L’enigma per la Pace.
L’enigma
per la Pace.
“Dichiarazione
di Balfour” e
Stato-Nazione
Ebraico.
Conoscenzealconfine.it
– (11 Novembre 2024) - Cristina Amoroso – ci dice:
Nel
giorno dei morti nel calendario gregoriano (2 novembre), si celebra a Londra la
data infausta dell’anniversario della “Dichiarazione di Balfour”, considerata
dai palestinesi come preludio all’occupazione israeliana della loro patria nel
1948.
Le
celebrazioni rappresentano uno schiaffo al mondo arabo, sempre più ridotto a
ruolo B dal regime israeliano, in violazione con la stessa Dichiarazione di
Balfour.
“Una
nazione, solennemente promessa a una seconda nazione, il Paese di un terzo”.
Così
uno scrittore famoso ha descritto la “Dichiarazione di Balfour” – la
dichiarazione del ministro degli Esteri britannico “Arthur Balfour”, inviata il
2 novembre 1917 al leader del Sionismo in Inghilterra,” Lord Walter Rothschild” in cui
dichiarava che:
“Il governo di Sua Maestà vede con favore la
costituzione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico…”.
Dichiarazione
di Balfour, Cento Anni Dopo Continua il Conflitto tra Israeliani e Palestinesi.
A
Londra, il “Telegraph” in un articolo riporta che la dichiarazione pubblica di “Arthur
James Balfour” del 1917 era “indispensabile” alla creazione dello Stato
israeliano.
Commenti
simili sono stati fatti anche dall’ex primo ministro britannico, “Theresa May”.
L’insistenza
della Gran Bretagna per celebrare la Dichiarazione ha provocato molte critiche
dalla Palestina, che ha più volte chiesto al governo britannico di scusarsi per
il suo ruolo nella creazione di Israele.
“Nabil
Shaath”, assistente al presidente palestinese “Mahmoud Abbas”, ha dichiarato in
un’intervista con la rete televisiva libanese “al-Mayadeen”, che la Palestina
sta progettando di intraprendere azioni legali contro il Regno Unito per aver
causato una reazione a catena che ha portato allo spostamento di milioni di
palestinesi.
“Abbas” aveva precedentemente minacciato il “Regno
Unito “di fare una causa in caso di rifiuto di annullare eventi celebrativi
legati alla dichiarazione di Balfour.
Nei
rari commenti a “The Telegraph”, “Roderick Balfour”, un nipote di “Lord Arthur
Balfour”, ha
dichiarato che la posizione di Israele era in violazione della Dichiarazione
del suo predecessore per non aver protetto i diritti dei palestinesi, per
questa frase presente nella dichiarazione:
“Essendo
chiaro che nulla deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e
religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina”.
Incoraggiato
dalla” Dichiarazione di Balfour” e dall’assicurazione del sostegno occidentale,
Israele ha catturato enormi fasce di terra araba nella guerra nel 1948 e
proclamato la sua esistenza.
Nel 1967, ha continuato a depredare il
territorio palestinese con un’altra guerra, poi ha iniziato a incentivare
decine e decine di insediamenti, sfidando tutte le condanne internazionali
delle sue attività di insediamento, inclusa la denuncia definitiva da parte
delle Nazioni Unite.
Israele
come “Stato-nazione”.
La
nuova legislazione, di cui è stato promotore in passato “Benyamin Netanyahu”,
da lui difesa e proposta, descrive Israele come “Stato-nazione” del popolo
ebraico.
Per il
premier israeliano non esisterebbe “alcuna contraddizione tra la legge e gli
uguali diritti per tutti i cittadini israeliani”.
L’obiettivo
di questa legislazione, che garantisce la tirannia della maggioranza sulla
minoranza, è
quello di rappresentare il razzismo istituzionale in Israele come del tutto
normale e assicurarsi che la realtà dell’apartheid sia irreversibile.
(Cristina
Amoroso)
(ilfarosulmondo.it/dichiarazione-balfour-supporto-americano/)
(ilfarosulmondo.it/israele-dichiarazione-di-balfour-nazione-popolo-ebraico/)
Gaza,
al Nord l’Assalto Finale
e sui
Sopravvissuti Incombe
la
Morte per Inalazione di Amianto.
Conoscenzealconfine.it
– (10 Novembre 2024) - Alessandro Ferretti – ci dice:
La
pulizia etnica israeliana al nord di Gaza entra nella fase decisiva, mentre sui
sopravvissuti incombe la morte per inalazione di amianto.
Una
foto raffigura una gigantesca esplosione verificatasi nel “campo profughi di Jabalya”,
o perlomeno in ciò che ne rimane dopo oltre un mese di bombardamenti
violentissimi e ininterrotti.
In
quelle case quasi completamente accerchiate dall’esercito israeliano continuano
a cercare di sopravvivere migliaia di persone, abbandonate dal mondo intero al
loro destino di morte o deportazione.
Ma non
sono solo le bombe, la fame, la sete, il freddo e le malattie ad uccidere i
palestinesi a Gaza.
Anche
se riuscissero a fuggire da quell’inferno, per molti di loro la sorte è
comunque segnata:
in quella enorme nuvola di fumo e polvere è
infatti nascosto un pericolo mortale e ineludibile, ovvero l’amianto.
Secondo
un articolo di “Al Jazeera”, tradotto dal “Csoa Gabrio” e che trovate a questo
link, moltissimi degli edifici fatti esplodere dalle bombe e dalle demolizioni
israeliane contengono sostanze tossiche e in particolare amianto, anche del
tipo più pericoloso.
Le
esplosioni lo polverizzano trasformandolo in un killer paziente e silenzioso,
che farà strage dei sopravvissuti per i decenni a venire.
Per avere un’idea della pericolosità di
rimanere esposti alle polveri, basti pensare che su 132.000 persone (tra
soccorritori e sopravvissuti) coinvolte nel crollo delle Torri Gemelle, l’11
settembre 2001, ben 39.000 hanno sviluppato tumori di vario tipo e altre decine
di migliaia hanno malattie respiratorie spesso invalidanti.
Comunque,
la pulizia etnica del nord sta arrivando alla stretta finale:
l’IDF
ha affermato (falsamente) che non ci sono più civili nel nord di Gaza, e che
quindi non c’è alcun motivo di lasciar passare camion di aiuti umanitari.
Quindi,
per chi rimane, l’alternativa è secca: morire per le bombe o morire di inedia.
Ormai
anche molti dei giornalisti che si trovavano nel nord della Striscia sono stati
costretti ad evacuare.
Rimane
ancora “Anas Al-Sharif”, uno degli ultimi testimoni sul campo della pulizia
etnica, ma proprio oggi Instagram ha pensato bene di cancellare il suo account,
che aveva oltre 1.200.000 followers e più un miliardo di visualizzazioni.
La
strage al nord sta per entrare nella fase finale, quella più atroce: Israele
non vuole testimoni, “Meta” prontamente esegue.
“Anas
Al-Sharif “ha aperto un nuovo profilo Instagram ma non so quanto durerà e in
generale quanto dureranno gli account che si esprimono contro il genocidio.
(Alessandro
Ferretti)
(alessandroferrettiblog.wordpress.com/2024/11/06/la-pulizia-etnica-al-nord-entra-nella-fase-decisiva-mentre-sui-sopravvissuti-incombe-la-morte-per-inalazione-di-amianto/).
(kulturjam.it/in-evidenza/gaza-al-nord-lassalto-finale-e-sui-sopravvissuti-incombe-la-morte-per-inalazione-di-amianto/).
L’Olanda,
il governo Conte e il ruolo
della
NATO nella farsa pandemica:
la
genesi di un colpo di Stato.
Lacrunadellago.net
– (11/11/2024) – Cesare Sacchetti – ci dice:
Mentre
in questi giorni ancora si respira un’aria di incertezza e paura dalle parti di
Bruxelles per il ritorno ufficiale di Donald Trump, arriva dall’Olanda una
rivelazione esplosiva forse proprio legata proprio al risultato delle
presidenziali americane.
A
parlare in una recente sessione del parlamento olandese è stato il ministro
della Sanità del governo “Fleur Agema”, la quale ha affermato, senza pudore
alcuno, che la farsa pandemica, chiamata impropriamente “pandemia” è stata sin dal
principio una operazione militare e che le direttive in merito venivano
trasmesse dalla NATO ai vari governi europei.
Secondo
quanto riferisce il ministro della Salute, gli ufficiali del Patto Atlantico
trasmettevano i loro ordini ad un altro organismo del governo olandese,
chiamato “NTCV”, un ente dedicato alla
sicurezza nazionale e all’antiterrorismo, che poi eseguiva tutte le fasi da
eseguire della cosiddetta “emergenza Covid”.
il
ministro della Salute olandese è” Fleur Agema”.
Questa
dichiarazione evoca la famigerata pubblicazione della “fondazione Rockefeller”
intitolata “Operazione Lockstep”, dove il termine “lockstep” sta a significare
“a tappe serrate” .
Si
tratta di una simulazione di una “pandemia” elaborata dalla fondazione della
celebre famiglia di banchieri nella quale si delinea appunto uno scenario
pandemico dove si può intravedere chiaramente una sorta di programmazione
militare con tutti i successivi passi da intraprendere per far fronte a questa
situazione di crisi.
I
primi passi di tale operazione a tappe serrate sono quelli delle restrizioni
della libertà personale attraverso l’imposizione di mascherine e il rilevamento
della temperatura prima di entrare nei luoghi pubblici.
I
lettori ricorderanno che proprio dal marzo del 2020 in poi si trovarono
sottoposti alle stesse identiche restrizioni che erano evidentemente state già
pensate 10 anni prima dagli analisti della “fondazione Rockefeller”, i quali
avevano in mente una società nella quale le libertà personali sparivano del tutto
assieme
alla progressiva scomparsa dei governi nazionali, sostituiti da una entità
sovranazionale che i tecnocrati chiamano “governance globale”.
È la
crisi “perfetta” della quale parlava nel 1994 davanti ad un consesso delle
Nazioni Unite di questa famiglia, “David Rockefeller”, che senza alcuna remora confessava
che tutto era pronto per aprire la strada al “Nuovo Ordine Mondiale”, e ciò che
mancava era soltanto quella crisi artificiale necessaria per far piombare il mondo in uno
stato di caos pianificato.
Il
caos pianificato è proprio quello che si vide nel marzo del 2020, quando i
popoli europei, soprattutto quello italiano, subivano una feroce e aggressiva
campagna terroristica tutta volta a far credere che per le strade circolasse un
pericoloso virus respiratorio in grado di uccidere molto rapidamente le
persone.
La
rivelazione del ministro della Salute olandese conferma, ancora una volta, che
di reale emergenza sanitaria nel 2020 non ci fu veramente nulla, se non quella
che i mezzi di comunicazione stavano creando artificialmente pur di gettare la
popolazione in uno stato di paura e caos voluto.
La nascita della falsa crisi pandemica.
C’era
invece una programmazione ben precisa, meticolosa di tale falsa crisi,
stabilita già in anticipo molti anni.
Si è
voluto far credere sin dal primo istante che fosse giunto un qualche misterioso
e letale agente patogeno dalla Cina, e che a trasmetterlo in Europa sarebbero
stati i due misteriosi cinesi giunti a Roma proprio da Wuhan nel gennaio del
2020.
In
realtà quei due singolari turisti sembravano avere sin dal principio dei legami
con i servizi segreti del partito comunista cinese che almeno in quel periodo
sembrava avere tutta l’intenzione di assecondare la farsa pandemica.
Era
questo il periodo dove si susseguivano le immagini dei cinesi che svenivano per
le strade, e
adesso è giunta la conferma che non si trattava altro che di attori pagati per
recitare una parte.
Se
dunque i cinesi che fingevano di svenire per le strade erano soltanto degli
attori, è più che legittimo pensare che anche i due che giunsero a Roma
stessero adempiendo ad un ruolo, ad una funzione precisa, e che la loro
oltremodo prolungata degenza ospedaliera presso l’ospedale Spallanzani sia
stata voluta proprio per instillare nella mente delle persone l’idea, falsa,
che il cosiddetto Sars-Cov2 fosse un pericoloso virus respiratorio in grado
anche di uccidere.
Nulla
di più falso, nulla di più infondato, poiché già in quel periodo i due
personaggi che concepirono l’utilizzo dei controversi test PCR, i ricercatori “Dorsten”
e” Corman”, ammettevano candidamente nel loro studio che non avevano un
campione isolato e purificato del Sars-Cov2, ma che invece si erano affidati ad
una simulazione al computer per elaborare il loro cosiddetto “studio”.
Vorremo
essere ancora più espliciti al riguardo.
I due
“virologi” hanno elaborato un test diagnostico per individuare la positività ad
un virus che non era, e non è stato ancora isolato.
La
madre dell’intera frode è proprio questa.
Si
aprì una caccia alle streghe “pandemica” per un virus che fino a prova
contraria non è mai esistito, e dopo 4 anni attendiamo ancora che qualcuno
porti un campione del virus isolato e purificato.
A
marzo quindi si era entrati già nella seconda fase della farsa pandemica,
quella nella quale si iniziava a far credere che le persone stessero morendo
per il Sars-Cov2, mentre, anche in base alle rivelazioni di diversi infermieri
in Europa, queste
morivano probabilmente perché venivano sottoposte ad un micidiale cocktail di
barbiturici, quali il “Madapolam”.
Il
governo Conte in quel periodo stava eseguendo le stesse identiche direttive che
si potevano riscontrare nella simulazione elaborata dalla fondazione
Rockefeller nel 2010, e messe in atto da ogni singolo governo europei in quei
drammatici momenti.
Il
verbale del CTS: la NATO dava ordini anche al governo Conte.
Una
delle diverse prove che il governo di Giuseppe Conte si stesse limitando ad
eseguire ordini già scritti dall’alto si trova proprio in uno dei verbali del
famigerato CTS, il disciolto comitato tecnico-scientifico, che porta la data
del 5 marzo del 2020.
Sono i
giorni immediatamente precedenti la strage di Bergamo, e in quell’occasione a
prendere la parola è il generale dalla NATO, “Francesco Bonfiglio”, che ordina
ai presenti, il ministro Speranza compreso, che da quel momento in poi ogni
singola comunicazione e trasmissione di documenti riguardante la cosiddetta
“pandemia” avrebbe dovuto avvenire attraverso il “Punto Nato UEO del DPC”.
Il
generale dei CC, Francesco Bonfiglio.
A far
notare la strana incongruenza sull’ultimo punto in questione è stato, tra gli
altri, il sito” Presskit” che ha osservato correttamente come il” Punto Nato
UEO” del dipartimento della protezione civile sulla carta non dovrebbe più
esistere dal 2011, poiché le sue funzioni avrebbero dovuto cessare per essere
trasferite invece all’Unione europea, ma invece apprendiamo che da tale verbale
tale passaggio di consegne non risulta essere ancora avvenuto.
Ancora
più grave è il fatto che un esponente della NATO ordinava al presidente del
Consiglio, Giuseppe Conte, e al ministro della Salute, Roberto Speranza, le
modalità di gestione della cosiddetta “emergenza Covid” tanto che il governo
italiano si è trovato di fatto ad essere commissariato dagli ufficiali del
patto atlantico.
Questo
verbale può considerarsi la pistola fumante che Giuseppe Conte e Roberto
Speranza stavano eseguendo le istruzioni della NATO, ma tale documento non è
stato ancora oggetto di indagine dalla magistratura, impegnata invece a insabbiare le inchieste
sui malori improvvisi o piuttosto a rincorrere false piste come la famigerata
inchiesta della procura di Bergamo, che non è nemmeno andata ad eseguire le
autopsie dei morti negli ospedali bergamaschi, limitandosi piuttosto a tenere
in piedi la falsa narrazione dei morti dovuti alle chiusure ritardate.
Le
dichiarazioni del ministro della Salute olandese trovano pieno riscontro in
questo documento ufficiale del CTS sotto il governo Conte.
Erano i generali dell’organizzazione atlantica a
trasmettere le direttive da eseguire ai vari governi.
La
farsa pandemica è stata sempre, evidentemente, e sin dal principio una
operazione concepita sul piano sovranazionale attraverso la manu militari da
quegli istituti e think tank affini alla “famiglia Rockefeller” e al magnate
dei vaccini, “Bill Gates”, per giungere ad uno scopo molto preciso già
stabilito, come visto in precedenza, anni prima.
A
distanza di soli 14 giorni, si ha un altro esempio pratico della manu militari
in questione, quando si vede quella macabra sfilata di camion militari che
trasportavano le bare dei morti negli ospedali di Bergamo.
A
dirigere tale operazione fu un altro generale, Paolo Figliuolo, al quale
nessuno ha mai chiesto conto delle reali motivazioni di far sfilare quei camion
per le strade, se non quelle di voler instillare un profondo senso di paura e
angoscia nei confronti del popolo italiano, sottoposto sin dal principio a
quella incessante e martellante campagna terroristica a sfondo “pandemico”.
La
sfilata delle bare di Bergamo.
I
morti che avrebbero dovuto essere esaminati scrupolosamente vengono invece
distrutti, anche se, in diversi casi, sembra che diversi deceduti negli
ospedali di Bergamo siano scampati alla smania del governo Conte e del ministro
Speranza di voler cremare i corpi, tanto che i due “raccomandavano” in una
famigerata circolare di non fare autopsie e di cancellare di fatto le prove dei
decessi di quelle persone.
Il
governo non voleva condurre alcuna ricerca sul cosiddetto Sars-Cov2, ma aveva
fretta di liberarsi dei corpi, un atteggiamento sospetto che avrebbe indotto
qualsiasi serio investigatore a mettere sotto inchiesta proprio i governanti
che piuttosto che fare le dovute autopsie volevano distruggere le prove dei
presunti “contagi”.
La
rivelazione del ministro della Salute olandese sul ruolo della NATO nella crisi
“pandemica” assieme ai verbali del CTS apre a questo punto uno scenario ancora
più inquietante di quelli già considerati in precedenza.
L’operazione
terroristica del coronavirus è stata chiaramente concepita molto tempo addietro
e ogni governo ha seguito una tabella di marcia specifica, poiché tutti si
mossero in contemporanea nel 2020 e tutti agirono per mettere in atto le stesse
restrizioni.
I
governi erano mossi da fili soltanto in apparenza invisibili, ma ora a distanza
di 4 anni si riesce finalmente a vedere la forma e la sostanza di questi fili
che sono stati tirati dal Patto Atlantico sempre ovviamente per compiacere a
sua volta il piano di quegli” istituti di potere mondialisti” che alla fine
sono i veri padroni delle tanto decantate “istituzioni liberal-democratiche
Occidentali”.
La
NATO infatti è lungi dall’essere l’organizzazione militare difensiva che
dichiara di
essere, e la prova di ciò la si è avuta dopo la caduta del muro di Berlino,
quando venne meno la ratio formale della sua esistenza, ovvero l’opposizione
all’URSS comunista.
Da
quel momento in poi la NATO si è espansa in larga parte dell’Europa Orientale e
ha iniziato a bombardare quei Paesi e quei leader, tra i quali ci sono l’ex
presidente serbo Milosevic e il colonnello Gheddafi, che venivano giudicati un
ostacolo per interessi della governance globale.
Il
patto atlantico, in altre parole, non è altro che il braccio armato del Nuovo
Ordine Mondiale, e se l’operazione terroristica del coronavirus è stata sin dal
principio una operazione militare, non sorprende che il suo coordinamento sia stato
affidato alla NATO.
L’ultima
fermata di tale processo era ovviamente la società autoritaria del Grande
Reset ma
soprattutto il trasferimento definitivo delle sovranità dei vari governi europei e
mondiali nelle mani di questa super-struttura mondiale.
Il
governo Conte ha chiaramente agito per questo fine. Ha agito per mettere fine
alla residua sovranità dell’Italia.
Ha
agito per eseguire gli ordini della NATO che voleva monitorare ogni fase della
farsa pandemica per assicurarsi che si arrivasse allo scopo già prestabilito
anni prima, e questo spiega perché Conte lasciò che il generale Figliuolo a
Bergamo gestisse quella macabra sfilata di camion che precipitò il popolo
italiano in uno stato di paura e di abulia, lo stato d’animo ideale per gli
ideatori di questo piano per convincere la popolazione a seguire ciecamente tutte le direttive piovute dall’alto,
anche le più assurde e folli, come il coprifuoco al bar alle 6 del pomeriggio
oppure come l’infame distanziamento sociale.
Giuseppe
Conte e Roberto Speranza dovrebbero dare molte risposte agli italiani e
dovrebbero rispondere di quella fase nella quale entrambi, assieme all’inquilino del Quirinale,
Mattarella, così amico della commissione Trilaterale dei soliti Rockefeller, si mossero per mettere in atto
questa campagna terroristica nel 2020 per poi passare il testimone l’anno
successivo al governo Draghi che si adoperò per imporre un vaccino, a base di
grafene e nano bot, per un agente patogeno nemmeno isolato.
C’è
stato quindi chiaramente un attentato pianificato alla sovranità dell’Italia e
alla salute del suo popolo ed è questo il crimine che i governanti del
2020-2022 hanno commesso contro il Paese, ed è questo il crimine per il quale
ancora oggi non sono stati chiamati a rispondere.
Le
dichiarazioni del ministro della Salute olandese a poca distanza dal trionfo di
Trump sembrano lasciar pensare però che forse i tempi per un “redde rationem”
sono finalmente maturi.
Gli
italiani hanno diritto di sapere che in quel biennio si consumò un colpo di
Stato su ordine della NATO e che a permetterlo furono i governi Conte e Draghi.
Lo
scandalo Dutroux: la rete pedofila
del
Belgio che arriva ai più alti
livelli
dell’UE e della NATO.
Lacrunadellago.net
–(30-10-2024) – Cesare Sacchetti – ci dice:
C’è un
posto dove una volta che si entra dentro, tanto più si scende nelle sue viscere
tanto più si viene sopraffatti da una sensazione di orrore e sgomento.
È
forse il posto più impensato agli occhi di una certa ingenua opinione pubblica
alla quale negli anni passati è stata somministrata la falsa immagine di quel
luogo come un posto innocuo, uno dove non succede mai nulla, e dove la presunta
civiltà Nord-Europea regna pacifica e ordinata.
Quel
posto è il Belgio, ed è in questo piccolo Paese di soli 10 milioni di abitanti
che fu voluto come stato cuscinetto nel’1800 per contenere eventuali pulsioni
espansionistiche della Francia che si sono consumate le violenze più mostruose
contro i bambini.
Il
passato per le vittime di questa rete non è mai realmente passato perché molte
di loro, ancora oggi, sono tormentate dagli indicibili abusi subiti.
Nel
museo degli orrori del Belgio c’è questa vasta rete di pedofili alla quale
appartengono i personaggi più potenti del Paese, compresi quegli uomini
dell’Unione europea e della NATO che si trovano nella capitale belga,
Bruxelles, casa appunto del patto atlantico e delle istituzioni comunitarie.
Questa
scelta di porre a Bruxelles tutti gli ingranaggi più importanti del cosiddetto
ordine Euro-Atlantico non sembra essere stata dettata soltanto da una presunta
volontà di scegliere un piccolo Paese per non scontentare Paesi più importanti
dell’Euro-Atlantismo, quali Germania, Italia o Francia, ma dal fatto che il
Belgio per le massonerie internazionali e per i circoli del potere mondialista
e satanico occupa un posto del tutto speciale.
Il
caso Marc Dutroux: il mostro pedofilo del Belgio.
In
questo museo degli orrori c’è di tutto, e c’è anche la storia di un uomo che
forse non è molto conosciuto qui in Italia, ma che è stato per diversi anni
l’incubo di molte famiglie belghe che vedevano improvvisamente sparire i propri
bambini per poi leggere qualche tempo dopo la triste notizia della loro morte.
Quest’uomo
è “Marc Dutroux”, un elettricista belga sposato in prime nozze con “Françoise
Dubois”, dalla quale si separerà nel 1983 dopo una lunga storia di abusi e
violenze nei confronti della sua consorte.
Marc
Dutroux.
Dutroux
però non limita la sua indole violenta e perversa soltanto alla moglie.
C’è
molto di più nella sua anima nera ed è già in quegli anni che l’uomo inizierà a
frequentare alcuni luoghi, quali i circoli di pattinaggio sul ghiaccio a
Charleroi, dove inizia a molestare alcune donne che si recavano lì con i loro
fidanzati, tanto che l’elettricista ha ricevuto anche delle percosse dal
fidanzato di una di queste, “Armand de Beyn”.
Nel
1985 Dutroux assieme ai suoi complici quali la sua seconda moglie, “Michelle
Martin”, inizia a rapire, violentare le sue vittime, adolescenti e bambine, e
poi rivende le sue foto ai vari compratori pedofili che sono in qualche modo i
committenti di questi orrori.
Si
inizia così con il rapimento della undicenne “Sylvie D.” , seguita poi dalla
19enne “Maria V.” e dalla 18enne “Catherine B.” , che vengono prelevate dalla
banda di Dutroux, nella quale ci sono alcuni membri ancora oggi mai
identificati dalla polizia belga, e poi fotografate, riprese nude e stuprate
persino con un rasoio dagli orchi che in seguito passavano il materiale ai loro
mandanti.
Gli
orchi pedofili però commettono qualche errore di troppo, e uno di loro, “Petegham”,
rivelerà troppo di sé alle ragazzine rapite, le quali poi daranno alla polizia gli
elementi necessari per risalire alla identità dei rapitori e stupratori che
infatti finiranno dietro le sbarre nel 1989.
Dutroux
riceve la condanna più pesante, 13 anni, e questa storia a questo punto
potrebbe chiudersi qui, poiché, si potrebbe pensare, che in qualsiasi Paese
normale un pedofilo e uno stupratore sia trattato con la durezza e il rigore
necessario e sconti tutta la sua condanna, che forse in questo caso è stata sin
troppo generosa considerata la pena inflitta.
Non è
però il caso di Marc Dutroux. Non è il caso del Belgio.
Si mette in moto un potente meccanismo che fa di tutto
per favorire il pedofilo belga, e aiutarlo a uscire dalla prigione nella quale
sarebbe invece dovuto rimanere per lungo tempo.
Dutroux
liberato dal ministro della Giustizia belga.
Dutroux
sconta appena 3 anni di prigione quando il ministro della Giustizia dell’epoca,
“Melchior Wathelet”, decide inspiegabilmente nel 1992 di scarcerarlo e di
rimetterlo in libertà nonostante non fosse nemmeno arrivato a metà della sua
condanna, e nonostante non avesse mostrato nessun segno di pentimento riguardo
alle sue azioni passate.
L’ex
ministro della Giustizia belga, Watelet.
Il
pedofilo era ancora fiero di quanto fatto in passato. Non aspettava altro che
qualcuno gli desse l’opportunità di fare ancora del male a innocenti bambine e
adolescenti belghe, e quella opportunità gli è stata data dal Guardasigilli
belga, a dimostrazione che dietro Marc Dutroux c’era e c’è, ancora oggi, un
inconfessabile mondo di segreti e una rete di potenti che fa di tutto per
proteggere i suoi fedeli servi, quali era il mostro Dutroux.
L’ex
ministro belga ha proprio quel profilo di potente legato a doppio filo sia alle
istituzioni belghe sia a quelle comunitarie, dato che dopo questo suo
incredibile regalo fatto a Dutroux e ad altri pedofili da lui rimessi in
libertà, farà
il grande salto, arrivando nel 1995 a diventare membro della Corte di Giustizia
europea, un tribunale alquanto controverso per le sue pronunce molto a favore
della lobby progressista, e sul quale è abbastanza nota l’influenza del
famigerato magnate di origini ebraiche, George Soros, già noto in Italia per la
sua speculazione in Italia contro la lira nel 1992.
Dutroux
non solo riesce a riguadagnare la libertà, ma arriva a prendere persino un
sussidio dallo Stato di circa 1200 euro dopo aver convinto un medico, che forse
aveva voglia di essere convinto, che lui aveva problemi psichici e che aveva
bisogno del sussidio statale per poter vivere.
Il
medico poi, non contento già del regalo fatto all’ex galeotto, gli darà anche
delle pillole per dormire che Dutroux ovviamente non userà su sé stesso ma
sulle sue future vittime.
Il
pensiero che attanaglia e ossessiona il pedofilo è sempre stato lo stesso anche
nel corso della sua detenzione.
Ricominciare
da dove si era interrotto verso la fine degli anni’80 per un incidente di
percorso.
Tornare
a far parte di quella rete pedofila che gli commissionava rapimenti e video di
pedopornografia che in alcuni casi sembrano persino aver varcato la già
orribile soglia dello stupro per approdare invece in quella dell’omicidio, in
quel genere di film proibiti chiamati nel mondo pedofilo “film snuff” sui quali
si dirà in seguito di più.
Dutroux
libero: iniziano i nuovi rapimenti.
E’
così che Dutroux si mette in contatto con un operaio e affittuario di una delle
sue case, “Claude Thirault,” un criminale di piccolo taglio, al quale darà
espresso incarico di costruire degli scarichi per le acque sotto una delle sue
nuove case.
Nemmeno
questo ha apparentemente attirato le attenzioni della polizia. Marc Dutroux risultava essere
disoccupato eppure riusciva ad essere proprietario di ben 7 case nonostante non
producesse sulla carta nessun reddito.
Era
chiaro che quando si trattava di guardare su quest’uomo le autorità avevano
ordine di guardare altrove o di far finta di non aver visto quello che in
realtà si era visto eccome.
“Thibault
“si mette così all’opera per accontentare le richieste del pedofilo, quando poi
vede in giardino due ragazzine che camminavano vicino la casa.
Dutroux
non si trattiene e non sembra avere la minima paura di rivelare il motivo della
loro presenza a Thibault, al quale dirà proprio queste parole.
“Se
le vuoi rapire, farai 150,000 franchi (4mila euro)… Le afferri da dietro, gli
metti una droga sedativa sotto il naso, le trascini nell’auto e poi chiudi le
portiere.”
La
orribile confessione del pedofilo sembra smuovere il piccolo criminale che
decide di informare le autorità delle vere attività di Dutroux.
La
polizia così si reca a casa dell’ex detenuto nel 1993, vede il seminterrato nel
quale in quel momento non c’erano bambine o adolescenti, fa un secondo ritorno
nella casa di Marcinelle, nel giugno 1994, ma nemmeno in questa occasione trova
apparentemente nulla, anche se gli ufficiali sembrano accorgersi che i lavori
sono stati interrotti.
Soltanto
un anno dopo queste visite, forse non più di tanto approfondite poiché la
polizia belga non pensa nemmeno a mettere sorveglianza un uomo con un passato
di orrendi abusi e rapimenti ai danni di minorenni, si manifestano i casi che
sconvolgono il Paese intero.
Scompaiono
nel giugno del 1995 due bambine di 8 anni, “Julie Lejeune” e “Melissa Russo”,
alle quali purtroppo seguono soltanto a due mesi di distanza la 17enne “An
Marchal” e la 19enne “Eefje Lambrecks”.
Non
appena questo accade, ancora una volta, l’operaio al quale Dutroux chiese di
costruire degli scarichi idrici sotto le sue case, si reca nuovamente dalla
polizia per invitarli a perquisire le case del pedofilo, ma le autorità invece
che procedere su una pista che era già abbastanza lampante due anni prima,
quasi dicono a Thibault che l’onere della prova è suo e che è lui che deve
fornire più elementi alle forze dell’ordine.
La
gendarmeria belga ha salvato il pedofilo.
Eppure,
in base a quanto è emerso in seguito, la polizia non aveva alcun bisogno di Thibault
per arrivare alla verità.
Sapeva
già tutto nel 1995, quando l’ufficiale “Rene Michaux “della sezione
investigativa della gendarmeria belga, la” Brigade de Surveillance et de
Recherche,” una sorta di DIGOS del Belgio, aveva già ricevuto sul tavolo del
suo ufficio tutte le informazioni necessarie per risalire a Dutroux e ai suoi
complici.
Rene
Michaux:
Michaux
infatti era a capo di una operazione investigativa denominata “Operazione
Otello” che aveva posto sotto sorveglianza la famigerata casa di Marcinelle del
pedofilo, ma nonostante questo le telecamere magicamente non avevano ripreso
nell’agosto del 1995 Dutroux che portava in quella casa le sue due vittime, “An
Marchal “e “Eefje Lambrecks”, così come non avevano ripreso, anche qui
magicamente, un tentativo di fuga di” Eefje”.
Non è
la prima volta che la tecnologia che tanto viene decantata dalle agenzie di
intelligence e dalle forze dell’ordine appare non funzionare più quando si tratta
di tracciare delle piste investigative che possono ledere gli interessi di
potenti giri pedofili e massonici, ma in compenso le telecamere però funzionano
benissimo quando si tratta di riprendere semplici cittadini per le strade, come
avviene in diverse città europee, tra le quali la stessa Bruxelles.
“Michaux”
non solo non aveva visto quello che le telecamere avrebbero dovuto registrare,
ma ha ignorato anche tutti gli altri pesanti indizi che gli erano stati
sottoposti dalla madre di “Dutroux”, che sapeva della condotta criminale del
figlio e voleva collaborare con la polizia, e da un altro agente di polizia, “Christian
Dubois”, che aveva mostrato al suo collega le prove su un altro complice del
pedofilo, “Michel Nihoul,” un uomo d’affari belga del quale si dirà di più a
breve.
Queste
prove e questi indizi sarebbero stati più che sufficienti per qualsiasi serio e
onesto ufficiale di polizia per procedere all’arresto del sospettato, ma per “Michaux”
evidentemente no, tanto che si è persino lasciato sfuggire la pistola fumante,
quando lui stesso si è recato nella citata casa di “Marcinelle”, perché Dutroux
intanto nel’95 era stato arrestato per furto d’auto.
Nella
casa l’uomo della gendarmeria belga sente le grida delle due bambine, Julie e
Melissa, ma non prova nemmeno a rispondergli, e ignora persino una crema
vaginale trovata nel seminterrato assieme a uno speculo, delle catene e un
video sulle bambine scomparse che poi moriranno di stenti in quel luogo degli
orrori, e una di loro, “An Marchal”, sarà addirittura seppellita vita dal
criminale.
Melissa
Russo e Julie Lejeune.
La
soluzione del caso era andata dritta tra le braccia di “Michaux” che
evidentemente non aveva nessuna voglia di prenderla e chiudere il caso.
Derubricare
il tutto a semplice incompetenza sarebbe assurdo, perché è sempre stato
evidente in questo caso che dietro “Dutroux” c’erano ambienti ben più potenti
che avevano tutto l’interesse a lasciarlo agire indisturbato.
Ed è
quello che andrà anche in questa occasione, come già visto nel 1992 quando il
ministro della Giustizia lo rimise in libertà.
L’orco
viene scarcerato ancora una volta nel marzo del 1996 per “ragioni umanitarie”
perché la sua seconda moglie aspetta un figlio, ma questo non era certo la sua
preoccupazione.
La sua
preoccupazione era quella di rimettersi subito all’opera e di rapire altre due
bambine di 12 anni, “Sabine Dardenne” e “Laetitia Delhez”, ma questa volta,
finalmente, il mostro viene arrestato nell’agosto del 1996 dai due inquirenti “Jean-Marc
Connerotte” e “Michel Bourlet” che già erano stati fermati qualche anno prima
mentre indagavano sull’assassinio del politico socialista “Andrè Cools”.
L’esito
purtroppo non fu diverso nemmeno in quella occasione. “Connerotte” viene
rimosso dall’inchiesta soltanto perché aveva partecipato ad una cena di
beneficenza per le vittime di “Marc Dutroux”.
La macchina
che aveva protetto il pedofilo per tutti gli anni precedenti solleva il
magistrato dall’incarico per questo discutibile pretesto e il Belgio si
infiamma.
Scendono
in piazza 300mila persone in quella che all’epoca venne chiamata “marcia
bianca”, una massiccia manifestazione di protesta dei belgi che volevano verità
e giustizia per le vittime della rete pedofila che era ormai arrivata ai piani
più alti del Paese.
I
testimoni degli abusi pedofili: gli uomini più potenti del Belgio e d’Europa.
Iniziano
a farsi avanti tutte quelle vittime di abusi che non avevano trovato giustizia
negli anni precedenti, quando avevano denunciato di essere state stuprate da
uomini molto potenti, ma nelle istituzioni che avrebbero dovuto fare luce su
questi pedofili c’erano uomini come “Michaux”, che si premuravano di insabbiare
il tutto.
Si
fanno avanti nuovamente e inizialmente le testimoni vengono identificate con le
sigle X1, X2, X3, etc.
X1 è “Regina
Louf”, la prima testimone che rivela di essere stata venduta dai suoi genitori
sin da piccola, fino a quando non sposò un ragazzo nel 1988 grazie al quale
riuscì a venire fuori viva dal suo incubo prima di finire con ogni probabilità
nei cosiddetti “film snuff” dei quali si diceva prima.
Regina
Louf.
C’era
X2 che è un’agente di polizia sottoposta ad abusi sin da bambina è che stata
anche portata in dote ad un potente membro del Rotary, l’associazione para massonica
della quale si è parlato in un’altra occasione.
X2
sapeva perfettamente che l’inchiesta sarebbe stata sabotata dalle autorità e ha
lasciato il programma di testimonianza per questa ragione.
Ognuna
delle vittime condivideva un passato di abusi pedofili in famiglia, e ognuna di
esse è stata portata sin da piccola alle feste e ai parti satanici nei quali
non solo c’erano stupri di bambini e bambine, ma anche torture e veri e propri
omicidi.
Qui si
apre la porta dei” film snuff “dei quali si diceva prima. Sono i film nei quali si uccidono per
davvero delle persone, uomini, donne e bambini per compiacere i sadici perversi
che comprano questi filmati.
In
Belgio, sembra esserci un mercato molto fiorente al riguardo sul quale stava
facendo luce “Jean – Pierre Van Rossem”, una sorta di guru della finanza già
coinvolto in attività illecite ma che sembrava volesse far emergere la verità
su questi traffici.
“Van
Rossem” aveva iniziato a fare il giro dei sexy shop in Belgio e in Olanda alla
ricerca di questi film proibiti fino a quando non incappò in due, ad “Hulst e
Putte”, nei quali non solo gli venne fornito materiale pedopornografico su
richiesta ma anche un film nel quale una ragazza veniva brutalmente torturata
ed uccisa in cambio di 5mila euro.
È il
piano superiore della rete pedofila che era stato denunciato da “Regina Louf” e
dalle altre testimoni.
Le
vittime avevano riconosciuto i loro aguzzini tra i quali c’erano personaggi di
altissimo profilo della società belga ed europea.
L’ex
deputato belga” Laurent Louis “aveva pubblicato sul suo sito tutta la lista dei
personaggi coinvolti nel caso Dutroux e riconosciuti dalle loro vittime.
Tra
questi c’erano Alberto II, ex re del Belgio, il principe Alessandro, figlio del
sovrano Leopoldo III, Michael Aquino, militare americano del Pentagono e con
importanti incarichi nella NATO e già fondatore della setta satanica “Il tempio
di Set”, il commissario di polizia Philippe Beneux, il magistrato Vincent
Baert, il citato politico socialista André Cools, il cardinal Danneels, già
noto per essere stato parte della famigerata mafia di San Gallo che propiziò
l’elezione di Bergoglio, e Herman Van Rompuy, ex primo ministro del Belgio e
presidente del Consiglio Europeo.
Sono
alcuni degli uomini più potenti del Belgio e d’Europa.
Il caso Dutroux non è altro che un filo di Arianna
della pedofilia che se seguito fino alla fine conduce ai veri signori che
gestiscono questo mondo.
“Marc
Dutroux” è soltanto un mero manovale e tutto l’apparato investigativo del
Belgio ha agito per non far emergere la verità su chi tirava i suoi fili e su
chi c’era dietro questo museo degli orrori fatto di stupri di bambini, omicidi
e atti di bestialità, ovvero sesso con animali, che dovevano subire le vittime
di questo circolo di sadici depravati.
Non
sorprende che le autorità belghe non abbiano mai veramente voluto fare luce sui
mandanti di “Dutroux” che oggi sconta una condanna all’ergastolo in Belgio.
Non lo
hanno fatto perché sarebbe stato come fare harakiri. L’intero castello di carte sarebbe
venuto giù.
Alla
fine si può vedere come questa potente rete pedofila non sia altro che il
pilastro delle corrotte democrazie liberali e del massonico Nuovo Ordine
Mondiale.
L’Ue
riflette su Trump.
Laragione.eu
– (11- novembre 2024) – Federico Mari – ci dice:
In Ue
tiene banco l’affermazione oltreoceano di “Donald Trump” che sta creando non
pochi grattacapi presso le cancellerie del Vecchio Continente.
Sembra
quasi paradossale che un incontro così importante avvenga nella Budapest di “Viktor
Orbán”.
Eppure
nell’elegante città sul Danubio, al vertice della Comunità politica europea –
format allargato che accoglie anche Paesi esterni all’Unione – non ha voluto
mancare neanche “Volodymyr Zelensky”, la cui partecipazione era stata messa in
dubbio da alcuni osservatori per le posizioni del premier ungherese, vicino a
Mosca.
Nonostante
i temi sul tavolo siano diversi, a tenere banco è inevitabilmente
l’affermazione oltreoceano di “Donald Trump”, che sta creando non pochi
grattacapi presso le cancellerie del Vecchio Continente:
il
tycoon ha esagerato in campagna elettorale per consolidare il consenso (già
forte) nell’America profonda?
Oppure terrà fede alle promesse, aprendo una
nuova crisi nelle relazioni transatlantiche?
Oltre
ai piani per l’imposizione di dazi su tutti i prodotti di fabbricazione
straniera che entrano negli Stati Uniti, preoccupano le posizioni in politica
estera:
negli scorsi mesi Trump ha minacciato di
rivedere l’assistenza militare e finanziaria di Washington a Kyiv e si è
vantato – in quella che è sembrata ad alcuni una provocazione, ad altri una
minaccia – di incoraggiare il Cremlino a «fare quel che vuole» ai danni dei
membri dell’Alleanza Atlantica che non rispettano l’obiettivo di spesa del 2%.
Inoltre,
la promessa di «terminare in un giorno» la guerra in Ucraina alimenta il timore
che “The Donald” intenda concedere ai russi le porzioni di territorio sotto il
loro controllo.
In
generale, la possibilità di un progressivo disimpegno americano dal fianco
orientale spaventa quasi tutti i leader europei, che arrivano però al summit
con stati d’animo differenti.
La
singolare decisione di ospitare i lavori presso la “Puskas Arena” – imponente
stadio teatro quattro anni fa di alcuni incontri degli Europei di calcio –
favorisce un’ironica metafora sportiva:
molti dei ‘giocatori’ appartengono alla stessa
squadra, ma non tutti scendono in campo con le stesse preoccupazioni.
Se “Emmanuel
Macron “chiede all’Europa di «svegliarsi» e «cominciare a difendere i propri
interessi» e “Olaf Scholz “si ritrova impantanato in una crisi di governo che
potrebbe condurre Berlino al voto anticipato, “Giorgia Meloni” sembra vantare
una serenità differente.
In un
momento in cui persino Londra teme per la sua ‘relazione speciale’ con il
tradizionale alleato, Roma si propone come mediatrice fra i due mondi, complici
le affinità politiche e la forte amicizia della presidente del Consiglio con
Elon Musk, proiettato verso un ruolo centrale nella nuova amministrazione.
Nell’esecutivo
non mancano le voci realiste.
Il
ministro della Difesa Guido Crosetto ha sottolineato come spetti ora all’Italia
e all’Europa fare la propria parte dal punto di vista nazionale e collettivo:
«Non dobbiamo attendere che ci pensino gli
americani, dobbiamo dimostrare di essere disposti per primi a garantire la
nostra sicurezza».
Coniugare
i due approcci potrebbe passare per un duplice binario:
lasciare ai singoli Paesi giurisdizione sulle
problematiche che possono affrontare da soli e, al tempo stesso, unire le forze
per affrontare i dossier più urgenti e spinosi.
La prospettiva di fare debito comune per
supportare le politiche di riarmo – suggerita anche nel rapporto confezionato
da Mario Draghi, che ha ribadito ai giornalisti come «non sia più possibile
posporre le decisioni» – continua però a non piacere alla Germania e ai suoi
partner, rigoristi sui conti.
Degna
di attenzione è stata anche la tavola rotonda sulle migrazioni, presieduta dal
cancelliere austriaco “Karl Nehammer”.
Sul
tema Roma e Vienna hanno già fatto sapere di «andare nella stessa direzione».
Nelle
ultime 48 ore si sono
rincorse
notizie, indiscrezioni, “boatos”
su presunti contatti tra Vladimir Putin
e
Donald Trump.
Laragione.eu
– (11 novembre 2024) – Yurii Colombo – ci dice:
Nelle
ultime 48 ore hanno si sono rincorse notizie, indiscrezioni, “boatos” su
presunti contatti tra Vladimir Putin e Donald Trump, tra i rispettivi staff e
persino di telefonate completamente irrituali, tra il Presidente americano
neoeletto, Volodymir Zelensky e Elon Musk.
In
mattinata, il portavoce di Putin, “Dmitry Peskov” però è intervenuto
infastidito per negare qualsiasi contatto diretto tra i due presidenti e anche
Mikhail Podolyak, stretto collaboratore di Zelensky, ha fatto intendere che
anche l’ormai celebre “telefonata a tre” Zelensky-Trump-Musk non ci sia in
realtà mai stata.
Solo voci di una stampa che vuole dare in
pasto ai suoi affamati lettori dei dettagli su un piano di pace per l’Ucraina
che il tycoon americano avrebbe già elaborato da mesi, quindi?
Non
proprio.
Effettivamente,
c’è un grande agitarsi negli uffici diplomatici e in quelli del ministero della
difesa russa negli ultimi giorni.
E se i pasdaran dell’ultra-nazionalismo di
destra come “Alexander Dugin” sostengono a gran voce che ora l’esercito russo
potrà puntare diritto verso Kiev, anche i più cauti uomini del Cremlino qualche
valutazione sull’ipotesi di accordo fatta circolare dal “Wall Street Journal”
hanno iniziata a farla.
Il
quotidiano americano aveva scritto che Trump ipotizzerebbe un riconoscimento
dell’annessione della Crimea e dei territori conquistati dall’esercito russo
nel Donbass dal 24 febbraio 2022 in avanti e la creazione di un’ampia zona
demilitarizzata sulla linea del fronte che sarebbe controllata da soldati Usa
ed europei (più europei che Usa).
Se
questa fosse la piattaforma d’intesa, secondo le indiscrezioni raccolte da
“Forbes Russia”, allora “l’esercito russo si starebbe attivando nella regione
di Kursk per prepararsi al piano di cessate il fuoco di Trump.
L’esercito russo vuole riconquistare la
regione prima del “congelamento” del fronte che il nuovo presidente degli Stati
Uniti Donald Trump vorrebbe proporre, in modo tale che non sia oggetto di
trattativa con Kiev”.
In realtà secondo altri analisti russi, Putin
non avrebbe così tanto fretta di concludere il conflitto e vorrebbe attendere
che le contraddizioni tra Usa, Europa e Ucraina crescessero e si manifestassero
appieno nelle prossime settimane e mesi.
Anche
perché se è vero che l’esercito ucraino è in difficoltà, la situazione di
quello russo è lungi dall’essere eccellente.
Secondo
il portale russo di opposizione “Medusa”, il trionfalismo di Putin sulla
situazione al fronte è costellato di bugie:
“Le
truppe russe – scrive Medusa – hanno raggiunto Oskol, a sud di Kupyansk,
diverse settimane fa, ma non sono ancora riuscite a sfondare in città che è
difesa da diverse brigate dell’esercito ucraino, che mantengono un collegamento
stabile con la sponda occidentale, nonostante i ponti sull’Oskol siano stati a
lungo bombardati dagli aerei russi”.
Inoltre,
“gli obiettivi finali di questa offensiva russa sono difficili da determinare:
sarà difficile per loro forzare l’Oskol e creare una testa di ponte stabile
sulla sponda occidentale (come dimostra l’esperienza dell’intera guerra).
Quindi
la preda della parte orientale di Kupyansk non porterà a nuove opportunità per
un’offensiva.
Rimane una variante con l’avanzata a sud lungo
l’Oskol con un ipotetico accesso alla città di Liman.
Più
avanti, l’offensiva (se l’esercito ucraino avrà ancora forze per resistere)
arriverà all’ansa dell’Oskol e a un fiume ancora più grande, il Seversky
Donets.
Nella
regione di Kursk poi, l’esercito ucraino sarebbe riuscito a fermare l’offensiva
russa a ovest di Suja.
Le
forze ucraine avrebbero trasferito le riserve in quest’area e continuerebbero a
contrattaccare, anche con l’uso di carri armati.
In realtà Mosca, in ultima istanza, vuole
capire se il Pentagono accetterà o emenderà i piani della “pace in cinque
minuti” di Donald Trump.
Se lo scetticismo
e alzate di scudi dei generali diventassero fatti reali, allora tutta la gran
effervescenza alimentata ad arte da alcuni giornali americani svanirebbe così
come l’idea della “facile vittoria” a cui credono in queste ore non solo gli
uomini della strada russi ma anche i brokers della Borsa di Mosca.
(Yurii
Colombo)
Cyber-Insicurezza
e Portafogli Digitali.
Conoscenzealconfine.it
– (12 Novembre 2024) - Saura Plesio (Nessie) – ci dice:
Confesso
che mi sento spossata e perfino sfiduciata sull’ennesima iniquità propinataci
dalla Ue, accolta da questo governo che non ha il coraggio di differenziarsi da
quanto avrebbero fatto gli avversari-avversati comunisti.
Oltretutto
su questo blog (sauraplesio.blogspot.com) ne parlò la sottoscritta – devo dire
nell’indifferenza generale – già il 28 dicembre del 2023 in questo post. Capisco che alla vigilia di un
Capodanno nessuno abbia voglia di intristirsi, ma il portadocumenti virtuale e
digitale, purtroppo è una novità che pochi hanno voglia di approfondire, ma che
incombe.
La
fregatura sta già nella parola inglese:
“WALLET
“ovvero portafoglio, portadocumenti… Digitale, naturalmente.
Una
prigione digitale ancora peggiore del green pass, in quanto più
onnicomprensiva, vendutaci dai media come un passo verso la “semplificazione”.
Non
sono l’unica ad averne parlato in rete.
Lo ha
fatto Blondet, l’Ing. Negri e Martina Pastorelli, in un memorabile video che ho
già postato varie volte e fatto passare ad amici.
Il 23
ottobre scorso lo hanno sperimentato su 50 persone, non so se consenzienti o
scelti a random.
Tutti
zitti e mosca!
Il
calendario dei prossimi test di questo “Wallet”
è già stato definito:
– Il 6
novembre è stato aperto a 250.000 cittadini;
– Il
30 novembre sarà aperto a 1.000.000 di cittadini;
– Il 4
dicembre verrà aperto a tutti gli utenti che hanno l’app IO.
Con
queste “finestre di Overton” progressive ci sospingono verso il comunismo alla
cinese e al suo sistema totalitario del credito sociale.
Ricordo
che il 23 ottobre, è pressappoco la stessa data nella quale fu instaurato quel
green pass per chi doveva recarsi al lavoro, pena la sospensione da ogni
attività per chi ne fosse stato sprovvisto.
Sul
web, infinite raccomandazioni a non scaricare l’app IO e a come disinstallarla
nel caso foste il “prescelto”.
Abbiamo
lottato tanto contro il “marchio verde” sanitario, e ora se verrà normalizzato
questo portafoglio digitale, saremmo giunti alla “trappola finale”.
Martina
Pastorelli nel video qui sopra, ci parla di come prenda corpo il progetto di
trasformare i cittadini in utenti da sorvegliare e da qui a prigionieri il
passo è breve.
Con il
progetto di trasformare gli stati non più sovrani, in entità smaterializzate in stile
“piattaforma”.
E il progetto successivo dell’euro digitale va
in questa direzione.
Ma è
mai possibile che non ci lascino più vivere in pace e che dobbiamo preoccuparci
se hanno infiltrato abusivamente e a nostra insaputa un’APP che si chiama” IO”
come il verso del somaro?
Sono
già al lavoro gli sbufalatori di regime che lanciano gli allerta dei nuovi
pericolosi “NO Smart” per coloro i quali rifiutano questo nuovo abuso.
Nessuno
vuole rifiutare le comodità e il progresso.
Si
tratta semplicemente di non voler cedere ai ricatti e alle coercizioni che
fanno parte del pacchetto.
Scrivono
pure, “per consolarci”, che l’Italia sarebbe la prima a sperimentare le
meraviglie di questa digitalizzazione.
Sì, ma
chi è tanto stolto da essersi fatto avanti?
Se è
così, preferisco i faldoni cartacei che arrivano fino al soffitto.
Frattanto,
per la cronaca fioccano inchieste su spionaggio informatico in grande stile e
compra-vendita di dati che oramai sono più preziosi dell’oro e del petrolio
. Il
nostro sistema di cyber-sicurezza fa acqua da tutte le parti ed è dimostrato
che ex poliziotti della squadra mobile di Milano (Carmine Gallo), ex uomini
della Guardia di Finanza e alti manager della Bocconi (mi riferisco a Enrico
Pazzali), possono reclutare eserciti di hacker per spiare e trafugare dati da
800.000 persone. Per conto di chi?
Sarebbe
interessante saperlo.
Ed è evidente che costoro non lavorano per
l’Italia, ma per servizi segreti di potentati stranieri interessati a
distruggerla.
Ecco,
in tutto questo quadro assai poco rassicurante, vorrei chiedere agli uomini e
donne di questo governo se hanno il coraggio di procedere ancora con il
calendario delle “riforme” digitali basati sulla “semplificazione”.
Ovvero,
offrire le nostre vite in un portafoglio-dossier che rischia di diventare un
comodo dossieraggio on line permanente e ricattatorio di dati preziosi come il
petrolio, con buona pace per la privacy.
Ovviamente
il rischio non è solo questo.
Il
peggiore di tutti i rischi è la trappola-Matrix in atto che ci trasforma da uomini
in topi, come nel romanzo di Steinbeck.
(Saura
Plesio -Nessie)
(sauraplesio.blogspot.com/2024/10/cyber-insicurezza-informatica-e.html)
L'enigma
Pnrr: forse miraggio,
forse
panacea, forse zavorra.
Avvenire.it
- Eugenio Fatigante – (lunedì 15 luglio 2024) – ci dice:
Entrato
nella seconda metà operativa, il Piano Ue procede a rilento per la spesa
effettiva: solo metà dei 102,5 miliardi incassati. E alcune uscite sono poco
utili. Giorgetti insiste sull'allungamento.
Da
miraggio alle porte, quasi una possibile panacea di ogni male, a zavorra di non
semplice gestione:
il tragitto percorso finora dal Pnrr, il Piano
nazionale di ripresa e resilienza voluto dalla Unione Europea nel 2020 della
piena pandemia e negoziato per giorni a Bruxelles dall’allora premier Giuseppe
Conte, somiglia sempre più alla parabola di quelle giovani stelle (dello sport
come dello spettacolo) che vanno presto incontro a una difficile evoluzione.
Il
contesto è noto e registra un convitato di pietra, sempre più presente nei
conciliaboli fra Palazzo Chigi e la Commissione Europa (e solo pochi giorni fa
rilanciato in pubblico da Giancarlo Giorgetti):
una sua eventuale proroga rispetto alla
scadenza ora fissata tassativamente a giugno 2026.
Il ministro dell’Economia sembra essere
convinto che alla fine ci sarà.
Anche
se nessuno vuole darla oggi per acquisita e - casomai - non se ne parlerà prima
di un anno, anche perché rappresenterebbe un disincentivo per un Paese come il
nostro, storicamente abituato a non riuscire a spendere più della metà dei
fondi ordinari europei a disposizione.
Il tema è stato rilanciato qualche giorno fa
alla luce di un documento della Ragioneria generale dello Stato che, di fatto,
ha solo confermato quanto già scritto nell’ultima relazione ufficiale del
governo, risalente a febbraio scorso:
su 102,5 miliardi di euro incassati finora (le
prime 4 rate più il prefinanziamento, sul totale delle 10 tranches previste per
un importo complessivo di quasi 195 miliardi) ne sono stati spesi non più di
49,5.
Una
capacità di spesa, finora bassa, che preoccupa il governo Meloni (tornato a
scoprire il “volto duro” dell’Ue dopo la procedura avviata per via del deficit
2023 al 7,4% che va riportato sotto il 3%) soprattutto per un aspetto:
la
quasi totalità dell’1% di crescita per quest’anno ancora attesa dal Tesoro è
prevista a seguito dell’apporto delle misure presenti nel Piano Ue.
Senza
queste, anche il Pil viaggerà al ribasso, con tutte le conseguenze del caso sui
conti pubblici.
Ma
l’esecutivo Meloni non si è sempre fatto vanto che l’Italia «è la prima nazione
europea per realizzazione del Pnrr, nonostante abbia il piano più corposo fra
tutti», al punto che ha da poco ricevuto pure il primo ok di Bruxelles al
pagamento della quinta rata?
Il
fatto è che questa affermazione è vera solo per metà.
Il
nostro Paese sta sì pienamente rispettando, anche dopo la revisione del Piano
fatta un anno fa, la tabella di marcia degli obiettivi e delle riforme
concordate per far scattare il disco verde alle prime rate.
C’è
però il rovescio della medaglia, ed è appunto quello dei ritardi nella spesa,
quegli stessi ritardi che erano stati citati da Meloni nell’autunno 2022 per
addebitare taluni ritardi all’eredità del governo Draghi.
Inoltre
l’Italia è sì uno dei soli tre Paesi che hanno ricevuto 4 rate (gli altri sono
Croazia e Portogallo), ma questo non è necessariamente un indice di maggior
qualità, anche perché le 10 rate sono state chieste solo da 10 Stati (oltre ai
3 suddetti, Spagna, Belgio, Grecia, Cipro, Romania, Slovacchia e Slovenia), gli
altri si fermano a meno rate.
Peraltro,
come noto, l’Italia è anche lo Stato che più ha chiesto prestiti da rimborsare
(122 miliardi), mentre altri si sono fermati alle sole sovvenzioni a fondo
perduto.
Inoltre, da fonti Ue l’Italia avrebbe
raggiunto il 295 dei traguardi e obiettivi concordati, contro una media europea
del 19%;
però è
anche vero che 5 Paesi (tra cui la Francia al 51%) hanno percentuali più alte
di noi.
E se
poi l’impiego dei fondi resterà a un livello basso (specie per le opere
pubbliche più impegnative), sarà anche più difficile riuscire a ottenere le
ultime rate in programma.
Da qui
l’esigenza di far procedere i cantieri in parallelo alle norme.
Siamo entrati ora nella seconda metà operativa
del Piano e va fatto pure un discorso di qualità della spesa.
Perché, per elevarla, si è cominciato a
impiegare i soldi per voci che difficilmente produrranno un vero ritorno di
crescita:
sono
già emersi sui giornali alcuni casi eclatanti, come i 10 milioni per rifare il
mercato dei fiori di Pescia pistoiese o i fondi per gli scivoli acquatici a
Bolzano o quelli per i proiettori in una serie di cinema.
Forse
anche per questo dalla Germania, col ministro delle Finanze “Christian Lindner”,
ieri all’Eurogruppo è venuta una linea molto chiara:
«Gli Stati devono continuare a essere
responsabili sulle proprie finanze pubbliche, la mutualizzazione del debito non
contribuisce alla stabilità e quindi non la sosterremo».
Il Pnrr, insomma, resterà un figlio unico.
La
squadra di Trump dice molto
di
come l'America cambierà
nei
prossimi mesi.
Avvenire.it
- Elena Molinari - New York – (mercoledì 13 novembre 2024) - ci dice:
Prende
forma il team presidenziale: Rubio probabile segretario di Stato e Waltz alla
Sicurezza sono un segnale contro Pechino.
Nel
giorno in cui i repubblicani si assicurano il controllo della Camera, Donald
Trump, nomina una raffica di fedelissimi a posti di rilievo nella sua futura
Amministrazione, che si delinea dura sull’immigrazione e contro la Cina e
solidamente pro Israele.
Come previsto, con la conquista del seggio
numero 218 in Colorado, il partito conservatore Usa ha ieri confermato la sua
maggioranza alla Camera, strappando così la presa totale del Congresso, che
permetterà al presidente di portare a termine senza ostacoli il suo programma
elettorale.
I nomi
indicati dal prossimo inquilino della Casa Bianca a capo dei principali
ministeri e agenzie federali sono infatti del tutto in linea con le promesse
della campagna.
È
probabile, ad esempio, che Trump scelga l’ex avversario alle primarie del 2016
Marco Rubio come segretario di Stato.
Il senatore repubblicano della Florida è un
falco della politica estera particolarmente duro con Cina e Iran che ha detto
di voler porre rapidamente fine alla guerra in Ucraina.
In quanto cubano-americano, sarebbe il primo
latinoamericano a rivestire questa posizione.
La
governatrice del South Dakota “Kristi Noem” è destinata invece a diventare
segretario per la sicurezza interna.
“Noem”,
è una forte alleata di Trump, ma la sua carriera politica sembrava bruciata
qualche mese fa quando aveva rivelato, nella sua autobiografia, di aver ucciso
a sangue freddo il suo giovane cane da caccia perché non si era dimostrato
all’altezza del suo compito.
La governatrice ha promesso di portare a termine un
forte giro di vite sull’immigrazione, compito nel quale sarà aiutata da “Tom
Homan”, il nuovo “zar dei confini”.
Capo
dell'Ice (la temuta polizia anti-migranti) nei primi anni della prima
amministrazione Trump, Homan, fu il volto di misure fortemente criticate come
il “muslim ban” e la separazione dei bambini dai genitori alla frontiera.
Ora ha
assicurato che aumenterà le incursioni sul posto in cerca di persone da
deportare.
Il
triumvirato anti-immigrati sarà completato da “Stephen Miller”, che di quelle
misure di “tolleranza zero” fu il discusso architetto, e torna ora come vice
capo dello staff.
Come
suo diretto superiore il presidente designato ha voluto “Susie Wiles”, la
«ragazza di ghiaccio», come l'ha chiamata Trump nel discorso della vittoria
ringraziandola per aver guidato la sua campagna al trionfo.
Sarà
la prima donna capo dello staff, una posizione esecutiva di forte rilievo, alla
Casa Bianca.
Il
ruolo di massimo funzionario della sicurezza nazionale di Trump sarà ricoperto
da “Mike Waltz”, un veterano dell’esercito che è stato il “primo Berretto Verde
eletto al Congresso”, e che ha attaccato senza riserve la politica estera di
Biden, colpevole a suo dire di aver «reso la Cina vincitrice».
Altro
nemico giurato di Pechino oltre a Rubio, dunque, il deputato newyorkese è anche
scettico sulla Nato, e ha definito «patetico» che meno della metà degli alleati
abbia rispettato i propri obiettivi di spesa militare.
L’eco-scettico
“Lee Zeldin” guiderà l’”Epa”, l’agenzia per la protezione dell’ambiente.
Trump
ha detto di averlo scelto per la sua «fortissima competenza legale» che gli
permetterà di combattere «per le politiche America First» e di «garantire
decisioni di deregolamentazione giuste e rapide che saranno attuate in modo da
liberare il potere delle imprese americane mantenendo allo stesso tempo i più
alti standard ambientali».
“Elise
Stefanik”, che presiede la conferenza repubblicana della Camera e ha appena
vinto il suo quinto mandato come deputata dello stato di New York, sarà la
prossima ambasciatrice alle Nazioni Unite.
Convinta
difensore di Israele e feroce critica dell’Onu, “Stefanik” è un’alleata
instancabile di Trump che ha difeso con accanimento nel 2019 durante il primo
processo di impeachment contro l’allora presidente.
Non ha
esperienza diplomatica, ma si è fatta notare la scorsa primavera per aver
interrogato con durezza i presidenti delle università sulle proteste su Gaza
che avvenivano nei loro campus, ottenendo le dimissioni di due di loro.
L'Albania,
l'attacco ai giudici,
le
polemiche: Musk diventa
un
caso italiano.
Avvenire.it - Vincenzo R. Spagnolo- (Roma - martedì
12 novembre 2024) – ci dice:
Il
miliardario statunitense irrompe nella questione Albania con un messaggio su
“X”, affermando che le toghe delle mancate convalide «devono andarsene».
Salvini gli dà «ragione».
L’Anm in rivolta.
Resta alta, e assume singolari venature a
stelle e strisce, la tensione fra il governo e la magistratura, legata alle
pronunce di non convalida dei trattenimenti di migranti destinati ai centri
costruiti in Albania.
In
attesa di conoscere le risposte della Corte di Giustizia europea ai quesiti
presentati dai giudici italiani, ad ampliare i confini mediatici dello scontro
è il magnate statunitense Elon Musk, gran finanziatore della campagna
presidenziale di Donald Trump e secondo alcuni in procinto di assumere un ruolo
nella nascente amministrazione Usa.
Al
mattino, le agenzie di stampa ne rilanciano un commento affilato, postato sulla
bacheca di “X”, il social di sua proprietà.
«These judges need to go, questi giudici devono andarsene», scrive Musk, in risposta a un
utente che riportava la notizia italiana della sospensione della convalida del
trattenimento per 7 migranti trasportati venerdì in Albania e poi riportati
alla chetichella ieri in Italia, dopo la decisione del Tribunale di Roma.
La
sponda di Salvini, l’imbarazzo di Lupi.
L’affondo
del tycoon americano viene ripreso dal vicepremier Matteo Salvini:
«Elon Musk ha ragione - afferma-.
Il 20
dicembre potrei ricevere una condanna a sei anni di carcere per aver impedito
gli sbarchi di clandestini in Italia quando ero ministro dell’Interno.
In una
prospettiva internazionale, tutto ciò appare ancora più incredibile».
Poi il segretario del Carroccio rincara la
dose:
«Si
tratta dell’ennesima decisione dei giudici che impedisce di allontanare i
clandestini dal territorio italiano - sostiene -.
Non è uno schiaffo al governo, bensì una
scelta che mette in pericolo la sicurezza e il portafogli degli italiani».
Caustica
anche una nota della Lega, secondo cui l’Anm, quando afferma «che il governo
scarica la responsabilità dei suoi insuccessi sulle toghe, usa toni da
Rifondazione comunista».
Fratelli d’Italia, col capogruppo alla Camera
Tommaso Foti, invece prova a minimizzare:
«Musk
si scaglia contro i giudici italiani? Né più né meno come molti dei nostri
intervengono negli affari americani. Ad ognuno si dà il peso che si ritiene di
dare...».
Ma nel
centrodestra qualche imbarazzo affiora, tanto che il leader di “Noi Moderati”
Maurizio Lupi liquida come «inopportune» le parole di Musk.
Le
opposizioni: Meloni difenda la Carta.
Dal
canto loro, le opposizioni chiedono al governo di prendere posizione.
Dal
Pd, è la responsabile giustizia “Debora Serracchiani” a stigmatizzare
«l’intromissione di Musk negli affari interni di un Paese sovrano e
democratico», ritenendola «inaccettabile nel metodo e nel merito».
In
serata è intervenuta anche la segretaria Elly Schlein:
«Abbiamo Musk che si permette di dire che i
giudici devono essere cacciati, questa è l'idea che chi ha soldi può comprare
tutto, anche la giustizia, ma noi non ci stiamo, sennò sarà una giustizia solo
per i ricchi.
È
imbarazzante che i sovranisti di casa nostra si facciano dettare la linea da un
miliardario americano, dovrebbero difendere i giudici.
Oggi
Meloni è stata zitta, non ha detto una parola».
E
nell’Aula della Camera, i deputati Angelo Bonelli di Avs e Andrea Casu del Pd
chiedono alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni - peraltro amica
personale dello stesso Musk - di intervenire per «difendere la Costituzione e
la democrazia» dimostrando «se si pone in difesa della sovranità nazionale o se
accetta in silenzio questo attacco».
L’Anm:
Musk si prende gioco dell’Italia.
A
replicare è infine l’Associazione nazionale magistrati.
«Con
un messaggio, Elon Musk si è preso gioco della sovranità dello Stato - osserva
il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia -.
Mi aspetto da chi ha a cuore la difesa dei
confini che intervenga:
perché
Musk, è non è un privato cittadino ma un protagonista assoluto della vita
globale, fra i grandi artefici della recente vittoria elettorale del Presidente
Trump».
E dal segretario dell’associazione, “Salvatore
Casciaro” arriva «l’auspicio di un maggior rispetto istituzionale per la
magistratura e per la giurisdizione e di maggior equilibrio nella
comunicazione».
Insomma, le frizioni restano.
E si
guarda già al 4 dicembre, quando la Cassazione dovrà pronunciarsi in merito
alla possibilità dei giudici di agire autonomamente o di attenersi alla lista
dei Paesi sicuri varata con decreto legge dal governo.
Il
miliardario contro “Sea Watch”.
Intanto,
è scontro al calor bianco tra il patron di “X” e l'Ong Sea Watch.
«La dichiarazione di Elon Musk è
un'intimidazione gravissima e trovo altrettanto grave che i mezzi di
comunicazione vengano controllati e utilizzati per minacciare la nostra
giustizia che il governo dovrebbe proteggere invece di associarsi a queste
minacce», ha detto la portavoce di Sea-Watch, “Giorgia Linardi.”
Feroce
la replica di Musk: «Sea Watch è un'organizzazione criminale»,
ha scritto su “X”.
Alan
Turing, l’enigma
di un
genio.
Agenziacomunica.net
– Sebastiano Catte – (7 giugno 2024)
Le sue
idee hanno gettato le basi dell’informatica moderna e contribuito a vincere la
seconda guerra mondiale, ma subì gli anacronistici pregiudizi del suo tempo.
Un ricordo dello scienziato a 70 anni dalla
morte.
Il 7
giugno 1954 moriva a Manchester Alan Turing (Londra 1912), uno dei più
importanti scienziati del secolo scorso, forse il più grande se pensiamo alle
implicazioni sociali, economiche e politiche delle sue scoperte.
Ma
solo in occasione del centenario dalla nascita è arrivato dal governo inglese
un riconoscimento – sia pure tardivo – alla grandezza di un genio eccentrico
che ha posto le basi per lo sviluppo dell’informatica a partire dall’immediato
dopoguerra e che durante la Seconda Guerra mondiale riuscì nell’impresa di
violare il codice Enigma, il sistema di crittografia che permetteva ai militari
nazisti lo scambio di informazioni e ordini, contribuendo così a cambiare in
maniera decisiva le sorti della II guerra mondiale.
Lo
fece come membro della sezione comunicazioni del Foreign Office con sede a
Bletchley Park nel Buchingamshire dove erano riunite schiere di esperti di
enigmistica, scacchi e dama, matematici, fisici e stravaganti di ogni genere,
tutti tesi al medesimo scopo: attaccare il codice delle forze armate naziste.
Fu un successo di enorme portata, ritenuto
fondamentale per l’entrata in guerra degli americani al fianco degli inglesi.
Ma
Turing è stato anche un uomo molto tormentato, solitario e fragile:
secondo la biografia ufficiale morì suicida a
soli 41 anni dopo essere stato osteggiato a lungo come un pericoloso criminale
dalle autorità inglesi per via della sua omosessualità, fino ad essere
sottoposto alla crudeltà della castrazione chimica.
È
facile pertanto spiegare i motivi per cui in tanti siano rimasti affascinati
dalla sua figura.
Turing
è stato celebrato di recente con tutti gli onori in convegni internazionali a
lui dedicati, francobolli, mostre, opere teatrali e persino opere
cinematografiche: la sua vicenda umana e scientifica ha ispirato nel 2014 il
film di Morten Tyldum “The Imitation Game”, con Benedict Cumberbatch e Keira
Knightley.
Nel corso di una visita a Londra, l’ex
presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha collocato Turing in un pantheon
planetario di innovazione e scoperta, affermando: “Da Newton e Darwin a Edison e
Einstein, da Alan Turing a Steve Jobs, abbiamo guidato il mondo nel nostro
impegno per la scienza e la ricerca avanzata”.
Il
contributo scientifico che rivelò il genio di Turing si trova in una sua
pubblicazione del 1936 che scrisse nel periodo in cui risiedeva al King’s
College di Cambridge: On computable number.
Si può ben affermare che senza le intuizioni
contenute in quel testo forse oggi non avremmo a disposizione quegli strumenti
tecnologici che sono entrati prepotentemente nella nostra vita di tutti giorni.
In
altri termini arrivò a concepire quello che può essere definito il primo
modello di calcolatore universale (o Macchina di Turing, come venne chiamata
più avanti da un professore di Logica dell’Università di Princeton, Alonzo
Church), che è ancora oggi il prototipo di riferimento di ciò che possa essere
calcolato (e non) da qualsiasi tipo computer:
una
macchina capace di eseguire algoritmi e provvista di un nastro, suddiviso in
celle, in cui è possibile scrivere dei simboli appartenenti a un alfabeto
predefinito.
Grazie
a Turing si materializza così, almeno in parte, il grande sogno che aveva
accarezzato Leibniz duecentocinquanta anni prima:
l’invenzione
di un calcolo simbolico con cui risolvere in maniera automatica ogni genere di
problemi.
“Si
può dimostrare – scriverà Turing nel 1947 – che è realizzabile una speciale
macchina di questo tipo capace di fare da sola il lavoro di tutte;
potremmo addirittura farla funzionare da
modello di qualsiasi altra.
Questa
macchina speciale può essere chiamata «universale».”
In
quegli anni infatti Turing aveva compreso perfettamente quanto fosse
determinante il connubio tra teoria del calcolo e tecnologia elettronica.
Queste sue idee furono già anticipate dal
progetto del calcolatore EDVAC americano del 1945, basato sull’architettura
logica ideata dal grande matematico di origine ungherese “John von Neumann”.
In
quegli anni Turing scrisse il primo progetto di un computer con programma
memorizzabile, che fu poi realizzato e denominato “ACE” (Automatic Computing
Engine).
Grazie
a questi successi nel 1948 il grande scienziato venne nominato direttore del “Computing
Laboratory” dell’Università di Manchester:
un
incarico di grande prestigio in quanto l’obiettivo di questo laboratorio era
quello di progettare il computer con la più potente memoria del mondo, il “MADAM”
(Manchester Automatic Digital Machine).
Nel
1950 Turing pubblicò sulla rivista Mind il saggio “Computing Machinery and
Intelligence”, ritenuto una pietra miliare nel campo degli studi
sull’intelligenza artificiale.
Propose
un esperimento, oggi noto come” test di Turing”, con l’obiettivo di definire i criteri
per stabilire se una macchina possa essere in grado di pensare.
In questo suo lavoro Turing arrivò a predire
che entro la fine del secolo si sarebbe arrivati a creare dei programmi di
calcolatore capaci di sostenere una conversazione con una disinvoltura tale che
nessuno sarebbe stato in grado di stabilire se quello con cui stava conversando
fosse una macchina o un essere umano.
Il
test è stato successivamente più volte rielaborato ma ancora oggi non c’è
alcuna macchina che abbia dimostrato di poterlo superare.
Anche
un profano sarebbe in grado di capire l’altissimo valore scientifico delle
scoperte di Turing, che avrebbe senz’altro meritato di essere celebrato dal
governo inglese con tutti gli onori, come un eroe nazionale.
Ma non
fu così e fino a pochi anni fa la sua fama di grande scienziato era nota quasi
esclusivamente in ambito accademico.
Il
motivo è legato a quanto accadde nel 1952, quando Alan chiamò la polizia per
denunciare un furto avvenuto nella propria casa, probabilmente ad opera di un
giovane che aveva ospitato, confessando così candidamente di aver avuto con lui
una relazione omosessuale.
Gli
agenti arrivarono in casa e finirono per arrestare lo stesso Turing sulla base
della cosiddetta “blackmailer’s charter” che perseguiva tutti gli “atti di
palese indecenza” tra uomini, in pubblico come in privato.
Alan
non aveva fatto i conti con le contraddizioni della pur civilissima Inghilterra
e forse non si capacitava che si potesse arrivare a privare un individuo (e nel
suo caso specifico di una persona che aveva dato tantissimo alla nazione) della
propria libertà solo sulla base dei personalissimi orientamenti sessuali.
“Se la
società nella quale viveva criminalizzava l’omosessualità, era la società a
sbagliare – scrive il suo biografo “David Leavitt” nel riportare il suo
pensiero al riguardo – e non certo gli uomini e le donne che della società
erano vittime”.
Per evitare il carcere Turing accettò di
sottoporsi a una pena alternativa che consisteva di iniezioni a base di
estrogeni con conseguenze devastanti per il suo corpo: una tortura di stato in
piena regola.
Due
anni dopo, l’8 giugno 1954 fu ritrovato senza vita nella sua stanza, avvelenato
da una mela intrisa di cianuro.
Ma
davvero si è trattato di suicidio?
Il dubbio è stato avanzato di recente dal
matematico inglese “Andrew Hodges” nella nuova edizione di una monumentale
biografia pubblicata tre anni fa (Alan Turing, storia di un enigma,
Boringhieri).
L’autore del libro non esclude che Turing, custode di
segreti di vitale importanza dai tempi in cui collaborava con l’intelligence
britannica, avrebbe potuto rappresentare una potenziale minaccia per la
sicurezza nazionale per via delle sue frequentazioni omosessuali e per i suoi
frequenti viaggi all’estero, quindi potenzialmente vulnerabile ai ricatti e a
possibili tentativi di seduzione da parte di agenti stranieri.
Per
decenni sulla figura del grande scienziato cadde l’oblio assordante e
imbarazzato delle massime autorità politiche del Regno Unito, che non hanno
mosso alcun passo verso la depenalizzazione dell’omosessualità fino al 1967.
La svolta decisiva vi è stata nel 2009, quando
il premier laburista inglese “Gordon Brown” rilasciò una dichiarazione
ufficiale di scuse (ma solo dopo un’accesa e ostinata campagna di
sensibilizzazione sul web) per il trattamento omofobico a cui venne sottoposto
Alan Turing:
“Per
quelli fra noi che sono nati dopo il 1945, in un’Europa unita, democratica e in
pace, è difficile immaginare che il nostro continente fu un tempo teatro del
momento più buio dell’umanità.
ùÈ
difficile credere che in tempi ancora alla portata della memoria di chi è
ancora vivo oggi, la gente potesse essere così consumata dall’odio –
dall’antisemitismo, dall’omofobia, dalla xenofobia e da altri pregiudizi
assassini – da far sì che le camere a gas e i crematori diventassero parte del
paesaggio europeo tanto quanto le gallerie d’arte e le università e le sale da
concerto che avevano contraddistinto la civiltà europea per secoli. […]
Così,
per conto del governo britannico, e di tutti coloro che vivono liberi grazie al
lavoro di Alan, sono orgoglioso di dire: ci dispiace, avresti meritato di
meglio.”
Una
riabilitazione in piena regola, anche se certo non sufficiente per ridare a
pieno titolo l’onore perduto a un uomo che ha dato un contributo eccezionale
alla causa per la libertà e per il progresso scientifico.
Ci fu quindi un appello pubblicato dal “Daily
Telegraph” (Pardon for Alan Turing) in cui alcuni dei più autorevoli scienziati
inglesi come il cosmologo “Stephen Hawking” e il premio Nobel per la Medicina “Paul
Nurse” sollecitarono il premier “David Cameron “a concedere la grazia postuma
per Turing.
Grazia
che arrivò nel 2013 – a 59 anni dalla morte – con la firma della Regina
Elisabetta II.
Meglio
tardi che mai:
“Era
un tesoro nazionale, e lo abbiamo perseguitato fino alla morte”, ha detto “John
Graham-Cumming”, un informatico che ha promosso una campagna per la grazia al
grande matematico inglese.
(Sebastiano
Catte).
Cosa significa
la vittoria
di
Trump per il mondo.
Valigiablu.it
– (8 Novembre 2024) – Redazione – ci dice:
Cosa
significa la vittoria di Trump per il mondo.
“Madeleine
Albright”, Segretario di Stato di Clinton, una volta ha definito gli Stati
Uniti la “nazione indispensabile” del mondo perché aveva un'influenza e delle
responsabilità che superavano di gran lunga quelle di qualsiasi altro Stato.
Questo
ruolo – scrive “Lawrence Freedman”, professore emerito di War Studies al “King’s
College,” nel Regno Unito, ed esperto di politica estera, relazioni
internazionali e strategia – “non è stato adottato per altruismo, ma anche perché serviva
gli interessi politici ed economici degli Stati Uniti che sarebbero stati
irrimediabilmente danneggiati se fossero stati abbandonati”.
Ci si
interroga su cosa farà ora Trump durante il suo secondo mandato.
Dove
condurrà gli Stati Uniti nel consesso internazionale?
Quale
sarà il ruolo che ritaglierà agli USA?
Terrà
fede a quanto accennato nel suo primo mandato e durante la campagna elettorale,
sposando una posizione più isolazionista?
E se
lo farà, questa transizione sarà davvero così semplice come alcuni pensano, o
il ruolo internazionale degli Stati Uniti continuerà ad agire da freno?
Che ricadute avrà nelle altre regioni
mondiali?
Quel
che abbiamo imparato dall’esperienza precedente, scrive ancora “Freedman”, è
che Trump non si rivelerà un globalista dichiarato.
In
linea di principio, “ritiene offensiva l'idea stessa di alleanza, secondo cui
gli Stati Uniti devono intervenire in difesa degli altri in caso di attacco”.
Trump
ha mostrato scarso interesse per le iniziative multilaterali, ritiene il cambiamento climatico una
“bufala progettata per minare l'industria petrolifera statunitense”, ha già abbandonato in passato gli
accordi di Parigi sul cambiamento climatico e, probabilmente, li abbandonerà di
nuovo.
Tuttavia,
le scelte che dovrà affrontare su questioni come l'Ucraina potrebbero rivelarsi
più complesse di quanto abbia ipotizzato e, conclude” Freedman,” per quanto
pensiamo di sapere cosa aspettarci, non dobbiamo dare per scontato che la
direzione della seconda amministrazione Trump sia già stata stabilita.
Molto
si capirà con le nomine per le posizioni chiave.
Se ci
sarà Mike Pompeo, ex direttore della CIA e poi è diventato Segretario di Stato,
o Robert O'Brien, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump dal 2019 al
2021.
Entrambi
non sono isolazionisti.
Un articolo di O’Brien per Foreign Affairs
dello scorso giugno descriveva una potenziale politica estera di Trump che
sembrava escludere un eventuale disimpegno degli Stati Uniti dalle principali
aree calde del pianeta.
Una recente intervista di “JD Vance”
minacciava un ritiro dalla NATO qualora l’Europa decidesse di perseguire” X” di
Elon Musk e una posizione nei confronti di Mosca molto meno rigida rispetto a
quella riportata da O'Brien.
È
difficile capire quanto queste intenzioni siano serie.
Di
cosa parliamo in questo articolo:
Dazi
doganali.
La
pace attraverso la forza.
La
guerra in Ucraina.
Medio
Oriente.
Cina e
Corea del Nord.
Dazi
doganali.
Uno
dei leitmotiv della campagna elettorale di Trump è stato quello dei dazi
doganali, esaltati
come se fossero un modo agevole per raccogliere fondi e addirittura quasi come
un’alternativa alle tasse.
Non è
così difficile imporli, è sufficiente un ordine esecutivo.
Tuttavia, le proposte di Trump sembrano andare
ben oltre.
Il neo-presidente ha proposto non solo una
tariffa del 60% sulle merci importate dalla Cina, ma anche del 10% e forse più
su quelle provenienti da ogni altro paese. Questo potrebbe avere un effetto
disastroso sull'economia internazionale, col rischio di far salire l'inflazione
e causare la perdita di posti di lavoro.
È di
questo che l’Unione Europea vorrà discutere al più presto con Trump prima che
prenda decisioni drastiche.
E poi,
prosegue “Freedman”, potrebbero esserci ripercussioni anche sull’economia
americana che, negli anni di Biden, ha visto una crescita costante ma anche un
debito pubblico stimato in 35.700 miliardi di dollari, di cui circa un terzo di
proprietà di stranieri.
Un’amministrazione che vuole tagliare le tasse
e imporre dazi potrebbe trovarsi ad affrontare una grave crisi finanziaria.
La
pace attraverso la forza.
Una
delle critiche mosse da Trump alla politica estera di Biden, almeno attraverso
le parole di “Robert O'Brien”, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump
dal 2019 al 2021, è stata la sua incapacità di dissuadere gli altri paesi
dall'iniziare guerre né di concluderle rapidamente una volta iniziate.
L’approccio di Biden – è in sintesi la critica
di O’Brien – avrebbe ottenuto solo il trascinarsi nel tempo dei conflitti e
l’incancrenirsi delle tensioni.
Non
abbiamo però prove del contrario, e cioè che Putin avrebbe fermato la sua
invasione su larga scala dell'Ucraina nel febbraio 2022, o che non ci sarebbe
stato l'attacco di Hamas e la risposta di Israele nell'ottobre 2023, se Trump
fosse stato alla Casa Bianca.
Trump
ha detto in campagna elettorale di essere pronto a tenere gli Stati Uniti fuori
dalle guerre.
Tuttavia,
l’intervento di O’Brien sembra suggerire altro, e cioè un aumento della spesa
militare e l’uso della forza per arrivare alla pace. Gli USA devono essere
pronti in caso di possibili guerre nel mondo.
Durante
il suo primo mandato, Trump ha autorizzato gli attacchi contro la Siria dopo
l'uso di armi chimiche contro i gruppi di ribelli (cosa che Obama era stato
riluttante a fare), ha affrontato l'ISIS in Siria e in Iraq e ha ordinato
l'assassinio del leader delle Guardie rivoluzionarie iraniane, “Qasym Solimai”,
nel gennaio 2020.
Dopo aver minacciato la Corea del Nord
all'inizio del suo primo mandato, ha intrapreso relazioni con Kim Jong-un per
incoraggiarlo - senza successo - ad abbandonare i suoi programmi nucleari.
E sebbene Biden sia stato incolpato di aver
abbandonato l'Afghanistan nell'estate del 2021, è stato Trump a concludere
l'accordo originale con i talebani, avendo chiarito fin dall'inizio della sua
amministrazione che riteneva questo impegno inutile.
E
tutto questo non ha significato una distensione delle tensioni nelle varie
regioni del pianeta.
Cosa
attendersi, dunque?
È
probabile che si affidi alla diplomazia personale tanto quanto alle
dimostrazioni di forza come fatto in passato, con la Cina, in Medio Oriente, in
Ucraina.
Tuttavia,
non sarà semplice come sembra arrivare a un cessate il fuoco e gestire le
tensioni nella regione indo-pacifica.
La
guerra in Ucraina.
Trump
ha detto a Vladimir Putin di poter risolvere la guerra in Ucraina in un giorno.
O’Brien
ha parlato di mantenere gli aiuti all’Ucraina, finanziati dai paesi europei, di
mantenere la NATO in Polonia, a patto che l’Europa faccia la sua parte in
termini di difesa e facilitando l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, e
di porte aperte alla diplomazia e con la Russia.
Il
percorso, però, è tutt’altro che agevole.
In primo luogo, non sarà facile imporre un
accordo all'Ucraina, nemmeno minacciando di ritirare il sostegno statunitense.
Gli
ucraini potrebbero considerare alcune proposte per arrivare a una fine del
conflitto, ma se non dovessero essere accettabili, considerato gli aiuti che
riuscirà a dare l'Europa può raccogliere, l’Ucraina continuerà a combattere.
Questo
è stato il messaggio lanciato da Kyiv all'indomani delle elezioni, anche se il
Presidente Zelensky ha inviato le sue congratulazioni a Trump.
In
secondo luogo, Putin non ha mostrato alcuna disponibilità ad allontanarsi dalle
sue richieste e potrebbe sentirsi tentato di mettere alla prova Trump per
vedere fino a che punto può spingere l'Ucraina alla capitolazione.
Se Putin non sarà disposto a negoziare, Trump
dovrà decidere se minacciare di aumentare il sostegno all'Ucraina per
incoraggiare la Russia a fare marcia indietro.
In
terzo luogo, concordare anche un cessate il fuoco limitato, per non parlare di
un accordo di pace completo, non è affatto semplice (tracciare le linee, disimpegnare le
forze, garantire il rispetto delle regole).
Medio
Oriente.
Per
quanto riguarda il Medio Oriente, Trump ha sottolineato l'urgenza di porre fine
alle uccisioni, ma non ha detto altro.
Il
premier israeliano Netanyahu sperava in un successo di Trump per avere più mano
libera per la sua strategia a Gaza, in Cisgiordania e in Libano.
La
strategia delineata da O’Brien è chiara: l’obiettivo è indebolire l’Iran,
chiudendo ogni possibilità negoziale, aumentando la presenza delle forze
marittime e aeree, e isolando quei paesi che acquistano petrolio e gas iraniani.
L’intenzione
della futura amministrazione Trump sembrerebbe quella di ridare centralità
all’Arabia Saudita.
Trump
si aspetta di continuare con gli accordi di Abramo.
Prima
dell'attacco di Hamas a Israele, l'amministrazione Biden stava cercando di
estendere gli accordi all'Arabia Saudita.
Ma anche in questo caso, il percorso è molto
accidentato. I colloqui avviati con l’amministrazione Biden mettevano sul campo
l’ipotesi di uno Stato palestinese. Con Trump è tutto più difficile.
Cina e
Corea del Nord.
Infine,
ci sono la Cina e la Corea del Nord.
L'ascesa
della Cina come rivale strategico degli Stati Uniti è stato un tema importante
della prima amministrazione Trump e di quella Biden.
L'articolo
di O'Brien suggerisce la possibilità di sganciarsi completamente dalla Cina dal
punto di vista economico attraverso dazi più elevati e una cooperazione
strategica e militare con Australia, Giappone, Filippine e Corea del Sud.
Ma non
è detto che sarà così facile e lo sforzo per provarci potrebbe aumentare i
rischi di una crisi finanziaria, spiega “Freedman”.
Taiwan
potrebbe essere un interessante banco di prova della sua disponibilità a
perseguire la pace attraverso la forza.
O’Brien
ha aperto alla possibilità di addestrare forze militari a Taiwan e di
coinvolgerle nelle esercitazioni per migliorare la sua difesa.
Il
budget per la difesa di Taiwan non è elevato rispetto alla minaccia e possiamo
aspettarci pressioni su Taiwan affinché faccia di più per rafforzare la sua
difesa militare piuttosto che affidarsi a un intervento diretto degli Stati
Uniti.
Il timore di Taiwan è che un aumento cospicuo
dei suoi preparativi militari possa essere una delle mosse che potrebbero
scatenare l'aggressione cinese.
Un
altro possibile fronte è, infine, la penisola coreana.
Di
recente la Corea del Nord ha inviato truppe in Russia e ha testato un missile
intercontinentale, tutti segnali che non fanno presagire nulla di buono.
Corea
del Sud e Giappone sono preoccupati da un potenziale disinteresse di Trump e potrebbero
riconsiderare i propri programmi nucleari come fonte di deterrenza.
RUSSIA
CINA USA. IL GIOCO DELLE
TRE
CARTE E LA ROULETTE.
Lapecoranera.it - Manlio Lo Presti (esperto di
banche e finanza) – ci dice:
Comprimarie
della scena mondiale sono attualmente tre nazionalità: Cina, Russia, Usa.
Alla
finestra osserva l’India, il gigante sottovalutato che sta cercando di trovare
la propria strada e nel frattempo, sorveglia il Pakistan dove gli Usa
continuano ad addestrare terroristi di finte organizzazioni islamiche
estremiste.
Una potenza costantemente attenta alle
strategie cinesi che misura incrementando punti di osservazione navali e
militari nei mari asiatici che si aggiungono alla gestione efficiente delle
batterie di artiglieria pesante con puntamento elettronico posizionate lungo i
confini con la Cina.
Mantiene
una incrollabile e secolare alleanza con la Russia, un rapporto che, in caso di
tensioni con la Cina, potrebbe sparigliare gli equilibri definiti multipolari
dal solito giornalismo spara-slogan.
Sulla
scena globale si muovono Stati pericolosi, fra i quali Indonesia, Turchia,
Giappone, Iran.
Le bombe demografiche come Nigeria, Cina e
soprattutto, India più popolosa della Cina.
Queste entità sono in possesso di armi
atomiche pulite, sporche, a basso potenziale.
Un
parco letale facilitato dal mercato globale delle armi che prospera senza
essere minimamente scalfito dalle sanzioni pubblicizzate dal circo mediatico.
Le normative internazionali, sostenute dai
Paesi dell’anglosfera autonominatisi “portatori di pace e di democrazia”
infrangono i divieti allestititi proprio da loro!
Si
aggiungono a questo scenario poco rassicurante le migrazioni.
Si
tratta di una vera e propria arma lanciata contro Paesi poco propensi ad
“allinearsi” alle direttive delle catene di comando che faticano sempre più a
controllare la situazione.
Le
“tre carte” rappresentano le tre potenze citate ad inizio.
Sappiamo
che ogni potenza si muove nel panorama internazionale per ottenere vantaggi
maggiori in termini economici, militari, sociali e perfino culturali, per
attuare una efficace difesa dei propri interessi anche con la realizzazione di
operazioni neocolonialiste dispiegate su tutti i continenti.
Come
ogni guerra cognitiva che si rispetti, la propaganda Usa, che continua a voler
monopolizzare ogni percezione dell’occidente, cataloga la Cina e la Russia come
“Stati canaglia”.
Le
loro azioni sono un attentato alla “democrazia” un concetto complesso
monopolizzato dai centri universitari e di ricerca residenti nella anglosfera.
L’eccezionalismo missionario degli Usa commercializza il suo concetto di
democrazia creando un reticolo informativo-disinformativo mondiale legato e
finanziato dalle aziende multinazionali, quasi tutte angloamericane.
Per
capire se una notizia è vera o, perlomeno, credibile, si dovrebbero evidenziare
coloro che la diffondono, cioè i committenti, e il costo presuntivo di ogni
“operazione”.
Quasi nessuno approfondisce la correlazione
binomiale dei mandanti con i costi correlati alle loro iniziative.
Le analisi dovrebbero fare ricorso alle
categorie di “mandanti effettivi” e non di prestanomi e di interessi monetari
diretti in gioco.
La
pressione dell’anglosfera sul pianeta ha raggiunto livelli intollerabili e
sempre più pericolosi.
Da
tempo, stanno creando una falsa sicurezza che induce questi Paesi ad adottare
decisioni sempre più violente e genocide tramite la creazione di oltre duecento
conflitti regionali in corso.
L’alleanza
Russia-Cina-India e altri Paesi è una necessità dettata dalla variabilità degli
interessi a geometria variabile che esistono da sempre nei giochi mondiali.
La più
evidente è la cooperazione fra Cina e Russia, due popoli che si odiano e si
disprezzano reciprocamente da secoli, ma hanno capito che una strategia comune
consente di realizzare un lento abbraccio mortale agli americani e ai suoi
satelliti.
Questa
temporanea alleanza ha calamitato decine di Paesi che hanno valutato di
sfuggire alla morsa del dollaro e delle armate oscure di assassinio
angloamericane, dai monopoli commerciali onerosi e punta di diamante di un
nuovo e più feroce neocolonialismo.
Finora
abbiamo descritto una narrazione fintamente d’opposizione moderata e di lungo
respiro.
Altre considerazioni fanno pensare scenari
differenti.
Come è
accaduto nelle lotte sanguinose fra i gruppi superstiti hanno capito che
proseguire la contesa non avrebbe portato risultati positivi e hanno deciso di
sedersi intorno ad un tavolo per spartirsi i territori.
Non è
questo che le potenze vincitrici fecero a Yalta e che faranno prossimamente?
La
titanica e pervasiva narrazione in corso dove assistiamo a conflitti continui,
(mai diretti ma per procura) all’ossessivo bombardamento mediatico
sull’ambiente (non di natura) danneggiato, al caos climatico, la lotta per le
fonti d’acqua, sala denatalità e altre amenità simili, ha lo scopo di far
accettare ed anzi sollecitar l’applicazione di normative severissime.
Una
pesante armatura securitaria a spese delle libertà civili di tutto il mondo
progressivamente in estinzione.
Come
far accettare questa discesa agli inferi a tutta l’umanità?
Si allestisce una gigantesca sceneggiatura mondiale
con gli ingredienti della paura, della instabilità, della siccità, della fame,
dell’ecologia-con-le-treccine e, infine, della salvazione escatologica e
purificatrice del paradiso elettrico!
È
probabile che i Paesi che hanno scelto il fronte del cosiddetto BRICS ne siano
consapevoli, ma non hanno attualmente scelta.
Il
gioco del dominio totale attuato finora con il gioco delle due carte giocate a
Yalta qualche tempo fa è sostituito da quello con le tre carte Russia, Cina e
USA.
Putin
apre al nuovo Trump.
Zelensky
cerca lo scudo Ue.
Ilgiornale.it - Francesco De Remigis – (8 Novembre
2024) – ci dice:
Per il
leader russo l'iniziativa di pace del leader Usa è "degna di
attenzione". L'Ucraina: "Un suicidio fare concessioni ora a
Mosca".
Al
vertice della Comunità politica europea in corso da ieri a Budapest domina il
dossier ucraino, specie dopo la vittoria di Donald Trump, che da gennaio sarà
in carica come 47° presidente degli Stati Uniti.
L'enigma Trump è il cuore delle conversazioni
ospitate dal premier ungherese Orbán, che è pure il più trumpiano dei leader
Ue.
Le
dichiarazioni dei presenti, più o meno abbottonate, lasciano intendere che
nessuno sappia davvero realmente cos'abbia in testa di fare The Donald;
tanto
sul sostegno militare a Kiev quanto sui dazi all'Ue, e soprattutto come voglia
relazionarsi col Cremlino.
Rompe gli indugi il padrone di casa,
proponendo a Kiev e Mosca un cessate il fuoco.
Un
primo passo per la pace, dice Orbán.
Ma il
risultato è aprire una crepa politica che innesta altri dubbi sull'esito del
muro Ue alzato finora col sostegno statunitense.
Tutto
accade proprio nel format concepito dalla Francia nel 2022 come risposta
politica all'invasione russa:
con i
27 dell'Ue e gli Stati che seguono la via per aderire.
All'ordine
del giorno, anzitutto le incertezze sulla sicurezza dell'Europa: messa alla
prova da Mosca.
Al
tavolo, ci sono anche Ucraina, Moldavia e Paesi dei Balcani occidentali,
Albania inclusa, protagoniste di sfide lanciate da Putin a ripetizione;
non
solo militari, come testimoniano i Paesi baltici e le recentissime elezioni in
Moldavia.
In una
dichiarazione congiunta, i leader di Italia, Francia, Germania, Polonia, Regno
Unito e Romania, assieme al presidente del Consiglio europeo Michel e alla N.1
della Commissione Von der Leyen, condannano i «tentativi documentati di
alterare i risultati elettorali attraverso la manipolazione di campagne
informative, corruzione e schemi di acquisto di voti», salutando il successo
della presidente moldava Sandu che ha battuto il filo-Cremlino Stoianoglo
nonostante la tentata «destabilizzazione».
Ma il
«giallo» Trump resta il convitato di pietra:
se
abbia intenzione (e come) di realizzare la promessa di porre fine alla guerra
russo-ucraina «in 24 ore».
Per
qualcuno, quella frase lasciava presagire un repentino disimpegno statunitense
nei confronti di Kiev.
Zelensky,
anche lui a Budapest, taglia corto:
«Nessuno
può ancora sapere quali saranno le sue azioni concrete», ma fare concessioni a
Putin sarebbe «un suicidio» per tutta l'Europa.
La
stoccata del presidente ucraino è al padrone di casa Orbán («L'Ungheria non ci
ha aiutato con le armi, non ha diritto di critica», dice citando il cessate il
fuoco del 2014 finito con Putin che si prese la Crimea).
Ucraina
a parte, l'Europa sa che dovrà fare i conti con un ombrello Usa sempre meno
performante.
Svegliamoci, dice Macron, siamo una potenza
enorme, nessun mercato è unito dai nostri valori come il nostro.
Poi il
presidente francese cita i sistemi di arma di cui dispone ogni Paese e invita
all'unità:
«C'è
un interesse che abbiamo tutti, che la Russia non vinca».
Ma
ammette: in sala «esistono sensibilità diverse».
E
sulle sfide che aspettano l'Occidente:
«Il
nostro modello di democrazie liberali sono oggetto di preda. Il mondo è fatto
di carnivori ed erbivori, se decidiamo di restare erbivori i carnivori ci
mangeranno». L'altro enigma è proprio Orbán, al tavolo il più filo-putiniano.
Proprio
Putin ha fatto da contraltare al summit Ue da Sochi, rispolverando il leitmotiv
intonato davanti ai Brics.
Lo zar è convinto di non aver violato il diritto
internazionale, prima di dire che la Nato è anacronistica e ha un ruolo
distruttivo che ci ha costretto a reagire.
Sull'ordine
mondiale:
«Il
vecchio è irrevocabilmente scomparso e si è sviluppata una lotta per la
formazione di un nuovo mondo, non per il potere, ma per i principi».
Infine
congratulazioni a Trump:
«Spero
di incontrarlo presto».
E apre
un canale dicendo che l'iniziativa per mettere fine al conflitto in Ucraina è
«degna di attenzione».
Quel
trucco per far diventare
presidente
la Harris.
Ilgiornale.it
-Valerio Chiapparino – (11 Novembre 2024) – ci dice:
L'ex
direttore della comunicazione di Kamala Harris ha spiegato alla Cnn perché
Biden dovrebbe cedere la presidenza alla sua vice prima dell'arrivo di Trump
alla Casa Bianca.
“Joe
Biden dovrebbe dimettersi entro i prossimi 30 giorni e lasciare la presidenza a
Kamala Harris”.
La
proposta choc, che non sfigurerebbe in una puntata della serie di intrighi
politici “House of Cards,” non arriva da esponenti del campo repubblicano ma da
“Jamal Simmons”, ex direttore della comunicazione della vicepresidente, nonché
candidata del Partito democratico sonoramente sconfitto alle elezioni del 5
novembre.
L’intervento
di Simmons è arrivato, anche questo un dettaglio non trascurabile, durante la
messa in onda domenicale di “State of the Union”, una popolare trasmissione
della” Cnn”, l’emittente televisiva “all news” molto vicina, peraltro, al
partito dell’asinello.
“Biden
è stato un presidente fenomenale”, ha spiegato l'ex assistente di Harris
rispondendo alla domanda della conduttrice “Dana Bash “sulle priorità a
Washington di qui all’inaugurazione il 20 gennaio del 2025 del secondo mandato
di Donald Trump.
Il vecchio Joe, ha proseguito Simmons, “ha
mantenuto così tante promesse. Ne resta solo una da adempiere: essere una
figura di transizione”.
Secondo
l’ex direttore della comunicazione dei dem le dimissioni di Biden
permetterebbero ad Harris di diventare, anche se per poco tempo, la prima donna
alla guida degli Stati Uniti risparmiandole il ruolo, previsto dalle regole, di
certificatrice al Senato della sua stessa sconfitta e della conseguente
vittoria del tycoon.
Inoltre
per Simmons l’avvicendamento alla Casa Bianca dominerebbe il ciclo delle
notizie, spesso monopolizzato da The Donald, in un momento in cui i democratici
devono imparare a catturare l’attenzione degli elettori.
Simmons,
il quale ha ribadito la sua proposta in un post sui social, ritiene infine che
l’ingresso di Harris nello Studio Ovale allevierebbe il peso per la prossima
donna candidata alla presidenza e scombinerebbe persino il merchandising di
Trump, ufficialmente già impostato sul suo titolo di 45esimo e 47esimo
presidente degli Stati Uniti.
La
debacle democratica del 5 novembre e lo tsunami repubblicano che ha consegnato
sette stati chiave su sette al Gop si sta configurando come una tripletta per
il partito di Trump vicino ad ottenere la maggioranza al Congresso.
E mentre le dichiarazioni di Simmons facevano
il giro della “Beltway” a Washington, Biden è finito ancora una volta al centro
dell’attenzione.
L'ex
speaker della Camera Nancy Pelosi ha infatti rilasciato una lunga intervista al
“New York Times” in cui ha accusato l’attuale inquilino della Casa Bianca di
essersi ritirato troppo tardi non permettendo così l’organizzazione di primarie
aperte per la selezione del candidato ufficiale da opporre al tycoon.
Lo
stesso Biden è poi apparso in un video in cui inciampa più volte mentre cammina
sulla spiaggia di “Rehoboth” nel “Delaware” riportando l’attenzione sulle sue
condizioni psicofisiche.
Un tallone di Achille che ha comportato il
ritiro di Potus dalla competizione presidenziale dopo il dibattito televisivo
di fine giugno e la sua investitura a favore di Harris.
Intanto,
proprio oggi si è registrata la prima apparizione pubblica congiunta di Biden e
della sua vice in occasione della cerimonia per la giornata dei veterani al
cimitero nazionale di Arlington.
Un
evento che, pur non lasciando emergere segni di tensione tra i due politici,
non basterà a fermare il crescente malumore all’interno del partito democratico.
Ma
davvero Trump potrà
fermare
la guerra in Ucraina?
Valigiablu.it
– (12 Novembre 2024) - Giovanni Savino – ci dice:
Ma
davvero Trump potrà fermare la guerra in Ucraina?
Giunti
alla terza ora di domande e risposte della sessione finale del XXI incontro
annuale del “Valdai Club”, importante think-tank russo, tenuta lo scorso 7
novembre finalmente Vladimir Putin, dopo aver parlato di intelligenza
artificiale, cambiamento climatico, neocolonialismo e Occidente, si pronuncia
sulle elezioni presidenziali americane.
Alla
domanda su come il risultato delle urne possa cambiare i rapporti tra Mosca e
Washington e quali siano le possibilità di trattare con Donald Trump, il
presidente russo ha colto «l'occasione per congratularmi con lui per l'elezione
alla carica di presidente degli Stati Uniti d'America.
Ho già
detto – ha continuato Putin - che avremmo lavorato con qualsiasi capo di Stato
a cui il popolo americano avrebbe affidato la propria fiducia e così sarà anche
nella pratica».
Tra i
leader mondiali che avevano telefonato il neoeletto inquilino della Casa
Bianca, proprio Putin mancava all’appello.
La
mattina del 6 novembre a tal proposito si era espresso “Dmitry Peskov”,
portavoce del Cremlino, sostenendo di non aver idea su possibili conversazioni
telefoniche con Trump e sottolineando lo status “non amichevole”
(nedruzhestvennyi) degli Stati Uniti, ritenuti impegnati in una guerra per
procura contro la Russia attraverso l’Ucraina.
L’elezione
di Donald Trump, a differenza del 2016, non è stata accolta con grandissimo
entusiasmo dall’establishment russo, memore di come le politiche
dell’amministrazione repubblicana in realtà non risposero alle aspettative di
chi aveva (letteralmente) stappato lo champagne, attendendosi la revoca delle
sanzioni seguite all’annessione della Crimea nel 2014 e il riconoscimento del
ruolo della Russia in Europa orientale:
proprio durante la presidenza Trump sono state
inviate armi letali, come i Javelin, mossa evitata da Obama, e in altri
scacchieri, come la Siria e l’Iran, le posizioni di Washington sono state in
contrasto con Mosca.
Lo scandalo delle interferenze russe nelle
elezioni probabilmente contribuì a frenare possibili slanci riconciliatori da
parte della Casa Bianca, senza però riuscire a far svanire accuse e polemiche
sui legami dell’allora presidente e della sua cerchia con la Russia.
Oggi
la prudenza è dettata invece dall’andamento della guerra in Ucraina, che vede
in Donbas la lenta ma continua avanzata delle truppe russe, in un conflitto
rallentato ma non meno sanguinoso:
d’altronde,
come ha sottolineato la politologa “Nina Khrushcheva” (nipote del segretario
generale del Partito comunista), la figura di Trump, le sue posizioni
conservatrici, risultano maggiormente comprensibili per la classe politica
russa, a differenza della sfidante Kamala Harris, che incarna ai loro occhi i
lati liberali e progressisti degli Stati Uniti, giudicati né più né meno dalla
narrazione della propaganda russa come il male assoluto.
Queste
affinità elettive, visibili anche nell’aperta simpatia per Putin espressa dal
blocco politico e sociale che sostiene Trump, hanno alimentato, lungo tutta la
lunga campagna presidenziale, una delle principali rivendicazioni della
piattaforma politica del magnate trasformato in leader dell’estrema destra
americana e globale:
la promessa di porre fine alla guerra in
Ucraina 'entro 24 ore'.
Tuttavia,
il piano del candidato repubblicano per raggiungere questo obiettivo non è mai
stato reso pubblico, a eccezione di alcune dichiarazioni rilasciate da” J.D.
Vance”, candidato alla vicepresidenza e ora eletto.
Secondo queste anticipazioni, confermate
successivamente da fonti vicine alla stampa statunitense, il cessate il fuoco
dovrebbe essere imposto lungo tutti i 1.200 chilometri del fronte, monitorato
da una forza di pace internazionale che escluderebbe la partecipazione di
truppe americane.
L’ingresso dell’Ucraina nella NATO verrebbe
rinviato di vent’anni, mentre Washington continuerebbe a garantire sostegno
militare e finanziario a Kyiv.
Una
proposta in grado, però, di scontentare tutti, non solo in Ucraina.
Cosa
sta succedendo in Ucraina e l’impatto delle elezioni americane.
Quasi
immediatamente dopo i risultati elettorali, “Dmitrii Trenin”, tra i principali
esperti di relazioni internazionali vicini al Cremlino, in un suo commento per
il quotidiano “Kommersant” ha delineato le reazioni delle autorità russe a
quanto trapelato finora sul piano Trump.
“Se la
proposta riguardasse un cessate il fuoco lungo l’attuale linea di contatto –
scrive Trenin - è improbabile che un simile approccio venga preso seriamente in
considerazione a Mosca.
Una ‘sospensione della guerra’ di questo tipo
rappresenterebbe soltanto una pausa, destinata a riaccendere il conflitto con
una nuova intensità, probabilmente ancora maggiore.
Per la
Russia, infatti, sono di importanza primaria la natura del futuro regime
ucraino, il potenziale militare ed economico-militare di Kiev, così come il suo
status politico-militare, così come vanno prese in considerazione le nuove
realtà territoriali emerse dal conflitto.
Le
affermazioni di “Trenin” sono state ulteriormente approfondite e riprese da
Vladimir Putin durante la lunga discussione al forum Valdai quella stessa sera.
Rispondendo
a una domanda di “Fedor Lukyanov,” direttore del think-tank e moderatore
dell'evento, su negoziati a proposito dei confini ucraini, Putin ha ribadito
con fermezza l’importanza della neutralità dell’Ucraina come garanzia
imprescindibile per il raggiungimento di una pace duratura.
Secondo
il presidente russo, senza neutralità, l’Ucraina rischia di essere trasformata
nuovamente in uno strumento strategico di pressione anti-russa.
Questo
approccio riflette una visione diametralmente opposta rispetto a qualsiasi
ipotesi di sostegno militare da parte degli Stati Uniti, che favorirebbe invece
l’armamento dell’Ucraina;
tuttavia, è significativo il fatto che Putin
abbia evitato di rispondere a domande dirette su eventuali negoziati
riguardanti i territori occupati e successivamente annessi dalla Russia,
mantenendo il silenzio su un punto chiave che potrebbe rappresentare una
condizione di partenza per qualsiasi futuro processo negoziale.
Il
cessate il fuoco, inoltre, lungo la linea del fronte ad oggi includerebbe anche
i territori della regione di Kursk occupati dalle forze armate ucraine durante
l’offensiva di inizio agosto, e, secondo quanto emerge da fonti russe, una
delle condizioni per avviare trattative è la cacciata oltre-confine delle
truppe di Kyiv entro il 20 gennaio, data dell’insediamento di Donald Trump alla
Casa Bianca:
un
obiettivo che potrebbe vedere l’intensificarsi delle operazioni militari nella
zona, in una sorta di mini-escalation volta a eliminare la possibilità
ventilata in questi mesi di procedere a uno scambio tra aree occupate, con le
regioni ucraine riconsegnate a Kyiv in cambio dell’area tenuta sotto controllo
a Kursk.
Non vi
è consenso a Mosca su un cambio di direzione da parte della nuova
amministrazione repubblicana, dove si teme che a prevalere saranno i “falchi”,
interessati a un prosieguo della guerra per perseguire l’indebolimento
strategico della Russia.
Una visione che contrasta però con la volontà,
espressa a più riprese, di Trump di voler fare i conti con la Cina, ritenuta il
principale avversario dell’egemonia e dell’economia a stelle e strisce:
puntare a una rottura dei rapporti tra Pechino
e il Cremlino appare una delle possibili chiavi per garantirsi punti nella
lotta anti-cinese, ma ad oggi le relazioni sino-russe appaiono stabili, e
un’inversione di esse dovrebbe vedere ulteriori garanzie per Mosca, come la
revoca delle sanzioni.
Questi
elementi vengono ritenuti da un settore importante dell’establishment russo la
base per perseguire, più che trattative il cui inizio appare incerto, un
aumento delle ostilità per ottenere condizioni migliori al tavolo negoziale in
futuro:
un’opzione
anch’essa foriera di enormi rischi, legati alla capacità di arruolare e
impiegare ulteriori “contrattisti” nell’esercito russo senza dover ricorrere a
una nuova ondata di mobilitazione.
“Sergei
Markov”, politologo vicino all’Amministrazione presidenziale russa, ha
sottolineato in un post sul suo canale Telegram i timori di quest’ala,
tratteggiando un possibile “piano Zelensky” il quale descrive più alcune
riflessioni presenti negli ambienti moscoviti che le intenzioni ucraine:
1.
Trump proporrà a Putin di fermare le ostilità, con l’Ucraina fuori dalla NATO
per 20 anni e l’istituzione di una zona smilitarizzata lungo la linea di
contatto.
2.
Putin rifiuterà.
3.
Trump reagirà irritato verso Putin e, come forma di pressione, aumenterà bruscamente
le forniture di armi all’Ucraina.
4.
Anche la Cina e altri Paesi del Sud globale si infurieranno con Putin,
riducendo il loro sostegno alla Russia.
5. Nel
2025 l’esercito russo riceverà meno equipaggiamento.
6. Nel
2025 l’esercito ucraino passerà all’offensiva.
7. Con
il cambiamento della situazione al fronte, l’Occidente intensificherà
rapidamente il suo supporto all’Ucraina.
8.
Entro la fine del 2025, la guerra terminerà con un accordo di pace alle
condizioni dell’Ucraina.
Voci,
supposizioni, riflessioni del genere appaiono confermare la volontà prevalente
delle autorità russe di voler dettare le proprie condizioni nei negoziati,
ritenendo i paesi occidentali in preda a una revisione del proprio sostegno
all’Ucraina, suggellata dalla vittoria di Trump e dalle dichiarazioni dei suoi
sostenitori, non ultimo il figlio Donald jr., che ha polemicamente annunciato,
in un post su Instagram, che Zelensky perderà il sostegno economico tra 38
giorni, data dell’insediamento del padre come nuovo presidente.
Sarà però disposto il leader statunitense,
ormai riferimento dell’estrema destra globale, a cedere alle condizioni di
Putin?
Quali
piani per l’Ucraina
da
Washington e da Bruxelles?
Contropiano.org – (13-11-2024) - Fabrizio Poggi – ci
dice:
In
un’Europa alle prese con le incognite economiche, politiche e militari che si
preannunciano con la presidenza Trump, a partire dal pantano ucraino, sembra
proprio che il tema “Kiev” sia stato al centro dell’incontro, lunedì scorso a
Parigi, tra il presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Keir
Starmer.
Detto
senza mezzi termini dalla direttrice del “Royal United Institute for Defence
Studies”, “Karin von Hippel”, con l’elezione di Trump
«Gli Stati Uniti non saranno più un partner
affidabile per nessun Paese europeo, compreso il Regno Unito, quindi è
importante costruire ponti e pianificare il più possibile gli scenari, anche
decidendo dove fare pressione sugli americani in caso di disaccordo».
Mettendo
in circolazione le più svariate versioni del “piano di pace” Trump-Vance (per
dire: The Telegraph scrive che Trump prevederebbe di dislocare truppe
britanniche nella prevista “zona smilitarizzata” di 1.200 km), diversi media
occidentali – legati a questa o quella compagine politico-affaristica – cercano
di alimentare una situazione per cui, osserva “Stanislav Stremidlovskij” su
“IARex.ru,” verrà riservato all’Ucraina lo stesso trattamento toccato alla
Germania guglielmina dopo l’armistizio di Compiègne del 1918 (l’incontro
Starmer-Macron si è svolto proprio nell’anniversario del 11 novembre):
ne
faranno un mostro revanscista cui, però, a differenza della Germania, non
concederanno venti anni di tempo prima che diventi nuovamente un veicolo di
attacco da volgere a est.
Il
nocciolo del dibattito in corso verte sul dilemma se gli americani resteranno o
meno in Europa.
Presumendo
che non lo faranno, Macron propone a Londra di sacrificare le “relazioni
trans-atlantiche” a favore di quelle continentali, col primo ministro polacco
Donald Tusk che parla di alleanza con Francia, Gran Bretagna, Paesi nordici e
Repubbliche baltiche per definire una nuova architettura di sicurezza europea
e, in particolare, per continuare a sostenere il regime di Kiev nel suo
confronto con la Russia, ma senza Washington.
Questo
da un lato. Dall’altro, si vocifera di una possibile “sorprendente alleanza”
tra Trump, primo ministro ungherese Viktor Orban e Papa Francesco che, si dice,
«potrebbe
significare la fine delle speranze di un ulteriore sostegno all’Ucraina nella
sua lotta contro la Russia».
A
questo riguardo, l’ambasciatore ungherese presso la Santa Sede, “Eduard
Habsburg”, ha dichiarato alla britannica “The Independent” che esiste la
possibilità che il pontefice «sostenga un accordo di pace a cui si oppongono
tutti gli altri alleati occidentali della NATO».
Habsburg
ha ricordato che «negli ultimi anni l’Ungheria ha condotto una battaglia
solitaria per il cessate il fuoco immediato e la pace in Ucraina, con Papa
Francesco come unico alleato».
Ora, a
Budapest e Vaticano «si affiancherà un nuovo alleato: Donald Trump», ha detto
l’ambasciatore con un ottimismo probabilmente esagerato.
Sta di
fatto che l’attuale leadership della Commissione europea e della UE, osserva
“Stremidlovskij”, sta giocando per la squadra della cosiddetta “autonomia
strategica” – le ultime decisioni in merito ai fondi che Bruxelles intende
destinare alla guerra, sono lì a dimostralo – e accusa Orban di «sfiducia nella
UE ed entusiasmo per la Russia».
La
potenziale entrata in gioco degli USA sulle posizioni di Budapest non farà che
accrescere la divisione e la polarizzazione interna in Europa, come starebbero
a dimostrare le iniziative di Parigi, Londra e Varsavia.
Molto dipenderà dalla Germania che, però, al
momento è alle prese con seri problemi interni, nonostante quei guerrafondai
dei Verdi non lascino dubbi su quali posizioni occupare.
Ma
pare che alla nuova “Compiègne” si sia parlato anche d’altro, più
“operativamente” legato al conflitto in Ucraina.
I
Paesi della NATO intendono minare il sistema di sicurezza paneuropeo, ha
dichiarato alle” Izvestija “il rappresentante permanente russo presso l’OSCE “Aleksandr
Lukaševic”.
Ciò si
esprime soprattutto nella sfrenata espansione dell’infrastruttura militare e
nella liquidazione del regime di controllo degli armamenti.
Da
parte sua, “Vladimir Zelenskij” ha ripetutamente chiesto all’Occidente di
autorizzare attacchi con armi a lungo raggio sul territorio russo e vari media
ipotizzano che proprio quest’ultimo punto possa essere stato al centro
dell’incontro “Macron-Starmer”.
Alla
vigilia dell’incontro, “The Daily Telegraph” scriveva che i due intendevano
affrontare la questione su come sia possibile convincere Joe Biden ad
autorizzare tali attacchi con i missili” Storm Shadow”:
«Siamo molto interessati a sfruttare fattivamente il
tempo fino al 20 gennaio e non lasciare tutto in pausa fino alla prossima
amministrazione», era scritto, citando ambienti governativi britannici.
Il
tema era stato discusso lo scorso 11 settembre, nel corso della visita a Kiev
del Segretario di stato “Anthony Blinken” e del Ministro degli esteri
britannico “David Lammy”, e tutto lasciava pensare che l’autorizzazione sarebbe
arrivata.
Ma
tutto era rimasto in sospeso e anche Zelenskij, durante la visita in USA a fine
settembre, aveva sollevato la questione, ma senza successo.
Pur se, in realtà, i colpi portati da Kiev
contro la Crimea costituiscono già attacchi a lungo raggio: ma qui la questione è sofisticamente
aggirata, considerando la penisola “territorio ucraino”.
Nel
campo atlantico ci sono sostenitori della linea dura, che potrebbero complicare
i potenziali negoziati tra Mosca e Washington, dice alle Izvestia il politologo
serbo-francese “Nikola Mirkovic”:
«Vogliono
continuare questa guerra contro la Russia e vogliono quindi trarre quanto più
vantaggio possibile dagli ultimi mesi di presidenza di Joe Biden».
Al
momento, comunque, il quesito è se Washington intenda andare o meno a una
escalation e non si può escludere, dichiara sempre alle “Izvestija” il
politologo “Aleksej Fenenko”, che la Casa Bianca autorizzi «un singolo attacco,
per verificare la reazione russa e, eventualmente, effettuarne un secondo, in
uno scenario di escalation strisciante».
Ma in
sostanza il complesso della questione, a oggi, verte sull’enigma se Donald
Trump si riveli davvero un “pacificatore” del conflitto in Ucraina, o se
invece, molto più semplicemente, si limiterà a tirarne fuori gli USA, e come.
Anche
perché, stando alla” CNN,” nelle alte sfere militari yankee si intende
«resistere agli ordini» che Trump avrebbe intenzione di impartire, una volta
insediato, di «dispiegare le truppe per operazioni di polizia sul territorio
USA», per aggirare in tal modo, col semplice ignorare il tema ucraino, l’accusa
mossagli durante il primo mandato, di essere un “agente del Cremlino”.
Tutto
questo non significa, afferma “Boris Džerelievskij”, del Servizio analitico del
Donbass, che Trump starà al gioco di Zelenskij, il quale crede che il neoeletto
presidente si vedrà costretto ad attuare i desideri di Kiev, dopo che Mosca
avrà rifiutato le iniziative di “pace” di Washington.
Anche
perché, di fatto, Trump non ha finora avanzato alcun concreto “piano di pace”,
all’infuori di diverse varianti di congelamento delle ostilità sulla linea del
fronte, con l’intenzione più che altro di sondare il terreno per possibili
colloqui di pace e vedere l’ipotetica reazione delle parti, in primo luogo di
Mosca.
Ma, in
concreto, ciò che sinora è stato proposto da Trump, non è altro che ciò su cui
Mosca potrebbe contare in caso di sconfitta, con in più la richiesta di ridurre
la cooperazione russa con Cina, Iran e RPDC.
Però,
difficilmente Trump potrebbe proporre condizioni di pace accettabili Mosca,
perché questo «equivarrebbe al suo suicidio, non necessariamente solo
politico».
Tra
l’altro, secondo “The Wall Street Journal,” pare che Trump, nei colloqui con
alcuni leader UE, non abbia preso alcun serio impegno sull’Ucraina, non abbia
parlato di alcuno dei suoi piani, ma si sia limitato a chiedere come i suoi
interlocutori intendano risolvere il problema.
In
soldoni: Washington
se ne va e l’Ucraina tocca alla UE.
Del
resto, come rivela il “Financial Times”, i vampiri guerrafondai di Bruxelles
già dirottano altre centinaia di miliardi per la guerra.
Gli
Illuminati e la Massoneria.
Artestv.it
– (13/11/2024) - CARMEN CASCONE – ci dice:
Gli
Illuminati e la Massoneria: due nomi avvolti nel mistero ed in storie di
cospirazioni che sembrano essersi infilate nelle pieghe stesse della storia…
Per
secoli, questi gruppi hanno incarnato l’archetipo del potere occulto, tirando
le fila degli eventi globali, condizionando decisioni politiche e finanziarie
ed infiltrandosi perfino in luoghi sacri come il Vaticano…
Ma c’è
un elemento che sfugge ai più: nonostante abbiano dominato per secoli, il loro
tempo sta giungendo alla fine…
Gli
Illuminati, nati come setta segreta nel XVIII secolo, hanno alimentato una
delle più potenti forme di manipolazione globale, quella del “Nuovo Ordine
Mondiale”.
Secondo
questa visione, pochi eletti dovrebbero dominare il pianeta, mantenendo il
resto dell’umanità sotto un controllo quasi invisibile…
Tuttavia,
ci troviamo oggi in un momento storico straordinario: sempre più persone si
stanno risvegliando verso una coscienza più elevata ed il potere degli
Illuminati, una volta incontrastabile, comincia a sfaldarsi…
L’era
delle tenebre sembra avvicinarsi al suo tramonto, lasciando spazio ad
un’umanità che aspira a nuovi ideali di trasparenza e di pace…
La
Massoneria, dal canto suo, ha esercitato la sua influenza come un filo
invisibile che, nel tempo, ha attraversato istituzioni, politica ed economia,
determinando il corso degli eventi…
I suoi
membri, spesso collocati in ruoli chiave, hanno indirizzato le sorti dei popoli
dietro simboli e rituali lontani dagli occhi della gente comune…
Ma c’è
chi crede che questo potere, pur radicato e consolidato, si stia indebolendo e
che l’umanità stia entrando in una nuova fase…
I
segreti che per tanto tempo hanno occultato, sono sempre più difficili da
mantenere e la fiducia nelle “élite nascoste” è in forte crisi…
È
arrivato il momento nel quale le logge della Massoneria dovranno cedere il
passo ad una nuova luce…
Nell’ombra,
anche le pieghe del Vaticano sembrano aver accolto il tocco della Massoneria…
Da
sempre considerata forza avversaria della Chiesa, la Massoneria ha, secondo
molti, infiltrato alti prelati e figure religiose, determinando scelte ed
orientamenti che poco hanno a che fare con il vero spirito cristiano…
Eppure,
anche qui, qualcosa si sta incrinando…
Le
verità nascoste si fanno sempre più palesi ed il potere segreto sembra perdere
la presa proprio mentre l’umanità si avvicina ad un’epoca di risveglio
spirituale…
È come
se le forze stessero virando verso un destino che desidera una volontà non
occulta ma luminosa…
Illuminati
e massoni hanno governato troppo a lungo…
Adesso,
con l’avvicinarsi dell’età dell’oro, la gente sta riacquistando la capacità di
vedere, di discernere e di rifiutare i vecchi giochi di manipolazione…
L’umanità
intera sembra pronta a prendere le redini del proprio destino…la trasparenza ed
il risveglio collettivo stanno facendo sì che queste strutture di potere, un
tempo inattaccabili, si stiano disfacendo…
E
così, la nuova era che ci attende non sarà più costruita sulle ombre ma sulla
luce…
Essa
lascerà indietro un passato di controllo e darà vita ad un futuro di autentica
libertà e consapevolezza…
Alla
fine, il vero potere non sarà quello di pochi ma sarà costituito dall’unione
delle coscienze risvegliate…ed oggi, più che mai, siamo sempre più vicini a
questa nuova realtà…
L'Occidente
seppellisce un genocidio,
facendo
vittime dei teppisti
del
calcio israeliano.
Unz.com
- Jonathan Cook – (11 novembre 2024) –
ci dice:
Se
l'Occidente fosse davvero preoccupato per il passato nazista dell'Europa,
sarebbe meglio smettere di alimentare un nuovo antisemitismo fin troppo reale:
l'incitamento contro le minoranze arabe e musulmane.
Non
c'è mai stato un momento più difficile di questo per fare analisi politica e
mediatica.
Ogni giorno, l'establishment occidentale si
disancora, sempre più lontano dalla realtà.
Le sue priorità sono così invertite, così
oscene, che la risposta più appropriata è il ridicolo.
L'ultimo
esempio è stata la reazione alla fine della scorsa settimana ai violenti
scontri ad Amsterdam prima e dopo una partita tra il Maccabi Tel Aviv e la
squadra locale dell'Ajax.
L'inquadratura
ridicola dei politici occidentali, assistiti dai media mainstream, è stata che
gli israeliani in visita sono stati "braccati" in quello che attività
equivalente va a un "pogrom" da parte di bande di strada olandesi,
composto principalmente da giovani di origine araba e musulmana.
Secondo
questa versione ufficiale, la violenza nelle strade di Amsterdam è stata
un'ulteriore prova di una crescente ondata di antisemitismo che sta spazzando
l'Europa e che viene importata dal Medio Oriente.
Inoltre,
gli attacchi sono stati presentati come aventi echi inquietanti del passato
nazista dell'Europa.
Il
presidente uscente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato che i tifosi
israeliani hanno subito attacchi "spregevoli" che "riecheggiano
momenti bui della storia in cui gli ebrei sono stati perseguitati".
Israele,
naturalmente, ha utilmente alimentato questa idea promettendo "voli di
emergenza" per "salvare" i suoi tifosi di calcio – cercando di
evocare ricordi dei suoi ponti aerei negli anni '80 degli ebrei etiopi per
sfuggire alla carestia e alle notizie di persecuzioni, o forse del ponte aereo
del 1975 del personale dell'ambasciata americana da Saigon.
Paragoni
nazisti.
I
politici olandesi con i loro orribili programmi razzisti, così come il re del
paese, si sono affrettati a unirsi a Israele per alimentare l'isteria.
“Geert
Wilders”, il leader razzista di estrema destra del più grande partito del
parlamento olandese, ha detto che la "feccia multiculturale" ha
portato avanti una " caccia agli ebrei ".
Il
ministro degli Esteri tedesco, “Annalena Baerbock”, ha dato il timbro ufficiale
del suo paese per ritrarre gli eventi di Amsterdam come un potenziale
"secondo Olocausto", definendo le scene " orribili e
profondamente vergognose ".
Ha
aggiunto:
"Lo
scoppio di tale violenza contro ebrei gli supera tutti i confini. Non c'è
alcuna giustificazione per tale violenza. Gli ebrei devono essere al sicuro in
Europa".
Questa
è la stessa Germania dove i video mostrano quotidianamente manifestanti arabi e
musulmani – in realtà, chiunque sventoli una bandiera palestinese – brutalmente
aggrediti da agenti di polizia tedeschi per aver protestato contro il genocidio
di Israele a Gaza.
“Baerbock
“sembra essere a suo agio nell'oltrepassare questo tipo di confini, che si
tratti di sradicare il diritto di protestare o di alimentare un clima politico
che autorizza la violenza islamofoba, non da parte di teppisti casuali, ma da
parte di funzionari dello Stato tedesco.
Nel
frattempo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sfruttato
l'occasione offerta da” Baerbock” per paragonare la violenza di Amsterdam ai
pogrom nazisti contro gli ebrei del 1938, noti come “Kristallnacht” .
E,
naturalmente, il ministro degli Esteri britannico “David Lammy” ha preso spunto
da Washington, dichiarando di essere "inorridito".
Ha
scritto su “X”: "Condanno fermamente questi abominevoli atti di violenza e
sono al fianco del popolo israeliano ed ebraico in tutto il mondo".
Celebrando
il genocidio.
Non è
un sostegno alla violenza, né tantomeno all'antisemitismo, sottolineare che
questa rappresentazione degli eventi era completamente avulsa dalla realtà.
I
video sui social media mostrano i tifosi israeliani ospiti che provocano
deliberatamente scontri non appena arrivano ad Amsterdam.
Nei
giorni precedenti la partita, avevano strappato e bruciato bandiere palestinesi
nel centro della città.
Avevano
braccato tassisti olandesi e passanti sospettati di essere arabi o musulmani.
Avevano
scandito minacce di morte genocide contro gli arabi.
Durante
la partita, hanno disturbato rumorosamente il minuto di silenzio osservato
nello stadio per le vittime delle inondazioni in Spagna, cantando: "Non ci sono più scuole a Gaza
perché abbiamo ucciso tutti i bambini".
La
Spagna è apparentemente insultata dai tifosi israeliani perché, in linea con il
diritto internazionale ma contro la volontà di Israele, ha riconosciuto la
Palestina come Stato.
Il
video dei tifosi israeliani che tornavano a casa all'aeroporto di Tel Avvivi
mostrava impassibili.
Hanno
cantato le stesse canzoni genocide:
"Lasciate che l'IDF vinca e fottiate gli arabi.
Ole ole, ole ole ole.
Perché
la scuola è chiusa a Gaza? Non ci sono più bambini lì!"
Come
Wilders, i tifosi israeliani avevano usato il loro tempo ad Amsterdam per
sfogare il loro bigottismo contro la "feccia multiculturale".
Anche
dopo la partita, quando hanno sentito il contraccolpo dei residenti locali
infuriati, era chiaro che i tifosi israeliani stavano iniziando gli scontri
violenti tanto quanto ne erano stati coinvolti.
Un
video girato da un giovane tifoso olandese dell'Ajax che segue gli hooligan del
Maccabi Tel Aviv mentre imperversano ad Amsterdam dopo la partita è diventato
virale sui social media.
Mostra
una grande banda di israeliani che si aggira per Amsterdam armati di
manganelli, lanciando pietre e affrontando aggressivamente la polizia locale.
Incredibilmente,
la polizia olandese viene mostrata assente o che mantiene le distanze per gran
parte del tempo, mentre gli israeliani cercano guai.
In
particolare, non è stato arrestato un solo tifoso israeliano.
Bile
islamofoba.
La
copertura di questi eventi da parte dei media occidentali è stata stranamente
deferente nei confronti di questi teppisti che incitano al genocidio, così come la gestione della violenza
da parte della polizia olandese.
Se i
tifosi britannici in trasferta si fossero comportati in questo modo ad
Amsterdam, la polizia avrebbe effettuato immediatamente arresti di massa.
Allo
stesso modo, se gli hooligan britannici si fossero trovati a subire violenze in
tali circostanze, i media britannici avrebbero mostrato poca simpatia.
Gli
scontri sarebbero stati giustamente intesi come un brutto tribalismo, uno
spettacolo non raro alle partite di calcio.
La
differenza qui era che gli scontri scatenati dalle provocazioni dei tifosi
israeliani avevano un contesto molto più ampio della semplice antipatia tra
squadre rivali.
È
stata alimentata dalle tensioni che coinvolgono eventi orribili che si svolgono
sulla scena internazionale.
Non
c'è nulla di scioccante o particolarmente sinistro nel fatto che i tifosi
olandesi, specialmente quelli di origine araba o musulmana, rispondono con la
loro violenza ai giovani israeliani – alcuni dei quali potenzialmente freschi
di servizio militare a Gaza – che cercano di esportare il loro incitamento
genocida anti-arabo e anti-musulmano ad Amsterdam.
Tanto
più quando i fan israeliani stavano amplificando la bile bigotta e islamofoba
dei principali politici olandesi.
Avrebbe
dovuto essere ancora meno sorprendente dato il contesto più ampio: che i tifosi
del Maccabi Tel Aviv stessi celebrando nella città di qualcun altro il
genocidio dell'esercito israeliano a Gaza, tra cittadini olandesi che non vedono
la vita araba come inutile o i musulmani come " animali umani".
Purtroppo,
questo è esattamente il modo in cui l'establishment occidentale ha visto i
palestinesi negli ultimi 13 mesi, mentre Israele li ha massacrati in quel campo di
concentrazione sempre più piccolo che è Gaza.
Paradossalmente,
è stato lasciato a un politico israeliano, “Ofer Cassif”, che appartiene al
minuscolo partito “Hadash”, l'unico partito ebraico-arabo nel parlamento
israeliano, a portare un po' di prospettiva.
Ha
scritto su “X”: "I tifosi [israeliani] si scatenano violentemente,
percuotono, strappano le bandiere palestinesi nelle strade come se fossero una
forza occupante e gridano slogan nazisti a favore dello sterminio di una
nazione [i palestinesi], e poi si lamentano quando la situazione degenera nel
caos più completo e la violenza torna a loro come un boomerang".
"Vittime
dei pogrom"
Come
sempre, i media dell'establishment hanno diligentemente rigurgitato la
presentazione ufficiale degli eventi ad Amsterdam.
Il suo
reportage è meglio caratterizzato come thrilling su scala industriale.
Titoli
come questo del “New York Times” davano per scontato che i tifosi israeliani
fossero vittime di antisemitismo e che avessero bisogno di essere salvati:
"Gli attacchi antisemiti provocano voli di emergenza per i tifosi di
calcio israeliani".
Altri
organi di informazione hanno riportato senza spirito critico le dichiarazioni
incontrollate di funzionari olandesi: "Abbiamo deluso la comunità
ebraica durante gli attacchi dei tifosi di calcio come abbiamo fatto sotto i
nazisti", afferma il re olandese.
Oppure,
come in questo titolo della “Reuters” , i media hanno usato le virgolette per
giustificare la diffusione di disinformazione: "Amsterdam vieta le proteste
dopo che 'squadre antisemite' hanno attaccato i tifosi di calcio
israeliani".
La “BBC”,
che vanta il suo impegno nel fornire resoconti accurati attraverso il suo
servizio “Verify,” non si è preoccupata di verificare le immagini di Amsterdam
che avrebbe dovuto utilizzare per illustrare gli attacchi ai tifosi israeliani.
In
realtà, come ha sottolineato il fotografo olandese che ha scattato una foto
usata dalla BBC, l'immagine mostrava esattamente l'opposto: giovani israeliani che picchiavano un
residente olandese.
L'uso
improprio di queste immagini – la disinformazione – è stato ripetuto dalla “CNN”,
dal “Guardian”, dal New York Times “e da altri importanti organi di stampa,
mentre tutti facevano a gara per sostenere la narrativa delle fake news imposta
dalla classe politica occidentale.
Da
allora la fotografa ha chiesto scuse e correzioni alle organizzazioni
mediatiche che hanno utilizzato il suo filmato in modo scorretto e senza
autorizzazione. Sabato ne aveva ricevuta solo una, dal programma di notizie
tedesco “Tagesschau”.
Fonte
di teppismo.
Il
grado in cui i media dell'establishment hanno intenzionalmente cercato di
ingannare il pubblico per promuovere una narrazione ufficiale distorta è stato
illustrato dalla copertura di “Sky News”.
Inizialmente,
prima che i politici avessero la possibilità di inquadrare gli eventi in modo
più consono ai loro interessi, il giornalista di “Sky” ad “Amsterdam” ha
riferito che la violenza era stata scatenata dai tifosi del “Maccabi Tel Aviv”,
un club già noto per l'aggressivo razzismo anti-arabo dei suoi sostenitori.
Tuttavia,
il suo rapporto è stato presto ritirato, poiché Israel, Wilders, Baerbock,
Biden e Lammy hanno riformulato la narrazione in termini di antisemitismo e
pogrom.
Una
nota dei redattori del canale ha affermato che il video "non soddisfaceva
gli standard di Sky News per equilibrio e imparzialità".
È
stato pubblicato un nuovo video, pesantemente rielaborato, che minimizzava la
violenza dei tifosi israeliani e metteva in primo piano i politici olandesi che
sostenevano che i tifosi del Maccabi Tel Aviv erano vittime di attacchi
antisemiti immotivati.
A un tifoso del Maccabi è stato persino dato
spazio per suggerire che gli scontri ricordavano l'attacco di Hamas a Israele
del 7 ottobre 2023.
In
effetti, c'è stato un parallelo con il 7 ottobre, ma non nel senso suggerito
dai tifosi israeliani o dai politici occidentali.
La
copertura mediatica dell'attacco di Hamas di 13 mesi fa ha sistematicamente
cancellato qualsiasi contesto precedente:
decenni
di occupazione militare israeliana illegale e violenta di Gaza;
un
assedio israeliano durato 17 anni che ha negato alla popolazione palestinese i
beni essenziali per vivere;
e
molti mesi di cecchini israeliani che giustiziavano e paralizzavano i
palestinesi che cercavano di protestare contro la loro prigionia.
Anche
la violenza di Amsterdam è stata decontestualizzata.
L'accettazione
acritica da parte dei media di questa nuova narrazione apertamente
politicizzata ha spianato la strada al sindaco di Amsterdam, che ha poi imposto una repressione
delle proteste in stile legge marziale.
Come
prevedibile, la polizia cittadina ha poi utilizzato il divieto come pretesto
per arrestare in massa i manifestanti anti-genocidio ad Amsterdam domenica,
quando i residenti sono scesi in piazza per denunciare le provocazioni e
l'incitamento al genocidio da parte dei tifosi israeliani nei giorni
precedenti.
Convenientemente
per i politici occidentali e i loro complici nei media dell'establishment, si
sono forniti un'altra opportunità per presentare le proteste in Occidente
contro il genocidio di Israele come intrinsecamente pericolose per la sicurezza
degli ebrei.
L'antisemitismo
europeo può essere spento, secondo la loro logica, solo sradicando il diritto
di protestare contro il massacro di bambini palestinesi da parte di Israele.
Qui si
sta perpetrando un doppio inganno.
Che
gli ebrei sono stati attaccati ad Amsterdam per essere ebrei piuttosto che per
essere teppisti del calcio israeliano che cercavano troppo visibilmente di
provocare lo scontro.
E che
l'unica risposta appropriata è quella di accogliere ulteriormente non solo la
criminalità dei tifosi di calcio israeliani, ma la fonte di quella criminalità:
le azioni di genocidio di Israele a Gaza.
Israeliani,
non ebrei.
I
politici occidentali e i media dell'establishment, nel frattempo, hanno reso
fin troppo evidente che i sentimenti razzisti di Israele e dei suoi emissari
del calcio sono orgogliosamente razzisti e teppisti.
Contrariamente
a quanto i politici e i media occidentali vorrebbero farci credere,
"offendersi" non è qualcosa riservato solo agli israeliani e agli
ebrei sionisti.
Anche
altri gruppi hanno sensibilità, anche se i politici e i media occidentali
denigrano sistematicamente tali sensibilità.
Ancora
una volta, nella frenesia politica e mediatica, si perde il fatto che le
persone possono provare rabbia nei confronti di Israele e dei suoi cittadini,
soprattutto quando glorificano il massacro di massa dei bambini palestinesi,
senza odiare gli ebrei.
Israele,
dopotutto, sta portando avanti un genocidio trasmesso in streaming da 13 mesi,
sostenuto da quasi tutta la sua popolazione.
Chiunque
si opponga al genocidio (purtroppo, non abbastanza di noi, a quanto pare)
probabilmente non prova un sentimento troppo caloroso nei confronti di Israele
in questo momento.
Questa è una posizione morale. Confonderla con
l'antisemitismo è puro sofisma.
Il
sofisma è pericoloso, per giunta. Crea la stessa realtà che afferma di voler
fermare. Suggerisce
che ci sia una qualche connessione tra essere ebrei e sostenere il genocidio.
Questo è davvero antisemitismo.
Facendo
eco alle maliziose contaminazioni israeliane tra israelianità ed ebraismo, i
politici occidentali e i media istituzionali hanno contribuito a intensificare
i tribalismi che possono solo portare a dannose polarizzazioni, violenza e
repressione.
Alcuni
europei celebrano Israele e sono disposti ad assecondare il suo genocidio,
perché immaginano erroneamente che questo sia il modo migliore per proteggere
gli ebrei.
Altri
europei, anche se in numero esiguo, finiscono per incolpare gli ebrei per le
azioni di genocidio di Israele.
Entrambe
le parti vivono in una realtà del tutto falsa e antidemocratica, creata per
loro dagli inganni dei politici occidentali e dei media istituzionali.
Coloro
che rifiutano l'una o l'altra posizione – una maggioranza sana e in difficoltà
– subiscono un costante gaslighting e si trovano accomunati ai veri antisemiti.
La
giornalista della BBC ad Amsterdam ha replicato proprio questo tipo di
narrazione confusa venerdì sera, sostenendo che i tifosi israeliani erano stati
attaccati per la loro "nazionalità", mentre faceva eco ai suoi
colleghi nel sostenere che ciò equivaleva ad antisemitismo.
Ma
"ebreo" non è ovviamente una nazionalità (checché ne dica Israele), e
fare il tifo a gran voce per l'ideologia sionista israeliana della supremazia
ebraica sulle popolazioni arabe mediorientali è un atto politico e, al momento,
complicità in un mostruoso genocidio.
Non è
vittimismo o "innocenza".
Seppellire
la storia.
Ci
sono due ragioni correlate per cui i media sono stati così pronti a montare
l'ennesimo furore dell'antisemitismo dal nulla.
I
media hanno trasformato questa storia del teppismo calcistico in un grande
scandalo internazionale, con le prime pagine preoccupate per il benessere dei
violenti tifosi di calcio israeliani, mentre ignorano l'ultimo capitolo
dell'orribile genocidio israeliano di Gaza che dura da 13 mesi.
Israele
sta attualmente portando avanti il cosiddetto "Piano dei generali ":
bombardando e facendo morire di fame uomini, donne e bambini palestinesi nel
nord di Gaza per costringere i 400.000 di loro che vivono tra le sue rovine ad
andarsene.
Israele
ha affermato che a questa popolazione non sarà mai permesso di tornare a casa.
In
altre parole, sta annunciando formalmente che questi palestinesi sono
sottoposti a pulizia etnica.
Ogni
palestinese che si rifiuta di trasferirsi nel campo di concentrazione che
Israele ha fatto del sud di Gaza – anch'esso costantemente bombardato –
rischiando di essere giustiziato come "terrorista".
Si
potrebbe immaginare che questi orrori su orrori sarebbero una notizia
importante. Non è così.
Al giorno d'oggi, c'è sempre qualche altra
storia, per quanto poco importante, che ha la precedenza.
Venerdì
sera la BBC non ha dedicato un secondo al genocidio di Gaza perché la società,
come il resto dei media, era troppo occupata a concentrarsi sulle sofferenze
degli hooligan israeliani ad Amsterdam.
Quei tifosi, ricordiamo, avevano minacciato di
uccidere arabi e musulmani in Europa, per replicare ciò che stava accadendo a
Gaza.
Le
priorità dei media qui sono più che oscene.
Alimentare
l'odio
Quello
che la copertura sta cercando di fare non è solo seppellire il genocidio di
Gaza e trasformare Israele e gli israeliani in vittime, anche se commettono un
genocidio.
Ha
anche lo scopo di alimentare l'odio islamofobo verso gli arabi e i musulmani
per la loro presenza in Europa e per l'insistenza sul fatto che non ci
dimentichiamo di Gaza.
Si
tratta di importare in Occidente gli stessi presupposti e discorsi razzisti che
hanno portato al genocidio di Israele.
Le
istituzioni occidentali hanno voluto questo risultato. Lo stanno rendendo
possibile attraverso la loro retorica e le loro azioni.
Quale
possibile giustificazione può esserci per bandire le squadre e gli sportivi russi
dalle gare internazionali nel momento in cui Mosca ha invaso l'Ucraina, quando
le squadre israeliane come il “Tel Aviv Maccabi “sono ancora benvenute in
Europa dopo 13 mesi di genocidio?
Com'è
possibile che i tifosi delle squadre israeliane non solo si trovino abbracciati
dai leader occidentali, ma siano trattati come vittime quando sfilano il loro
fanatismo anti-arabo e anti-musulmano – e la loro glorificazione del genocidio
– nelle città europee?
La
nazionale israeliana giocherà contro la Francia in una partita della “Uefa
Nations League “a Parigi il 14 novembre.
Gli
scontri sono fin troppo prevedibili.
Potrebbero
essere facilmente evitati imponendo un divieto, simile a quello russo, alla
partecipazione israeliana alle competizioni internazionali.
Ciò
che la copertura dimostra così chiaramente è che l'obiettivo dei principali
politici occidentali, aiutati dai media dell'establishment, è quello di
riformulare le popolazioni arabe e musulmane d'Europa come una minaccia,
barbara, antisemita, impossibile da integrare in una presunta
"civiltà" occidentale.
In
altre parole, l'obiettivo trasparente è quello di trasformare le comunità arabe
e musulmane d'Europa negli ebrei d'Europa degli anni '30 – insultati, diffidati
e visti come una minaccia.
Sostenendo
ogni mostruoso crimine israeliano, assecondando gli hooligan del calcio
israeliano che incitano al genocidio, i politici occidentali ei media sanno che sono destinati a infiammare
le tensioni, specialmente con le popolazioni locali di origine araba e
musulmana. Questo è ciò che desideri fare.
L'obiettivo
è quello di promuovere la demonizzazione delle minoranze arabe e musulmane in
Europa.
Vite
senza valore.
Sappiamo
dove ha portato il fanatismo europeo nei confronti degli ebrei. Tutte le camere
a gas.
E
sempre più spesso possiamo vedere esattamente dove i politici occidentali e i
media dell'establishment vogliono portare il loro pubblico nel promuovere
all'infinito il fanatismo in stile israeliano nei confronti degli arabi e dei
musulmani.
Già le
istituzioni occidentali hanno razionalizzato la loro complicità attiva
nell'omicidio, genocidio dei palestinesi a Gaza e nella distruzione del Libano
meridionale, fornendo armi e immunità diplomatica.
Hanno
già definito il blocco degli aiuti da parte di Israele e la fama di massa dei
2,3 milioni di abitanti di Gaza come "autodifesa" e come una
"guerra legittima" per eliminare Hamas.
Hanno
già insistito sul fatto che le vite dei palestinesi sono così inutili, così
insignificanti, che possono essere massacrate a decine di migliaia – o, più
probabilmente, centinaia di migliaia – per vendicare la morte di poco più di
1.000 israeliani il 7 ottobre 2023.
Hanno
già invertito la realtà per dipingere il genocidio di Israele come la vittima
innocente e le decine di migliaia di bambini palestinesi uccisi e mutilati
nella sua furia massacrante come i colpevoli.
Niente
di tutto questo è accaduto per caso. In Occidente si sta scientificamente
coltivando uno stato d'animo, proprio come lo era in alcune parti d'Europa
negli anni '30, per suggerire che alcuni gruppi sono sub-umani, che alcune
minoranze devono essere espulse, o radunate e scomparse.
Questo
è il contesto appropriato per capire cosa è realmente accaduto ad Amsterdam la
scorsa settimana, quando la polizia ha trattato i violenti teppisti israeliani
con i guanti e i politici e i media hanno riformulato i cattivi come vittime.
Se i
nostri politici e i nostri media sono davvero preoccupati per il passato
nazista non troppo lontano dall'Europa, farebbero molto meglio a smettere di
alimentare un nuovo antisemitismo fin troppo reale: l'incitamento contro le
minoranze arabe e musulmane.
I
giorni più bui della storia d'Europa sono davvero tornati con noi. Ma non
perché un gruppo di hooligan del calcio israeliano abbia finito per ricevere
tanta violenza quanta ne hanno cercata.
È
tornato perché l'Occidente è fin troppo pronto ad abbracciare il fanatismo
anti-arabo e anti-musulmano di Israele.
Giorno
dopo giorno ci avviciniamo sempre di più a nuovi pogrom.
Non
contro gli ebrei o gli israeliani, che godono del sostegno e della protezione
dei politici, dei media e della polizia occidentale.
Piuttosto, quelli più in pericolo sono i
"nuovi ebrei", le popolazioni mediorientali che quegli stessi
politici, media e polizia costantemente diffamano, insultano, incitano e
aggrediscono costantemente.
Il
razzismo occidentale non è mai scomparso. La classe dirigente europea ha appena
trovato un nuovo bersaglio e un nuovo capro espiatorio.
Le
nuvole scure di Amsterdam si stanno addensando in tutta Europa. L'autoritarismo e il fascismo sono di
nuovo in ascesa. Sono coloro che cercano di tenerci legati alla realtà che
saranno i primi sulla linea di fuoco.
Le
contraddizioni fondamentali e accumulate dell'Occidente.
Unz.com - Alastair Crooke – (11 novembre 2024)
ci dice:
L'Occidente
non ha il potere finanziario necessario per perseguire il primato mondiale, se
mai ne avesse avuto uno.
Le
elezioni si sono svolte; Trump entrerà in carica a gennaio; molti membri
dell'attuale Nomenklatura del partito saranno sostituiti; saranno annunciate
politiche diverse, ma effettivamente prendere il potere (piuttosto che
semplicemente sedersi alla Casa Bianca) sarà più complesso.
Gli
Stati Uniti si sono trasformati in molti feudi disparati, quasi principati,
dalla CIA al Dipartimento di Giustizia.
E
anche le "agenzie" di regolamentazione sono state impiantate per
preservare la presa della Nomenklatura sulla linfa vitale del Sistema.
Coinvolgere
questi avversari ideologici in un nuovo modo di pensare non sarà un'operazione
del tutto agevole.
Tuttavia,
anche le elezioni americane sono state un referendum sulla corrente
intellettuale occidentale prevalente.
E
questo sarà probabilmente più decisivo del voto interno degli Stati Uniti, per
quanto importante.
Gli
Stati Uniti si sono allontanati strategicamente dalla tecno-oligarchia
manageriale che ne aveva preso il controllo negli anni '70. I
l
cambiamento odierno si riflette in tutti gli Stati Uniti.
Nel
1970,” Zbig Brzezinski” (che sarebbe diventato consigliere per la sicurezza
nazionale del presidente Carter) scrisse un libro in cui prevedeva la nuova
era: quella
che allora chiamava "L'era tecnetronica",
"comportava
la graduale comparsa di una società più controllata. Una tale società ...
dominata da un'élite, non vincolata dai valori tradizionali ... [e praticante]
una sorveglianza continua su ogni cittadino ... [insieme alla] manipolazione
del comportamento e del funzionamento intellettuale di tutte le persone ... [diventerebbe la nuova
norma]."
Altrove,
Brzezinski ha sostenuto che " lo Stato-nazione ... ha cessato di essere la
principale forza creativa: le banche internazionali e le multinazionali
agiscono e pianificano in termini che sono di gran lunga più avanzati rispetto
ai concetti politici dello Stato-nazione".
Brzezinski
si sbagliava completamente sui benefici della governance cosmopolita della
tecnologia.
E si
sbagliava decisamente, e disastrosamente, nelle prescrizioni politiche che
dedusse dall'implosione dell'Unione Sovietica nel 1991, ovvero che nessun paese
o gruppo di paesi avrebbe mai osato opporsi al potere degli Stati Uniti.
Brzezinski
sosteneva in “The Grand Chessboard” che la Russia non avrebbe avuto altra
scelta che sottomettersi all'espansione della NATO e ai dettami geopolitici
degli Stati Uniti.
Ma la
Russia non cedette.
E come
risultato dell'euforia delle élite del 1991 per la " Fine della
storia" , l'Occidente lanciò la guerra in Ucraina per dimostrare il suo
punto di vista:
nessun
singolo paese poteva sperare di resistere al peso combinato di tutta la NATO.
Lo dissero perché ci credevano.
Credevano
nel destino manifesto occidentale.
Non
capivano le altre opzioni che aveva la Russia.
Oggi
la guerra in Ucraina è persa.
Centinaia
di migliaia di persone sono morte inutilmente, per presunzione.
L'"altra
guerra" in Medio Oriente non va diversamente.
Il
rapporto israelo-statunitense e La guerra contro l'Iran sarà persa, e decine di
migliaia di palestinesi e libanesi saranno morti inutilmente.
E
anche le "guerre per sempre", che il Comandante Supremo della NATO si
aspettava sulla scia dell'11 settembre per rovesciare una serie di stati (prima
l'Iraq, e poi la Siria, il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan e l'Iran),
non solo non hanno portato al consolidamento dell'egemonia degli Stati Uniti,
ma hanno portato invece a Kazan e ai BRICS. con la sua lunga coda di aspiranti
membri, pronto ad affrontare il colonialismo straniero.
Il
vertice di Kazan è stato cauto. Non ha proiettato una serie di soluzioni;
alcuni stati BRICS erano titubanti (le elezioni americane erano previste per la
settimana successiva).
I
commenti di Putin a questi ultimi stati sono stati attentamente calibrati:
guardate cosa possono farvi gli Stati Uniti, se doveste cadere in fallo, in
qualsiasi momento.
Proteggetevi.
Tutto
ciò che il presidente dei BRICS (Putin) poteva dire, in questo frangente, era:
ecco i
problemi che [dobbiamo risolvere].
Al
momento è prematuro allestire una struttura alternativa completa a Bretton
Woods.
Ma
possiamo impostare il nucleo di un'alternativa prudente per lavorare nella
sfera del dollaro:
un sistema di regolamento e compensazione,
BRICS Clear;
un'unità
di conto di riferimento; una struttura di riassicurazione e la BRICS Card, un
sistema di carte di pagamento al dettaglio simile ad AliPay.
Forse
una valuta di riserva e l'intero armamentario di Bretton Woods si riveleranno
inutili.
La
tecnologia finanziaria si sta evolvendo rapidamente e, a condizione che il
sistema di compensazione BRICS sia funzionale, il risultato potrebbe essere una
moltitudine di canali commerciali separati fin-tech.
Ma una
"settimana è un lungo periodo in politica".
E una
settimana dopo, il paradigma intellettuale occidentale è stato capovolto.
Gli
Shibboleth degli ultimi cinquant'anni sono stati respinti in modo generalizzato
negli Stati Uniti dagli elettori.
L'ideologia di "annullare" il
passato culturale; l'abbandono delle lezioni della storia (per, si sostiene,
prospettive "sbagliate") e il rifiuto dei sistemi etici riflessi nei
miti e nelle storie di una comunità, sono stati a loro volta respinti!
Va di
nuovo bene essere uno "stato di civiltà".
Il
dubbio radicale e il cinismo dell'anglosfera sono ridotti a una prospettiva tra
tante.
E non può più essere la narrazione universale.
Beh,
dopo le elezioni americane, il sentimento dei BRICS deve essere messo il turbo.
Nozioni
che non erano pensabili la settimana scorsa, sono diventate possibili e
pensabili una settimana dopo.
Gli
storici possono guardare indietro e osservare che l'architettura futura della
moderna finanza globale, la moderna economia globale, può aver faticato a
nascere a Kazan, ma ora è un bambino sano.
Accadrà
tutto senza intoppi? Certo che no.
Le
differenze tra gli Stati membri dei BRICS e quelli "partner" si
rimarranno, ma questa settimana si è aperta una finestra, è entrata aria fresca
e molti respireranno più facilmente.
Se c'è
una cosa che dovrebbe essere chiara, è improbabile che una seconda
amministrazione Trump senta il bisogno di lanciare una "guerra al
mondo" per mantenere la sua egemonia globale (come insistere la Strategia
di Difesa Nazionale del 2022).
Perché
gli Stati Uniti oggi affrontano le proprie contraddizioni strutturali interne a
cui Trump alludeva regolarmente quando parlava dell'evaporazione dell'economia
reale americana a causa della base manifatturiera delocalizzata.
Un
recente rapporto dell'”Organizzazione RAND” afferma chiaramente che la base
industriale della difesa degli Stati Uniti non è in grado di soddisfare le
esigenze di attrezzature, tecnologia e funzionalità degli Stati Uniti e dei
suoi alleati e partner.
Un conflitto prolungato, soprattutto in più
teatri, richiederebbe una capacità molto maggiore [e un bilancio della difesa
radicalmente aumentato].
Il
piano di ripresa industriale di Trump, tuttavia, di tariffe dolorosamente alte
che riguardano l'industria manifatturiera americana;
la
fine della dissolutezza federale e la riduzione delle tasse suggeriscono,
tuttavia, un'inversione di tendenza verso la rettitudine fiscale, dopo decenni
di lassismo fiscale e di indebitamento incontrollato.
Non
una grande spesa militare! (La spesa per la difesa, tra l'altro, durante la
Guerra Fredda si basava su aliquote marginali più alte dell'imposta sul reddito
superiori al 70 per cento e aliquote fiscali sulle società in media del 50 per
cento – il che non sembra accordarsi con ciò che Trump ha in mente).
Il
professor “Richard Wolff” commenta in una recente intervista che l'Occidente
nel suo complesso si trova in gravi difficoltà finanziarie, proprio a causa di
queste spese governative incontrollabili:
"Per
la prima volta, un paio di anni fa, i detentori di obbligazioni non erano
disposti a continuare a finanziare i deficit della Gran Bretagna, e [il governo
del Regno Unito è stato cacciato].
Il
signor Macron ora sta seguendo la stessa strada.
I detentori di obbligazioni hanno detto ai
francesi che non continueranno a finanziare il loro debito nazionale.
Ecco
come funziona. Gli obbligazionisti dicono ai francesi: dovete tenere a freno la
spesa... Gli obbligazionisti dicono: dovete smetterla di accumulare deficit.
E,
come sa ogni studente universitario, il modo per tenere a freno i deficit
potrebbe essere tagliare la spesa.
Ma c'è
un'alternativa: si chiama tassare.
E si
chiama tassare le aziende e i ricchi perché gli altri non hanno più niente da
tassare: avete fatto tutto il possibile [con le tasse sui comuni cittadini
francesi].
[Tuttavia]
tassare le aziende e i ricchi... in qualche modo, non solo "non è
fattibile", ma non è nemmeno discutibile.
Non
può essere messo sul tavolo: Niente. (o, qualcosa di così minuscolo che non
risolverà mai il deficit).
Ora
abbiamo troppi debiti. E si scopre che il governo, come il governo americano,
sta affrontando i prossimi anni in cui dovrà spendere tanto per il servizio del
suo debito quanto per la difesa.
E
questo non lascia molto per tutti gli altri.
E
tutti gli altri dicono: no, no, no, no, no, no.
E ora
l'obbligazionista si preoccupa, perché un modo per risolvere questo problema
sarebbe quello di smettere di pagare gli obbligazionisti e questo, ovviamente,
non deve mai accadere.
Quindi
ci sono due assurdità.
Non
puoi smettere di pagare gli obbligazionisti (quando, ovviamente, puoi, ma con
conseguenze disastrose).
E non
si possono tassare le società e i ricchi.
E,
naturalmente, è possibile.
Penso
che stiamo raggiungendo un punto in cui queste contraddizioni si stanno
accumulando.
Non
c'è bisogno di essere hegeliani o marxisti per capire che queste contraddizioni
che si accumulano sono molto profonde, molto grandi e molto fondamentali".
Ci
dicono che da un lato il mondo non accetta la visione occidentale come di
applicazione universale – e dall'altro lato, l'Occidente non ha il peso
finanziario per garantire il primato globale – se mai l'ha avuto: Zugzwang.
CON
TRUMP NELLA UE COMINCIANO
A VOLARE GLI STRACCI.
Inchiostronero.it
– (11-11-2024) – Redazione – Simplicissimus – ci dice:
L’elezione
di Trump ha messo nei guai l’Ue e i suoi stati membri.
Ma non
perché il neopresidente voglia chiudere la guerra ucraina per poi dedicarsi ad
altri fronti, come si dice da più parti, bensì proprio per il motivo
esattamente contrario, ossia per il fatto che non può ritirarsi come se nulla
fosse dal conflitto, ma intende addossare tutti gli oneri sull’Europa.
L’idea del neopresidente è qualcosa che ha ben
poco a che fare con la realtà:
egli
pensa di poter congelare la situazione al fronte per poi passare la palla alla
Ue.
Il
fatto è però che ormai la Russia gode di una grande superiorità in termini di
mezzi e di uomini mentre l’Ucraina fatica a raggranellare nuovi reparti da
mandare al massacro.
Così
viene meno il presupposto pragmatico di Trump che probabilmente pensa di poter
giocare su due campi:
da una
parte intimorire la Russia minacciando di mandare ancora armi al regime di Kiev
e dall’altra spingere Zelensky e i suoi ad accettare la perdita dei territori
negando loro le armi.
Si
tratta di un tipico stratagemma, in uso nel mondo finanziario, per portare i
due avversari a cercare un accordo al ribasso per entrambi e così salvare la
Nato da una figuraccia.
In
questo caso però tutto si rivela piuttosto infantile dal momento che mancano i
presupposti sui quali poggiare questa strategia:
sia
perché la Russia è decisa a fare dell’Ucraina un Paese neutrale, sia perché ciò
che manca a Kiev più che le armi in sé sono proprio le risorse umane come si
direbbe in termini aziendali.
Ora è
vero che nell’amministrazione Trump non ci saranno più imbecilli come Pompeo,
ma è anche vero che Washington è pervasa da un pericoloso senso di irrealtà.
In
ogni caso è abbastanza ovvio che dovrà essere l’Europa a sopportare i costi di
una guerra che l’ha già praticamente disarmata e mandata in rovina
economicamente.
In un tempestoso incontro a Budapest di tre
giorni fa nel quale sono volati gli stracci, i funzionari dell’Ue “hanno
discusso se il blocco sarà pronto a pagare il conto per la guerra”.
Secondo
fonti anonime citate da Bloomberg, la grande preoccupazione è appunto che Trump
cercherà di spostare l’onere finanziario sull’Europa.
Ed è
questa l’unica cosa certa riguardo alle intenzioni del neopresidente: in
numerose occasioni ha detto che gli alleati europei avrebbero dovuto “pagare”
se volevano continuare a combattere o che comunque si sarebbero dovuti far
carico di garantire il rispetto di qualsiasi futuro accordo di sicurezza
post-conflitto con tutti i costi annessi e connessi.
Questa
è davvero una nemesi perché occorre ricordare un fatto importante:
è
stata proprio la Ue a svolgere un ruolo cruciale nello scatenare il caos a
Maidan nel 2013 e poi a mentire sfacciatamente alla Russia durante gli accordi
di Minsk i quali, come ha affermato la Merkel, non servivano affatto ad evitare
la guerra, ma solo a guadagnare tempo per poter armare l’Ucraina.
Adesso arriva il momento di scontare le
conseguenze perché i Paesi della Ue non hanno la capacità di aiutare realmente
il regime di Kiev, al massimo possono dissipare i soldi che ancora rimangono
per poter acquistare scadenti armi americane da usare nel caso di una
mitologica invasione russa, una pura invenzione dei burattini al comando per
salvare la faccia.
A
questo punto le vie d’uscita per l’Europa sono solamente due:
o rassegnarsi al fallimento e alla
marginalizzazione dell’intero continente o mandare a casa il milieu politico
che ha sponsorizzato ogni parte del delirante piano globalista di abbattere la
Russia.
Rimangono ancora competenze tecnologiche e
industriali che però non rimarranno a lungo e saranno risucchiate altrove.
Tutti
sappiamo della crisi che ha colpito il settore più importante dal punto di
vista industriale del continente, ossia quello dell’auto che sconta la follia
della Ue nel voler imporre in tempi brevissimi l’auto elettrica che di fatto
mette in mano alla Cina un atout di prima grandezza.
In
queste condizioni potrebbe anche darsi che alla fine un Paese – e in questo
caso non si può pensare che alla Germania – saluti la compagnia e scelga di
fare i propri interessi.
Ci sono tutti i sintomi:
dall’estrema probabilità che si arrivi ad
elezioni anticipate a marzo con il massacro dei partiti di governo, alla nuova
popolarità di un personaggio come l’ex cancelliere socialdemocratico “Gerhard
Schroeder”, notoriamente amico di Putin, nonché da sempre sostenitore
dell’approvvigionamento energetico a basso costo dalla Russia.
Di
certo è solo folle o idiota pensare che l’autonomia dell’Europa possa
svilupparsi nel sostegno patologico a una guerra americana, secondo quanto
ipotizza Macron, ventriloquo dei Rothschild, come del resto lo sono Draghi e la
Schlein che si incontrano (ma in precedenza c’era stata anche la Meloni alla
corte del banchiere) per parlare di come salvare sé stessi e il sistema
politico che protegge gli interessi delle grandi agglomerazioni finanziarie.
Tutto
questo ci permette di scindere due fattori:
Trump
in sé e l’effetto Trump che è tutt’altra cosa e che magari potrebbe rivelarsi
un vero problema per il neopresidente.
I
sussidi per l'energia solare
dell'amministrazione
Biden-Harris
stanno
avvantaggiando solo la Cina.
Naturalnews.com – (11/12/2024) - Ava Grace –
ci dice:
I
sussidi per i pannelli solari e l'energia solare dell'amministrazione del
presidente Joe Biden e della vicepresidente Kamala Harris stanno avvantaggiando
solo la Cina.
Questi
sussidi sono stati approvati quando Biden e i Democratici al Congresso hanno
approvato l' “Inflation Reduction Act” nel tentativo di attirare la produzione
di pannelli solari lontano dalla nazione comunista e negli Stati Uniti e di
scatenare una rivoluzione dell'energia pulita "Made in America".
La
legge concede sussidi alle aziende per costruire fabbriche che producono
componenti solari nel tentativo di rivitalizzare la base manifatturiera del
paese e prendere il controllo delle catene di approvvigionamento di energia
pulita lontano dalla Cina.
Tuttavia,
gli esperti di energia solare hanno notato che questi sussidi stanno solo
consentendo alle aziende cinesi di aprire negozi in America piuttosto che
incentivare gli americani ad avviare società di energia solare.
(I programmi
di "energia verde" dell'amministrazione Biden NON SONO COSÌ VERDI
come sembrano.)
Le
aziende cinesi vengono rivitalizzate dai sussidi solari americani.
I
sussidi di Biden per i pannelli solari hanno contribuito a rivitalizzare le
aziende cinesi in difficoltà.
“LONGi”,
un'azienda con sede a Xi'an che produce moduli solari e aiuta lo sviluppo di
progetti di energia solare, era in via di estinzione.
Ma il
suo presidente, “Zhong Baoshen”, ha approfittato dei sussidi solari negli Stati
Uniti per dare nuova vita alla sua azienda in difficoltà.
"Abbiamo
pagato miliardi di tasse universitarie" per imparare a navigare nella
politica degli Stati Uniti, ha detto.
La
vita dell'uomo d'affari 56enne è stata una lezione sui trionfi industriali
della Cina e sui suoi pericoli.
Con
due amici del college del dipartimento di fisica della sua università, ha
costruito “LONGi” fino a una valutazione massima di circa 80 miliardi di
dollari con il sostegno del governo centrale di Pechino.
Ma
nella prima metà del 2024, il prezzo del “polisilicio”, l'elemento costitutivo
dei pannelli solari, è sceso di oltre il 40%.
Il
prezzo delle azioni di LONGI è crollato dell'80% dal suo picco prima di
stabilizzarsi, e Zhong crede che il mercato statunitense sia l'unico modo in
cui la sua azienda può sopravvivere.
Un'altra
società cinese, “Trina Solar”, con sede a Changzhou, potrebbe incassare quasi
1,8 miliardi di dollari dai sussidi fiscali americani nei prossimi sette anni
se continuerà con il suo piano di far funzionare completamente la sua fabbrica
in Texas entro il 2025.
Almeno
altre otto società che sono state fondate in Cina o hanno forti legami con i
cinesi hanno speso più di 1,2 miliardi di dollari per costruire progetti di
pannelli solari negli Stati Uniti dall'approvazione dell'IRA.
Si prevede che questi progetti accumuleranno
un totale di 23,6 gigawatt di capacità di moduli, di cui circa 14,5 gigawatt
sono già online, pari a quasi un terzo della capacità di produzione di pannelli
negli Stati Uniti.
Circa
sette gigawatt sono attualmente in costruzione e i restanti due gigawatt sono
ancora in fase di progettazione.
“Jonas
Nahm”, professore della “Johns Hopkins University” che ha studiato la politica
industriale cinese, ha affermato che per le aziende più forti come LONGi, la
forma più importante di sostegno governativo è la politica di motivazione dei
progetti di energia rinnovabile.
Ciò
garantisce un mercato per i pannelli solari.
Gli
sviluppatori di pannelli solari notano che al momento gli Stati Uniti sono
"l'unico posto in cui qualcuno sta facendo soldi [con il solare]", ha
detto” Yana Hryshko,” responsabile globale del solare per la società di
consulenza energetica “Wood Mackenzie”.
(Visita SolarPanels.news per saperne
di più sull'energia solare.)
Esiste
un video in cui si discute di come la prossima seconda amministrazione del
presidente eletto Donald Trump potrebbe invertire la politica cinese di Biden.
Questo
video è tratto dal canale “TrendingNews” su Brighteon.com.
Storie
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La
gente del posto è indignata quando gli iconici alberi di Joshua della
California vengono abbattuti per costruire un parco solare.
Un'importante
azienda di pannelli solari presenta istanza di fallimento dopo che la
California ha posto fine ai sussidi per le energie rinnovabili.
I
repubblicani mettono in discussione il prestito di 3 miliardi di dollari
dell'amministrazione Biden a” Sunnova”, che è stata accusata di aver truffato i
pazienti anziani affetti da demenza per farli firmare costosi contratti di
locazione di pannelli solari.
Molti
paesi investono nella produzione di energia nucleare, mentre l'America langue
alla ricerca di energie rinnovabili meno capaci.
Affidarsi
esclusivamente all'energia eolica e solare richiede l'acquisizione di così
tanta terra rispetto ai combustibili fossili.
(Brighteon.com)
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