La pace non può esistere nel mondo.

 

La pace non può esistere nel mondo.

 

 

La Russia ha Svelato un Nuovo

Sistema di Armi Come

Avvertimento per l’Ucraina e L’Occidente.

Conoscenzealconfine.it – (22 Novembre 2024) – Redazione - Guerrieri per la libertà – ci dice:

 

A quanto pare la Russia ha lanciato un singolo missile balistico, l’RS-26 Rubezh contro un obiettivo a “Dnipro”, in Ucraina (Dnipropetrovsk).

Secondo le autorità ucraine, il missile ha colpito un’impresa industriale di cui non è stato reso noto il nome.

Il “Dnipro” ospita l’impianto di produzione missilistica Pivdenmash (ex Yuzhmash).

L’analisi delle immagini dell’attacco indica che l’RS-26 trasportava sei testate indipendenti, ciascuna delle quali a sua volta distribuiva diverse submunizioni.

 In precedenza non era stata valutata la possibilità che la Russia equipaggiasse l’RS-26 con una testata di questo tipo.

Con l’introduzione del missile RS-26 dotato di armamento convenzionale, la Russia sta cambiando la natura qualitativa del conflitto, come promesso dal Presidente Vladimir Putin.

L’Ucraina e i suoi alleati occidentali devono ora valutare il potenziale distruttivo di quest’arma e comprendere che la Russia può lanciare questa testata contro qualsiasi obiettivo in Ucraina o in Europa, sapendo che non esiste alcuna difesa contro di essa.

L’RS-26 viene prodotto a “Votkinsk”.

Si stima che la produzione dell’RS-26, interrotta nel 2017, sia ripresa la scorsa estate.

 Con tassi di produzione stimati in 6-8 missili al mese, la Russia potrebbe aver accumulato un arsenale di 30-40 missili RS-26.

 Sebbene descritto come un missile balistico intercontinentale, la gittata dell’RS-26 dipende in realtà dal pacchetto di testate.

Se armato con una singola testata, può superare la soglia dei 5.000, utilizzata per distinguere tra missili a gittata intermedia e intercontinentale.

 

L’RS-26 non è entrato in produzione in serie a causa di questa ambiguità;

all’epoca, la Russia era firmataria del trattato INF, che proibiva i missili a gittata intermedia.

Si stima che il pacchetto di sei testate convenzionali impiegato contro il Dnipro avrebbe fatto rientrare l’RS-26 impiegato nella fascia intermedia per la classificazione.

Donald Trump si è ritirato dal trattato INF nel 2019.

Se gli Stati Uniti fossero rimasti nel trattato, questa versione dell’RS-26 non sarebbe stata disponibile per l’uso da parte della Russia.

La Russia ritiene ora di avere il diritto di usare armi contro le strutture militari dei paesi che consentono l’uso delle loro armi contro la Russia, ha affermato Putin.

I punti principali della dichiarazione di Putin sull’uso di un nuovo missile da parte della Federazione Russa:

– La Federazione Russa ha attaccato “Yuzhmash” con un missile balistico ipersonico privo di nucleare;

– Il missile utilizzato dalla Russia si chiamava “Oreshnik”;

- L’uso di “Oreshnik” è una risposta ai piani statunitensi di produrre e schierare missili a medio e corto raggio;

– La Russia risponderà in modo deciso e risoluto all’escalation;

– La Federazione Russa offrirà in anticipo ai civili ucraini di lasciare la zona di pericolo in caso di utilizzo dei missili;

– La Russia preferisce mezzi pacifici, ma è anche pronta a qualsiasi sviluppo degli eventi, “ci sarà sempre una risposta”;

– Al momento non esistono mezzi per contrastare i missili russi “Oreshnik”.

(t.me/guerrieriperlaliberta).

 

 

 

 

La NATO cerca di avvelenare i pozzi

e di sabotare il piano di pace di

Trump e Putin per l’Ucraina.

 

  Lacrunadellago.net – (23/11/2024) - Cesare Sacchetti – ci dice:

 

Quando legge il suo ultimo discorso alla nazione, la voce di Putin suona ferma e composta, come quella di chi non è minimamente turbato di quello che sta accadendo.

Nelle ultime settimane più che una escalation in Ucraina c’è stato quello che si può definire un tentativo di avvelenare i pozzi da parte della NATO nei confronti di Trump e Putin.

A dare il via a tali provocazioni sarebbe stato il presidente uscente “Joe Biden” che nel mezzo della foresta brasiliana si è presentato davanti ai microfoni, spaesato come sempre, per annunciare che la Casa Bianca avrebbe concesso l’autorizzazione per utilizzare i missili a lunga gittata a disposizione di Kiev per colpire il territorio russo.

Non c’è nulla a conferma di questa presunta autorizzazione da parte della presidenza Biden che negli ultimi 3 anni ha mostrato in più di una occasione di non seguire affatto le linee di politica estera del partito democratico e della NATO, ma invece ha preferito seguire le linee guida della precedente amministrazione Trump, suscitando le ire di Bruxelles e della stampa internazionale, soprattutto il “Financial Times”.

 

Se c’è stato un ordine dunque, è presumibile che questo non sia partito da Washington ma piuttosto da Londra, il vero centro della destabilizzazione internazionale.

Le origini di Londra come centrale del disordine mondiale.

L’anglosfera, com’è noto, si fondava sulla egemonia di tre centri di potere, quali Washington, Londra e Tel Aviv, la capitale dello stato ebraico, che è stata per larga parte dell’900 e per i primi anni del presente secolo, il Paese che ha avuto più influenza nell’indirizzare la politica dell’Occidente liberale, utilizzando la potenza militare angloamericana per mettere a ferro e fuoco il Medio Oriente.

 

Originariamente il testimone della destabilizzazione del mondo per come lo si conosceva un tempo, è stata indubbiamente la corona britannica che dai tempi della battaglia di Waterloo, si ritrova de facto nelle mani della potente famiglia dei banchieri di Francoforte sin da quando “Nathan Rothschild “riuscì ad accumulare una enorme somma di denaro attraverso il primo caso di aggiotaggio della storia, quello che lo vide guadagnare profitti elevatissimi attraverso la conoscenza in anticipo della sconfitta di Napoleone.

Londra da quell’istante ha agito per rovesciare governi in ogni parte del mondo e ha assolto alla funzione di esercito della” famiglia Rothschild”, i quali trasmettevano i loro ordini alla corona che non faceva altro che eseguirli.

Tra le tante “imprese” compiute dalla” famiglia Rothschild” c’è senz’altro quella di aver favorito l’unificazione della penisola italiana avvenuta non purtroppo sulle orme delle radici cattoliche e greco-romane dell’Italia, ma piuttosto su quelle di massoni come Mazzini, Garibaldi, Cavour e Francesco Crispi che si sono dedicati sin dai primi istanti alla laicizzazione e alla scristianizzazione di questo Paese attraverso l’applicazione del principio liberale della separazione tra Stato e Chiesa.

 

Londra ha proseguito la sua opera per conto dei banchieri anche, e ancora di più, nel secolo XX, quando il ministro degli Esteri, “Arthur Balfour”, prendeva l’impegno solenne di trasformare la “Palestina” nella casa del futuro stato ebraico, non prima però di aver liquidato l’impero Ottomano, la cui dismissione era stata già decisa prima della prima guerra mondiale, scoppiata per raggiungere questo obiettivo e per permettere ai bolscevichi di origine ebraica di spodestare e uccidere lo zar Nicola e la sua famiglia nel 1918.

La storia di Londra come potenza destabilizzante è proseguita anche nel corso della seconda guerra mondiale, quando il massone Winston Churchill, amico intimo del conte Kalergi, si adoperava per far sì che da quel conflitto uscisse l’ordine prestabilito dagli ambienti della finanza che contano, i quali avevano stabilito ancora una volta che dalla seconda guerra mondiale sarebbe dovuto nascere lo stato d’Israele e che all’anglosfera sarebbe toccato il compito di guardare tale “ordine”.

 

Il testimone del caos e della destabilizzazione è passato però dalle mani di Londra a quelle di Washington che dal 1945 in poi ha seminato una interminabile scia di guerra in giro per il mondo per garantire quello status quo, e se non c’era una guerra, c’era un omicidio o un colpo di Stato, come avvenuto per Aldo Moro, per il presidente iraniano Mossadegh, per Enrico Mattei, per il presidente serbo Slobodan Milosevic e il colonnello Gheddafi.

Il caos serviva soltanto per consentire a questo apparato di restare al suo posto, fino a quando il legame di Washington con l’anglosfera non si è interrotto con l’era del presidente Trump iniziata nel 2016 e che, ora, dopo ben 8 anni, sembra intenzionata a chiudere una volta per tutta l’appartenenza degli Stati Uniti all’anglosfera.

I nemici del presidente americano lo hanno intuito molto bene e hanno provato in ogni modo a toglierlo di mezzo, tra colpi di Stato quali lo “Spy gate” e l’”Italia gate” e molteplici attentati alla sua vita, tutti fortunatamente sventati e falliti spesso anche per una protezione probabilmente non solo terrena nei confronti di Trump.

Adesso si giunge alla chiusura del cerchio.

L’atlantismo non sa come fare senza la presenza militare degli Stati Uniti e senza il suo ruolo di salvaguardia del precedente (dis) ordine mondiale.

 

Le provocazioni di Londra contro Mosca, “Darktrace” e il “Bayesian”.

 

Londra ha provato a rivestire i vecchi panni dell’impero britannico ai tempi del XIX secolo, ma la sua potenza militare è chiaramente inadeguata per riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti né tantomeno l’UE e le sue velleità di costruire il fantomatico esercito europeo possono fare alcunché per consentire l’esistenza in vita della NATO.

 

Gli “architetti del caos” però sembrano determinati a non arrendersi nonostante ormai sia tutto contro di loro.

Sono ormai due anni e mezzo che il Regno Unito mette in atto una sistematica serie di provocazioni nei confronti della Russia iniziate con l’invasione dello spazio navale del Mar Nero, quando una nave inglese penetrò, senza autorizzazione, le acque navali russe.

Le provocazioni non si sono mai interrotte e fra le molte che si potrebbero citare, forse la più sensazionale è quella nella quale la Gran Bretagna ha messo a disposizione del regime nazista di Kiev la sua tecnologia attraverso la società “Darktrace “per provare a lanciare un maldestro e ridicolo tentativo di invasione del suolo russo.

La risposta di Mosca a tale provocazione non sembra essersi fatta attendere.

I lettori ricorderanno che questo blog fu il primo a rivelare in Italia, e anche sul piano internazionale, che l’affondamento del “Bayesian” sul quale c’era proprio l’”AD di Darktrace”, “Mike Lynch”, fu probabilmente una operazione portata in atto dall’intelligence russa che attraverso le sue tecnologie ha provocato il rapidissimo affondamento di una barca praticamente inaffondabile, il “Bayesian”, e che ancora oggi è adagiata sui fondali della rada di Porticello.

 

Il “Bayersian” e i suoi illustri passeggeri legati ai servizi inglesi e israeliani.

 

Non è stato differente quanto visto in questi ultimi giorni quando l’Ucraina ha sparato i suoi missili a lungo raggio sul territorio russo, ognuno dei quali è stato intercettato, e ora Kiev, che si stimava avere 50 missili del genere, non sembra avere molte più cartucce a disposizione non tanto per rovesciare le sorti della guerra, persa in partenza, ma per provare a scatenare un conflitto globale e trascinare nell’arena tutti gli Stati europei, soprattutto gli Stati Uniti che nessuna voglia hanno di partecipare e che invece hanno fretta di chiudere la guerra con un trattato di pace che riconosca le ragioni della Russia e i territori dell’Est russofono in Ucraina come legittimamente parte del territorio russo.

 

Gli atlantisti a Bruxelles sanno di non avere più frecce al loro arco, e allora hanno provato a giocarsi le loro ultime e inutili carte che non porteranno comunque agli esiti desiderati perché a questo giro si trovano contro non soltanto la Russia di Putin e i BRICS, ma anche gli Stati Uniti di Trump che non prestano minimamente il fianco alla strategia della destabilizzazione inseguita da Bruxelles.

 

Mosca, se e quando risponderà, farà delle azioni molto probabilmente coordinate e precise, come quella vista per il “Bayesian”, e Londra potrà fare ben poco per rispondere, considerata anche la sua crisi interna politica con una economia sempre più debole e con delle fratture sociali sempre più marcate, data l’implosione che si sta creando dai britannici nativi, per così dire, e quelli artificiali ai quali i vari governi liberal-democratici hanno concesso generosamente la cittadinanza del Regno Unito.

Cosa aspettarsi dunque da tale fase?

La bestia della NATO è chiaramente morente e il suo destino appare segnato, ma i colpi di coda che può tentare appaiono limitati rispetto al passato, anche perché le possibilità di un nuovo tentativo di omicidio nei confronti di Trump sono ancora più esigue del passato, dopo il fallito attentato di luglio, e aprire un altro fronte in Medio Oriente tramite Israele è impresa praticamente impossibile, dato che lo stato ebraico è isolato, la sua campagna in Libano si sta rivelando un disastro assoluto, e l’Iran ha dimostrato di poter colpire e far male a Tel Aviv in qualunque momento.

Si è quindi giunti alla fase terminale, quella nella quale il triangolo composto da Washington, Londra e Tel Aviv giunge alla sua definitiva estinzione, ma sicuramente prima della morte ufficiale di questo assetto geopolitico, tale decadente potere, ormai composto solo da Londra e Tel Aviv, se proverà ancora a mettere in atto qualche atto provocatorio, non farà paradossalmente altro che accelerare il suo declino.

 

L’Euro-Atlantismo si trova nella stessa situazione di chi è imprigionato nelle sabbie mobili. Più si muove, più sprofonda.

Trump e Putin conoscono molto bene i loro avversari e sanno altrettanto come rispondere o non rispondere alle loro provocazioni.

Ogni ora che passa, ogni giorno che passa, è uno in meno verso l’insediamento ufficiale di Trump e verso la sua volontà di separare gli Stati Uniti definitivamente dall’Euro-Atlantismo e di infliggere il colpo di grazia alla NATO e all’Unione europea.

 

 

 

L’anticamera del potere, dove tecnocrati

e politici prendono le decisioni.

Nicolaporro.it – (20 Aprile 2024) - Francesco Subiaco – ci dice:

Le decisioni passano sempre meno dai parlamenti, sempre più da un incrocio tra poteri pubblici e privati. Il problema è quando le oligarchie perdono legittimità.

Gli uomini invisibili che hanno incarnato il potere opaco delle “anticamere” sono i protagonisti di “Eminenze grigie. Uomini all’ombra del potere” (Liberilibri), l’ultimo libro di “Lorenzo Castellani”, saggista, editorialista e docente alla Luiss.

Una galleria di ritratti di scienziati, diplomatici, mandarini,” civil servant”, tecnocrati, missionari laici e ideologi, da Surkov a Dick Cheney, da Zhou Enlai a Montagu Norman.

Protagonisti “indiretti”, come direbbe “Carl Schmitt”, che al confine tra tecnica e politica, consiglio e condizionamento, ideologia e prassi, hanno scritto in silenzio e nell’ombra la vera storia del potere e dei poteri.

Per conoscere le loro storie abbiamo intervistato l’autore.

 

FRANCESCO SUBIACO: Perché “eminenze grigie”?

 

LORENZO CASTELLANI:

 Il termine “Eminenza Grigia” fu coniato per la prima volta durante gli anni del governo del cardinale Richelieu, per riferirsi al suo più stretto consigliere (così chiamato per il saio grigio che indossava): “Frate Giuseppe”.

Un prelato di grande intelligenza e capacità, che fu il vero capo della diplomazia e dello spionaggio dello stato francese in quegli anni.

Tale figura è il prototipo del “suggeritore”, del “consigliere”, di tutti quegli uomini all’ombra del potere che compongono la galleria di ritratti del mio libro.

FS: E chi sono gli “uomini all’ombra del potere”?

LC: Consiglieri, burocrati, banchieri, diplomatici, scienziati, santoni e spin doctor. Uomini che incarnano un potere opaco e silenzioso, non immediatamente visibile, ma non per questo meno cruciale. Il libro si occupa di questo potere invisibile, con un viaggio nella storia dei suoi protagonisti.

Lontani dai riflettori, misteriosi, riservati, questi personaggi si muovono con disinvoltura nei corridoi semibui dei palazzi e delle corti.

 Se i loro capi sono potenti, questi uomini sono influenti

. E spesso le loro decisioni, i loro consigli, i loro calcoli sono stati più importanti per la storia di quelli delle grandi personalità che tutti conoscono.

 Questo libro raccoglie le loro storie e il loro ruolo invisibile, ma non assente.

Tra tecnocrazia e politica.

FS: Scienziati, chierici, giuristi, tecnici, ma sicuramente esponenti di una dimensione tecnica strettamente collegata col mondo politico.

 Che relazione esiste nei vertici istituzionali tra tecnocrazia e potere politico?

LC: Per usare una frase di “Raymond Aron”, le democrazie sono dei regimi di esperti governati da un gruppo di dilettanti.

Una definizione che in questa fase potrebbe valere anche per le autocrazie. Secondo questa formula la politica stabilisce gli obiettivi e i fini, ma la sua applicazione viene definita dalle tecnocrazie e dalle burocrazie.

Una distinzione che nel mondo moderno tendenzialmente è molto sottile fino a decadere o a dissolversi.

Molte di queste figure non sono infatti dei meri esecutori, ma sono anche consiglieri, ideologi, spin doctor, uomini di fiducia dei leader con cui collaborano. Pensiamo a “Keith Joseph” o ad “Alberto Beneduce”.

Essi operano sulla linea di confine tra tecnica e politica, ed oltre ad esaudire i desiderata dei loro leader di riferimento ne condizionano il pensiero e l’operato.

La loro legittimazione è fondata sia sulla loro competenza tecnica (diritto, economia comunicazione, scienza, ecc.) sia su un legame fiduciario di tipo personale.

Surkov, Beneduce, Retinger, Bormann, e altri protagonisti di questo libro sono il volto invisibile di un potere ibrido fra governo e management, burocrazia e politica, i cui confini sono spesso sfumati ed evanescenti.

L’anticamera e i segreti del potere.

FS: ll testo in un certo senso è quasi una “fenomenologia dell’anticamera”. Ma quale è il ruolo di queste figure e il loro vero potere?

LC: L’anticamera è il luogo dove si prendono grandissima parte delle decisioni che regolano, influenzano e determinano la nostra vita sociale, politica e economica. Le decisioni di tipo monetario, economico e legislativo passano fondamentalmente sempre meno dai parlamenti, dai partiti, dagli organi politici e sempre più da un incrocio tra poteri pubblici e privati, burocrazie e tecnocrazie.

Il ruolo dell’anticamera è immenso e col tempo ha aumentato sempre di più il suo ruolo, la sua importanza e le sue competenze.

Si pensi alla crescita dei gabinetti ministeriali in Italia durante la Prima Repubblica, all’evoluzione del mondo delle tecnocrazie post-golliste di cui Macron è la massima espressione, oppure alla centralità del preconsiglio dei ministri come vero luogo di realizzazione delle policies pubbliche figlie di una mediazione tra politica e burocrazia nei ministeri, che poi vengono sostanzialmente ratificate dalle Camere.

Tutti esempi di un potere cruciale, opaco, complesso, molto spesso occultato, anche dietro una facile retorica che poi nella realtà viene parzialmente disattesa. Noi, infatti, viviamo in un sistema oligarchico, che esiste anche in un regime democratico.

Crisi delle oligarchie.

FS: Quale è il vero limite delle tecno-burocrazie?

LC: Il problema dell’anticamera (in senso lato) o in generale delle “oligarchie” sussiste quando esse perdono la propria legittimità.

 Ciò può accadere quando esse subiscono una crisi, o sono troppo autoreferenziali o se il loro ruolo è obsoleto o se perdono la propria connessione con il popolo.

Il vero nodo quindi dell’anticamera è che ogni potere deve essere legittimato e che soprattutto serve un controllo sulle élites.

 Tale capacità di controllo o selezione è del resto il vero vantaggio delle democrazie.

 

FS: Si può prescindere dal ruolo delle oligarchie?

LC: Le democrazie non possono prescindere da delle oligarchie che anzi ne garantiscono la stabilità e sviluppo.

 Però tali oligarchie funzionano quando esse sono tenute insieme da valori comuni, sono legittimate dalla politica e quando sono percepite come gli esecutori del mandato popolare.

Quando questi elementi (o almeno uno di essi) mancano c’è crisi e disgregazione.

Pensiamo alla crisi della Prima Repubblica dove abbiamo assistito ad una crisi dell’establishment che completamente delegittimato, poiché si era rotto il rapporto tra Paese reale e politica, ha visto la disgregazione del sistema oligarchico italiano incalzato dalla nuova politica e da quel contropotere che fu la magistratura

 Senza coesione e la legittimazione questo sistema oligarchico democratico è in grande difficoltà.

L’Unione europea è un esempio ottimo nella sua coesione burocratica, ma spesso è debole per la sua precaria legittimazione politica, data dalla mancanza di integrazione politica.

Gli ultimi arcani del potere.

FS: Nel libro dice “la banca centrale è l’ultimo arcano del potere”. Può spiegarsi meglio?

 

LC: Se pensiamo alla frase più importante della politica europea degli ultimi 15 anni certamente pensiamo a “what ever it takes” pronunciata da Mario Draghi. Questo mostra quanto le banche centrali abbiano una influenza economica e politica molto rilevante. Esse però non rispondono ai partiti o ai parlamenti ed anzi sono dotate di un forte culto della loro indipendenza.

Le banche centrali, pensiamo anche alla Bce, prendono decisioni politiche che non hanno un fondamento politico.

 Anzi sono più simili agli eserciti di un paio di secoli fa che a istituzioni politiche democratiche.

La banca centrale non può essere controllata politicamente, soprattutto negli ultimi 40 anni, ma anzi è un “arcano” che prende decisioni politiche in seguito a logiche interne.

Una decisione della Bce è ad esempio più forte di qualsiasi legge di bilancio di un grande Paese europeo…

 

Eminenze grigie al tempo della Meloni.

FS: Molti quando parlano di Giorgia Meloni si chiedono cosa le manchi per diventare la Thatcher italiana.

Vuoi la concorrenza, vuoi le liberalizzazioni, vuoi un collegamento con le migliori oligarchie.

Potrebbe mancargli un “Keith Joseph” o quello che rappresentava?

LC: È sempre difficile fare paralleli storici tra due leader, paesi e due epoche così diversi.

 Certamente è evidente che Giorgia Meloni non abbia un programma di riforme così radicale come quello di Margaret Thatcher.

 Questo anche perché si muove in uno scenario con molti più vincoli esterni, pensiamo all’Unione europea.

Però bisogna fare pace con l’idea che in Italia (aldilà di numerosi pareri in senso contrario) non c’è una tradizione conservatrice e infatti la Meloni, nonostante alcuni tentativi, da quando è andata al governo ha abbandonato questa istanza. La mia impressione è che Meloni dovrebbe trovare, anche tramite figure oltre il suo partito, una apertura maggiore capace di pensare una formula originale italiana senza cercare di scimmiottare formule o americane o anglosassoni.

Però non vedo questa volontà, ma anzi vedo soprattutto una legittima prudenza nei propri rapporti internazionali e nella propria azione di governo. Per avere maggiore slancio, invece, bisognerebbe guardare altrove…

 

FS: Tornando all’opera possiamo notare che essa ha a livello di struttura linguistica quasi una impostazione alviana?

 

LC: Certamente, “Geminello Alvi”, tra i maggiori intellettuali italiani, ha mostrato che con poche parole e ottimi ritratti fondati sullo studio, sull’erudizione e su una visione ampia ed eclettica, si possono collegare dettagli rivelatori e concetti universali pur rimanendo aderenti alla realtà storica e alle fonti.

 Per tale motivazione nel libro, come ho scritto nell’introduzione, ho cercato di seguire questo tipo di formula.

 

 

 

Unifil e Cpi, perché il governo Meloni

sta sbandando pericolosamente.

 

Nicolaporro.it – (23 Novembre 2024) - Federico Punzi – ci dice:

L’elezione di Trump e i successi di Israele hanno cambiato lo scenario. Perché è necessario uscire dal Trattato della Corte e riportare a casa i soldati ostaggio di Hezbollah.

Paradossale, ma nel momento in cui il contesto internazionale dovrebbe apparire di più facile lettura per un governo di destra, il governo Meloni sembra faticare a leggere e interpretare la nuova fase che si è aperta.

L’elezione di Trump.

Primo, ovviamente, l’elezione di Donald Trump.

 Il nuovo inquilino della Casa Bianca avrà un atteggiamento molto diverso nei confronti dell’Unione europea e delle altre organizzazioni sovranazionali.

 Ma questo, lungi dall’essere una grana, dovrebbe rappresentare un’occasione per un governo e una maggioranza politica che si propongono di difendere e rafforzare il principio della sovranità nazionale e di convincere Bruxelles a cambiare rotta su alcuni dossier fondamentali, come immigrazione irregolare e politiche green.

 A Washington non potrebbero esserne che felici.

Anche sul dossier Ucraina, l’intenzione di Trump di arrivare quanto meno ad un congelamento del conflitto, ad una assunzione di responsabilità degli alleati europei, anche passando attraverso un riarmo che inevitabilmente vorrebbe dire derogare dagli stringenti vincoli di bilancio e strumenti comuni di investimento, non dovrebbe essere vissuta con allarme e disagio.

Da un ordine atlantico in Europa preminente rispetto all’ordine franco-tedesco, Roma avrebbe tutto da guadagnare.

Indubbiamente un grosso grattacapo per Scholz, che infatti ha visto già liquefarsi la sua maggioranza.

 Per Macron, che sembra un” dead man walking”, e per qualsiasi governo progressista e globalista.

Non dovrebbe esserlo per un governo di destra.

I successi di Israele.

Secondo, siamo lontanissimi dalla fase in cui Israele era sotto le pressioni dell’alleato Usa che gli intimava di non aprire il fronte nord con Hezbollah e persino di non avviare l’operazione a Rafah (senza la quale non sarebbe stato eliminato il capo di Hamas Yahya Sinwar).

Netanyahu ha avuto ragione a resistere, ha amichevolmente ma decisamente contravvenuto a tutti i suggerimenti dell’amministrazione Biden, più preoccupata degli effetti di politica interna, cioè delle sue chance di rielezione, che delle conseguenze per il Medio Oriente.

E infatti ora quelle pressioni si sono molto affievolite.

 Israele ha messo a segno alcuni colpi vincenti che offrono ora l’opportunità storica di ridisegnare gli equilibri a favore dell’unica democrazia del Medio Oriente, il che a nostro avviso coincide anche con gli interessi dell’Italia.

Con le recenti prese di posizione dei ministri della difesa e degli esteri il governo Meloni rischia invece di mettersi di traverso ad un corso che non si potrebbe immaginare più favorevole.

L’ostinazione su Unifil.

Veramente stentiamo a capire l’ostinazione del governo italiano nel tenere, a proprio rischio e pericolo, i nostri soldati impegnati nella missione Unifil intrappolati in mezzo a due fuochi, ostaggio di un gruppo terroristico che tutti i governi arabi della regione si augurano di vedere scomparire.

 Una missione tra l’altro che lo stesso ministro della difesa ha riconosciuto essere impossibile da compiere.

Dio non voglia che accada qualcosa di serio ai nostri soldati.

Chi credete che la gran parte dell’opinione pubblica riterrà politicamente responsabile?

Di cosa si tratta?

 Qual è l’interesse italiano qui?

Compiacere organizzazioni internazionali sempre più screditate e anti-occidentali? Non dare un dispiacere al vero capo dell’opposizione che è al Quirinale e che effettivamente può causare parecchi grattacapi al governo?

Non guastare i rapporti con i nostri amici arabi, molti dei quali non vedono affatto negativamente l’impresa di “pulizia” israeliana?

Dopo i dieci razzi di Hezbollah che nell’arco dei due giorni hanno colpito la base Unifil di Shama, con i primi soldati italiani feriti, per fortuna lievemente, il ministro Guido Crosetto anziché prendersela con Hezbollah, con il quale afferma di non volere interlocuzione, ha senza pudore chiesto a Israele di “evitare di usare le basi Unifil come scudo”, quando al contrario è Hezbollah che da vent’anni le usa come “scudo”;

è Hezbollah che tutt’intorno a quelle basi ha costruito postazioni, bunker, tunnel e depositi di armi.

Sotto il naso dei contingenti Unifil, italiano incluso.

Il ministro sostiene che la soluzione è “l’attuazione e applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il ritiro di Hezbollah dal sud del Libano e lo smantellamento delle sue infrastrutture e armi nella regione”.

Ma secondo lei, ministro, è un puro caso che per vent’anni questa risoluzione sia stata disapplicata?

 Non c’è forse qualche membro permanente del Consiglio di Sicurezza che non ha alcun interesse alla sua applicazione, per non indebolire i suoi alleati nella regione?

 

Lo scenario è cambiato, occorre prenderne atto, Israele sta facendo ciò che Unifil per vent’anni non ha saputo né voluto fare.

 Restare è un’impuntatura che non giova a niente e nessuno.

 

La Cpi disarma le democrazie.

Stesso discorso vale per la grottesca e vergognosa (parole del presidente Usa Joe Biden) decisione della Corte penale internazionale di emettere mandati di arresto nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della difesa Yoav Gallant.

Come osserva il board del “Wall Street Journal”, la decisione della Corte rappresenta un precedente in grado di “danneggiare la capacità di tutte le democrazie di difendersi” da gruppi o stati terroristici.

 “L’auto-immolazione della “Corte penale internazionale” è un’ulteriore conseguenza della politica estera di Biden che troppo spesso ha anteposto l’autorità delle istituzioni internazionali all’interesse nazionale degli Stati Uniti”.

Non potrebbe esserci osservazione più corretta e al tempo stesso più favorevole ad un governo di destra intenzionato a riportare in auge la sovranità nazionale.

Eppure, sui mandati di arresto abbiamo registrato tre posizioni diverse all’interno del governo italiano.

 Quella del vicepremier Matteo Salvini, a difesa di Netanyahu e contro la decisione della Corte;

quella più cauta del ministro degli esteri Antonio Tajani, poi ribadita dalla premier Giorgia Meloni, di demandare ogni valutazione al G7, un consesso internazionale; e infine, quella del ministro della difesa Guido Crosetto, che pur parlando di “sentenza sbagliata” (sic! un ministro dovrebbe sapere che non è una sentenza ma una misura cautelare pre-processuale), ha avvertito “se venissero in Italia Netanyahu e Gallant dovremmo arrestarli.

Non per decisione politica ma per normativa internazionale “.

E qui si arriva al punto.

Il problema non è solo la immorale equivalenza stabilita dalla Corte tra Israele (un Paese pienamente democratico, aggredito, che fino a prova contraria ha operato nel rispetto del diritto di guerra), e Hamas (una organizzazione terroristica responsabile delle sofferenze dei palestinesi della Striscia di Gaza, che ha deliberatamente violato tutte le convenzioni internazionali per massimizzare il tributo di sangue dei civili).

Intervenendo a guerra in corso, quindi senza possibilità di raccogliere prove attendibili e accertare i fatti, e soprattutto su stati e territori al di fuori della sua giurisdizione, la Corte ha distorto il diritto internazionale che pretende di applicare e prevaricare i legittimi poteri dei governi aderenti al Trattato, privandoli di fatto di iniziativa diplomatica e politica.

La legge:

 la Corte penale internazionale ha giurisdizione solo sui suoi Stati membri, ma Israele non è uno Stato membro e Gaza non è uno Stato. Per poter procedere, i giudici hanno riconosciuto unilateralmente uno Stato palestinese che include anche Gaza.

La sovranità.

L’effetto dei mandati della CPI è quello di disarmare qualsiasi democrazia occidentale nel combattere gruppi terroristici e stati canaglia.

Questo precedente verrà prima o poi esteso e utilizzato politicamente contro altri Stati, che abbiano o meno aderito alla Corte.

Italia inclusa, magari per i trasferimenti di migranti irregolari in Albania e i rimpatri nei loro Paesi di origine.

Come ha ricordato “Marco Faraci”, “l’intero sistema di diplomazia internazionale si basa su un reciproco riconoscimento di immunità tra i governanti”.

Se le autorità italiane sono tenute ad arrestare il capo di governo israeliano, nel momento in cui mettesse piede in Italia, di fatto “il nostro governo viene privato del potere discrezionale minimo necessario a perseguire la propria politica internazionale”.

E questo vale per tutti gli Stati aderenti. Si tratta di una gravissima e sostanziale amputazione della sovranità nazionale.

Uscire dal Trattato della Cpi.

Va detto infatti che il governo potrebbe non avere nemmeno il potere di impedire l’arresto di Netanyahu, dato che secondo quanto prevede la legge, il procuratore generale della Corte d’appello di Roma può autonomamente chiederne l’arresto e i giudici della medesima Corte d’appello autorizzarlo sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale.

E visto come funziona la giustizia in Italia, non ci sarebbe il minimo dubbio che lo farebbero.

Per questo, la questione che si pone non è rifiutarsi di eseguire il mandato della Cpi e garantire al premier israeliano che non verrà arrestato, cosa che potrebbe non essere nella disponibilità del governo.

 L’Italia e altri Paesi che desiderano mantenere relazioni cordiali e normali con Israele, senza il quale ricordiamo che non può esistere una politica mediorientale, devono uscire dal Trattato della Cpi.

 Si tratta tra l’altro di una organizzazione sovranazionale della quale già non fanno parte le principali potenze – Stati Uniti, Cina e Russia – e importanti stati occidentali come appunto Israele.

 

Imminenti sanzioni Usa.

Inoltre, Donald Trump starebbe valutando sanzioni contro i funzionari della Corte penale internazionale (CPI), tra cui sanzioni personali contro il procuratore capo Karim Khan e i giudici coinvolti nella decisione su Netanyahu e Gallant.

Il candidato consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Mike Waltz, ha affermato che a gennaio ci si può aspettare una “forte risposta al pregiudizio antisemita della Cpi e (attenzione, ndr) dell’Onu”.

Tagliare fuori i cento principali funzionari della Corte dal sistema bancario Usa, con tutto ciò che comporterebbe anche per i loro conti bancari europei, potrebbe paralizzarla.

 Ma non escluderei che l’amministrazione Trump decida già a gennaio il congelamento dei fondi Usa alle Nazioni Unite:

una bomba.

A giugno la Camera a maggioranza repubblicana aveva già approvato un disegno di legge bipartisan per sanzionare la Corte penale internazionale.

 Il dem “Chuck Schumer”, su indicazione del presidente Biden, ha congelato le sanzioni al Senato per quasi sei mesi.

 Il senatore repubblicano “Lindsey Graham” sta progettando un disegno di legge che va oltre e sanziona i gruppi e le nazioni che favoriscono ed eseguono le decisioni della Cpi, e ha diffidato gli alleati Usa a rendersi complici di essa:

“A qualsiasi alleato, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, se provi ad aiutare la Corte penale internazionale, ti sanzioneremo”.

Insomma, potrebbe non bastare una dichiarazione dei Paesi del G7 che si impegnino a non eseguire il mandato di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant, perché almeno in Italia esso verrebbe eseguito dai giudici.

 

Con Trump e Milei in carica,

conservatori al bivio in Europa.

Nicolaporro.it - Massimo Bassetti – (23 Novembre 2024) – ci dice:

 

Unire le anime delle diverse destre o inginocchiarsi a quel consenso socialdemocratico che ha prodotto l’economia più iper-regolata, asfittica e burocratizzata del mondo.

Valeva davvero la pena lottare con le unghie e con i denti per dare uno strapuntino a “Raffaele Fitto” nella futura Commissione europea quando il prezzo da pagare era l’entrata della eco-fondamentalista Teresa Ribera?

Davvero il” Partito Popolare Europeo” è più in sintonia con l’ingegneria sociale e ambientale del Partito Socialista che con il rigetto del centralismo decisionale che contraddistingue i gruppi politici alla sua destra?

 Sono domande, queste, che il “PPE “dovrà porsi con urgenza e il ruolo che ricoprirà nel futuro prossimo dipenderà in maniera determinante dalle sue risposte.

O di qua o di là.

Siamo nel bel mezzo di una ricomposizione politica epocale, non solo a livello europeo bensì mondiale.

 La battaglia culturale è iniziata e lo spazio per centrismi e opportunismi vari sarà sempre più ridotto.

La scelta sarà drasticamente semplificata: o di qua o di là.

Da un lato tecnocrazia ingegneristica, redistribuzionismo, eco-estremismo, wokismo, ideologia di genere, odio delle frontiere, globalismo, agende internazionali non votate né discusse da nessuno.

 Dall’altro, demos, libertà economica, sviluppismo, difesa del senso comune, rispetto dei corpi intermedi, patriottismo e globalizzazione senza governo mondiale.

 

Il vento Trump-Milei.

Il presidente argentino Javier Milei sta mostrando la strada da seguire (soprattutto, ma non solo) in campo economico, cambiando la faccia dell’Argentina come mai prima nella storia del Paese.

Inflazione domata, bilancio pubblico risanato, liberalizzazione massiccia dell’economia, risanamento della Banca Centrale e, da qualche mese, rimbalzo potente dell’economia.

In Argentina qualsiasi scenario che non contempli un ulteriore rafforzamento del presidente libertario è, ad oggi, pura fantascienza.

La bancarotta politica, economica e morale del peronismo statalista è completa e di fronte al guerriero libertario si scorgono solo praterie elettorali.

Negli Stati Uniti, il ritorno di un Trump più combattivo che mai farà da pivot a un movimento globale di rigetto delle consegne progressiste.

La rete di resistenza alle allucinazioni dirigiste del globalismo troverà nel presidente americano il suo ganglio vitale.

 Sarà una battaglia senza esclusione di colpi, in cui si parrà la nobilitate dei diversi attori politici.

Donald Trump, che definirei “il grande catalizzatore”, ha unito sotto la sua bandiera non solo i suoi sostenitori, ma anche credenti stanchi di essere ridicolizzati e libertari che rifiutano l’idea stessa di stato.

 Questi gruppi, alimentati dalla percezione di una crescente invadenza statale, rivendicano il sacro diritto dell’individuo di decidere della propria vita senza interferenze esterne.

Conservatori al bivio in Europa.

In Italia l’equipaggiamento culturale sembra, ad oggi, non all’altezza.

Quando Milei, a Rio De Janeiro, si dissocia dall’Agenda 2030, ci si aspetterebbe un appoggio della conservatrice Giorgia Meloni.

Invece, nulla:

dei 20 Paesi presenti solo uno ha avuto il coraggio di battere i pugni sul tavolo contro un consenso socialdemocratico sconosciuto o addirittura avversato dagli elettorati delle rispettive nazioni.

 Speriamo che chi non ha mostrato audacia in questa occasione, questo coraggio lo trovi una volta che Trump sarà ritornato a sedersi nella stanza ovale.

Siamo chiari e sinceri.

In Europa, una Nuova Destra ha solo due opzioni:

unire le anime delle diverse destre o inginocchiarsi a quel consenso socialdemocratico che ha prodotto l’economia più iper-regolata, asfittica e burocratizzata del mondo.

 Tertium non datur.

 Senza paura di essere tacciata di populismo o accusata di ogni nequizia politicamente incorretta.

Il giochino lo conosciamo già a memoria.

Da una parte le parole talismano: sostenibilità, identità di genere, diversità, inclusività, etc.

Dall’altra il vaso di pandora degli epiteti malefici: omofobia, razzismo, patriarcato, negazionismo e via farneticando.

Il mondo che viene non è adatto ai Don Abbondio, giacché, come nel caso argentino, i Don Abbondio (che li si chiama “radicalismo”) sono destinati all’oblio elettorale.

Ci sono dei tornanti della storia in cui si deve decidere da che parte stare, e i terzisti è meglio perderli (magari lasciandoli agli avversari) che trovarli.

È un po’ come quando si doveva prendere posizione tra mondo libero e comunismo:

non è possibile alcuna via di mezzo.

Il vero nemico.

Il liberalismo economico deve abbracciare un discorso culturale di destra conservatrice, tradizionalista e patriottica in senso non statalista, e dunque comunitaria.

 Bisogna essere anti-globalisti, sempre tenendo bene a mente che il nemico da battere non è il libero commercio internazionale, quanto piuttosto quel progetto di ordine globale uniformante e post-nazionale propalato da organizzazioni internazionali pubbliche e non governative (stranamente, anch’esse finanziate con denaro pubblico).

Quando lo Stato e, ancora peggio, una qualsivoglia organizzazione internazionale decidono su questioni cruciali che definiscono la nostra esistenza, le parole permesse e quelle proibite e finanche i pensieri da cancellare, la rabbia per le decisioni imposte diventa incontenibile.

 Non ci sarà pace finché lo Stato e la sua sublimazione globalista non arretreranno, restituendo agli individui la libertà di scelta.

 

Prepariamoci a una stagione incandescente, con folle già in fermento da tempo.

La rivolta potrebbe essere solo l’inizio di un cambiamento inevitabile, segnando il risveglio da decenni di narcotizzazione statalista.

Atlante sta per rialzarsi.

 

 

 

 

La CPI si dimostra un’aberrazione

giuridica e una moderna Inquisizione.

Nicolaporro.it - Bepi Pezzulli – (22 Novembre 2024) – ci dice:

Surreali i mandati di arresto su Netanyahu e Gallant, ignorati i limiti imposti alla Corte proprio dal diritto internazionale.

Immorale equivalenza tra Israele e Hamas.

Da tempo, la Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aja non è più un tribunale di giustizia, ma una moderna Inquisizione, che si cimenta in una caccia alle streghe antisionista piuttosto che nell’applicazione del diritto.

Il mandato di arresto.

Con una mossa premeditata, che sfida il concetto stesso di sovranità statuale e le sue legittime prerogative, e facendo della sedicente giustizia internazionale una farsa, la CPI ha spiccato un mandato di arresto internazionale nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della difesa Yoav Gallant, accusandoli di responsabilità diretta per presunti crimini di guerra asseritamente commessi dalle Forze di difesa israeliane (IDF) durante il conflitto a Gaza ancora in corso.

La Pre-Trial Chamber (la Camera preliminare della CPI) ha infatti deliberato che vi sono prove sufficienti per il rinvio a giudizio.

Con un’ordinanza emessa su richiesta del procuratore generale Karim Khan, KC, la Camera preliminare ha respinto le obiezioni presentate dallo Stato di Israele – che ne contestava la carenza di giurisdizione – arrogandosi la competenza sul caso e autorizzando dunque l’emissione del mandato di arresto.

In un tentativo di falsa imparzialità, in realtà una provocazione, la CPI ha anche emesso un mandato di arresto per il capo militare di Hamas, Mohammed Deif, ucciso in un attacco dell’IDF a Gaza nel luglio scorso.

È grottesco che la CPI emetta un mandato per due vivi e uno morto, dimostrando non solo un disprezzo per la realtà dei conflitti, ma anche una palese incoerenza nel trattare le responsabilità di uno Stato democratico da un lato e di un’organizzazione terroristica dall’altro.

Il contesto della CPI.

La CPI, fondata nel 1998 per perseguire crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità, ha un mandato controverso e spesso accusato di applicazione selettiva.

Nonostante 124 stati abbiano firmato il trattato istitutivo, la giurisdizione della Corte è limitata ai Paesi aderenti o a situazioni specifiche identificate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, condizioni che non si applicano a Israele.

Lo Stato ebraico non è parte firmataria dello Statuto di Roma, il trattato internazionale istitutivo della Corte, e come Stati Uniti, Russia, Cina e India, non si è posto sotto la giurisdizione della CPI.

La giurisdizione su Israele e gli Accordi di Oslo.

Israele non ha mai accettato la competenza giudiziaria della CPI.

Gli Accordi di Oslo, firmati con l’Autorità Palestinese, stabiliscono che le questioni penali per fatti commessi nei territori contesi sono sottratte ai meccanismi di risoluzione giudiziaria, dovendosi negoziare bilateralmente al livello politico.

 Gli accordi, inoltre, escludono esplicitamente la competenza della CPI.

Questo rende la richiesta di mandato un’aberrazione giuridica, che ignora i limiti imposti alla Corte proprio dal diritto internazionale.

Di fatto, la decisione della CPI si inserisce in un contesto di crescenti pressioni politiche contro Israele, alimentate da organizzazioni e governi spesso accusati di antisemitismo mascherato da attivismo umanitario.

Il caso dimostra ancora una volta come alcune istituzioni sovranazionali agiscano più come centrali antisioniste che come custodi di un diritto internazionale equo e imparziale.

La CPI oltre la giustizia.

L’azione della CPI di intervenire mentre il conflitto è in corso è un’aberrazione giuridica di proporzioni surreali.

 La giustizia, per essere tale, richiede una distanza temporale e un raffreddamento delle tensioni che un conflitto attivo non può mai garantire.

Anche il processo più emblematico, quello di Norimberga, si svolse solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale, quando le prove erano più chiare e le passioni smorzate.

In un conflitto armato, le decisioni giuridiche non possono prescindere dal contesto politico in cui si inseriscono.

La giustizia non può essere una vendetta mascherata da processo, né un giudizio che nasce dalla politica del momento.

Pretendere che la giustizia possa essere esercitata in tempo reale, e non dopo il fatto, è un controsenso che solo un’istituzione ideologicamente schierata può sostenere.

Inoltre, l’attivismo giudiziario, che già di per sé rappresenta un pericolo per la governance democratica e la stabilità delle istituzioni, è assolutamente intollerabile quando non ha neppure la legittimità derivante dalla giurisdizione.

La CPI, quindi, non solo agisce fuori dai suoi confini giuridici, ma lo fa in un momento in cui qualsiasi tentativo di revisionare, mettendole in dubbio, le azioni correnti col senno di poi è inevitabilmente influenzato dalle dinamiche del conflitto in corso.

Questo approccio non solo mina la credibilità della Corte, ma rischia di compromettere la legittimità della giustizia internazionale.

 

La reazione di Israele.

L’ufficio del primo ministro ha dichiarato in una nota che la “decisione antisemita” della CPI di emettere mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant è equivalente ad un “processo di Dreyfus moderno”.

Sostenendo che la decisione della Corte non impedirà a Israele di proteggere i suoi cittadini, il governo israeliano ha respinto “con disgusto” le accuse “false” della Corte, affermando che derivano dagli sforzi del procuratore generale Khan per “salvarsi la pelle dalle gravi accuse di molestie sessuali” e dalle convinzioni di “giudici parziali mossi dall’odio antisemita verso Israele”.

Recentemente, la CPI ha annunciato che avvierà un’inchiesta indipendente sulle accuse di molestie sessuali contro Khan.

 

La Casa Bianca ha “respinto con fermezza” la decisione della Corte e fa sapere di rimanere “profondamente preoccupata per la fretta del procuratore nel richiedere i mandati di arresto e per gli inquietanti errori procedurali che hanno portato a questa decisione”.

Doppio standard.

La CPI ritiene di poter esercitare la propria giurisdizione su uno Stato democratico, Israele, ignorando il lancio di razzi contro civili innocenti o l’utilizzo di bambini come scudi umani, da parte delle organizzazioni del terrorismo islamico.

 Le azioni della CPI sembrano più una recita in un tribunale politicizzato che una ricerca di giustizia.

I mandati selettivi riflettono non un’istituzione imparziale, ma un tribunale ideologico.

 Israele continuerà a difendersi da chi confonde la legge con una bandiera politica, rimanendo fermo nella sua legittima autodifesa.

La giustizia non ha bisogno solo di un giudice, ma anche di una coscienza chiara.

 

 

 

Il Tribunale della Storia

Aspetta Netanyahu…

Conoscenzealconfine.it – (24 Novembre 2024) - Dante Barontini – ci dice:

 

Che Benjamin Netanyahu o Yoav Gallant – colpiti da mandato di cattura internazionale per decisione della Corte Penale Internazionale – possano essere effettivamente arrestati è un solo un “wishful thinking”; uno di quei pensieri che rendono il mondo presente per qualche minuto meno insopportabile.

In concreto non avverrà, anche se il trattato istitutivo della Corte – firmato a Roma nel 1996 ed entrato in vigore nel 2002 – obbliga gli Stati aderenti a comportarsi di conseguenza.

A “Bibi” e al suo ex ministro della difesa – quello che aveva affermato “stiamo combattendo contro animali umani e ci comporteremo di conseguenza” – basterà non andare in uno dei 120 paesi che l’hanno ratificato (all’appello mancano Usa, Cina, Russia e la stessa Israele – che pure l’aveva inizialmente firmato – più una serie di paesi minori).

Di certo non potrebbero venire in Europa, anche se non riusciamo a vedere uno dei pallidi servi dell’impero Usa provare a mettere le manette ai macellai della popolazione di Gaza (il fascistoide Orbàn già lo ha invitato a fargli visita…).

 

La decisione della Corte, comunque, è a suo modo storica.

È infatti la prima volta che figure di vertice di un paese occidentale – Israele è dichiaratamente la longa manus degli Stati Uniti in Medio Oriente – vengono inseriti nella lista dei “ricercati” per crimini di guerra (in attesa del giudizio pendente per l’accusa di genocidio presso la Corte di Giustizia, sempre a L’Aja).

Subito i “camerieri” e i complici dei genocidi sono scattati a difesa del loro “collega”.

Del resto, dopo 13 mesi di bombardamenti e massacri, dopo 75 anni di occupazione e massacri, stanno difendendo anche o soprattutto sé stessi.

 

Abbiamo visto obiezioni abiette secondo cui “non si possono mettere sullo stesso piano i leader di uno stato democratico e i terroristi di Hamas“ (sono stati emessi mandati di cattura anche per Haniye e Sinwar, nel frattempo uccisi, oltre che per Deif, della cui sorte non si sa ufficialmente nulla). Come se un reato del genere (crimini di guerra) non potesse “per principio” essere contestato a degli occidentali (le “democrazie” sono altra cosa, e di molti tipi).

 

Altrettanto ridicoli gli arzigogoli para-giuridici, come “la Corte non ha giurisdizione su Israele perché Tel Aviv non aderisce al trattato istitutivo “.

Ci vuole un attimo a verificare che invece può benissimo processare e condannare cittadini di uno “Stato non parte” del trattato, se questi hanno aggredito uno “Stato parte“.

E la Palestina aderisce e riconosce la Corte Penale.

Sofismi e menzogne a parte, la portata storica della decisione rompe forse definitivamente la “narrazione” e l’ideologia che copriva larga parte del cosiddetto “diritto internazionale”.

 Se, infatti, “la legge non è uguale per tutti” non esiste né la legge né i tribunali.

Va infatti ricordato che tutta questa architettura legale ha preso definitivamente corpo dopo la “caduta del Muro”, negli anni ’90, quando l’Occidente neoliberista – e quindi soprattutto gli Stati Uniti – era rimasto l’unico “sceriffo in città”, in grado di decidere chi e cosa era “fuorilegge”, la sentenza e la punizione.

Non a caso, fin qui la Corte aveva messo in Stato d’accusa solo leader di paesi africani (Congo, Repubblica Centrafricana, Uganda, Darfur-Sudan, Kenya, Libia, Costa d’Avorio, Mali, Burundi), o di “nemici dell’Occidente”, come in Georgia, e infine Vladimir Putin.

Un “braccio legale” che aveva servizievolmente accompagnato gli assalti dell’imperialismo, chiudendo gli occhi, il naso e la bocca davanti ai suoi orrori. Tant’è che diversi paesi africani avevano più volte contestato il suo operato, così evidentemente a doppio standard.

Questi mandati di cattura contro i genocidi israeliani, invece, sembrano affermare il principio base di ogni legislazione seria: “La legge è uguale per tutti”.

E un crimine di guerra è un crimine di guerra, chiunque lo commetta.

Ma ora ogni re e ogni diritto resta nudo.

 La reazione occidentale dimostra al resto del mondo che certi “reati universali” – crimini di guerra e genocidio in testa – valgono solo se servono ad accusare i propri nemici.

Ma non possono essere mai imputati a uno dei componenti della “comunità internazionale occidentale”.

Proprio come pretendono i sionisti quando teorizzano che l’unico genocidio della storia è quello che hanno subito gli ebrei, e dunque Israele – che però non rappresenta affatto “tutti gli ebrei”, ma solo la loro frazione colonialista – non può essere accusato di un simile crimine.

Sappiamo bene che è molto più probabile che finiscano in galera i giudici della Corte Penale de L’Aja che non “Bibi” e Gallant. Trump già promette sanzioni contro di loro dopo il suo insediamento.

Mentre il Mossad probabilmente è già sulle loro tracce (contro il procuratore, il britannico Karim Khan, erano già partite accuse di “molestie sessuali”, secondo lo schema usato per tenere per anni in galera Julian Assange).

Siamo in tempi di guerra e “la legge” dipende dal suo esito. Anche per processare i nazisti come autori del “male assoluto”, in fondo, fu necessario prima batterli sul campo.

È tempo che Israele e l’imperialismo, insomma il suprematismo occidentale, finiscano effettivamente sul banco degli imputati e quindi fuori dalla Storia.

Ma i tribunali arriveranno ad avere potere effettivo solo dopo…

(Dante Barontini).

(contropiano.org/editoriale/2024/11/22/il-tribunale-della-storia-aspetta-netanyahu-0177815).

 

 

 

 

Schlein, perché è

radical chic?

Italiaoggi.it - Michele Magno – (1-9-2023) – ci dice:

 

Il termine fu inventato a New York da “Tom Wolfe” per coloro che hanno la puzza al naso.

Quando il “salotto di Bernstein” coccolava le “black panthers”.

Nelle baruffe tra la segretaria del Pd e la minoranza (dopo l'addio di una trentina di dem liguri passati ad Azione), spia di un dibattito politico nervoso e sconclusionato, è degno di rilievo l'uso polemico, pubblico nella stampa che sostiene il governo e privato tra i suoi oppositori interni, di un termine che appartiene alla vulgata socio-satirica della destra.

Il lemma «radical chic», del resto, ha perso da tempo il suo significato originario.

Che le virtuose intenzioni di Elly Schlein, come quelle delle dame fabiane che nell'Inghilterra di fine Ottocento assistevano i poveri e i carcerati, abbiano assunto forme talvolta irritanti o patetiche, è fuor di dubbio.

Ma non è una buona ragione per dimenticare che deridere i radical chic è un mestiere elettoralmente redditizio soprattutto per “Matteo Salvini” e” Giorgia Meloni”.

Facciamo, allora, un passo indietro.

È il 14 gennaio 1970. Siamo a Manhattan, in un lussuoso attico che domina Park Avenue.

 Il padrone di casa è “Leonard Bernstein”, “Lenny per gli amici”, musicista, compositore, pianista, direttore d'orchestra.

 Serviti da una squadra di camerieri rigorosamente bianchi (devono essere bianchi per non offendere gli afroamericani ospiti), tra gli invitati ci sono Jason Robards e Lillian Hellman, Giancarlo Menotti e Aaron Copland, Mike Nichols e Richard Avedon, Peter Duchin e Arthur Penn, Harry e Julie Belafonte, Sidney Lumet e Otto Preminger.

Il party è offerto per raccogliere fondi per la difesa legale dei membri del” Black Panther Party” in prigione con pesantissime accuse (da cui saranno prosciolti).

Quel party verrà raccontato dal dandy metropolitano “Tom Wolfe “in «Radical Chic, That Party at Lenny's» (in italiano «Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto», Castelvecchi, 2014), un lungo resoconto dell'evento pubblicato dal New York Magazine nel giugno 1970.

Con la locuzione radical chic, Wolfe intendeva designare una certa sinistra snob, mondana e progressista.

Locuzione che sarà poi tradotta in altre lingue, sempre con una connotazione vagamente dispregiativa, come «gauche caviar», sinistra caviale, in francese, «esquerda caviar» in portoghese, «salonkommunist» in tedesco.

 

Al centro della serata ci sono “Robert Bay”, “Don Fox” e altri giovani afroamericani in rappresentanza delle” Black Panthers”.

I camerieri servono bocconcini di roquefort ricoperti di noci tritate.

Vengono scambiate ricette di cibo «soul».

Poi, in un clima definito da Wolfe da «nostalgie de la boue» (nostalgia del fango), cioè dalla voglia di esplorare lo stile di vita delle classi inferiori, esplode un'accesa discussione, che Charlotte Curtis in due articoli scritti per il New York Times del giorno dopo titola «Un elegante tour dei quartieri poveri».

Wolfe è stato molto di più di un semplice giornalista.

Con il suo modo di fare, da dandy del Sud, e i suoi completi bianchi, molto eleganti e un po''vecchio stile, ha rivoluzionato il modo di fare informazione.

Nato nel 1930 a Richmond, in Virginia, Wolfe è morto il 14 maggio 2018. Satirico, beffardo, conservatore, acuto osservatore dei costumi del suo tempo, ha conquistato il grande pubblico con i suoi romanzi, anzitutto con «Il falò delle vanità» (1987), un ritratto impietoso del mondo di Wall Street (finito sul grande schermo grazie a Brian De Palma).

 

Se in Francia fu Raymond Aron, da noi fu Indro Montanelli a riprendere i temi del padre del «New Journalism» in un altro celebre articolo del 1972 sul Corriere della Sera.

 L'attacco era rivolto a Camilla Cederna, principale ispiratrice della lettera aperta pubblicata l'anno precedente sul settimanale L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi.

Ma probabilmente il suo vero obiettivo era Giulia Maria Crespi, la zarina della borghesia imprenditoriale milanese, proprietaria del quotidiano di Via Solferino da lei schierato su una linea progressista con la direzione di Piero Ottone.

In ogni caso, i ricchi di sinistra di Wolfe, che «offrono champagne a quelli che li impiccheranno», non furono impiccati, ma rimasero impiccati (Bernstein e i suoi amici artisti e intellettuali) alla sua spietata definizione.

 È così diventato radical chic tutto ciò che odora di solidarismo («è per lavarsi la coscienza!») o di amore per la cultura («è per umiliare la gente semplice!»), e ovviamente di critica del populismo («è disprezzo per il popolo!»).

 Insomma, è stato utilizzato per bollare quel vasto e disorientato mondo detto «sinistra occidentale» come una ipocrita cricca di potenti con la puzza sotto il naso, che ha perduto ogni «rapporto sentimentale» (termine molto di moda nel Pd) con la classe operaia e i perdenti nella lotteria della vita. Wolfe certamente esagerava, ma fino a un certo punto.

 

 

 

Cop29, le reazioni all'accordo di Baku.

 I Paesi poveri: "Deludente".

Ityaliaoggi.it – Redazione – (24-11-2024) – ci dice:

 

Il rappresentante dei 45 Paesi più poveri del pianeta ha denunciato un accordo "poco ambizioso".

Trecento miliardi di dollari all'anno, per dieci anni:

a Baku i Paesi sviluppati si sono impegnati a finanziare maggiormente i Paesi poveri minacciati dal cambiamento climatico, al termine di una caotica conferenza delle Nazioni Unite in Azerbaigian, che include anche i Paesi in via di sviluppo.

 Il rappresentante dei 45 paesi più poveri del pianeta ha denunciato un accordo "poco ambizioso".

"L'importo proposto è pietosamente basso, è ridicolo", ha denunciato il delegato indiano Chandni Raina, criticando la presidenza azera della Cop29.

L'impegno finanziario dei Paesi europei, degli Stati Uniti, del Canada, dell'Australia, del Giappone e della Nuova Zelanda, sotto l'egida dell'Onu, è quello di aumentare dai 100 miliardi di oggi a "meno 300 miliardi di dollari" all'anno entro il 2035 i loro prestiti e donazioni a Paesi in via di sviluppo.

"Una montagna di lavoro da fare."

Soldi per adattarsi alle inondazioni, alle ondate di caldo e alla siccità. Ma anche per investire in energie a basse emissioni di carbonio invece di sviluppare le proprie economie bruciando carbone e petrolio, come hanno fatto i Paesi occidentali per più di un secolo.

Gli europei, i principali donatori mondiali di finanziamenti per il clima, non erano pronti ad andare oltre questo importo, in un periodo di restrizioni di bilancio e di sconvolgimenti politici.

Ma credono di aver contribuito a un risultato storico: "La Cop29 passerà alla storia come l'inizio di una nuova era per la finanza climatica", ha affermato il commissario “Wopke Hoekstra”.

 

Resta il fatto che l'accordo della Cop29 lascia l'amaro in bocca a molti partecipanti.

 I Paesi più poveri del pianeta e gli Stati insulari del Pacifico, dei Caraibi e dell'Africa avevano chiesto uno sforzo finanziario almeno doppio.

 "Nessun Paese ha ottenuto tutto ciò che voleva e lasciamo Baku con una montagna di lavoro da fare, quindi questo non è il momento di fare giri di parole", ha detto il responsabile del clima delle Nazioni Unite,” Simon Stiell”.

L'Azerbaigian ha combattuto contro l'Armenia per ottenere l'organizzazione della conferenza, il più grande evento internazionale organizzato dal Paese.

Ma le dichiarazioni del suo presidente contro la Francia, gli arresti di attivisti ambientali e le vessazioni contro i parlamentari americani a Baku hanno appesantito l'atmosfera.

 Baku è stata una "esperienza dolorosa", ha detto il ministro dell'Ambiente brasiliano “Marina Silva”, che ospiterà la prossima “Cop” tra un anno.

In quella che viene interpretata come una rivincita della “Cop28 di Dubai “dello scorso anno, nell'accordo di Baku non viene fatta esplicita menzione della transizione verso l'uscita dai combustibili fossili.

Per la Francia accordo "non all'altezza delle sfide."

L'accordo raggiunto domenica alla Cop29 è "deludente" e "non all'altezza delle sfide", ha affermato il ministro francese della Transizione ecologica” Agne's Pannier-Runacher”.

Nonostante "diversi progressi", tra cui il triplicamento dei finanziamenti ai Paesi poveri minacciati dal cambiamento climatico, la conferenza di Baku è stata caratterizzata "da una reale disorganizzazione e da una mancanza di leadership da parte della presidenza azera", ha affermato il ministro in una dichiarazione inviata all'”Afp”.

 

Biden, "Passo importante, nessuno fermerà la rivoluzione."

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha salutato l'accordo Cop29 come un "passo importante" nella lotta contro il riscaldamento globale e ha assicurato che l'America continuera' la sua azione nonostante l'atteggiamento scettico sul clima del suo successore, Donald Trump.

"Alcuni cercano di negare o ritardare la rivoluzione dell'energia pulita in corso in America e nel mondo, ma nessuno può annullarla, nessuno", ha sottolineato Biden.

 

 

Clima, i punti principali

dell'accordo di Baku.

Italiaoggi.it – Redazione – (24-11-2024) – ci dice:

 

Content Revolution.

Finanziamenti per 300 miliardi di dollari l'anno ai Paesi in via di sviluppo. Obiettivo: riduzione emissioni. Biden: "Passo importante, nessuno fermerà la rivoluzione".

Delusione dei Paesi più poveri.

 

La 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha adottato diverse decisioni, la principale delle quali stabilisce l'obbligo per i Paesi ricchi di finanziare 300 miliardi di dollari all'anno, fino al 2035, la transizione energetica e l'adattamento ai cambiamenti climatici dei Paesi in via di sviluppo.

Ecco i punti principali dell'accordo:

300 miliardi.

Era il punto più atteso del vertice:

quanto dovranno fornire ai Paesi in via di sviluppo 23 Paesi sviluppati e l'Unione europea, designati nel 1992 come storicamente responsabili del cambiamento climatico?

"Almeno 300 miliardi di dollari all'anno entro il 2035", stabilisce l'accordo di Baku, fissando questo "nuovo obiettivo collettivo" in sostituzione del precedente di 100 miliardi all'anno.

Si tratta della metà di quanto richiesto dai Paesi in via di sviluppo, e uno sforzo molto piccolo se si tiene conto dell'inflazione, hanno criticato le Ong.

"I Paesi sviluppati sono all'avanguardia" nel raggiungimento di tale importo, secondo la formulazione del testo, il che significa che altri possono partecipare.

Il testo prevede che il contributo dei Paesi ricchi provenga dai loro fondi pubblici, integrati da investimenti privati che mobilitano o garantiscono, o da "fonti alternative", il che significa possibili tasse globali, ancora allo studio (sulle grandi fortune, sui trasporti aerei o marittimi).

Secondo l'accordo, questi 300 miliardi dovrebbero costituire la leva per raggiungere un totale di 1.300 miliardi di dollari all'anno entro il 2035 per i Paesi in via di sviluppo.

 Questa cifra corrisponde al loro bisogno di finanziamenti esterni, come stimato dagli esperti commissionati dalle Nazioni Unite, “Amar Bhattacharya”, “Vera Songwe” e “Nicholas Stern”.

 

Nessun obbligo per la Cina.

I Paesi occidentali hanno chiesto di ampliare l'elenco degli Stati responsabili dei finanziamenti per il clima, ritenendo che la Cina, Singapore e i Paesi del Golfo fossero diventati più ricchi.

 Ma soprattutto la Cina ha tracciato una linea rossa:

non si trattava di toccare questa lista.

 L'accordo di Baku "invita" i Paesi non sviluppati a fornire contributi finanziari, ma questi rimarranno "volontari", si prevede esplicitamente.

L'accordo contiene tuttavia una novità:

d'ora in poi i finanziamenti per il clima provenienti dai Paesi non sviluppati tramite le banche multilaterali di sviluppo potranno essere conteggiati nell'obiettivo dei 300 miliardi.

Gli europei lo hanno accolto favorevolmente.

Concessioni ai Paesi più vulnerabili.

Sabato hanno sbattuto provvisoriamente la porta, lamentandosi di non essere stati né ascoltati né consultati, ma i 45 Paesi meno sviluppati (Pms) e il gruppo di circa 40 piccoli Stati insulari sono stati finalmente convinti a non bloccare l'accordo.

Volevano che una parte degli aiuti finanziari fosse loro esplicitamente riservata, contro il parere di altri Paesi africani e sudamericani.

 Infine, l'accordo anticipa al 2030 l'obiettivo di triplicare i finanziamenti, prevalentemente pubblici, che passano attraverso i fondi multilaterali dove risultano prioritari.

Si prevede inoltre che una tabella di marcia produca un rapporto per la Cop30 di Belem, nel novembre 2025 in Brasile, su come sfruttare i finanziamenti per il clima.

Fornirà loro, tra le altre cose, una nuova opportunità di ottenere più denaro sotto forma di donazioni, mentre oggi il 69% dei finanziamenti per il clima è costituito da prestiti.

 

Obiettivo minimo per l'uscita dai fossili.

Ogni menzione esplicita della "transizione" verso l'uscita dai combustibili fossili, il principale risultato della Cop28 di Dubai, è scomparsa nella definizione dei testi principali.

Appare solo implicitamente nei richiami dell'accordo adottato l'anno scorso.

Ma il testo, che avrebbe dovuto rafforzarne l'attuazione, alla fine non è stato adottato alla chiusura della Cop29, dopo una lunga battaglia che lo aveva già in gran parte svuotato della sua sostanza.

Una delle priorità dell'Unione europea, osteggiata dall'Arabia Saudita, era quella di ottenere un monitoraggio annuale degli sforzi per uscire da petrolio, gas e carbone: senza successo.

 

 

 

La disfatta dei vip radical chic e del

politically correct, la vittoria

dei cittadini-spazzatura.

Lucidamente.com - Rino Tripodi – (19 Novembre 2024) – ci dice:

 

La nettissima affermazione di Donald Trump dimostra la sovra rappresentazione mediatica delle capricciose ideologie delle élite rispetto alla realtà e alle esigenze delle persone comuni.

La nettissima affermazione di Donald Trump dimostra la sovra rappresentazione mediatica delle capricciose ideologie delle élite rispetto alla realtà e alle esigenze delle persone comuni.

Qualcuno si è mai chiesto (e ha fatto due conti) su quante siano in percentuale sul resto della popolazione “normale” le star del cinema, della musica di consumo, dello sport o le viziatissime “influencer”?

E, al loro interno, quante di loro sono impegnate a diffondere il “verbo woke”, “politically correct” e la “cancel culture?”

Se aprite le pagine Wikipedia riguardanti i divi hollywoodiani, trovate spesso, accanto ad «attrice», «top model» (ma non basterebbe saper recitare bene senza essere pure bellissima?), l’aggiunta «attivista per i diritti civili».

Quali sono i “diritti” difesi dalle star.

Chiariamo:

per «diritti civili» o «umani» i vip non intendono quelli «sociali», cioè vitali ai lavoratori e alle fasce basse della popolazione:

ovvero lavoro, sicurezza, casa, scuola, sanità, trasporti, ecc.

Si tratta, nel migliore dei casi, dell’ovvio diritto di non subire discriminazioni etniche.

Poi, del diritto di tutti (migranti) a spostarsi liberamente da un luogo all’altro, da uno Stato all’altro.

Ma, in genere, le élite “artistiche” e dello spettacolo, peraltro ignoranti e a digiuno di cultura, arte, letteratura, musica colta, Storia, ecc., “lottano” per i desideri, a volte capricci, di omosessuali, transessuali, della cosiddetta comunità lgbtqia+, come quello di comprare neonati da donne povere (utero in affitto).

 Oltre al “#MeToo”, ovvero lo scandalo non delle donne povere costrette ad abusi sessuali dal datore di lavoro o dal “principale”, ma delle presunte violenze subite da donne famose da parte di uomini potenti economicamente.

Se volessimo proseguire nel giochino di quante sono in percentuale alcune categorie rispetto al resto della popolazione, potremmo continuare con i giornalisti, i baroni universitari progressisti, i presentatori tv, gli influencer, gli scrittorucoli, gli artistoidi ecc.

E, scendendo socialmente ancora di più verso le persone comuni, quanti sono i normalissimi omosessuali che hanno scelto la noia del matrimonio e della coppia o la fatica di accudire dei figli comprati da uteri in affitto?

E quante le donne che hanno abortito o che sono in età e previsione di voler abortire?

E, tra questi/e, quanti/e sono i/le militanti che ne fanno una questione ideologica?

I radical chic sovrastimati e il loro delirio di onnipotenza cadono alle elezioni.

Si tratta di un’infima minoranza di privilegiati e/o di minoranza chiassosa che solo il sistema di potere massmediatico sovra espone e sovra rappresenta rispetto alle persone che lo meriterebbero (ad esempio, lavoratori che hanno perso il proprio lavoro, lavoratori infortunati, le famiglie dei deceduti sul lavoro, i danneggiati dai miracolosi “vaccini”).

 È la maggioranza muta e silenziosa perché nessuno le offre un microfono e neppure un trafiletto di giornale.

Per questi ultimi, considerati dai vip, e dagli stessi “progressisti”, «spazzatura», solo il silenzio.

Però, al momento, e non si sa per quanto tempo ancora, ogni tanto occorre votare, altrimenti il gioco sporco diventa – forse – troppo sporco.

 E, allora, dappertutto, dove si vota, non vincono quelli per cui fa il tifo il 90% dei potentati occidentali capitalisti-neoliberisti-globalisti.

Spesso, come in Spagna o Francia, o nella stessa Unione europea, ci si inventa espedienti per evitare che i vincitori governino (leggi anche Urne ribaltate).

 Altre volte, come in Italia e, pochi giorni fa, negli Stati uniti, le vittorie della «spazzatura» (secondo la terminologia radical chic) sono talmente ampie che non si può far nulla per rovesciare il risultato delle urne.

La vittoria del buonsenso, della normalità e della povera gente.

Soffermiamoci sul caso Donald Trump, che è il più recente, ma anche il più clamoroso e significativo.

Si è fatto di tutto per evitare che il discutibile candidato prevalesse:

 dagli insulti ai processi penali, dalla criminalizzazione ai veri e propri attentati.

Alla vigilia delle elezioni del 5 novembre, tutti i sondaggi davano per sicura vincente l’avversaria, Kamala Harris.

 Persino quando i risultati reali che stavano pervenendo fossero chiari, si parlava di “testa a testa”, forse nella speranza che, come nel 2020, qualcosa “si sistemasse” nelle schede scrutinate.

Ma sono state proprio queste a decretare la sonora sconfitta dell’establishment “progressista”.

Non solo della scialba Harris, ma di tutto l’apparato ideologico politically correct, coi loro estremismi woke (aggressione di chi non la pensa allo stesso modo) e cancel culture (eliminazione di tutte la Storia, le radici e le tradizioni del passato per rendere gli individui degli atomi isolati, ignoranti e quindi deboli).

Hanno vinto la normalità e il buonsenso.

Dappertutto, tranne che in poche enclave territoriali popolate da privilegiati, come Los Angeles, New York, Washington città (leggi Nicola Porro, La sconfitta della “Ztl” americana. Le zone chic dove ha stravinto Kamala).

 Se ce ne fosse stato bisogno, la vittoria schiacciante di Donald Trump dimostra quanto alla gente comune (bianchi e neri, latinos e islamici, uomini e donne, etero e gay, imprenditori e lavoratori, vecchi e giovani) stiano sulle scatole i radical chic, la teoria gender, i capricci fatti passare per diritti (che dovrebbero essere uguali per tutti/e  non privilegi di presunte “comunità”), il classista utero in affitto, l’aborto praticato quasi al nono mese.

L’intolleranza degli autodefinitisi “buoni.”

E, ancora, gli intellettuali da salotto, la criminalizzazione di chi la pensa diversamente da loro, il disprezzo per il cristianesimo se non in chiave bergogliana, l”’antifa” in assoluta assenza non solo di fascismo ma anche di autoritarismo, l’odio verso famiglia e procreazione naturali, le nazi-femministe, l’immigrazionismo dannoso per gli stessi migranti e il terzomondismo astorico, l’odio verso le forze dell’ordine, gli ecoterroristi, i giornalisti su libro paga e altra – questa sì – “spazzatura”.

E, dunque, la maggioranza dei cittadini se ne frega delle incolte star di Hollywood e della musica di consumo, e degli artistoidi da strapazzo, che straparlano sui media asserviti, non accontentandosi di far soldi sugli idioti, ma pure volendo imporre il loro Verbo (ne fa un rapido e inevitabilmente incompleto elenco Tony Damascelli in” L’orchestra dei trombettieri anti Trump”).

 Per non dire dell’ipocrisia di chi invita a non votare la “razzista” Marine Le Pen e poi cade – forse – in qualcosa di davvero grave (Mbappé indagato per “stupro e aggressione sessuale” dopo la sua visita a Stoccolma).

I disastri della globalizzazione delle élite.

Il connubio élite economico-finanziarie/sinistra progressista è riuscito a cancellare in pochi decenni secoli di progressi sociali.

 I partiti in difesa del lavoro e dei lavoratori sono stati occupati da radical chic che hanno barattato i diritti sociali per quelli, più fumosi, “umani” o civili.

Tutto ciò ha provocato, tra l’altro, l’impoverimento delle classi medie e medio-basse, che è palese nella trasformazione del tessuto urbano: città-mondo, non luoghi, loro gentrificazione, centri storici ridotti a bed and breakfast e mangiatoie per turisti, banlieue.

 E, ancora, precariato e precarietà, insicurezza, dittatura sanitaria dell’Oms, vendite a domicilio a danno dei negozi di quartiere, giovani sbandati, diffusione capillare di droghe ed eccessi di ogni tipo, scuola di pessima qualità

Concretezza e realismo contro astratti e fumosi ideologismi

Alle persone e ai cittadini (si può ancora dire “popolo”?) interessa invece avere prospettive economiche, speranze per il futuro, occupazione, sicurezza in casa e per le strade, lotta alla criminalità diffusa…

 Si tratta di un’analisi politica condivisa pure dai pochi esponenti di una sinistra rimasta non solo di sinistra, ma anche lucida, come il rieletto (per la quarta volta) senatore socialista del Vermont “Bernie Sanders” (leggi” Vincenzo Giardina”, Elezioni Usa, per Sanders risultato ovvio perché “i democratici hanno abbandonato i lavoratori”).

E più i “progressisti” e le sinistre gridano a un pericolo fascismo che non esiste, a continue emergenze, che semmai vanno affrontate con pragmatismo e razionalità e non con isterismi e perseguitando i “negazionisti”, più le persone voteranno per sovranisti e populisti, magari rossobruni

Trump sarà un toccasana? No.

Ma cambierà molto rispetto al conformismo degli ultimi decenni.

 È sufficiente vedere chi sta nominando nel suo team.

Su guerre, deep state, dittatura sanitaria, si profilano scelte coraggiose.

 Chi lo definisce un fascista o un autoritario o è in cattiva fede o è un cieco impregnato di ideologia trinariciuta.

È piuttosto catalogabile tra i libertari populisti.

Certo, c’è chi pensa che, se l’elettorato non vota bene (per chi sappiamo), occorre truccare il gioco elettorale o proprio cambiare l’elettorato (leggi anche Viviamo davvero in regimi democratici?).

 Come? Con una massiccia dose di migranti.

 E allora?

Questi, provenienti da culture tradizionaliste, non tollerano neppure l’infedeltà coniugale e l’omosessualità, figuriamoci le nozze gay e la “gestazione per altri”…

Le immagini: a uso gratuito da Pexels (autori: Charles Criscuolo; Rosemary Ketchum; Michael Anthony).

(Rino Tripodi)

 

 

 

 

L’Occidente sotto lo stivale

dell’oligarchia finanziaria.

Lucidamente.com – Giuseppe Licandro – ( 5 Novembre 2024) – ci dice:

 

Nel saggio “I padroni del mondo” (Laterza)” Alessandro Volpi “spiega come i fondi d’investimento stiano distruggendo la democrazia e il libero mercato.

Qualcosa, tuttavia, sta cambiando nei rapporti commerciali internazionali.

Il capitalismo occidentale odierno è contrassegnato dal netto predominio dei gruppi finanziari.

 Il mercato, infatti, è egemonizzato da alcune grandi banche (Bnp Paribas, Bpce, Goldman Sachs, J. P. Morgan, Morgan Stanley, ecc.), nonché da molti fondi d’investimento (Allianz group, Amundi, BlackRock, Bny investment, Capital group, Fidelity investment, Franklin Templeton investment, Invesco, Legal & general group, Northern trust, Prudential financial, State street corporation, T. Rowe Price group, Ubs, Vanguard group.

I nuovi “signori del mondo.”

La loro potenza si calcola in base all’Asset under management (Aum), l’indice che esprime la quantità di denaro gestito da ogni operatore (vedi RankiaPro, Ranking delle 20 società di gestione di fondi con l’Aum più elevato al mondo).

Allora, sarà un caso che il 1° ottobre scorso il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha incontrato a Palazzo Chigi “Larry Fink”, presidente e amministratore delegato di “BlackRock?

Si tratta del più potente fondo d’investimento statunitense, con un patrimonio stimato di oltre nove mila miliardi di dollari.

Le sue scelte, pertanto, «condizionano profondamente l’andamento dell’economia globale e dei singoli paesi» (vedi Le ragioni dell’incontro tra Giorgia Meloni e Larry Fink, il capo di BlackRock).

BlackRock possiede quote azionarie di molte imprese italiane (Enel, Eni, Intesa Sanpaolo, Leonardo, Mediaset, Mediobanca, Poste, Snam, Stellantis, Unicredit, ecc.) e intende acquisire ulteriori asset delle nostre aziende pubbliche (in barba al “sovranismo” sbandierato dalla coalizione governativa).

Per capire fino in fondo la forza economica dei gestori dei fondi d’investimento, consigliamo la lettura del saggio “I padroni del mondo”. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia (Laterza, pp. 192, € 15,00) di Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa.

Un immenso trust.

L’autore evidenzia come lo smantellamento del “welfare state” abbia causato in vent’anni «lo spostamento di risorse verso fondi finanziari che le hanno utilizzate per diventare i pivot decisivi dell’intero sistema economico mondiale».

“BlackRock” ha costituito con “State street corporation” e “Vanguard group “un immenso trust che «possiede le Borse, determina i prezzi, ha partecipazioni decisive nel sistema produttivo globale».

L’oligopolio controlla anche «le agenzia di rating […], gran parte della stampa economica, le principali banche del pianeta, le assicurazioni, la farmaceutica, l’industria militare, le società hi-tech, l’intera filiera alimentare e quella dell’energia».

I Big three, inoltre, sono gli azionisti di riferimento di vari colossi delle telecomunicazioni (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Netflix). Vanguard, in particolare, possiede circa il 7% di Tesla, l’azienda che ha reso Elon Musk l’uomo più ricco del mondo (vedi Il sogno distopico di Elon Musk: i tecnocrati al potere).

La distruzione dello “stato sociale” italiano.

Il disfacimento dello “stato sociale” italiano sta avvenendo attraverso la contrazione della spesa pubblica, la defiscalizzazione e la vendita delle proprietà statali.

Tutto ciò determina «il progressivo trasferimento di una serie di servizi dal pubblico al privato».

 La Legge sull’autonomia differenziata rischia di affossare il Servizio sanitario nazionale, mentre un’ampia parte di cittadini si cura a pagamento oppure rinuncia a farlo (vedi Federica Pennelli, Nel 2023 4,5 milioni di cittadini hanno rinunciato a curarsi: la maggior parte sono donne).

L’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) versa in gravi condizioni.

 La riduzione dei versamenti contributivi – dovuta ai salari bassi e all’evasione fiscale – sta provocando, infatti, «l’insostenibilità dei conti Inps che rischia di non essere più in grado di pagare le pensioni», mentre aumenta il ricorso alla previdenza complementare.

Il processo di privatizzazione avanza anche nella telefonia, settore nel quale “Tim” ha ceduto la gestione della rete a “Kkr”, un fondo d’investimento controllato dai “Big three”.

Le vere cause dell’inflazione.

L’azienda Autostrade per l’Italia, invece, è ritornata in mano allo Stato, ma solo parzialmente.

 Il 49% delle azioni, infatti, appartiene alla società finanziaria Blackstone Group e alla banca Macquarie Group.

I fondi d’investimento si sono accaparrati anche ampie quote delle multiutility (A2A, Acea, Alia, Hera, Iren, ecc.) che amministrano i servizi pubblici locali (acqua, energia, rifiuti, trasporti, ecc.).

 I manager di queste società mirano a «pagare dividendi robusti ai propri azionisti» e non esitano ad aumentare le tariffe o a peggiorare la qualità delle prestazioni erogate.

La vendita delle proprietà statali è aumentata dopo l’impennata dei prezzi del 2021 e il rialzo dei tassi d’interesse deciso dalla Banca centrale europea (Bce), che, danneggiando le aziende, consentono alla finanza privata di «fare shopping a sconto».

L’inflazione, tuttavia, è stata indotta proprio dai «grandi fondi che hanno scommesso sull’andamento dei prezzi, facendoli lievitare […] con le proprie scommesse al rialzo».

La fine del libero mercato.

Il capitalismo neoliberista non rispetta più le regole dell’economia classica, fondate sulla concorrenza e il libero mercato.

La produzione e il commercio delle merci, infatti, sono monopolizzati da poche multinazionali, a loro volta controllate dai fondi d’investimento.

Sono i giganti finanziari, quindi, «a decidere i prezzi e […] a scegliere cosa deve continuare ad essere oggetto della produzione», determinando – in base alla loro convenienza – anche l’alternarsi dell’inflazione o della deflazione.

BlackRock, Street state corporation e Vanguard group occupano attualmente il vertice della piramide economica.

Non esiste, tuttavia, un “capo assoluto” perché «ciascuno dei fondi ha partecipazioni negli altri due».

 Essi, dunque, si controllano a vicenda attraverso una serie di incroci azionari che rende impossibile «comprendere chi sia il vero proprietario».

Il loro predominio incontrastato, tuttavia, riguarda soltanto il mondo occidentale, perché sono ancora poco presenti nel mercato asiatico, dove comandano invece le holding cinesi (Alibaba, Huawei, Tencent, ecc.).

Le controverse scelte della Bce.

Le speculazioni operate dai fondi d’investimento hanno inciso sull’aumento del debito mondiale che in dieci anni è quasi raddoppiato, raggiungendo 307 mila miliardi di dollari.

 La Federal Reserve cerca di tenere sotto controllo le finanze statunitensi, stampando dollari e comprando una parte dei bond emessi dalla Casa bianca.

La Bce, invece, ha abbandonato la politica espansiva del “Quantitative easing”, aumentando i tassi d’interesse e riducendo notevolmente l’acquisto dei titoli di Stato.

La Ue, dunque, persegue la strada dell’austerità «rifiutando qualsiasi ipotesi di utilizzo dell’euro per il finanziamento del debito».

Le scelte della Bce avvantaggiano soprattutto la finanza privata che, grazie alle speculazioni, può comprare i bond dei Paesi della Ue a tassi molto vantaggiosi.

 Ciò, tuttavia, significa che «le sorti degli Stati dipendono sempre più dalle scelte di Vanguard, BlackRock, State street, Amundi e pochissimi altri gestori» (vedi Nulla succede per caso. Soprattutto in economia…).

Come si definisce il prezzo delle merci.

I grandi fondi d’investimento controllano anche le agenzie di rating (Fitch, Moody’s, Standard & Power, ecc.) che «esprimono valutazioni decisive sulla finanza pubblica e privata», orientando così l’andamento del mercato.

L’andamento dei prezzi, pertanto, non dipende dalla legge della domanda e dell’offerta, né dal costo del lavoro o delle materie prime.

A influenzarlo sono le decisioni prese «nelle grandi Borse merci del pianeta, in particolare in quelle di Chicago, di Parigi e di Mumbai», dove «sono soprattutto le scommesse a determinare i prezzi reali».

Le attività speculative vengono spesso implementate tramite l’intelligenza artificiale, grazie a software molto sofisticati come “Aladdin”, che «elabora dati per tradurli nelle scelte d’investimento» e crea «scommesse in grado di autoavverarsi».

Di tutto ciò non parla quasi mai la grande stampa economica (Financial times, Fox, Wall street journal, ecc.), che, ovviamente, è sotto il controllo dei Big three.

Ma neppure la maggioranza dei quotidiani e dei periodici “indipendenti” e, magari, classificati come “progressisti”.

La forza crescente dei Brics.

I “padroni del mondo” stanno uccidendo anche la democrazia.

I governi e i parlamenti, infatti, possiedono ormai «spazi di autonomia […] molto ridotti».

 Lo strapotere dei fondi d’investimento statunitensi potrebbe essere limitato soltanto dall’avvento di una finanza alternativa, costruita da un «blocco monetario internazionale del Sud globale, con un ruolo egemone della Cina».

Tale prospettiva sembra comunque a Volpi «ancora molto lontana»: gli Usa, infatti, contrastano con ogni mezzo la trasformazione del sistema geopolitico planetario (vedi A “novanta secondi” dall’apocalisse).

Qualcosa, tuttavia, sta cambiando nei rapporti commerciali internazionali, come dimostra la forza crescente del raggruppamento economico formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (Brics), estesosi recentemente anche a Egitto, Emirati arabi uniti, Etiopia e Iran.

Queste nazioni, infatti, cooperano tra loro senza prevaricazioni, prediligendo «il dialogo interculturale in una paritaria diversità» (“Elena Basile”, La riunione Brics, esempio di cooperazione globale, nel “il Fatto Quotidiano,” 29 ottobre 2024).

 

 

 

 

 

Il contenzioso climatico strategico

ed il principio della separazione dei poteri.

Questionegiustizia.it – Luca Saltalamacchia - avvocato del Foro di Napoli- (12-11-2024) – ci dice: 

 

Breve disamina delle soluzioni adottate dalla giurisprudenza nei casi Urgenda, Giudizio Universale e KlimaSeniorinnen.

«Esistono, in ogni Stato, tre sorte di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile …

Quest’ultimo potere sarà chiamato il potere giudiziario, e l’altro, semplicemente esecutivo dello Stato.

La libertà politica, in un cittadino, consiste in quella tranquillità di spirito che proviene dalla convinzione, che ciascuno ha, della propria sicurezza;

e, perché questa libertà esista, bisogna che il governo sia organizzato in modo da impedire che un cittadino possa temere un altro cittadino.

Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano leggi tiranniche per attuarle tirannicamente.

Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo.

Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore.

 Se fosse unito con il potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore.

Tutto sarebbe perduto se la stessa persona, o lo stesso corpo di grandi, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri:

quello di fare leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni e quello di giudicare i delitti e le liti dei privati»

(Charles De Secondat barone di Montesquieu, De l’esprit des lois).

«I tribunali nazionali, quando sono chiamati a giudicare una questione relativa all’esercizio del potere esecutivo, non devono declinare la propria competenza sulla base della natura politica della questione, se tale esercizio del potere è soggetto a una norma di diritto internazionale»

 (articolo 2 della risoluzione adottata dalla nona commissione dell’Institut de Droit International, relatore Prof. Benedetto Conforti, in data 7/9/93).

 

 1. Introduzione.

Il numero di giudizi e di procedimenti aventi natura quasi-giudiziaria che hanno per protagonista il cambiamento climatico è in rapido aumento.

Si è già detto in ordine alle caratteristiche di questo fenomeno, che riguarda anche l’Italia, essendo stati lanciati nel nostro paese diversi contenziosi di questo tipo.

Il primo, identificato come “Giudizio Universale” dal nome della campagna che lo ha accompagnato, riguarda una causa proposta dinanzi al Tribunale civile di Roma contro lo stato italiano.

I 203 attori (tra cui 24 associazioni e 179 individui) hanno basato le loro richieste sulla non contestata – né dallo Stato, né dal Tribunale di Roma – emergenza climatica, intesa come situazione di minaccia esistenziale irreversibile che riguarda alcuni diritti umani fondamentali.

Tale minaccia può essere interrotta secondo la comunità scientifica, ed anche secondo la comunità degli Stati, solo dando piena ed efficace applicazione all’Accordo di Parigi, il quale all’art. 2 individua l’obiettivo di contenimento dell’aumento delle temperature globali («ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali e proseguendo l'azione volta a limitare tale aumento a 1,5°C») e stabilisce i principi (quelli dell’equità, delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità) che devono guidare le politiche climatiche degli Stati volte a realizzarlo.

La comunità degli Stati, nelle decisioni adottate in occasione delle successive COP, ha poi abbandonato la prima soglia («ben al di sotto di 2°C»), chiarendo che il target da perseguire è quello del contenimento dell’aumento delle temperature entro 1,5°C.

 

Orbene, gli attori hanno evidenziato, mediante il deposito di copiosa documentazione, il macroscopico disallineamento delle politiche climatiche italiane rispetto al suddetto target stabilito dall’Accordo di Parigi, e su tale premessa hanno formulato al Tribunale di Roma una serie di domande volte ad ottenere l’accertamento della responsabilità dello Stato italiano per aver contribuito a creare una situazione di minaccia al godimento dei diritti fondamentali travolti dal cambiamento climatico, nonché la sua condanna a ridurre le emissioni entro il 2030 di una percentuale in linea con il target fissato dall’Accordo di Parigi.

Peraltro, l’individuazione di tale percentuale è stata demandata all’autorevole “istituto di ricerca Climate Analytics”, che ha prodotto due report specifici sulla compatibilità del piano di riduzione delle emissioni approvato dal governo italiano con il target fissato dall’Accordo di Parigi, pervenendo alla drastica conclusione che le attuali politiche climatiche sono del tutto fuori rotta rispetto ad esso.

Non è possibile in questa sede approfondire la complessità di tale giudizio;

 ci si limiterà a rilevare che lo stesso è stato deciso dalla II Sezione civile del Tribunale di Roma con sentenza n. 3552 del 26 febbraio 2024, che ha sollevato – come era prevedibile – un enorme dibattito, in particolare sull’utilizzo del principio della separazione dei poteri.

Su questo aspetto, ed in particolare sulla sua lettura anche alla luce della giurisprudenza del Tribunale dell’Aja e della Corte europea dei diritti dell’uomo, si concentrerà l’attenzione del presente scritto, con la consapevolezza che la delicatezza del tema avrebbe meritato un maggiore approfondimento.

2. Il contenzioso climatico strategico.

Prima di entrare nel cuore della problematica, è opportuno accennare al fenomeno del contenzioso strategico, il quale «è presente ovunque, ma non è definito da nessuna parte.

 Il concetto è utilizzato in tutto il mondo, da professionisti, attivisti e studiosi. Tuttavia, non compare nei dizionari giuridici (anche se esistono numerosi concetti contemporanei correlati) e non esiste ancora una definizione concordata dagli studiosi».

 

Ciò premesso, a grandi linee è possibile individuare la caratteristica principale del contenzioso strategico:

quella di selezionare casi in cui sono coinvolti i diritti di uno o più soggetti e di lanciarli (per lo più dinanzi all’autorità giudiziaria, ma vi sono anche casi strategici lanciati attraverso procedure quasi-giudiziarie) con l’obiettivo di stimolare un dibattito e di sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche di particolare importanza, che riguardano anche la collettività.

È evidente che il contenzioso climatico rientra in tale categoria; in tutto il mondo, la società civile ha proposto diversi contenziosi perché, a fronte di una situazione oggettivamente grave consistente nell’emergenza climatica foriera di minacce al godimento dei diritti umani fondamentali, le risposte dei governi e delle grandi imprese climalteranti sono state decisamente inefficaci. 

Il contenzioso strategico mira, dunque, a raggiungere anche effetti che possiamo definire “extra-giuridici”, ovvero effetti che vanno ben al di là del risultato della procedura in sé considerato, e che si possono ottenere anche in caso di rigetto della domanda.

 Con il contenzioso strategico, lo strumento processuale diventa una sorta di mezzo con cui la società civile esprime la preoccupazione in relazione a determinate problematiche sensibili (nel nostro caso, la risposta all’emergenza climatica), esortando così il potere politico ad affrontare le stesse o a riflettere sul modo in cui esse sono state affrontate.

Le tematiche sensibili, quelle che la società civile ritiene debbano essere affrontate in un certo modo dal potere politico, riguardano quindi contemporaneamente singoli individui (i protagonisti del contenzioso, che reclamano il rispetto dei propri diritti asseritamente minacciati o compromessi) ma anche categorie più ampie, sino a ricomprendere l’intera collettività.

Il cambiamento climatico ne è un esempio paradigmatico:

l’emergenza climatica minaccia i diritti fondamentali degli individui (praticamente, chiunque), ma per poterla affrontare è necessario adottare delle scelte che hanno delle ricadute sull’intero sistema-paese.

E qui va evidenziata la caratteristica “critica” del contenzioso strategico in generale (non solo di quello climatico).

Proprio la sua finalità, difatti, costituisce anche il suo principale vulnus, perché necessariamente esso impatta con il principio della separazione dei poteri.

 

Ridotta all’essenziale, la criticità è collegata ai limiti dentro cui il potere giudiziario, attivato con il contenzioso strategico, può assumere decisioni quando le stesse riguardano sia la tutela dei diritti invocati dai ricorrenti, sia questioni relative al sistema-paese o in generale alla collettività, per loro natura devolute alla sfera di intervento del potere politico.

Il potere giudiziario – procedendo con una semplificazione – applica il diritto ad un determinato fatto, risolvendo un conflitto portato alla sua attenzione da uno o più ricorrenti;

gli effetti della sua decisione, normalmente, valgono e si riverberano solo tra le parti processuali.

Attraverso il contenzioso strategico, a causa della particolare importanza delle tematiche sottoposte all’attenzione dell’autorità giudiziaria, le decisioni adottate possono avere (e di regola hanno) anche ripercussioni su altri soggetti, o su altre sfere sociali o addirittura sull’intera collettività, finendo con l’interferire con l’ambito che il potere politico riserva alla sua discrezionale competenza.

La contraddizione sopra evidenziata può però essere letta anche all’inverso:

se è vero che il principio della separazione dei poteri richiede la verifica dei limiti alla sfera di intervento del potere giudiziario quando in gioco ci sono da un lato i diritti fondamentali, dall’altro più ampie questioni che riguardano il sistema-paese, è altrettanto vero che il medesimo principio richiede anche la verifica simmetrica ed opposta:

 ovvero, i limiti entro cui il potere politico può adottare decisioni che riguardano la collettività o l’intero sistema-paese, ma che hanno anche gravi ripercussioni sui diritti fondamentali di alcuni (o di tutti) gli individui.

 

Esiste una zona grigia tra la sfera di influenza del potere giudiziario e le prerogative di esclusiva del decisore politico, dove può essere assai difficile nella pratica individuare un confine chiaro e delimitato.

Questa zona grigia diventa spesso il luogo di scontro non solo tra potere politico e potere giudiziario, ma anche tra diverse visioni del diritto, o – meglio – della finalità del diritto.

Di recente, il nostro paese è stato investito da una fortissima polemica lanciata dal Governo contro alcuni Magistrati, rei di non aver convalidato il fermo nel centro di trattenimento albanese di Gjadër, impedendo così il “trasferimento” (anche se il termine giuridico più pertinente nel caso di specie è quello di “deportazione”) di “migranti” (anche se il termine giuridico più corretto è quello di “naufraghi” raccolti in mare dalla nave Libra della Marina Militare italiana) voluto dal Governo.

In questo caso, il provvedimento dell’autorità giudiziaria è stato letto dal decisore politico come invasivo e foriero di minare l’intero assetto della politica di contrasto al fenomeno della migrazione “illegale”.

 

Il violento attacco del “potere politico” nei confronti delle decisioni adottate dal “potere giudiziario” che si è consumato in relazione a questa vicenda, conferma l’assoluta delicatezza delle implicazioni del principio della separazione dei poteri e delle sue ripercussioni sulle vicende giudiziarie che attengono ai diritti dei singoli, ma che hanno anche ricadute più ampie.

Va da sé che non esiste una ricetta univoca per dirimere il conflitto tra i due poteri; è possibile però motivare le ragioni che spingono a collocare in un preciso punto il confine tra le due sfere di competenza, ampliandone una a discapito dell’altra.

Questo contributo mira ad enucleare l’approccio adottato da tre Corti in relazione al tema della insindacabilità delle scelte di politica climatica reclamata dal decisore politico per effetto del principio della separazione dei poteri.

3. Il caso “Urgenda” contro Paesi Bassi.

 

Nella sentenza che ha deciso “Giudizio Universale”, il Tribunale di Roma, curiosamente, richiama una serie di contenziosi climatici celebrati precedentemente dinanzi ad altri Tribunali europei (tutti conclusi con l’accoglimento delle domande), salvo poi discostarsene in maniera radicale.

Tra i vari, il Tribunale di Roma richiama il caso Urgenda, probabilmente il contenzioso climatico più famoso al mondo, che ha visto questa fondazione citare in giudizio lo Stato olandese chiedendo al Giudice civile, sul presupposto che il cambiamento climatico minaccia il godimento dei diritti fondamentali, di ordinare allo Stato – similmente a quanto richiesto nel Giudizio Universale – di perseguire una percentuale di taglio delle emissioni al fine di raggiungere obiettivi climatici più ambiziosi di quelli programmati.

Il governo olandese si è difeso eccependo – tra le altre argomentazioni – che l’eventuale sentenza di condanna al raggiungimento di obiettivi climatici più ambiziosi rispetto a quelli decisi in sede politica, attraverso il taglio più massiccio di emissioni, avrebbe intaccato le prerogative riconosciute al decisore polittico e, quindi, violato il principio della separazione dei poteri.

Nella sentenza di primo grado, il Tribunale dell’Aja rileva (Sez. E, punto 4.95) che «il diritto olandese non prevede una completa separazione dei poteri dello Stato, in questo caso tra esecutivo e giudiziario. La distribuzione delle competenze tra questi poteri (e il legislatore) mira piuttosto a stabilire un equilibrio tra gli stessi.

Ciò non significa che un potere in senso generale abbia un primato sull'altro. Significa invece che ogni potere dello Stato ha propri compiti e proprie responsabilità.

Il tribunale fornisce protezione legale e risolve le controversie legali, e deve farlo se gli viene richiesto.

È una caratteristica essenziale dello Stato di diritto che le azioni degli organi politici (indipendenti, democratici, legittimati e controllati), come il governo e il parlamento, possano - e talvolta debbano - essere valutate da un tribunale indipendente».

Questo controllo – prosegue la Corte – non ha natura politica, ma è limitato all’«applicazione del diritto».

La Corte è consapevole (punto 4.96) che «una richiesta di ingiunzione, come nel caso in esame, in una causa contro il governo, potrebbe avere conseguenze dirette o indirette su terzi» ma (punto 4.98) «la possibilità – e in questo caso persino la certezza – che la questione sia anche e soprattutto oggetto di decisioni politiche non è un motivo per limitare il compito del giudice e la sua prerogativa che è quella di risolvere le controversie».

La Corte, in sostanza, ritiene di dover esercitare il suo ruolo in presenza di una questione (come quella sottoposta dalla fondazione Urgenda) che riguarda la minaccia al godimento dei diritti fondamentali, anche se sicuramente la relativa decisione avrà anche una ricaduta politica.

Secondo il Tribunale dell’Aja, una sentenza che condanni lo Stato a rispettare le convenzioni internazionali sul clima fissando obiettivi di riduzione delle emissioni maggiori (nel caso di specie, la Corte ha condannato lo Stato olandese al taglio delle emissioni del 25% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020) rispetto a quelli pianificati dal potere politico, non viola il principio della separazione dei poteri.

Per contro, vi sarebbe una invasione delle prerogative del potere politico qualora (punto 4.101) la Corte individuasse le concrete misure da adottare per raggiungere il risultato finale di cui alla condanna.

La Corte si ferma proprio a questo punto, riconoscendo che «lo Stato manterrà la piena libertà, che gli spetta per antonomasia, di decidere come ottemperare alla condanna in questione».

Questa impostazione è stata poi sostanzialmente confermata nei successivi gradi di giudizio.

 

 4. La sentenza del Tribunale di Roma.

Per quel che interessa il presente articolo, il Tribunale di Roma nella sentenza sopra citata, accogliendo l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato, ha deciso la causa dichiarando «inammissibili le domande proposte dagli attori per difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale adito», compensando le spese di lite.

L’argomento centrale cavalcato dal giudice ruota intorno alla circostanza che «le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico – che comportano valutazioni discrezionali di ordine socio-economico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana – rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio.

Con l’azione civile proposta gli attori chiedono nella sostanza al Tribunale di annullare i provvedimenti anche normativi di carattere primario e secondario (come illustrati dalla Difesa erariale nelle pp. 11 e ss. della comparsa di costituzione ed evincibili dalla documentazione depositata in data 15.03.2022), che costituiscono attuazione delle scelte politiche del legislatore e del governo per il raggiungimento degli obiettivi assunti a livello internazionale ed europeo (nel breve e lungo periodo) in violazione di un principio cardine dell’ordinamento rappresentato dal principio di separazione dei poteri».

Tralasciando l’evidente manipolazione delle domande attoree (che non miravano certo ad «annullare i provvedimenti anche normativi di carattere primario e secondario», non meglio identificati e peraltro – per quanto riguarda le norme primarie – anche del tutto inesistenti nel nostro ordinamento), risulta chiaro che l’applicazione che è stata fatta dal Tribunale di Roma del principio della separazione dei poteri in questa sentenza è assai criticabile, perché finisce con attribuire al potere politico una sorta di prerogativa decisoria insindacabile, indiscutibile, arbitraria e – quindi – anche non generatrice di alcuna responsabilità.

Il che – in piena emergenza climatica conclamata ed alla presenza di accordi internazionali da rispettare – è a dir poco paradossale.

Per il Tribunale di Roma, il decisore pubblico, nell’individuare ed esprimere il proprio orientamento in tema di politica climatica, è totalmente libero da vincoli giuridici (siano essi di ordine costituzionale, siano essi derivanti dall’ordinamento internazionale o sovranazionale) e da vincoli tecnico-scientifici (sul punto, si ricorda che lo Stato italiano è membro dell’IPCC ed ha approvato tutti i report scientifici da questo organismo prodotti).

Ma, così opinando, non si viola proprio il principio della separazione dei poteri?

Spesso, i decisori politici tendono a “leggere” e ad applicare questo principio per ridurre la sfera di intervento del potere giudiziario, presentandosi come unica “incarnazione” ed unica espressione dello Stato (la vicenda della deportazione dei naufraghi in Albania è un chiaro esempio di questa tendenza: peraltro, in questa occasione il “potere esecutivo” ha attaccato il “potere giudiziario” ricorrendo all’emanazione di provvedimenti normativi, che dovrebbero competere al “potere legislativo”, in barba alla rigorosa applicazione del principio della separazione dei poteri).

 Va tuttavia rilevato che anche il potere giudiziario è un “potere dello Stato”:

il principio della separazione dei poteri, così come dovrebbe evitare indebite invasioni della Magistratura nelle prerogative tipiche della politica, così dovrebbe evitare che il decisore politico rivendichi una totale impunità ed insindacabilità da parte del potere giudiziario, quando le sue scelte incidono sui diritti fondamentali.

Del resto, uno dei fondamenti dello Stato di diritto è proprio questo:

 le scelte, anche quelle connotate da un tasso di discrezionalità, adottate dal Legislatore e dal Governo dovrebbero essere sottoposte al controllo, volto alla verifica del rispetto delle regole, del potere giudiziario indipendente qualora le stesse violassero, o minacciassero di violare, diritti umani fondamentali.

Tutto questo scompare nella sentenza del Tribunale di Roma.

 

 5. La sentenza della Corte di Strasburgo nel caso “KlimaSeniorinnen contro Svizzera.”

Qualche settimana dopo la pubblicazione della sentenza da parte del Tribunale di Roma, e precisamente in data 9/4/24, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha pubblicato tre sentenze in altrettanti casi climatici sottoposti (per la prima volta) alla sua attenzione.

Di particolare rilievo, per il tema trattato, è la sentenza adottata nel caso contro la Svizzera, lanciato da un’associazione (KlimaSeniorinnen) costituita da donne anziane, nonché da alcune di esse individualmente, sul presupposto che le ricorrenti, in ragione della loro età, appartengono ad una categoria particolarmente vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici.

Le ricorrenti lamentavano di vedere i propri diritti fondamentali (quali il diritto alla vita ed alla salute) minacciati dalla inadeguatezza delle politiche climatiche perseguite dallo stato svizzero e di aver invano attivato i rimedi consentiti dall’ordinamento svizzero, promuovendo l’azione contro lo Stato dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali, le quali avevano però rigettato il caso senza entrare nel merito, dichiarandolo inammissibile.

Dinanzi alla Corte di Strasburgo, la Svizzera – tra le altre argomentazioni difensive – ha sollevato anche l’eccezione della insindacabilità delle politiche climatiche adottate in virtù del principio della separazione dei poteri.

 

La Corte di Strasburgo ha esaminato con molta cura questa eccezione, riconoscendo (par. 413) che la responsabilità della gestione delle complesse questioni scientifiche, politiche, economiche e di altro genere poste dal cambiamento climatico ricade essenzialmente sul potere legislativo e sul potere esecutivo, e che quindi gli organi nazionali che incarnano tali poteri sono quelli naturalmente deputati ad affrontare le delicate sfide poste dal cambiamento climatico.

 

Per la Corte (par. 412) «L’intervento giudiziario, anche da parte di questa Corte, non può sostituire o supplire all’azione che deve essere intrapresa dai rami legislativo ed esecutivo del governo.

Tuttavia, la democrazia non può essere ridotta alla volontà della maggioranza degli elettori e dei rappresentanti eletti, senza tener conto dei requisiti dello Stato di diritto.

Il compito dei tribunali nazionali e della Corte è quindi complementare a questi processi democratici.

Il compito della magistratura è quello di garantire la necessaria supervisione del rispetto dei requisiti di legge.

La base giuridica per l’intervento della Corte è sempre limitata alla Convenzione, che le consente di determinare anche la proporzionalità delle misure generali adottate dal legislatore nazionale […]

 Il quadro giuridico pertinente che determina l’ambito del controllo giurisdizionale da parte dei tribunali nazionali può essere notevolmente più ampio e dipenderà dalla natura e dalla base giuridica delle richieste presentate dai ricorrenti».

 

Per la Corte, dunque, le scelte di politica climatica adottate dal potere politico non sono esenti dal controllo da parte del potere giudiziario, controllo che è un tratto caratteristico dello Stato di Diritto ed è, quindi, un elemento di completamento della democrazia.

Quanto sopra, è riconosciuto ancora più rilevante nell’epoca dei cambiamenti climatici, se consideriamo i complessi orizzonti temporali che vengono in rilievo quando si discute su come fronteggiare l’emergenza climatica, soprattutto (par. 420) «considerando lo scenario di un aggravamento delle conseguenze per le generazioni future, la prospettiva intergenerazionale sottolinea il rischio insito nei processi decisionali politici in questione, ossia che gli interessi e le preoccupazioni a breve termine possano prevalere su, e a scapito di, esigenze pressanti di definizione di politiche sostenibili, rendendo tale rischio particolarmente grave e aggiungendo la giustificazione della possibilità di un controllo giurisdizionale».

La Corte (par. 450) ribadisce poi che se le vengono sottoposti casi che «riguardano la politica dello Stato in relazione a una questione che incide sui diritti riconosciuti dalla Convenzione in favore di un individuo o di un gruppo di individui, questo argomento non è più solo una questione politica, ma anche una questione di diritto che incide sull’interpretazione e sull’applicazione della Convenzione. In questi casi, la Corte mantiene la propria competenza, anche se con una sostanziale deferenza nei confronti del decisore politico nazionale e delle misure risultanti dal processo democratico in questione e/o dal controllo giudiziario dei tribunali nazionali.

 Di conseguenza, il margine di apprezzamento per le autorità nazionali non è illimitato e va di pari passo con un controllo europeo da parte della Corte, che deve accertarsi che gli effetti prodotti dalle misure nazionali impugnate siano compatibili con la Convenzione».

 

La Corte rileva (par. 413) che «l’inadeguatezza ampiamente riconosciuta della passata azione statale per combattere il cambiamento climatico a livello globale comporta un aggravamento dei rischi delle sue conseguenze negative, e delle conseguenti minacce che ne derivano, per il godimento dei diritti umani - minacce già riconosciute dai governi di tutto il mondo», rischi peraltro «confermati dalle conoscenze scientifiche», che la Corte «non può ignorare nel suo ruolo di organo giudiziario incaricato di far rispettare i diritti umani».

Sul punto della discrezionalità del potere politico circa la pianificazione delle politiche climatiche, la Corte conclude (par 543) riconoscendo che lo stato ha «un certo margine di apprezzamento in questo settore» ma che «le considerazioni di cui sopra comportano una distinzione tra la portata del margine per quanto riguarda, da un lato, l’impegno dello Stato nella necessità di combattere i cambiamenti climatici e i loro effetti negativi, e la definizione degli scopi e degli obiettivi richiesti a questo proposito, e, dall’altro, la scelta dei mezzi destinati a raggiungere tali obiettivi.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la natura e la gravità della minaccia e il consenso generale sulla posta in gioco per garantire l’obiettivo generale di un’efficace protezione del clima attraverso obiettivi di riduzione globale dei gas serra in conformità con gli impegni accettati dalle Parti contraenti per raggiungere la neutralità del carbonio, richiedono un margine di apprezzamento ridotto per gli Stati.

 Per quanto riguarda il secondo aspetto, ossia la scelta dei mezzi, comprese le scelte operative e le politiche adottate per raggiungere gli obiettivi e gli impegni fissati a livello internazionale alla luce delle priorità e delle risorse, agli Stati dovrebbe essere concesso un ampio margine di apprezzamento».

 

 6. Considerazioni conclusive.

Il ragionamento sviluppato dalla “Corte di Strasburgo” in relazione all’applicazione del principio della separazione dei poteri nel contesto delle politiche climatiche si inserisce – con le dovute differenze – nel solco tracciato dalla giurisprudenza olandese ed è esattamente opposto a quello adottato dal Tribunale di Roma.

Per la Corte di Strasburgo, il decisore politico ha un’ampia discrezionalità («margine di apprezzamento») nell’individuare le misure da adottare per raggiungere un determinato target di riduzione delle emissioni;

 viceversa, ha una discrezionalità molto limitata nella determinazione di tale target, essendo lo stesso individuato dagli accordi internazionali sul clima (che sono praticamente stati ratificati da, e pertanto vincolano la, totalità degli Stati).

Questi accordi partono dall’assunto che il cambiamento climatico è una minaccia per la salvaguarda dei diritti umani fondamentali.

Sotto questo aspetto, in presenza di un contenzioso climatico strategico basato sul disallineamento delle politiche climatiche di uno Stato rispetto ai target vincolanti stabiliti dall’Accordo di Parigi, il principio della separazione non può essere applicato in modo da impedire al potere giudiziario di valutare nel merito (ovviamente, senza alcuna pretesa di accoglimento delle domande) se le misure adottate da un determinato Stato rientrino o meno nel «margine di apprezzamento» riconosciutogli e se siano idonee a rispettare (par. 544)

«il diritto degli individui di godere di una protezione effettiva da parte delle autorità statali contri i gravi effetti negativi sulla loro vita, salute, benessere e qualità di vita derivanti dagli effetti nocivi e dai rischi causati dal cambiamento climatico».

In altre parole, per la Corte di Strasburgo in uno Stato di Diritto il principio della separazione dei poteri viene violato tutte le volte che il potere esecutivo o il potere legislativo privano il potere giudiziario della sua funzione, che è propriamente quella di controllare che gli altri poteri abbiano agito nel rispetto delle regole.

 

 

Locke e la fiducia come

fondamento del potere politico.

Ilsole24ore.com - Vittorio Pelligra – (28 maggio 2023) – ci dice:

 

Con il pensiero del filosofo inglese si arriva alla definizione di un potere politico che non può essere immaginato come illimitato; una delega in bianco irrevocabile.

 «Senza fiducia non potremmo neanche alzarsi dal letto la mattina.

 Verremmo assaliti da una paura indeterminata e da un panico paralizzante».

Con questa vivida immagine il sociologo “Niklas Luhmann” (Fiducia, Il Mulino, 2002, p.5) descrive la centralità che la fiducia interpersonale gioca nella società contemporanea.

 La filosofa “Annette Baier”, anche lei interessata al ruolo sociale della fiducia, utilizza un'altra immagine per indicare non solo quanto essa sia preziosa ma quanto possa essere fragile.

«Abitiamo in un clima di fiducia come abitiamo un'atmosfera - scrive in un saggio del 1986 la Baier - e ci rendiamo conto della fiducia così come ci rendiamo conto dell'aria che respiriamo, quando è essa scarsa inquinata».

Il filosofo politico “John Rawls” arriva a sostenere che la capacità di fidarci reciprocamente l'un l'altro è una delle precondizioni per lo sviluppo di quel sentimento naturale che, a sua volta, costituisce la base dell'idea stessa di giustizia politica.

È questa fiducia reciproca tra i membri di una società giusta e la loro fiducia nelle strutture e nelle istituzioni politiche di quella stessa società che tengono unite le nostre comunità (“The Sense of Justice” Philosophical Review, 72 (1963), pp. 281-305).

La fiducia nella dimensione istituzionale.

L'idea che alla base della stabilità del potere politico ci siano relazioni di natura fiduciarie, naturalmente, non è nuova, ma certamente più recente di quanto ci si aspetti. Diventa centrale nel discorso politico con l'opera di John Locke, sul finire del XVII secolo.

Questo, naturalmente, non significa che i legami fiduciari non fossero presenti ed importanti nelle società antiche o feudali, anzi, proprio l'assenza di istituzioni centralizzate e dotate di potere di controllo, e la dimensione principalmente locale degli scambi rendeva la coltivazione della reputazione da parte dei mercanti, per esempio, un elemento necessario per l'esistenza stessa del sistema economico.

La questione, però, a cui ci riferiamo più propriamente non è tanto quella relativa all'esistenza e all'importanza di legami fiduciari tra cittadini quanto, piuttosto, all'estensione dei rapporti fiduciari nella loro dimensione istituzionale, tra cittadini e i loro governanti.

Questo elemento sembra emergere nei fatti, in particolare, tra la metà del ‘500 e del ‘600 in Inghilterra, dove la sfiducia crescente nei confronti del potere politico porterà alla “Gloriosa Rivoluzione” e, nel discorso politico, sempre in Inghilterra, con “Hobbes” ma soprattutto qualche decennio dopo, appunto, con “John Locke “(Levack, B., Distrust of Institutions in Early Modern Britain and America. Oxford University Press, 2018).

 

Come abbiamo visto nei “Mind the Economy” delle settimane scorse, uno dei punti centrali del pensiero di Locke che egli esplicita nel secondo dei “Due Trattati sul Governo” era la limitatezza e la limitabilità del potere di governo.

Alla base di questo principio sta proprio la natura fiduciaria del rapporto tra cittadini, parlamento e governo.

È questo atto di fiducia da parte dei cittadini che dona legittimità all'azione di governo così come è il tradimento di questa fiducia che fonda il loro diritto di ribellarsi, rovesciare il re e designarne un altro al suo posto.

Patto di reciproche responsabilità.

Distanziandosi dal pensiero hobbesiano, Locke attribuisce, in questo modo, alla fiducia un ruolo essenziale.

 Mentre Hobbes, infatti, poneva le basi di una convivenza pacifica nel contratto sociale e soprattutto nella nascita del” Leviatano”, la creazione, cioè, di “un potere assoluto”, Locke usa l'idea di «patto sociale», di compact, come lo chiama per distinguerlo esplicitamente dal “contract” hobbesiano, proprio per sottolineare la limitatezza e la limitabilità del potere assoluto.

 

Come sottolinea “Brunella Casalini “nella sua introduzione ad una recente edizione dei “Due Trattati”, “Il termine contract “implicava un accordo che comportava reciproche responsabilità tra i contraenti, ma limitatamente ad uno specifico oggetto, come in un affare tra privati.

Il “compact “era un accordo che coinvolgeva in qualche modo un'intera comunità nel suo complesso (…)-

La radice etimologica della parola compact, dal latino “compactus”, participio passato di compingo, rimanda all'idea di mettere insieme in modo stretto le parti al fine di costituire un'unità o comunità”.

Una comunità costruita sulla fiducia, dunque, e non sulla paura.

Da questa nuova impostazione deriva una differenza fondamentale rispetto alla concezione del ruolo del potere politico.

“Hobbes” riteneva che il sovrano, e lo stato di diritto che esso garantiva, fossero essi stessi il presupposto essenziale per la fiducia reciproca tra i cittadini, “Locke”, al contrario, sosteneva che era la fiducia tra i cittadini il vero” vinculum societatis” che il sovrano aveva il dovere di proteggere, rinsaldare, onorare e mai tradire.

Il tradimento della fiducia del popolo, infatti, da parte del sovrano costituiva nella sua visione, la legittimazione del diritto alla ribellione.

 Non dobbiamo dimenticare che i” Due Trattati “vennero pubblicati nel 1690, poco dopo la “Gloriosa Rivoluzione.”

E la posizione di Locke secondo cui ogni governo ha necessariamente una natura fiduciaria nasce proprio come risposta alla crescente diffidenza nei confronti della monarchia inglese, prima con Carlo I e successivamente con Carlo II e Giacomo II.

La teoria della giusta rivoluzione.

Fu questa esperienza, al tempo stesso individuale e collettiva, che portò Locke a concepire il principio in base al quale ogni governo e ogni Parlamento dovrebbero essere fondati sulla fiducia e che ogni tradimento di tale fiducia dovrebbe legittimare un rovesciamento di quegli stessi poteri.

 L'intero ultimo capitolo del Secondo Trattato è dedicato a fondare in questo modo la sua teoria della giusta rivoluzione.

«Quando il legislativo trasgredisce questa regola fondamentale della società - scrive Locke - e per ambizione, paura, follia, o corruzione, tenta di assumere o di mettere nelle mani di altri un potere assoluto sulla vita, sulla libertà e sulla proprietà del popolo;

con questo tradimento del proprio mandato, perde il potere che il popolo aveva riposto nelle sue mani per fini molto diversi.

Il potere ritorna allora al popolo, che ha il diritto di riassumere la propria libertà originaria, e con la costituzione di un nuovo legislativo (come lo ritiene meglio adatto) provvede alla propria salvezza e sicurezza, che è il fine in vista del quale si costituisce in società.

Quanto ho detto qui a proposito della libertà in generale è vero anche per il supremo esecutore, che avendo nelle sue mani un duplice mandato, di aver parte nel legislativo e nell'esecuzione della legge, agisce contro entrambi quando tenta di imporre la sua volontà arbitraria come legge della società». (Due trattati sul governo, Edizioni PLUS, 2007, p. 320).

 

«Ammetto senza difficoltà - continua Locke - che il governo civile è il giusto rimedio per gli inconvenienti dello stato di natura (…) Vorrei, tuttavia, che chi avanza questa obiezione ricordasse che i monarchi assoluti non sono altro che uomini.

Se il governo deve essere il rimedio ai mali che necessariamente seguono dal fatto che gli uomini siano giudici nelle loro stesse cause, e per questo lo stato di natura non deve durare, desidero sapere che governo è, e quanto è meglio dello stato di natura, quello in cui un uomo, al comando di una moltitudine, ha il diritto di essere giudice di se stesso, e può fare a tutti i suoi sudditi tutto quello che vuole, senza la minima libertà da parte di alcuno di discutere o controllare coloro che eseguono il suo volere» (pag. 195).

Il dovere morale di agire in modo onesto e sincero.

Ma qual è la natura della fiducia che secondo Locke fonda il potere politico?

Un concetto tanto centrale quanto difficile da cogliere nella sua complessità.

Per il filosofo inglese il dovere morale più importante di ogni individuo era quello agire nei confronti degli altri in modo onesto e sincero e che mantenesse le sue promesse.

Come scrive “John Dunn “è, quindi, l'idea di affidabilità, “intesa come la capacità di soddisfare le legittime aspettative degli altri”, a conferire ad una scelta fiduciaria la sua dimensione morale.

Se ne conclude che è tale affidabilità, cioè l'obbligo morale di mantenere le promesse la “virtù costitutiva e la precondizione causale per l'esistenza di qualsiasi società(«The Concept of Trust in the Politics of John Locke», in Rorty, R. et al., Philosophy in History. Cambridge, 1984).

 

Ciò che di nuovo troviamo nell'idea di fiducia di Locke e che lo differenzia da Hobbes, il quale anche aveva sottolineato l'importanza della fiducia e l'azione disgregante della diffidenza reciproca, è la traslazione dei rapporti di fiducia dall'ambito sociale a quello politico, da rapporti che primariamente si instaurano tra cittadino e cittadino a quelli che, invece, riguardano i cittadini e le istituzioni cui gli stessi affidano il potere di governarli.

In ogni caso si corre un rischio.

 

Giudizio giorno per giorno sulla legittimità del governo.

Così anche per promuovere la nascita di una società pacifica e prospera occorre affidarsi all'azione di un soggetto terzo.

Su questo sia Hobbes che Locke concordano.

 Sono in disaccordo, invece, circa la natura del soggetto a cui è necessario affidarsi. Al riguardo Hobbes immagina i cittadini come soggetti passivi che vengono protetti da un sovrano assoluto mentre Locke sostiene che essi devono impegnarsi attivamente e devono, soprattutto, poter giudicare se il governo ripaga degnamente la fiducia ricevuta.

Con Locke assistiamo ad un passo avanti estremamente importante, alla definizione di un potere politico che non può essere immaginato come illimitato; una delega in bianco irrevocabile.

Si delinea l'idea di un potere deve guadagnarsi la sua legittimità giorno dopo giorno nei fatti, mostrandosi degno della fiducia ricevuta dai cittadini, mai bastante e sé stesso, mai piegato su sé stesso perché il diritto alla ribellione è sempre lì a ricordare ai governanti la natura fiduciaria del mandato che i cittadini gli hanno affidato.

 

 

 

LAMPI DI FUTURO E QUALCHE

DOMANDA SULL’ERA TRUMP.

 Lapecoranera.it – (17/11/2024) - Manlio Lo Presti – ci dice:

Elon Musk e Donald Trump.

Diventa necessario che situazione post-elettorale Usa appena iniziata sia valutata senza pregiudizi ideologici né dall’emotività né da atteggiamenti da stadio molto comuni in quasi tutti i canali di rete, sulla stampa atlantista di parte Dem, sui ventuno dibattiti nelle reti televisive, sui periodici cartacei. Individuare ed evidenziare gli interessi economici e finanziari che si contendono il Potere assoluto costituisce una chiave di lettura incontrovertibile.

Gli affari sono affari e, soprattutto, seguono una dinamica che oltrepassa le ideologie utilizzate per coprirne i veri scopi.

 Basta acquisire un punto di osservazione panoramico, senza fermarsi alle minuziose analisi dei fatti finanziari, ma spostando l’attenzione sulle tendenze fondamentali del nostro tempo.

Trump è stato finanziato da Musk che ora gli presenterà il conto di cui non conosciamo l’importo che sarà immenso.

 Come in tutte le campagne presidenziali americane, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha ricevuto soldi anche dagli stessi che hanno finanziato la parte Dem per partecipare sui due fronti.

L’élite ha deciso di cambiare i giocatori per continuare il predominio e, soprattutto, per ammortizzare i contraccolpi degli aspetti avversi degli effetti negativi degli scricchiolii sociali in tutto il mondo.

Lo Stato Profondo ha percepito velocemente i “segnali dal futuro”.

Ha visualizzato la trasparenza dell’uovo del serpente di Bergman?

 

Trump, abilmente descritto come un liberatore dalle masse, sta generando molte aspettative gonfiate, forse, in misura eccessiva, grazie ai “buoni uffici” di numerosi gruppi in rete, sui periodici cartacei, sulle catene televisive.

Un appoggio eccessivo, se si pensa che fino ad un mese fa Trump era l’uomo da sterminare.

Un progetto che continua a covare nell’ombra se il neoeletto dovesse esorbitare dai mandati ricevuti dagli alti comandi.

La realtà non può nascondere che Trump è e rimane un plutocrate con interessi differenti e, soprattutto, contrari a quelli della gente comune.

Costui ostenta sicurezza e il popolo accetterà il controllo in cambio di un lavoro precario e revocabile a piacimento dall’alto.

Le linee di tendenza distopica saranno all’incirca le seguenti:

Il neoministro della sanità Kennedy è contro l’intera operatività adottata dalle case farmaceutiche.

 Il presuntivo blocco delle vaccinazioni demonizzate consentirà il diffondersi di epidemie genocide di cui saranno incolpate le migrazioni clandestine?

Vorrei ricordare che il piano Rockefeller di de-popolazione planetaria non è andato in soffitta:

(youtube.com/watch?v=9VVCtYfqGNg)

(User Clip Rockefeller UN de Population C SPAN org).

Prosegue con altri modi, con altri mezzi, anche con un periodo di inerzia che i media hanno il compito di tramutare servilmente come ribellione ai colossi tecno-farmaceutici.

La caccia agli immigrati e la tutela dei confini canalizzerà la rabbia delle masse tormentate.

 La robotica, impersonata e sostenuta dal magnate Musk imperverserà soprattutto nella diffusione della moneta elettronica Bitcoin.

 L’effetto della eventuale “sostituzione” dei mezzi di pagamento condurrebbe al Potere Assoluto scalzando di fatto le strutture e le reti della finanza mondiale e della tradizionale filiera delle banche.

La lotta dietro le quinte sarà mortale.

La grande finanza e i suoi canali “distributivi” avvertono il pericolo di estinzione e tentano di reagire anche con l’assassinio tradizionale del duo Trump-Musk.

I fondi Usa per la difesa saranno spostati sul lavoro e sullo stato sociale quando si dichiara di razionalizzare (leggasi: riduzione al minimo) il settore pubblico e la sua spesa?

I conflitti attuali non termineranno ma saranno dati in appalto agli “alleati-vassalli” che pagheranno i costi dei conflitti iniziati dagli Usa.

 La guerra, che sarà sostenuta dalla ex-europa, sarà contrabbandata non come un voltafaccia fra i numerosi nella storia americana, ma come una uscita pacifista neoisolazionista degli Usa?

Musk farà dilagare la robotica (bitcoin, missilistica) uccidendo la burocrazia che sarà sostituita dalla sorveglianza totale?

Una sorveglianza onnipotente in nome della sicurezza?

La robotica avrà il principale effetto di eliminare la struttura della finanza e la sua creazione di moneta dal nulla?

 Questo è il nodo gordiano della svolta in corso, se non sarà interrotta dall’assassinio del duetto?

I fondi sciacallo elencati qui: (sbilanciamoci.info/i-fondi-dinvestimento-padroni-del-mondo/)

non avranno ragione di esistere perché le loro funzioni attuali saranno intermediati dalla rete.

La diffusione dei bitcoin sostenuta da Musk ne è la premessa.

Il Dominio uccide il profitto classico come surplus aziendale da distribuire ai soci?

Cosa ne sarà delle migliaia di titaniche operazioni di riciclaggio attuate dalle mafie operanti in tutto il mondo per rastrellare finanziamenti destinati alle legioni mercenarie che amministrano gli oltre duecento conflitti regionali in corso?

La diffusione della telemedicina i cui modelli operativi prevedono l’appiattimento del fenotipo umano ad un solo modello corporeo ideato dalla teoria transumanista saranno diffusi con determinazione soprattutto nelle fasce di popolazione povera?

Avremo la tanto aspirata su dispositivi elettronici?

 Sarebbe un affare decine di volte più imponente dei profitti astronomici delle farmaceutiche mondiali.

Alla omologazione degli umani seguirà una profonda mutazione dell’interazione verbale sostituita gradualmente dalla creazione di un linguaggio-macchina compatibile con la fruizione della catena robotica, peraltro ipotizzato dallo stesso Musk?

I cittadini continueranno ad avere paura, a fronteggiare timori di altro genere, non cambieranno i problemi di sopravvivenza materiale e soprattutto psicologica. Temo inoltre che non avrà miglioramenti significativi la vita quotidiana dei cittadini europei e del mondo.

Semmai, ci sarà una quasi totale diminuzione delle libertà personali e civili grazie all’installazione di milioni di telecamere ovunque.

Avremo umanoidi sorvegliati, spogliati di tutto, confinati nei recinti elettrici di città da 15 minuti e bitcoinizzati?

L’élite, lo Stato profondo che lo ha insediato alla Casa Bianca, sarà in grado di evitare che la successione non sfugga di mano?

Si tratta di garantire la propria sopravvivenza.

Lo scontro prossimo venturo si polarizza su due fronti:

la finanza di BlackRock e sodali e la finanza robotica dei bitcoin di Musk che non risponderà al controllo di nessuna delle attuali istituzioni apicali di indagine e di regolamentazione.

 Lo scontro mondiale è tutto qui…

Sulla base del realismo, che non è pessimismo, resta intangibile un’amara verità: nessuno è al sicuro.

 

 

 

La vera definizione di tirannia:

una dittatura mascherata da democrazia.

Shtfplan.com - John W. Whitehead e Nisha Whitehead – (20 novembre 2024)

 

(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da John W. Whitehead e Nisha Whitehead presso il Rutherford Institute.)

 

“L’accumulo di tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, nelle stesse mani, siano essi di uno, pochi o molti, e siano essi ereditari, auto-nominati o elettivi, può essere giustamente pronunciato come la vera definizione di tirannia.”

(James Madison)

 

Il potere corrompe.

Il potere assoluto corrompe in modo assoluto.

Il potere assoluto in qualsiasi ramo del governo è una minaccia per la libertà, ma il potere concentrato in tutti e tre i rami è la definizione stessa di tirannia: una dittatura mascherata da democrazia.

Quando un partito domina tutti e tre i rami del governo (esecutivo, legislativo e giudiziario), ci sono ancora più motivi di preoccupazione.

Non ha senso discutere quale partito politico sarebbe più pericoloso con questi poteri.

Ciò è vero indipendentemente dal partito al potere.

Ciò è particolarmente vero in vista delle elezioni del 2024.

Donald Trump, che aveva promesso di diventare un dittatore "fin dal primo giorno", sta già portando avanti piani per indebolire ulteriormente il già vulnerabile sistema di controlli ed equilibri della nazione.

Per essere onesti, questa non è una situazione di cui si possa attribuire la colpa esclusivamente a Trump.

I padri fondatori dell'America intendevano che il nostro sistema di controlli ed equilibri fungesse da baluardo contro gli abusi del potere centralizzato.

Come spiega la studiosa costituzionale “Linda Monk”, "All'interno della separazione dei poteri, ognuno dei tre rami del governo ha 'controlli ed equilibri' sugli altri due.

Ad esempio, il Congresso fa le leggi, ma il Presidente può porre il veto e la Corte Suprema può dichiararle incostituzionali.

 Il Presidente fa rispettare la legge, ma il Congresso deve approvare le nomine esecutive e la Corte Suprema stabilisce se l'azione esecutiva è costituzionale.

 La Corte Suprema può annullare le azioni di entrambi i rami legislativo ed esecutivo, ma il Presidente nomina i giudici della Corte Suprema e il Senato conferma o nega le loro nomine".

Purtroppo, il nostro sistema di controlli ed equilibri è ormai da anni messo a dura prova, complici anche coloro che, in tutto lo spettro politico, marciando di pari passo con lo “Stato profondo”, hanno cospirato per promuovere il programma del governo a spese dei diritti costituzionali dei cittadini.

Con "governo" non mi riferisco alla farsa che è la burocrazia altamente partigiana, bipartitica, dei repubblicani e dei democratici.

 Piuttosto, mi riferisco al "governo" con la "G" maiuscola, allo “Stato profondo” radicato che non è influenzato dalle elezioni, non è alterato dai movimenti populisti e si è posto al di fuori della portata della legge.

Questo è esattamente il tipo di potere assoluto e concentrato contro cui i fondatori cercarono di proteggersi istituendo un sistema di controlli e bilanciamenti che separa e condivide il potere tra tre rami paritari.

 

Eppure, come conclude il professore di legge “William P. Marshall”, "Il sistema di controlli ed equilibri che i Padri Fondatori avevano immaginato ora non ha controlli efficaci e non è più in equilibrio.

Le implicazioni di ciò sono serie.

I Padri Fondatori progettarono un sistema di separazione dei poteri per combattere gli eccessi e gli abusi del governo e per frenare l'incompetenza.

Credevano anche che, in assenza di una struttura di separazione dei poteri efficace, tali mali sarebbero inevitabilmente seguiti.

Sfortunatamente, tuttavia, il potere una volta preso non è facilmente cedibile".

L'esito delle elezioni del 2024 non è un tentativo rivoluzionario di ricalibrare un governo impazzito.

Piuttosto, questo è un colpo di “Stato profondo” per restare al potere, e Donald Trump è il mezzo con cui lo farà.

Guarda e vedi.

Ricordiamo che è stata l'amministrazione Trump a chiedere al Congresso di consentirgli di sospendere parti della Costituzione ogni volta che lo riteneva necessario durante la pandemia di COVID-19 e "altre" emergenze.

In effetti, durante il primo mandato di Trump, il Dipartimento di Giustizia ha tirato fuori e testato silenziosamente una lunga lista di poteri terrificanti per ignorare la Costituzione.

 Stiamo parlando di poteri di lockdown (sia a livello federale che statale): la capacità di sospendere la Costituzione, detenere a tempo indeterminato cittadini americani, aggirare i tribunali, mettere in quarantena intere comunità o segmenti della popolazione, ignorare il Primo Emendamento mettendo fuorilegge raduni e assemblee religiose di più di qualche persona, chiudere intere industrie e manipolare l'economia, imbavagliare i dissidenti, " fermare e sequestrare qualsiasi aereo, treno o automobile per ostacolare la diffusione di malattie contagiose ", rimodellare i mercati finanziari, creare una valuta digitale (e quindi limitare ulteriormente l'uso del denaro contante), determinare chi dovrebbe vivere o morire...

 

Bisogna però tenere presente che questi poteri, che l'amministrazione Trump ha chiesto ufficialmente al Congresso di riconoscere e autorizzare, agendo su ordine dello stato di polizia, rappresentano solo la superficie dei poteri di vasta portata che il governo ha rivendicato unilateralmente.

In via non ufficiale, lo stato di polizia calpesta da anni lo stato di diritto senza alcuna pretesa di essere frenato o limitato nella sua presa di potere dal Congresso, dai tribunali, dal presidente o dai cittadini.

Ecco perché il sistema di pesi e contrappesi della Costituzione è così importante.

Coloro che hanno scritto la nostra Costituzione hanno cercato di garantire le nostre libertà creando un documento che protegga i nostri diritti concessi da Dio in ogni momento, anche quando siamo impegnati in una guerra, che si tratti della cosiddetta guerra al terrorismo, della cosiddetta guerra alla droga, della cosiddetta guerra all'immigrazione illegale o della cosiddetta guerra alle malattie.

I tentativi di ogni successiva amministrazione presidenziale di governare per decreto non fanno altro che giocare a favore di coloro che vorrebbero distorcere il sistema di controlli ed equilibri del governo e la sua separazione costituzionale dei poteri fino a renderla irriconoscibile.

Siamo così arrivati ​​al futuro distopico descritto nel film  “V per Vendetta”, che non è affatto un futuro.

Ambientato nel 2020, “ V per Vendetta”  (scritto e prodotto dai Wachowski) offre uno sguardo inquietante su un universo parallelo in cui un governo totalitario che sa tutto, vede tutto, controlla tutto e promette sicurezza e protezione soprattutto, sale al potere sfruttando la paura della gente.

I campi di concentramento (carceri, prigioni private e strutture di detenzione) vengono istituiti per ospitare prigionieri politici e altri considerati nemici dello Stato.

Le esecuzioni di indesiderabili (estremisti, facinorosi e simili) sono comuni, mentre altri nemici dello Stato vengono fatti "scomparire".

 Le rivolte e le proteste populiste vengono affrontate con estrema forza.

Le reti televisive sono controllate dal governo allo scopo di perpetuare il regime.

E la maggior parte della popolazione è agganciata a una modalità di intrattenimento e non ne ha idea.

In  “V per Vendetta” , come nel mio romanzo “ The Erik Blair Diaries” , il sottinteso è che i regimi autoritari, attraverso un circolo vizioso di manipolazione, oppressione e allarmismo, fomentano la violenza, creano crisi e generano terroristi, dando così origine a un ciclo ricorrente di reazioni negative e violenza.

Solo quando il governo stesso diventa sinonimo di terrorismo che scatena il caos nelle loro vite, le persone finalmente si mobilitano e si oppongono alla tirannia del governo?

“V”, un audace e carismatico combattente per la libertà, esorta il popolo britannico a sollevarsi e a resistere al governo.

In “Vendetta” , “V”, il crociato mascherato del film, fa saltare in aria la sede del governo il 5 novembre,  “Guy Fawkes Day “, ironicamente lo stesso giorno in cui Trump ha ottenuto il suo ritorno schiacciante alla Casa Bianca.

Ma il paragone finisce qui.

Quindi, anche se è ormai giunto il momento di un controllo sistematico sulle esagerazioni e sulle prese di potere del governo, la vittoria elettorale di quest'anno dei repubblicani non è stata una vittoria per la Costituzione.

Piuttosto, è stata una vittoria per la struttura di potere radicata, aggressiva e istituzionale che non ha mostrato alcun riguardo per la Costituzione o per i diritti dei cittadini.

Come spiego chiaramente nel mio libro “ Battlefield America”:

“The War on the American People “e nella sua controparte immaginaria  “The Erik Blair Diaries” , lo Stato profondo funziona meglio attraverso presidenti imperialisti, autorizzati a soddisfare le loro tendenze autoritarie da tribunali legalitari, legislature corrotte e una popolazione disinteressata e distratta, che governano per decreto piuttosto che in base allo stato di diritto.

 

 

 

 

L'articolo di McGill University sulla

"dozzina di disinformazione" è stato

smascherato come diffamazione

e propaganda.

 Shtfplan.com - Lance D. Johnson- Natural News - (24 novembre 2024) – ci dice:

 

Nella guerra globale per inoculare ogni uomo, donna e bambino con armi biologiche di spopolamento, le forze nemiche hanno alla fine esagerato.

Non solo il loro "vaccino" è stato alla fine smascherato come fraudolento, ma gli obblighi vaccinali e i passaporti vaccinali alla fine si sono ritorti contro, portando a proteste storiche in città che vanno dal Canada all'Europa all'Australia.

Le persone hanno reagito e vinto cause legali contro gli obblighi vaccinali illegali, e la tendenza continua a cambiare mentre sempre più persone si liberano dalla programmazione.

CCDH, un ingranaggio rotto nella guerra dell'informazione.

Al centro di questa guerra c'era la battaglia per i cuori e le menti delle persone:

 la guerra dell'informazione.

Anche su questo fronte cruciale le forze nemiche hanno esagerato.

Il centro per la lotta all'odio digitale (CCDH) è stato incaricato di identificare le voci dissenzienti più importanti rispetto all'agenda della vaccinazione contro il COVID-19.

 Il CCDH ha deciso di concentrarsi su 12 voci dissenzienti.

 Hanno pubblicato un rapporto che prendeva di mira la cosiddetta "Dozzina di disinformazione " sostenendo che "due terzi dei contenuti anti-vaccino condivisi o postati su Facebook e Twitter tra il 1° febbraio e il 16 marzo 2021 potrebbero essere attribuiti a soli dodici individui".

La premessa del rapporto era quella di censurare questi individui e bandirli da Internet, soffocando la loro influenza attraverso bugie e misure totalitarie.

Questo rapporto CCDH mirato è stato immediatamente utilizzato dai propagandisti nei media aziendali per diffamare e assassinare il carattere delle dodici voci dissenzienti.

Una delle voci dissenzienti era Sayer Ji”, fondatore del sito web di salute naturale “GreenMedInfo.com.”

Questa preziosa risorsa non solo pubblica analisi convincenti e approfondite su studi scientifici e medici sulla medicina erboristica e la nutrizione, ma fornisce anche strumenti per gli individui per fare le proprie ricerche su argomenti importanti relativi alla guarigione del corpo e della mente.

 Il rapporto CCDH ha categorizzato in modo feroce il lavoro di “WSayer Ji “come "pericoloso" e " disinformazione palese e dannosa ".

L'Università McGill è stata smascherata come uno strumento utile nella guerra globale per mettere a tacere il dissenso.

Nel marzo 2021, l'”Office for Science and Society” della “McGill University £ha pubblicato un articolo che attaccava “Sayer Ji “e le dodici voci dissenzienti, citando il rapporto di propaganda del CCDH in tempo di guerra.

La Casa Bianca di Biden ha persino minacciato le piattaforme dei social media, in pubblico e in privato, di rimuovere gli account delle voci dissenzienti.

I governi e i conglomerati mediatici stavano essenzialmente prendendo di mira queste persone e dovrebbero essere ritenuti responsabili per aver violato i loro diritti e averli messi in pericolo.

Le aziende di social media hanno preso sul serio il rapporto del CCDH e poi, sotto la pressione dei funzionari del governo federale, hanno continuato a censurare le voci dissenzienti in vari modi.

Tuttavia, nel tempo, mentre le persone si ammalavano, si ammalavano e venivano uccise dai vaccini COVID-19 e dai protocolli ospedalieri, la consapevolezza pubblica ha iniziato a cambiare.

 Persino Meta (ex Facebook) ha rivelato che l'articolo di CCDH e McGill contro la "Disinformation Dozen" era illegittimo e conteneva difetti fatali.

Nell'agosto 2021, la vicepresidente della politica sui contenuti di Meta,” Monika Bickert”, ha confutato direttamente l'affermazione centrale del CCDH, affermando: "Non ci sono prove a sostegno di questa affermazione.

Inoltre, concentrarsi su un gruppo così piccolo di persone distrae dalle complesse sfide che tutti noi affrontiamo nell'affrontare la disinformazione sui vaccini COVID-19".

“Bickert” ha rivelato che il rapporto del CCDH "ha analizzato solo un insieme ristretto di 483 contenuti in sei settimane da soli 30 gruppi", sostenendo che questo campione selezionato "non era in alcun modo rappresentativo delle centinaia di milioni di post che le persone hanno condiviso sui vaccini COVID-19 negli ultimi mesi su Facebook".

 Il CCDH non ha mai definito criteri per i contenuti "anti-vax", e non aveva standard scientifici per determinare cosa sia "disinformazione".

 La McGill University ha promosso ciecamente il rapporto del CCDH e non è riuscita a esaminare criticamente i problemi metodologici del rapporto.

Invece, l'università ha presentato la narrazione della "Disinformation Dozen" come un fatto accertato, mettendo in discussione l'integrità delle proprie attività.

Alla fine, si sono rivelati uno strumento utile in una guerra globale che cercava di mettere a tacere il dissenso e sottoporre le popolazioni ad armi biologiche di spopolamento.

Alla fine, il rapporto fraudolento del CCDH era semplicemente uno strumento per mettere a tacere le persone che ponevano domande sugli eventi avversi della vaccinazione.

Sayer Ji” e gli altri coraggiosi dissidenti hanno sollevato punti validi sull'agenda della vaccinazione contro il COVID-19 e sulla frode che ne sostiene la presunta necessità.

È interessante notare che c'erano molte più persone e piattaforme online che ponevano domande e lanciavano allarmi sui vaccini contro il COVID-19.

 Si scopre che la "Dozzina di disinformazione" non era l'unica a diffondere la verità su queste questioni critiche.

C'erano innumerevoli altre persone che erano a conoscenza di questa truffa, di questa arma biologica di spopolamento, di questa nefasta agenda del vaccino contro il COVID-19.

 

 

 

La guerra in Ucraina diventa GLOBAL.

E dopo che l'Occidente ha lanciato missili

 a lungo raggio in Russia,

oltrepassando la "linea rossa" di Putin.

 Naturalnews.com - (24/11/2024) - Ethan Huff – ci dice:

 

Vladimir Putin, presidente storico della Russia, si è rivolto al mondo questa settimana, annunciando che la guerra in Ucraina è diventata una "guerra globale", ora che Kiev ha utilizzato missili a lungo raggio contro la Russia.

Il presidente Biden ha dato il via libera al presidente ucraino Zelensky al lancio di missili di fabbricazione statunitense in profondità nel territorio russo, ma Putin ha avvertito che tale azione oltrepassa una "linea rossa" e non sarà tollerata.

"Kiev ha lanciato un attacco missilistico a lungo raggio contro strutture militari situate nel territorio russo riconosciuto a livello internazionale", ha affermato Putin nel suo discorso.

 

Putin ha confermato che le armi utilizzate erano missili” HIMARS” di fabbricazione statunitense, oltre ai missili “Storm Shadow “di fabbricazione britannica, lanciati verso le regioni russe di Bryansk e Kursk.

"Un conflitto regionale in Ucraina, fomentato dall'Occidente, ha acquisito elementi di conflitto globale", ha continuato Putin, spiegando che devono essere stati coinvolti anche specialisti militari della NATO, poiché solo loro sanno come utilizzare questi sistemi missilistici avanzati.

 Mosca promette una "risposta devastante" se Zelensky continuerà a inviare missili a lungo raggio in profondità nel territorio russo.

 

Trump fermerà la Terza Guerra Mondiale?

Secondo Putin, i razzi sono stati intercettati con successo e la missione è fallita. Tuttavia, Mosca è pronta a schierare i suoi missili più recenti, se necessario, missili che Putin afferma che nessun sistema occidentale è in grado di contrastare.

"L'uso di tali armi da parte del nemico non può influenzare l'andamento della situazione nella zona delle operazioni militari speciali", ha affermato Putin, sottolineando che è stato un grosso errore da parte degli Stati Uniti ritirarsi dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF) nel 2019.

Il presidente Putin lancia un avvertimento all'Occidente: "Agiremo con decisione in caso di escalation" (pic.twitter.com/0FvoHy5vU8).

 RT (@RT_com) 21 novembre 2024.

Il fatto che tutto questo stia accadendo nel periodo intermedio tra la rielezione di Donald Trump e l'uscita di Joe Biden rende tutto ancora più precario.

 La Terza Guerra Mondiale potrebbe davvero scoppiare prima dell'insediamento di gennaio? Il tempo ce lo dirà.

 

Il presidente eletto ha dichiarato che ha intenzione di iniziare a lavorare ora, anche prima di rientrare in carica, quindi forse ha una sorpresa nella manica per creare la pace come promesso?

I suoi sostenitori sembrano pensare che questo sia il suo piano, mentre gli scettici sono sempre più preoccupati per la volatilità di questa situazione.

Non è chiaro cosa credere su quale parte potrebbe vincere la guerra, dal momento che l'Ucraina afferma di colpire obiettivi russi e la Russia afferma di intercettare razzi occidentali.

 È tutto solo uno spettacolo, alcuni stanno iniziando a chiedersi, uno spettacolo con potenziali ramificazioni nucleari?

Nei commenti, qualcuno ha sottolineato quanto siano diversi i tempi odierni rispetto al periodo della guerra del Vietnam per quanto riguarda il modo in cui il popolo americano sta rispondendo, o meglio, non rispondendo, a tutta questa guerra.

"E ancora...

Nessuna marcia per la pace...

Nessuna canzone del tipo "Tutto ciò che stiamo dicendo è di dare una possibilità alla pace"...

Vietato morire davanti agli edifici governativi...

Nessun politico del “Partito Verde” parla dei danni ambientali causati da questa guerra e di cosa potrebbe accadere in futuro...

Niente concerti per la pace con tutte le migliori band...

Niente “Cindy Sheehan”...

Nessun Papa cerca la pace..."

"È perché i democratici sostengono questa guerra", ha risposto qualcun altro.

"Dal 2016, i democratici sono il partito della guerra".

 

"La Russia non sta giocando", ha suggerito un altro. "Ironicamente, gli occidentali distaccati devono imparare che la guerra e la geopolitica non sono un gioco. Sono una cosa seria con conseguenze molto serie".

"Proprio al momento giusto", ha scritto un altro. "Bisogna far partire la Terza Guerra Mondiale per coprire tutti i crimini legati al COVID e altro ancora".

La guerra tra Russia e Ucraina si trasformerà in Terza guerra mondiale prima che Trump entri in carica l'anno prossimo?

(ZeroHedge.com).

(Notizie naturali.com).

 

 

 

 

L'elenco: azioni politiche per

salvare l'America dal globalismo

 prima che scada il tempo.

 Naturalnews.com – (22/11/2024) - Redattori - Brandon Smith - Alt-Market.us – ci dice:

 

È stata una corsa sfrenata.

Dopo anni di controllo quasi totale da parte della sinistra di ogni importante istituzione sociale e governativa negli Stati Uniti e all'estero, il popolo americano ha detto basta.

 I progressisti sono stati ancora una volta colpiti dalla lezione definitiva della nostra era: svegliatevi, andate in rovina.

Questa volta non sono solo al verde; sono distrutti.

Non credo di aver mai visto un simile bagno di sangue elettorale nella mia vita (forse la valanga di Reagan nel 1984, ma ero solo un bambino).

 I conservatori controllano lo Studio Ovale, il Senato, la Camera e la Corte Suprema.

Indipendentemente da cosa si possa pensare di Trump, ciò che conta è che abbia condotto la sua campagna contro i “woke” e “contro il globalismo” e che la popolazione statunitense abbia votato in massa per quell'agenda.

Il popolo americano vuole la fine della follia del regime di sinistra/globalista. Vuole la fine della corruzione dell'establishment.

Vuole la fine del coinvolgimento degli Stati Uniti nei conflitti esteri.

 Vuole che l'”indottrinamento woke “dei loro figli finisca.

Vuole la fine delle frontiere aperte.

 Vuole la fine della spesa per debiti e dell'inflazione perpetui.

E vuole la rassicurazione che eventi come il “tentato colpo di stato del covid” contro le nostre libertà costituzionali non si verificheranno mai più.

 

Negli ultimi mesi ho previsto una vittoria elettorale di Trump basandomi sul chiaro cambiamento sociopolitico nel sentimento popolare.

 Tuttavia, la mia preoccupazione è sempre stata che Trump non manterrà le promesse della sua campagna, sia perché è ostacolato dai neo-con all'interno del suo stesso team, sia perché non aveva intenzione di portarle a termine in primo luogo.

Abbiamo tutti visto cosa è successo dopo il 2016: lo status quo è stato per lo più mantenuto.

Per essere onesti, nel 2016 la squadra di Trump era stata scelta principalmente per lui e quella squadra era composta da molti serpenti nell'erba.

Questa volta sono un po' più ottimista.

La coalizione di Trump è significativamente migliore rispetto al suo primo mandato e molte delle persone coinvolte sembrano essere dedite alla loro causa particolare. Se questo è il caso e Trump ha davvero intenzione di cambiare le cose in meglio, ho alcune idee su come può garantire che l'America non devi mai più sulla strada del globalismo.

Alcune di queste azioni sono già state promosse dall'amministrazione Trump negli ultimi giorni, altre no.

Ovviamente nessuno di questi cambiamenti è facile, ma possono essere fatti con il giusto entusiasmo e la giusta pressione da parte del popolo americano applicata ai propri rappresentanti al Senato e al Congresso.

 Ecco cosa possiamo fare come paese per mantenere la nostra società libera e prospera nel futuro.

 

1) Nomine durante la pausa per il gabinetto.

La prima volta che Trump ha provato a nominare il suo gabinetto, la quantità di interferenze del Senato che si sono verificate ha causato ritardi di quasi 4 mesi, e ciò è avvenuto con persone nominate che non rappresentavano alcuna minaccia allo status quo.

 Questa volta è chiaro che i neo-con all'interno del Senato collaboreranno con i democratici per respingere del tutto scelte come RFK Jr e Matt Gaetz. CERCHERANNO di sabotare qualsiasi candidato che rappresenti una minaccia legittima all'ordine istituzionale.

Con questo in mente, e secondo la Costituzione, Trump ha la possibilità di convocare una sospensione del Senato e di fare le sue nomine mentre sono assenti e senza la loro approvazione.

C'è anche una regola poco nota che gli consente di costringere il Congresso ad aggiornare.

 I candidati per la posizione di leader della maggioranza del Senato hanno tutti accettato di sostenere le nomine in sospensione prima che fossero votate, il che significa che non dovrebbe esserci alcuna interferenza con una richiesta di sospensione da parte di Trump.

 Diversi presidenti hanno utilizzato questa opzione di emergenza per riempire i loro gabinetti.

2) Legge federale sull'identificazione degli elettori.

Sembra una cosa ovvia.

 Ogni stato (tranne uno) vinto dai Democratici alle elezioni del 2024 era uno stato senza leggi sull'identificazione degli elettori.

Non è una coincidenza.

La correlazione non è sempre causalità, ma è comunque altamente sospetta. Molte nazioni sviluppate in tutto il mondo hanno leggi severe sull'identificazione quando si tratta di elezioni.

 Perché non le abbiamo negli Stati Uniti?

Con l'avvento delle schede elettroniche e delle schede postali su larga scala, un requisito di identificazione dell'elettore è più importante che mai per prevenire le frodi elettorali.

 Una delle principali preoccupazioni di Trump dopo l'insediamento nel 2025 è quella di approvare un requisito federale di identificazione dell'elettore per tutte le elezioni future.

Questo non può essere lasciato a naufragare per anni, deve essere fatto entro il 2026.

 

3) Controllo totale delle frontiere e deportazione di massa: i dettagli.

Uno degli obiettivi chiave del globalismo è l'istituzione forzata di confini aperti nel mondo occidentale, insieme a migrazioni di massa di alieni del terzo mondo o saturazione e sostituzione culturale.

L'obiettivo è distruggere l'Occidente dall'interno e poi sostituirlo con una civiltà economicamente marxista e moralmente ambigua.

 Per fermare questo schema saranno necessarie leggi di confine e leggi di deportazione applicate in modo aggressivo.

Ciò richiede più passaggi...

 

Stabilire immediatamente controlli di frontiera in stile Texas.

Nonostante le continue interferenze dell'amministrazione Biden, lo stato del Texas e il governatore “Greg Abbott” sono stati incredibilmente efficaci nel fermare gli attraversamenti illegali del confine utilizzando pattuglie estese e barriere di filo spinato.

 Gli incontri con gli illegali al confine del Texas sono diminuiti dell'86% tramite l'operazione Lone Star  nell'arco di un anno. È impressionante. I metodi del Texas dovrebbero essere utilizzati lungo tutto il confine.

Aumento delle multe per le aziende che assumono immigrati clandestini.

Questa è una strategia usata da alcune nazioni europee e ha senso;

molti clandestini saltano il confine perché sanno che ci sono lavori in nero che li aspettano.

Trump deve rendere finanziariamente insostenibile per le aziende assumere migranti senza visti di lavoro adeguati, e aumentare notevolmente le multe è il modo migliore per farlo.

 

Tariffe al 100% sul Messico finché non garantiranno la sicurezza dei propri confini.

 

Il governo messicano è assolutamente corrotto e spesso usa il confine degli Stati Uniti come valvola di sfogo per liberarsi dei poveri e dei criminali.

Invece di risolvere i problemi all'interno del loro paese, esportano quei problemi in America.

Questo deve finire.

 

Porre fine a tutte le richieste di asilo provenienti dai paesi del terzo mondo.

Finché il problema dell'immigrazione non sarà risolto, la scappatoia dell'asilo deve essere chiusa.

A parte alcuni cittadini provenienti da paesi in cui sono necessarie protezioni di asilo molto reali (come i dissidenti oppressi dalla Cina o dalla Corea del Nord), non c'è bisogno di accogliere la maggior parte di queste persone e le loro richieste di asilo sono fraudolente.

Aumentare l'efficienza del programma di visti per lavoratori immigrati.

 

I democratici sostengono spesso che l'America non può sopravvivere senza lavoratori migranti.

 Io dico che questa è una bugia pensata per impedire una legittima riforma dell'immigrazione, ma se c'è davvero del lavoro da fare nel nostro Paese e i migranti sono in qualche modo le uniche persone che possono farlo, allora possiamo avere entrambe le cose.

Se Trump semplifica il programma di visti di lavoro per accelerare il processo durante la verifica dei richiedenti, allora potremo avere confini controllati e lavoratori migranti.

 Per pagare una maggiore efficienza del programma, raddoppiare la quota di iscrizione e ridurre il loro periodo di lavoro legale negli Stati Uniti a 1 anno o meno.

Deportazioni di massa di clandestini.

Questo era un punto chiave della campagna di Trump e sembra che lui intenda farlo accadere.

 A partire da TUTTI i migranti che sono entrati illegalmente negli Stati Uniti negli ultimi quattro anni e tutti quelli trasferiti tramite il losco programma di visti di Biden.

 Questo può essere ottenuto tagliando i sussidi esistenti ai migranti, le multe per le aziende che assumono clandestini, la verifica della cittadinanza per l'acquisto o l'affitto di case, ponendo fine ai sussidi federali alle città rifugio democratiche, ecc. Alla fine, la maggior parte dei clandestini lascerà il paese da sola.

 

4) Chiudere le “ONG” globaliste.

Le ONG globaliste sono la principale fonte di corruzione all'interno del governo degli Stati Uniti e della nostra società in generale.

Le “ONG “hanno tutti i diritti dei singoli cittadini senza alcuna limitazione.

Possono generare miliardi di dollari per campagne di influenza.

Possono fare pressioni sui politici (corrompendoli) per far approvare una legge. Possono usare le loro incredibili risorse finanziarie per finanziare movimenti di attivisti e creare disordini civili dal nulla.

 E possono persino finanziare programmi per controllare l'istruzione e incoraggiare l'immigrazione illegale di massa.

Le ONG dovrebbero essere bandite dal lobbying.

 E qualsiasi ONG scoperta a finanziare “propaganda woke” nelle scuole, gruppi di attivisti violenti o sforzi di immigrazione illegale dovrebbe essere immediatamente chiusa.

Alcune “ONG” si nutrono di finanziamenti governativi (come la “Open Society Foundation” di “George Soros”) mentre altre sono finanziate privatamente (come la “Ford Foundation”).

 Se ricevono sussidi, quei soldi dovrebbero essere tagliati.

Fermare le operazioni delle “ONG globaliste” è fondamentale per salvare la civiltà occidentale.

 

5) Negoziati di pace immediati sull'Ucraina.

Ecco la conclusione:

 l'Ucraina sta perdendo la guerra contro la Russia.

Il loro fronte orientale sta crollando a causa dell'attrito e tra un anno o meno la Russia prenderà l'intero paese.

 La guerra è anche gestita per procura dalla NATO.

Stiamo rapidamente precipitando in un conflitto aperto tra l'est e l'ovest.

 Questo deve finire.

Anche se la situazione non diventa nucleare, una guerra mondiale in questo momento causerebbe un crollo economico catastrofico, per gli Stati Uniti, per l'Europa e per la maggior parte dell'Est.

Solo i globalisti vogliono che ciò accada.

L'Ucraina è un territorio irrilevante per cui non vale la pena combattere.

Gli americani non vogliono combattere per questo

. Gli europei non vogliono combattere per questo e dubito che il russo medio voglia combattere per questo.

Vladimir Zelensky deve essere costretto ad accettare la perdita del Donbass in favore della Russia.

Deve essere istituita una DMZ e i combattimenti devono finire per il bene del mondo.

6) Indagare sulla corruzione legata al Covid.

 

Dovrebbe essere condotta un'indagine approfondita sulla gestione dei mandati Covid da parte dell'amministrazione Biden, incluso il tentativo di censura delle informazioni contrarie alla narrazione governativa.

 Dovrebbe essere condotta una vera indagine sui “laboratori virali di Wuhan”, in Cina, e sul coinvolgimento di “Anthony Fauci “con quei laboratori per sviluppare coronavirus utilizzando la ricerca sul guadagno di funzione.

Gli americani vogliono delle risposte.

 

7) Divieto nazionale sulle CBDC e l'economia senza contanti

 

In tandem con le frontiere aperte, i globalisti del FMI e della BRI hanno silenziosamente costruito un massiccio quadro di valuta digitale della banca centrale globale (CBDC).

La cancellazione delle economie e delle valute controllate a livello nazionale sarebbe necessaria per creare un'economia centralizzata a livello globale con una moneta mondiale unica.

E, per costringere le popolazioni ad accettare un tale sistema, i globalisti hanno bisogno delle CBDC.

 

Con un'economia senza contanti in atto, le élite all'interno dei governi e delle banche centrali avrebbero il potere ultimo di progettare socialmente il comportamento pubblico.

 Se possono portarti via i soldi quando vogliono, è molto più difficile ribellarsi a loro.

Se possono programmare delle avvertenze nelle CBDC per impedire la spesa per determinati beni (come carne o benzina, ad esempio), allora possono fare pressione sulla popolazione affinché accetti controlli sul carbonio e altre misure draconiane.

 Le CBDC sono la fine della libertà come la conosciamo.

 

8) Piano di emergenza economica.

Ho delineato le opzioni per prevenire un crollo economico totale in articoli precedenti , quindi non entrerò nei dettagli qui.

Elencherò rapidamente alcune delle misure più importanti che potrebbero essere adottate per rivitalizzare il sistema in difficoltà.

Molte di esse sono progettate per aggirare la Federal Reserve.

 

Eliminare l’imposta sul reddito per il 99% della popolazione – Tassare l’1%.

 

Eliminare le tasse sulla proprietà delle case monofamiliari: tassare solo i proprietari con più proprietà.

Rimuovere tutti gli immigrati illegali dagli Stati Uniti: ciò provocherà un calo dei prezzi immobiliari e degli affitti.

Creare incentivi di sussidio per coppie sposate con figli – Prestiti immobiliari, istruzione.

Ripristinare i programmi di apprendistato tecnico – Aumentare i lavoratori tecnici senza istruzione universitaria.

Utilizzare tariffe, ma anche sostenere le tariffe con la produzione nazionale – concentrarsi su beni di alta qualità.

Produrre a livello nazionale beni di alta qualità e lunga durata per aiutare a combattere l'inflazione.

 

Emettere un titolo del Tesoro garantito da oro/argento – Offrire conti di risparmio garantiti da metalli.

Istituire una moratoria sugli aumenti del tetto del debito finché la spesa pubblica in deficit e il debito non saranno sotto controllo.

C'è molto lavoro da fare per salvare l'economia a lungo termine, ma le opzioni di cui sopra potrebbero aiutare a rafforzare i lavoratori e i consumatori americani e a bloccare un crollo.

Attualmente, gli Stati Uniti affrontano il debito nazionale più elevato, i pagamenti di interessi più elevati e il debito dei consumatori più elevato nella storia della nazione.

Siamo anche ancora nel mezzo di una crisi stagflazionistica.

 Qualcosa di drammatico deve essere fatto presto, prima che sia troppo tardi.

 

Politica sui bonus:

istituire un test obbligatorio del QI e un test di acutezza mentale per tutti i candidati e leader politici.

È difficile testare la bussola morale di una persona, ma almeno puoi testare l'intelligenza.

 Un candidato non dovrebbe essere impedito di candidarsi per una carica a causa del basso QI, ma credo che il pubblico abbia il diritto di sapere per chi sta votando. Se decidono di non volere un leader con un basso QI, allora dovrebbe essere una loro decisione.

 

Per estensione, i test indipendenti sull'acutezza mentale dovrebbero essere un evento regolare.

 Come abbiamo visto con Joe Biden, l'establishment nasconderà volentieri il declino mentale di un politico se serve ai propri interessi.

 Le persone hanno il diritto di saperlo.

Senza dubbio centinaia di altre idee politiche potrebbero essere aggiunte all'elenco di cui sopra, ma queste azioni sono un solido inizio.

 Se Trump istituisse anche solo la metà di queste soluzioni, gli Stati Uniti potrebbero essere salvati da quella che è forse la peggiore crisi esistenziale nella storia della nazione e il globalismo sarebbe alle corde.

(Alt-Market.us).

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