La pace non può esistere nel mondo.
La
pace non può esistere nel mondo.
La
Russia ha Svelato un Nuovo
Sistema
di Armi Come
Avvertimento
per l’Ucraina e L’Occidente.
Conoscenzealconfine.it
– (22 Novembre 2024) – Redazione - Guerrieri per la libertà – ci dice:
A
quanto pare la Russia ha lanciato un singolo missile balistico, l’RS-26 Rubezh
contro un obiettivo a “Dnipro”, in Ucraina (Dnipropetrovsk).
Secondo
le autorità ucraine, il missile ha colpito un’impresa industriale di cui non è
stato reso noto il nome.
Il “Dnipro”
ospita l’impianto di produzione missilistica Pivdenmash (ex Yuzhmash).
L’analisi
delle immagini dell’attacco indica che l’RS-26 trasportava sei testate
indipendenti, ciascuna delle quali a sua volta distribuiva diverse
submunizioni.
In precedenza non era stata valutata la
possibilità che la Russia equipaggiasse l’RS-26 con una testata di questo tipo.
Con
l’introduzione del missile RS-26 dotato di armamento convenzionale, la Russia
sta cambiando la natura qualitativa del conflitto, come promesso dal Presidente
Vladimir Putin.
L’Ucraina
e i suoi alleati occidentali devono ora valutare il potenziale distruttivo di
quest’arma e comprendere che la Russia può lanciare questa testata contro
qualsiasi obiettivo in Ucraina o in Europa, sapendo che non esiste alcuna
difesa contro di essa.
L’RS-26
viene prodotto a “Votkinsk”.
Si
stima che la produzione dell’RS-26, interrotta nel 2017, sia ripresa la scorsa
estate.
Con tassi di produzione stimati in 6-8 missili
al mese, la Russia potrebbe aver accumulato un arsenale di 30-40 missili RS-26.
Sebbene descritto come un missile balistico
intercontinentale, la gittata dell’RS-26 dipende in realtà dal pacchetto di
testate.
Se
armato con una singola testata, può superare la soglia dei 5.000, utilizzata
per distinguere tra missili a gittata intermedia e intercontinentale.
L’RS-26
non è entrato in produzione in serie a causa di questa ambiguità;
all’epoca,
la Russia era firmataria del trattato INF, che proibiva i missili a gittata
intermedia.
Si
stima che il pacchetto di sei testate convenzionali impiegato contro il Dnipro
avrebbe fatto rientrare l’RS-26 impiegato nella fascia intermedia per la
classificazione.
Donald
Trump si è ritirato dal trattato INF nel 2019.
Se gli
Stati Uniti fossero rimasti nel trattato, questa versione dell’RS-26 non
sarebbe stata disponibile per l’uso da parte della Russia.
La
Russia ritiene ora di avere il diritto di usare armi contro le strutture
militari dei paesi che consentono l’uso delle loro armi contro la Russia, ha
affermato Putin.
I
punti principali della dichiarazione di Putin sull’uso di un nuovo missile da
parte della Federazione Russa:
– La
Federazione Russa ha attaccato “Yuzhmash” con un missile balistico ipersonico
privo di nucleare;
– Il
missile utilizzato dalla Russia si chiamava “Oreshnik”;
-
L’uso di “Oreshnik” è una risposta ai piani statunitensi di produrre e
schierare missili a medio e corto raggio;
– La
Russia risponderà in modo deciso e risoluto all’escalation;
– La
Federazione Russa offrirà in anticipo ai civili ucraini di lasciare la zona di
pericolo in caso di utilizzo dei missili;
– La
Russia preferisce mezzi pacifici, ma è anche pronta a qualsiasi sviluppo degli
eventi, “ci sarà sempre una risposta”;
– Al
momento non esistono mezzi per contrastare i missili russi “Oreshnik”.
(t.me/guerrieriperlaliberta).
La
NATO cerca di avvelenare i pozzi
e di
sabotare il piano di pace di
Trump
e Putin per l’Ucraina.
Lacrunadellago.net – (23/11/2024) - Cesare
Sacchetti – ci dice:
Quando
legge il suo ultimo discorso alla nazione, la voce di Putin suona ferma e
composta, come quella di chi non è minimamente turbato di quello che sta
accadendo.
Nelle
ultime settimane più che una escalation in Ucraina c’è stato quello che si può
definire un tentativo di avvelenare i pozzi da parte della NATO nei confronti
di Trump e Putin.
A dare
il via a tali provocazioni sarebbe stato il presidente uscente “Joe Biden” che
nel mezzo della foresta brasiliana si è presentato davanti ai microfoni,
spaesato come sempre, per annunciare che la Casa Bianca avrebbe concesso
l’autorizzazione per utilizzare i missili a lunga gittata a disposizione di
Kiev per colpire il territorio russo.
Non
c’è nulla a conferma di questa presunta autorizzazione da parte della
presidenza Biden che negli ultimi 3 anni ha mostrato in più di una occasione di
non seguire affatto le linee di politica estera del partito democratico e della
NATO, ma invece ha preferito seguire le linee guida della precedente
amministrazione Trump, suscitando le ire di Bruxelles e della stampa
internazionale, soprattutto il “Financial Times”.
Se c’è
stato un ordine dunque, è presumibile che questo non sia partito da Washington
ma piuttosto da Londra, il vero centro della destabilizzazione internazionale.
Le
origini di Londra come centrale del disordine mondiale.
L’anglosfera,
com’è noto, si fondava sulla egemonia di tre centri di potere, quali Washington, Londra e Tel Aviv, la capitale dello stato ebraico,
che è stata per larga parte dell’900 e per i primi anni del presente secolo, il
Paese che ha avuto più influenza nell’indirizzare la politica dell’Occidente
liberale, utilizzando la potenza militare angloamericana per mettere a ferro e
fuoco il Medio Oriente.
Originariamente
il testimone della destabilizzazione del mondo per come lo si conosceva un
tempo, è stata indubbiamente la corona britannica che dai tempi della battaglia
di Waterloo, si ritrova de facto nelle mani della potente famiglia dei
banchieri di Francoforte sin da quando “Nathan Rothschild “riuscì ad accumulare
una enorme somma di denaro attraverso il primo caso di aggiotaggio della
storia, quello
che lo vide guadagnare profitti elevatissimi attraverso la conoscenza in
anticipo della sconfitta di Napoleone.
Londra
da quell’istante ha agito per rovesciare governi in ogni parte del mondo e ha
assolto alla funzione di esercito della” famiglia Rothschild”, i quali
trasmettevano i loro ordini alla corona che non faceva altro che eseguirli.
Tra le
tante “imprese” compiute dalla” famiglia Rothschild” c’è senz’altro quella di
aver favorito l’unificazione della penisola italiana avvenuta non purtroppo
sulle orme delle radici cattoliche e greco-romane dell’Italia, ma piuttosto su
quelle di massoni
come Mazzini, Garibaldi, Cavour e Francesco Crispi che si sono dedicati sin dai primi
istanti alla laicizzazione e alla scristianizzazione di questo Paese attraverso
l’applicazione del principio liberale della separazione tra Stato e Chiesa.
Londra
ha proseguito la sua opera per conto dei banchieri anche, e ancora di più, nel
secolo XX, quando il ministro degli Esteri, “Arthur Balfour”, prendeva
l’impegno solenne di trasformare la “Palestina” nella casa del futuro stato
ebraico, non prima però di aver liquidato l’impero Ottomano, la cui dismissione
era stata già decisa prima della prima guerra mondiale, scoppiata per
raggiungere questo obiettivo e per permettere ai bolscevichi di origine ebraica di
spodestare e uccidere lo zar Nicola e la sua famiglia nel 1918.
La
storia di Londra come potenza destabilizzante è proseguita anche nel corso
della seconda guerra mondiale, quando il massone Winston Churchill, amico intimo del conte Kalergi, si adoperava per far sì che da quel
conflitto uscisse l’ordine prestabilito dagli ambienti della finanza che
contano, i quali avevano stabilito ancora una volta che dalla seconda guerra
mondiale sarebbe dovuto nascere lo stato d’Israele e che all’anglosfera sarebbe
toccato il compito di guardare tale “ordine”.
Il
testimone del caos e della destabilizzazione è passato però dalle mani di
Londra a quelle di Washington che dal 1945 in poi ha seminato una interminabile
scia di guerra in giro per il mondo per garantire quello status quo, e se non
c’era una guerra, c’era un omicidio o un colpo di Stato, come avvenuto per Aldo
Moro, per il presidente iraniano Mossadegh, per Enrico Mattei, per il
presidente serbo Slobodan Milosevic e il colonnello Gheddafi.
Il
caos serviva soltanto per consentire a questo apparato di restare al suo posto,
fino a quando il legame di Washington con l’anglosfera non si è interrotto con l’era del
presidente Trump iniziata nel 2016 e che, ora, dopo ben 8 anni, sembra
intenzionata a chiudere una volta per tutta l’appartenenza degli Stati Uniti
all’anglosfera.
I
nemici del presidente americano lo hanno intuito molto bene e hanno provato in
ogni modo a toglierlo di mezzo, tra colpi di Stato quali lo “Spy gate” e l’”Italia gate”
e molteplici attentati alla sua vita, tutti fortunatamente sventati e falliti
spesso anche per una protezione probabilmente non solo terrena nei confronti di
Trump.
Adesso
si giunge alla chiusura del cerchio.
L’atlantismo
non sa come fare senza la presenza militare degli Stati Uniti e senza il suo
ruolo di salvaguardia del precedente (dis) ordine mondiale.
Le
provocazioni di Londra contro Mosca, “Darktrace” e il “Bayesian”.
Londra
ha provato a rivestire i vecchi panni dell’impero britannico ai tempi del XIX
secolo, ma la sua potenza militare è chiaramente inadeguata per riempire il
vuoto lasciato dagli Stati Uniti né tantomeno l’UE e le sue velleità di
costruire il fantomatico esercito europeo possono fare alcunché per consentire
l’esistenza in vita della NATO.
Gli “architetti
del caos” però sembrano determinati a non arrendersi nonostante ormai sia tutto
contro di loro.
Sono
ormai due anni e mezzo che il Regno Unito mette in atto una sistematica serie
di provocazioni nei confronti della Russia iniziate con l’invasione dello
spazio navale del Mar Nero, quando una nave inglese penetrò, senza
autorizzazione, le acque navali russe.
Le
provocazioni non si sono mai interrotte e fra le molte che si potrebbero
citare, forse la più sensazionale è quella nella quale la Gran Bretagna ha
messo a disposizione del regime nazista di Kiev la sua tecnologia attraverso la
società “Darktrace “per provare a lanciare un maldestro e ridicolo tentativo di
invasione del suolo russo.
La
risposta di Mosca a tale provocazione non sembra essersi fatta attendere.
I
lettori ricorderanno che questo blog fu il primo a rivelare in Italia, e anche
sul piano internazionale, che l’affondamento del “Bayesian” sul quale c’era
proprio l’”AD di Darktrace”, “Mike Lynch”, fu probabilmente una operazione
portata in atto dall’intelligence russa che attraverso le sue tecnologie ha
provocato il rapidissimo affondamento di una barca praticamente inaffondabile,
il “Bayesian”, e che ancora oggi è adagiata sui fondali della rada di
Porticello.
Il “Bayersian”
e i suoi illustri passeggeri legati ai servizi inglesi e israeliani.
Non è
stato differente quanto visto in questi ultimi giorni quando l’Ucraina ha
sparato i suoi missili a lungo raggio sul territorio russo, ognuno dei quali è
stato intercettato, e ora Kiev, che si stimava avere 50 missili del genere, non
sembra avere molte più cartucce a disposizione non tanto per rovesciare le
sorti della guerra, persa in partenza, ma per provare a scatenare un conflitto
globale e trascinare nell’arena tutti gli Stati europei, soprattutto gli Stati
Uniti che nessuna voglia hanno di partecipare e che invece hanno fretta di
chiudere la guerra con un trattato di pace che riconosca le ragioni della
Russia e i territori dell’Est russofono in Ucraina come legittimamente parte
del territorio russo.
Gli
atlantisti a Bruxelles sanno di non avere più frecce al loro arco, e allora
hanno provato a giocarsi le loro ultime e inutili carte che non porteranno
comunque agli esiti desiderati perché a questo giro si trovano contro non
soltanto la Russia di Putin e i BRICS, ma anche gli Stati Uniti di Trump che
non prestano minimamente il fianco alla strategia della destabilizzazione
inseguita da Bruxelles.
Mosca,
se e quando risponderà, farà delle azioni molto probabilmente coordinate e
precise, come quella vista per il “Bayesian”, e Londra potrà fare ben poco per
rispondere, considerata anche la sua crisi interna politica con una economia
sempre più debole e con delle fratture sociali sempre più marcate, data
l’implosione che si sta creando dai britannici nativi, per così dire, e quelli
artificiali ai quali i vari governi liberal-democratici hanno concesso
generosamente la cittadinanza del Regno Unito.
Cosa
aspettarsi dunque da tale fase?
La
bestia della NATO è chiaramente morente e il suo destino appare segnato, ma i
colpi di coda che può tentare appaiono limitati rispetto al passato, anche
perché le possibilità di un nuovo tentativo di omicidio nei confronti di Trump
sono ancora più esigue del passato, dopo il fallito attentato di luglio, e
aprire un altro fronte in Medio Oriente tramite Israele è impresa praticamente
impossibile, dato che lo stato ebraico è isolato, la sua campagna in Libano si
sta rivelando un disastro assoluto, e l’Iran ha dimostrato di poter colpire e
far male a Tel Aviv in qualunque momento.
Si è
quindi giunti alla fase terminale, quella nella quale il triangolo composto da Washington, Londra e Tel Aviv giunge alla sua definitiva
estinzione, ma sicuramente prima della morte ufficiale di questo assetto
geopolitico,
tale decadente potere, ormai composto solo da Londra e Tel Aviv, se proverà
ancora a mettere in atto qualche atto provocatorio, non farà paradossalmente
altro che accelerare il suo declino.
L’Euro-Atlantismo
si trova nella stessa situazione di chi è imprigionato nelle sabbie mobili. Più
si muove, più sprofonda.
Trump
e Putin conoscono molto bene i loro avversari e sanno altrettanto come
rispondere o non rispondere alle loro provocazioni.
Ogni
ora che passa, ogni giorno che passa, è uno in meno verso l’insediamento
ufficiale di Trump e verso la sua volontà di separare gli Stati Uniti
definitivamente dall’Euro-Atlantismo e di infliggere il colpo di grazia alla
NATO e all’Unione europea.
L’anticamera
del potere, dove tecnocrati
e
politici prendono le decisioni.
Nicolaporro.it
– (20 Aprile 2024) - Francesco Subiaco – ci dice:
Le
decisioni passano sempre meno dai parlamenti, sempre più da un incrocio tra
poteri pubblici e privati. Il problema è quando le oligarchie perdono
legittimità.
Gli
uomini invisibili che hanno incarnato il potere opaco delle “anticamere” sono i
protagonisti di “Eminenze grigie. Uomini all’ombra del potere” (Liberilibri),
l’ultimo libro di “Lorenzo Castellani”, saggista, editorialista e docente alla
Luiss.
Una
galleria di ritratti di scienziati, diplomatici, mandarini,” civil servant”,
tecnocrati, missionari laici e ideologi, da Surkov a Dick Cheney, da Zhou Enlai
a Montagu Norman.
Protagonisti
“indiretti”, come direbbe “Carl Schmitt”, che al confine tra tecnica e
politica, consiglio e condizionamento, ideologia e prassi, hanno scritto in
silenzio e nell’ombra la vera storia del potere e dei poteri.
Per
conoscere le loro storie abbiamo intervistato l’autore.
FRANCESCO
SUBIACO: Perché “eminenze grigie”?
LORENZO
CASTELLANI:
Il termine “Eminenza Grigia” fu coniato per la
prima volta durante gli anni del governo del cardinale Richelieu, per riferirsi
al suo più stretto consigliere (così chiamato per il saio grigio che
indossava): “Frate Giuseppe”.
Un
prelato di grande intelligenza e capacità, che fu il vero capo della diplomazia
e dello spionaggio dello stato francese in quegli anni.
Tale
figura è il prototipo del “suggeritore”, del “consigliere”, di tutti quegli
uomini all’ombra del potere che compongono la galleria di ritratti del mio
libro.
FS: E
chi sono gli “uomini all’ombra del potere”?
LC: Consiglieri, burocrati, banchieri,
diplomatici, scienziati, santoni e spin doctor. Uomini che incarnano un potere
opaco e silenzioso, non immediatamente visibile, ma non per questo meno
cruciale. Il libro si occupa di questo potere invisibile, con un viaggio nella
storia dei suoi protagonisti.
Lontani
dai riflettori, misteriosi, riservati, questi personaggi si muovono con
disinvoltura nei corridoi semibui dei palazzi e delle corti.
Se i loro capi sono potenti, questi uomini
sono influenti
. E
spesso le loro decisioni, i loro consigli, i loro calcoli sono stati più
importanti per la storia di quelli delle grandi personalità che tutti conoscono.
Questo libro raccoglie le loro storie e il
loro ruolo invisibile, ma non assente.
Tra
tecnocrazia e politica.
FS: Scienziati, chierici, giuristi,
tecnici, ma sicuramente esponenti di una dimensione tecnica strettamente
collegata col mondo politico.
Che relazione esiste nei vertici istituzionali tra
tecnocrazia e potere politico?
LC: Per usare una frase di “Raymond
Aron”, le democrazie sono dei regimi di esperti governati da un gruppo di
dilettanti.
Una
definizione che in questa fase potrebbe valere anche per le autocrazie. Secondo
questa formula la politica stabilisce gli obiettivi e i fini, ma la sua
applicazione viene definita dalle tecnocrazie e dalle burocrazie.
Una
distinzione che nel mondo moderno tendenzialmente è molto sottile fino a
decadere o a dissolversi.
Molte
di queste figure non sono infatti dei meri esecutori, ma sono anche
consiglieri, ideologi, spin doctor, uomini di fiducia dei leader con cui
collaborano. Pensiamo a “Keith Joseph” o ad “Alberto Beneduce”.
Essi
operano sulla linea di confine tra tecnica e politica, ed oltre ad esaudire i
desiderata dei loro leader di riferimento ne condizionano il pensiero e
l’operato.
La
loro legittimazione è fondata sia sulla loro competenza tecnica (diritto,
economia comunicazione, scienza, ecc.) sia su un legame fiduciario di tipo
personale.
Surkov,
Beneduce, Retinger, Bormann, e altri protagonisti di questo libro sono il volto
invisibile di un potere ibrido fra governo e management, burocrazia e politica,
i cui confini sono spesso sfumati ed evanescenti.
L’anticamera
e i segreti del potere.
FS: ll testo in un certo senso è quasi
una “fenomenologia dell’anticamera”. Ma quale è il ruolo di queste figure e il
loro vero potere?
LC: L’anticamera è il luogo dove si
prendono grandissima parte delle decisioni che regolano, influenzano e
determinano la nostra vita sociale, politica e economica. Le decisioni di tipo
monetario, economico e legislativo passano fondamentalmente sempre meno dai
parlamenti, dai partiti, dagli organi politici e sempre più da un incrocio tra
poteri pubblici e privati, burocrazie e tecnocrazie.
Il
ruolo dell’anticamera è immenso e col tempo ha aumentato sempre di più il suo
ruolo, la sua importanza e le sue competenze.
Si
pensi alla crescita dei gabinetti ministeriali in Italia durante la Prima
Repubblica, all’evoluzione del mondo delle tecnocrazie post-golliste di cui
Macron è la massima espressione, oppure alla centralità del preconsiglio dei
ministri come vero luogo di realizzazione delle policies pubbliche figlie di
una mediazione tra politica e burocrazia nei ministeri, che poi vengono
sostanzialmente ratificate dalle Camere.
Tutti
esempi di un potere cruciale, opaco, complesso, molto spesso occultato, anche
dietro una facile retorica che poi nella realtà viene parzialmente disattesa.
Noi, infatti, viviamo in un sistema oligarchico, che esiste anche in un regime
democratico.
Crisi
delle oligarchie.
FS: Quale è il vero limite delle
tecno-burocrazie?
LC: Il
problema dell’anticamera (in senso lato) o in generale delle “oligarchie”
sussiste quando esse perdono la propria legittimità.
Ciò può accadere quando esse subiscono una
crisi, o sono troppo autoreferenziali o se il loro ruolo è obsoleto o se
perdono la propria connessione con il popolo.
Il
vero nodo quindi dell’anticamera è che ogni potere deve essere legittimato e
che soprattutto serve un controllo sulle élites.
Tale capacità di controllo o selezione è del
resto il vero vantaggio delle democrazie.
FS: Si può prescindere dal ruolo delle
oligarchie?
LC: Le democrazie non possono prescindere
da delle oligarchie che anzi ne garantiscono la stabilità e sviluppo.
Però tali oligarchie funzionano quando esse
sono tenute insieme da valori comuni, sono legittimate dalla politica e quando
sono percepite come gli esecutori del mandato popolare.
Quando
questi elementi (o almeno uno di essi) mancano c’è crisi e disgregazione.
Pensiamo
alla crisi della Prima Repubblica dove abbiamo assistito ad una crisi
dell’establishment che completamente delegittimato, poiché si era rotto il
rapporto tra Paese reale e politica, ha visto la disgregazione del sistema
oligarchico italiano incalzato dalla nuova politica e da quel contropotere che
fu la magistratura
Senza coesione e la legittimazione questo
sistema oligarchico democratico è in grande difficoltà.
L’Unione
europea è un esempio ottimo nella sua coesione burocratica, ma spesso è debole
per la sua precaria legittimazione politica, data dalla mancanza di
integrazione politica.
Gli
ultimi arcani del potere.
FS: Nel libro dice “la banca centrale è
l’ultimo arcano del potere”. Può spiegarsi meglio?
LC: Se pensiamo alla frase più importante
della politica europea degli ultimi 15 anni certamente pensiamo a “what ever it takes” pronunciata da Mario Draghi. Questo
mostra quanto le banche centrali abbiano una influenza economica e politica
molto rilevante. Esse però non rispondono ai partiti o ai parlamenti ed anzi
sono dotate di un forte culto della loro indipendenza.
Le
banche centrali, pensiamo anche alla Bce, prendono decisioni politiche che non
hanno un fondamento politico.
Anzi sono più simili agli eserciti di un paio
di secoli fa che a istituzioni politiche democratiche.
La
banca centrale non può essere controllata politicamente, soprattutto negli
ultimi 40 anni, ma anzi è un “arcano” che prende decisioni politiche in seguito
a logiche interne.
Una
decisione della Bce è ad esempio più forte di qualsiasi legge di bilancio di un
grande Paese europeo…
Eminenze
grigie al tempo della Meloni.
FS: Molti quando parlano di Giorgia
Meloni si chiedono cosa le manchi per diventare la Thatcher italiana.
Vuoi
la concorrenza, vuoi le liberalizzazioni, vuoi un collegamento con le migliori
oligarchie.
Potrebbe
mancargli un “Keith Joseph” o quello che rappresentava?
LC: È sempre difficile fare paralleli
storici tra due leader, paesi e due epoche così diversi.
Certamente è evidente che Giorgia Meloni non
abbia un programma di riforme così radicale come quello di Margaret Thatcher.
Questo anche perché si muove in uno scenario
con molti più vincoli esterni, pensiamo all’Unione europea.
Però
bisogna fare pace con l’idea che in Italia (aldilà di numerosi pareri in senso
contrario) non c’è una tradizione conservatrice e infatti la Meloni, nonostante
alcuni tentativi, da quando è andata al governo ha abbandonato questa istanza. La mia impressione è che Meloni
dovrebbe trovare, anche tramite figure oltre il suo partito, una apertura
maggiore capace di pensare una formula originale italiana senza cercare di
scimmiottare formule o americane o anglosassoni.
Però
non vedo questa volontà, ma anzi vedo soprattutto una legittima prudenza nei
propri rapporti internazionali e nella propria azione di governo. Per avere
maggiore slancio, invece, bisognerebbe guardare altrove…
FS: Tornando all’opera possiamo notare
che essa ha a livello di struttura linguistica quasi una impostazione alviana?
LC: Certamente, “Geminello Alvi”, tra i
maggiori intellettuali italiani, ha mostrato che con poche parole e ottimi
ritratti fondati sullo studio, sull’erudizione e su una visione ampia ed
eclettica, si possono collegare dettagli rivelatori e concetti universali pur
rimanendo aderenti alla realtà storica e alle fonti.
Per tale motivazione nel libro, come ho
scritto nell’introduzione, ho cercato di seguire questo tipo di formula.
Unifil
e Cpi, perché il governo Meloni
sta
sbandando pericolosamente.
Nicolaporro.it
– (23 Novembre 2024) - Federico Punzi – ci dice:
L’elezione
di Trump e i successi di Israele hanno cambiato lo scenario. Perché è
necessario uscire dal Trattato della Corte e riportare a casa i soldati
ostaggio di Hezbollah.
Paradossale,
ma nel momento in cui il contesto internazionale dovrebbe apparire di più
facile lettura per un governo di destra, il governo Meloni sembra faticare a
leggere e interpretare la nuova fase che si è aperta.
L’elezione
di Trump.
Primo,
ovviamente, l’elezione di Donald Trump.
Il nuovo inquilino della Casa Bianca avrà un
atteggiamento molto diverso nei confronti dell’Unione europea e delle altre
organizzazioni sovranazionali.
Ma questo, lungi dall’essere una grana, dovrebbe
rappresentare un’occasione per un governo e una maggioranza politica che si
propongono di difendere e rafforzare il principio della sovranità nazionale e
di convincere Bruxelles a cambiare rotta su alcuni dossier fondamentali, come
immigrazione irregolare e politiche green.
A Washington non potrebbero esserne che
felici.
Anche
sul dossier Ucraina, l’intenzione di Trump di arrivare quanto meno ad un
congelamento del conflitto, ad una assunzione di responsabilità degli alleati
europei, anche passando attraverso un riarmo che inevitabilmente vorrebbe dire
derogare dagli stringenti vincoli di bilancio e strumenti comuni di
investimento, non dovrebbe essere vissuta con allarme e disagio.
Da un
ordine atlantico in Europa preminente rispetto all’ordine franco-tedesco, Roma
avrebbe tutto da guadagnare.
Indubbiamente
un grosso grattacapo per Scholz, che infatti ha visto già liquefarsi la sua
maggioranza.
Per Macron, che sembra un” dead man walking”,
e per qualsiasi governo progressista e globalista.
Non
dovrebbe esserlo per un governo di destra.
I
successi di Israele.
Secondo,
siamo lontanissimi dalla fase in cui Israele era sotto le pressioni
dell’alleato Usa che gli intimava di non aprire il fronte nord con Hezbollah e
persino di non avviare l’operazione a Rafah (senza la quale non sarebbe stato
eliminato il capo di Hamas Yahya Sinwar).
Netanyahu
ha avuto ragione a resistere, ha amichevolmente ma decisamente contravvenuto a
tutti i suggerimenti dell’amministrazione Biden, più preoccupata degli effetti
di politica interna, cioè delle sue chance di rielezione, che delle conseguenze
per il Medio Oriente.
E
infatti ora quelle pressioni si sono molto affievolite.
Israele ha messo a segno alcuni colpi vincenti
che offrono ora l’opportunità storica di ridisegnare gli equilibri a favore
dell’unica democrazia del Medio Oriente, il che a nostro avviso coincide anche
con gli interessi dell’Italia.
Con le
recenti prese di posizione dei ministri della difesa e degli esteri il governo
Meloni rischia invece di mettersi di traverso ad un corso che non si potrebbe
immaginare più favorevole.
L’ostinazione
su Unifil.
Veramente
stentiamo a capire l’ostinazione del governo italiano nel tenere, a proprio
rischio e pericolo, i nostri soldati impegnati nella missione Unifil
intrappolati in mezzo a due fuochi, ostaggio di un gruppo terroristico che
tutti i governi arabi della regione si augurano di vedere scomparire.
Una missione tra l’altro che lo stesso
ministro della difesa ha riconosciuto essere impossibile da compiere.
Dio
non voglia che accada qualcosa di serio ai nostri soldati.
Chi
credete che la gran parte dell’opinione pubblica riterrà politicamente
responsabile?
Di
cosa si tratta?
Qual è l’interesse italiano qui?
Compiacere
organizzazioni internazionali sempre più screditate e anti-occidentali? Non
dare un dispiacere al vero capo dell’opposizione che è al Quirinale e che
effettivamente può causare parecchi grattacapi al governo?
Non
guastare i rapporti con i nostri amici arabi, molti dei quali non vedono
affatto negativamente l’impresa di “pulizia” israeliana?
Dopo i
dieci razzi di Hezbollah che nell’arco dei due giorni hanno colpito la base
Unifil di Shama, con i primi soldati italiani feriti, per fortuna lievemente,
il ministro Guido Crosetto anziché prendersela con Hezbollah, con il quale
afferma di non volere interlocuzione, ha senza pudore chiesto a Israele di
“evitare di usare le basi Unifil come scudo”, quando al contrario è Hezbollah
che da vent’anni le usa come “scudo”;
è
Hezbollah che tutt’intorno a quelle basi ha costruito postazioni, bunker,
tunnel e depositi di armi.
Sotto
il naso dei contingenti Unifil, italiano incluso.
Il
ministro sostiene che la soluzione è “l’attuazione e applicazione della
risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il ritiro di
Hezbollah dal sud del Libano e lo smantellamento delle sue infrastrutture e
armi nella regione”.
Ma
secondo lei, ministro, è un puro caso che per vent’anni questa risoluzione sia
stata disapplicata?
Non c’è forse qualche membro permanente del
Consiglio di Sicurezza che non ha alcun interesse alla sua applicazione, per
non indebolire i suoi alleati nella regione?
Lo
scenario è cambiato, occorre prenderne atto, Israele sta facendo ciò che Unifil
per vent’anni non ha saputo né voluto fare.
Restare è un’impuntatura che non giova a
niente e nessuno.
La Cpi
disarma le democrazie.
Stesso
discorso vale per la grottesca e vergognosa (parole del presidente Usa Joe
Biden) decisione della Corte penale internazionale di emettere mandati di
arresto nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex
ministro della difesa Yoav Gallant.
Come
osserva il board del “Wall Street Journal”, la decisione della Corte
rappresenta un precedente in grado di “danneggiare la capacità di tutte le
democrazie di difendersi” da gruppi o stati terroristici.
“L’auto-immolazione della “Corte penale
internazionale” è un’ulteriore conseguenza della politica estera di Biden che
troppo spesso ha anteposto l’autorità delle istituzioni internazionali
all’interesse nazionale degli Stati Uniti”.
Non
potrebbe esserci osservazione più corretta e al tempo stesso più favorevole ad
un governo di destra intenzionato a riportare in auge la sovranità nazionale.
Eppure,
sui mandati di arresto abbiamo registrato tre posizioni diverse all’interno del
governo italiano.
Quella del vicepremier Matteo Salvini, a
difesa di Netanyahu e contro la decisione della Corte;
quella
più cauta del ministro degli esteri Antonio Tajani, poi ribadita dalla premier
Giorgia Meloni, di demandare ogni valutazione al G7, un consesso
internazionale; e infine, quella del ministro della difesa Guido Crosetto, che
pur parlando di “sentenza sbagliata” (sic! un ministro dovrebbe sapere che non
è una sentenza ma una misura cautelare pre-processuale), ha avvertito “se
venissero in Italia Netanyahu e Gallant dovremmo arrestarli.
Non
per decisione politica ma per normativa internazionale “.
E qui
si arriva al punto.
Il
problema non è solo la immorale equivalenza stabilita dalla Corte tra Israele (un Paese pienamente democratico,
aggredito, che fino a prova contraria ha operato nel rispetto del diritto di
guerra), e
Hamas (una
organizzazione terroristica responsabile delle sofferenze dei palestinesi della
Striscia di Gaza, che ha deliberatamente violato tutte le convenzioni
internazionali per massimizzare il tributo di sangue dei civili).
Intervenendo
a guerra in corso, quindi senza possibilità di raccogliere prove attendibili e
accertare i fatti, e soprattutto su stati e territori al di fuori della sua
giurisdizione, la Corte ha distorto il diritto internazionale che pretende di applicare
e prevaricare i legittimi poteri dei governi aderenti al Trattato, privandoli
di fatto di iniziativa diplomatica e politica.
La
legge:
la Corte penale internazionale ha
giurisdizione solo sui suoi Stati membri, ma Israele non è uno Stato membro e
Gaza non è uno Stato. Per poter procedere, i giudici hanno riconosciuto
unilateralmente uno Stato palestinese che include anche Gaza.
La
sovranità.
L’effetto
dei mandati della CPI è quello di disarmare qualsiasi democrazia occidentale
nel combattere gruppi terroristici e stati canaglia.
Questo
precedente verrà prima o poi esteso e utilizzato politicamente contro altri
Stati, che abbiano o meno aderito alla Corte.
Italia
inclusa, magari per i trasferimenti di migranti irregolari in Albania e i
rimpatri nei loro Paesi di origine.
Come
ha ricordato “Marco Faraci”, “l’intero sistema di diplomazia internazionale si basa su un
reciproco riconoscimento di immunità tra i governanti”.
Se le
autorità italiane sono tenute ad arrestare il capo di governo israeliano, nel
momento in cui mettesse piede in Italia, di fatto “il nostro governo viene
privato del potere discrezionale minimo necessario a perseguire la propria
politica internazionale”.
E
questo vale per tutti gli Stati aderenti. Si tratta di una gravissima e
sostanziale amputazione della sovranità nazionale.
Uscire
dal Trattato della Cpi.
Va
detto infatti che il governo potrebbe non avere nemmeno il potere di impedire
l’arresto di Netanyahu, dato che secondo quanto prevede la legge, il
procuratore generale della Corte d’appello di Roma può autonomamente chiederne
l’arresto e i giudici della medesima Corte d’appello autorizzarlo sulla base
del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale.
E
visto come funziona la giustizia in Italia, non ci sarebbe il minimo dubbio che
lo farebbero.
Per
questo, la questione che si pone non è rifiutarsi di eseguire il mandato della
Cpi e garantire al premier israeliano che non verrà arrestato, cosa che
potrebbe non essere nella disponibilità del governo.
L’Italia e altri Paesi che desiderano
mantenere relazioni cordiali e normali con Israele, senza il quale ricordiamo
che non può esistere una politica mediorientale, devono uscire dal Trattato
della Cpi.
Si tratta tra l’altro di una organizzazione
sovranazionale della quale già non fanno parte le principali potenze – Stati
Uniti, Cina e Russia – e importanti stati occidentali come appunto Israele.
Imminenti
sanzioni Usa.
Inoltre,
Donald Trump starebbe valutando sanzioni contro i funzionari della Corte penale
internazionale (CPI), tra cui sanzioni personali contro il procuratore capo
Karim Khan e i giudici coinvolti nella decisione su Netanyahu e Gallant.
Il
candidato consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Mike Waltz, ha
affermato che a gennaio ci si può aspettare una “forte risposta al pregiudizio
antisemita della Cpi e (attenzione, ndr) dell’Onu”.
Tagliare
fuori i cento principali funzionari della Corte dal sistema bancario Usa, con
tutto ciò che comporterebbe anche per i loro conti bancari europei, potrebbe
paralizzarla.
Ma non escluderei che l’amministrazione Trump decida
già a gennaio il congelamento dei fondi Usa alle Nazioni Unite:
una
bomba.
A
giugno la Camera a maggioranza repubblicana aveva già approvato un disegno di
legge bipartisan per sanzionare la Corte penale internazionale.
Il dem “Chuck Schumer”, su indicazione del
presidente Biden, ha congelato le sanzioni al Senato per quasi sei mesi.
Il senatore repubblicano “Lindsey Graham” sta
progettando un disegno di legge che va oltre e sanziona i gruppi e le nazioni
che favoriscono ed eseguono le decisioni della Cpi, e ha diffidato gli alleati
Usa a rendersi complici di essa:
“A
qualsiasi alleato, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, se provi ad
aiutare la Corte penale internazionale, ti sanzioneremo”.
Insomma,
potrebbe non bastare una dichiarazione dei Paesi del G7 che si impegnino a non
eseguire il mandato di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant, perché almeno in Italia esso verrebbe
eseguito dai giudici.
Con
Trump e Milei in carica,
conservatori
al bivio in Europa.
Nicolaporro.it
- Massimo Bassetti – (23 Novembre 2024) – ci dice:
Unire
le anime delle diverse destre o inginocchiarsi a quel consenso
socialdemocratico che ha prodotto l’economia più iper-regolata, asfittica e
burocratizzata del mondo.
Valeva
davvero la pena lottare con le unghie e con i denti per dare uno strapuntino a
“Raffaele Fitto” nella futura Commissione europea quando il prezzo da pagare
era l’entrata della eco-fondamentalista Teresa Ribera?
Davvero
il” Partito Popolare Europeo” è più in sintonia con l’ingegneria sociale e
ambientale del Partito Socialista che con il rigetto del centralismo
decisionale che contraddistingue i gruppi politici alla sua destra?
Sono domande, queste, che il “PPE “dovrà porsi
con urgenza e il ruolo che ricoprirà nel futuro prossimo dipenderà in maniera
determinante dalle sue risposte.
O di
qua o di là.
Siamo nel
bel mezzo di una ricomposizione politica epocale, non solo a livello europeo
bensì mondiale.
La battaglia culturale è iniziata e lo spazio
per centrismi e opportunismi vari sarà sempre più ridotto.
La
scelta sarà drasticamente semplificata: o di qua o di là.
Da un
lato tecnocrazia ingegneristica, redistribuzionismo, eco-estremismo, wokismo,
ideologia di genere, odio delle frontiere, globalismo, agende internazionali
non votate né discusse da nessuno.
Dall’altro, demos, libertà economica,
sviluppismo, difesa del senso comune, rispetto dei corpi intermedi,
patriottismo e globalizzazione senza governo mondiale.
Il
vento Trump-Milei.
Il
presidente argentino Javier Milei sta mostrando la strada da seguire
(soprattutto, ma non solo) in campo economico, cambiando la faccia
dell’Argentina come mai prima nella storia del Paese.
Inflazione
domata, bilancio pubblico risanato, liberalizzazione massiccia dell’economia,
risanamento della Banca Centrale e, da qualche mese, rimbalzo potente
dell’economia.
In
Argentina qualsiasi scenario che non contempli un ulteriore rafforzamento del
presidente libertario è, ad oggi, pura fantascienza.
La
bancarotta politica, economica e morale del peronismo statalista è completa e
di fronte al guerriero libertario si scorgono solo praterie elettorali.
Negli
Stati Uniti, il ritorno di un Trump più combattivo che mai farà da pivot a un
movimento globale di rigetto delle consegne progressiste.
La
rete di resistenza alle allucinazioni dirigiste del globalismo troverà nel
presidente americano il suo ganglio vitale.
Sarà una battaglia senza esclusione di colpi,
in cui si parrà la nobilitate dei diversi attori politici.
Donald
Trump, che definirei “il grande catalizzatore”, ha unito sotto la sua bandiera
non solo i suoi sostenitori, ma anche credenti stanchi di essere ridicolizzati
e libertari che rifiutano l’idea stessa di stato.
Questi gruppi, alimentati dalla percezione di
una crescente invadenza statale, rivendicano il sacro diritto dell’individuo di
decidere della propria vita senza interferenze esterne.
Conservatori
al bivio in Europa.
In
Italia l’equipaggiamento culturale sembra, ad oggi, non all’altezza.
Quando
Milei, a Rio De Janeiro, si dissocia dall’Agenda 2030, ci si aspetterebbe un
appoggio della conservatrice Giorgia Meloni.
Invece,
nulla:
dei 20
Paesi presenti solo uno ha avuto il coraggio di battere i pugni sul tavolo
contro un consenso socialdemocratico sconosciuto o addirittura avversato dagli
elettorati delle rispettive nazioni.
Speriamo che chi non ha mostrato audacia in
questa occasione, questo coraggio lo trovi una volta che Trump sarà ritornato a
sedersi nella stanza ovale.
Siamo
chiari e sinceri.
In
Europa, una Nuova Destra ha solo due opzioni:
unire
le anime delle diverse destre o inginocchiarsi a quel consenso
socialdemocratico che ha prodotto l’economia più iper-regolata, asfittica e
burocratizzata del mondo.
Tertium non datur.
Senza paura di essere tacciata di populismo o accusata
di ogni nequizia politicamente incorretta.
Il
giochino lo conosciamo già a memoria.
Da una
parte le parole talismano: sostenibilità, identità di genere, diversità,
inclusività, etc.
Dall’altra
il vaso di pandora degli epiteti malefici: omofobia, razzismo, patriarcato,
negazionismo e via farneticando.
Il
mondo che viene non è adatto ai Don Abbondio, giacché, come nel caso argentino,
i Don Abbondio (che li si chiama “radicalismo”) sono destinati all’oblio
elettorale.
Ci
sono dei tornanti della storia in cui si deve decidere da che parte stare, e i
terzisti è meglio perderli (magari lasciandoli agli avversari) che trovarli.
È un
po’ come quando si doveva prendere posizione tra mondo libero e comunismo:
non è
possibile alcuna via di mezzo.
Il
vero nemico.
Il
liberalismo economico deve abbracciare un discorso culturale di destra
conservatrice, tradizionalista e patriottica in senso non statalista, e dunque
comunitaria.
Bisogna essere anti-globalisti, sempre tenendo
bene a mente che il nemico da battere non è il libero commercio internazionale,
quanto piuttosto quel progetto di ordine globale uniformante e post-nazionale
propalato da organizzazioni internazionali pubbliche e non governative
(stranamente, anch’esse finanziate con denaro pubblico).
Quando
lo Stato e, ancora peggio, una qualsivoglia organizzazione internazionale
decidono su questioni cruciali che definiscono la nostra esistenza, le parole
permesse e quelle proibite e finanche i pensieri da cancellare, la rabbia per
le decisioni imposte diventa incontenibile.
Non ci sarà pace finché lo Stato e la sua
sublimazione globalista non arretreranno, restituendo agli individui la libertà
di scelta.
Prepariamoci
a una stagione incandescente, con folle già in fermento da tempo.
La
rivolta potrebbe essere solo l’inizio di un cambiamento inevitabile, segnando
il risveglio da decenni di narcotizzazione statalista.
Atlante
sta per rialzarsi.
La CPI
si dimostra un’aberrazione
giuridica
e una moderna Inquisizione.
Nicolaporro.it
- Bepi Pezzulli – (22 Novembre 2024) – ci dice:
Surreali
i mandati di arresto su Netanyahu e Gallant, ignorati i limiti imposti alla
Corte proprio dal diritto internazionale.
Immorale
equivalenza tra Israele e Hamas.
Da
tempo, la Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aja non è più un tribunale di
giustizia, ma una moderna Inquisizione, che si cimenta in una caccia alle
streghe antisionista piuttosto che nell’applicazione del diritto.
Il
mandato di arresto.
Con
una mossa premeditata, che sfida il concetto stesso di sovranità statuale e le
sue legittime prerogative, e facendo della sedicente giustizia internazionale
una farsa, la CPI ha spiccato un mandato di arresto internazionale nei
confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro
della difesa Yoav Gallant, accusandoli di responsabilità diretta per presunti
crimini di guerra asseritamente commessi dalle Forze di difesa israeliane (IDF)
durante il conflitto a Gaza ancora in corso.
La Pre-Trial
Chamber (la
Camera preliminare della CPI) ha infatti deliberato che vi sono prove
sufficienti per il rinvio a giudizio.
Con
un’ordinanza emessa su richiesta del procuratore generale Karim Khan, KC, la
Camera preliminare ha respinto le obiezioni presentate dallo Stato di Israele –
che ne contestava la carenza di giurisdizione – arrogandosi la competenza sul
caso e autorizzando dunque l’emissione del mandato di arresto.
In un
tentativo di falsa imparzialità, in realtà una provocazione, la CPI ha anche
emesso un mandato di arresto per il capo militare di Hamas, Mohammed Deif,
ucciso in un attacco dell’IDF a Gaza nel luglio scorso.
È
grottesco che la CPI emetta un mandato per due vivi e uno morto, dimostrando
non solo un disprezzo per la realtà dei conflitti, ma anche una palese incoerenza nel
trattare le responsabilità di uno Stato democratico da un lato e di
un’organizzazione terroristica dall’altro.
Il
contesto della CPI.
La
CPI, fondata nel 1998 per perseguire crimini di guerra, genocidio e crimini
contro l’umanità, ha un mandato controverso e spesso accusato di applicazione
selettiva.
Nonostante
124 stati abbiano firmato il trattato istitutivo, la giurisdizione della Corte
è limitata ai Paesi aderenti o a situazioni specifiche identificate dal
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, condizioni che non si applicano a
Israele.
Lo
Stato ebraico non è parte firmataria dello Statuto di Roma, il trattato
internazionale istitutivo della Corte, e come Stati Uniti, Russia, Cina e
India, non si è posto sotto la giurisdizione della CPI.
La
giurisdizione su Israele e gli Accordi di Oslo.
Israele
non ha mai accettato la competenza giudiziaria della CPI.
Gli
Accordi di Oslo, firmati con l’Autorità Palestinese, stabiliscono che le
questioni penali per fatti commessi nei territori contesi sono sottratte ai
meccanismi di risoluzione giudiziaria, dovendosi negoziare bilateralmente al
livello politico.
Gli accordi, inoltre, escludono esplicitamente
la competenza della CPI.
Questo
rende la richiesta di mandato un’aberrazione giuridica, che ignora i limiti
imposti alla Corte proprio dal diritto internazionale.
Di
fatto, la decisione della CPI si inserisce in un contesto di crescenti
pressioni politiche contro Israele, alimentate da organizzazioni e governi
spesso accusati di antisemitismo mascherato da attivismo umanitario.
Il
caso dimostra ancora una volta come alcune istituzioni sovranazionali agiscano
più come centrali antisioniste che come custodi di un diritto internazionale
equo e imparziale.
La CPI
oltre la giustizia.
L’azione
della CPI di intervenire mentre il conflitto è in corso è un’aberrazione
giuridica di proporzioni surreali.
La giustizia, per essere tale, richiede una
distanza temporale e un raffreddamento delle tensioni che un conflitto attivo
non può mai garantire.
Anche
il processo più emblematico, quello di Norimberga, si svolse solo dopo la fine
del secondo conflitto mondiale, quando le prove erano più chiare e le passioni
smorzate.
In un
conflitto armato, le decisioni giuridiche non possono prescindere dal contesto
politico in cui si inseriscono.
La
giustizia non può essere una vendetta mascherata da processo, né un giudizio
che nasce dalla politica del momento.
Pretendere
che la giustizia possa essere esercitata in tempo reale, e non dopo il fatto, è
un controsenso che solo un’istituzione ideologicamente schierata può sostenere.
Inoltre,
l’attivismo giudiziario, che già di per sé rappresenta un pericolo per la
governance democratica e la stabilità delle istituzioni, è assolutamente
intollerabile quando non ha neppure la legittimità derivante dalla
giurisdizione.
La
CPI, quindi, non solo agisce fuori dai suoi confini giuridici, ma lo fa in un
momento in cui qualsiasi tentativo di revisionare, mettendole in dubbio, le
azioni correnti col senno di poi è inevitabilmente influenzato dalle dinamiche
del conflitto in corso.
Questo
approccio non solo mina la credibilità della Corte, ma rischia di compromettere
la legittimità della giustizia internazionale.
La
reazione di Israele.
L’ufficio
del primo ministro ha dichiarato in una nota che la “decisione antisemita”
della CPI di emettere mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant è
equivalente ad un “processo di Dreyfus moderno”.
Sostenendo
che la decisione della Corte non impedirà a Israele di proteggere i suoi
cittadini, il governo israeliano ha respinto “con disgusto” le accuse “false”
della Corte, affermando che derivano dagli sforzi del procuratore generale Khan per “salvarsi la pelle dalle gravi
accuse di molestie sessuali” e dalle convinzioni di “giudici parziali mossi
dall’odio antisemita verso Israele”.
Recentemente,
la CPI ha annunciato che avvierà un’inchiesta indipendente sulle accuse di
molestie sessuali contro Khan.
La
Casa Bianca ha “respinto con fermezza” la decisione della Corte e fa sapere di
rimanere “profondamente preoccupata per la fretta del procuratore nel
richiedere i mandati di arresto e per gli inquietanti errori procedurali che
hanno portato a questa decisione”.
Doppio
standard.
La CPI
ritiene di poter esercitare la propria giurisdizione su uno Stato democratico,
Israele, ignorando il lancio di razzi contro civili innocenti o l’utilizzo di
bambini come scudi umani, da parte delle organizzazioni del terrorismo
islamico.
Le azioni della CPI sembrano più una recita in
un tribunale politicizzato che una ricerca di giustizia.
I
mandati selettivi riflettono non un’istituzione imparziale, ma un tribunale
ideologico.
Israele continuerà a difendersi da chi
confonde la legge con una bandiera politica, rimanendo fermo nella sua
legittima autodifesa.
La
giustizia non ha bisogno solo di un giudice, ma anche di una coscienza chiara.
Il
Tribunale della Storia
Aspetta
Netanyahu…
Conoscenzealconfine.it
– (24 Novembre 2024) - Dante Barontini – ci dice:
Che
Benjamin Netanyahu o Yoav Gallant – colpiti da mandato di cattura
internazionale per decisione della Corte Penale Internazionale – possano essere
effettivamente arrestati è un solo un “wishful thinking”; uno di quei pensieri
che rendono il mondo presente per qualche minuto meno insopportabile.
In
concreto non avverrà, anche se il trattato istitutivo della Corte – firmato a
Roma nel 1996 ed entrato in vigore nel 2002 – obbliga gli Stati aderenti a
comportarsi di conseguenza.
A
“Bibi” e al suo ex ministro della difesa – quello che aveva affermato “stiamo combattendo contro animali
umani e ci comporteremo di conseguenza” – basterà non andare in uno dei 120
paesi che l’hanno ratificato (all’appello mancano Usa, Cina, Russia e la stessa
Israele – che pure l’aveva inizialmente firmato – più una serie di paesi
minori).
Di
certo non potrebbero venire in Europa, anche se non riusciamo a vedere uno dei
pallidi servi dell’impero Usa provare a mettere le manette ai macellai della
popolazione di Gaza (il fascistoide Orbàn già lo ha invitato a fargli visita…).
La
decisione della Corte, comunque, è a suo modo storica.
È
infatti la prima volta che figure di vertice di un paese occidentale – Israele
è dichiaratamente la longa manus degli Stati Uniti in Medio Oriente – vengono
inseriti nella lista dei “ricercati” per crimini di guerra (in attesa del giudizio pendente per
l’accusa di genocidio presso la Corte di Giustizia, sempre a L’Aja).
Subito
i “camerieri” e i complici dei genocidi sono scattati a difesa del loro
“collega”.
Del
resto, dopo 13 mesi di bombardamenti e massacri, dopo 75 anni di occupazione e
massacri, stanno difendendo anche o soprattutto sé stessi.
Abbiamo
visto obiezioni abiette secondo cui “non si possono mettere sullo stesso
piano i leader di uno stato democratico e i terroristi di Hamas“ (sono stati emessi mandati di
cattura anche per Haniye e Sinwar, nel frattempo uccisi, oltre che per Deif,
della cui sorte non si sa ufficialmente nulla). Come se un reato del genere (crimini
di guerra) non potesse “per principio” essere contestato a degli occidentali (le “democrazie” sono altra cosa, e
di molti tipi).
Altrettanto
ridicoli gli arzigogoli para-giuridici, come “la Corte non ha giurisdizione su
Israele perché Tel Aviv non aderisce al trattato istitutivo “.
Ci
vuole un attimo a verificare che invece può benissimo processare e condannare
cittadini di uno “Stato non parte” del trattato, se questi hanno aggredito uno
“Stato parte“.
E la
Palestina aderisce e riconosce la Corte Penale.
Sofismi
e menzogne a parte, la portata storica della decisione rompe forse
definitivamente la “narrazione” e l’ideologia che copriva larga parte del
cosiddetto “diritto internazionale”.
Se, infatti, “la legge non è uguale per tutti”
non esiste né la legge né i tribunali.
Va
infatti ricordato che tutta questa architettura legale ha preso definitivamente
corpo dopo la “caduta del Muro”, negli anni ’90, quando l’Occidente neoliberista – e
quindi soprattutto gli Stati Uniti – era rimasto l’unico “sceriffo in città”,
in grado di decidere chi e cosa era “fuorilegge”, la sentenza e la punizione.
Non a
caso, fin qui la Corte aveva messo in Stato d’accusa solo leader di paesi
africani (Congo,
Repubblica Centrafricana, Uganda, Darfur-Sudan, Kenya, Libia, Costa d’Avorio,
Mali, Burundi), o di “nemici dell’Occidente”, come in Georgia, e infine Vladimir Putin.
Un
“braccio legale” che aveva servizievolmente accompagnato gli assalti
dell’imperialismo, chiudendo gli occhi, il naso e la bocca davanti ai suoi
orrori. Tant’è che diversi paesi africani avevano più volte contestato il suo
operato, così evidentemente a doppio standard.
Questi
mandati di cattura contro i genocidi israeliani, invece, sembrano affermare il
principio base di ogni legislazione seria: “La legge è uguale per tutti”.
E un
crimine di guerra è un crimine di guerra, chiunque lo commetta.
Ma ora
ogni re e ogni diritto resta nudo.
La reazione occidentale dimostra al resto del
mondo che certi “reati universali” – crimini di guerra e genocidio in testa –
valgono solo se servono ad accusare i propri nemici.
Ma non
possono essere mai imputati a uno dei componenti della “comunità internazionale
occidentale”.
Proprio
come pretendono i sionisti quando teorizzano che l’unico genocidio della storia
è quello che hanno subito gli ebrei, e dunque Israele – che però non rappresenta affatto
“tutti gli ebrei”, ma solo la loro frazione colonialista – non può essere
accusato di un simile crimine.
Sappiamo
bene che è molto più probabile che finiscano in galera i giudici della Corte
Penale de L’Aja che non “Bibi” e Gallant. Trump già promette sanzioni contro
di loro dopo il suo insediamento.
Mentre
il Mossad probabilmente è già sulle loro tracce (contro il procuratore, il britannico
Karim Khan, erano già partite accuse di “molestie sessuali”, secondo lo schema
usato per tenere per anni in galera Julian Assange).
Siamo
in tempi di guerra e “la legge” dipende dal suo esito. Anche per processare i
nazisti come autori del “male assoluto”, in fondo, fu necessario prima batterli
sul campo.
È
tempo che Israele e l’imperialismo, insomma il suprematismo occidentale,
finiscano effettivamente sul banco degli imputati e quindi fuori dalla Storia.
Ma i
tribunali arriveranno ad avere potere effettivo solo dopo…
(Dante
Barontini).
(contropiano.org/editoriale/2024/11/22/il-tribunale-della-storia-aspetta-netanyahu-0177815).
Schlein,
perché è
radical
chic?
Italiaoggi.it
- Michele Magno – (1-9-2023) – ci dice:
Il
termine fu inventato a New York da “Tom Wolfe” per coloro che hanno la puzza al
naso.
Quando
il “salotto di Bernstein” coccolava le “black panthers”.
Nelle
baruffe tra la segretaria del Pd e la minoranza (dopo l'addio di una trentina
di dem liguri passati ad Azione), spia di un dibattito politico nervoso e
sconclusionato, è degno di rilievo l'uso polemico, pubblico nella stampa che
sostiene il governo e privato tra i suoi oppositori interni, di un termine che
appartiene alla vulgata socio-satirica della destra.
Il
lemma «radical chic», del resto, ha perso da tempo il suo significato
originario.
Che le
virtuose intenzioni di Elly Schlein, come quelle delle dame fabiane che
nell'Inghilterra di fine Ottocento assistevano i poveri e i carcerati, abbiano
assunto forme talvolta irritanti o patetiche, è fuor di dubbio.
Ma non
è una buona ragione per dimenticare che deridere i radical chic è un mestiere
elettoralmente redditizio soprattutto per “Matteo Salvini” e” Giorgia Meloni”.
Facciamo,
allora, un passo indietro.
È il
14 gennaio 1970. Siamo a Manhattan, in un lussuoso attico che domina Park
Avenue.
Il padrone di casa è “Leonard Bernstein”, “Lenny
per gli amici”, musicista, compositore, pianista, direttore d'orchestra.
Serviti da una squadra di camerieri
rigorosamente bianchi (devono essere bianchi per non offendere gli
afroamericani ospiti), tra gli invitati ci sono Jason Robards e Lillian
Hellman, Giancarlo Menotti e Aaron Copland, Mike Nichols e Richard Avedon,
Peter Duchin e Arthur Penn, Harry e Julie Belafonte, Sidney Lumet e Otto
Preminger.
Il
party è offerto per raccogliere fondi per la difesa legale dei membri del”
Black Panther Party” in prigione con pesantissime accuse (da cui saranno
prosciolti).
Quel
party verrà raccontato dal dandy metropolitano “Tom Wolfe “in «Radical Chic,
That Party at Lenny's» (in italiano «Il fascino irresistibile dei
rivoluzionari da salotto», Castelvecchi, 2014), un lungo resoconto dell'evento
pubblicato dal New York Magazine nel giugno 1970.
Con la
locuzione radical chic, Wolfe intendeva designare una certa sinistra snob,
mondana e progressista.
Locuzione
che sarà poi tradotta in altre lingue, sempre con una connotazione vagamente
dispregiativa, come «gauche caviar», sinistra caviale, in francese, «esquerda caviar» in portoghese, «salonkommunist» in tedesco.
Al
centro della serata ci sono “Robert Bay”, “Don Fox” e altri giovani
afroamericani in rappresentanza delle” Black Panthers”.
I
camerieri servono bocconcini di roquefort ricoperti di noci tritate.
Vengono
scambiate ricette di cibo «soul».
Poi,
in un clima definito da Wolfe da «nostalgie de la boue» (nostalgia del fango), cioè dalla voglia di esplorare lo
stile di vita delle classi inferiori, esplode un'accesa discussione, che
Charlotte Curtis in due articoli scritti per il New York Times del giorno dopo
titola «Un elegante tour dei quartieri poveri».
Wolfe
è stato molto di più di un semplice giornalista.
Con il
suo modo di fare, da dandy del Sud, e i suoi completi bianchi, molto eleganti e un
po''vecchio stile, ha rivoluzionato il modo di fare informazione.
Nato
nel 1930 a Richmond, in Virginia, Wolfe è morto il 14 maggio 2018. Satirico, beffardo, conservatore,
acuto osservatore dei costumi del suo tempo, ha conquistato il grande pubblico
con i suoi romanzi, anzitutto con «Il falò delle vanità» (1987), un ritratto impietoso del mondo di
Wall Street (finito sul grande schermo grazie a Brian De Palma).
Se in
Francia fu Raymond Aron, da noi fu Indro Montanelli a riprendere i temi del
padre del «New Journalism» in un altro celebre articolo del 1972 sul Corriere
della Sera.
L'attacco era rivolto a Camilla Cederna,
principale ispiratrice della lettera aperta pubblicata l'anno precedente sul
settimanale L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi.
Ma
probabilmente il suo vero obiettivo era Giulia Maria Crespi, la zarina della borghesia
imprenditoriale milanese, proprietaria del quotidiano di Via Solferino da lei schierato
su una linea progressista con la direzione di Piero Ottone.
In
ogni caso,
i ricchi di sinistra di Wolfe, che «offrono champagne a quelli che li impiccheranno», non
furono impiccati, ma rimasero impiccati (Bernstein e i suoi amici artisti e
intellettuali) alla sua spietata definizione.
È così diventato radical chic tutto ciò che
odora di solidarismo («è per lavarsi la coscienza!») o di amore per la cultura
(«è per umiliare la gente semplice!»), e ovviamente di critica del populismo
(«è disprezzo per il popolo!»).
Insomma, è stato utilizzato per bollare quel vasto e
disorientato mondo detto «sinistra occidentale» come una ipocrita cricca di
potenti con la puzza sotto il naso, che ha perduto ogni «rapporto sentimentale»
(termine molto di moda nel Pd) con la classe operaia e i perdenti nella
lotteria della vita. Wolfe certamente esagerava, ma fino a un certo punto.
Cop29,
le reazioni all'accordo di Baku.
I Paesi poveri: "Deludente".
Ityaliaoggi.it
– Redazione – (24-11-2024) – ci dice:
Il
rappresentante dei 45 Paesi più poveri del pianeta ha denunciato un accordo
"poco ambizioso".
Trecento
miliardi di dollari all'anno, per dieci anni:
a Baku
i Paesi sviluppati si sono impegnati a finanziare maggiormente i Paesi poveri
minacciati dal cambiamento climatico, al termine di una caotica conferenza
delle Nazioni Unite in Azerbaigian, che include anche i Paesi in via di
sviluppo.
Il rappresentante dei 45 paesi più poveri del
pianeta ha denunciato un accordo "poco ambizioso".
"L'importo proposto è pietosamente
basso, è ridicolo", ha denunciato il delegato indiano Chandni Raina,
criticando la presidenza azera della Cop29.
L'impegno
finanziario dei Paesi europei, degli Stati Uniti, del Canada, dell'Australia,
del Giappone e della Nuova Zelanda, sotto l'egida dell'Onu, è quello di
aumentare dai 100 miliardi di oggi a "meno 300 miliardi di dollari"
all'anno entro il 2035 i loro prestiti e donazioni a Paesi in via di sviluppo.
"Una
montagna di lavoro da fare."
Soldi
per adattarsi alle inondazioni, alle ondate di caldo e alla siccità. Ma anche
per investire in energie a basse emissioni di carbonio invece di sviluppare le
proprie economie bruciando carbone e petrolio, come hanno fatto i Paesi
occidentali per più di un secolo.
Gli
europei, i principali donatori mondiali di finanziamenti per il clima, non
erano pronti ad andare oltre questo importo, in un periodo di restrizioni di
bilancio e di sconvolgimenti politici.
Ma
credono di aver contribuito a un risultato storico: "La Cop29 passerà alla
storia come l'inizio di una nuova era per la finanza climatica", ha
affermato il commissario “Wopke Hoekstra”.
Resta
il fatto che l'accordo della Cop29 lascia l'amaro in bocca a molti
partecipanti.
I Paesi più poveri del pianeta e gli Stati
insulari del Pacifico, dei Caraibi e dell'Africa avevano chiesto uno sforzo
finanziario almeno doppio.
"Nessun Paese ha ottenuto tutto ciò che
voleva e lasciamo Baku con una montagna di lavoro da fare, quindi questo non è
il momento di fare giri di parole", ha detto il responsabile del clima
delle Nazioni Unite,” Simon Stiell”.
L'Azerbaigian
ha combattuto contro l'Armenia per ottenere l'organizzazione della conferenza,
il più grande evento internazionale organizzato dal Paese.
Ma le
dichiarazioni del suo presidente contro la Francia, gli arresti di attivisti
ambientali e le vessazioni contro i parlamentari americani a Baku hanno
appesantito l'atmosfera.
Baku è stata una "esperienza
dolorosa", ha detto il ministro dell'Ambiente brasiliano “Marina Silva”,
che ospiterà la prossima “Cop” tra un anno.
In
quella che viene interpretata come una rivincita della “Cop28 di Dubai “dello
scorso anno, nell'accordo di Baku non viene fatta esplicita menzione della transizione
verso l'uscita dai combustibili fossili.
Per la
Francia accordo "non all'altezza delle sfide."
L'accordo
raggiunto domenica alla Cop29 è "deludente" e "non all'altezza
delle sfide", ha affermato il ministro francese della Transizione
ecologica” Agne's Pannier-Runacher”.
Nonostante
"diversi progressi", tra cui il triplicamento dei finanziamenti ai
Paesi poveri minacciati dal cambiamento climatico, la conferenza di Baku è
stata caratterizzata "da una reale disorganizzazione e da una mancanza di
leadership da parte della presidenza azera", ha affermato il ministro in
una dichiarazione inviata all'”Afp”.
Biden,
"Passo importante, nessuno fermerà la rivoluzione."
Il
presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha salutato l'accordo Cop29 come un
"passo importante" nella lotta contro il riscaldamento globale e ha assicurato che l'America
continuera' la sua azione nonostante l'atteggiamento scettico sul clima del suo
successore, Donald Trump.
"Alcuni
cercano di negare o ritardare la rivoluzione dell'energia pulita in corso in
America e nel mondo, ma nessuno può annullarla, nessuno", ha sottolineato
Biden.
Clima,
i punti principali
dell'accordo
di Baku.
Italiaoggi.it
– Redazione – (24-11-2024) – ci dice:
Content
Revolution.
Finanziamenti
per 300 miliardi di dollari l'anno ai Paesi in via di sviluppo. Obiettivo:
riduzione emissioni. Biden: "Passo importante, nessuno fermerà la
rivoluzione".
Delusione
dei Paesi più poveri.
La
29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha adottato
diverse decisioni, la principale delle quali stabilisce l'obbligo per i Paesi
ricchi di finanziare 300 miliardi di dollari all'anno, fino al 2035, la
transizione energetica e l'adattamento ai cambiamenti climatici dei Paesi in
via di sviluppo.
Ecco i
punti principali dell'accordo:
300
miliardi.
Era il
punto più atteso del vertice:
quanto
dovranno fornire ai Paesi in via di sviluppo 23 Paesi sviluppati e l'Unione
europea, designati nel 1992 come storicamente responsabili del cambiamento
climatico?
"Almeno
300 miliardi di dollari all'anno entro il 2035", stabilisce l'accordo di
Baku, fissando questo "nuovo obiettivo collettivo" in sostituzione
del precedente di 100 miliardi all'anno.
Si
tratta della metà di quanto richiesto dai Paesi in via di sviluppo, e uno
sforzo molto piccolo se si tiene conto dell'inflazione, hanno criticato le Ong.
"I
Paesi sviluppati sono all'avanguardia" nel raggiungimento di tale importo,
secondo la formulazione del testo, il che significa che altri possono
partecipare.
Il
testo prevede che il contributo dei Paesi ricchi provenga dai loro fondi
pubblici, integrati da investimenti privati che mobilitano o garantiscono, o da
"fonti alternative", il che significa possibili tasse globali, ancora
allo studio (sulle grandi fortune, sui trasporti aerei o marittimi).
Secondo
l'accordo, questi 300 miliardi dovrebbero costituire la leva per raggiungere un
totale di 1.300
miliardi di dollari all'anno entro il 2035 per i Paesi in via di sviluppo.
Questa cifra corrisponde al loro bisogno di
finanziamenti esterni, come stimato dagli esperti commissionati dalle Nazioni
Unite, “Amar Bhattacharya”, “Vera Songwe” e “Nicholas Stern”.
Nessun
obbligo per la Cina.
I
Paesi occidentali hanno chiesto di ampliare l'elenco degli Stati responsabili
dei finanziamenti per il clima, ritenendo che la Cina, Singapore e i Paesi del
Golfo fossero diventati più ricchi.
Ma soprattutto la Cina ha tracciato una linea
rossa:
non si
trattava di toccare questa lista.
L'accordo di Baku "invita" i Paesi
non sviluppati a fornire contributi finanziari, ma questi rimarranno
"volontari", si prevede esplicitamente.
L'accordo
contiene tuttavia una novità:
d'ora
in poi i finanziamenti per il clima provenienti dai Paesi non sviluppati
tramite le banche multilaterali di sviluppo potranno essere conteggiati
nell'obiettivo dei 300 miliardi.
Gli
europei lo hanno accolto favorevolmente.
Concessioni
ai Paesi più vulnerabili.
Sabato
hanno sbattuto provvisoriamente la porta, lamentandosi di non essere stati né
ascoltati né consultati, ma i 45 Paesi meno sviluppati (Pms) e il gruppo di
circa 40 piccoli Stati insulari sono stati finalmente convinti a non bloccare
l'accordo.
Volevano
che una parte degli aiuti finanziari fosse loro esplicitamente riservata,
contro il parere di altri Paesi africani e sudamericani.
Infine, l'accordo anticipa al 2030 l'obiettivo
di triplicare i finanziamenti, prevalentemente pubblici, che passano attraverso
i fondi multilaterali dove risultano prioritari.
Si
prevede inoltre che una tabella di marcia produca un rapporto per la Cop30 di
Belem, nel novembre 2025 in Brasile, su come sfruttare i finanziamenti per il
clima.
Fornirà
loro, tra le altre cose, una nuova opportunità di ottenere più denaro sotto
forma di donazioni, mentre oggi il 69% dei finanziamenti per il clima è
costituito da prestiti.
Obiettivo
minimo per l'uscita dai fossili.
Ogni
menzione esplicita della "transizione" verso l'uscita dai
combustibili fossili, il principale risultato della Cop28 di Dubai, è scomparsa
nella definizione dei testi principali.
Appare
solo implicitamente nei richiami dell'accordo adottato l'anno scorso.
Ma il
testo, che avrebbe dovuto rafforzarne l'attuazione, alla fine non è stato
adottato alla chiusura della Cop29, dopo una lunga battaglia che lo aveva già
in gran parte svuotato della sua sostanza.
Una
delle priorità dell'Unione europea, osteggiata dall'Arabia Saudita, era quella
di ottenere un monitoraggio annuale degli sforzi per uscire da petrolio, gas e
carbone: senza
successo.
La
disfatta dei vip radical chic e del
politically
correct, la vittoria
dei
cittadini-spazzatura.
Lucidamente.com
- Rino Tripodi – (19 Novembre 2024) – ci dice:
La
nettissima affermazione di Donald Trump dimostra la sovra rappresentazione
mediatica delle capricciose ideologie delle élite rispetto alla realtà e alle
esigenze delle persone comuni.
La
nettissima affermazione di Donald Trump dimostra la sovra rappresentazione
mediatica delle capricciose ideologie delle élite rispetto alla realtà e alle
esigenze delle persone comuni.
Qualcuno
si è mai chiesto (e ha fatto due conti) su quante siano in percentuale sul
resto della popolazione “normale” le star del cinema, della musica di consumo,
dello sport o le viziatissime “influencer”?
E, al
loro interno, quante di loro sono impegnate a diffondere il “verbo woke”, “politically
correct” e la “cancel culture?”
Se
aprite le pagine Wikipedia riguardanti i divi hollywoodiani, trovate spesso,
accanto ad «attrice», «top model» (ma non basterebbe saper recitare bene senza
essere pure bellissima?), l’aggiunta «attivista per i diritti civili».
Quali
sono i “diritti” difesi dalle star.
Chiariamo:
per
«diritti civili» o «umani» i vip non intendono quelli «sociali», cioè vitali ai
lavoratori e alle fasce basse della popolazione:
ovvero
lavoro, sicurezza, casa, scuola, sanità, trasporti, ecc.
Si
tratta, nel migliore dei casi, dell’ovvio diritto di non subire discriminazioni
etniche.
Poi,
del diritto di tutti (migranti) a spostarsi liberamente da un luogo all’altro,
da uno Stato all’altro.
Ma, in
genere, le élite “artistiche” e dello spettacolo, peraltro ignoranti e a
digiuno di cultura, arte, letteratura, musica colta, Storia, ecc., “lottano”
per i desideri, a volte capricci, di omosessuali, transessuali, della
cosiddetta comunità lgbtqia+, come quello di comprare neonati da donne povere
(utero in affitto).
Oltre al “#MeToo”, ovvero lo scandalo non
delle donne povere costrette ad abusi sessuali dal datore di lavoro o dal
“principale”, ma delle presunte violenze subite da donne famose da parte di
uomini potenti economicamente.
Se
volessimo proseguire nel giochino di quante sono in percentuale alcune
categorie rispetto al resto della popolazione, potremmo continuare con i
giornalisti, i baroni universitari progressisti, i presentatori tv, gli
influencer, gli scrittorucoli, gli artistoidi ecc.
E,
scendendo socialmente ancora di più verso le persone comuni, quanti sono i
normalissimi omosessuali che hanno scelto la noia del matrimonio e della coppia
o la fatica di accudire dei figli comprati da uteri in affitto?
E
quante le donne che hanno abortito o che sono in età e previsione di voler
abortire?
E, tra
questi/e, quanti/e sono i/le militanti che ne fanno una questione ideologica?
I
radical chic sovrastimati e il loro delirio di onnipotenza cadono alle elezioni.
Si
tratta di un’infima minoranza di privilegiati e/o di minoranza chiassosa che
solo il sistema di potere massmediatico sovra espone e sovra rappresenta
rispetto alle persone che lo meriterebbero (ad esempio, lavoratori che hanno
perso il proprio lavoro, lavoratori infortunati, le famiglie dei deceduti sul
lavoro, i danneggiati dai miracolosi “vaccini”).
È la maggioranza muta e silenziosa perché
nessuno le offre un microfono e neppure un trafiletto di giornale.
Per
questi ultimi, considerati dai vip, e dagli stessi “progressisti”,
«spazzatura», solo il silenzio.
Però,
al momento, e non si sa per quanto tempo ancora, ogni tanto occorre votare,
altrimenti il gioco sporco diventa – forse – troppo sporco.
E, allora, dappertutto, dove si vota, non
vincono quelli per cui fa il tifo il 90% dei potentati occidentali
capitalisti-neoliberisti-globalisti.
Spesso,
come in Spagna o Francia, o nella stessa Unione europea, ci si inventa
espedienti per evitare che i vincitori governino (leggi anche Urne ribaltate).
Altre volte, come in Italia e, pochi giorni
fa, negli Stati uniti, le vittorie della «spazzatura» (secondo la terminologia
radical chic) sono talmente ampie che non si può far nulla per rovesciare il
risultato delle urne.
La
vittoria del buonsenso, della normalità e della povera gente.
Soffermiamoci
sul caso Donald Trump, che è il più recente, ma anche il più clamoroso e
significativo.
Si è
fatto di tutto per evitare che il discutibile candidato prevalesse:
dagli insulti ai processi penali, dalla
criminalizzazione ai veri e propri attentati.
Alla
vigilia delle elezioni del 5 novembre, tutti i sondaggi davano per sicura
vincente l’avversaria, Kamala Harris.
Persino quando i risultati reali che stavano
pervenendo fossero chiari, si parlava di “testa a testa”, forse nella speranza
che, come nel 2020, qualcosa “si sistemasse” nelle schede scrutinate.
Ma
sono state proprio queste a decretare la sonora sconfitta dell’establishment
“progressista”.
Non
solo della scialba Harris, ma di tutto l’apparato ideologico politically
correct, coi loro estremismi woke (aggressione di chi non la pensa allo stesso
modo) e cancel culture (eliminazione di tutte la Storia, le radici e le tradizioni
del passato per rendere gli individui degli atomi isolati, ignoranti e quindi
deboli).
Hanno
vinto la normalità e il buonsenso.
Dappertutto,
tranne che in poche enclave territoriali popolate da privilegiati, come Los
Angeles, New York, Washington città (leggi Nicola Porro, La sconfitta
della “Ztl” americana. Le zone chic dove ha stravinto Kamala).
Se ce ne fosse stato bisogno, la vittoria schiacciante
di Donald Trump dimostra quanto alla gente comune (bianchi e neri, latinos e
islamici, uomini e donne, etero e gay, imprenditori e lavoratori, vecchi e
giovani) stiano sulle scatole i radical chic, la teoria gender, i capricci
fatti passare per diritti (che dovrebbero essere uguali per tutti/e non privilegi di presunte “comunità”), il
classista utero in affitto, l’aborto praticato quasi al nono mese.
L’intolleranza
degli autodefinitisi “buoni.”
E,
ancora, gli intellettuali da salotto, la criminalizzazione di chi la pensa
diversamente da loro, il disprezzo per il cristianesimo se non in chiave
bergogliana, l”’antifa” in assoluta assenza non solo di fascismo ma anche di
autoritarismo, l’odio verso famiglia e procreazione naturali, le nazi-femministe,
l’immigrazionismo dannoso per gli stessi migranti e il terzomondismo astorico,
l’odio verso le forze dell’ordine, gli ecoterroristi, i giornalisti su libro
paga e altra – questa sì – “spazzatura”.
E,
dunque, la maggioranza dei cittadini se ne frega delle incolte star di
Hollywood e della musica di consumo, e degli artistoidi da strapazzo, che
straparlano sui media asserviti, non accontentandosi di far soldi sugli idioti,
ma pure volendo imporre il loro Verbo (ne fa un rapido e inevitabilmente
incompleto elenco Tony Damascelli in” L’orchestra dei trombettieri anti Trump”).
Per non dire dell’ipocrisia di chi invita a
non votare la “razzista” Marine Le Pen e poi cade – forse – in qualcosa di
davvero grave (Mbappé indagato per “stupro e aggressione sessuale” dopo la sua visita a
Stoccolma).
I
disastri della globalizzazione delle élite.
Il
connubio élite economico-finanziarie/sinistra progressista è riuscito a
cancellare in pochi decenni secoli di progressi sociali.
I partiti in difesa del lavoro e dei
lavoratori sono stati occupati da radical chic che hanno barattato i diritti
sociali per quelli, più fumosi, “umani” o civili.
Tutto
ciò ha provocato, tra l’altro, l’impoverimento delle classi medie e
medio-basse, che è palese nella trasformazione del tessuto urbano: città-mondo,
non luoghi, loro gentrificazione, centri storici ridotti a bed and breakfast e
mangiatoie per turisti, banlieue.
E, ancora, precariato e precarietà,
insicurezza, dittatura sanitaria dell’Oms, vendite a domicilio a danno dei
negozi di quartiere, giovani sbandati, diffusione capillare di droghe ed
eccessi di ogni tipo, scuola di pessima qualità…
Concretezza
e realismo contro astratti e fumosi ideologismi
Alle
persone e ai cittadini (si può ancora dire “popolo”?) interessa invece avere
prospettive economiche, speranze per il futuro, occupazione, sicurezza in casa
e per le strade, lotta alla criminalità diffusa…
Si tratta di un’analisi politica condivisa
pure dai pochi esponenti di una sinistra rimasta non solo di sinistra, ma anche
lucida, come il rieletto (per la quarta volta) senatore socialista del Vermont “Bernie
Sanders”
(leggi” Vincenzo Giardina”, Elezioni Usa, per Sanders risultato ovvio perché “i
democratici hanno abbandonato i lavoratori”).
E più
i “progressisti” e le sinistre gridano a un pericolo fascismo che non esiste, a
continue emergenze, che semmai vanno affrontate con pragmatismo e razionalità e
non con isterismi e perseguitando i “negazionisti”, più le persone voteranno
per sovranisti e populisti, magari rossobruni…
Trump
sarà un toccasana? No.
Ma
cambierà molto rispetto al conformismo degli ultimi decenni.
È sufficiente vedere chi sta nominando nel suo
team.
Su
guerre, deep state, dittatura sanitaria, si profilano scelte coraggiose.
Chi lo definisce un fascista o un autoritario
o è in cattiva fede o è un cieco impregnato di ideologia trinariciuta.
È
piuttosto catalogabile tra i libertari populisti.
Certo,
c’è chi pensa che, se l’elettorato non vota bene (per chi sappiamo), occorre
truccare il gioco elettorale o proprio cambiare l’elettorato (leggi anche
Viviamo davvero in regimi democratici?).
Come? Con una massiccia dose di migranti.
E allora?
Questi,
provenienti da culture tradizionaliste, non tollerano neppure l’infedeltà
coniugale e l’omosessualità, figuriamoci le nozze gay e la “gestazione per
altri”…
Le
immagini: a uso gratuito da Pexels (autori: Charles Criscuolo; Rosemary
Ketchum; Michael Anthony).
(Rino
Tripodi)
L’Occidente
sotto lo stivale
dell’oligarchia
finanziaria.
Lucidamente.com
– Giuseppe Licandro – ( 5 Novembre 2024) – ci dice:
Nel
saggio “I padroni del mondo” (Laterza)” Alessandro Volpi “spiega come i fondi
d’investimento stiano distruggendo la democrazia e il libero mercato.
Qualcosa,
tuttavia, sta cambiando nei rapporti commerciali internazionali.
Il
capitalismo occidentale odierno è contrassegnato dal netto predominio dei
gruppi finanziari.
Il mercato, infatti, è egemonizzato da alcune grandi
banche (Bnp
Paribas, Bpce, Goldman Sachs, J. P. Morgan, Morgan Stanley, ecc.), nonché da
molti fondi d’investimento (Allianz group, Amundi, BlackRock, Bny investment,
Capital group, Fidelity investment, Franklin Templeton investment, Invesco,
Legal & general group, Northern trust, Prudential financial, State street
corporation, T. Rowe Price group, Ubs, Vanguard group.
I
nuovi “signori del mondo.”
La
loro potenza si calcola in base all’Asset under management (Aum), l’indice che
esprime la quantità di denaro gestito da ogni operatore (vedi RankiaPro,
Ranking delle 20 società di gestione di fondi con l’Aum più elevato al mondo).
Allora,
sarà un caso che il 1° ottobre scorso il presidente del Consiglio italiano
Giorgia Meloni ha incontrato a Palazzo Chigi “Larry Fink”, presidente e
amministratore delegato di “BlackRock?
Si
tratta del più potente fondo d’investimento statunitense, con un patrimonio
stimato di oltre nove mila miliardi di dollari.
Le sue
scelte, pertanto, «condizionano profondamente l’andamento dell’economia globale
e dei singoli paesi» (vedi Le ragioni dell’incontro tra Giorgia Meloni e Larry
Fink, il capo di BlackRock).
BlackRock
possiede quote azionarie di molte imprese italiane (Enel, Eni, Intesa Sanpaolo,
Leonardo, Mediaset, Mediobanca, Poste, Snam, Stellantis, Unicredit, ecc.) e intende acquisire ulteriori asset
delle nostre aziende pubbliche (in barba al “sovranismo” sbandierato dalla coalizione
governativa).
Per
capire fino in fondo la forza economica dei gestori dei fondi d’investimento,
consigliamo la lettura del saggio “I padroni del mondo”. Come i fondi
finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia (Laterza, pp. 192, €
15,00) di Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea all’Università di
Pisa.
Un
immenso trust.
L’autore
evidenzia come lo smantellamento del “welfare state” abbia causato in vent’anni
«lo spostamento di risorse verso fondi finanziari che le hanno utilizzate per
diventare i pivot decisivi dell’intero sistema economico mondiale».
“BlackRock”
ha costituito con “State street corporation” e “Vanguard group “un immenso
trust che «possiede le Borse, determina i prezzi, ha partecipazioni decisive
nel sistema produttivo globale».
L’oligopolio
controlla anche «le agenzia di rating […], gran parte della stampa economica,
le principali banche del pianeta, le assicurazioni, la farmaceutica,
l’industria militare, le società hi-tech, l’intera filiera alimentare e quella
dell’energia».
I Big
three, inoltre, sono gli azionisti di riferimento di vari colossi delle
telecomunicazioni (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Netflix).
Vanguard, in particolare, possiede circa il 7% di Tesla, l’azienda che ha reso
Elon Musk l’uomo più ricco del mondo (vedi Il sogno distopico di Elon Musk: i
tecnocrati al potere).
La
distruzione dello “stato sociale” italiano.
Il
disfacimento dello “stato sociale” italiano sta avvenendo attraverso la
contrazione della spesa pubblica, la defiscalizzazione e la vendita delle
proprietà statali.
Tutto
ciò determina «il progressivo trasferimento di una serie di servizi dal
pubblico al privato».
La Legge sull’autonomia differenziata rischia
di affossare il Servizio sanitario nazionale, mentre un’ampia parte di
cittadini si cura a pagamento oppure rinuncia a farlo (vedi Federica Pennelli, Nel 2023 4,5
milioni di cittadini hanno rinunciato a curarsi: la maggior parte sono donne).
L’Istituto
nazionale della previdenza sociale (Inps) versa in gravi condizioni.
La riduzione dei versamenti contributivi –
dovuta ai salari bassi e all’evasione fiscale – sta provocando, infatti,
«l’insostenibilità dei conti Inps che rischia di non essere più in grado di
pagare le pensioni», mentre aumenta il ricorso alla previdenza complementare.
Il
processo di privatizzazione avanza anche nella telefonia, settore nel quale “Tim”
ha ceduto la gestione della rete a “Kkr”, un fondo d’investimento controllato
dai “Big three”.
Le
vere cause dell’inflazione.
L’azienda
Autostrade per l’Italia, invece, è ritornata in mano allo Stato, ma solo
parzialmente.
Il 49% delle azioni, infatti, appartiene alla società
finanziaria Blackstone Group e alla banca Macquarie Group.
I
fondi d’investimento si sono accaparrati anche ampie quote delle multiutility
(A2A, Acea, Alia, Hera, Iren, ecc.) che amministrano i servizi pubblici locali
(acqua, energia, rifiuti, trasporti, ecc.).
I manager di queste società mirano a «pagare
dividendi robusti ai propri azionisti» e non esitano ad aumentare le tariffe o
a peggiorare la qualità delle prestazioni erogate.
La
vendita delle proprietà statali è aumentata dopo l’impennata dei prezzi del
2021 e il rialzo dei tassi d’interesse deciso dalla Banca centrale europea
(Bce), che, danneggiando le aziende, consentono alla finanza privata di «fare
shopping a sconto».
L’inflazione,
tuttavia, è stata indotta proprio dai «grandi fondi che hanno scommesso
sull’andamento dei prezzi, facendoli lievitare […] con le proprie scommesse al
rialzo».
La
fine del libero mercato.
Il
capitalismo neoliberista non rispetta più le regole dell’economia classica,
fondate sulla concorrenza e il libero mercato.
La
produzione e il commercio delle merci, infatti, sono monopolizzati da poche
multinazionali, a loro volta controllate dai fondi d’investimento.
Sono i
giganti finanziari, quindi, «a decidere i prezzi e […] a scegliere cosa deve
continuare ad essere oggetto della produzione», determinando – in base alla
loro convenienza – anche l’alternarsi dell’inflazione o della deflazione.
BlackRock,
Street state corporation e Vanguard group occupano attualmente il vertice della
piramide economica.
Non
esiste, tuttavia, un “capo assoluto” perché «ciascuno dei fondi ha
partecipazioni negli altri due».
Essi, dunque, si controllano a vicenda
attraverso una serie di incroci azionari che rende impossibile «comprendere chi
sia il vero proprietario».
Il
loro predominio incontrastato, tuttavia, riguarda soltanto il mondo
occidentale, perché sono ancora poco presenti nel mercato asiatico, dove
comandano invece le holding cinesi (Alibaba, Huawei, Tencent, ecc.).
Le
controverse scelte della Bce.
Le
speculazioni operate dai fondi d’investimento hanno inciso sull’aumento del
debito mondiale che in dieci anni è quasi raddoppiato, raggiungendo 307 mila
miliardi di dollari.
La Federal Reserve cerca di tenere sotto controllo le
finanze statunitensi, stampando dollari e comprando una parte dei bond emessi
dalla Casa bianca.
La
Bce, invece, ha abbandonato la politica espansiva del “Quantitative easing”,
aumentando i tassi d’interesse e riducendo notevolmente l’acquisto dei titoli
di Stato.
La Ue,
dunque, persegue la strada dell’austerità «rifiutando qualsiasi ipotesi di
utilizzo dell’euro per il finanziamento del debito».
Le
scelte della Bce avvantaggiano soprattutto la finanza privata che, grazie alle
speculazioni, può comprare i bond dei Paesi della Ue a tassi molto vantaggiosi.
Ciò, tuttavia, significa che «le sorti degli
Stati dipendono sempre più dalle scelte di Vanguard, BlackRock, State street,
Amundi e pochissimi altri gestori» (vedi Nulla succede per caso. Soprattutto in
economia…).
Come
si definisce il prezzo delle merci.
I
grandi fondi d’investimento controllano anche le agenzie di rating (Fitch,
Moody’s, Standard & Power, ecc.) che «esprimono valutazioni decisive sulla
finanza pubblica e privata», orientando così l’andamento del mercato.
L’andamento
dei prezzi, pertanto, non dipende dalla legge della domanda e dell’offerta, né
dal costo del lavoro o delle materie prime.
A
influenzarlo sono le decisioni prese «nelle grandi Borse merci del pianeta, in
particolare in quelle di Chicago, di Parigi e di Mumbai», dove «sono
soprattutto le scommesse a determinare i prezzi reali».
Le
attività speculative vengono spesso implementate tramite l’intelligenza
artificiale, grazie a software molto sofisticati come “Aladdin”, che «elabora
dati per tradurli nelle scelte d’investimento» e crea «scommesse in grado di
autoavverarsi».
Di
tutto ciò non parla quasi mai la grande stampa economica (Financial times, Fox, Wall street
journal, ecc.), che, ovviamente, è sotto il controllo dei Big three.
Ma
neppure la maggioranza dei quotidiani e dei periodici “indipendenti” e, magari,
classificati come “progressisti”.
La
forza crescente dei Brics.
I
“padroni del mondo” stanno uccidendo anche la democrazia.
I
governi e i parlamenti, infatti, possiedono ormai «spazi di autonomia […] molto
ridotti».
Lo strapotere dei fondi d’investimento statunitensi
potrebbe essere limitato soltanto dall’avvento di una finanza alternativa,
costruita da un «blocco monetario internazionale del Sud globale, con un ruolo
egemone della Cina».
Tale
prospettiva sembra comunque a Volpi «ancora molto lontana»: gli Usa, infatti,
contrastano con ogni mezzo la trasformazione del sistema geopolitico planetario
(vedi A “novanta secondi” dall’apocalisse).
Qualcosa,
tuttavia, sta cambiando nei rapporti commerciali internazionali, come dimostra
la forza crescente del raggruppamento economico formato da Brasile, Russia,
India, Cina e Sudafrica (Brics), estesosi recentemente anche a Egitto, Emirati arabi uniti, Etiopia e Iran.
Queste
nazioni, infatti, cooperano tra loro senza prevaricazioni, prediligendo «il
dialogo interculturale in una paritaria diversità» (“Elena Basile”, La riunione Brics,
esempio di cooperazione globale, nel “il Fatto Quotidiano,” 29 ottobre 2024).
Il
contenzioso climatico strategico
ed il
principio della separazione dei poteri.
Questionegiustizia.it
– Luca Saltalamacchia - avvocato del Foro di Napoli- (12-11-2024) – ci
dice:
Breve
disamina delle soluzioni adottate dalla giurisprudenza nei casi Urgenda,
Giudizio Universale e KlimaSeniorinnen.
«Esistono,
in ogni Stato, tre sorte di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo
delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere esecutivo di
quelle che dipendono dal diritto civile …
Quest’ultimo
potere sarà chiamato il potere giudiziario, e l’altro, semplicemente esecutivo
dello Stato.
La
libertà politica, in un cittadino, consiste in quella tranquillità di spirito
che proviene dalla convinzione, che ciascuno ha, della propria sicurezza;
e,
perché questa libertà esista, bisogna che il governo sia organizzato in modo da
impedire che un cittadino possa temere un altro cittadino.
Quando
nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo
è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere che lo
stesso monarca o lo stesso senato facciano leggi tiranniche per attuarle
tirannicamente.
Non vi
è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da
quello esecutivo.
Se
esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei
cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso
legislatore.
Se fosse unito con il potere esecutivo, il
giudice potrebbe avere la forza di un oppressore.
Tutto
sarebbe perduto se la stessa persona, o lo stesso corpo di grandi, o di nobili,
o di popolo, esercitasse questi tre poteri:
quello
di fare leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni e quello di
giudicare i delitti e le liti dei privati»
(Charles
De Secondat barone di Montesquieu, De l’esprit des lois).
«I
tribunali nazionali, quando sono chiamati a giudicare una questione relativa
all’esercizio del potere esecutivo, non devono declinare la propria competenza
sulla base della natura politica della questione, se tale esercizio del potere
è soggetto a una norma di diritto internazionale»
(articolo 2 della risoluzione adottata dalla nona
commissione dell’Institut de Droit International, relatore Prof. Benedetto
Conforti, in data 7/9/93).
1. Introduzione.
Il
numero di giudizi e di procedimenti aventi natura quasi-giudiziaria che hanno
per protagonista il cambiamento climatico è in rapido aumento.
Si è
già detto in ordine alle caratteristiche di questo fenomeno, che riguarda anche
l’Italia, essendo stati lanciati nel nostro paese diversi contenziosi di questo
tipo.
Il
primo, identificato come “Giudizio Universale” dal nome della campagna che lo
ha accompagnato, riguarda una causa proposta dinanzi al Tribunale civile di
Roma contro lo stato italiano.
I 203
attori (tra cui 24 associazioni e 179 individui) hanno basato le loro richieste
sulla non contestata – né dallo Stato, né dal Tribunale di Roma – emergenza
climatica, intesa come situazione di minaccia esistenziale irreversibile che
riguarda alcuni diritti umani fondamentali.
Tale
minaccia può essere interrotta secondo la comunità scientifica, ed anche
secondo la comunità degli Stati, solo dando piena ed efficace applicazione
all’Accordo di Parigi, il quale all’art. 2 individua l’obiettivo di
contenimento dell’aumento delle temperature globali («ben al di sotto di 2°C
rispetto ai livelli preindustriali e proseguendo l'azione volta a limitare tale
aumento a 1,5°C») e stabilisce i principi (quelli dell’equità, delle
responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità) che devono
guidare le politiche climatiche degli Stati volte a realizzarlo.
La
comunità degli Stati, nelle decisioni adottate in occasione delle successive
COP, ha poi abbandonato la prima soglia («ben al di sotto di 2°C»), chiarendo
che il target da perseguire è quello del contenimento dell’aumento delle
temperature entro 1,5°C.
Orbene,
gli attori hanno evidenziato, mediante il deposito di copiosa documentazione, il macroscopico disallineamento delle
politiche climatiche italiane rispetto al suddetto target stabilito
dall’Accordo di Parigi, e su tale premessa hanno formulato al Tribunale di Roma
una serie di domande volte ad ottenere l’accertamento della responsabilità
dello Stato italiano per aver contribuito a creare una situazione di minaccia
al godimento dei diritti fondamentali travolti dal cambiamento climatico,
nonché la sua condanna a ridurre le emissioni entro il 2030 di una percentuale
in linea con il target fissato dall’Accordo di Parigi.
Peraltro,
l’individuazione di tale percentuale è stata demandata all’autorevole “istituto
di ricerca Climate Analytics”, che ha prodotto due report specifici sulla
compatibilità del piano di riduzione delle emissioni approvato dal governo
italiano con il target fissato dall’Accordo di Parigi, pervenendo alla drastica conclusione
che le attuali politiche climatiche sono del tutto fuori rotta rispetto ad
esso.
Non è
possibile in questa sede approfondire la complessità di tale giudizio;
ci si limiterà a rilevare che lo stesso è
stato deciso dalla II Sezione civile del Tribunale di Roma con sentenza n. 3552
del 26 febbraio 2024, che ha sollevato – come era prevedibile – un enorme
dibattito, in particolare sull’utilizzo del principio della separazione dei
poteri.
Su
questo aspetto, ed in particolare sulla sua lettura anche alla luce della giurisprudenza del
Tribunale dell’Aja e della Corte europea dei diritti dell’uomo, si concentrerà l’attenzione del
presente scritto, con la consapevolezza che la delicatezza del tema avrebbe
meritato un maggiore approfondimento.
2. Il
contenzioso climatico strategico.
Prima
di entrare nel cuore della problematica, è opportuno accennare al fenomeno del
contenzioso strategico, il quale «è presente ovunque, ma non è definito da
nessuna parte.
Il concetto è utilizzato in tutto il mondo, da
professionisti, attivisti e studiosi. Tuttavia, non compare nei dizionari
giuridici (anche se esistono numerosi concetti contemporanei correlati) e non
esiste ancora una definizione concordata dagli studiosi».
Ciò
premesso, a grandi linee è possibile individuare la caratteristica principale
del contenzioso strategico:
quella
di selezionare casi in cui sono coinvolti i diritti di uno o più soggetti e di
lanciarli (per lo più dinanzi all’autorità giudiziaria, ma vi sono anche casi
strategici lanciati attraverso procedure quasi-giudiziarie) con l’obiettivo di
stimolare un dibattito e di sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche di
particolare importanza, che riguardano anche la collettività.
È
evidente che il contenzioso climatico rientra in tale categoria; in tutto il
mondo, la società civile ha proposto diversi contenziosi perché, a fronte di
una situazione oggettivamente grave consistente nell’emergenza climatica
foriera di minacce al godimento dei diritti umani fondamentali, le risposte dei
governi e delle grandi imprese climalteranti sono state decisamente inefficaci.
Il
contenzioso strategico mira, dunque, a raggiungere anche effetti che possiamo
definire “extra-giuridici”, ovvero effetti che vanno ben al di là del risultato
della procedura in sé considerato, e che si possono ottenere anche in caso di
rigetto della domanda.
Con il contenzioso strategico, lo strumento
processuale diventa una sorta di mezzo con cui la società civile esprime la
preoccupazione in relazione a determinate problematiche sensibili (nel nostro
caso, la risposta all’emergenza climatica), esortando così il potere politico
ad affrontare le stesse o a riflettere sul modo in cui esse sono state
affrontate.
Le
tematiche sensibili, quelle che la società civile ritiene debbano essere
affrontate in un certo modo dal potere politico, riguardano quindi
contemporaneamente singoli individui (i protagonisti del contenzioso, che
reclamano il rispetto dei propri diritti asseritamente minacciati o
compromessi) ma anche categorie più ampie, sino a ricomprendere l’intera
collettività.
Il
cambiamento climatico ne è un esempio paradigmatico:
l’emergenza
climatica minaccia i diritti fondamentali degli individui (praticamente,
chiunque), ma per poterla affrontare è necessario adottare delle scelte che
hanno delle ricadute sull’intero sistema-paese.
E qui
va evidenziata la caratteristica “critica” del contenzioso strategico in
generale (non solo di quello climatico).
Proprio
la sua finalità, difatti, costituisce anche il suo principale vulnus, perché
necessariamente esso impatta con il principio della separazione dei poteri.
Ridotta
all’essenziale, la criticità è collegata ai limiti dentro cui il potere
giudiziario, attivato con il contenzioso strategico, può assumere decisioni
quando le stesse riguardano sia la tutela dei diritti invocati dai ricorrenti,
sia questioni relative al sistema-paese o in generale alla collettività, per
loro natura devolute alla sfera di intervento del potere politico.
Il
potere giudiziario – procedendo con una semplificazione – applica il diritto ad
un determinato fatto, risolvendo un conflitto portato alla sua attenzione da
uno o più ricorrenti;
gli
effetti della sua decisione, normalmente, valgono e si riverberano solo tra le
parti processuali.
Attraverso
il contenzioso strategico, a causa della particolare importanza delle tematiche
sottoposte all’attenzione dell’autorità giudiziaria, le decisioni adottate
possono avere (e di regola hanno) anche ripercussioni su altri soggetti, o su
altre sfere sociali o addirittura sull’intera collettività, finendo con
l’interferire con l’ambito che il potere politico riserva alla sua
discrezionale competenza.
La
contraddizione sopra evidenziata può però essere letta anche all’inverso:
se è
vero che il principio della separazione dei poteri richiede la verifica dei
limiti alla sfera di intervento del potere giudiziario quando in gioco ci sono
da un lato i diritti fondamentali, dall’altro più ampie questioni che
riguardano il sistema-paese, è altrettanto vero che il medesimo principio
richiede anche la verifica simmetrica ed opposta:
ovvero, i limiti entro cui il potere politico
può adottare decisioni che riguardano la collettività o l’intero sistema-paese,
ma che hanno anche gravi ripercussioni sui diritti fondamentali di alcuni (o di
tutti) gli individui.
Esiste
una zona grigia tra la sfera di influenza del potere giudiziario e le
prerogative di esclusiva del decisore politico, dove può essere assai difficile
nella pratica individuare un confine chiaro e delimitato.
Questa
zona grigia diventa spesso il luogo di scontro non solo tra potere politico e
potere giudiziario, ma anche tra diverse visioni del diritto, o – meglio –
della finalità del diritto.
Di
recente, il nostro paese è stato investito da una fortissima polemica lanciata dal
Governo contro alcuni Magistrati, rei di non aver convalidato il fermo nel
centro di trattenimento albanese di Gjadër, impedendo così il “trasferimento”
(anche se il termine giuridico più pertinente nel caso di specie è quello di
“deportazione”) di “migranti” (anche se il termine giuridico più corretto è
quello di “naufraghi” raccolti in mare dalla nave Libra della Marina Militare
italiana) voluto dal Governo.
In
questo caso, il provvedimento dell’autorità giudiziaria è stato letto dal
decisore politico come invasivo e foriero di minare l’intero assetto della
politica di contrasto al fenomeno della migrazione “illegale”.
Il
violento attacco del “potere politico” nei confronti delle decisioni adottate
dal “potere giudiziario” che si è consumato in relazione a questa vicenda,
conferma l’assoluta delicatezza delle implicazioni del principio della
separazione dei poteri e delle sue ripercussioni sulle vicende giudiziarie che
attengono ai diritti dei singoli, ma che hanno anche ricadute più ampie.
Va da
sé che non esiste una ricetta univoca per dirimere il conflitto tra i due
poteri; è possibile però motivare le ragioni che spingono a collocare in un
preciso punto il confine tra le due sfere di competenza, ampliandone una a
discapito dell’altra.
Questo
contributo mira ad enucleare l’approccio adottato da tre Corti in relazione al
tema della insindacabilità delle scelte di politica climatica reclamata dal
decisore politico per effetto del principio della separazione dei poteri.
3. Il
caso “Urgenda” contro Paesi Bassi.
Nella
sentenza che ha deciso “Giudizio Universale”, il Tribunale di Roma,
curiosamente, richiama una serie di contenziosi climatici celebrati precedentemente
dinanzi ad altri Tribunali europei (tutti conclusi con l’accoglimento delle
domande), salvo poi discostarsene in maniera radicale.
Tra i
vari, il Tribunale di Roma richiama il caso Urgenda, probabilmente il contenzioso
climatico più famoso al mondo, che ha visto questa fondazione citare in giudizio lo
Stato olandese chiedendo al Giudice civile, sul presupposto che il cambiamento
climatico minaccia il godimento dei diritti fondamentali, di ordinare allo
Stato – similmente a quanto richiesto nel Giudizio Universale – di perseguire una percentuale di
taglio delle emissioni al fine di raggiungere obiettivi climatici più ambiziosi
di quelli programmati.
Il
governo olandese si è difeso eccependo – tra le altre argomentazioni – che
l’eventuale sentenza di condanna al raggiungimento di obiettivi climatici più
ambiziosi rispetto a quelli decisi in sede politica, attraverso il taglio più
massiccio di emissioni, avrebbe intaccato le prerogative riconosciute al
decisore polittico e, quindi, violato il principio della separazione dei
poteri.
Nella
sentenza di primo grado, il Tribunale dell’Aja rileva (Sez. E, punto 4.95) che
«il diritto olandese non prevede una completa separazione dei poteri dello
Stato, in questo caso tra esecutivo e giudiziario. La distribuzione delle
competenze tra questi poteri (e il legislatore) mira piuttosto a stabilire un
equilibrio tra gli stessi.
Ciò
non significa che un potere in senso generale abbia un primato sull'altro.
Significa invece che ogni potere dello Stato ha propri compiti e proprie
responsabilità.
Il
tribunale fornisce protezione legale e risolve le controversie legali, e deve
farlo se gli viene richiesto.
È una
caratteristica essenziale dello Stato di diritto che le azioni degli organi
politici (indipendenti, democratici, legittimati e controllati), come il
governo e il parlamento, possano - e talvolta debbano - essere valutate da un
tribunale indipendente».
Questo
controllo – prosegue la Corte – non ha natura politica, ma è limitato
all’«applicazione del diritto».
La
Corte è consapevole (punto 4.96) che «una richiesta di ingiunzione, come nel
caso in esame, in una causa contro il governo, potrebbe avere conseguenze
dirette o indirette su terzi» ma (punto 4.98) «la possibilità – e in questo
caso persino la certezza – che la questione sia anche e soprattutto oggetto di
decisioni politiche non è un motivo per limitare il compito del giudice e la
sua prerogativa che è quella di risolvere le controversie».
La
Corte, in sostanza, ritiene di dover esercitare il suo ruolo in presenza di una
questione (come quella sottoposta dalla fondazione Urgenda) che riguarda la
minaccia al godimento dei diritti fondamentali, anche se sicuramente la
relativa decisione avrà anche una ricaduta politica.
Secondo
il Tribunale dell’Aja, una sentenza che condanni lo Stato a rispettare le
convenzioni internazionali sul clima fissando obiettivi di riduzione delle
emissioni maggiori (nel caso di specie, la Corte ha condannato lo Stato
olandese al taglio delle emissioni del 25% rispetto ai livelli del 1990 entro
il 2020) rispetto a quelli pianificati dal potere politico, non viola il
principio della separazione dei poteri.
Per
contro, vi sarebbe una invasione delle prerogative del potere politico qualora
(punto 4.101) la Corte individuasse le concrete misure da adottare per
raggiungere il risultato finale di cui alla condanna.
La
Corte si ferma proprio a questo punto, riconoscendo che «lo Stato manterrà la
piena libertà, che gli spetta per antonomasia, di decidere come ottemperare
alla condanna in questione».
Questa
impostazione è stata poi sostanzialmente confermata nei successivi gradi di
giudizio.
4. La sentenza del Tribunale di Roma.
Per
quel che interessa il presente articolo, il Tribunale di Roma nella sentenza
sopra citata, accogliendo l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato, ha
deciso la causa dichiarando «inammissibili le domande proposte dagli attori per
difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale adito», compensando le spese di
lite.
L’argomento
centrale cavalcato dal giudice ruota intorno alla circostanza che «le decisioni
relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento
climatico antropogenico – che comportano valutazioni discrezionali di ordine
socio-economico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita
della collettività umana – rientrano nella sfera di attribuzione degli organi
politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio.
Con
l’azione civile proposta gli attori chiedono nella sostanza al Tribunale di
annullare i provvedimenti anche normativi di carattere primario e secondario
(come illustrati dalla Difesa erariale nelle pp. 11 e ss. della comparsa di
costituzione ed evincibili dalla documentazione depositata in data 15.03.2022),
che costituiscono attuazione delle scelte politiche del legislatore e del
governo per il raggiungimento degli obiettivi assunti a livello internazionale
ed europeo (nel breve e lungo periodo) in violazione di un principio cardine
dell’ordinamento rappresentato dal principio di separazione dei poteri».
Tralasciando
l’evidente manipolazione delle domande attoree (che non miravano certo ad
«annullare i provvedimenti anche normativi di carattere primario e secondario»,
non meglio identificati e peraltro – per quanto riguarda le norme primarie –
anche del tutto inesistenti nel nostro ordinamento), risulta chiaro che l’applicazione
che è stata fatta dal Tribunale di Roma del principio della separazione dei
poteri in questa sentenza è assai criticabile, perché finisce con attribuire al
potere politico una sorta di prerogativa decisoria insindacabile,
indiscutibile, arbitraria e – quindi – anche non generatrice di alcuna
responsabilità.
Il che
– in piena emergenza climatica conclamata ed alla presenza di accordi
internazionali da rispettare – è a dir poco paradossale.
Per il
Tribunale di Roma, il decisore pubblico, nell’individuare ed esprimere il
proprio orientamento in tema di politica climatica, è totalmente libero da
vincoli giuridici (siano essi di ordine costituzionale, siano essi derivanti
dall’ordinamento internazionale o sovranazionale) e da vincoli tecnico-scientifici (sul
punto, si ricorda che lo Stato italiano è membro dell’IPCC ed ha approvato
tutti i report scientifici da questo organismo prodotti).
Ma,
così opinando, non si viola proprio il principio della separazione dei poteri?
Spesso,
i decisori politici tendono a “leggere” e ad applicare questo principio per
ridurre la sfera di intervento del potere giudiziario, presentandosi come unica
“incarnazione” ed unica espressione dello Stato (la vicenda della deportazione
dei naufraghi in Albania è un chiaro esempio di questa tendenza: peraltro, in
questa occasione il “potere esecutivo” ha attaccato il “potere giudiziario”
ricorrendo all’emanazione di provvedimenti normativi, che dovrebbero competere
al “potere legislativo”, in barba alla rigorosa applicazione del principio
della separazione dei poteri).
Va tuttavia rilevato che anche il potere
giudiziario è un “potere dello Stato”:
il
principio della separazione dei poteri, così come dovrebbe evitare indebite
invasioni della Magistratura nelle prerogative tipiche della politica, così
dovrebbe evitare che il decisore politico rivendichi una totale impunità ed
insindacabilità da parte del potere giudiziario, quando le sue scelte incidono
sui diritti fondamentali.
Del
resto, uno dei fondamenti dello Stato di diritto è proprio questo:
le scelte, anche quelle connotate da un tasso di
discrezionalità, adottate dal Legislatore e dal Governo dovrebbero essere
sottoposte al controllo, volto alla verifica del rispetto delle regole, del
potere giudiziario indipendente qualora le stesse violassero, o minacciassero
di violare, diritti umani fondamentali.
Tutto
questo scompare nella sentenza del Tribunale di Roma.
5. La sentenza della Corte di Strasburgo nel caso
“KlimaSeniorinnen contro Svizzera.”
Qualche
settimana dopo la pubblicazione della sentenza da parte del Tribunale di Roma,
e precisamente in data 9/4/24, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha pubblicato
tre sentenze in altrettanti casi climatici sottoposti (per la prima volta) alla
sua attenzione.
Di
particolare rilievo, per il tema trattato, è la sentenza adottata nel caso
contro la Svizzera, lanciato da un’associazione (KlimaSeniorinnen) costituita
da donne anziane, nonché da alcune di esse individualmente, sul presupposto che
le ricorrenti, in ragione della loro età, appartengono ad una categoria
particolarmente vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici.
Le
ricorrenti lamentavano di vedere i propri diritti fondamentali (quali il
diritto alla vita ed alla salute) minacciati dalla inadeguatezza delle
politiche climatiche perseguite dallo stato svizzero e di aver invano attivato
i rimedi consentiti dall’ordinamento svizzero, promuovendo l’azione contro lo Stato
dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali, le quali avevano però rigettato il
caso senza entrare nel merito, dichiarandolo inammissibile.
Dinanzi
alla Corte di Strasburgo, la Svizzera – tra le altre argomentazioni difensive –
ha
sollevato anche l’eccezione della insindacabilità delle politiche climatiche
adottate in virtù del principio della separazione dei poteri.
La
Corte di Strasburgo ha esaminato con molta cura questa eccezione, riconoscendo
(par. 413) che
la responsabilità della gestione delle complesse questioni scientifiche,
politiche, economiche e di altro genere poste dal cambiamento climatico ricade
essenzialmente sul potere legislativo e sul potere esecutivo, e che quindi gli
organi nazionali che incarnano tali poteri sono quelli naturalmente deputati ad
affrontare le delicate sfide poste dal cambiamento climatico.
Per la
Corte (par. 412) «L’intervento giudiziario, anche da parte di questa Corte, non
può sostituire o supplire all’azione che deve essere intrapresa dai rami
legislativo ed esecutivo del governo.
Tuttavia,
la democrazia non può essere ridotta alla volontà della maggioranza degli
elettori e dei rappresentanti eletti, senza tener conto dei requisiti dello
Stato di diritto.
Il
compito dei tribunali nazionali e della Corte è quindi complementare a questi
processi democratici.
Il
compito della magistratura è quello di garantire la necessaria supervisione del
rispetto dei requisiti di legge.
La
base giuridica per l’intervento della Corte è sempre limitata alla Convenzione,
che le consente di determinare anche la proporzionalità delle misure generali
adottate dal legislatore nazionale […]
Il quadro giuridico pertinente che determina l’ambito
del controllo giurisdizionale da parte dei tribunali nazionali può essere
notevolmente più ampio e dipenderà dalla natura e dalla base giuridica delle
richieste presentate dai ricorrenti».
Per la
Corte, dunque, le scelte di politica climatica adottate dal potere politico non
sono esenti dal controllo da parte del potere giudiziario, controllo che è un
tratto caratteristico dello Stato di Diritto ed è, quindi, un elemento di
completamento della democrazia.
Quanto
sopra, è riconosciuto ancora più rilevante nell’epoca dei cambiamenti
climatici, se consideriamo i complessi orizzonti temporali che vengono in
rilievo quando si discute su come fronteggiare l’emergenza climatica,
soprattutto (par. 420) «considerando lo scenario di un aggravamento delle conseguenze
per le generazioni future, la prospettiva intergenerazionale sottolinea il
rischio insito nei processi decisionali politici in questione, ossia che gli
interessi e le preoccupazioni a breve termine possano prevalere su, e a scapito
di, esigenze pressanti di definizione di politiche sostenibili, rendendo tale
rischio particolarmente grave e aggiungendo la giustificazione della
possibilità di un controllo giurisdizionale».
La
Corte (par. 450) ribadisce poi che se le vengono sottoposti casi che
«riguardano la politica dello Stato in relazione a una questione che incide sui
diritti riconosciuti dalla Convenzione in favore di un individuo o di un gruppo
di individui, questo argomento non è più solo una questione politica, ma anche
una questione di diritto che incide sull’interpretazione e sull’applicazione
della Convenzione. In questi casi, la Corte mantiene la propria competenza,
anche se con una sostanziale deferenza nei confronti del decisore politico
nazionale e delle misure risultanti dal processo democratico in questione e/o
dal controllo giudiziario dei tribunali nazionali.
Di conseguenza, il margine di apprezzamento per le
autorità nazionali non è illimitato e va di pari passo con un controllo europeo
da parte della Corte, che deve accertarsi che gli effetti prodotti dalle misure
nazionali impugnate siano compatibili con la Convenzione».
La
Corte rileva (par. 413) che «l’inadeguatezza ampiamente riconosciuta della
passata azione statale per combattere il cambiamento climatico a livello
globale comporta un aggravamento dei rischi delle sue conseguenze negative, e
delle conseguenti minacce che ne derivano, per il godimento dei diritti umani -
minacce già riconosciute dai governi di tutto il mondo», rischi peraltro
«confermati dalle conoscenze scientifiche», che la Corte «non può ignorare nel
suo ruolo di organo giudiziario incaricato di far rispettare i diritti umani».
Sul
punto della discrezionalità del potere politico circa la pianificazione delle
politiche climatiche, la Corte conclude (par 543) riconoscendo che lo stato ha
«un certo margine di apprezzamento in questo settore» ma che «le considerazioni
di cui sopra comportano una distinzione tra la portata del margine per quanto
riguarda, da un lato, l’impegno dello Stato nella necessità di combattere i
cambiamenti climatici e i loro effetti negativi, e la definizione degli scopi e
degli obiettivi richiesti a questo proposito, e, dall’altro, la scelta dei
mezzi destinati a raggiungere tali obiettivi.
Per
quanto riguarda il primo aspetto, la natura e la gravità della minaccia e il
consenso generale sulla posta in gioco per garantire l’obiettivo generale di un’efficace protezione del clima
attraverso obiettivi di riduzione globale dei gas serra in conformità con gli
impegni accettati dalle Parti contraenti per raggiungere la neutralità del
carbonio, richiedono un margine di apprezzamento ridotto per gli Stati.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, ossia
la scelta dei mezzi, comprese le scelte operative e le politiche adottate per
raggiungere gli obiettivi e gli impegni fissati a livello internazionale alla
luce delle priorità e delle risorse, agli Stati dovrebbe essere concesso un ampio margine
di apprezzamento».
6. Considerazioni conclusive.
Il
ragionamento sviluppato dalla “Corte di Strasburgo” in relazione
all’applicazione del principio della separazione dei poteri nel contesto delle
politiche climatiche si inserisce – con le dovute differenze – nel solco tracciato dalla
giurisprudenza olandese ed è esattamente opposto a quello adottato dal
Tribunale di Roma.
Per la
Corte di Strasburgo, il decisore politico ha un’ampia discrezionalità («margine
di apprezzamento») nell’individuare le misure da adottare per raggiungere un
determinato target di riduzione delle emissioni;
viceversa, ha una discrezionalità molto limitata nella
determinazione di tale target, essendo lo stesso individuato dagli accordi
internazionali sul clima (che sono praticamente stati ratificati da, e pertanto
vincolano la, totalità degli Stati).
Questi
accordi partono dall’assunto che il cambiamento climatico è una minaccia per la
salvaguarda dei diritti umani fondamentali.
Sotto
questo aspetto, in presenza di un contenzioso climatico strategico basato sul
disallineamento delle politiche climatiche di uno Stato rispetto ai target
vincolanti stabiliti dall’Accordo di Parigi, il principio della separazione non
può essere applicato in modo da impedire al potere giudiziario di valutare nel
merito (ovviamente, senza alcuna pretesa di accoglimento delle domande) se le
misure adottate da un determinato Stato rientrino o meno nel «margine di
apprezzamento» riconosciutogli e se siano idonee a rispettare (par. 544)
«il
diritto degli individui di godere di una protezione effettiva da parte delle
autorità statali contri i gravi effetti negativi sulla loro vita, salute,
benessere e qualità di vita derivanti dagli effetti nocivi e dai rischi causati
dal cambiamento climatico».
In
altre parole, per la Corte di Strasburgo in uno Stato di Diritto il principio
della separazione dei poteri viene violato tutte le volte che il potere
esecutivo o il potere legislativo privano il potere giudiziario della sua
funzione, che è propriamente quella di controllare che gli altri poteri abbiano
agito nel rispetto delle regole.
Locke
e la fiducia come
fondamento
del potere politico.
Ilsole24ore.com
- Vittorio Pelligra – (28 maggio 2023)
– ci dice:
Con il
pensiero del filosofo inglese si arriva alla definizione di un potere politico
che non può essere immaginato come illimitato; una delega in bianco
irrevocabile.
«Senza fiducia non potremmo neanche alzarsi
dal letto la mattina.
Verremmo assaliti da una paura indeterminata e
da un panico paralizzante».
Con
questa vivida immagine il sociologo “Niklas Luhmann” (Fiducia, Il Mulino, 2002,
p.5) descrive la centralità che la fiducia interpersonale gioca nella società
contemporanea.
La filosofa “Annette Baier”, anche lei
interessata al ruolo sociale della fiducia, utilizza un'altra immagine per
indicare non solo quanto essa sia preziosa ma quanto possa essere fragile.
«Abitiamo
in un clima di fiducia come abitiamo un'atmosfera - scrive in un saggio del
1986 la Baier - e ci rendiamo conto della fiducia così come ci rendiamo conto
dell'aria che respiriamo, quando è essa scarsa inquinata».
Il
filosofo politico “John Rawls” arriva a sostenere che la capacità di fidarci
reciprocamente l'un l'altro è una delle precondizioni per lo sviluppo di quel
sentimento naturale che, a sua volta, costituisce la base dell'idea stessa di
giustizia politica.
È
questa fiducia reciproca tra i membri di una società giusta e la loro fiducia
nelle strutture e nelle istituzioni politiche di quella stessa società che
tengono unite le nostre comunità (“The Sense of Justice” Philosophical Review,
72 (1963), pp. 281-305).
La
fiducia nella dimensione istituzionale.
L'idea
che alla base della stabilità del potere politico ci siano relazioni di natura
fiduciarie, naturalmente, non è nuova, ma certamente più recente di quanto ci
si aspetti. Diventa centrale nel discorso politico con l'opera di John Locke,
sul finire del XVII secolo.
Questo,
naturalmente, non significa che i legami fiduciari non fossero presenti ed
importanti nelle società antiche o feudali, anzi, proprio l'assenza di
istituzioni centralizzate e dotate di potere di controllo, e la dimensione principalmente
locale degli scambi rendeva la coltivazione della reputazione da parte dei
mercanti, per esempio, un elemento necessario per l'esistenza stessa del
sistema economico.
La
questione, però, a cui ci riferiamo più propriamente non è tanto quella
relativa all'esistenza e all'importanza di legami fiduciari tra cittadini
quanto, piuttosto, all'estensione dei rapporti fiduciari nella loro dimensione
istituzionale, tra cittadini e i loro governanti.
Questo
elemento sembra emergere nei fatti, in particolare, tra la metà del ‘500 e del
‘600 in Inghilterra, dove la sfiducia crescente nei confronti del potere
politico porterà alla “Gloriosa Rivoluzione” e, nel discorso politico, sempre
in Inghilterra, con “Hobbes” ma soprattutto qualche decennio dopo, appunto, con
“John Locke “(Levack, B., Distrust of Institutions in Early Modern Britain and
America. Oxford University Press, 2018).
Come
abbiamo visto nei “Mind the Economy” delle settimane scorse, uno dei punti
centrali del pensiero di Locke che egli esplicita nel secondo dei “Due Trattati
sul Governo” era la limitatezza e la limitabilità del potere di governo.
Alla
base di questo principio sta proprio la natura fiduciaria del rapporto tra
cittadini, parlamento e governo.
È
questo atto di fiducia da parte dei cittadini che dona legittimità all'azione
di governo così come è il tradimento di questa fiducia che fonda il loro
diritto di ribellarsi, rovesciare il re e designarne un altro al suo posto.
Patto
di reciproche responsabilità.
Distanziandosi
dal pensiero hobbesiano, Locke attribuisce, in questo modo, alla fiducia un
ruolo essenziale.
Mentre Hobbes, infatti, poneva le basi di una
convivenza pacifica nel contratto sociale e soprattutto nella nascita del”
Leviatano”, la creazione, cioè, di “un potere assoluto”, Locke usa l'idea di «patto sociale»,
di compact, come lo chiama per distinguerlo esplicitamente dal “contract”
hobbesiano, proprio per sottolineare la limitatezza e la limitabilità del
potere assoluto.
Come
sottolinea “Brunella Casalini “nella sua introduzione ad una recente edizione dei “Due Trattati”, “Il termine
contract “implicava un accordo che comportava reciproche responsabilità tra i
contraenti, ma limitatamente ad uno specifico oggetto, come in un affare tra
privati.
Il “compact
“era un accordo che coinvolgeva in qualche modo un'intera comunità nel suo
complesso (…)-
La
radice etimologica della parola compact, dal latino “compactus”, participio
passato di compingo, rimanda all'idea di mettere insieme in modo stretto le
parti al fine di costituire un'unità o comunità”.
Una
comunità costruita sulla fiducia, dunque, e non sulla paura.
Da
questa nuova impostazione deriva una differenza fondamentale rispetto alla
concezione del ruolo del potere politico.
“Hobbes”
riteneva che il sovrano, e lo stato di diritto che esso garantiva, fossero essi
stessi il presupposto essenziale per la fiducia reciproca tra i cittadini, “Locke”,
al contrario, sosteneva che era la fiducia tra i cittadini il vero” vinculum
societatis” che il sovrano aveva il dovere di proteggere, rinsaldare, onorare e
mai tradire.
Il
tradimento della fiducia del popolo, infatti, da parte del sovrano costituiva
nella sua visione, la legittimazione del diritto alla ribellione.
Non dobbiamo dimenticare che i” Due Trattati “vennero
pubblicati nel 1690, poco dopo la “Gloriosa Rivoluzione.”
E la
posizione di Locke secondo cui ogni governo ha necessariamente una natura
fiduciaria nasce proprio come risposta alla crescente diffidenza nei confronti
della monarchia inglese, prima con Carlo I e successivamente con Carlo II e
Giacomo II.
La
teoria della giusta rivoluzione.
Fu
questa esperienza, al tempo stesso individuale e collettiva, che portò Locke a
concepire il principio in base al quale ogni governo e ogni Parlamento
dovrebbero essere fondati sulla fiducia e che ogni tradimento di tale fiducia
dovrebbe legittimare un rovesciamento di quegli stessi poteri.
L'intero ultimo capitolo del Secondo Trattato
è dedicato a fondare in questo modo la sua teoria della giusta rivoluzione.
«Quando
il legislativo trasgredisce questa regola fondamentale della società - scrive
Locke - e per ambizione, paura, follia, o corruzione, tenta di assumere o di
mettere nelle mani di altri un potere assoluto sulla vita, sulla libertà e
sulla proprietà del popolo;
con
questo tradimento del proprio mandato, perde il potere che il popolo aveva
riposto nelle sue mani per fini molto diversi.
Il
potere ritorna allora al popolo, che ha il diritto di riassumere la propria
libertà originaria, e con la costituzione di un nuovo legislativo (come lo
ritiene meglio adatto) provvede alla propria salvezza e sicurezza, che è il
fine in vista del quale si costituisce in società.
Quanto
ho detto qui a proposito della libertà in generale è vero anche per il supremo
esecutore, che avendo nelle sue mani un duplice mandato, di aver parte nel
legislativo e nell'esecuzione della legge, agisce contro entrambi quando tenta
di imporre la sua volontà arbitraria come legge della società». (Due trattati sul governo,
Edizioni PLUS, 2007, p. 320).
«Ammetto
senza difficoltà - continua Locke - che il governo civile è il giusto rimedio
per gli inconvenienti dello stato di natura (…) Vorrei, tuttavia, che chi
avanza questa obiezione ricordasse che i monarchi assoluti non sono altro che
uomini.
Se il
governo deve essere il rimedio ai mali che necessariamente seguono dal fatto
che gli uomini siano giudici nelle loro stesse cause, e per questo lo stato di
natura non deve durare, desidero sapere che governo è, e quanto è meglio dello stato
di natura, quello in cui un uomo, al comando di una moltitudine, ha il diritto
di essere giudice di se stesso, e può fare a tutti i suoi sudditi tutto quello
che vuole, senza la minima libertà da parte di alcuno di discutere o
controllare coloro che eseguono il suo volere» (pag. 195).
Il
dovere morale di agire in modo onesto e sincero.
Ma
qual è la natura della fiducia che secondo Locke fonda il potere politico?
Un
concetto tanto centrale quanto difficile da cogliere nella sua complessità.
Per il
filosofo inglese il dovere morale più importante di ogni individuo era quello
agire nei confronti degli altri in modo onesto e sincero e che mantenesse le
sue promesse.
Come
scrive “John Dunn “è, quindi, l'idea di affidabilità, “intesa come la capacità
di soddisfare le legittime aspettative degli altri”, a conferire ad una scelta
fiduciaria la sua dimensione morale.
Se ne
conclude che è tale affidabilità, cioè l'obbligo morale di mantenere le
promesse la “virtù costitutiva e la precondizione causale per l'esistenza di
qualsiasi società” («The Concept of Trust in the
Politics of John Locke», in Rorty, R. et al., Philosophy in History. Cambridge,
1984).
Ciò
che di nuovo troviamo nell'idea di fiducia di Locke e che lo differenzia da
Hobbes, il quale anche aveva sottolineato l'importanza della fiducia e l'azione
disgregante della diffidenza reciproca, è la traslazione dei rapporti di
fiducia dall'ambito sociale a quello politico, da rapporti che primariamente si
instaurano tra cittadino e cittadino a quelli che, invece, riguardano i
cittadini e le istituzioni cui gli stessi affidano il potere di governarli.
In
ogni caso si corre un rischio.
Giudizio
giorno per giorno sulla legittimità del governo.
Così
anche per promuovere la nascita di una società pacifica e prospera occorre
affidarsi all'azione di un soggetto terzo.
Su
questo sia Hobbes che Locke concordano.
Sono in disaccordo, invece, circa la natura
del soggetto a cui è necessario affidarsi. Al riguardo Hobbes immagina i
cittadini come soggetti passivi che vengono protetti da un sovrano assoluto mentre Locke sostiene che essi devono
impegnarsi attivamente e devono, soprattutto, poter giudicare se il governo
ripaga degnamente la fiducia ricevuta.
Con
Locke assistiamo ad un passo avanti estremamente importante, alla definizione
di un potere politico che non può essere immaginato come illimitato; una delega
in bianco irrevocabile.
Si
delinea l'idea di un potere deve guadagnarsi la sua legittimità giorno dopo
giorno nei fatti, mostrandosi degno della fiducia ricevuta dai cittadini, mai
bastante e sé stesso, mai piegato su sé stesso perché il diritto alla
ribellione è sempre lì a ricordare ai governanti la natura fiduciaria del
mandato che i cittadini gli hanno affidato.
LAMPI
DI FUTURO E QUALCHE
DOMANDA
SULL’ERA TRUMP.
Lapecoranera.it – (17/11/2024) - Manlio Lo
Presti – ci dice:
Elon
Musk e Donald Trump.
Diventa
necessario che situazione post-elettorale Usa appena iniziata sia valutata
senza pregiudizi ideologici né dall’emotività né da atteggiamenti da stadio
molto comuni in quasi tutti i canali di rete, sulla stampa atlantista di parte
Dem, sui ventuno dibattiti nelle reti televisive, sui periodici cartacei.
Individuare ed evidenziare gli interessi economici e finanziari che si
contendono il Potere assoluto costituisce una chiave di lettura
incontrovertibile.
Gli
affari sono affari e, soprattutto, seguono una dinamica che oltrepassa le
ideologie utilizzate per coprirne i veri scopi.
Basta acquisire un punto di osservazione
panoramico, senza fermarsi alle minuziose analisi dei fatti finanziari, ma
spostando l’attenzione sulle tendenze fondamentali del nostro tempo.
Trump
è stato finanziato da Musk che ora gli presenterà il conto di cui non
conosciamo l’importo che sarà immenso.
Come in tutte le campagne presidenziali
americane, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha ricevuto soldi anche dagli
stessi che hanno finanziato la parte Dem per partecipare sui due fronti.
L’élite
ha deciso di cambiare i giocatori per continuare il predominio e, soprattutto,
per ammortizzare i contraccolpi degli aspetti avversi degli effetti negativi
degli scricchiolii sociali in tutto il mondo.
Lo
Stato Profondo ha percepito velocemente i “segnali dal futuro”.
Ha
visualizzato la trasparenza dell’uovo del serpente di Bergman?
Trump,
abilmente descritto come un liberatore dalle masse, sta generando molte
aspettative gonfiate, forse, in misura eccessiva, grazie ai “buoni uffici” di
numerosi gruppi in rete, sui periodici cartacei, sulle catene televisive.
Un
appoggio eccessivo, se si pensa che fino ad un mese fa Trump era l’uomo da
sterminare.
Un
progetto che continua a covare nell’ombra se il neoeletto dovesse esorbitare
dai mandati ricevuti dagli alti comandi.
La
realtà non può nascondere che Trump è e rimane un plutocrate con interessi
differenti e, soprattutto, contrari a quelli della gente comune.
Costui
ostenta sicurezza e il popolo accetterà il controllo in cambio di un lavoro
precario e revocabile a piacimento dall’alto.
Le
linee di tendenza distopica saranno all’incirca le seguenti:
Il
neoministro della sanità Kennedy è contro l’intera operatività adottata dalle case
farmaceutiche.
Il presuntivo blocco delle vaccinazioni
demonizzate consentirà il diffondersi di epidemie genocide di cui saranno
incolpate le migrazioni clandestine?
Vorrei
ricordare che il piano Rockefeller di de-popolazione planetaria non è andato in
soffitta:
(youtube.com/watch?v=9VVCtYfqGNg)
(User
Clip Rockefeller UN de Population C SPAN org).
Prosegue
con altri modi, con altri mezzi, anche con un periodo di inerzia che i media
hanno il compito di tramutare servilmente come ribellione ai colossi
tecno-farmaceutici.
La
caccia agli immigrati e la tutela dei confini canalizzerà la rabbia delle masse
tormentate.
La robotica, impersonata e sostenuta dal
magnate Musk imperverserà soprattutto nella diffusione della moneta elettronica
Bitcoin.
L’effetto della eventuale “sostituzione” dei mezzi di
pagamento condurrebbe al Potere Assoluto scalzando di fatto le strutture e le
reti della finanza mondiale e della tradizionale filiera delle banche.
La
lotta dietro le quinte sarà mortale.
La
grande finanza e i suoi canali “distributivi” avvertono il pericolo di
estinzione e tentano di reagire anche con l’assassinio tradizionale del duo
Trump-Musk.
I
fondi Usa per la difesa saranno spostati sul lavoro e sullo stato sociale
quando si dichiara di razionalizzare (leggasi: riduzione al minimo) il settore
pubblico e la sua spesa?
I
conflitti attuali non termineranno ma saranno dati in appalto agli
“alleati-vassalli” che pagheranno i costi dei conflitti iniziati dagli Usa.
La guerra, che sarà sostenuta dalla ex-europa,
sarà contrabbandata non come un voltafaccia fra i numerosi nella storia
americana, ma come una uscita pacifista neoisolazionista degli Usa?
Musk
farà dilagare la robotica (bitcoin, missilistica) uccidendo la burocrazia che
sarà sostituita dalla sorveglianza totale?
Una
sorveglianza onnipotente in nome della sicurezza?
La
robotica avrà il principale effetto di eliminare la struttura della finanza e
la sua creazione di moneta dal nulla?
Questo è il nodo gordiano della svolta in
corso, se non sarà interrotta dall’assassinio del duetto?
I
fondi sciacallo elencati qui: (sbilanciamoci.info/i-fondi-dinvestimento-padroni-del-mondo/)
non
avranno ragione di esistere perché le loro funzioni attuali saranno
intermediati dalla rete.
La
diffusione dei bitcoin sostenuta da Musk ne è la premessa.
Il
Dominio uccide il profitto classico come surplus aziendale da distribuire ai
soci?
Cosa
ne sarà delle migliaia di titaniche operazioni di riciclaggio attuate dalle
mafie operanti in tutto il mondo per rastrellare finanziamenti destinati alle
legioni mercenarie che amministrano gli oltre duecento conflitti regionali in
corso?
La
diffusione della telemedicina i cui modelli operativi prevedono l’appiattimento
del fenotipo umano ad un solo modello corporeo ideato dalla teoria
transumanista saranno diffusi con determinazione soprattutto nelle fasce di
popolazione povera?
Avremo
la tanto aspirata su dispositivi elettronici?
Sarebbe un affare decine di volte più
imponente dei profitti astronomici delle farmaceutiche mondiali.
Alla
omologazione degli umani seguirà una profonda mutazione dell’interazione
verbale sostituita gradualmente dalla creazione di un linguaggio-macchina
compatibile con la fruizione della catena robotica, peraltro ipotizzato dallo
stesso Musk?
I
cittadini continueranno ad avere paura, a fronteggiare timori di altro genere,
non cambieranno i problemi di sopravvivenza materiale e soprattutto
psicologica. Temo inoltre che non avrà miglioramenti significativi la vita
quotidiana dei cittadini europei e del mondo.
Semmai, ci sarà una quasi totale
diminuzione delle libertà personali e civili grazie all’installazione di
milioni di telecamere ovunque.
Avremo
umanoidi sorvegliati, spogliati di tutto, confinati nei recinti elettrici di
città da 15 minuti e bitcoinizzati?
L’élite,
lo Stato profondo che lo ha insediato alla Casa Bianca, sarà in grado di
evitare che la successione non sfugga di mano?
Si
tratta di garantire la propria sopravvivenza.
Lo
scontro prossimo venturo si polarizza su due fronti:
la
finanza di BlackRock e sodali e la finanza robotica dei bitcoin di Musk che non
risponderà al controllo di nessuna delle attuali istituzioni apicali di
indagine e di regolamentazione.
Lo scontro mondiale è tutto qui…
Sulla
base del realismo, che non è pessimismo, resta intangibile un’amara verità:
nessuno è al sicuro.
La
vera definizione di tirannia:
una
dittatura mascherata da democrazia.
Shtfplan.com
- John W. Whitehead e Nisha Whitehead – (20 novembre 2024)
(Questo
articolo è stato originariamente pubblicato da John W. Whitehead e Nisha
Whitehead presso il Rutherford Institute.)
“L’accumulo
di tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, nelle stesse mani,
siano essi di uno, pochi o molti, e siano essi ereditari, auto-nominati o
elettivi, può essere giustamente pronunciato come la vera definizione di
tirannia.”
(James
Madison)
Il
potere corrompe.
Il
potere assoluto corrompe in modo assoluto.
Il
potere assoluto in qualsiasi ramo del governo è una minaccia per la libertà, ma
il potere concentrato in tutti e tre i rami è la definizione stessa di
tirannia: una dittatura mascherata da democrazia.
Quando
un partito domina tutti e tre i rami del governo (esecutivo, legislativo e
giudiziario), ci sono ancora più motivi di preoccupazione.
Non ha
senso discutere quale partito politico sarebbe più pericoloso con questi
poteri.
Ciò è
vero indipendentemente dal partito al potere.
Ciò è
particolarmente vero in vista delle elezioni del 2024.
Donald
Trump, che aveva promesso di diventare un dittatore "fin dal primo
giorno", sta già portando avanti piani per indebolire ulteriormente il già
vulnerabile sistema di controlli ed equilibri della nazione.
Per
essere onesti, questa non è una situazione di cui si possa attribuire la colpa
esclusivamente a Trump.
I
padri fondatori dell'America intendevano che il nostro sistema di controlli ed
equilibri fungesse da baluardo contro gli abusi del potere centralizzato.
Come
spiega la studiosa costituzionale “Linda Monk”, "All'interno della
separazione dei poteri, ognuno dei tre rami del governo ha 'controlli ed
equilibri' sugli altri due.
Ad
esempio, il Congresso fa le leggi, ma il Presidente può porre il veto e la
Corte Suprema può dichiararle incostituzionali.
Il Presidente fa rispettare la legge, ma il
Congresso deve approvare le nomine esecutive e la Corte Suprema stabilisce se
l'azione esecutiva è costituzionale.
La Corte Suprema può annullare le azioni di
entrambi i rami legislativo ed esecutivo, ma il Presidente nomina i giudici
della Corte Suprema e il Senato conferma o nega le loro nomine".
Purtroppo,
il nostro sistema di controlli ed equilibri è ormai da anni messo a dura prova,
complici anche coloro che, in tutto lo spettro politico, marciando di pari
passo con lo “Stato profondo”, hanno cospirato per promuovere il programma del
governo a spese dei diritti costituzionali dei cittadini.
Con
"governo" non mi riferisco alla farsa che è la burocrazia altamente
partigiana, bipartitica, dei repubblicani e dei democratici.
Piuttosto, mi riferisco al "governo"
con la "G" maiuscola, allo “Stato profondo” radicato che non è
influenzato dalle elezioni, non è alterato dai movimenti populisti e si è posto
al di fuori della portata della legge.
Questo
è esattamente il tipo di potere assoluto e concentrato contro cui i fondatori
cercarono di proteggersi istituendo un sistema di controlli e bilanciamenti che
separa e condivide il potere tra tre rami paritari.
Eppure,
come conclude il professore di legge “William P. Marshall”, "Il sistema di
controlli ed equilibri che i Padri Fondatori avevano immaginato ora non ha
controlli efficaci e non è più in equilibrio.
Le
implicazioni di ciò sono serie.
I
Padri Fondatori progettarono un sistema di separazione dei poteri per
combattere gli eccessi e gli abusi del governo e per frenare l'incompetenza.
Credevano
anche che, in assenza di una struttura di separazione dei poteri efficace, tali
mali sarebbero inevitabilmente seguiti.
Sfortunatamente,
tuttavia, il potere una volta preso non è facilmente cedibile".
L'esito
delle elezioni del 2024 non è un tentativo rivoluzionario di ricalibrare un
governo impazzito.
Piuttosto,
questo è un colpo di “Stato profondo” per restare al potere, e Donald Trump è
il mezzo con cui lo farà.
Guarda
e vedi.
Ricordiamo
che è stata l'amministrazione Trump a chiedere al Congresso di consentirgli di
sospendere parti della Costituzione ogni volta che lo riteneva necessario
durante la pandemia di COVID-19 e "altre" emergenze.
In
effetti, durante il primo mandato di Trump, il Dipartimento di Giustizia ha
tirato fuori e testato silenziosamente una lunga lista di poteri terrificanti
per ignorare la Costituzione.
Stiamo parlando di poteri di lockdown (sia a
livello federale che statale): la capacità di sospendere la Costituzione,
detenere a tempo indeterminato cittadini americani, aggirare i tribunali,
mettere in quarantena intere comunità o segmenti della popolazione, ignorare il
Primo Emendamento mettendo fuorilegge raduni e assemblee religiose di più di
qualche persona, chiudere intere industrie e manipolare l'economia,
imbavagliare i dissidenti, " fermare e sequestrare qualsiasi aereo, treno
o automobile per ostacolare la diffusione di malattie contagiose ",
rimodellare i mercati finanziari, creare una valuta digitale (e quindi limitare
ulteriormente l'uso del denaro contante), determinare chi dovrebbe vivere o
morire...
Bisogna
però tenere presente che questi poteri, che l'amministrazione Trump ha chiesto
ufficialmente al Congresso di riconoscere e autorizzare, agendo su ordine dello
stato di polizia, rappresentano solo la superficie dei poteri di vasta portata
che il governo ha rivendicato unilateralmente.
In via
non ufficiale, lo stato di polizia calpesta da anni lo stato di diritto senza alcuna pretesa di
essere frenato o limitato nella sua presa di potere dal Congresso, dai
tribunali, dal presidente o dai cittadini.
Ecco
perché il sistema di pesi e contrappesi della Costituzione è così importante.
Coloro
che hanno scritto la nostra Costituzione hanno cercato di garantire le nostre
libertà creando un documento che protegga i nostri diritti concessi da Dio in
ogni momento, anche quando siamo impegnati in una guerra, che si tratti della
cosiddetta guerra al terrorismo, della cosiddetta guerra alla droga, della
cosiddetta guerra all'immigrazione illegale o della cosiddetta guerra alle
malattie.
I
tentativi di ogni successiva amministrazione presidenziale di governare per
decreto non fanno altro che giocare a favore di coloro che vorrebbero
distorcere il sistema di controlli ed equilibri del governo e la sua
separazione costituzionale dei poteri fino a renderla irriconoscibile.
Siamo
così arrivati al futuro distopico descritto nel film “V per Vendetta”, che non è affatto un
futuro.
Ambientato
nel 2020, “ V per Vendetta” (scritto e
prodotto dai Wachowski) offre uno sguardo inquietante su un universo parallelo
in cui un governo totalitario che sa tutto, vede tutto, controlla tutto e
promette sicurezza e protezione soprattutto, sale al potere sfruttando la paura
della gente.
I
campi di concentramento (carceri, prigioni private e strutture di detenzione)
vengono istituiti per ospitare prigionieri politici e altri considerati nemici
dello Stato.
Le
esecuzioni di indesiderabili (estremisti, facinorosi e simili) sono comuni,
mentre altri nemici dello Stato vengono fatti "scomparire".
Le rivolte e le proteste populiste vengono
affrontate con estrema forza.
Le
reti televisive sono controllate dal governo allo scopo di perpetuare il
regime.
E la
maggior parte della popolazione è agganciata a una modalità di intrattenimento
e non ne ha idea.
In “V per Vendetta” , come nel mio romanzo “ The
Erik Blair Diaries” , il sottinteso è che i regimi autoritari, attraverso un
circolo vizioso di manipolazione, oppressione e allarmismo, fomentano la
violenza, creano crisi e generano terroristi, dando così origine a un ciclo
ricorrente di reazioni negative e violenza.
Solo
quando il governo stesso diventa sinonimo di terrorismo che scatena il caos
nelle loro vite, le persone finalmente si mobilitano e si oppongono alla
tirannia del governo?
“V”,
un audace e carismatico combattente per la libertà, esorta il popolo britannico
a sollevarsi e a resistere al governo.
In “Vendetta”
, “V”, il crociato mascherato del film, fa saltare in aria la sede del governo
il 5 novembre, “Guy Fawkes Day “,
ironicamente lo stesso giorno in cui Trump ha ottenuto il suo ritorno
schiacciante alla Casa Bianca.
Ma il
paragone finisce qui.
Quindi,
anche se è ormai giunto il momento di un controllo sistematico sulle
esagerazioni e sulle prese di potere del governo, la vittoria elettorale di
quest'anno dei repubblicani non è stata una vittoria per la Costituzione.
Piuttosto,
è stata una vittoria per la struttura di potere radicata, aggressiva e
istituzionale che non ha mostrato alcun riguardo per la Costituzione o per i
diritti dei cittadini.
Come
spiego chiaramente nel mio libro “ Battlefield America”:
“The
War on the American People “e nella sua controparte immaginaria “The Erik Blair Diaries” , lo Stato profondo funziona meglio
attraverso presidenti imperialisti, autorizzati a soddisfare le loro tendenze
autoritarie da tribunali legalitari, legislature corrotte e una popolazione
disinteressata e distratta, che governano per decreto piuttosto che in base
allo stato di diritto.
L'articolo
di McGill University sulla
"dozzina
di disinformazione" è stato
smascherato
come diffamazione
e
propaganda.
Shtfplan.com - Lance D. Johnson- Natural News
- (24 novembre 2024) – ci dice:
Nella
guerra globale per inoculare ogni uomo, donna e bambino con armi biologiche di
spopolamento, le forze nemiche hanno alla fine esagerato.
Non
solo il loro "vaccino" è stato alla fine smascherato come
fraudolento, ma gli obblighi vaccinali e i passaporti vaccinali alla fine si
sono ritorti contro, portando a proteste storiche in città che vanno dal Canada
all'Europa all'Australia.
Le
persone hanno reagito e vinto cause legali contro gli obblighi vaccinali
illegali, e la tendenza continua a cambiare mentre sempre più persone si
liberano dalla programmazione.
CCDH,
un ingranaggio rotto nella guerra dell'informazione.
Al
centro di questa guerra c'era la battaglia per i cuori e le menti delle
persone:
la guerra dell'informazione.
Anche
su questo fronte cruciale le forze nemiche hanno esagerato.
Il
centro per la lotta all'odio digitale (CCDH) è stato incaricato di identificare
le voci dissenzienti più importanti rispetto all'agenda della vaccinazione
contro il COVID-19.
Il CCDH ha deciso di concentrarsi su 12 voci
dissenzienti.
Hanno pubblicato un rapporto che prendeva di
mira la cosiddetta "Dozzina di disinformazione " sostenendo che
"due terzi dei contenuti anti-vaccino condivisi o postati su Facebook e
Twitter tra il 1° febbraio e il 16 marzo 2021 potrebbero essere attribuiti a
soli dodici individui".
La
premessa del rapporto era quella di censurare questi individui e bandirli da
Internet, soffocando la loro influenza attraverso bugie e misure totalitarie.
Questo
rapporto CCDH mirato è stato immediatamente utilizzato dai propagandisti nei
media aziendali per diffamare e assassinare il carattere delle dodici voci
dissenzienti.
Una
delle voci dissenzienti era Sayer Ji”, fondatore del sito web di salute
naturale “GreenMedInfo.com.”
Questa
preziosa risorsa non solo pubblica analisi convincenti e approfondite su studi
scientifici e medici sulla medicina erboristica e la nutrizione, ma fornisce
anche strumenti per gli individui per fare le proprie ricerche su argomenti
importanti relativi alla guarigione del corpo e della mente.
Il rapporto CCDH ha categorizzato in modo
feroce il lavoro di “WSayer Ji “come "pericoloso" e "
disinformazione palese e dannosa ".
L'Università
McGill è stata smascherata come uno strumento utile nella guerra globale per
mettere a tacere il dissenso.
Nel
marzo 2021, l'”Office for Science and Society” della “McGill University £ha
pubblicato un articolo che attaccava “Sayer Ji “e le dodici voci dissenzienti,
citando il rapporto di propaganda del CCDH in tempo di guerra.
La
Casa Bianca di Biden ha persino minacciato le piattaforme dei social media, in
pubblico e in privato, di rimuovere gli account delle voci dissenzienti.
I
governi e i conglomerati mediatici stavano essenzialmente prendendo di mira
queste persone e dovrebbero essere ritenuti responsabili per aver violato i
loro diritti e averli messi in pericolo.
Le
aziende di social media hanno preso sul serio il rapporto del CCDH e poi, sotto
la pressione dei funzionari del governo federale, hanno continuato a censurare
le voci dissenzienti in vari modi.
Tuttavia,
nel tempo, mentre le persone si ammalavano, si ammalavano e venivano uccise dai
vaccini COVID-19 e dai protocolli ospedalieri, la consapevolezza pubblica ha
iniziato a cambiare.
Persino Meta (ex Facebook) ha rivelato che l'articolo
di CCDH e McGill contro la "Disinformation Dozen" era illegittimo e
conteneva difetti fatali.
Nell'agosto
2021, la vicepresidente della politica sui contenuti di Meta,” Monika Bickert”,
ha confutato direttamente l'affermazione centrale del CCDH, affermando:
"Non ci sono prove a sostegno di questa affermazione.
Inoltre,
concentrarsi su un gruppo così piccolo di persone distrae dalle complesse sfide
che tutti noi affrontiamo nell'affrontare la disinformazione sui vaccini
COVID-19".
“Bickert”
ha rivelato che il rapporto del CCDH "ha analizzato solo un insieme
ristretto di 483 contenuti in sei settimane da soli 30 gruppi", sostenendo
che questo campione selezionato "non era in alcun modo rappresentativo
delle centinaia di milioni di post che le persone hanno condiviso sui vaccini
COVID-19 negli ultimi mesi su Facebook".
Il CCDH non ha mai definito criteri per i
contenuti "anti-vax", e non aveva standard scientifici per
determinare cosa sia "disinformazione".
La McGill University ha promosso ciecamente il
rapporto del CCDH e non è riuscita a esaminare criticamente i problemi
metodologici del rapporto.
Invece,
l'università ha presentato la narrazione della "Disinformation Dozen"
come un fatto accertato, mettendo in discussione l'integrità delle proprie
attività.
Alla
fine, si sono rivelati uno strumento utile in una guerra globale che cercava di
mettere a tacere il dissenso e sottoporre le popolazioni ad armi biologiche di
spopolamento.
Alla
fine, il rapporto fraudolento del CCDH era semplicemente uno strumento per
mettere a tacere le persone che ponevano domande sugli eventi avversi della
vaccinazione.
“Sayer Ji” e gli altri coraggiosi
dissidenti hanno sollevato punti validi sull'agenda della vaccinazione contro
il COVID-19 e sulla frode che ne sostiene la presunta necessità.
È
interessante notare che c'erano molte più persone e piattaforme online che
ponevano domande e lanciavano allarmi sui vaccini contro il COVID-19.
Si scopre che la "Dozzina di
disinformazione" non era l'unica a diffondere la verità su queste
questioni critiche.
C'erano
innumerevoli altre persone che erano a conoscenza di questa truffa, di questa
arma biologica di spopolamento, di questa nefasta agenda del vaccino contro il
COVID-19.
La
guerra in Ucraina diventa GLOBAL.
E dopo
che l'Occidente ha lanciato missili
a lungo raggio in Russia,
oltrepassando
la "linea rossa" di Putin.
Naturalnews.com - (24/11/2024) - Ethan Huff –
ci dice:
Vladimir
Putin, presidente storico della Russia, si è rivolto al mondo questa settimana,
annunciando che la guerra in Ucraina è diventata una "guerra
globale", ora che Kiev ha utilizzato missili a lungo raggio contro la
Russia.
Il
presidente Biden ha dato il via libera al presidente ucraino Zelensky al lancio
di missili di fabbricazione statunitense in profondità nel territorio russo, ma
Putin ha avvertito che tale azione oltrepassa una "linea rossa" e non
sarà tollerata.
"Kiev ha lanciato un attacco
missilistico a lungo raggio contro strutture militari situate nel territorio
russo riconosciuto a livello internazionale", ha affermato Putin nel suo
discorso.
Putin
ha confermato che le armi utilizzate erano missili” HIMARS” di fabbricazione
statunitense, oltre ai missili “Storm Shadow “di fabbricazione britannica,
lanciati verso le regioni russe di Bryansk e Kursk.
"Un
conflitto regionale in Ucraina, fomentato dall'Occidente, ha acquisito elementi
di conflitto globale", ha continuato Putin, spiegando che devono essere
stati coinvolti anche specialisti militari della NATO, poiché solo loro sanno
come utilizzare questi sistemi missilistici avanzati.
Mosca promette una "risposta
devastante" se Zelensky continuerà a inviare missili a lungo raggio in
profondità nel territorio russo.
Trump
fermerà la Terza Guerra Mondiale?
Secondo
Putin, i razzi sono stati intercettati con successo e la missione è fallita.
Tuttavia, Mosca è pronta a schierare i suoi missili più recenti, se necessario,
missili che Putin afferma che nessun sistema occidentale è in grado di
contrastare.
"L'uso
di tali armi da parte del nemico non può influenzare l'andamento della
situazione nella zona delle operazioni militari speciali", ha affermato
Putin, sottolineando che è stato un grosso errore da parte degli Stati Uniti
ritirarsi dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF) nel 2019.
Il
presidente Putin lancia un avvertimento all'Occidente: "Agiremo con
decisione in caso di escalation" (pic.twitter.com/0FvoHy5vU8).
RT (@RT_com) 21 novembre 2024.
Il
fatto che tutto questo stia accadendo nel periodo intermedio tra la rielezione
di Donald Trump e l'uscita di Joe Biden rende tutto ancora più precario.
La Terza Guerra Mondiale potrebbe davvero scoppiare
prima dell'insediamento di gennaio? Il tempo ce lo dirà.
Il
presidente eletto ha dichiarato che ha intenzione di iniziare a lavorare ora,
anche prima di rientrare in carica, quindi forse ha una sorpresa nella manica
per creare la pace come promesso?
I suoi
sostenitori sembrano pensare che questo sia il suo piano, mentre gli scettici
sono sempre più preoccupati per la volatilità di questa situazione.
Non è
chiaro cosa credere su quale parte potrebbe vincere la guerra, dal momento che
l'Ucraina afferma di colpire obiettivi russi e la Russia afferma di
intercettare razzi occidentali.
È tutto solo uno spettacolo, alcuni stanno
iniziando a chiedersi, uno spettacolo con potenziali ramificazioni nucleari?
Nei
commenti, qualcuno ha sottolineato quanto siano diversi i tempi odierni
rispetto al periodo della guerra del Vietnam per quanto riguarda il modo in cui
il popolo americano sta rispondendo, o meglio, non rispondendo, a tutta questa
guerra.
"E
ancora...
Nessuna
marcia per la pace...
Nessuna
canzone del tipo "Tutto ciò che stiamo dicendo è di dare una possibilità alla
pace"...
Vietato
morire davanti agli edifici governativi...
Nessun
politico del “Partito Verde” parla dei danni ambientali causati da questa
guerra e di cosa potrebbe accadere in futuro...
Niente
concerti per la pace con tutte le migliori band...
Niente
“Cindy Sheehan”...
Nessun
Papa cerca la pace..."
"È
perché i democratici sostengono questa guerra", ha risposto qualcun altro.
"Dal
2016, i democratici sono il partito della guerra".
"La
Russia non sta giocando", ha suggerito un altro. "Ironicamente, gli
occidentali distaccati devono imparare che la guerra e la geopolitica non sono
un gioco. Sono una cosa seria con conseguenze molto serie".
"Proprio
al momento giusto", ha scritto un altro. "Bisogna far partire la
Terza Guerra Mondiale per coprire tutti i crimini legati al COVID e altro
ancora".
La
guerra tra Russia e Ucraina si trasformerà in Terza guerra mondiale prima che
Trump entri in carica l'anno prossimo?
(ZeroHedge.com).
(Notizie
naturali.com).
L'elenco:
azioni politiche per
salvare
l'America dal globalismo
prima che scada il tempo.
Naturalnews.com – (22/11/2024) - Redattori -
Brandon Smith - Alt-Market.us – ci dice:
È
stata una corsa sfrenata.
Dopo
anni di controllo quasi totale da parte della sinistra di ogni importante
istituzione sociale e governativa negli Stati Uniti e all'estero, il popolo
americano ha detto basta.
I progressisti sono stati ancora una volta
colpiti dalla lezione definitiva della nostra era: svegliatevi, andate in
rovina.
Questa
volta non sono solo al verde; sono distrutti.
Non
credo di aver mai visto un simile bagno di sangue elettorale nella mia vita
(forse la valanga di Reagan nel 1984, ma ero solo un bambino).
I conservatori controllano lo Studio Ovale, il
Senato, la Camera e la Corte Suprema.
Indipendentemente
da cosa si possa pensare di Trump, ciò che conta è che abbia condotto la sua
campagna contro i “woke” e “contro il globalismo” e che la popolazione
statunitense abbia votato in massa per quell'agenda.
Il
popolo americano vuole la fine della follia del regime di sinistra/globalista.
Vuole la fine della corruzione dell'establishment.
Vuole
la fine del coinvolgimento degli Stati Uniti nei conflitti esteri.
Vuole che l'”indottrinamento woke “dei loro
figli finisca.
Vuole
la fine delle frontiere aperte.
Vuole la fine della spesa per debiti e
dell'inflazione perpetui.
E
vuole la rassicurazione che eventi come il “tentato colpo di stato del covid”
contro le nostre libertà costituzionali non si verificheranno mai più.
Negli
ultimi mesi ho previsto una vittoria elettorale di Trump basandomi sul chiaro
cambiamento sociopolitico nel sentimento popolare.
Tuttavia, la mia preoccupazione è sempre stata
che Trump non manterrà le promesse della sua campagna, sia perché è ostacolato
dai neo-con all'interno del suo stesso team, sia perché non aveva intenzione di
portarle a termine in primo luogo.
Abbiamo
tutti visto cosa è successo dopo il 2016: lo status quo è stato per lo più
mantenuto.
Per
essere onesti, nel 2016 la squadra di Trump era stata scelta principalmente per
lui e quella squadra era composta da molti serpenti nell'erba.
Questa
volta sono un po' più ottimista.
La
coalizione di Trump è significativamente migliore rispetto al suo primo mandato
e molte delle persone coinvolte sembrano essere dedite alla loro causa
particolare. Se questo è il caso e Trump ha davvero intenzione di cambiare le
cose in meglio, ho alcune idee su come può garantire che l'America non devi mai
più sulla strada del globalismo.
Alcune
di queste azioni sono già state promosse dall'amministrazione Trump negli
ultimi giorni, altre no.
Ovviamente
nessuno di questi cambiamenti è facile, ma possono essere fatti con il giusto
entusiasmo e la giusta pressione da parte del popolo americano applicata ai
propri rappresentanti al Senato e al Congresso.
Ecco cosa possiamo fare come paese per
mantenere la nostra società libera e prospera nel futuro.
1)
Nomine durante la pausa per il gabinetto.
La
prima volta che Trump ha provato a nominare il suo gabinetto, la quantità di
interferenze del Senato che si sono verificate ha causato ritardi di quasi 4
mesi, e ciò è avvenuto con persone nominate che non rappresentavano alcuna
minaccia allo status quo.
Questa volta è chiaro che i neo-con
all'interno del Senato collaboreranno con i democratici per respingere del
tutto scelte come RFK Jr e Matt Gaetz. CERCHERANNO di sabotare qualsiasi
candidato che rappresenti una minaccia legittima all'ordine istituzionale.
Con
questo in mente, e secondo la Costituzione, Trump ha la possibilità di
convocare una sospensione del Senato e di fare le sue nomine mentre sono
assenti e senza la loro approvazione.
C'è
anche una regola poco nota che gli consente di costringere il Congresso ad
aggiornare.
I candidati per la posizione di leader della
maggioranza del Senato hanno tutti accettato di sostenere le nomine in
sospensione prima che fossero votate, il che significa che non dovrebbe esserci
alcuna interferenza con una richiesta di sospensione da parte di Trump.
Diversi presidenti hanno utilizzato questa opzione di
emergenza per riempire i loro gabinetti.
2)
Legge federale sull'identificazione degli elettori.
Sembra
una cosa ovvia.
Ogni stato (tranne uno) vinto dai Democratici
alle elezioni del 2024 era uno stato senza leggi sull'identificazione degli
elettori.
Non è
una coincidenza.
La
correlazione non è sempre causalità, ma è comunque altamente sospetta. Molte
nazioni sviluppate in tutto il mondo hanno leggi severe sull'identificazione
quando si tratta di elezioni.
Perché non le abbiamo negli Stati Uniti?
Con
l'avvento delle schede elettroniche e delle schede postali su larga scala, un
requisito di identificazione dell'elettore è più importante che mai per
prevenire le frodi elettorali.
Una delle principali preoccupazioni di Trump
dopo l'insediamento nel 2025 è quella di approvare un requisito federale di
identificazione dell'elettore per tutte le elezioni future.
Questo
non può essere lasciato a naufragare per anni, deve essere fatto entro il 2026.
3)
Controllo totale delle frontiere e deportazione di massa: i dettagli.
Uno
degli obiettivi chiave del globalismo è l'istituzione forzata di confini aperti
nel mondo occidentale, insieme a migrazioni di massa di alieni del terzo mondo
o saturazione e sostituzione culturale.
L'obiettivo
è distruggere l'Occidente dall'interno e poi sostituirlo con una civiltà
economicamente marxista e moralmente ambigua.
Per fermare questo schema saranno necessarie
leggi di confine e leggi di deportazione applicate in modo aggressivo.
Ciò
richiede più passaggi...
Stabilire
immediatamente controlli di frontiera in stile Texas.
Nonostante
le continue interferenze dell'amministrazione Biden, lo stato del Texas e il
governatore “Greg Abbott” sono stati incredibilmente efficaci nel fermare gli
attraversamenti illegali del confine utilizzando pattuglie estese e barriere di
filo spinato.
Gli incontri con gli illegali al confine del
Texas sono diminuiti dell'86% tramite l'operazione Lone Star nell'arco di un anno. È impressionante. I
metodi del Texas dovrebbero essere utilizzati lungo tutto il confine.
Aumento
delle multe per le aziende che assumono immigrati clandestini.
Questa
è una strategia usata da alcune nazioni europee e ha senso;
molti
clandestini saltano il confine perché sanno che ci sono lavori in nero che li
aspettano.
Trump
deve rendere finanziariamente insostenibile per le aziende assumere migranti
senza visti di lavoro adeguati, e aumentare notevolmente le multe è il modo
migliore per farlo.
Tariffe
al 100% sul Messico finché non garantiranno la sicurezza dei propri confini.
Il
governo messicano è assolutamente corrotto e spesso usa il confine degli Stati
Uniti come valvola di sfogo per liberarsi dei poveri e dei criminali.
Invece
di risolvere i problemi all'interno del loro paese, esportano quei problemi in
America.
Questo
deve finire.
Porre
fine a tutte le richieste di asilo provenienti dai paesi del terzo mondo.
Finché
il problema dell'immigrazione non sarà risolto, la scappatoia dell'asilo deve
essere chiusa.
A
parte alcuni cittadini provenienti da paesi in cui sono necessarie protezioni
di asilo molto reali (come i dissidenti oppressi dalla Cina o dalla Corea del
Nord), non c'è bisogno di accogliere la maggior parte di queste persone e le
loro richieste di asilo sono fraudolente.
Aumentare
l'efficienza del programma di visti per lavoratori immigrati.
I
democratici sostengono spesso che l'America non può sopravvivere senza
lavoratori migranti.
Io dico che questa è una bugia pensata per
impedire una legittima riforma dell'immigrazione, ma se c'è davvero del lavoro
da fare nel nostro Paese e i migranti sono in qualche modo le uniche persone
che possono farlo, allora possiamo avere entrambe le cose.
Se
Trump semplifica il programma di visti di lavoro per accelerare il processo
durante la verifica dei richiedenti, allora potremo avere confini controllati e
lavoratori migranti.
Per pagare una maggiore efficienza del
programma, raddoppiare la quota di iscrizione e ridurre il loro periodo di
lavoro legale negli Stati Uniti a 1 anno o meno.
Deportazioni
di massa di clandestini.
Questo
era un punto chiave della campagna di Trump e sembra che lui intenda farlo
accadere.
A partire da TUTTI i migranti che sono entrati
illegalmente negli Stati Uniti negli ultimi quattro anni e tutti quelli
trasferiti tramite il losco programma di visti di Biden.
Questo può essere ottenuto tagliando i sussidi
esistenti ai migranti, le multe per le aziende che assumono clandestini, la
verifica della cittadinanza per l'acquisto o l'affitto di case, ponendo fine ai
sussidi federali alle città rifugio democratiche, ecc. Alla fine, la maggior
parte dei clandestini lascerà il paese da sola.
4)
Chiudere le “ONG” globaliste.
Le ONG
globaliste sono la principale fonte di corruzione all'interno del governo degli
Stati Uniti e della nostra società in generale.
Le “ONG
“hanno tutti i diritti dei singoli cittadini senza alcuna limitazione.
Possono
generare miliardi di dollari per campagne di influenza.
Possono
fare pressioni sui politici (corrompendoli) per far approvare una legge.
Possono usare le loro incredibili risorse finanziarie per finanziare movimenti
di attivisti e creare disordini civili dal nulla.
E possono persino finanziare programmi per
controllare l'istruzione e incoraggiare l'immigrazione illegale di massa.
Le ONG
dovrebbero essere bandite dal lobbying.
E qualsiasi ONG scoperta a finanziare “propaganda woke”
nelle scuole, gruppi di attivisti violenti o sforzi di immigrazione illegale
dovrebbe essere immediatamente chiusa.
Alcune
“ONG” si nutrono di finanziamenti governativi (come la “Open Society Foundation”
di “George Soros”) mentre altre sono finanziate privatamente (come la “Ford
Foundation”).
Se ricevono sussidi, quei soldi dovrebbero
essere tagliati.
Fermare
le operazioni delle “ONG globaliste” è fondamentale per salvare la civiltà
occidentale.
5)
Negoziati di pace immediati sull'Ucraina.
Ecco
la conclusione:
l'Ucraina sta perdendo la guerra contro la
Russia.
Il
loro fronte orientale sta crollando a causa dell'attrito e tra un anno o meno
la Russia prenderà l'intero paese.
La guerra è anche gestita per procura dalla
NATO.
Stiamo
rapidamente precipitando in un conflitto aperto tra l'est e l'ovest.
Questo deve finire.
Anche
se la situazione non diventa nucleare, una guerra mondiale in questo momento
causerebbe un crollo economico catastrofico, per gli Stati Uniti, per l'Europa
e per la maggior parte dell'Est.
Solo i
globalisti vogliono che ciò accada.
L'Ucraina
è un territorio irrilevante per cui non vale la pena combattere.
Gli
americani non vogliono combattere per questo
. Gli
europei non vogliono combattere per questo e dubito che il russo medio voglia
combattere per questo.
Vladimir
Zelensky deve essere costretto ad accettare la perdita del Donbass in favore
della Russia.
Deve
essere istituita una DMZ e i combattimenti devono finire per il bene del mondo.
6)
Indagare sulla corruzione legata al Covid.
Dovrebbe
essere condotta un'indagine approfondita sulla gestione dei mandati Covid da
parte dell'amministrazione Biden, incluso il tentativo di censura delle
informazioni contrarie alla narrazione governativa.
Dovrebbe essere condotta una vera indagine sui
“laboratori virali di Wuhan”, in Cina, e sul coinvolgimento di “Anthony Fauci “con
quei laboratori per sviluppare coronavirus utilizzando la ricerca sul guadagno
di funzione.
Gli
americani vogliono delle risposte.
7)
Divieto nazionale sulle CBDC e l'economia senza contanti
In
tandem con le frontiere aperte, i globalisti del FMI e della BRI hanno
silenziosamente costruito un massiccio quadro di valuta digitale della banca
centrale globale (CBDC).
La
cancellazione delle economie e delle valute controllate a livello nazionale
sarebbe necessaria per creare un'economia centralizzata a livello globale con
una moneta mondiale unica.
E, per
costringere le popolazioni ad accettare un tale sistema, i globalisti hanno
bisogno delle CBDC.
Con
un'economia senza contanti in atto, le élite all'interno dei governi e delle
banche centrali avrebbero il potere ultimo di progettare socialmente il
comportamento pubblico.
Se possono portarti via i soldi quando
vogliono, è molto più difficile ribellarsi a loro.
Se
possono programmare delle avvertenze nelle CBDC per impedire la spesa per
determinati beni (come carne o benzina, ad esempio), allora possono fare
pressione sulla popolazione affinché accetti controlli sul carbonio e altre
misure draconiane.
Le CBDC sono la fine della libertà come la
conosciamo.
8)
Piano di emergenza economica.
Ho
delineato le opzioni per prevenire un crollo economico totale in articoli
precedenti , quindi non entrerò nei dettagli qui.
Elencherò
rapidamente alcune delle misure più importanti che potrebbero essere adottate
per rivitalizzare il sistema in difficoltà.
Molte
di esse sono progettate per aggirare la Federal Reserve.
Eliminare
l’imposta sul reddito per il 99% della popolazione – Tassare l’1%.
Eliminare
le tasse sulla proprietà delle case monofamiliari: tassare solo i proprietari
con più proprietà.
Rimuovere
tutti gli immigrati illegali dagli Stati Uniti: ciò provocherà un calo dei
prezzi immobiliari e degli affitti.
Creare
incentivi di sussidio per coppie sposate con figli – Prestiti immobiliari,
istruzione.
Ripristinare
i programmi di apprendistato tecnico – Aumentare i lavoratori tecnici senza
istruzione universitaria.
Utilizzare
tariffe, ma anche sostenere le tariffe con la produzione nazionale –
concentrarsi su beni di alta qualità.
Produrre
a livello nazionale beni di alta qualità e lunga durata per aiutare a
combattere l'inflazione.
Emettere
un titolo del Tesoro garantito da oro/argento – Offrire conti di risparmio
garantiti da metalli.
Istituire
una moratoria sugli aumenti del tetto del debito finché la spesa pubblica in
deficit e il debito non saranno sotto controllo.
C'è
molto lavoro da fare per salvare l'economia a lungo termine, ma le opzioni di
cui sopra potrebbero aiutare a rafforzare i lavoratori e i consumatori
americani e a bloccare un crollo.
Attualmente,
gli Stati Uniti affrontano il debito nazionale più elevato, i pagamenti di
interessi più elevati e il debito dei consumatori più elevato nella storia
della nazione.
Siamo
anche ancora nel mezzo di una crisi stagflazionistica.
Qualcosa di drammatico deve essere fatto
presto, prima che sia troppo tardi.
Politica
sui bonus:
istituire
un test obbligatorio del QI e un test di acutezza mentale per tutti i candidati
e leader politici.
È
difficile testare la bussola morale di una persona, ma almeno puoi testare
l'intelligenza.
Un candidato non dovrebbe essere impedito di
candidarsi per una carica a causa del basso QI, ma credo che il pubblico abbia
il diritto di sapere per chi sta votando. Se decidono di non volere un leader
con un basso QI, allora dovrebbe essere una loro decisione.
Per
estensione, i test indipendenti sull'acutezza mentale dovrebbero essere un
evento regolare.
Come abbiamo visto con Joe Biden,
l'establishment nasconderà volentieri il declino mentale di un politico se
serve ai propri interessi.
Le persone hanno il diritto di saperlo.
Senza
dubbio centinaia di altre idee politiche potrebbero essere aggiunte all'elenco
di cui sopra, ma queste azioni sono un solido inizio.
Se Trump istituisse anche solo la metà di
queste soluzioni, gli Stati Uniti potrebbero essere salvati da quella che è
forse la peggiore crisi esistenziale nella storia della nazione e il globalismo
sarebbe alle corde.
(Alt-Market.us).
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