dei due attentati sia la stessa. Nelle movimentazioni dei conti correnti di Crooks, studente di BlackRock, è emerso che quest’ultimo aveva fatto dei pagamenti a favore di Reuth, e questo dimostra che probabilmente i due si conoscevano ed erano stati addestrati a sparare con ogni probabilità dalle stesse persone, legate anche queste presumibilmente a BlackRock.

Ci troviamo di fronte con ogni probabilità a degli assassini addestrati che vengono utilizzati da questo conglomerato finanziario globale per portare avanti le sue operazioni.

Non sono soltanto questi gli elementi, già molto significativi, che riconducono a BlackRock.

 

A luglio c’erano state già altre vistose anomalie prima dell’attentato a Trump.

I giorni precedenti l’attentato dal quale Trump è scampato per puro miracolo, c’erano stati dei movimenti molto inconsueti sui mercati, nei quali un fondo di investimenti, l’Austin Private Wealth, aveva piazzato delle scommesse al ribasso contro il titolo mediatico di Trump in borsa.

Sono le famigerate “put options” che erano state piazzate anche, sempre per una fortuita coincidenza, anche prima dell’11 settembre contro le compagnie aeree americane che poi saranno protagoniste degli eventi di quel giorno, a dimostrazione che la verità su quel colpo di Stato e su questi attentati non va cercata in qualche remota grotta dell’Afghanistan o a Teheran, come affermano ridicolmente i media nelle mani del movimento sionista, ma a New York, laddove sono concentrate le banche e gli istituti finanziari nelle mani di potenti famiglie di origini askenazite.

L’Austin Wealth non è anch’esso immune alla regola che riguarda gli altri importanti fondi di investimento internazionali, ed è la regola che ognuno di questi ha nel proprio azionariato BlackRock assieme ad un altro fondo,Vanguard, e i proprietari delle due società non sono rivelati.

Per risalire ad essi occorre infatti risalire a tutto il reticolato di corporation da queste possedute, nelle quali si trovano sempre gli stessi nomi dei Rothschild, dei Rockefeller, dei Warburg e dei DuPont.

La guerra che è in corso è questa. E’ una guerra per far sì che gli Stati Uniti tornino sotto il controllo di quei poteri finanziari che hanno sempre fermamente detenuto il potere in America assieme a quelle lobby sioniste quali l’AIPAC, che ha in mano il Congresso degli Stati Uniti, e l’altro pericoloso gruppo sionista messianico di Chabad che entrava nell’ufficio Ovale del presidente come se fosse casa sua, talmente è tanta l’arroganza di questi personaggi.

Esiste un filone disinformativo, in via di esaurimento ci pare, che ancora oggi, incredibilmente prova ad associare Trump a questi gruppi nonostante è del tutto evidente che sono questi ambienti a volere che Donald Trump non metta piede alla Casa Bianca.

La campagna disinformativa non fa altro che riproporre alla nausea la stessa immagine di Trump di fronte al muro del pianto a Gerusalemme e mostra poi le onorificenze sioniste che sono state date allo stesso Trump da alcuni gruppi sionisti oppure il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele.

 

Non si premurano però i disinformatori di spiegare che il presidente oltre alle dichiarazioni di stima formale nei riguardi dello stato ebraico non va, tanto da aver ordinato il ritiro delle truppe in Medio Oriente, oppure di spiegare che parte dell’ambasciata americana risulta essere ancora a Tel Aviv e il trasferimento non è mai stato completato come avrebbe dovuto.

Donald Trump non è chiaramente un altro George W. Bush, membro della società occulta Skulls & Bones, che mise a ferro e fuoco il Medio Oriente per compiacere i desiderata di una delle varie derivazioni della lobby sionista, i neocon, che avevano già nel 1997 partorito una strategia per rovesciare tutti quei Paesi considerati un pericolo per l’espansione dello stato ebraico, tra i quali c’erano, l’Iraq di Saddam, la Siria di Assad, attaccata dall’ISIS, legata a CIA e Mossad, e l’Iran, la grande ossessione del sionismo mondiale che vorrebbe scatenare una guerra a Teheran e trascinare il mondo in un conflitto mondiale che ricorda la nefasta “profezia” del massone Albert Pike a Mazzini.

Trump vanta un primato unico sotto la sua presidenza. Nessuna guerra in giro per il mondo. La dimensione guerrafondaia di Washington si è chiaramente esaurita sotto il suo mandato ma il presidente utilizza una strategia comunicativa per sottrarsi agli attacchi multipli del mondo ebraico.

Il magnate ha passato una vita a New York, una delle città più influenzate dall’ebraismo e conosce bene le differenti anime di questo mondo.

Astutamente si dichiara amico di una parte di esso, quello sionista messianico, per poi lanciare strali alla parte progressista sorosiana dall’anima più internazionalista, ma il presidente non è al servizio né dell’una, né dell’altra parte e se non lo si è compreso ora, dubitiamo che qualcuno possa farlo ancora in futuro.

Siamo evidentemente di fronte ad una sorta di eterno ritorno dell’uguale. Il presidente americano si trova nelle stesse condizioni nelle quali si trovavano i suoi illustri predecessori quali Abraham Lincoln e John Kennedy.

Lincoln attraverso la sua decisione di stampare direttamente moneta attraverso il Tesoro americano senza passare dalle banche private aveva sfidato il potere degli onnipresenti Rothschild che già nel 1861 erano diventati i veri signori della politica europea, seduti sulle loro ricchezze e sotto il fiume di sangue delle guerre da essi scatenate.

Kennedy, da par suo, aveva toccato la stessa sfera di interessi quando decise di sfidare la creatura dei Rothschild, lo stato ebraico, e chiedendo conto del programma nucleare israeliano che stava procedendo senza il consenso degli Stati Uniti e, che, ancora oggi, rappresenta una grava minaccia per l’intero Medio Oriente, dal momento che la leadership israeliana è composta da un manipolo di pericolosi esaltati sanguinari che vedono chiunque non sia ebreo come un insetto da schiacciare, in omaggio alle loro credenze talmudiche.

JFK Ben-Gurion

Kennedy e Ben Gurion che disprezzava fortemente il presidente americano.

Trump sta approdando nel territorio dove i suoi predecessori non erano mai riusciti ad approdare. Trump sta chiudendo il cerchio e sta trascinando l’America fuori da tale morsa, ma questo suo intento ha delle conseguenze devastanti per i signori del caos.

Non siamo nel 1861, quando gli Stati Uniti erano ancora una giovane nazione che si stava costruendo e nella quale c’era ancora l’epopea del vecchio West dove il confine si spostava di giorno in giorno sempre più a Occidente.

L’America oggi è una nazione matura. E’ l’architrave di tutta l’ordine liberale internazionale, o almeno lo era fino all’avvento di Trump nel 2016, anno nel quale è iniziata la separazione degli Stati Uniti dalla globalizzazione e dalla NATO.

Il Nuovo Ordine Mondiale aveva scelto l’America e la sua potenza per instaurare il governo unico mondiale che avrebbe dovuto esserci dopo la farsa pandemica, ma, come si è visto, sono troppe le potenze che si sono opposte a quel piano, provocandone l’inevitabile fallimento.

Siamo però alla fase finale. Siamo vicini alla chiusura del cerchio e coloro che hanno dominato il’900 e creato il culto olocaustico, che di fatto ha sostituito la fede in Cristo, non vogliono rassegnarsi alla fine del loro potere, e si giocano tutte le carte che hanno a disposizione.

 

I segnali poi che quella in corso è una battaglia spirituale appaiono sempre più evidenti.

Il 13 luglio, giorno del primo attentato del 2024, era il giorno nel quale la Madonna di Fatima comparve per la terza volta di fronte ai tre pastorelli.

Il 15 settembre era invece il giorno nel quale si ricordano i dolori patiti da Maria. A noi sembra di vedere in queste ricorrenze una mano mariana che accompagna Trump nel suo percorso e continua ad assisterlo in quanto lui rappresenta uno strumento per mettere fine una volta per tutte ad un potere massonico e nemico della cristianità che per troppo tempo ha oppresso l’Europa e gli Stati Uniti.

Sarà per questo che il presidente per la prima volta ha fatto gli auguri di compleanno alla Vergine nel giorno della sua Natività, l’8 settembre, fatto irrituale per un protestante che sulla carta non osserva il culto di Maria, ma che forse si sta avvicinando sempre di più al cattolicesimo.

I cospiratori hanno comunque, come si è visto, ancora una volta fallito e ora manca soltanto un mese e mezzo all’appuntamento elettorale del 4 novembre.

Le finestre per provare nuovi attentati sono sempre più ristrette e Trump sarà sempre più accorto nell’individuare coloro che lo hanno tradito.

Siamo alle battute finali. Il tempo è ormai agli sgoccioli e la paura di chi sta per perdere tutto sembra ormai avere esondato ogni fragile diga.

 

 

 

 

Il fondo Austin di BlackRock che

 aveva scommesso contro Trump:

Wall Street sapeva del piano

per uccidere il presidente?

 

Lacrunadellago.net – Cesare Sacchetti – (19/07/2024) – ci dice:

 

Se fossimo stati ai tempi dell’Antica Roma, avremmo detto a Donald Trump di guardarsi non dalle Idi di marzo che furono fatali a Giulio Cesare, ma piuttosto da quelle di luglio in quanto è nel corso di questa estate che ha avuto luogo un complotto persino più esteso di quello che si consumò a Roma contro Cesare nel 44 a.C.

Cesare si apprestava a diventare imperatore e un manipolo di senatori che erano ancora fedeli all’idea della corrotta repubblica romana del tempo non volevano che ciò si avverasse e iniziarono a tramare contro il dictator romano.

Se a dare le prime pugnalate tra i congiurati romani furono i famigerati Bruto e Cassio passati alla storia anche per il celebre dramma shakespeariano sull’assassinio di Cesare, in questo caso invece le trame dell’eversione moderna negli Stati Uniti sembrano essere persino più estese e profonde di quelle che portarono all’assassinio del presidente Kennedy del quale abbiamo recentemente parlato.

Abbiamo potuto vedere come il percorso del presidente Trump sia molto simile a quello dell’allora presidente democratico, in quanto John Fitzgerald Kennedy era alquanto determinato a non lasciare le chiavi della politica estera americana allo stato di Israele, vero arbitro di Washington dall’inizio del secolo scorso sino agli anni più recenti precedenti l’amministrazione Trump.

Kennedy aveva intorno a sé dei nemici che lo tradirono a Dallas e lo lasciarono giustiziare pubblicamente in modo da voler mandare un messaggio a tutti i successori che si insediarono alla Casa Bianca negli anni successivi che mai osarono discostarsi dalla volontà del movimento sionista, con l’unica eccezione di Richard Nixon negli anni’70, il quale parlò della infedeltà del mondo ebraico nei suoi confronti per poi essere travolto dalla montatura del Watergate allestita dal suo segretario di Stato, Henry Kissinger.

In questa occasione i segnali della cospirazione sembrano essere ancora più evidenti se si dà uno sguardo a quanto accaduto prima del tentato assassinio a Donald Trump.

Quei fondi vicini a BlackRock che scommettevano contro Trump prima del tentato omicidio

E se si guarda a tali segnali si vede che diversi soggetti sapevano che il 13 luglio qualcosa di estremamente grave sarebbe potuto accadere a Donald Trump, e questi uomini si sono adoperati anche per speculare sui crimini da essi stessi perpetrati.

Alcuni profili di X molto attenti al mondo dell’economia e della finanza hanno fatto notare come nelle due settimane precedenti l’attentato a Trump, c’erano degli strani e irrituali movimenti speculativi contro il titolo del gruppo mediatico di Trump, il Trump Media & Technology group.

Erano partite delle massicce vendite al ribasso contro il titolo del presidente in una enorme movimentazione di quelle note nel gergo borsistico come “put options” che altro non sono che appunto delle scommesse sulla perdita di un valore di un titolo in borsa.

Ai tempi dell’11 settembre, si mise in moto un meccanismo pressoché identico. Sui mercati in quell’epoca diversi speculatori, la cui identità non fu mai cercata dall’amministrazione Bush né dall’FBI, iniziarono a scommettere al ribasso contro i titoli delle compagnie aeree coinvolte negli attentati di quel tragico giorno settimane prima che gli attacchi alle Torri avessero luogo.

Qualcuno evidentemente sapeva, e questo qualcuno era molto introdotto nel mondo di Wall Street dominato notoriamente dai “grandi” nomi della finanza askenazita quali Goldman Sachs, JP Morgan, Bank of America, Warburg e diverse altre banche sempre legate alla onnipresente famiglia Rothschild che si serve di frequente di agenti e di intermediari, spesso noti come le classiche teste di legno o prestanome, per non figurare direttamente tra i proprietari di tutte le grosse banche che contano e osservare la massima che lasciò il capostipite della famiglia Amschel Mayer ai suoi figli.

Mai rivelare al mondo esterno la vera natura e proporzione della ricchezza della famiglia. Mai far sapere che questa famiglia in un modo o nell’altro attraverso i suoi fondi riesce ad arrivare ovunque e costituisce un potere economico e finanziario di gran lunga superiore a quello di una moderna nazione avanzata.

Le chiavi del potere dopo la rivoluzione francese sono passate dalle monarchie alla finanza, e i lettori potranno avere modo di riflettere su chi, a distanza di due secoli e mezzo, siano stati i veri vincitori del processo rivoluzionario francese.

Oggi si fa i conti con una rivisitazione di quanto accaduto 23 anni prima, a poche settimane dal crollo delle Torri Gemelli.

Gli stessi invisibili soggetti si sono mossi per speculare e guadagnare enormi cifre da un evento del quale non solo avevano contezza in anticipo, ma che con ogni probabilità è stato da loro stessi propiziato.

Stavolta lo speculatore ha assunto le forme di un fondo del Texas, l’Austin Private Wealth, che ha piazzato un altissimo numero di scommesse contro il titolo di Trump, ben 120mila opzioni put in quella che è stata indubbiamente una enorme puntata per beneficiare di un eventuale crollo delle azioni della società mediatica del presidente americano.

I fondi che hanno scommesso contro il titolo di Trump. Da notare come Bloomberg abbia nelle ore successive rimosso il nome del fondo Austin

Se si dà uno sguardo all’Austin Private Wealth si apprendono alcune interessanti informazioni. Questo fondo è di fatto un’altra degli infiniti scatoloni cinesi nei quali è riposta la ricchezza dell’accoppiata BlackRock e Vanguard nei quali, come ricorderanno i lettori, ci siamo imbattuti in non poche occasioni.

 

Se volessimo cercare di risalire ai veri proprietari di questi due fondi dovremo cercare di risalire al filo di Arianna della liquidità messa in essi, ed è una operazione che dobbiamo fare da soli poiché i proprietari ufficialmente non sono resi noti dai due gruppi a dimostrazione di quanto sia “trasparente” e “libero” il mercato partorito dalla dottrina neoliberale, vero e proprio vestito su misura per la oligarchia finanziaria che domina l’epoca moderna.

Una volta fatta questa operazione e scomposta la partecipazione dei fondi, si vedono sempre, e ancora una volta, i nomi di quei finanzieri che abbiamo citato sopra e che sono stati i veri padroni della politica americana ed europea e che hanno lasciato dietro di sé un fiume di innumerevoli guerre pur di raggiungere i loro scopi.

Questi signori hanno bisogno di guerre e di sangue per poter giungere al loro scopo e soprattutto hanno bisogno di crisi artificiali, si ricordi la massima montiana al riguardo, per poter vedere manifestato quello che costoro chiamano Nuovo Ordine Mondiale, una espressione partorita nel chiuso delle logge già ai tempi dell’illuminismo francese, a dimostrazione di quanto sia antica tale visione.

Stavolta a costoro serviva rimuovere un ostacolo insormontabile come quello rappresentato da Donald Trump che ha tolto loro il controllo della Casa Bianca e che ha reso impossibile l’ultimarsi di tale disegno che senza la superpotenza americana diventa semplicemente irrealizzabile.

Il mondialismo si ritrova stritolato tra gli Stati Uniti post-impero e l’avanzata del mondo multipolare guidato dalla Russia e l’ultima chance che avevano questi poteri era di cercare di mettere di nuovo dentro l’ufficio Ovale qualcuno che ricostruisse gli “equilibri” del passato e fermasse il processo storico che si è messo in moto soprattutto dopo il fallimento della farsa pandemica, che avrebbe dovuto essere l’evento catalizzatore finale, una sorta di 11 settembre mondiale, per portare il mondo verso la dittatura mondiale o la governance globale come amano chiamarla i tecnocrati.

Se ci soffermiamo a guardare più attentamente il fondo Austin poi non solo troviamo la presenza dei citati BlackRock e Vanguard, ma anche una alquanto stretta vicinanza con alcune note associazioni del mondo ebraico quali la Congregation Beth Israel guidata dal rabbino Philip Kaplan, la American Civil Liberty Union, nella quale la presenza degli americani ebrei è molto radicata da sempre ed è stata dominata da figure come l’avvocato Steven Shapiro e Nadine Strassen, il campo estivo Young Judea, giovane Giudea, dove ogni estate si insegna ai giovani adolescenti americani di origine ebraica l’amore per Israele, la Shalom Austin, uno dei luoghi più importanti per la comunità ebraica di Austin, in Texas, alle quali si aggiungono la Austin Jewish Academy, una scuola ebraica e la Anti-defamation League, fondata nel 1913 dall’ebreo Sigmund G. Livingston per combattere il fenomeno del cosiddetto “antisemitismo”, e questa associazione ha reputazione di essere un vero e proprio censore nella vita pubblica americana, sempre pronta a definire come “antisemita” chiunque esprima critiche nei confronti dello stato ebraico.

 

 

 

 

Libano: Otto Morti e Migliaia di

Feriti nell’Esplosione dei Cercapersone.

Conoscenzealconfine.it – (18 Settembre 2024) – redazione – Sadefensa.com – ci dice:

Secondo quanto riferito, l’ambasciatore iraniano a Beirut è tra le numerose persone rimaste mutilate o morte dopo che migliaia di cercapersone tascabili sono esplosi simultaneamente.

Martedì, in tutto il Libano, sono state uccise otto persone e 3.000 sono rimaste ferite quando i loro cercapersone sono esplosi, hanno riferito i media locali. Il gruppo militante libanese Hezbollah ha dichiarato che centinaia dei suoi membri sono stati colpiti dall’incidente e sta incolpando Israele. Gerusalemme Ovest non ha commentato gli sviluppi.

Le persone sarebbero state colpite soprattutto nella periferia sud della capitale del paese, Beirut, un’area considerata una roccaforte di Hezbollah, così come nell’est e nel sud del paese. Più di 2.800 persone sono rimaste ferite nelle detonazioni, che hanno ucciso otto persone, tra cui un bambino, ha riferito l’agenzia di stampa Al Manar, citando il ministro della Salute libanese Firas Abiad.

Abiad ha confermato il numero di feriti in tutto il Paese. Il suo ministero ha anche messo in allerta gli ospedali e ha detto loro di essere pronti a rispondere alle emergenze sanitarie, ha detto Al Manar. A tutti gli specialisti sanitari è stato anche chiesto di “andare nei loro luoghi di lavoro”, ha riferito l’emittente digitale Naharnet.

Anche l’ambasciatore iraniano a Beirut, Mojtaba Amani, sarebbe rimasto ferito nell’esplosione di un cercapersone, ha riferito l’agenzia di stampa iraniana Mehr. Il diplomatico, che avrebbe riportato ferite lievi, è stato ricoverato in ospedale. Si ritiene che altri due membri dello staff dell’ambasciata siano rimasti colpiti dalla serie di detonazioni.

Sui social media sono comparse foto e video di persone in tutto il Libano con i loro cercapersone che esplodono nelle tasche e nelle mani. Alcune clip mostrano anche persone ferite che vengono curate in un ospedale.

Hezbollah ha definito gli incidenti “la più grande violazione della sicurezza” in quasi un anno e ne ha attribuito la colpa a Israele. Il gruppo è passato dall’uso degli smartphone ai cercapersone nelle sue comunicazioni, dopo lo scoppio di un conflitto tra Gerusalemme Ovest e Gaza l’anno scorso, a causa delle preoccupazioni circa il potenziale hackeraggio dei dispositivi da parte di Israele.

Il gruppo militante e l’esercito israeliano si scambiano attacchi da quasi un anno, mentre Hezbollah sostiene il gruppo militante Hamas con sede a Gaza nel suo conflitto. Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno anche colpito obiettivi in ​​Libano, uccidendo diversi alti ufficiali di Hezbollah, tra cui Fuad Shukr, che è stato colpito in un attacco aereo a Beirut a fine luglio.

I funzionari israeliani avrebbero minacciato Hezbollah con una risposta militare devastante in caso di ulteriore escalation. L’Iran ha  poi minacciato Israele con “una guerra annientatrice” se attaccasse il Libano. Mentre Hezbollah ha lanciato un duro avvertimento la scorsa settimana, avvertendo che una guerra totale avrebbe portato a “grandi perdite da entrambe le parti” e a più rifugiati.

(sadefenza.blogspot.com/2024/09/lbano-otto-morti-e-migliaia-di-feriti.html)

 

L’Intelligence Russa Dice che l’Ucraina

Pianifica un Attacco False-Flag “Disumano.”

Conoscenzealconfine.it – (19 Settembre 2024) – Redazione – Renovatio21.com – ci dice:

 

Kiev starebbe preparando un’operazione sotto falsa bandiera, in cui un ospedale pediatrico o un asilo potrebbero essere colpiti da un presunto attacco missilistico russo, ha affermato il Servizio di Intelligence estero russo (SVR).

 

La “provocazione disumana” sarebbe orchestrata dai leader dell’Intelligence ucraina e dall’esercito su consiglio dei “gestori statunitensi”, ha affermato la dichiarazione dei servizi russi lunedì.

L’obiettivo sarebbe causare un gran numero di vittime e pubblicizzare l’evento attraverso i media internazionali, ha aggiunto l’agenzia.

Kiev spera che il suo piano aiuti a giustificare attacchi a lungo raggio con armi occidentali nel profondo della Russia, ritiene l’SVR.

Gli Stati Uniti userebbero quindi l’incidente per aumentare la pressione su Iran e Corea del Nord per aver presumibilmente fornito missili balistici alla Russia, ha affermato l’agenzia di spionaggio.

L’8 luglio, Kiev ha accusato Mosca di aver deliberatamente preso di mira l’ospedale pediatrico “Okhmatdet” nel centro di Kiev durante un bombardamento missilistico su larga scala.

 Il ministro degli Interni “Igor Klimenko” ha riferito che due adulti sono stati uccisi nell’incidente e 32 persone, tra cui bambini, sono rimaste ferite.

Mosca ha negato le accuse ucraine, ribadendo che non prende mai di mira strutture civili.

L’esercito russo ha suggerito che la colpa fosse degli operatori della difesa aerea ucraina.

Il portavoce del Cremlino “Dmitrij Peskov” aveva detto all’epoca che Kiev stava usando la tragedia per enfatizzare la partecipazione del leader ucraino “Volodymyr Zelens’kyj “al summit NATO negli Stati Uniti.

 Ha sottolineato un modello di incidenti di alto profilo, simili all’attentato di “Okhmatdet”, che si verificano prima degli incontri di Zelensky con alti funzionari stranieri.

“La cricca di Zelens’kyj ignora le vite dei bambini ucraini che mette in pericolo”, ha affermato l’SVR.

 Ha citato una serie di “provocazioni sanguinose” nel corso del conflitto, aggiungendo che dopo quelle, “poche persone al mondo credono che Mosca sia ‘insidiosa’ e Kiev sia ‘innocente’ “.

Secondo quanto riportato, “Zelens’kyj” sarebbe pronto a recarsi negli Stati Uniti per incontrare il presidente “Joe Biden” e i due candidati presidenziali per le elezioni di novembre, la vicepresidente Kamala Harris e l’ex presidente Donald Trump.

Intende condividere con loro il suo cosiddetto “piano della vittoria”, una tabella di marcia in quattro punti che, a suo avviso, consentirà all’Ucraina di porre fine al conflitto con la Russia alle sue condizioni.

Il continuo supporto militare degli Stati Uniti e il permesso di condurre attacchi in profondità all’interno della Russia con armi occidentali sono considerati cruciali per il suo piano.

In un discorso della scorsa settimana di inusitata durezza, il presidente russo Vladimir Putin ha avvertito che Mosca considererà tali attacchi come un’aggressione diretta da parte dei membri della NATO e reagirà di conseguenza. Mosca considera il conflitto in Ucraina una guerra per procura guidata dagli Stati Uniti contro la Russia.

Come riportato da “Renovatio 21”, durante il conflitto Mosca ha altre volte accusato Kiev di preparare attacchi sotto falsa bandiera anche con armi chimiche o con una cosiddetta “bomba sporca“.

(renovatio21.com/lintelligence-russa-dice-che-lucraina-pianifica-un-attacco-false-flag-disumano/)

 

 

 

 

Le esplosioni dei cercapersone

 di Hezbollah e l’insita natura

terroristica dello stato di Israele.

Lacrunadellago.net – (19/09/2024) – Cesare Sacchetti – ci dice:

 

Si credeva che tutto fosse finito l’altro ieri, quando hanno iniziato a scorrere immagini di uomini di Hezbollah mutilati o gravemente feriti dalle esplosioni dei loro cercapersone da remoto.

Invece ieri pomeriggio c’è stata una seconda parte di quello che si può definire come uno degli attacchi terroristici più infami della storia di Israele.

Sono esplosi altri apparecchi elettronici mentre si stavano celebrando i funerali di coloro che avevano perso la vita lo scorso martedì.

Al solito, lo stato ebraico non conferma né smentisce di aver orchestrato questo attacco, ma di indiziati che avevano la capacità e le motivazioni di commettere un simile atto, non ce ne sono altri, tranne Tel Aviv.

Sono già morte 18 persone, e più di 2mila risultano ferite, e non sono affatto tutti appartenenti al partito armato di Hezbollah, la resistenza libanese che si è formata nel 1985 dopo che Israele invase il Libano 3 anni prima e continuò ad occuparlo fino al 2000, quando le truppe sioniste si ritirarono dopo l’accordo stipulato con le Nazioni Unite.

La natura di Israele non è certo quella di vivere in pace con i propri vicini. Israele, dovrebbe essere abbastanza chiaro a questo punto, non nasce per dare agli ebrei una casa che serva a mettere al repentaglio gli ebrei nel mondo da eventuali persecuzioni.

Israele è molto di più di questo. Israele è dominio, imperialismo e “sogno” di costruire da questa terra un impero che si imponga su altre nazioni.

Non c’è la falsa e ipocrita necessità di aiutare gli ebrei che all’inizio dell’900 non ne volevano sapere di trasferirsi in una terra, quella della Palestina, che non era loro e con la quale non avevano più alcun legame da tempo, se mai effettivamente ce lo hanno avuto.

Sì, perché larga parte degli ebrei oggi non è più la stessa di 2000 anni fa, e ciò vuol dire che l’ebreo che visse ai tempi di Cristo non è geneticamente lo stesso di oggi.

A dirlo è stato, tra gli altri, un genetista israeliano, “Eran Elhaik,” che nella sua ricerca ha dimostrato la validità della tesi Kazaca sostenuta dallo scrittore e storico di origini ebraiche, “Arthur Koestler”, che nella sua opera, oggi un classico, intitolata “La tredicesima tribù”, sostenne che gli ebrei oggi non sono altro che i casari vissuti in Europa Orientale ai tempi del re Bulano, nel VIII secolo d.C., che impose il giudaismo come religione al suo popolo soltanto per meri motivi di opportunità e non perché animati da un qualche sincero interesse per il talmudismo.

 

 

E’ Arthur Koestler, il primo ricercatore moderno a ipotizzare che gli ebrei siano originari del regno di Khazaria.

Gli ebrei che sono ancora parzialmente gli stessi da un punto di vista genetico di quelli di 2000 anni fa sono i sefarditi che dopo i secoli successivi si dispersero in Medio Oriente e in Europa, in particolare nella penisola Iberica, dove diedero assistenza agli invasori islamici che invasero e dominarono la Spagna per diversi secoli.

Il terrorismo e la violenza scorrono nelle vene di Israele non da oggi, ma da quando il suo padre putativo, “Theodor Herz”l, scrisse alla fine del’800 il suo famoso saggio “Lo stato ebraico” che può essere considerato come il primo vero atto di fondazione del movimento sionista mondiale.

Già in quell’epoca fervevano ai piani alti della finanza ebraica i propositi di costruire uno stato ebraico in Palestina e i primi a mettere a disposizione i fondi necessari per raggiungere una simile impresa sono stati gli onnipresenti banchieri che hanno dominato la vita politica europea dalla rivoluzione francese innanzi, ovvero i Rothschild.

 

Il primo congresso sionista mondiale non si sarebbe potuto tenere senza il contributo di “Edmond James de Rothschild” che ancora oggi nel mondo sionista viene chiamato “benefattore” talmente importante è stato il suo ruolo nel porre i primi mattoni del futuro stato di Israele.

 

Nulla è cambiato al tempo della prima guerra mondiale, quando il ministro degli Esteri britannico, “Balfour”, dava vita alla sua celebre dichiarazione nel 1917 nella quale si impegnava con Lord Rothschild  per far sì che la Gran Bretagna diventasse la garante del piano sionista e che la Palestina fosse strappata dalle mani dell’Impero ottomano in via di dismissione, per essere consegnata invece agli ebrei sionisti.

Il tributo di sangue è stato enorme.

C’è stato certamente quello della prima e della seconda guerra mondiale, senza le quali qualsiasi proposito di costruire uno stato ebraico sarebbe stato impensabile e irrealizzabile, poiché questi due eventi di proporzioni mondiali hanno prima consentito alla Palestina di passare sotto il mandato britannico, e poi hanno infine permesso di costruire lo stato di Israele dopo le persecuzioni inflitte da Hitler contro gli ebrei tedeschi, i quali se si rifiutavano di adempiere alle disposizioni del famigerato trattato “Bavara” firmato dai nazisti con il movimento sionista, venivano deportati nei campi di concentramento.

 

A dare al futuro stato ebraico la popolazione di cui aveva bisogno è stato proprio il “fuhrer “che attraverso questo accordo acconsentiva a trasferire gli ebrei in Palestina, e a dare anche ingenti finanziamenti ai coloni sionisti che volevano insediarsi lì per costruire la nazione di Israele.

A chi non conosce la storia potrà apparire un paradosso, ma è così.

Adolf Hitler, l’uomo che ha inflitto agli ebrei tedeschi le sue pene, è quello al quale il sionismo deve più di tutti, e sono persino intellettuali ebrei a riconoscere che, senza di lui, Israele non avrebbe mai visto la luce.

Gli ebrei che migravano in Palestina avevano in tasca questo documento che gli consentiva di recuperare le proprie proprietà in Germania.

Gli stretti rapporti tra sionismo e nazismo rivelano come questa sacrilega alleanza nata nel 1933, subito dopo l’insediamento di Hitler al potere, non sia mai morta, e ciò dimostra, ancora una volta, come i due fenomeni politici siano due facce della stessa medaglia, soprattutto alla luce di quanto avviene in Ucraina, nella quale ancora oggi è possibile vedere come Israele sia schierata a fianco del regime nazista, al quale i vari rabbini non mancano di fare avere la loro benedizione.

La narrazione liberale si dimostra completamente fallace e mendace anche sotto questo profilo.

 Questa vuole descrivere i nazisti come i più acerrimi nemici del sionismo, mentre vediamo come in realtà questi due movimenti siano strettamente alleati e agiscano per il raggiungimento di comuni fini.

La natura terrorista del sionismo.

Il sionismo però non ha versato soltanto il sangue delle guerre mondiali ma anche quello dei civili innocenti che vivevano in Palestina negli anni’30.

All’epoca erano attive molte falangi terroristiche quali quella più famigerata dell’”Irgun” di “Menachem Begin”, responsabile di numerosi massacri di civili, e quella dell’”Haganah” di Ben Gurion, che la storiografia liberale ama descrivere come “moderata” quando essa ha preso parte a sua volta ad altri agguati terroristici.

C’è una lunga lista dalla quale attingere per comprendere quale sia la filosofia del terrore che ha sempre governato gli uomini del sionismo.

Ne vediamo un esempio nel 1937, quando l’Irgun uccideva 18 civili palestinesi nel mercato di Haifa facendo esplodere una bomba, o nel 1939, quando l’”Haganah” di Ben Gurion a Balad Al-Shaykh rapiva e uccideva 5 civili innocenti.

Nulla fermava i due uomini animati dalla stessa feroce e irrefrenabile volontà sanguinaria e disumana di costruire Israele ad ogni costo, senza curarsi minimamente della vita dei palestinesi e di tutti coloro che non erano ebrei, che nella filosofia talmudica vengono appellati “goyim,” che sta per “bestie”, a dimostrazione che le prese di posizione del nazismo sulla superiorità di una razza su un’altra non sono affatto diverse dalle parti del sionismo che però assegna lo scettro invece agli ebrei.

La scia di sangue è proseguita anche negli anni successivi.

Ben Gurion e Menachem Begin non hanno infatti concluso la loro carriera di terroristi dopo la seconda guerra, ma anzi, se possibile, hanno ancora più alzato il tiro quando commetteva un’altra famigerata strage al” King David Hotel” di Gerusalemme nel 1946, allora utilizzato dagli inglesi come sede diplomatica in Palestina, e nel quale fu fatta esplodere una bomba.

Menachem Begin e Ben Gurion.

Il sionismo non voleva più aspettare. Voleva che gli inglesi si togliessero dai piedi e che nascesse lo stato ebraico da loro tanto atteso.

Il massacro quel giorno fu enorme. Vennero uccise 91 persone e larga parte di queste nemmeno nulla avevano a che fare con la Gran Bretagna, in quanto erano personale dell’albergo o semplici clienti che alloggiavano nella struttura, ma questo agli esponenti del sionismo non importava poi molto.

Una vita umana, se non è ebrea, non vale nulla e allora la carneficina è un mezzo più che accettabile se questa serve a raggiungere gli scopi del sionismo mondiale.

 

Ne sa qualcosa il conte “Folke Bernadotte”, il mediatore delle Nazioni Unite, che finì crivellato nel settembre del 1948 dai colpi dei tagliagole di un altro gruppo terrorista, il “Lehi”, noto anche come “banda Stern”, che aveva a sua volta cercato di stabilire un’alleanza con la Germania nazista, a dimostrazione, nuovamente, che i legami tra sionismo e nazismo sono davvero profondi.

 

Ancora oggi però, come si accennava prima,  alcuni storici amano mettere in contrapposizione le figure di Ben Gurion e di Menachem Begin, quando in realtà essi marciavano per lo stesso obiettivo e avevano una funzione complementare, ovvero quella di mostrare al mondo una presunta faccia più conciliante e “umana” del sionismo che invece doveva tenere a bada l’ala più estrema.

Ben Gurion in questa caratterizzazione viene considerato il leader della sinistra sionista, mentre Begin, che divenne primo ministro di Israele, è il padre del “Likud”, oggi capeggiato da Netanyahu.

Questa narrazione però tace sui massacri compiuti da Ben Gurion e pretende di far credere che il leader sionista avesse un animo da diplomatico, quando era anch’egli, come Begin, un terrorista che non esitava a uccidere innocenti pur di servire gli interessi di Israele.

Israele, come si vede, è sempre stata dal primo momento guidata da una leadership di terroristi.

“Ben Gurion” che soltanto due anni prima faceva massacrare i civili innocenti del “King David Hotel “diveniva il primo premier dello stato ebraico nel 1948, ed è considerato uno dei padri fondatori di Israele.

Israele è stata concepita nel sangue sin dal principio, e i suoi leader sono stati allattati al seno del terrorismo sin dai primi istanti nei quali i coloni ebrei si sono insediati in una terra che non era la loro.

Nulla cambia nemmeno nei primi anni di esistenza in vita dello stato ebraico. Nel 1953, l’allora comandante dell’unità 101 delle forze armate israeliane, Ariel Sharon, massacrerà civili innocenti nel villaggio palestinese di Qibya, nel quale verranno uccisi 69 civili palestinesi dopo aver fatto esplodere le loro case.

“Ariel Sharon” diverrà poi primo ministro di Israele di Israele nel 2001, in quella che sembra essere una tipica consuetudine dello stato di Israele.

Il terrorista in Israele dismette frequentemente i suoi panni e indossa quelli dello statista o del politico di professione, a dimostrazione che la classe politica israeliana è composta in larga parte da killer di professione, che non hanno rispetto alcuno per la vita umana, non di rado nemmeno quella degli israeliani, quando questi servono a raggiungere i più “alti” fini del movimento sionista mondiale.

 

Oggi di conseguenza, non vediamo altro quella che è sempre stata l’anima originaria ed autentica del sionismo.

 Stiamo vedendo un movimento che disprezza la vita umana, che non vuole coesistere con nessuno pacificamente e che considera nemici tutti coloro che non vogliono essere schiavi dello stato ebraico.

Israele, però, non gode più dell’appoggio incondizionato della potenza americana che gli ha consentito di esistere e che ha messo a ferro e fuoco il Medio Oriente per suo conto.

Washington è stata per larga parte dell’900 un’appendice dello stato ebraico e le lobby che l’hanno fatto da padrona negli Stati Uniti sono state certamente quelle del sionismo, rappresentate da gruppi quali l’”AIPAC”,” Chabad” e i” neocon”.

Sono stati loro a dettare la politica estera degli Stati Uniti che sono piombati nei Paesi arabi e hanno iniziato a rovesciare quei governi giudicati “ostili” da Israele e di intralcio al movimento sionista, come accaduto a Saddam Hussein e a Muammar Gheddafi, che già decenni prima diede proprio alla televisione italiana, una lezione su quali sono i veri fini del sionismo e come esso abbia sin dal principio colonizzato una terra, la Palestina, che non è la loro.

Il sionismo e il desiderio di ricostruire il tempio.

Alcuni però si chiedono perché il sionismo e i suoi padri fondatori volevano a tutti i costi insediarsi in quelle aride zone del mondo, e non, ad esempio, in altri luoghi che pur il congresso sionista mondiale aveva considerato.

Gerusalemme è solo in Palestina.

Il sionismo ha bisogno di questa città perché insegue il folle proposito di ricostruire il secondo tempio distrutto qui dai romani ai tempi di Tito, nel 70 d.C.,  e incoronare lì quello che “Chabad “chiama il “moschiach” ebraico, l’uomo che in questa religione dovrà governare Israele e il mondo intero.

L’istituto “Temple Institute” è stato creato appositamente per perorare la causa della ricostruzione del tempio, tanto che ai bambini israeliani sin dai primi anni di vita, viene insegnato che questa è la causa “buona e giusta” alla quale loro devono aspirare.

“Chabad Lubavitch”, uno dei gruppi sionisti più potenti del mondo e riverito da politici di tutto il mondo, nel suo sito ufficiale è ancora più esplicita.

Il “sionismo messianico” attende questa figura per erigere quello che viene chiamato come “Nuovo Ordine Mondiale”, del quale Israele è un pezzo fondamentale.

Non siamo però vicini ad un trionfo ed un avvento di questa figura.

Non siamo vicini ad una fine delle nazioni e ad una nascita di questo supergoverno mondiale che avrebbe dovuto vedere la luce dopo la farsa pandemica.

Siamo al crepuscolo, se non già al tramonto, di questo delirio di onnipotenza e della “Grande Israele “che l’ala sionista messianica del “Likud” di Netanyahu vorrebbe veder nascere.

Ciò non cambia la intrinseca violenza che connatura lo stato ebraico che fino all’ultimo istante sparge sangue e cerca di istigare conflitti nei vari Paesi arabi.

L’attentato con i telefonini esplosivi è l’espressione della irredimibile natura terroristica israeliana che come il lupo perde il pelo, ma non il vizio di uccidere indiscriminatamente chiunque si metta sulla sua strada.

Stavolta però non siamo più nel XX secolo e non c’è l’impero americano a correre in soccorso dello stato ebraico.

Israele a questo giro è sola, ed è difficile pensare che Hezbollah se ne resti con le mani in mano dopo questo infame attacco, così com’è difficile pensare che l’Iran possa ancora rimandare ulteriormente la sua annunciata seconda controffensiva.

Lo stato ebraico non sembra curarsi minimamente delle conseguenze e della spirale autodistruttiva che ha innescato.

La volontà di potenza sionista sembra prevalere su qualsiasi logica.

Soltanto un ritorno alla realtà potrà far risvegliare taluni dalla loro follia sanguinaria e imperialista, e non crediamo che questo ritorno tarderà a manifestarsi.

 

 

I preparativi di guerra si accumulano

dopo 9 morti, 2700+ feriti nell'attacco

di Israele contro Hezbollah.

 Zerohedge.com - Tyler Durden – (18 settembre 2024) – ci dice:

 

Aggiornamento (1445ET): I dati ufficiali del Ministero della Sanità libanese dicono che nove persone sono state uccise nelle esplosioni simultanee del cercapersone, tra cui una ragazza, e circa 2.750 feriti.

Il governo libanese ha identificato "l'aggressione israeliana" come responsabile dell'attacco, mentre Hezbollah afferma di ritenere Israele "pienamente responsabile".

 Israele non ha ancora rilasciato un commento ufficiale, ma ci sono diversi rapporti dalla regione che i preparativi di guerra sono in corso.

Ci sono notizie di bombardamenti serali israeliani sulle posizioni di Hezbollah nel sud del Libano.

Il canale israeliano “Channel 14” riferisce che "alti funzionari militari israeliani si stanno preparando per una terza guerra di Hezbollah che dovrebbe iniziare quasi immediatamente".

 Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha detto che gli Stati Uniti "non erano a conoscenza di questa operazione e non erano coinvolti" nell'attacco. L'amministrazione Biden afferma che sta "ancora raccogliendo informazioni".

 

Il “WSJ” ha offerto alcuni dettagli iniziali sul sofisticato attacco, che libanesi e arabi hanno condannato come un grave "attacco terroristico".

 "I cercapersone interessati provenivano da una nuova spedizione che il gruppo ha ricevuto nei giorni scorsi, hanno detto persone che hanno familiarità con la questione", scrive il WSJ.

"Un funzionario di Hezbollah ha detto che centinaia di combattenti avevano tali dispositivi, ipotizzando che il malware possa aver causato l'esplosione dei dispositivi.

 Il funzionario ha detto che alcune persone hanno sentito i cercapersone riscaldarsi e li hanno smaltiti prima che scoppiassero.

E ancora: "Hezbollah ha detto che un certo numero di cercapersone trasportati dai suoi membri sono esplosi contemporaneamente alle 15:30.

Non è stato possibile determinare immediatamente cosa abbia causato le esplosioni, che sono state sparse in tutto il paese in diverse aree in cui Hezbollah ha una forte presenza".

I media israeliani dicono che il “Mossad” ha truccato le batterie dei cercapersone di una spedizione che è stata importata cinque mesi fa:

L'agenzia di spionaggio israeliana ha piazzato una quantità di “PETN”, un materiale altamente esplosivo, sulle batterie degli ordigni e le ha fatte esplodere aumentando la temperatura delle batterie da lontano, dice la fonte.

Ci sono rapporti iniziali secondo cui più compagnie aeree europee hanno iniziato a cancellare i voli per il Libano e Israele in mezzo a più titoli di piani di guerra.

 Le scuole e le università libanesi hanno annunciato chiusure diffuse domani. Nel frattempo, l'amministrazione americana sembra stare a guardare.

La guerra sembra imminente.

Aggiornamento (1050ET): Un testimone oculare dice ad Al Jazeera: "Ci sono più di 400 uomini qui. I loro cercapersone sono esplosi, quelli che usano per comunicare". Ci sono resoconti dei media regionali libanesi di oltre 1.200 operativi di Hezbollah feriti.

“Reuters” conferma che l'ambasciatore iraniano in Libano “Mojtaba Amani” è tra i feriti nella serie di esplosioni di cercapersone, sulla base di un rapporto dell'agenzia di stampa iraniana “Mehr”.

 I rapporti successivi dicono che è stato ferito solo leggermente.

Alcune delle esplosioni sono avvenute anche in Siria, dicono i rapporti.

Ci sono notizie di morti civili a Beirut, compresi bambini. Alcune delle esplosioni sono avvenute all'interno delle case, dove i cercapersone erano su scaffali o comodini.

 

Un corrispondente di “Al Jazeera” scrive: "Stiamo parlando di centinaia di membri del gruppo negli ospedali. Stiamo vedendo video online di ferite alle braccia, alle gambe, persino al viso". Il ministero della Salute libanese sta esortando medici e infermieri a correre negli ospedali a sud di Beirut in mezzo a una carenza. “Reuters” riferisce che tra gli uccisi confermati c'è il figlio di un membro del Parlamento di Hezbollah, che faceva parte dell'ala armata.

Secondo più degli ultimi:

Otto morti, 2.750 feriti in Libano che fanno esplodere i cercapersone: ministro

Ministero della Salute: 200 persone in condizioni critiche.

Ambasciatore in Libano “Mojtaba Amani”

Da una presunta fonte di Hezbollah citata da AP e dai media israeliani:

Il funzionario, parlando a condizione di anonimato perché non è autorizzato a parlare con i media, afferma che le esplosioni sono state il risultato di "un'operazione di sicurezza che ha preso di mira i dispositivi".

"Il nemico [Israele] sta dietro a questo incidente di sicurezza", dice il funzionario, senza approfondire.

 

Aggiunge che i nuovi cercapersone che i membri di Hezbollah portavano con sé hanno batterie al litio che apparentemente sono esplose.

Questo segna l'inizio di una più ampia campagna anti-Hezbollah? Sembra di sì.

 E ci si aspetta sicuramente che Hezbollah si intensifichi da parte sua.

 Questo potrebbe essere l'inizio di una nuova guerra in Libano, di portata maggiore rispetto alla guerra del 2006.

Molti si chiederanno: perché i cercapersone?

Un corrispondente regionale e collaboratore di “Zero Hedge” spiega:

L'analista militare “Elijah Magnier” ha detto ad “Al Jazeera” che Hezbollah fa molto affidamento sui cosiddetti cercapersone per evitare che Israele intercetti le comunicazioni dei suoi membri.

Ha anche suggerito che questi dispositivi potrebbero essere stati pre-manomessi prima di essere dispersi tra i membri di Hezbollah.

"Questo non è un nuovo sistema. È stato usato in passato", ha detto. "Quindi in questo caso c'è stato il coinvolgimento di una terza parte ... per consentire l'accesso ... per attivare a distanza l'esplosione", ha detto.

Un'apparente operazione segreta del Mossad ha scatenato il caos in un quartiere a sud di Beirut martedì, provocando vittime su larga scala tra gli operativi di Hezbollah e, secondo quanto riferito, civili libanesi.

I dispositivi di telecomunicazione utilizzati dai membri di Hezbollah hanno iniziato a esplodere, provocando fino a centinaia di feriti nel sobborgo di Dahiyeh.

 Sembra che ci siano vittime, secondo le immagini grafiche dei social media.

“Reuters” riferisce: "Centinaia di membri del gruppo armato libanese Hezbollah, tra cui combattenti e medici, sono stati gravemente feriti martedì quando i cercapersone che usano per comunicare sono esplosi", secondo fonti della sicurezza.

Al Jazeera ha citato testimoni oculari che dicono che ci sono oltre 400 vittime in un solo ospedale.

Esiste un Fotogramma di uno dei cercapersone che esplode in un mercato affollato pieno di civili.

"Un giornalista della “Reuters” ha visto 10 membri di Hezbollah sanguinanti dalle ferite nel sobborgo meridionale di Beirut noto come Dahiyeh", continua il rapporto.

Non è ancora chiaro con quanta precisione l'intelligence israeliana sia stata in grado di infiltrarsi nelle telecomunicazioni di Hezbollah – se piccole bombe siano state piazzate nei cercapersone o forse il risultato di una sorta di hacking informatico su larga scala. Ma ciò che sta diventando chiaro è che sono stati fatti esplodere a distanza.

Un funzionario di Hezbollah è stato citato in forma anonima da Reuters, definendo l'incidente la "più grande violazione della sicurezza" che il gruppo abbia mai affrontato dall'inizio del conflitto con Israele, durato quasi un anno.

Gruppi come Hezbollah usano spesso dispositivi a bassa tecnologia per comunicare tra loro, dato che i telefoni cellulari sono più facili da intercettare per i servizi di intelligence.

"I residenti hanno detto che le esplosioni stavano avvenendo anche 30 minuti dopo le esplosioni iniziali", osserva ancora il rapporto, citando testimoni oculari. Le persone chiedono anche urgentemente donazioni di sangue, dato che questo sembra un evento di massa.

Si dice che gli ospedali locali siano inondati di vittime e di gruppi di familiari che si precipitano all'ingresso cercando di scoprire cosa sta succedendo.

Israele non ha ancora commentato l'apparente operazione segreta.

Un importante osservatorio di guerra libanese e regionale ha confermato.

 

 

 

 

Questa non è una terza guerra

 mondiale: questa è una

 guerra di terrore.

 Unz.com - Pepe Escobar – (18 settembre 2024) – ci dice:

 

E la Russia sta combattendo una guerra esistenziale per la sopravvivenza della Patria – quella che ha fatto ripetutamente nel corso dei secoli.

Questa non è una festa Questa non è una discoteca

Non c'è tempo per ballare O per l'amore Non ho tempo per questo adesso.

 

Prima abbiamo avuto l'azione: il presidente Putin – freddo, calmo, raccolto – avverte che qualsiasi attacco alla Russia con missili a lungo raggio della NATO sarà un atto di guerra.

Poi abbiamo avuto la reazione: i topi della NATO che tornavano di corsa alla fogna, in fretta. Per ora.

Tutto ciò è stato una conseguenza diretta della debacle di Kursk.

Una scommessa disperata.

Ma lo stato delle cose nella guerra per procura in Ucraina era disperato per la NATO.

 Fino a quando non è diventato cristallino, è tutto fondamentalmente irrecuperabile.

Quindi ci sono due opzioni rimaste.

La resa incondizionata dell'Ucraina, alle condizioni della Russia, equivale alla completa umiliazione della NATO.

O l'escalation verso una guerra totale con la Russia.

 

Le classi dirigenti degli Stati Uniti – ma non del Regno Unito – sembrano aver registrato l'essenza del messaggio di Putin:

se la NATO è in guerra con la Russia, "allora, tenendo presente il cambiamento nell'essenza del conflitto, prenderemo le decisioni opportuno in risposta alle minacce che ci verranno poste".

Il vice ministro degli Esteri” Sergey Ryabkov” è stato minacciosamente più preciso: "La decisione è stata presa, la carta bianca e tutte le indulgenze sono state date [a Kiev], quindi noi [la Russia] siamo pronti a tutto. E noi reagiamo in un modo che non sarà bello".

La NATO de facto in guerra con la Russia.

A tutti gli effetti, la NATO è già in guerra con la Russia:

voli di riconoscimento senza sosta, attacchi ad alta precisione sugli aeroporti in Crimea, costringendo la flotta del Mar Nero a trasferirsi fuori da Sebastopoli, questi sono solo alcuni esempi.

Con il "permesso" di colpire fino a 500 km di profondità in Russia, e una lista di diversi obiettivi già presentati da Kiev per "approvazione", Putin ha chiaramente affermato l'ovvio.

 

La Russia sta combattendo una guerra esistenziale per la sopravvivenza della Patria – quella che ha fatto ripetutamente nel corso dei secoli.

L'URSS ha subito 27 milioni di perdite ed è emersa dalla seconda guerra mondiale più forte che mai. Questa dimostrazione di forza di volontà, di per sé, spaventa a morte l'Occidente collettivo.

Il ministro degli Esteri “Sergey Lavrov” – la cui pazienza taoista sembra essere estenuante – ha aggiunto un po' di colore al quadro generale, attingendo dalla letteratura inglese:

 

"George Orwell aveva una ricca immaginazione e lungimiranza storica. Ma nemmeno lui poteva immaginare come sarebbe stato uno stato totalitario. Ne ha descritto alcuni dei contorni, ma non è riuscito a penetrare le profondità del totalitarismo che ora vediamo nel quadro dell'"ordine basato sulle regole". Non ho nulla da aggiungere. Gli attuali leader di Washington, che sopprimono ogni dissenso, lo hanno "superato".

Questo è il totalitarismo nella sua forma più pura".

 

“Lavrov ha concluso che "sono storicamente condannati".

Eppure non hanno davvero il coraggio di provocare la Terza Guerra Mondiale.

I vigliacchi possono solo ricorrere a una guerra del terrore.

Ecco alcuni esempi.

L'SVR – l'intelligence estera russa – ha scoperto un complotto di Kiev per organizzare un attacco missilistico russo su un ospedale o un asilo nido sul territorio controllato da Kiev.

 

Gli obiettivi dovrebbero sollevare il morale – crollato – dell'AFU;

 giustificare la completa rimozione di qualsiasi restrizione agli attacchi missilistici in profondità all'interno della Federazione Russa;

e attirare il sostegno del Sud del mondo, che comprende in modo schiacciante ciò che la Russia sta facendo in Ucraina.

Parallelamente, se questa massiccia falsa bandiera funzionasse, l'Egemone la userebbe per "aumentare la pressione" (Come? Urlando a squarciagola?) sull'Iran e sulla Corea del Nord, i cui missili sarebbero probabilmente gli autori della carneficina.

Per quanto questo possa sembrare inverosimile a livello di “Maximum Stupidistan”, considerando la “Deep Dementia” che spazia da Washington e Londra a Kiev, rimane possibile, poiché il “NATOstan” de facto mantiene l'iniziativa strategica in questa guerra.

La Russia da parte sua rimane passiva. È la NATO che sta scegliendo il metodo, il luogo e il momento per i suoi attacchi chiave e di scelta.

Un altro classico esempio di “Guerra al Terrore “è quello dell'organizzazione jihadista e spin-off di al-Qaeda “Hayat Tahrir al-Sham” in Siria, che riceve 75 droni da Kiev, in cambio della promessa di inviare un gruppo di combattenti esperti dallo spazio post-sovietico nel Donbass.

 

Niente di nuovo sul fronte del terrore: il capo delle spie ucraine “Kirill Budanov”, osannato in Occidente come una specie di James Bond ucraino, è sempre in stretto contatto con i jihadisti a Idlib, come riportato dal quotidiano siriano “Al-Watan”.

Preparazione al remix dell'”Operazione Barbarossa.”

Parallelamente, abbiamo avuto il vice segretario di Stato americano “Kurt Campbell” – il russofobo/sinofobo che ha inventato il "pivot to China" durante la prima amministrazione Obama – che ha informato gli alti burocrati dell'UE e della NATO sulla cooperazione militare del nuovo asse del male coniato dall'Impero: Russia-Cina-Iran.

“Campbell” si concentra principalmente sull'assistenza del Mosca a Pechino con un know-how avanzato di sottomarini, missili e stealth, in cambio di mobili cinesi.

È ovvio che la combinazione dietro lo zombie, che non riesce nemmeno a trovare un modo per leccare un gelato, non è a conoscenza della collaborazione militare interconnessa delle partnership strategiche Russia-Cina-Iran.

Cieca come mille pipistrelli, la” combo” interpreta la Russia che condivide il suo know-how militare finora pesantemente sorvegliato con la Cina come "un segno di crescente incoscienza".

La vera storia inquietante dietro questo mix di ignoranza e panico è che nulla ha origine dallo zombie che non sa nemmeno leccare un gelato.

 È la "combo Biden" che sta infatti lavorando duramente per preimpostare la traiettoria della guerra per procura in Ucraina oltre il gennaio 2025, indipendentemente da chi sarà eletto alla Casa Bianca.

La guerra del terrore dovrebbe essere il paradigma generale, mentre i preparativi per la vera guerra contro la Russia continuano, con l'orizzonte fissato per il 2030, secondo le deliberazioni interne della NATO.

Questo è il momento in cui credeva di essere al massimo della potenza per portare avanti una versione remixata dell'Operazione Barbarossa del 1941.

Questi pagliacci sono congenitamente incapaci di capire che Putin non bluffa.

Se non ci sono alternative, la Russia (corsivo mio) passerà al nucleare.

Così com'è, Putin e il Consiglio di sicurezza, nonostante la retorica incendiaria di Medvedev, sono immersi nel difficile compito di assorbire colpo dopo colpo per impedire l'Armageddon.

Ciò richiede una pazienza taoista illimitata – condivisa da Putin, Lavrov, Patrushev – unita al fatto che Putin gioca a “go” giapponese molto più che a scacchi, ed è un formidabile tattico.

Putin legge il folle manuale di NATOstan come se fosse un libro di fiabe per bambini (in effetti lo è).

Nel momento fatidico di massimo beneficio per la Russia in tutto lo spettro, Putin ordinerà, ad esempio, la necessaria decapitazione del serpente di Kiev.

L'incessante e acceso dibattito sull'uso delle armi nucleari da parte della Russia dipende essenzialmente dal modo in cui il Cremlino considererà un attacco missilistico della NATO come una minaccia esistenziale.

Neocon e zio-con, così come i vassalli della NATO, potrebbero desiderare una guerra nucleare, teoricamente, perché in effetti ciò genererebbe un enorme spopolamento.

Non bisogna mai dimenticare che la banda del WEF/Davos vuole e predica una riduzione della popolazione umana a livello globale di un enorme 85%.

 L'unica via per arrivarci è ovviamente una guerra nucleare.

Ma la realtà è molto più prosaica.

 I codardi neo-con e zio-con – che rispecchiano l'esempio dei genocidi talmudici di Tel Aviv – vogliono al massimo usare la minaccia di una guerra nucleare per intimidire soprattutto la partnership strategica Russia-Cina.

 

Al contrario, Putin, “Xi” e alcuni leader della maggioranza globale come “Anwar” della Malesia continuano a mostrare intelligenza, integrità, pazienza, lungimiranza e umanità.

 Per l'Occidente collettivo e le sue élite politiche e bancarie spaventosamente mediocri, si tratta sempre di soldi e profitti.

Bene, anche questo potrebbe cambiare drasticamente il 22 ottobre a Kazan al vertice dei BRICS, quando dovrebbero essere annunciati importanti passi verso la costruzione di un mondo post-unilaterale.

Sulla bocca di tutti a Mosca.

A Mosca c'è una discussione furiosa su come porre fine alla guerra per procura in Ucraina.

La pazienza taoista di Putin è pesantemente criticata, non necessariamente da osservatori informati con una conoscenza interna della geopolitica hardcore.

 Non capiscono che Washington non accetterà mai le richieste chiave russe. Parallelamente, quando si tratta di denazificazione completa dell'Ucraina, Mosca che alla fine si accontenta di un regime meramente "amico" a Kiev non basta.

Sembra esserci un consenso sul fatto che l'”Occidente collettivo” non riconoscerà in alcun modo la sovranità della Russia sulla Crimea così come tutto ciò che è stato conquistato nei campi di battaglia della “Novorossiya”.

Alla fine, la prova principale è che tutte le sfumature del piano negoziale della Russia saranno decise da Putin.

E questo cambia continuamente.

Ciò che ha proposto – molto generosamente – alla vigilia di quel patetico vertice di pace in Svizzera a giugno non è più sul tavolo dopo Kursk.

Tutto dipende, ancora una volta, da ciò che accade nei campi di battaglia. Se – piuttosto quando – il fronte ucraino crollerà, la battuta ricorrente intorno a Mosca sarà in vigore:

 "Pietro [il Grande] e Caterina [la Grande] stanno aspettando".

Beh, non aspetteranno più, perché questi sono stati i Grandi che hanno di fatto incorporato ciò che è l'Ucraina orientale e meridionale nella Russia.

E questo suggerirà l'umiliazione cosmica della NATO.

Da qui la perpetuazione del Piano B: niente Terza Guerra Mondiale, ma un'implacabile Guerra del Terrore.

 

 

 

 

Fare la guerra per salvare l’economia

capitalistica: l’impero Usa

alla conquista del mondo.

 Storiastoriepn.it - Gigi Bettoli – (18 Aprile 2024) – ci dice

 

(“Joyce e Gabriel “Kolko”, I limiti della potenza americana. Gli Stati Uniti nel mondo dal 1945 al 1954, Torino, Einaudi, 1975, pp. 905 -ed. or. 1972).

Ovviamente, a leggere i classici, bisogna contestualizzare, e poi andare a vedersi tutte le analisi successive. È anche su questo piano che si capisce lo spessore e conferma l’attualità di un’analisi.

Va infatti tenuto conto che si tratta di un libro le cui conclusioni sono inevitabilmente condizionate dal periodo in cui è stato scritto, con gli Usa infognati nella guerra del Vietnam, che fu la loro più cocente sconfitta storica… prima di Cuba, Afganistan, Somalia, Iraq, Siria…

 

E’ una ricerca sul piano della politica e dell’economia, dove manca un’analisi della storia culturale, quella in cui il “secolo americano” ha avuto successo, dando vita a quel “pensiero unico” che, come in Matrix, produce una avvolgente realtà virtuale.

Manca soprattutto un’analisi di quel patto sociale che “Eric J. Hobsbawm” ha definito come la base dei “trenta gloriosi” anni del secondo dopoguerra:

 il consenso occidentale ad una “cortina di ferro” anticomunista in cambio del “Welfare State” concesso alla socialdemocrazia europea, inesorabilmente sfaldatosi sotto gli attacchi neoliberali dopo il 1989 e la “caduta del muro” (oltre che la trasformazione neoliberale delle socialdemocrazie: non più i Brandt, Kreisky e Palme, ma i Blair, D’Alema, Dijsselbloem, Stoltemberg e via elencando).

 

In questo caso, il senso di questo libro documentatissimo ed implacabile rimane quello di leggere il dopoguerra senza credere alla favole.

Si legge “libera iniziativa, economia aperta e democrazia liberale”, ma in filigrana significa guerra “fredda”.

Un’avvertenza: durante questa lettura hanno continuato a presentarmisi esempi frequenti di comparazione tra le vicende del primo decennio postbellico, ed i tempi attuali.

Alcune le ritroverete continuando a leggere la mia recensione.

​Perché un libro di mezzo secolo fa ci dice quello che non sentiremo mai da un Gianni Riotta o dai “giornalisti con le bretelle.”

C’è da infuriarsi, a sentir oggi parlare a sproposito di “piano Mattei” da parte dei (post?) fascisti neoliberali, o di

«Luigi Einaudi, primo Capo dello Stato eletto con le regole della Costituzione del ’48, costruttore tra i più importanti della nostra democrazia, figura di elevato prestigio internazionale che aiutò l’Italia nel dopoguerra a riconquistare la dignità perduta con il fascismo».

Oppure, pochi giorni dopo:

 

«Riferendosi all’Europa, nel 1954, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi ricordava che lo spettro delle decisioni per i Paesi del continente si riduceva a “l’esistere uniti o lo scomparire”.

L’esperienza dell’Alleanza Atlantica ci conferma il valore di una storia che, in 75 anni, non ha mai tradito l’impegno di garanzia a beneficio dei 32 Paesi che ne fanno parte: uniti nella difesa della libertà e della democrazia» .

Bisogna scegliere, tra un’analisi seria o la riproposizione di narrazioni lenitive: tra la politica monetarista e deflazionistica di Einaudi (milioni di disoccupati ed emigranti per ripristinare i capitali della piccola e grande borghesia) oppure quella espansiva cristiano-sociale di Mattei, realizzazione concreta della Carta di Camaldoli della Dc clandestina.

Oppure ci si può alienare a leggere la marea di testi della storiografia cosiddetta “liberale” (alias “di regime”), per cui tutta la storia dell’Italia postbellica sarebbe riassumibile nel come evitare la presa del potere da parte del Partito Comunista più collaborativo e moderato d’Occidente, sostanzialmente socialdemocratico.

 

O ancora, su un altro piano, si può assistere sconcertati alla moltiplicazione dei libri basati sullo spoglio degli archivi spionistici, fatto senza il minimo di capacità critica necessaria , forse solo per furbesco adeguamento conformistico alla moda pervasiva del “giallo” più banale e commerciale, quel genere magistralmente demolita da “Giampaolo Simi” in uno dei suoi ultimi libri; tanto il popolo è bue ed allora … diamogli pure da mangiare immondizia !

 

Oggi più che mai, la storiografia ai tempi dei “social”, con l’ausilio invadente della “intelligenza artificiale”  si adegua alla propaganda, approfittando della diffusa “dezinformatsiya” – in russo, così anche le tecniche invasive di comunicazione possono venir annoverate tra i “crimini del comunismo”, tanto chi si ricorda che i “Persuasori occulti” di “Vance Packard”, dedicato ai “mass media” occidentali, era stato scritto già nel lontano 1957.

A proposito: era di nove anni prima (estate 1948) la leggenda urbana di “Bartali” che, vincendo il Tour de France, avrebbe salvato l’Italietta degasperiana dal comunismo, manco Togliatti si fosse sparato da solo alla testa per provocare l’insurrezione-trappola sperata/usata dal creatore della Celere, il superpoliziotto destro democristiano “Mario Scelba”.

 

​Tiepida, calda, bollente, ma mai “guerra fredda”: il “warfare” del “dopoguerra” come prototipo del neoliberismo contemporaneo.

«Dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla primavera del 1947 i dirigenti degli Stati Uniti considerarono la creazione di una “International Trade Organization” (Ito) come la base di una integrazione generale della economia globale che fosse compatibile con gli interessi dell’America.

Questo obbiettivo di un mondo permanentemente aperto al loro commercio ed ai loro investimenti, che agisse essenzialmente attraverso economie capitalistiche, era una chimera per raggiungere la quale gli Stati Uniti furono ripetutamente costretti ad adottare tattiche nuove.

Se i mezzi iniziali dovevano dimostrarsi inadeguati, e richiedere continue improvvisazioni, il fine ultimo non doveva mai più mutare dal 1945 – o addirittura dal 1915 – in poi.». (p. 768).

 

Più avanti, nelle conclusioni (a p. 884) gli autori elencano solo alcuni tra questi strumenti:

 oltre l’”Ito”, il “Piano Marshall”, la” Nato”, la “Ced”, la “bomba A”, ma non vanno dimenticati anche il “Fmi”, la “Banca Mondiale” ed altri strumenti di dominio oligarchico, dove si vota sulla base del capitale versato, e quindi comandano sempre quelli.

Ma iniziamo dalla prima affermazione di questo libro:

ovverossia che non abbia senso parlare, per il mezzo secolo postbellico, di “guerra fredda”, perché questa è una “distorsione ideologica eurocentrica”: la guerra in realtà è continuata senza soluzione di continuità dal 1945 in poi, insanguinando parti consistenti del pianeta.

 

«Dopo la fine della guerra non ci fu alcuna pausa che permettesse alle ferite della lunga epoca di violenza di richiudersi completamente.

Due colossali spargimenti di sangue nel giro di trent’anni avevano inflitto a tutte le società tradizionali un danno apparentemente irreparabile. Dal momento in cui la seconda guerra mondiale ebbe termine, in molte nazioni la guerra civile, le insurrezioni o il loro spettro subentrarono al conflitto tra l’Asse e gli Alleati, mentre la tensione nei rapporti tra l’Unione Sovietica e gli altri membri di quella che era stata poco più di una temporanea alleanza di convenienza resa necessaria dalle circostanze lasciava il posto a un’ostilità implacabile.

Dopo la conflagrazione globale, in numerose regioni del mondo non sopraggiunse la pace, ma una violenza ininterrotta, una violenza che doveva intensificarsi mano a mano che si allargava quell’inevitabile processo di trasformazione sociale e di decolonizzazione che doveva diventare il fatto dominante dell’epoca postbellica».

 

Il valore dell’opera dei due studiosi statunitensi , basata su documenti e memorie pubblicate disponibili ben prima di” WikiLeaks”, è quella di svelare i piani dei governanti Usa, elaborati già durante la seconda guerra mondiale, per non veder di precipitare nuovamente il loro enorme apparato produttivo, giunta finalmente la pace, nella crisi di sovrapproduzione, deficit commerciale e disoccupazione che lo aveva gravemente afflitto a partire dalla crisi del 1929, superata solo parzialmente e tamponata da enormi produzioni belliche negli anni ‘40.

 

Una politica che nascondeva, dietro un apparente internazionalismo – come quello inconcludente di “Woodrow Wilson” alla fine della Prima guerra mondiale, tanto applaudito in Europa dai democratici quanto snobbato in patria – e principi come la “porta aperta”, il multilateralismo e la libertà di iniziativa economica, il tentativo di riformare l’economia mondiale garantendo la massima possibilità espansiva per i capitali e le produzioni statunitensi, sia agricole che manifatturiere, vincolando gli aiuti economici (soprattutto i prestiti) all’acquisto di merce “Made in Usa”.

Tutto ciò praticando viceversa politiche restrittive, a tutela dei prezzi di vendita dei produttori americani (molto influenti sui componenti del Congresso). Come quando, a fronte della carestia mondiale postbellica del 1945-1947, gli USA invece di fornire le proprie eccedenze all’”UNRRA” – l’ente internazionale per i soccorsi, che essi fecero chiudere alla fine del 1946… sì, ha proprio una sigla che ricorda l’”UNRWA” destinato ai profughi palestinesi – praticarono una politica di riduzione delle colture e di utilizzo dei cereali per l’alimentazione animale e la produzione di alcool:

«Ci sono delle persone che dovranno morire di fame… Siamo nella stessa situazione di una famiglia che si ritrovi con una intera cucciolata: dobbiamo decidere quali cuccioli annegare»,

disse il segretario all’agricoltura “Clinton Anderson” al Congresso nel maggio 1946 (p. 233).

 

Una politica impersonata da un ceto professionale costituito (allora come oggi) prevalentemente da imprenditori e rappresentanti di interessi economici, direttamente impegnati nei posti chiavi delle amministrazioni Truman (democratica) ed Eisenhower (repubblicana).

Accompagnando questa politica con iniziative politico-militari che avrebbero accompagnato l’invasiva presenza statunitense in ogni parte del pianeta.

Ma «La quasi continua crisi della strategia seguita dall’America dopo la seconda guerra mondiale, col suo tormentato e inane sforzo di sostituire la potenza delle macchine al richiamo dell’ideologia rivoluzionaria, doveva alla fine concludersi nel disastro.» (p. 591).

 

«Il dibattito sul disarmo rivelò almeno una cosa, e cioè che gli Stati Uniti erano divenuti totalmente dipendenti dalle loro armi per proteggere e perseguire i loro enormi interessi globali.

 Ironicamente […] i dirigenti americani si preparavano per una guerra che non si attendevano di dover mai combattere, solo per scoprire che la loro forza era insufficiente quando veniva messa alla prova in circostanze che virtualmente nessun importante dirigente americano aveva previsto.

Il fatto è che nel corso di questo secolo nessuna nazione ha mai avuto la capacità di controllare il destino di qualcosa di più grande di una frazione minima della superficie del globo, e fu per non avere imparato questa lezione dalle sconfitte dei loro predecessori che gli Stati Uniti dovevano in definitiva aprire la via alla loro stessa profonda crisi interna.» (p. 591)

Sembrano giudizi avventati – ricordiamolo: formulati nel 1970 – se pensiamo all’enorme potenza statunitense.

Ma ricordiamoci della tragedia degli afgani appesi agli aerei americani a Kabul nel 2021, tale e quale a quella dei loro collaboratori vietnamiti nella Saigon del 1975. Perché, pronosticavano “Joyce e Gabriel” Kolko,

«finché ci sarà oppressione, ed esisterà lo sfruttamento, ci saranno resistenza, violenza e conflitto.» (p. 888).

 

Nè con gli Usa, né con l’Urss.

Una premessa:

 i due autori basavano la loro analisi di classe su un’idea molto critica del sistema sovietico, e continuamente avvertono di come gli interessi di stato dell’Urss si sovrapponessero negativamente a quelli delle classi lavoratrici mondiali, che a partire dalla resistenza antifascista avevano espresso una grande combattività, trasformata già durante la lotta clandestina in organismi di governo popolare. Questi furono le prime vittime dei “liberatori” di ogni colore (ma in particolare angloamericani, che li ritenevano una semplice espressione delle “manovre sovietiche”).

Ci furono almeno due eccezioni, dove i “comunisti nazionali” presero il destino nelle loro mani e, non uniformandosi alla politica dei “fronti nazionali” con i partiti borghesi sostenuta da Mosca, procedettero verso la via rivoluzionaria.

Si trattò della Jugoslavia e della Cina;

 i primi grazie alla base di massa conquistata nel movimento resistenziale, i secondi reagendo alla politica corrotta e militarista del regime del Kuomintang, appoggiato dagli Usa, e vincendo la guerra civile nel 1945-1949 e poi quella di Corea nel 1950-1953.

Alla critica del comunismo sovietico si accompagna quella verso il parlamentarismo dei Pc ufficiali, sia per il loro moderatismo (Francia e Italia) che per lo scarso realismo in situazioni di estrema repressione, come in Grecia ed in Giappone, che porterà alla scissione di quei partiti.

Gli autori – che scrivono negli anni in cui era forte il comunismo maoista – ritengono inconcludenti e non rispondenti alle esigenze dei movimenti popolari le moderate strategie dei Pc “socialdemocratici”.

Il loro giudizio è inappellabile quando concludono l’analisi del cosiddetto “colpo di stato” comunista in Cecoslovacchia – in realtà secondo loro l’esito di uno sgangherato tentativo dei partiti moderati di provocare lo scioglimento del governo Gottwald, rimasto in carica grazie alla maggioranza dei ministri comunisti (che avevano “solo” il 45% dei voti) e socialdemocratici – e sintetizzano così la sovietizzazione dei paesi dell’Europa orientale:

«Alle pressioni politiche sovietiche e alle divisioni interne, si aggiunsero i molto concreti problemi sollevati direttamente dalla trasformazione di paesi agricoli in paesi industriali, dalle crescenti restrizioni commerciali imposte dagli Stati Uniti, e dalla scarsità di materie prime essenziali, che costringeva gli europei orientali a basarsi sulle loro sole limitate risorse.

 A tutto questo si aggiunse la crescente ostilità degli Stati Uniti in un momento in cui i loro uomini politici utilizzavano l’Europa orientale, come utilizzarono la Cina, per guadagnare terreno politico all’interno.

Gli attacchi verbali si trasformarono alla fine, nel 1952, in richieste di “liberazione” e di “spingere indietro” il comunismo [“rollback”] che in realtà non erano niente altro che ciniche fantasie ma che contribuirono anche a creare tensioni irrazionali in entrambe le zone.

 

«Questo diede inoltre ad elementi conservatori dell’Europa orientale la speranza di poter ottenere, se essi avessero resistito, l’aiuto americano, nonostante nei fatti non ci sia mai stata alcuna possibilità di un aiuto del genere.

Alla fine, l’ipocrisia avvolse le giustificazioni di entrambi i sistemi, ognuno dei quali cercò di giustificare i propri abusi parlando dei crimini dell’altro.» (pp. 495-496).

Il frutto di questa politica furono le rivolte operaie, a partire da quella di Berlino del 1953, e la loro repressione da parte sovietica.

 

Alla conquista del mondo.

«Non sono molti in questo paese coloro i quali accettano la tesi comunista che la politica americana abbia come obbiettivo deliberato e cosciente quello di rovinare la Gran Bretagna […].

E se ogni volta che viene concesso un aiuto vengono poste delle condizioni che impediscono alla Gran Bretagna di sottrarsi alla necessità di tornare a chiedere altri aiuti, ottenuti al prezzo di ulteriori umiliazioni e su basi ancora più dure, allora il risultato sarà certamente quello predetto dai comunisti…»

Il progetto statunitense prevedeva la ristrutturazione dell’economia mondiale, con un’impostazione rigorosamente capitalistica, ed una finalità imperialistica precisa.

Se gli USA non volevano ricadere in una crisi economica devastante, bisognava finanziare l’esportazione dei loro prodotti nel mondo, creando un nuovo tipo di commercio atlantico triangolare – come quello degli schiavi del XVI-XIX secolo, che costruì la ricchezza europea e nordamericana – attraverso l’acquisizione a basso costo di materie prime nel Terzo Mondo coloniale, pagate in dollari che avrebbero poi finanziato le importazioni dei prodotti Usa nelle metropoli coloniali europee, attraverso acquisti vincolati da finanziamenti come il Piano Marshall.

Un meccanismo pervasivo, che trovava però il suo limite nello scarso impegno del capitalismo privato statunitense, e dovette essere sostenuto soprattutto dal bilancio pubblico.

In cambio, al fine della ristrutturazione dell’economia mondiale, tutti i paesi coinvolti dovevano darsi politiche rigorosamente monetariste e deflazionistiche, tagliare la spesa pubblica, diminuire la loro base occupazionale e destinare i surplus di manodopera all’emigrazione.

In sintesi: keynesiani a casa loro, liberisti altrove.

Si tratta di un ragionamento controintuitivo, ma la realtà è che la politica americana aveva inizialmente ben altri obiettivi primari che l’Unione Sovietica, e puntava non tanto alla contrapposizione solo con il comunismo, ma con qualsiasi forma di socialismo o nazionalismo (come quello francese, in particolare gollista), in primo luogo i laburisti inglesi andati al governo nel 1945.

A questo proposito, il nemico non era solo il “Piano Beveridge” con la creazione del sistema sanitario nazionale e di un esteso “Welfare State”, ma qualsiasi forma di nazionalizzazione delle imprese e di nazionalismo economico, obiettivi questi che erano perseguiti anche da settori cristiano-sociali, come nel caso dell’”ENI di Enrico Mattei” e dei suoi ispiratori “Alberto Basevi” e “Pasquale Saraceno”.

Impegnati a sostituire il vecchio impero britannico, esauritosi nella Seconda guerra mondiale, gli Usa avevano bisogno di un mercato comune europeo omogeneo, eliminando i rapporti bilaterali, in cui ogni paese poteva porre barriere protettive a tutela delle proprie economie (barriere che invece, a casa loro, gli statunitensi elevavano, soprattutto a difesa delle loro esportazioni agricole).

Un progetto, questo, che si scontrò con ostacoli che gli Usa non riuscirono a dominare (la tendenza dei propri capitalisti ad incassare a breve, senza investire a lungo termine), oppure che manco concepirono, come il dispiegarsi di un movimento operaio e di una sinistra, vivaci e tutt’altro che subordinati alle manovre sovietiche.

Così come era una forzatura interpretare come “complotti comunisti” i movimenti di liberazione – talvolta di sinistra, talaltra nazionalisti – dei paesi del Terzo Mondo, che furono il vero fatto nuovo del dopoguerra.

 Infine, gli Usa commisero un errore spettacolare:

concentrando la loro attività soprattutto sull’Europa e su un supposto pericolo di invasione sovietica, non si accorsero che ormai il centro delle vicende internazionali si stava spostando nell’Asia orientale, dove la loro strategia era destinata a fallire, con le sconfitte successive in Cina, Corea e Vietnam.

Furono questi i limiti della politica americana, cui i governi Truman e Eisenhower replicarono con la via d’uscita del “warfare”, quella guerra permanente in appoggio alla conservazione internazionale che è stata il vero “filo nero” della politica statunitense di questi ottant’anni.

Il che portò gli USA ad appoggiare governi corrotti e reazionari contro i movimenti popolari, come in Grecia ed in Corea;

oppure a neutralizzare le epurazioni e riutilizzare gli esponenti dei regimi fascisti nella ricostruzione, in primo luogo in Italia, Germania e Giappone;

oppure ancora a scatenare attività golpiste contro ogni governo progressista anche moderato (come quello di Arbenz in Guatemale nel 1954).

 Una scelta valida per mobilitare la propria opinione pubblica e superare le dure resistenze di un Congresso USA ostile ad ogni politica “internazionalistica” e dominato – allora come oggi – dagli interessi egoistici delle lobbies locali .

 

Viceversa, l’URSS nel biennio postbellico aveva realizzato una politica pragmatica, basata sulle due esigenze strategiche di trarre le maggiori risorse in termini di danni di guerra da parte dei paesi ex nemici (Romania, Bulgaria, Ungheria e Germania) e di vincoli di sicurezza, viste le due invasioni già subite dai tedeschi nel corso del secolo.

Un tipo di timore condiviso anche ad ovest, soprattutto in Francia.

La costruzione della “cortina di ferro”, che spaccò l’Europa per quarant’anni, viene quindi attribuita dai due autori non tanto alla politica sovietica, volta ad una rapida ricostruzione ed industrializzazione dei paesi dell’Europa orientale – mantenendo regimi di coalizione fino a che non si spaccò l’alleanza tra le potenze antifasciste – quanto alla scelta americana di isolare l’Europa orientale, che non si piegava alla loro politica, e costruire un sistema centralizzato che coordinasse le economiche occidentali.

L’Europa prevista dai piani statunitensi non era quindi l’Europa autonoma e socialista del “Manifesto di Ventotene”, ma un interlocutore subalterno del nuovo impero americano.

 Dove andava ostacolata ogni forma di socialismo: la Spd tedesca terzaforzista, il Labour britannico, l’unificazione socialcomunista della Sed nella zona di occupazione sovietica della Germania che, grazie alla prevalenza della componente socialdemocratica, avrebbe garantito, insieme con la maggioranza dei Länder occidentali in mano alla Spd, un governo di sinistra al paese riunificato.

In effetti per mezzo secolo l’URSS proporrà una riunificazione e neutralizzazione della Germania, ostacolata dalla volontà statunitense di usarne la parte occidentale come laboratorio delle sue politiche economiche.

Inutilmente: le peggiori minacce per i governi Usa erano sempre le proposte di pace sovietiche (e cinesi in Asia).

 

Il fallimento del Piano Marhall.

Se l’opinione comune e la stessa storiografia l’hanno interpretato come un generoso intervento statunitense per riattivare l’economia europea, migliorare le condizioni di vita della popolazione stremata dal conflitto e combattere il pericolo comunista, gli autori ricordano come, fin dalla Prima guerra mondiale, gli aiuti Usa fossero concepiti essenzialmente come volti a remunerare i produttori statunitensi per i prodotti forniti e rimborsare il capitale prestato.

Il piano statunitense, in realtà, sviluppò dal 1948 al 1952 una politica di prestiti condizionati, che permise agli USA di entrare nelle politiche economiche e fiscali dei singoli paesi (Germania occidentale, Italia, Belgio e Francia innanzitutto), limitando la spesa sociale, comprimendo i salari operai e favorendo l’incremento degli utili delle borghesie, aumentando le diseguaglianze sociali attraverso una politica monetarista e deflazionistica.

 Nel caso italiano, con l’aggiunta del consiglio USA di procedere a far sfogare la crescente disoccupazione tramite emigrazione, favorendo l’adozione di un mercato libero della manodopera a livello europeo occidentale.

Queste politiche accompagnarono la coesione delle borghesie nazionali, favorirono lo spostamento a destra in politica e permisero il recupero dei quadri e personalità che si erano compromessi con i regimi fascisti e nazisti, mentre dure politiche repressive venivano esercitate contro le proteste popolari e gli ex partigiani.

Gli aiuti furono subordinati alle esigenze manifatturiere ed agricole americane, tanto da modificare significativamente le richieste dei paesi europei, e condizionarli sia attraverso modalità e sistemi di trasporto (imponendo i più costosi noli marittimi statunitensi), che quanto a forniture di attrezzature e perfino di prodotti alimentari.

 Quello che contava erano innanzitutto gli interessi del capitalismo statunitense, e solo in secondo luogo i bisogni dei “beneficiati”.

Come dimostrò il caso del petrolio, in tal modo gli USA limitarono la capacità di approvvigionamento autonomo dell’Europa, bloccarono o controllarono la ridotta costruzione di raffinerie nel vecchio continente e lucrarono sull’aumento artificioso dei prezzi del prodotto americano fornito.

Tutto ciò ricorda incredibilmente la “guerra del gas” con cui la Nato ha rapidamente riconvertito l’approvvigionamento energetico europeo dopo (o prima del?) lo scoppio della guerra in Ucraina.

 I cui episodi salienti potrebbero essere fissati non nel 2022, e nemmeno nel 2014, ma nel blocco dell’avvio del gasdotto North Stream II e poi nella distruzione del North Stream I.

 Altro che “piano Mattei”:

l’imprenditore democristiano di sinistra fece esattamente il contrario, aprendo ai paesi liberati del Terzo Mondo e trattando con l’URSS per ribassare i prezzi e combattere i monopoli angloamericani petroliferi (le “Sette sorelle”).

 

Come scrisse nel 1951 “Paul Gray Hoffman”, il capitalista posto da Truman a capo dell’”Eca 10” :

«[…] gli altri paesi non potevano permettersi di continuare a comprare da noi a meno che noi non dessimo loro il denaro.

Ed è stato esattamente questo, naturalmente, che noi abbiamo fatto con una dozzina di piani per prestiti e stanziamenti, a partire dalla prima guerra mondiale fino alla nostra “Eca “di oggigiorno.

Negli ultimi 35 anni l’aiuto americano all’Europa occidentale ha raggiunto un valore di 22 miliardi di dollari, escluse le spese dirette di guerra.

Questo era… un modo per sovvenzionare le nostre esportazioni, perché praticamente tutto il denaro americano che andava all’estero… ritornava sempre per acquistare prodotti americani.» (p. 554).

 

La filosofia dell’amministrazione Truman era stata cinicamente riassunta nel 1949 dal banchiere “Joseph M. Dodge”, incaricato dagli Usa di supervisionare le (contro)riforme economiche in Germania occidentale ed in Giappone:

«[…] un aumento della disoccupazione porterà ad un aumento dell’efficienza del lavoro e ad una maggiore produzione […] Una politica deflazionistica mira a portare la domanda generale […] a un livello un po’ inferiore all’insieme dell’offerta […] Non c’è da avere paura della disoccupazione di massa […] qual è il costo complessivo dei servizi sanitari, del benessere sociale e dell’istruzione? […] Preparare il paese a lottare duramente per i mercati d’esportazione […] I radicali […] non ce la faranno mai in una società libera […] Le azioni necessarie per rimettere le cose in sesto sono sempre spiacevoli […]» (p. 647)

 

La politica “internazionalistica” dell’amministrazione Truman trovava però un ostacolo sul piano interno, cioè nell’interesse egoistico dei gruppi industriali o dei produttori agricoli di ottenere guadagni a breve termine, grazie a provvedimenti protezionistici.

I loro rappresentanti parlamentari furono quindi oggetto della campagna di Truman del 1950 per rifinanziare l’”ERP” (il Piano Marshall) con la scusa del riarmo. Non sembra stranamente lo scontro tra l’ “internazionalismo” di Joe Biden e l’isolazionismo trumpiano?

A questo proposito, giova notare che, secondo gli autori, la differenza tra la “caccia alle streghe” maccarthista e l’anticomunismo di Truman era che, invece di spendere per l’espansione internazionale, si risparmiava perseguitando il nemico in casa;

 in concreto, comunque, la prevalenza della tendenza democratica si dimostrò molto più pericolosa per i suoi effetti bellici.

Ed il coordinamento tra NATO ed “OECE” proclamato nel 1950, non ricorda quello attuale tra NATO ed UE, accompagnato da quel sistema oligarchico di governo del Pianeta (USA-UE-Canada-Giappone, cioè il G7) che ha sostituito dalla fine del 20° secolo il governo tendenzialmente democratico dell’ONU?

 

Finché c’è guerra c’è speranza.

«L’amministrazione Eisenhower […] non accantonò mai un giudizio ideologico e ingannevole sulla natura della crisi mondiale, che concepiva la storia come una cospirazione di ciniche e quasi magiche élites di agitatori che alimentavano le fiamme del malcontento, del nazionalismo e del laicismo, ignorando completamente le radici strutturali della crisi mondiale postbellica. […]

Essenzialmente, si trattava di una interpretazione utilitaristica, nella quale uomini come [John Foster] Dulles credevano davvero, ma non al punto da permettere che essa impedisse una chiara percezione dei fatti e dell’esigenza di mantenere un senso di pericolo anche quando essi sapevano che non ne esisteva alcuni. […]

Questa concezione, di conseguenza, richiedeva anche che venissero cinicamente attribuiti alla Russia piani aggressivi che superavano addirittura qualsiasi possibilità di spiegare i fatti in base a deduzioni di carattere ideologico.

Nei primi anni dell’amministrazione Eisenhower, “Dulles” esagerò grandemente il pericolo di guerra, che in realtà, in privato, egli ammetteva fosse molto meno probabile.

Coltivare la paura e i timori divenne così, deliberatamente, un’arma da usare a fini organizzativi.» (p. 875).

 

Ma l’anticomunismo aveva anche un altro valore, innanzitutto rispetto ad un’opinione pubblica statunitense stanca e disinteressata nel dopoguerra alla politica estera, ed al Congresso eletto nel 1947, dominato dai repubblicani.

 Un quadro complessivamente isolazionista, riunificabile solo grazie ad una passione forte, che coinvolgesse almeno una parte dei repubblicani (quelli della costa orientale, più legati al capitale finanziario e non condizionati dagli agricoltori del Midwest) nella politica internazionale interventista dell’amministrazione Truman, che permetteva nuove ampie spese sul piano economico-militare, anche se

«non c’era alcuna minaccia di una imminente presa del potere da parte dei comunisti in qualche nazione ritenuta essenziale agli interessi statunitensi, non c’era alcun minaccioso sviluppo militare da parte della Russia, né una improvvisa alterazione del rapporto di forze in una regione di importanza vitale.

Fondamentalmente, l’obiettivo degli Stati Uniti era quello di trovare gli strumenti più appropriati per realizzare i loro obbiettivi permanenti nel mondo» (p. 415).

Oltre alla «preoccupazione egualmente grave di Washington per un’altra sfida alla prosperità americana: quella di un capitalismo europeo occidentale autonomo» (p. 417).

Mentre l’Urss non desiderava principalmente altro che perseguire la propria ricostruzione, dopo le tragiche distruzioni della guerra hitleriana, ed il quasi raggiungimento dei propositi sterministici nazisti (i quasi 27 milioni di morti sovietici fanno impallidire la stessa Shoah ebraica).

A questo proposito, la scelta americana di tagliare “generosamente” i danni di guerra dei paesi aggressori – in primis Germania, Giappone e Italia – verso l’Unione Sovietica, unita al blocco dei prestiti ed al tentativo di espandere a favore della propria economia i rapporti con i paesi dell’Europa orientale, costituirono una vera e propria aggressione, che portò alla guerra “fredda”, mascherata da motivazioni ideologiche.

Anche qui il paragone è facile, “mutatis mutandis”:

al posto di una dittatura comunista socializzatrice a partito unico, una simil-dittatura di destra espressione dei “nuovi ricchi”, un capitalismo nazionale alimentato dalla spartizione del patrimonio pubblico ex sovietico, serve alla propaganda di guerra odierna, che ci propina ogni giorno, a reti “informative” unificate, la farsa di una volontà di conquista del mondo, quando la massimo si tratta della “solita”, ma ben diversamente gestibile, politica di potenza.

Tutto ciò, perché la Germania occidentale, dopo l’unificazione tra le zone di occupazione americana e britannica, doveva diventare – unica area europea la cui economia era direttamente gestita dagli occupanti statunitensi – l’area di sperimentazione delle politiche Usa in Europa occidentale – grazie alla creazione di quella che diventerà per vari passaggi intermedi la” Cee-Ue”.

Similmente, sul Pacifico, accadeva per il Giappone.

 

A tal proposito gli Stati Uniti (come stavano facendo in Corea, con la creazione dello stato separato del Sud) preferirono spezzare in due la Germania, per bloccare la strada ad una direzione di sinistra, a guida socialdemocratica, di uno stato unito e tendenzialmente terzaforzista, e magari perfino alleato dell’URSS (ricordano qualcosa i gasdotti russo-tedeschi North Stream 1 e 2 e la funzione di amministratore di Gazprom dell’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder…?).

La necessità di superare la contraddizione tra “internazionalismo” democratico e necessità di ampliare la spesa pubblica statunitense per finanziare i propri progetti – da un lato – e chiusura egoistica dell’ala repubblicana espressione degli interessi locali, soprattutto degli agricoltori, ebbe come unica possibilità la mobilitazione dell’opinione pubblica attraverso l’anticomunismo e la militarizzazione.

 Lo sbocco fu non in Europa (obiettivo per il quale si attuava la mobilitazione) ma nell’Estremo oriente, con la guerra di Corea.

È interessante lo spazio attribuito nel libro all’Asia.

Non solo il Medio oriente mediterraneo, dove – in Grecia ed in Iran, innanzitutto – gli Usa prendono il posto del declinante imperialismo britannico, che lascia loro spazio nello sfruttamento delle risorse petrolifere;

ma in particolare la costa pacifica (Cina, Corea e Giappone).

Ove risulta evidente come i “liberatori” si comportassero da nuovi colonizzatori, alleati dei loro predecessori – i giapponesi – o dei collaborazionisti o reazionari di turno.

La guerra di Corea risolse vari problemi su cui la diplomazia Usa ed i suoi corrispondenti europei – come il “Piano Schuman” che portò alla creazione della “CECA” (Commissione Europea per il Carbone e l’Acciaio), ufficialmente “europeista” ma in realtà suggerito dall’”ECA” – avevano lavorato, eliminando le giacenze sia nel settore siderurgico che in quello petrolifero, dove si erano create anche tensioni tra le multinazionali USA e quelle anglo-olandesi, rischiando di spaccare il fronte delle “Sette sorelle”.

«[…] questi erano stati anche gli anni che avevano sottolineato come la pace fosse pericolosa per il capitalismo mondiale, oltre al fatto che mezzi strettamente economici, nel quadro di alternative capitalistiche, non erano sufficienti ad impedire che la grande capacità produttiva degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale affondasse nella stagnazione, se non nella depressione.» (p. 587)

 

Una serie di domande suscitate dalla comparazione storica.

La comparazione è sempre esercizio da utilizzare con cautela.

Ma mai come in questo caso viene naturale porci una serie di domande, a proposito di una permanenza di meccanismi che ispirano le iniziative del pur declinante impero statunitense e delle contraddizioni che esso continua a provocare o a non riuscire a risolvere.

È impressionante assistere a fenomeni che sembrano quelli odierni.

Ad esempio una corrotta classe dirigente greca che galleggia con la sua ricchezza speculativa, basata sul prelievo dei crediti finanziari delle grandi potenze, mentre riduce all’estrema povertà la popolazione;

oppure il vassallaggio imposto ai paesi dell’Europa orientale in cambio del controllo delle loro economie da parte tedesca e statunitense.

È il 1946 oppure stiamo osservando le vicende di questo inizio del Ventunesimo secolo?

E che dire dell’ambasciatore americano che dichiarava che

«Se i russi avessero allargato la loro influenza sull’Iran, […] ciò avrebbe posto termine a qualsiasi possibilità di avere concessioni petrolifere americane nell’Iran, e creato una minaccia potenziale alle nostre immensamente ricche concessioni dell’Arabia Saudita, Bahrein e Kuwait» (pp. 294-295).

È una dichiarazione del 1945, ma potrebbe essere stata pronunciata nel 1979, ai tempi della rivoluzione contro lo Scià, oppure anche oggi.

E che dire del capo di stato maggiore statunitense “George Marshall “che, prima di diventare il segretario di stato di Truman e dare il suo nome al piano per “aiutare” l’Europa, cercava senza esito nel 1946 di far dialogare i comunisti cinesi con il Kuomintang, mentre forniva aiuti militari in truppe, logistica ed armamenti a questi ultimi?

Non sembra esattamente la politica dei democratici statunitensi di Joe Biden, che ruggiscono sui media verso il governo israeliano, mentre lo armano e sostengono economicamente?

Continuando con le comparazioni, che dire, oltre che dei non credibili politici democratici Usa (cui si contrappongono politici repubblicani non meno cinici e guerrafondai), della similitudine tra spregiudicata crudeltà militarista e corruzione sul piano interno di un Chiang Kai-schek e di un Benjamin Netanyahu?

Sembra proprio di poter costruire visivamente delle tipologie antropologiche di ricorrenti figure politiche universali, finti esponenti di borghesie “compradore” che, lasciate a sé stesse dalle potenze imperiali, non potrebbero resistere a lungo.

Ciò vale anche per i “padroni del mondo”, insoddisfatti per il carattere e le mosse indifendibili dei loro turbolenti (in)fedeli vassalli, alla continua ricerca di un “centro” o di una “destra pulita” – non è solo un fenomeno italiano! – neanche la realtà non rendesse evidente che mafie, corruzioni, fascismi, truculenze, non sono “deviazioni” dal retto corso della Storia, ma ne sono protagonismi irrinunciabili: o li batti, o prevalgono loro, con il loro lascito di sangue.

Aggiungiamo un accenno alle politiche di una sinistra realista e di fatto riformista, una volta preso atto della moderazione del primo dopoguerra, cui abbiamo accennato.

Come possiamo ad esempio giudicare la parabola di un movimento più simile alla “nuova sinistra” come “Siryza” in Grecia che, partito su posizioni di rottura con il sistema neoliberale, ha finito per ripercorrere le tracce note della gestione dell’austerità, senza poter agire sul piano strutturale, per mancanza di riferimenti ed aiuti internazionali (di chi? Del governo tedesco impegnato a tutelare i propri investimenti? Di governanti europei e nazionali fanaticamente liberisti e tutori del Capitale, come i Draghi e i Renzi?);

limitandosi infine a cercare di ridurre le ineguaglianze più estreme nel contesto di una politica di sacrifici, facendo il “lavoro sporco” per quella borghesia importatrice e speculativa, che poi si è riappropriata anche del potere politico che aveva abbandonato nel culmine della crisi?

Le comparazioni odierne sono facili, basta sostituire la nota “isteria anticomunista” che ha guidato il “secolo americano”, con l’attuale “i. russofobica” oppure “sinofobia”, oppure “islamofobia”.

I termini si sovrappongono facilmente – es. degli anni ‘10 e ‘20 del secolo scorso: l’americanissima “red scare”, accompagnata da estesa xenofobia e dalla chiusura delle frontiere all’immigrazione – e permettono, attraverso la paura di fantasmi creati ad arte, di mantenere l’umanità sul ciglio del precipizio, oltre il quale si profila l’olocausto atomico.

Ancora oggi, evidentemente, sono valide sia la “dottrina Truman” ed il “containment” di “George Kennan”, che quel “rollback” che gli Stati Uniti hanno sperimentato inutilmente contro vari paesi, da ultimo Afganistan ed Iraq.

Con quali costi umani, si cerca di nasconderlo.

E che dire infine, quanto alle similitudini che ci suggeriscono, della guerra di Corea del 1950-1953, con da un lato il generale” Mac Arthur”, novello “Kur”z, a voler scatenare per le sue ambizioni presidenziali la guerra globale, anche atomica, per la riconquista della Cina in alleanza con i corrotti dittatori destrorsi (il sudcoreano “Syngman Rhee” e quello cinese “Chiang Kai-schek”, rifugiatosi a Formosa/Taiwan dopo averne massacrata la popolazione aborigena) e, dall’altro, l’amministrazione Truman che invece giocava la Corea prevalentemente come un pretesto per il riarmo in Europa?

Che poi, dopo un semestre di veloci offensive, si trascinarono per due lunghi anni e mezzo in una “guerra d’attrito” sul confine armistiziale del 1945 (quello odierno, d’altronde), a dispetto dei tentativi di dialogo diplomatico da parte cinese, indiana e sovietica.

Trattative che avrebbero solo neutralizzato il grande mercato del riarmo.

Ricorda qualcuno oggi, forse?

Sicuramente i milioni di morti costati ad ogni tappa della storia, quella qui raccontata e quella di tutti i giorni, non sembra interessino poi molto a nessuno.

 

 

 

Guerra Russia-Ucraina: Kiev, «presi

1.000 chilometri nel Kursk».

L’ira di Putin.

 Ilsole24ore.com – (12 agosto 2024) – Redazione – ci dice:

 

L’Ucraina riceverà “una degna risposta” per la sua invasione del territorio russo. Vladimir Putin lascia trasparire tutta la sua ira in una nuova riunione di responsabili delle forze armate e della sicurezza al settimo giorno della battaglia di Kursk. Primo obiettivo nel conflitto è ora quello di “espellere” le forze di Kiev dal territorio russo, aggiunge il presidente.

Ma la situazione resta “complicata”, avverte il governatore, “Alexei Smirnov”, ammettendo che il nemico ha preso il controllo di 28 località.

Mentre il comandante delle forze armate ucraine, “Oleksandr Syrsky”, afferma che il territorio conquistato è pari a mille chilometri quadrati.

“Continuiamo a condurre operazioni offensive nella regione di Kursk”, ha annunciato “Syrsky” in un video postato sui canali social del presidente “Volodymyr Zelensky”, che per la prima volta ha riconosciuto pubblicamente l’offensiva in corso.

E secondo Smirnov sono già 121.000 i civili evacuati dalle aree di combattimento. Sull’altro versante della frontiera, nella regione ucraina di Sumy, gli sfollati sono circa 20.000.

Ma la Russia ha deciso l’evacuazione della popolazione di un distretto in un’altra regione di confine, quella di “Belgorod”, dove ci sono “attività nemiche”, ha detto il governatore “Vyacheslav Gladkov”.

Il canale Telegram russo “Rybar,” considerato vicino alle forze armate, ha riferito di un tentativo di infiltrazione a Belgorod di alcune decine di sabotatori, che sono stati respinti al valico di “Kolotilovka”.

Ma probabilmente gli ucraini si preparano ad “un altro, più serio attacco”.

Putin ha aggiunto che la Russia teme azioni ucraine anche in un’altra regione di frontiera, quella di” Bryansk”.

(Il presidente del Consiglio della “Federal Reserve” statunitense “Jerome Powell” risponde a una domanda dei media dopo che la Fed ha tagliato il suo tasso di interesse di riferimento di mezzo punto dopo la sua conferenza di due giorni presso la Federal Reserve a Washington, DC, USA.) (EPA/Shawn Thew)

Il ministero della Difesa di Mosca ha detto che continua a fare affluire truppe e armamenti verso” Kursk,” e ha parlato di pesanti perdite tra gli ucraini - 260 militari - nelle ultime 24 ore.

Ma il quadro tracciato dal governatore “Smirno”v è decisamente preoccupante. Le forze di Kiev sono avanzate fino a una profondità di 12 chilometri su un fronte largo 40, ha detto.

E il problema principale, ha aggiunto, è che “non c’è una chiara linea del fronte, non si capisce dove siano le unità ucraine”, che sembrano muoversi a piccoli gruppi con manovre tattiche che spiazzano quelle russe.

“Smirnov” ha anche accusato gli ucraini di avere usato armi chimiche in un bombardamento di artiglieria sul distretto di “Belovo”, dove alcuni “agenti di polizia e il capo di una comunità rurale sono rimasti intossicati”.

Secondo il governatore, i civili rimasti uccisi nei bombardamenti ucraini sono finora 12 e i feriti 121, di cui 10 bambini.

Putin ha spiegato l’offensiva in territorio russo con lo scopo da parte di Kiev di migliorare la sua posizione in vista di futuri negoziati.

Tutto ciò “con l’aiuto dell’Occidente”.

 Gli Usa e i suoi alleati, ha dichiarato, “fanno la guerra alla Russia per mano ucraina”.

Il presidente vede nell’iniziativa bellica anche un tentativo di distogliere truppe russe dal teatro del Donbass, dove da mesi sono all’offensiva, e di “seminare discordia” e “distruggere la coesione” della società russa.

Obiettivi più o meno confermati a Kiev da un alto responsabile ucraino che ha parlato con l’agenzia “Afp “mantenendo l’anonimato.

 Scopi che non saranno raggiunti, ha assicurato il presidente russo: le forze di Mosca “stanno avanzando lungo tutta la linea del fronte” in territorio ucraino, ha affermato.

Mentre il ministero della Difesa russo ha detto che è stato “accelerato il ritmo” dell’offensiva nella regione di Donetsk, con la conquista di tre villaggi nell’ultima settimana.

 

Quanto ai negoziati, nella situazione attuale sono da escludere.

“Di cosa possiamo parlare con gente che colpisce indiscriminatamente i civili e cerca di minacciare gli impianti nucleari?”, ha detto Putin, con un riferimento all’ultimo incidente che ha visto coinvolta la centrale di” Zaporizhzhia”.

 Zelensky ha accusato gli “occupanti russi” di avere appiccato un incendio avvenuto domenica alle torri di raffreddamento della centrale, in territorio controllato dalle truppe di Mosca.

Ma la Russia ha accusato gli stessi ucraini di avere bombardato il sito e la portavoce del ministero degli Esteri, “Maria Zakharova”, ha giudicato Kiev colpevole di “terrorismo nucleare”.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e le autorità russe locali, non vi è stato comunque alcun rischio di esplosione, perché i sei reattori dell’impianto sono in fase di spegnimento a freddo.

 

 

 

Fuga dalla morte

tra bombe e disperazione.

 Osservatorioromano.va – (18 settembre 2024) – Federico Piana – ci dice:

 

Tutti stanno fuggendo dal Sudan.

Fuggono gli uomini, inorriditi da una guerra tra esercito e milizie che porta solo devastazione e morte.

Fuggono le donne, impazzite per l’urgenza di portare in salvo i propri bambini. Fuggono i musulmani, maggioranza religiosa stanca di vedere assaltate le proprie case, i propri negozi, sgozzati o fucilati a sangue freddo i propri cari.

Fuggono anche i cattolici che prima dello scoppio del conflitto erano una piccolissima minoranza di un milione ma oggi si sono ridotti a malapena alla metà. Cercano di scappare dove possono, in Sud Sudan, in Ciad, in Egitto.

Vogliono dimenticare orrori come quello denunciato a «L’Osservatore Romano» da un religioso che preferisce mantenere l’anonimato, per non mettere a repentaglio la propria sicurezza e quella dei suoi fratelli nella fede:

«Nella città di” Sennar”, qualche giorno fa, un mercato è stato raso al suolo dalle bombe.

Le vittime sono state una quarantina, persone povere la cui unica colpa è stata quella di cercare cibo per tentare di sopravvivere».

Una notizia rimasta impantanata nei bassifondi dell’informazione internazionale che ha ignorato anche altre decine di tragedie quotidiane come quella dello scorso metà agosto avvenuta ad “El Obeid”, capitale dello stato del “Kordofan” settentrionale del Paese africano.

Il religioso si emoziona quando cerca di ricordarla, la sua voce quasi si incrina: «Decine di bambini sono morti sotto le macerie di una scuola tirata giù con i missili.

Un attacco assurdo e deliberato del quale nessuno si è preso pena».

Nessuno ha interesse per una guerra, combattuta ormai da più di un anno unicamente per la conquista del potere, che contrappone l’esercito e i miliziani.

 E che vive una situazione di drammatico stallo:

“Khartoum”, la capitale, devastata da continui bombardamenti;

i villaggi del “Darfur”, provincia ad occidente della nazione, completamente dati alle fiamme e depredati, una volta dall’esercito e la volta successiva dalle milizie; le città di “El Obeid”, “Sennar “e “Kaduqli” rese fantasma da attacchi a colpi di mitra e cannone.

Non si vince e non si perde, si continua solo a morire.

Quando inizia a descrivere la situazione della Chiesa locale in questo inferno di cadaveri e disperazione, il religioso ha come un sussulto:

«Religiosi stranieri, preti diocesani, laici: quasi tutti sono fuggiti.

Non c’è quasi più nessuno.

Nell’arcidiocesi di “Khartoum”, ad esempio, sono rimasti solo tre sacerdoti che mantengono viva la vita sacramentale come meglio possono.

 Solo nella città di” Port Sudan”, a nord-est dell’arcidiocesi, c’è una corposa presenza di religiosi comboniani, di suore di Madre Teresa e di un’altra congregazione di suore indiane».

Non va meglio nella diocesi di “El Obeid” dove il vescovo può contare solo su tre sacerdoti.

 «Molti di loro, forse la maggioranza, sono fuggiti sui monti “Nuba”, dove la guerra ancora non è arrivata, ed in Sud Sudan», sostiene il sacerdote.

 Con le stesse proporzioni di preti e suore, anche i laici hanno abbandonato il Paese.

O stanno pensando di farlo.

A quelli che rimangono, la Chiesa locale cerca di garantire la celebrazione dei sacramenti anche a costo di doverli raggiungere nelle zone più sperdute ed impervie.

Il religioso è felice di far sapere che, nonostante tutto, «le piccole comunità cattoliche che hanno trovato riparo in villaggi lontani possono contare sulla presenza dei catechisti, ai quali è affidata la liturgia della Parola, e alcune volte di quei pochi sacerdoti rimasti che si recano da loro con difficoltà ed abnegazione».

L’impegno prioritario per la Chiesa locale è diventato anche quello di assistere e sostenere la popolazione.

Cibo, acqua, medicine, coperte, costano sempre di più e farle giungere a destinazione è un’impresa complicata.

Eppure, il sacerdote conferma che già da tempo «si stanno raccogliendo donazioni ed offerte con le quali stiamo aiutando la gente in modo diretto. Quando è possibile, riusciamo anche a far spostare da una zona all’altra chi ha bisogno di andare in ospedale.

 Aiutiamo la gente caso per caso: non solo cristiani ma chiunque abbia necessità e bussa alla nostra porta».

 Alla domanda se la Chiesa potrebbe diventare parte attiva nei processi di pacificazione delle fazioni in lotta, il religioso non esita a rispondere partendo da un dato di fatto:

 «Non ne abbiamo la forza. Non abbiamo canali diplomatici diretti con i quali poter interagire politicamente ed istituzionalmente.

Quello che la Chiesa può fare è richiamare l’attenzione dei media su ciò che stiamo vivendo».

Attenzione che però sembra non esserci, sul Sudan è calato l’oblio.

«È vero. Ma la Chiesa continua a parlare.

Anche se ci sentiamo abbandonati totalmente dalla comunità internazionale. Certo, c’è la guerra in Ucraina ed in Terra Santa ma qui ci sono dieci milioni di sfollati, decine di migliaia di morti mentre un milione di persone rischia di morire di fame.

 Che cosa deve capitare ancora a questo povero Paese affinché si ascolti il suo grido disperato?».

(Federico Piana).

 

 

 

 

L'anno dei padroni del mondo.

Wired.it – (18 gennaio 2924) – Federico Ferrazza - L’editoriale -Redazione – ci dice:

 

Tra elezioni e crisi internazionali, le persone a capo delle Big Tech avranno sempre più potere nel 2024.

Il 2024 sarà un anno elettorale su scala globale.

A marzo ci saranno le elezioni presidenziali in Russia.

A maggio sarà il turno dell’India che dovrà scegliere se confermare il primo ministro conservatore Narendra Modi.

A giugno noi europei saremo chiamati a eleggere il nuovo parlamento continentale.

E a novembre gli Stati Uniti decideranno se far restare Joe Biden alla Casa Bianca per altri quattro anni.

 Se consideriamo solo queste poche elezioni, quasi due miliardi e mezzo di persone (sugli otto miliardi di individui che siamo oggi sulla Terra) vedranno cambiare o confermare i loro governanti.

Ma il 2024 potrebbe essere ancora più movimentato.

Al voto andranno infatti tanti altri piccoli stati importanti per gli equilibri mondiali. A gennaio ci saranno per esempio le consultazioni a Taiwan il cui esito potrebbe avere un impatto sulla sempre incombente invasione da parte della Cina, ovviamente non ben vista dagli Stati Uniti e dall’Occidente in genere.

Insomma, per il mondo il prossimo sarà un anno cruciale, soprattutto se consideriamo le varie crisi internazionali di questi mesi/anni:

dall’invasione dell’Ucraina alla questione israelo-palestinese.

Ma se fino a un paio di decenni fa l’economia era spettatrice delle dinamiche elettorali e delle sue conseguenze, oggi non è più così.

Fenomeni ormai consolidati come la globalizzazione e il predominio e l’influenza dell’industria digitale hanno fatto perdere al potere politico il primato sull’economia e sui suoi protagonisti.

Lo raccontiamo in questo numero di Wired.

Dove trovate le storie umane e professionali di un’élite di persone in grado di cambiare le vite di ogni abitante della Terra.

Un club di “nuovi potenti” divenuti tali non grazie a elezioni più o meno democratiche ma per le loro capacità imprenditoriali, manageriali e di innovare.

Il trailer del nuovo numero di Wired, dedicato al futuro della democrazia.

Operano tutti nell’economia digitale e sono a capo delle più importanti e capitalizzate aziende del mondo.

E sono i nuovi potenti (purtroppo al momento quasi tutti maschi) per due motivi.

Il primo è che molti di loro governano le piattaforme (social o meno) nelle quali oggi si forma l’opinione pubblica:

da “Alphabe”t (la holding di Google e YouTube tra le altre) a “Meta” (il contenitore di Facebook, Instagram e WhatsApp), fino a “TikTok” e “X”, la ex Twitter.

 Il secondo è per uno dei principali effetti dell’economia di internet, che le varie agenzie per l’antitrust di tutto il mondo non hanno saputo contrastare in questi ultimi anni:

le aziende più grandi si mangiano tutte le altre, stabilendo oligopoli o monopoli di fatto.

È così nel commercio elettronico, nei motori di ricerca, nei social, nei software per le imprese, nella messaggistica istantanea e così via.

Sarà così anche nell’intelligenza artificiale generativa?

È probabile, vista la mole di investimenti e risorse che richiede il suo sviluppo.

 In questo momento (grazie anche agli impressionanti finanziamenti di Microsoft) in vantaggio c’è “OpenAI”, l’organizzazione “ibrida”, metà commerciale e metà non profit, da cui è nata “ChatGpt”, che nei giorni in cui andiamo in stampa è al centro di una lotta per il potere tra le sue due anime.

Tutti gli aggiornamenti sulla vicenda li stiamo seguendo quotidianamente su Wired.it, ma la certezza che caratterizzerà tutto il 2024 è che siamo di fronte a uno scenario ancora fluido, con concorrenti agguerriti come Alphabet, Amazon e le varie aziende di Elon Musk.

Che si contenderanno il ruolo di leader della tecnologia che, con una facile previsione, più di tutte cambierà il mondo nei prossimi anni.

 

 

 

 

 

La guerra Nord-Sud

disciplina il pianeta.

Unjmondo.org – (18 Settembre 2024) – Redazione – Raúl Zibechi - ci dice:

 

Siamo nel mezzo della transizione da un mondo unipolare centrato sul Nord globale (Usa, parte dell’Ue e i suoi alleati) a un mondo multipolare con diverse potenze e regioni in lotta.

 Il primo problema, scrive Raúl Zibechi”, è che il “nuovo ordine “probabilmente emergerà dopo una serie di guerre locali e forse globali.

 Intanto, il conflitto operai/padroni non gioca più un ruolo importante in nessuno scenario, anche se non è scomparso, mentre i significati di famiglia e lavoro evaporano, tanto da essere valori difesi da sensibilità progressiste e conservatrici.

In questo scenario l’autoritarismo è diventato una politica standard in paesi come Ungheria, Turchia, El Salvador, Polonia, Filippine, India, Nicaragua e Venezuela, tra gli altri, molti dei quali accettati come democrazie a pieno titolo.

“La geopolitica, disciplina maledetta, sta organizzando le relazioni internazionali… Navighiamo in acque turbolente in cui l’interesse e il vantaggio sono i valori dominanti”.

La guerra in Ucraina “è una situazione unica e non può essere paragonata a nessun’altra guerra o conflitto nel mondo”, spiega il “Comitato Olimpico Internazionale” (CIO) alla rivista “Time” per giustificare l’esclusione della Russia dai Giochi di Parigi.

 L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è un evento deplorevole che deve essere condannato con forza.

Ma da dove viene l’idea del CIO che si tratti di una guerra unica e senza precedenti?

Senza dubbio dalla mentalità colonialista che ancora domina in Occidente, che è alla base delle decisioni istituzionali e della propaganda dei media mainstream, che non informano più, ma piuttosto impongono concetti/visioni/punti di vista.

 

La verità è che siamo nel mezzo della transizione da un mondo unipolare centrato sul Nord globale (Stati Uniti, parte dell’Unione Europea e i suoi alleati) a un mondo multipolare con diverse potenze e regioni che interagiscono su un piano di parità, senza che nessuna di esse possa assestare il mondo secondo i propri interessi, qualsiasi analisi sensata svanisce nei venti coloniali che tornano a soffiare con insolita intensità.

 

Il “nuovo ordine” che probabilmente emergerà dopo una serie di guerre locali e forse globali sarà ancorato in diversi Paesi e regioni del Sud globale e sta prendendo forma negli ultimi anni sulla scia delle guerre in Ucraina e a Gaza.

Ricordiamo che la maggioranza del Sud globale (85% della popolazione mondiale) non ha sostenuto le sanzioni imposte alla Russia dal Nord globale (15% della popolazione mondiale) e, con alcune eccezioni, riconosce lo Stato palestinese, una consapevolezza che sta lentamente “contaminando” quasi la metà dei Paesi dell’Unione Europea.

La contraddizione Nord globale contro Sud globale ordina e subordina tutte le altre.

Il conflitto operai – padroni (borghesi e proletari nel linguaggio marxista) non gioca più un ruolo importante in nessuno scenario, anche se non è scomparso, così come il significato di famiglia, lavoro e risparmio è evaporato come valori difendibili da una sensibilità progressista o addirittura conservatrice.

 

 

 

 

Nuovi scenari, tutti inquietanti

e pericolosi. Il punto.

Unjmondo.org – Raffaele Crocco - 20 Settembre 2024 – ci dice:

 

Inevitabilmente, è l’attacco israeliano a Hezbollah tramite i cercapersone, i walkie talkie ed altri apparecchi radio a tenere in apprensione il Mondo.

Decine i morti, centinaia i feriti in questo attacco concertato e simultaneo. Israele non ha rivendicato nulla, anzi tace, ma tutti i governi – anche quelli alleati a Tel Aviv – e le agenzie d’intelligence puntano il dito contro il Mossad, l’intelligence israeliana.

L’operazione dispiega nuovi scenari, tutti inquietanti e pericolosi.

 Di fatto, la possibilità di uccidere chiunque, ovunque si trovi, è ormai un dato di fatto.

Con queste operazioni, Israele ha dimostrato che la realtà supera la fantasia. L’ipotesi più accreditata è che i cercapersone siano stati sabotati prima dell’arrivo in Libano.

 Facciamo un riassunto: funzionano con un impulso radio, non come i cellulari. Hezbollah all’inizio di quest’anno li aveva distribuiti ai propri militanti per evitare l’uso dei telefoni portatili, facilmente tracciabili.

Li ha comperati a Taiwan.

L’ipotesi più accreditata è che siano stati manomessi prima dell’arrivo in Libano, introducendo una piccola carica di esplosivo e un pulsante attivabile a distanza per l’innesco.

Le intelligence di mezzo Mondo sono al lavoro per capire chi abbia collaborato con il Mossad.

Una fonte libanese sostiene che almeno 5mila apparati elettronici, cioè cercapersone e walkie talkie, sarebbero stati manomessi.

Ma c’è chi spiega che cercapersone e dispositivi elettronici in genere avrebbero già, senza alcuna manomissione o aggiunta di componenti, un alto potenziale esplosivo, dato dalla presenza di “coltan”, altri minerali e dalle batterie al “litio”. Basterebbe, quindi, trovare la frequenza giusta per attivare l’esplosione.

 Una tesi fantascientifica che, se accreditata, mette davvero paura.

Le indagini in corso ci forniranno probabilmente, nelle prossime settimane, una risposta, che peserà comunque come una minaccia perenne per chiunque:

 tutti possiamo essere colpiti in qualunque momento.

A questa “potenziale minaccia privata”, svelata dagli attentati di questa settimana, va aggiunto il salire rapido della tensione internazionale.

Secca la condanna dell’operazione del quasi ex Alto rappresentate della politica estera dell’Unione Europea, “Josep Borrel”, che parla esplicitamente di escalation militare.

 Sulla stessa lunghezza d’onda “Volker Turk”, Commissario dei diritti umani per l’Onu.

E mentre gli Stati Uniti fanno sapere di non essere stati coinvolti nell’operazione, Hamas si dice pronto alla resistenza ad oltranza e l’Iran promette vendetta.

 

La realtà è che il governo Netanyahu sembra voler proseguire verso quella che vede come la “soluzione finale” nei confronti di varie situazioni: Hamas, i palestinesi in genere e il proprio ruolo nella Regione.

Mentre a Gaza continua l’operazione militare e continua la strage di civili, a Nord si è aperto un altro fronte politico militare, che colpisce Hezbollah in Libano per minare ruolo e presenza dell’Iran.

La sfida è ormai continua e Netanyahu la gioca con la certezza di avere alle spalle Stati Uniti ed Unione Europea, pronti a sostenerlo a prescindere da tutto.

Disposti anche a chiudere un occhio sull’operazione di annientamento del popolo palestinese in atto.

Oltre a Gaza, la situazione in Cisgiordania è diventata pesantissima, con i coloni israeliani che di fatto controllano tutto il territorio.

 Per i palestinesi pare non esserci più spazio e ogni romantica ipotesi europea e statunitense di creare “due popoli, due stati” è definitivamente tramontata per mancanza di territorio disponibile.

 

Difficile immaginare che il radicalismo israeliano resti senza risposta da parte degli Stati dell’area.

 È una linea sottile quella che separa le operazioni militari di Tel Aviv da una guerra allargata, devastante.

Guerra che continua, senza tregua e macinando migliaia di vittime, anche in Ucraina.

Gli attacchi incrociati ormai non si contano.

Se Mosca bombarda sempre più pesantemente le città ucraine, Kiev risponde a tono.

 Un deposito militare russo è stato colpito nella regione di “Tver”.

 Si trova a 400 chilometri dal confine.

Sulla linea del fronte, intanto, continua il massacro.

Le perdite sono altissime.

 L’intelligence militare inglese ha calcolato che russi e ucraini abbiano avuto, ad oggi, almeno un milione di giovani morti o mutilati.

Mosca avrebbe avuto 1.400 morti in un solo giorno, questa settimana.

Per questa ragione il presidente russo Vladimir Putin ha firmato un decreto che aumenta il numero dei militari delle forze armate a un milione e mezzo di effettivi.

Si tratta di circa 200mila uomini in più.

 In questo modo, mettendo nella conta anche il personale civile, il totale dei militari nelle forze armate russe sale a 2,389 milioni di unità.

Un numero altissimo, che dimostra come Putin non abbia, al momento, alcuna intenzione di trattare con il governo ucraino.

(Raffaele Crocco).

 

 

 

 

 

Erik Davis: non lasciamo il sogno

della tecnologia ai padroni del tech.

Guerredirete.it - Philip Di Salvo – (2 Aprile 2024) – ci dice:

 

Seguire le discussioni attorno alla tecnologia oggi significa anche, spesso, confrontarsi con toni estatici, mistici, quasi religiosi.

Lo si vede attorno all’intelligenza artificiale e alle preoccupazioni da fine del mondo e della storia che le vengono spesso associate, insieme alle sue capacità sovrumane.

Non vi sono dubbi che questi punti di vista siano erronei e persino pericolosi in termini scientifici, sociali e politici, ma allo stesso tempo dimostrano anche qualcosa di più ampio e di natura differente.

Le tecnologie dell’informazione, da che esistono, sono sempre state accompagnate da una dimensione narrativa quasi spirituale;

per via dei loro tratti conturbanti o sublimi (come teorizzato dal ricercatore Vincent Mosco, recentemente scomparso), a tratti quasi disturbanti, e alla loro capacità di aprire faglie, spalancare orizzonti, connetterci con dimensioni altre.

“Techgnosis”, primo saggio del critico e autore statunitense” Erik Davis”, è il libro che, alla fine degli anni Novanta, ha tracciato la dimensione spirituale della “cyber cultura” dell’epoca, mappando anche la ricorsività di questi elementi mistici nella storia della tecnologia e la loro persistenza, anche se incorporata, animata e spinta da attori molto diversi tra di loro.

Uscito originariamente nel 1998, “Techgnosis” è diventato progressivamente un elemento cruciale di quella mistica, un testo ovviamente molto ancorato nello Zeitgeist in cui è stato scritto, ma allo stesso tempo capace di guardarvi con la giusta dose di distacco e disincanto, tanto da essere ancora sorprendentemente attuale ora che viene riproposto dall’editore NERO con una nuova traduzione italiana.

Techgnosis

Quando il cyberspazio era un futuro migliore.

Rileggere oggi “Techgnosis” non ha però nulla di nostalgico.

 Coincide piuttosto con il guardare indietro, a un momento storico in cui sembrava davvero possibile che il cyberspazio potesse essere altro, o lo scheletro di un mondo altro e ovviamente migliore.

“Techgnosis” è intriso dell’utopismo positivo di quel momento, di cui offre uno spaccato tra i più chiari, ma offre anche un resoconto delle cose che in prospettiva già allora si temeva potessero mettersi male, grazie al latente spirito disturbante e misterioso del libro, di preoccupazione e giusta paranoia che a sua volta lo pervade.

Leggere “Techgnosis” oggi, però, in tempi in cui l’immaginazione di altro nella tecnologia sembra impossibile per chiunque non sia un miliardario intriso di “bullshit escatologiche” da capitalismo impazzito a un passo dal fascismo, è un esercizio rivitalizzante.

 Leggerlo serve a ricordare che l’utopismo tecnologico degli anni ’90, al netto dei suoi lati più risibili, era anche un motore positivo di potenziale cambiamento.

Niente o quasi di quello che si sognava allora si è materializzato e quella battaglia è forse persa per sempre, ma in “Techgnosi”s si trova ancora un qualche seme psichedelico e mistico su cui almeno provare a sognare delle tecnologie che non siano solo statistica applicata, burocraticizzazione della natura umana, efficienza quantitativa e incubi securitari.

In questo senso, “Techgnosi”s suona ancora come un rave di potenzialità concluse ma ancora possibili e nel suo ritorno si può trovare una qualche forma di possibilità di immaginazione.

 O quanto meno un monito utile a ricordare quanto possa essere potente continuare a sognare la tecnologia.

 

Ecco la nostra intervista con Erik Davis.

 

GdR:

È molto affascinante pensare che il libro sia stato pubblicato originariamente alla fine degli anni ’90.

Pensa che quel periodo faccia ormai parte della preistoria della rete o è possibile trovare qualche forma di vicinanza?

Come si pone di fronte al ritorno di “Techgnosis” nel 2024?

 

“È strano, perché si tratta di qualcosa cui ho lavorato tanto tempo fa e quando ero giovane.

È stato il mio primo libro e quello che ho fatto allora sembra continui a risuonare abbastanza da essere prezioso dopo così tanto tempo, specialmente se guardiamo al tempo in termini tecnologici, un ambito dove tutto si muove così velocemente.

Penso spesso agli anni ’90, e mi sento come se non li avessimo integrati o capiti del tutto.

Per quanto riguarda la mia vita, è stato il periodo in cui ero giovane e anche il mio momento di massima vicinanza agli anni ’60.

È stato un periodo di vera creatività e se non di ottimismo radicale, almeno di eccitazione, perché la cultura stava cambiando con l’hip-hop e il sampling, c’erano il ritorno dei rave, la musica elettronica e i nuovi movimenti psichedelici.

Complessivamente, c’era un vero senso di vitalità subculturale allora, oltre a tutta l’eccitazione e alle fantasie su ciò che sarebbe potuto succedere con la rete e le tecnologie digitali.

Alla fine degli anni ’90, quella prima ondata di ossessione digitale di massa stava raggiungendo il culmine, e in parte a causa anche dell’economia della rete, che in retrospettiva possiamo dire fosse palesemente una sorta di truffa.

Ma al tempo Wired pubblicava copertine per dire che avevamo di fronte un futuro di abbondanza perpetua.

Era un periodo interessante e molto millenario, era davvero la fine del secolo.

 Ora prendiamo un po’ in giro il “Millennium Bug”, perché non è successo nulla. C’era però allora un senso strano attorno al cambiamento di data:

era qualcosa di certamente allegorico, eppure anche molto reale.

 Si percepiva concretamente un senso di trasformazione imminente e quel senso era alimentato dall’underground, dalla psichedelia e, sai, dalla sensazione che qualcosa stesse davvero accadendo.

Detto questo, sono molto felice di essere stato sufficientemente pessimista allora, tanto da non farmi coinvolgere troppo nell’hype, e questo rende il libro ancora utilizzabile oggi”.

 

GdR:

Cosa possiamo dire, oggi, dello spirito così ottimista del periodo? Il libro di certo non è uno di quelli che aderisce semplicemente a quei punti di vista utopici.

 

“In quel periodo ero interessato a tracciare l’uto-pianismo, a seguire la fantasia, a seguire il millenarismo, ma anche a vedere il lato più oscuro, a vedere la paranoia, la società del controllo, il lato oscuro della magia.

In un certo senso, quindi è davvero la preistoria, perché il mondo è davvero cambiato profondamente.

Non possiamo chiamare tutto come utopia, sarebbe un po’ ingiusto, perché sappiamo tutti che le utopie non accadono.

Quindi potremmo guardare alle visioni positive che c’erano all’epoca e dire che siamo stati ingenui.

Penso che il discorso sia più complicato di così, perché alcune di quelle cose potrebbero effettivamente essere accadute.

A meno che non si creda che la storia sia completamente determinata, allora c’erano davvero possibilità e aperture per cose che sarebbero potute andare diversamente.

Una delle cose che mi piacciono di “Techgnosis” ora è che, mentre si può leggerlo con gli occhi di chi, oggi, è deluso da gran parte dell’evoluzione della tecnologia, il libro ha ancora una carica di possibilità e di riflessione su ciò che avrebbe potuto accadere.

Penso che sia meglio continuare a ricordare queste possibilità per mantenerle forse in vita, invece che semplicemente aderire a qualche punto di vista completamente pessimista”.

 

GdR:

 La dimensione mistica delle tecnologie dell’informazione che è al centro del libro sia ancora visibile in qualche modo oggi? Dove la vede?

Qualche tempo fa leggevo un numero della sua newsletter “Burning Shore”, dove ha riproposto un suo articolo proprio degli anni ‘90 dedicato ad “Aphex Twin”.

Negli anni Novanta l’underground aiutava a percepire quella dimensione.

I balletti su “TikTok” e la cultura corporate mi sembra evochino qualcosa di diverso.

Sono troppo giovane per aver vissuto “Aphex Twin” nei suoi momenti più vitali, ma forse già troppo vecchio perché “TikTok” mi parli in qualche modo mistico.

“A livello personale, non mi sto più nutrendo dello Zeitgeist allo stesso modo: riesco a vedere l’arco lungo della storia, e posso essere più diffidente nei confronti dell’hype.

 Però, sono anche consapevole che alcuni giovani si stiano davvero sintonizzando sulla magia, sai, proprio attraverso TikTok.

 Parte di quel mondo è certamente superficiale, ma parte di esso non lo è ed è composto da persone che condividono comunità di pratiche degli stati alterati che sono permeate proprio dal modo in cui le immagini fluttuano su quella piattaforma.

 Parte di TikTok mi mette a disagio, ma parte di esso è davvero affascinante e molto più ricco di quello che possa sembrare.

 Una delle cose che volevo dire con” Techgnosis” è che quando ci sono significative trasformazioni in una tecnologia, anche se la tecnologia non finirà per realizzare le fantasie più utopiche, questa creerà comunque spazio per fare dei sogni sociali, almeno per un po’ di tempo”.

“Parte di questo è certamente hype, perché ci sono sempre persone che vogliono guadagnare sfruttando la novità.

Ma vedere le cose solo in questa prospettiva ci fa perdere molto dello spirito umano, della storia, dell’immaginazione, dell’anima, o come vuoi chiamarla, di queste tecnologie.

 La mia generazione ha potuto farlo con Internet, con le liste di distribuzione, con gli albori del “World Wide Web,” con la realtà virtuale dei primordi.

 

Ma quelle tecnologie ora sono, anche se stanno ancora cambiando molto, in un certo senso chiuse per quel tipo di sogni.

L’intelligenza artificiale (AI), invece, è un ottimo esempio.

Nell’AI, si può vedere perfettamente il medesimo processo fatto di sogni utopici, storie paranoiche, invocazioni di dei e spiriti e antichi miti.

Che cosa è davvero questa tecnologia?

 È l’apprendista stregone? È il Golem?

È lo “Shoggoth “di Lovecraft?

Ci sono già diversi miti intorno all’AI, perché è ancora qualcosa di così nuovo e dinamico, che in parte ci servono i miti per capire cosa stia succedendo davvero. C’è, insomma, qualcosa nel modo in cui sogniamo attraverso la tecnologia che continua a tornare allo stesso modo ciclicamente, perché le tecnologie a loro volta continuano a cambiare”.

 

GdR:

Una delle cose che ho apprezzato di più del libro sono I riferimenti a quelli che lei chiama momenti di rivelazione, e molti di essi sono ovviamente collegati al “World Wide Web”, che all’epoca della pubblicazione del testo era all’apice della sua ascesa.

 Leggendo il testo ora, che il web è dappertutto, ho comunque ricordato il suono del router che si connetteva a Internet.

A quel tempo, una faglia storica che ho fatto in tempo a vivere, connettersi alla rete sembrava davvero coincidere con il varcare una soglia.

Dopo il “World Wide Web”, pensa ci sia stata un’altra tecnologia con la stessa carica di immaginazione e potenzialità di rivelazione?

 

“Direi che quella dimensione rivelatoria fosse legata in primis al fatto che immaginassimo il Web come uno spazio, e non a caso si usava diffusamente il termine cyberspazio, che intendevamo come una sorta di “logosfera “posta sopra la nostra biosfera in cui, con quel piccolo suono del router, si poteva veniva trasportati.

Ma una volta che quello spazio è stato definito e abbiamo iniziato a parteciparvi quotidianamente, esso è diventato semplicemente più simile a tutto il resto.

La differenza tra quello spazio e lo spazio biologico si è progressivamente dissolta.

 

Oggi abbiamo gli smartphone ovunque e con essi, i loro sensori.

Tutto ciò che riguarda la rete è diventato più ordinario e sempre più integrato con il modo in cui il resto del mondo funziona.

Nel momento in cui scrivevo “Techgnosis”, invece, erano proprio la distinzione e la differenza a permetterci di avere quel tipo di momenti rivelatori.

Oggi penso che solo l’AI ci offra qualcosa di simile, proprio perché è ancora qualcosa di scioccante e di inquietante, proprio come c’era allora qualcosa di inquietante nel router e nel rumore che faceva mentre si connetteva alla rete”.

 

“Una delle cose più significative accadute in ambito tecnologico dopo l’uscita di “Technosi”s è stata l’ascesa dei social media.

Per me, i social media non hanno molto di quel potenziale rivelatorio.

 Certamente hanno permesso la crescita delle sottoculture e altri fenomeni simili. In quegli ambienti tutto è effettivamente a portata di mano e si possono davvero trovare gruppi che sono interessati allo Zoroastrismo o a qualsiasi altra cosa si voglia.

C’è una dimensione spirituale in questo.

Ma i social media sono più simili a una sorta di dispositivo di cattura.

 I social media sono banali di per sé.

Trascorriamo sempre più tempo all’interno di questi grandi ambienti aziendali incapsulati, e l’esperienza stessa di essere su Internet non è più quella di vagare, cercare e imbattersi in queste meravigliose piccole creazioni che costituivano una creatività distribuita, che aveva di per sé una qualità di ricerca, una forma di caccia all’archivio.

Tutto ciò è diventato più organizzato e aziendalizzato.

Tutto ciò non porta ad alcuna rivelazione, capisci?

Proprio per niente.

 Forse la realtà virtuale potrebbe avere ancora qualche potenzialità rivelatoria, perché ha ancora un’inquietudine di fondo e porta con sé una dimensione che potrebbe portare le persone a esplorare alcuni scenari davvero immaginativi.

Ma è difficile dire oggi che cosa diventerà davvero”.

 

GdR:

Le idee più spirituali o mistiche legate alla tecnologia mi sembra che ora siano promosse maggiormente dagli ambienti della “Silicon Valley e del “business”.

Penso alle visioni lungo terministe sul destino dell’umanità o sull’intelligenza artificiale, indipendentemente da quanto sbagliate o problematiche possano essere.

Mentre persone come noi, i critici o anche l’accademia, spingono invece di più narrazioni che vanno nella direzione di demistificare la tecnologia, cosa sacrosanta, come ribadire che l’intelligenza artificiale di cui disponiamo oggi sia semplicemente statistica applicata.

Mi chiedo anche, però, se così facendo non stiamo perdendo o indebolendo la nostra capacità immaginativa mentre cerchiamo di razionalizzare queste cose?

 In particolare mi chiedo se non stiamo perdendo la capacità di guardare oltre l’esistente e immaginare alternative?

“Questo è davvero un dilemma.

 Nella mia scrittura personale, forse non in modo programmatico, cerco in un certo senso di fare entrambe le cose:

c’è una funzione critica di disincanto che rivela come stanno davvero le cose, eppure c’è anche un apprezzamento per il modo in cui lo spirito o l’immagine o la narrazione o la fantasia, o la speranza ritornano ogni volta.

Nella scrittura critica accademica, purtroppo, temo che non ci sia molto spazio per questo tipo di approccio, e per ottime ragioni.

Ma hai ragione nel dire che mentre le norme del XX secolo si sgretolano e si dissolvono, il capitale ora può permettersi di essere sempre più selvaggio, speculativo e fantastico e attingere dalla cultura della celebrità e dalla sua mitologia e dalla sua storia.

Sai qual è un buon esempio?

La colonizzazione di Marte.

 Se la si guarda criticamente è davvero una stronzata totale.

Non c’è modo che accada.

A meno che non accadano cose magiche.

Ma tutti noi riconosciamo la gloriosa arroganza di Elon Musk che fantastica al di là di ogni limite.

 E in un certo senso, ha ragione.

 Non che ne abbia sul valore della colonizzazione di Marte di per sé, ma ha ragione, in un certo senso, in merito all’immaginazione.

E quindi anche noi, che siamo critici, siamo un po’ bloccati e un po’ limitati perché è molto difficile contrastare quei tipi di sogni”.

“Come anche per il recente manifesto di “Marc Andreessen”, che era semplicemente folle, è come se queste persone dicessero:

hey, nessuno ci sta guardando, diamo pure di matto.

Cosa è il manifesto di “Marc Andreessen”

Tutto questo diventa, in un certo senso, fiction speculativa ed è in buona parte terrificante perché apre sempre più spazio per una società post-democratica, cripto-fascista e autoritaria in cui tutti noi siamo solo zombie di cui bisogna prendersi cura mentre, loro, i grandi, prosperano.

 È pura e semplice cattiva fantascienza, ma ora c’è più spazio per questo tipo di idee perché non c’è effettivamente nient’altro, non si vedono altri tipi di fantasie o di sogni.

Siamo in una situazione davvero difficile e quello che sta succedendo attorno alI’AI è un ottimo esempio.

Noi due possiamo stare in cima alla collina tutto il giorno con i nostri megafoni e dire che è solo statistica, che è semplicemente un’operazione algoritmica parassitaria applicata alla conoscenza umana pre-esistente, e così dicendo.

Ma a un livello più ampio, quel tipo di fiction speculativa, del mito, continuerà semplicemente a girare imperterrita e in realtà modellerà anche il modo in cui le persone interagiscono davvero con tutto questo”.

GdR:

In Techgnosis c’è un passaggio che mi ha particolarmente colpito, quando contrappone la volontà di allora di molti di integrare la rete all’economia globale, con la sua, più aperta invece al continuare a “sognare” la rete.

 Ora che la rete è stata integrata ovunque ed è effettivamente lo scheletro di tutto ciò che facciamo, compresa l’economia, c’è ancora spazio per “sognare” la rete in qualche modo?

“Una delle cose che intendevo dire non è solo sognare Internet in quanto oggetto, ma l’idea della rete, del network stesso.

Questa sarebbe una conversazione molto diversa se oggi ci fosse più ricchezza che fluisce verso il basso e la classe media esistesse ancora, ma non è lì che ci troviamo.

 L’idea della rete che emergeva negli anni ’90, quando la rete stessa aveva raggiunto le sue qualità quasi fantastiche, non ha mai davvero preso il volo.

Ma in sostanza, che cos’è una rete?

È un sistema con molteplici punti al suo interno e che offre connessioni complesse tra questi punti.

Operare all’interno della rete è quindi una sorta di processo decentralizzato, de individualizzato in cui ogni individuo è un nodo, ma ogni nodo è connesso in tutte queste diverse dimensioni, che si possono modulare mentre si avanza dentro il network.

Questo è, penso, un modello davvero meraviglioso per interagire con la differenza e la molteplicità”.

 

“Ciò che vediamo ora invece è l’opposto di tutto questo, c’è polarizzazione, e le persone sono spesso completamente sepolte nelle loro prospettive.

E, di norma, più sono rumorose, insistenti e cattive, più attenzione ricevono. Abbiamo smesso di sognare la rete e quel modello relazionale e invece siamo tornati a un altro sogno, almeno sui social media.

Credo però che se non saremo in grado di sognare sistemi complessi e così grandi e se non saremo capaci di trovare la nostra strada attraverso quel sogno, allora non capiremo nemmeno l’ecologia, e non capiremo tutti gli effetti aggiuntivi, le esternalità dei processi e dei comportamenti che dobbiamo essere in grado di modellare nella realtà, anche secondo prospettive non umane, perché è esattamente ciò che sta accadendo intorno a noi.

Quello che abbiamo al momento è invece, al massimo, una sorta di umanesimo di ultima istanza, una sorta di illusione, che consiste proprio nell’allontanarsi dalla rete come modello di progettazione di una qualche forma di cosmologia.”

 

 

 

Gli ordigni esplosivi di Israele

in Libano sono stati un successo?

 

Comedonchisciotte.org – Redazione CDC – Mattin Jay, strategic-culture.su – (21 Settembre 2024) -ci dice:

 

Cadere sulla propria spada deve essere una preoccupazione sia per Israele che per gli Stati Uniti.

È incredibilmente difficile decifrare i recenti eventi in Libano.

 Prima c’è stata l’esplosione di cercapersone e poi, più recentemente, di walkie talkie, con 20 morti e oltre 500 feriti.

Sebbene Israele non ammetta l’operazione, è chiaro che le sue impronte sono presenti in tutte le operazioni e quindi sarebbe facile supporre che si sia trattato di un grande successo per Netanyahu.

Ha scioccato Hezbollah e messo fuori uso le sue comunicazioni, anche se temporaneamente, e ha mostrato sia ai libanesi che al mondo che Israele è più avanti del proxy sostenuto dall’Iran.

È stato astuto, originale e ingegnoso nella sua semplicità e nella sua efficacia.

Un attacco del genere ha catturato l’immaginazione dei media occidentali, che hanno esagerato con la diffusione della notizia.

Naturalmente, gli esperti dei media e i commentatori a cui si rivolgono non possono dire cosa accadrà in seguito.

 Molti però ipotizzano che questo sia un preludio a un attacco, una guerra totale tra Israele e Hezbollah, che si combatte nel sud del Libano.

 L’effeminato ed egocentrico “Tom Fletcher”, che in passato è stato ambasciatore del Regno Unito in Libano, non ha offerto alcuna preveggenza o intuizione, ma si è limitato a ripetere i vecchi cliché alla radio della” BBC”.

“Jeremy Bowen”, un esperto hacker della “BBC” in Medio Oriente, ha offerto di più.

“Bowen” avverte che negli ultimi giorni la retorica di Israele si è inasprita e che sono state spostate altre attrezzature militari al confine libanese, il che indica che un’invasione è imminente.

Tuttavia, avverte anche che Israele ha una storia di invasione del Libano e se ne è sempre andata con il naso sanguinante, coniando il cliché di andare oltre l’abisso.

 

In effetti, cadere sulla propria stessa spada deve essere una preoccupazione sia per Israele che per gli Stati Uniti.

“Bowen” è anche attento a coprirsi e ad aggiungere che l’attacco dei congegni potrebbe essere parte di una strategia di intimidazione che non include una vera e propria invasione.

 Nessuno lo sa veramente.

Tuttavia, un’invasione di terra almeno fino al fiume “Litani” deve essere nella mente di Netanyahu.

Un’altra volta per rompere la maledizione, penserà.

Anche i suoi generali saranno entusiasti di un’impresa del genere, il che spiegherebbe l’attacco coi cercapersone esplosivi dato che molti combattenti di Hezbollah sono rimasti accecati o parzialmente accecati.

Ma c’è un’altra teoria, che non è stata offerta dalla BBC, ossia che i cercapersone e i walkie talkie siano stati intercettati molto tempo fa, in preparazione di un attacco – ma che Israele abbia ricevuto informazioni sul fatto che Hezbollah avesse scoperto lo stratagemma, o stesse per farlo.

 In un simile scenario, è logico farli esplodere entrambi per capitalizzare la vittoria e sperare nel massimo numero di vittime.

 

Ma anche a questo riguardo è possibile che il livello di esplosivo aggiunto a entrambi i dispositivi sia stato valutato male, dato che le esplosioni stesse, in termini militari, hanno provocato pochissime vittime.

Per qualche grammo in più, forse si sarebbero potuti uccidere centinaia di combattenti di Hezbollah.

Il Libano è pieno di spie e informatori israeliani.

Gli israeliani di solito dispongono di un’eccellente intelligence e sanno molto di più di quanto Hezbollah voglia ammettere.

 Non c’è dubbio che questa sia una sconfitta per Hezbollah, poiché fa sembrare che abbia molte scappatoie per la sicurezza che il Mossad può attraversare quando vuole.

Naturalmente, ora questo sarà reso più rigoroso, ma la trovata di Israele è stata geniale e ha fatto apparire il leader di Hezbollah come un po’ stanco e non in sintonia con le sue minacce.

L’Iran, tuttavia, è una bestia più grande, con una posta in gioco maggiore.

Più si è grandi, più si è duri a cadere si può certamente dire di Teheran.

 

Gli iraniani sono stati umiliati dal fatto che il loro miglior generale è stato assassinato da Trump mentre era in viaggio;

più recentemente, anche un leader palestinese, in visita a Teheran, è stato assassinato;

e troppi comandanti di Hezbollah sono stati uccisi dalle operazioni dell’”IDF/Mossad” in Libano negli ultimi mesi.

 Ogni volta gli esperti della regione parlano di Hezbollah e dell’Iran che prendono tempo per servire il loro piatto freddo di vendetta all’Occidente e a Israele, ma sembra che Teheran voglia evitare a tutti i costi una guerra totale con l’Occidente.

Stranamente, questo è anche l’obiettivo di Biden, tuttavia, se questi recenti attacchi fanno parte di un’offensiva di terra pianificata, come anche i comandanti dell’IDF stanno accennando a un’offensiva che ‘gravita’ verso il Libano, allora Teheran non avrà altra scelta che alzare la posta in gioco.

 

Se è vero che l’attacco dei dispositivi elettronici e ricetrasmittenti è stato impressionante per la sua originalità, non dobbiamo mai sottovalutare le mosse che l’Iran potrebbe avere in serbo per l’impresentabile fanteria israeliana sul campo di battaglia in Libano o anche all’interno di Israele.

L’”IDF” non ha mai ottenuto nulla che possa essere definito una vittoria con le sue invasioni sia nel 1982 che, più recentemente, nel 2006.

 A quei tempi, Hezbollah ha dato all’IDF una batosta umiliante all’interno del Libano e Israele farebbe bene a notare che il suo esercito di combattenti libanesi è ancora migliore oggi di allora.

 È una crudele ironia per Israele, ma le sue invasioni sono servite solo a far progredire la capacità di Hezbollah come esercito disciplinato di indebolire l’IDF in guerra.

 In uno scenario del genere, una sconfitta del genere significherebbe certamente la fine di qualsiasi governo politico dell’élite di Tel Aviv, ma potrebbe anche significare la fine di Israele come lo conosciamo.

 Netanyahu è così illuso da rischiare una mossa del genere?

(Martin Jay, strategic-culture.su.)

(Martin Jay è un pluripremiato giornalista britannico con residenza in Marocco, dove è corrispondente del “The Daily Mail” (Regno Unito), che in precedenza ha raccontato la Primavera Araba per la “CNN” e per “Euronews”.)

(strategic-culture.su/news/2024/09/19/was-israel-exploding-devices-in-lebanon-a-success/)

 

 

 

 

 

Il ‘partito della guerra’

fa i suoi piani.

Comedonchisciotte.org - Redazione CDC - Patrick Lawrence, scheerpost.com – (20 Settembre 2024) – ci dice:

 

La Casa Bianca di Biden e la macchina del Partito Democratico che cerca di far avanzare Kamala Harris dal numero 2 del regime al numero 1, devo dire che è sempre più interessante di settimana in settimana.

La campagna della Harris ha finalmente pubblicato, due mesi dopo che le élite e i finanziatori del partito hanno fatto passare la sua candidatura al di là di qualsiasi parvenza di processo democratico, una piattaforma che chiama “A New Way Forward” (Una nuova via per il futuro), di cui parlerò a tempo debito.

 Ora non mi interessano tanto le parole pubblicate su un sito web, quanto due recenti sviluppi che dovremmo analizzare attentamente insieme, anche se nessuno ha ancora pensato di farlo.

Lentamente e in modo molto sicuro, attraverso queste svolte a cadenza settimanale, diventa chiaro come un nuovo regime democratico, se Harris dovesse vincere il 5 novembre, si propone di gestire gli affari dell’imperium.

 E per quanto molti elettori sciocchi possano illudersi del contrario, se la Harris conquisterà la Casa Bianca, i suoi affari non saranno né più né meno che gestire l’imperium: le guerre, le provocazioni, le sanzioni illegali e altre punizioni collettive, i clienti terroristi in Israele, i neonazisti a Kiev.

 

Mercoledì scorso, 4 settembre, “Liz Cheney” ha sorpreso “Washington” e, suppongo, la maggior parte di noi, quando ha annunciato che avrebbe sostenuto la corsa della “Harris” alla presidenza.

L’ex deputata del Wyoming, una guerrafondaia che coltiva il colpo di stato e che rimane tra i più falchi della politica estera di destra, non è stata la prima repubblicana a saltare dall’altra parte del corridoio in questa stagione politica, e non è stata nemmeno l’ultima:

 Due giorni dopo, il padre di “Liz “ha fatto lo stesso.

“Dick Cheney”, ovviamente, non ha bisogno di presentazioni.

 

Immediatamente, la campagna della” Harris” ha dichiarato di essere felice di avere il sostegno di questi coraggiosi patrioti, come li ha definiti l’organizzazione nelle sue dichiarazioni ufficiali.

Una settimana dopo tutto questo politicantismo di alto livello, il Presidente Biden si è riunito nello Studio Ovale con “Keir Starmer”, il nuovo Primo Ministro britannico, per esaminare la proposta dell’Ucraina di sparare missili forniti dall’Occidente contro obiettivi ben all’interno del territorio russo.

 I britannici sono pronti ad assecondare il regime di Kiev, così come i francesi, ma tutti – Londra, Parigi, Kiev – hanno bisogno del permesso di Biden per allargare la guerra in questo modo.

 

Al momento, Biden e il Segretario di Stato” Blinken” sono nella loro fase “Beh, forse”, e noi dobbiamo stare con il fiato sospeso a chiederci se acconsentiranno a questi piani.

 Ma non abbiamo già visto questo film e non sappiamo come finisce?

 Non era forse: “Forse invieremo sistemi missilistici HIMARS”, “Forse carri armati M-1”, “Forse missili Patriot”, “Forse F-16”?

Anche prima dell’incontro” Biden-Starmer” della scorsa settimana, “Blinken e David Lammy”, il Ministro degli Esteri britannico, durante una visita a Kiev per i colloqui con “Volodymyr Zelensky”, stavano già lanciando pesanti allusioni al fatto che Biden avrebbe ancora una volta acconsentito ai piani che il Presidente ucraino e il Premier britannico avevano coreografato per presentargli.

 

La clausola su cui Biden e Blinken pretendono di insistere ora è che non acconsentiranno a permettere a Kiev di utilizzare armi fornite dagli Stati Uniti – che sembrano essere diverse dalle armi prodotte dagli Stati Uniti – contro obiettivi all’interno della Russia.

Questo non è altro che uno di quei giochi di parole che la Casa Bianca di Biden fa quando vuole apparire premurosa e prudente, ma non è né l’una né l’altra cosa. Qualcuno può dirmi che differenza farà per la Russia se Mosca sarà colpita da un missile inviato da Gran Bretagna, Francia o Stati Uniti?

Queste persone si stanno riunendo per pianificare l’escalation sconsiderata delle potenze occidentali di una guerra per procura che non hanno modo di vincere e sanno di non avere modo di vincere.

 La disperazione è ciò che la disperazione fa: questa è la mia semplice lettura di queste decisioni.

 

Tra la pianificazione della guerra e il cambiamento di lealtà politica, a cosa abbiamo assistito nelle ultime due settimane? Questa è la nostra domanda.

Quando i Cheney, padre e figlia, si sono arruolati nelle file della campagna della Harris,” Jen O’Malley Dillon”, presidente della campagna, ha lodato il primo per il suo coraggio e la seconda per il suo patriottismo.

 Altrove nell’“alveare” della “Harri”s, come mi sembra di capire che lo chiamiamo, i commentatori liberali si sono fermati a un passo dall’esaltare la migrazione politica di “Liz” e “Dick Cheney”, ignorando il fatto che sembra essere un mero opportunismo.

 

“James Carden” ha scritto un pezzo conciso su questo argomento, “La Cheneymania si impossessa dei Democratici”, nell’edizione del 12 settembre di “The American Conservative”.

 “L’applauso selvaggio che ha accolto l’annuncio di “Liz”… è indicativo di dove i liberali collocano le loro priorità”, ha scritto il commentatore di lunga data di Washington, ‘e spiega perché non ci si può fidare di loro in materia di sicurezza nazionale’.

C’è molta politica nell’esuberante saluto dei Democratici ai “Cheney”, naturalmente.

Gli uomini della “Harris” vogliono sfruttare al meglio le divisioni tra i repubblicani e, nel caso di “Liz Cheney”, sfruttare l’astio che si è creato tra lei e Donald Trump. Ma dobbiamo guardare più da vicino per capire questo balletto politico.

“Liz Cheney” una volta ha avuto un battibecco pubblico con “Rand Paul” su chi fosse più “Trumpier”.

“Dick Cheney” è colpevole di tanti crimini di guerra, di crimini contro l’umanità e di sfruttamento della guerra, più di quanto Donald Trump possa mai immaginare nei suoi sogni più belli.

 

Nessun accenno a questo quando pensiamo a queste due defezioni politiche? Non ne ho letto o sentito parlare all’interno dell’alveare della Harris.

 

“Stephen Cohen” era solito scherzare, tranne che non stava giocando, sul fatto che c’è un solo partito a Washington ed è giustamente chiamato il “Partito della Guerra”.

Abbiamo appena avuto un richiamo alla preveggenza del defunto ed eminente russista.

Non c’è alcuna intenzione, tra le persone che stanno dando lezioni a “Kamala Harris”, di mettere in discussione le numerose aggressioni e le attività illegali di questa nazione, e nemmeno di riconsiderare le politiche estere disastrose e mal calcolate del regime di “Biden”, che sono indistinguibili dall’agenda neoconservatrice che i Democratici, una volta, fingevano di contrastare.

 

Leggete “A New Way Forward”, un documento di 13 pagine.

 La pagina e mezza dedicata alla sicurezza nazionale e agli affari esteri si riduce a un discorso dedicato alla “russofobia”, alla “sinofobia”, alla “NATOfobia” e alla “forza di combattimento più letale del mondo”, che sembra essere l’idea della “Harris” di un corpo diplomatico.

 Ecco come pensa il” Partito della Guerra” di “Steve Cohen” e come suona.

 Come dichiarazione di intenti, la piattaforma “Harris-Walz” è del tutto accomodante rispetto alla decisione molto probabile della Casa Bianca di Biden di intensificare il conflitto in Ucraina fino a rischiare la “Terza Guerra Mondiale” che “Biden finge di non volere”.

 

L’analisi più chiara e più preoccupante del pensiero di “Biden-Blinken” – è una mia parola? – di autorizzare Kiev ad attaccare obiettivi nel profondo della Russia con missili forniti dall’Occidente, è arrivata da” Vladimir Putin”.

Il Presidente russo ha parlato giovedì scorso, il giorno prima dei colloqui di “Starmer con Biden”, in risposta alla domanda di un giornalista.

 Vale la pena leggere la sua dichiarazione per intero, data l’evidente gravità che attribuisce alle deliberazioni dell’Occidente:

“Stiamo assistendo a un tentativo di sostituire le idee.

Perché non si tratta di stabilire se al regime di Kiev sia permesso o meno di colpire obiettivi in territorio russo.

 Sta già effettuando attacchi utilizzando veicoli aerei senza pilota e altri mezzi.

 Ma utilizzare armi di precisione a lungo raggio di fabbricazione occidentale è una storia completamente diversa”.

“Il fatto è che – l’ho già detto e qualsiasi esperto, sia nel nostro Paese che in Occidente, lo confermerà – l’esercito ucraino non è in grado di utilizzare sistemi all’avanguardia, di alta precisione e a lungo raggio forniti dall’Occidente.

Non possono farlo.

 Queste armi sono impossibili da utilizzare senza dati di intelligence dai satelliti, che l’Ucraina non possiede.

Questo può essere fatto solo utilizzando i satelliti dell’Unione Europea, o i satelliti degli Stati Uniti – in generale, i satelliti della NATO.

Questo è il primo punto.”

 

“Il secondo punto – forse il più importante, il punto chiave – è che solo il personale militare della NATO può assegnare missioni di volo a questi sistemi missilistici.

 I militari ucraini non possono farlo.

Pertanto, non si tratta di permettere al regime ucraino di colpire la Russia con queste armi o meno. Si tratta di decidere se i Paesi della NATO saranno coinvolti direttamente nel conflitto militare o meno.”

 

“Se questa decisione verrà presa, significherà niente di meno che un coinvolgimento diretto: significherà che i Paesi della NATO, gli Stati Uniti e i Paesi europei sono parti in causa nella guerra in Ucraina.

 Questo significherà il loro coinvolgimento diretto nel conflitto, e cambierà chiaramente l’essenza stessa, la natura stessa del conflitto in modo drammatico.

Ciò significa che i Paesi della NATO – Stati Uniti e Paesi europei – sono in guerra con la Russia.

E se questo è il caso, allora, tenendo conto del cambiamento dell’essenza del conflitto, prenderemo decisioni appropriate in risposta alle minacce che ci verranno poste.”

 Ci sono chiaramente persone sane di mente all’interno delle cricche politiche di Washington che possono leggere questa dichiarazione per quello che è e comprendere il rischio che il regime di Biden contempla mentre si avvicina a una decisione ufficiale sulla questione dei missili.

Ma queste teste più sagge non sembrano in vantaggio.

L’opinione prevalente sembra essere quella di persone come “William Burns”, il direttore della “CIA”, che pensa che Putin stia bluffando e, in modo abbastanza assurdo, è disposto a scoprire se ha ragione dichiarando il bluff.

Ecco una parte della lettera che 17 ex ambasciatori e generali hanno inviato all’amministrazione Biden la scorsa settimana, come riportato dal” New York Times”.

Mentre leggi queste frasi, pensa al motivo per cui i firmatari di questa lettera l’hanno scritta e come mai sono così sicuri del loro giudizio come professano:

“L’alleggerimento delle restrizioni sulle armi occidentali non provocherà un’escalation di Mosca.

 Lo sappiamo perché l’Ucraina sta già colpendo il territorio che la Russia considera suo – tra cui Crimea e Kursk – con queste armi e la risposta di Mosca rimane invariata.”

“Ora riflettiamo se coloro che hanno scritto e firmato questa lettera, e per estensione coloro che gestiscono la politica dell’Ucraina, sono sani di mente o sono folli”.

Tra le presunte preoccupazioni del regime di Biden, che sta valutando di autorizzare l’Ucraina ad allargare la guerra, c’è la differenza che farebbero gli attacchi all’interno della Russia.

 La Casa Bianca e il Pentagono vogliono vedere il piano, è stato riferito.

 È una buona domanda, che chiede quale sia lo scopo di questo tipo di escalation, ma non sono sicuro che la risposta sia importante per coloro che siedono al tavolo nella sala di gabinetto della Casa Bianca.

Come ho sostenuto più volte in questo spazio, il regime di Biden ha stupidamente impostato questa guerra come una guerra tra democrazia e autocrazia.

 Di conseguenza, può permettersi di rischiare ogni sorta di escalation precipitosa, ma non può permettersi di perdere.

Entrando in scena a destra, forse a tempo debito, Volodymyr Zelensky dice ora di voler mostrare a Biden, e successivamente a Harris e Trump, il suo “piano per la vittoria sulla Russia”.

Il Washington Post ha riferito venerdì scorso che sarà composto da pochissime parti.

“Tutti i punti dipendono dalla decisione di Biden”, ha detto il presidente ucraino in un recente forum a Kiev.

 

Come ha notato il “Post”, Zelensky non ha ancora rivelato questi punti, ma ci sono notizie, ben lontane dall’essere confermate, che sono tre.

Il primo è l’autorizzazione ai missili, il secondo è l’assicurazione che la NATO dispiegherà sistemi di difesa aerea per proteggere l’Ucraina occidentale, e il terzo – sentite un po’ – è la garanzia che la NATO invierà truppe di terra nelle aree di retrovia del conflitto, in modo che le Forze Armate dell’Ucraina possano dispiegare più truppe al fronte.

Queste proposte, se confermate durante il prossimo viaggio di Zelensky a Washington, si allineano tutte in una direzione:

Il tema ricorrente del regime di Kiev rimane quello di trascinare l’Occidente in una guerra più intensa, mentre il regime di Netanyahu in Israele cerca sempre di fare altrettanto in Asia Occidentale.

 Zelensky, il Primo Ministro israeliano, Biden:

“ Il problema del mondo in questo momento, o uno di essi, è che nessuno di questi popoli può permettersi di perdere le guerre che la loro arroganza li ha portati a iniziare”.

Gli anglosassoni e gli americani probabilmente faranno un annuncio ufficiale sull’uso di missili a lungo raggio contro la Russia dopo che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite avrà concluso i suoi lavori il 28 settembre.

“ Starmer” lo ha indicato di recente.

Nel migliore dei casi, scopriremo che Putin ha spaventato Washington e Londra a tal punto che faranno un passo indietro rispetto a questo ultimo piano di escalation.

 È possibile.

Ma gli Stati Uniti e le altre potenze della NATO non hanno fatto molti passi indietro finora, è bene tenerlo a mente.

“M.K. Bhadrakumar”, l’ex diplomatico indiano che pubblica la newsletter” Indian Punchline”, sempre molto attenta, ha pubblicato un articolo lunedì 16 settembre, sostenendo che le potenze anglo-americane stanno trasformando la guerra per procura in Ucraina in una roulette russa.

 Ecco una parte del ragionamento di “Bhadrakumar”.

 Gli “Storm Shadows” sono i missili che “Starmer “permetterebbe a Kiev di sparare verso la Russia, se il regime di Biden approverà il piano:

“Mosca prevede che la manovra degli Stati Uniti e del Regno Unito potrebbe essere quella di sondare il terreno utilizzando per la prima volta (apertamente) il missile da crociera a lungo raggio” Storm Shadow “della Gran Bretagna, che è già stato fornito all’Ucraina.

Venerdì, la Russia ha espulso sei diplomatici britannici assegnati all’ambasciata di Mosca, avvertendo chiaramente che i legami tra Regno Unito e Russia ne risentiranno.”

La Russia ha già avvertito il Regno Unito di gravi conseguenze se lo “Storm Shadow” dovesse essere utilizzato per colpire il territorio russo.

Ciò che rende la situazione in via di sviluppo estremamente pericolosa è che il gioco del gatto e del topo, finora, sul coinvolgimento occulto della NATO nella guerra in Ucraina, si sta trasformando in un “gioco di roulette russa “che segue le leggi della “Teoria delle Probabilità”.

“Bhadrakumar” ha perfettamente ragione, a mio avviso, ma con un piccolo difetto nella sua argomentazione.

Si può dire che gli americani e i britannici stiano giocando, per quanto poco seri, ma i russi no.

(Patrick Lawrence, scheerpost.com)

(Patrick Lawrence, corrispondente all’estero per molti anni, soprattutto per l’International Herald Tribune, è un critico dei media, saggista, autore e docente.)

(scheerpost.com/2024/09/18/patrick-lawrence-the-war-party-makes-its-plans/).

 

 

 

 

 

 

La pazienza è finita:

è ora di un gigantesco “pernacchio”

comedonchisciotte.org - Katia Migliore – Redazione – (21 Settembre 2024) – ci dice:

 

Non è più il momento dei grandi proclami propagandistici, da ovunque provengano.

 

La pazienza degli utenti dei vari social e delle persone comuni è davvero finita.

A nessuno viene più permesso di raccontare frottole, perché i fatti che caratterizzano la nostra quotidianità hanno ormai preso il sopravvento, e ci danno un quadro chiaro di come stanno veramente le cose.

Dalle questioni legate all’immigrazione selvaggia, e il disagio che provoca nelle nostre città e le reazioni “fai da te” di sempre più cittadini, o dalla propaganda della EU sulla guerra russo-ucraina, alla quale però pare evidente che nessuno presti più ascolto e infatti la classe politica italiana ha fiutato l’aria, per passare attraverso la rabbia di chi si è visto inondare la casa dalle piene dei fiumi da un anno all’altro, e arrivare a non comprare manco mezza auto elettrica perché le politiche green sono indigeste a tutti, fino ad arrivare alle censure applicate dai social per tacciare i dissenso (e il buonsenso) di chi poneva dubbi sui vaccini covid, che ormai si inoculano in ben pochi, tutto alla fine ci parla di italiani che basta, non ne possono più e lo dicono a chiare lettere, senza freni e in ogni modo possibile.

 

E così si moltiplicano video di denuncia, di protesta, post sarcastici se non aggressivi nei confronti di chi, ancora una volta, vorrebbe raccontare le cose come NON stanno.

E tutti con larghissimo seguito.

 

I giornali, le televisioni caricano la dose di verità non dette, se non addirittura di menzogne, seguendo tutti la stessa velina.

 Vorrebbero distorcere i fatti, gli autorevoli commentatori televisivi e del web.

 Ma il risultato, ormai, va oltre la loro previsione:

pochi li ascoltano, molti li incalzano, taluni li insultano.

 

Le persone comuni, quelle che davvero vivono le difficoltà del quotidiano, non accettano più sermoni e predicozzi, e lasciano soli, nella loro torre d’avorio, coloro che pretendono di avere la verità in tasca.

 Si dimezza a dire poco la fiducia nei confronti delle classi dirigenti di ogni settore, incapaci troppo spesso di un pensiero che abbia concretezza e qualità.

La reazione è sotto gli occhi di tutti:

 le cosiddette fonti autorevoli, classe politica compresa, vengono ormai quotidianamente sommerse da un gigantesco, liberatorio e provvidenziale “Pernacchio” alla De Filippo, protagonista del celeberrimo episodio dall’Oro di Napoli, film diretto da Vittorio de Sica nel 1954.

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