Necessità reali dell’umanità.
Necessità
reali dell’umanità.
Ricchi
sempre più ricchi mentre
la
povertà aumenta: “Nessuno
dovrebbe
avere un miliardo.”
Cdt.ch
- Michele Montanari – (15.01.2024) – ci dice:
Il
Report Oxfam.
Tra
pandemia, guerre e inflazione, gli stipendi di milioni di lavoratori crollano
mentre poche aziende sono ancora più potenti: «Super-ricchi cresciuti a un
ritmo di 14 milioni di dollari l'ora, i Governi devono intervenire».
Ricchi
sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.
L’ineguaglianza nel mondo sta aumentando a un
ritmo vertiginoso e passeranno centinaia di anni prima che la povertà venga
sradicata.
È
quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Oxfam (Oxford Committee for “Famine
Relief”), secondo cui i cinque uomini più ricchi del pianeta (Elon Musk,
Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Mark Zuckerberg) hanno più che
raddoppiato la loro fortuna, passando da 405 miliardi di dollari del 2020 agli
attuali 869 miliardi di dollari.
Si
parla di un ritmo di crescita di 14 milioni di dollari l’ora, mentre quasi
cinque miliardi di persone sono diventate più povere.
Se le tendenze attuali dovessero continuare -
si legge nel documento dal titolo “Inequality Inc”. - il mondo avrà il suo primo
trilionario (un trilione nella scala corta statunitense equivale a mille miliardi,
ndr) entro
un decennio e la povertà non sparirà dal nostro mondo prima di altri 229 anni.
Il
report, pubblicato oggi, 15 gennaio, giorno in cui le élite imprenditoriali si
riuniscono a “Davos” per il “World Economic Forum” (WEF), rivela che sette
delle più grandi aziende del mondo su dieci hanno un miliardario come
amministratore delegato o come principale azionista.
Queste
società valgono 10,2 trilioni di dollari, ossia più del PIL di tutti i Paesi
dell’Africa e dell’America Latina sommati.
Il
direttore esecutivo ad interim di “Oxfam International”,” Amitabh Behar”, ha
commentato:
«Stiamo assistendo all’inizio di un decennio
di divisione, con miliardi di persone che si fanno carico dell'impatto
economico di pandemia, inflazione e guerra, mentre le fortune dei miliardari
crescono.
Questa
disuguaglianza non è casuale, i miliardari si assicurano che le aziende gli
garantiscano più ricchezza a spese di tutti gli altri».
E ancora:
«Il
potere monopolistico di queste società è una macchina che genera
disuguaglianza:
spremendo i lavoratori, eludendo le tasse,
privatizzando gli enti statali e stimolando il collasso climatico, le aziende
stanno incanalando ricchezza infinita verso i loro proprietari ultra-ricchi.
Ma
stanno anche incanalando il potere, minando le nostre democrazie e i nostri
diritti.
Nessuna
azienda o individuo dovrebbe avere così tanto potere sulle nostre economie e
sulle nostre vite: per essere chiari, nessuno dovrebbe possedere un miliardo di
dollari».
In
anni difficili, segnati dalla pandemia e guerre come quella in Ucraina e nella
Striscia di Gaza, la ricchezza estrema è andata consolidandosi, mentre la
povertà globale è rimasta impantanata ai livelli pre-COVID.
Dal 2020 le ricchezze dei miliardari sono
cresciute tre volte più velocemente del tasso di inflazione.
Nonostante
rappresentino solo il 21% della popolazione mondiale, i Paesi del Nord del
mondo possiedono il 69% della ricchezza globale e ospitano il 74% dei beni
mondiali dal valore miliardario.
L’1%
di ultra-ricchi possiede il 43% di tutte le attività finanziarie globali.
I
«Paperoni» detengono il 48% della ricchezza finanziaria in Medio Oriente, il
50% in Asia e il 47% in Europa.
Le
grandi aziende, inoltre, sono destinate a frantumare i loro record di profitti
annuali:
148 delle più grandi società del mondo insieme
hanno raccolto 1,8 trilioni di dollari di profitti netti totali fino al mese di
giugno del 2023, un aumento del 52% rispetto all'utile netto medio nel periodo
2018-2021.
I loro profitti straordinari sono saliti a
quasi 700 miliardi di dollari.
Il
rapporto rileva che per ogni 100 dollari di profitto realizzati da 96 grandi
aziende tra luglio 2022 e giugno 2023, 82 dollari sono finiti nelle tasche dei
principali azionisti sotto forma di dividendi o buyback.
Secondo
“Amitabh Behar”, «i monopoli danneggiano l’innovazione e schiacciano i
lavoratori e le piccole imprese. Il mondo non ha dimenticato come i monopoli
farmaceutici (la cosiddetta Big Pharma) abbiano privato milioni di persone dei
vaccini contro il Covid-19, creando una apartheid razziale e creando al tempo
stesso un nuovo club di miliardari».
Le
persone in tutto il mondo lavorano di più, spesso per salari miseri, in posti
di lavoro precari e non sicuri.
I
salari di quasi 800 milioni di lavoratori non sono riusciti a tenere il passo
con l’inflazione e sono andati persi 1,5 trilioni di dollari negli ultimi due
anni, l’equivalente di quasi un mese (25 giorni) di lavoro non retribuito per
ciascun lavoratore.
Qualche
esempio di monopolio?
Il
report cita “Bernard Arnault”, il secondo uomo più ricco del mondo, a capo
dell’impero del lusso LVMH.
Arnault
è già stato multato dall’organismo antitrust francese.
Possiede
anche il più grande media francese, “Les Écho”s, e “Le Parisien”.
Poi
c''è “Aliko Dangote”, la persona più ricca dell’Africa, che detiene un «quasi
monopolio» del cemento in Nigeria.
L’espansione del suo impero nel settore
petrolifero ha sollevato preoccupazioni sull'arrivo di un nuovo monopolio
privato.
Senza
contare “Jeff Bezos”, il cui patrimonio di 167,4 miliardi di dollari è
aumentato di 32,7 miliardi di dollari dall’inizio del decennio.
Il governo degli Stati Uniti ha citato in
giudizio Amazon, la creatura di Bezos, per aver esercitato il suo «potere
monopolistico» per aumentare i prezzi, peggiorare il servizio rivolto agli
acquirenti e soffocare la concorrenza.
Stando
a un’analisi basata sui dati della “World Benchmarking Alliance”, che comprende
oltre 1.600 tra le più grandi aziende di tutto il mondo, lo 0,4% di queste si
impegna pubblicamente a pagare ai lavoratori un salario dignitoso e a sostenere
un salario dignitoso nelle loro catene del valore.
Poi però emergono situazioni di assoluta
disparità:
stando
al report, per una donna attiva nel settore sanitario o sociale ci vorrebbero
1.200 anni per guadagnare quanto in un anno percepisce, in media,
l’amministratore delegato di una delle 100 imprese della lista stilata da
Fortune.
Il
rapporto di Oxfam mostra inoltre come le multinazionali in questi anni abbiano
incessantemente privatizzato il settore pubblico, segregando servizi
fondamentali come l’istruzione o l’acqua:
«Il potere pubblico dovrebbe tenere a freno il
potere sconfinato delle imprese, modellando il mercato per renderlo più giusto
e libero dal controllo miliardario.
I governi devono intervenire per spezzare i
monopoli, dare potere ai lavoratori, tassare questi enormi profitti aziendali
e, soprattutto, investire in una nuova era di beni e servizi pubblici», ha
dichiarato Behar, chiedendo un'azione decisiva da parte dei Governi per
limitare il potere dei pochi ultra-ricchi.
Tra le
misure che dovrebbero essere prese in considerazione per abbattere le
disuguaglianze, l'Oxfam cita la tassa sul patrimonio dei più ricchi, un
prelievo più efficace sui redditi delle grandi aziende e una rinnovata spinta
contro l’evasione fiscale.
Solo
nel Regno Unito si stima che una tassa del 2% sul patrimonio dei super-ricchi
(chi possiede più di 10 milioni) porterebbe 22 miliardi di sterline all'anno
all'erario britannico.
“Julia
Davies”, membro fondatore di “Patriotic Millionaires UK”, un gruppo apartitico
di milionari britannici che si batte per l’imposta sul patrimonio, ha affermato
che le imposte sulla ricchezza sono «minuscole» rispetto alla tassazione sul
reddito da lavoro.
Citata dal Guardian, la donna ha spiegato:
«Immaginiamo quanto potrebbero essere utili 22 miliardi di sterline all’anno da
investire in servizi pubblici e infrastrutture.
Potrebbero
migliorare la vita di ognuno di noi e fornire ai nostri anziani, giovani e
persone vulnerabili le cure e il sostegno di cui hanno bisogno e che meritano».
BRICS,
l’altro mondo e noi.
Ispionline.it
– (24 Ott. 2024) – Alessia De Luca – ci dice:
A
Kazan si è parlato di ‘de-dollarizzazione’ e di un nuovo ordine internazionale.
Ma per Mosca il summit BRICS è più che una ‘vetrina’ per dimostrare di non
essere isolata.
L’Occidente farebbe bene a prestare
attenzione.
La
Russia ha i suoi interessi e la sua narrativa, certo, ma sarebbe sbagliato
ridurre il vertice BRICS di Kazan, nella repubblica russa del Tatarstan, solo a
una vetrina allestita dal Cremlino per mostrare il non-isolamento di Mosca e la
sua volontà di costruire un nuovo ordine globale, antagonista rispetto
all’Occidente.
Che questo sia un obiettivo, è fuor di dubbio,
ma non è il solo.
Nel
corso della due giorni si è parlato infatti di de-dollarizzazione, con
l’obiettivo dichiarato di ridurre la dipendenza dal ‘biglietto verde’, ma anche
della necessità di favorire la de-escalation in Ucraina e Medio Oriente e sono
stati raggiunti importanti accordi per appianare i conflitti che esistono anche
tra stati membri come Pechino e New Delhi.
Il blocco, che inizialmente comprendeva
Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, e che oggi include anche Iran,
Egitto, Etiopia ed Emirati Arabi Uniti, rappresenta già oggi circa metà della
popolazione del pianeta (contro appena il 10% del G7) e il 35% del Pil
mondiale.
E ha
alla porta una lunga fila di paesi desiderosi di aderire.
“Ignorarli o minimizzarne la portata come
forza politica internazionale” avvertono gli esperti della “Tuft University
““non è più un’opzione percorribile”.
Un
gruppo che sfugge alle categorie?
Mentre
i membri del BRICS si incontrano per il loro 16esimo summit annuale,
l’organizzazione continua a sfuggire a una definizione chiara.
Fondata
nel 2009, la sua struttura informale, i suoi programmi eterogenei, le adesioni
composite e spesso attraversate da rivalità geopolitiche di lunga data, sfidano
le categorie tradizionali di libero scambio, integrazione economica o
cooperazione politica.
Questi
fattori hanno suscitato a lungo un diffuso scetticismo circa il peso del blocco
come forum multinazionale e la sua capacità nel costituire politiche efficaci a
lungo termine.
Eppure,
nel corso degli anni, i BRICS hanno continuato a espandersi e prosperare, come
dimostrato dalla lunga fila di paesi desiderosi di aderire.
Oggi, la resilienza del gruppo va letta alla
luce delle attuali trasformazioni geopolitiche. In un panorama globale sempre
più frammentato, il sistema di governance istituito dopo la Seconda guerra
mondiale, incentrato sugli Stati Uniti e sul dollaro, affronta critiche
crescenti da parte delle potenze del Sud del mondo, che lo considerano obsoleto
e non rappresentativo della realtà attuale.
Un
forum non occidentale o anti-occidentale?
Lungi
dall’essere fatalmente animati da sentimenti anti-occidentali, i paesi
all’interno del gruppo hanno posizioni variegate, con alcuni che invocano una
revisione aperta dell’ordine attuale e altri che preferirebbero riformarlo e
soprattutto non sostituirlo con un nuovo ordine sino-russo.
“La maggior parte dei paesi del Sud del mondo
non si considera necessariamente anti-occidentale – osserva l’analista “Irene
Mia” – ma piuttosto non occidentale.
Hanno
programmi distinti di politica interna ed estera e sono sempre più abili nel
gestire la competizione geopolitica, impegnandosi contemporaneamente con
potenze come Cina e Stati Uniti in base ai propri interessi”.
Di
questo mutamento, l’America Latina è un esempio:
situata
nella tradizionale sfera di influenza degli Stati Uniti, oggi ha nella Cina il
suo più grande partner commerciale e finanziario.
All’interno
dei BRICS, a guidare questa tendenza sono soprattutto Brasile, India e
Sudafrica, capofila di un ‘movimento di non allineati 2.0’ che sostiene la
necessità “non tanto di una rivoluzione dell’ordine mondiale – spiega “Giorgio
Fruscione” – quanto piuttosto a una sua riforma, avvertita come sempre più
necessaria”.
Senza
contare che paesi già da tempo in bilico tra il ‘West’ e il ‘Rest’ come
l’Arabia Saudita, e la stessa Turchia – primo paese Nato a chiedere l’adesione
ai BRICS –sono contrari a una contrapposizione netta con l’Occidente.
Verso
un ordine più inclusivo?
In
ogni caso, Europa e Stati Uniti trarrebbero beneficio dal riconoscere che,
proprio come le loro, le decisioni dei paesi del Sud del mondo possano essere
determinate da considerazioni di realpolitik.
E che
un’architettura, finanziaria e degli organismi internazionali, più equa
potrebbe produrre ricadute positive sia per gli stati sviluppati che per quelli
in via di sviluppo.
Una tale strategia, accompagnata dalla volontà
di apportare cambiamenti politici tangibili, contribuirebbe anche a smorzare le
critiche radicali all’ordine esistente e ad aumentare la posta in gioco delle
potenze emergenti in un sistema riformato e più resiliente.
Questo
approccio non solo affronterebbe le spinte ‘rivoluzionarie’ ma sosterrebbe lo
sviluppo economico, mitigando le accuse di ‘Doppi Standard’ acuite dai
conflitti in Ucraina e in Medio Oriente a tutto vantaggio di Pechino e Mosca.
Per
dissuadere le potenze emergenti e medie del Sud del mondo dal precipitarsi
verso istituzioni alternative o schierarsi con Cina e Russia, l’Occidente
dovrebbe quindi dimostrare la volontà di partecipare, anziché ostacolare, alla
riforma del sistema che governerà il futuro ordine mondiale.
Questo pragmatismo potrebbe rivelarsi la
strategia più attraente per il Sud del mondo e portare a un ordine più
equilibrato ma sempre ancorato alla Carta delle Nazioni Unite e al diritto
internazionale.
Scenari.
I Brics, riuniti in Russia,
lanciano
la sfida all'Occidente.
Avvenire.it - Paolo M. Alfieri – (22 ottobre
2024) – ci dice:
Il
club di Paesi che ha ampliato il gruppo originario costituito da Brasile,
Russia, India e Cina vuole dimostrare che l’attuale infrastruttura
istituzionale non ha portato pace e ricchezza per tutti.
Il
presidente russo Vladimir Putin accoglie il presidente cinese Xi Jinping
durante la cerimonia di benvenuto al vertice Brics 2024 in corso a Kazan, in
Russia.
In un
tempo di ritorno ai blocchi contrapposti, c’è un mondo visto da Kazan, capitale
del Tatarstan russo, e uno visto da Washington, un mondo in cui c’è chi cerca
il consolidamento di una nuova statura economico-politica e un altro che prova
a far contare potere ed esperienza, pur tra gli scricchiolii delle sue
strutture.
Brics
da un lato, Fmi e Banca mondiale dall’altro, a migliaia di chilometri di
distanza hanno aperto ieri le loro riunioni annuali, a due settimane dalle
cruciali elezioni Usa e in uno scenario globale che va sempre più
frammentandosi in pezzi di pianeta in competizione tra loro.
Conta
la rivalità geopolitica tra Est e Ovest, conta una crescente alienazione
reciproca tra Nord e Sud globale.
Alleanze economiche che diventano sempre più
politiche, contatti politici che trascendono sempre più nella finanza e nella
cooperazione:
cos’è
politica e cos’è economia, quando l’obiettivo è sempre più il potere di
attrazione sugli altri?
Con un
Consiglio di sicurezza Onu bloccato dai veti reciproci, un G7 visto sempre più
solo alla stregua di un club occidentale, Vladimir Putin punta a far compiere
ai Brics riuniti a Kazan il salto di qualità.
Non
più, non solo un raggruppamento di economie emergenti – e che ormai
rappresentano il 45% della popolazione e oltre un terzo della ricchezza globale
- ma una calamita e un contrappeso sempre più forte e rappresentativo di un
mondo geopolitico altro, antagonista dell'Occidente.
Da
questo punto di vista, l’allargamento a Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi
Uniti, con l’Arabia Saudita in “sala d’attesa”, già mostra la direzione, così
come gli inviti ad un’altra decina di leader, compreso il presidente turco
Erdogan, alla guida di un Paese Nato.
Del
gruppo fa parte naturalmente fin dal principio anche la Cina, che nell’ultimo
biennio non ha mancato di garantire a Mosca un certo sostegno sul dossier
Ucraina.
Per
Putin, considerato in Occidente un criminale di guerra, il vertice di Kazan
significa anche mostrare allo stesso Occidente di aver fallito nel suo
tentativo di isolare la Russia dopo l’attacco delle sue truppe oltre confine.
E allo
stesso tempo, sottolineare non solo ai membri del G7, ma anche a chi cerca
sponde diverse da quelle occidentali, che un altro mondo, il suo, è possibile.
Se poi
una maggiore cooperazione economica e politica di un gruppo che vede al suo
interno rivali come Cina e India, o Paesi dai rapporti complicati come Emirati
Arabi e Iran, sia davvero possibile, è tutta un’altra storia.
Quel
che conta, qui e ora, è illuminare l’alternativa.
Certificare
che, come da più parti si fa notare, l’attuale infrastruttura istituzionale
dominata dall’Occidente non ha portato pace e ricchezza per tutti.
Sfruttare
un certo risentimento anti-occidentale favorirebbe peraltro la paralisi di
quella cooperazione globale che è già in crisi.
Come
in crisi d’immagine, se non d’identità, appaiono da qualche tempo Fmi e Banca
mondiale, le istituzioni nate a Bretton Woods di cui da più parti si invoca una
riforma.
Se
cambia il contesto, si usa dire, è impensabile non cambino gli strumenti da
utilizzare in quel contesto: non può non valere per l’architettura finanziaria
globale.
Cambiamento
climatico, crisi del debito, sicurezza alimentare sono solo alcuni dei temi che
risuonano con insistenza nei meeting in corso a Washington, questioni che
pesano molto anche sulle dinamiche geopolitiche di un mondo squassato da
conflitti e rivalità.
La
lentezza con cui il sistema finanziario globale ha reagito alle nuove sfide, la
necessità di partenariati con il Sud globale e uno sviluppo maggiormente
guidato dal basso, l’obiettivo di accelerare la lotta alla povertà davanti a
disuguaglianze crescenti:
c’è
anche questo, nei termini della dialettica con i Brics. Anche se, nascosto
dagli slogan e dall’esibizione dei muscoli, non lo vediamo.
Multilateralismo.
La
trascurata crescita
economica
dei Paesi Brics.
Linkiesta.it - Mario Lettieri - Paolo Raimondi
– (30 agosto 2024) – ci dicono:
Il
commercio reciproco tra i Cina, India, Brasile, Russia e Sud Africa ha
raggiunto quasi seicento settantotto miliardi di dollari l’anno.
Ma le
loro proposte per riformare l’ordine economico e finanziario internazionale
ricevono poca copertura mediatica in Occidente.
I
Brics crescono ma i nostri media li ignorano totalmente.
Non si dovrebbero sorprendere se al sedicesimo vertice
di Kazan, in Russia, il prossimo 22 – 24 ottobre, essi avanzassero proposte e
iniziative di una valenza economica e politica tale da scuotere alle fondamenta
il vecchio ordine geopolitico.
Da
otto mesi quest’anno hanno tenuto decine e decine di conferenze e incontri
preparatori a livello di governi, di parlamenti e di esperti su tutti gli
argomenti di interesse globale.
Uno
degli argomenti affrontati, quello monetario e finanziario, merita
indubbiamente una maggiore attenzione per le sue inevitabili ripercussioni
geopolitiche.
Anche
quando si è discusso di cooperazione energetica, tecnologica, infrastrutturale,
sanitaria, educativa o culturale, è sempre emersa la centralità del futuro
assetto monetario e finanziario a livello internazionale.
Affermano
di voler sviluppare la cooperazione interbancaria, fornendo assistenza alla
trasformazione del sistema dei pagamenti internazionali con l’uso di tecnologie
finanziarie alternative, ampliando l’utilizzo delle valute nazionali dei
singoli paesi Brics nel commercio reciproco.
Allo
scopo i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali sono stati
incaricati di esaminare e relazionare a Kazan sull’uso delle valute locali e
delle piattaforme di pagamento.
L’intento
è chiaramente quello di rafforzare il proprio ruolo nel sistema monetario e
finanziario internazionale, soprattutto sulle piattaforme multilaterali come l’”Organizzazione
mondiale del commercio, il “Fondo monetario internazionale” e la “Banca
mondiale”.
Vogliono
unire gli sforzi contro la frammentazione del sistema commerciale
multilaterale, contro l’aumento del protezionismo e contro l’introduzione di
restrizioni commerciali unilaterali.
Secondo
gli ultimi dati, il commercio reciproco tra i paesi Brics ha raggiunto quasi
seicento settantotto miliardi di dollari l’anno.
Allo
stesso tempo, negli ultimi dieci anni, il commercio globale è cresciuto del tre
per cento l’anno, quello dei Brics con il resto del mondo del 2,9 per cento e
quello all’interno del gruppo del 10,7 per cento.
Per capire il processo è più importante
analizzare il tasso di crescita piuttosto che il valore globale.
Nonostante
l’ostilità manifesta e crescente di un certo mondo occidentale nei confronti
dei Brics, le candidature e le adesioni da parte dei più svariati paesi stanno
aumentando.
Non
crediamo che tutti siano in guerra con il cosiddetto occidente.
Ciò
dovrebbe far riflettere senza pregiudizio alcuno.
Una spiegazione,
intelligente quanto preoccupante, la fornisce il Washington Post che, in un
recente articolo, riporta che gli Stati Uniti hanno messo un terzo del mondo
sotto sanzioni.
Non solo, ma ben il sessanta per cento di
tutti i Paesi a basso reddito.
Oggi
più di quindicimila sanzioni economiche sono operative!
Il “Washington
Post” rivela che diversi esperti e funzionari di vari governi americani hanno
espresso dubbi sull’effettiva efficacia delle sanzioni, ammettendo che esse
sono diventate lo strumento principale, quasi automatico, della politica estera
americana.
Ciò, di riflesso, avrebbe indotto a
sottovalutarne anche i possibili danni collaterali. Il quotidiano sostiene che si sarebbe
addirittura favorita la crescita di ’un’industria delle sanzioni’,
multimiliardaria, composta di studi legali, lobbisti e consulenti che si
occupano esclusivamente di queste.
Razionalmente
dovremmo tutti essere d’accordo sulla necessità di rafforzare il
multilateralismo per il giusto sviluppo globale, per la sicurezza e per la
pace.
Perciò
noi ancora ci chiediamo perché i paesi europei e l’Ue non vogliono seguire un
percorso autonomo, facendo così anzitutto il proprio interesse.
Al
riguardo, significativo è il pensiero del nostro presidente della Repubblica,
Sergio Mattarella, che, in occasione della sua recente visita al “Centro
Brasiliano per le Relazioni Internazionali” (Cebri) di Rio de Janeiro, in
Brasile, il paese che nel 2024 detiene la presidenza del G20 e che nel 2025
avrà quella dei Brics, ha sostenuto che siamo di fronte a grandi sfide globali «che
riguardano tutti, che coinvolgono il concetto – usato talvolta in modo vago –
di ’Occidente’, tanto quanto il concetto, definito talora in maniera
strumentale – di Sud Globale.
Questo
è un tempo che richiede dialogo e confronto».
Ricordando,
inoltre, la vocazione inclusiva della politica estera italiana, ha evidenziato
«la
necessità di un multilateralismo in cui i paesi del Sud Globale possano
esprimere con efficacia la loro voce protagonista e il loro peso».
Questa
anche a noi sembra la strada più sicura per lo sviluppo e per la pace nel
mondo.
Miguel
Bosè e l’Alluvione di Valencia:
“Colpa
dei Governi non del Cambiamento Climatico.”
Conoscenzealconfine.it
– Redazione – (3 Novembre 2024) – Miguel
Bosé - ci dice:
Lo
sfogo del cantante italo-spagnolo sui social: “La gente si svegli, non è colpa
della Dana ma dell’ingegneria climatica e delle scie chimiche”.
“Sono
devastato e sopraffatto dalla catastrofe avvenuta a Valencia, anche a Cuenca e
Albacete”.
Lo scrive il cantante e attore Miguel Bosè in
un lungo post su Instagram.
Dal
dolore alla rabbia il passo è breve per la star italo-spagnola, non nuova a
teorie sorprendenti, come quella che dà sull’origine della Dana, costata la
vita a oltre 200 persone in Spagna.
“Le persone – scrive Bosè – devono svegliarsi
una volta per tutte e smettere di pensare che tutto ciò sia dovuto al
cambiamento climatico, precedentemente chiamato riscaldamento globale.
Non
esiste una cosa del genere”.
Dopo
aver negato il Covid, Miguel Bosè ora “nega il cambiamento climatico” e sui
social attribuisce la responsabilità delle inondazioni “ai governi”, formati da
quella che definisce “una banda di malvagi delinquenti”, quindi punta il dito
contro “l’ingegneria climatica delle scie chimiche sfuggita di mano”.
“Sono
furioso e pieno di rabbia – prosegue il cantante – perché tutte queste vite perdute, tutte
queste case, campi, bestiame e averi sono senza dubbio la conseguenza già
ampiamente documentata e pubblica di una somma di pratiche terribili e
criminali messe in atto da governi che, tra distruzioni di dighe e bacini
artificiali, e soprattutto con la pratica sproporzionata e incontrollata
dell’ingegneria climatica, delle scie chimiche, sfuggita di mano, stanno
causando solo dolore, sofferenza e povertà.
Le
stagioni naturali sono state cancellate e il corso della natura è alterato. Vogliono venderci qualcosa che non
esiste e che loro stessi provocano per lucrarci ancora una volta, come è
successo con vaccini e mascherine durante la pandemia “.
Quindi
lancia un appello affinché le persone smettano di credere che il cambiamento
climatico esiste:
“Chiedo a tutti di alzare la voce e far sentire la
vostra rabbia per finire un’agenda 2030 che favorirà un’élite la cui unica
intenzione è distruggere tutto quello che, lungo le generazioni, intere
famiglie dai campi e dalle città sono andate a costruire con innumerevoli
sforzi e dignità”.
Il
lungo post, che in poche ore ha ricevuto moltissimi commenti e reazioni di
follower si conclude con il pensiero a chi ha pagato il prezzo più alto.
“Le mie condoglianze a tutte le persone che
qualcosa o qualcuno hanno perso. A loro tutta la mia luce e la mia forza”,
conclude Bosè.
Grande
Miguel! (nota di conoscenze al confine).
(quotidiano.net/cronaca/miguel-bose-alluvione-valencia-o2l67xg4)
Il
traffico di organi in Ucraina:
Soros
ha ricevuto un trapianto
di
organi da un soldato ucraino.
Lacrunadellago.net
– Cesare Sacchetti – (2-11-2024) – ci dice:
Si
erano perse da un po’ di tempo le tracce su di lui, e francamente, almeno per
noi, non se ne sentiva molto la mancanza.
Si
tratta del famigerato magnate di origini ebraiche, George Soros, che ha inciso
così tanto, in negativo, nella storia recente dell’Europa, degli Stati Uniti e
del mondo intero, data la sua instancabile attività eversiva portata in ogni
luogo del pianeta.
Ora il
settimanale americano “Christian Science Monitor” informa di un fatto molto
singolare che riguarda il fondatore della “Open Society”.
L’assenza
prolungata di Soros e i suoi problemi di salute.
L’ultima
volta che Soros è apparso in pubblico è stata il 21 febbraio del 2023 presso la
conferenza della sicurezza di Monaco, uno dei vari appuntamenti annuali molto
cari al blocco Euro-Atlantico, e nel quale ogni anno si cerca di riaffermare il
sempre più fragile ordine liberale dell’anglosfera uscito dalla seconda guerra
mondiale.
In
quell’occasione, il miliardario di New York era apparso molto in affanno.
Riusciva a malapena a parlare, e il suo braccio sinistro era affetto da una
sorta di paresi.
Gradualmente,
le apparizioni di Soros hanno iniziato ad essere sempre di meno, e nei mesi
successivi il figlio Alexander, non all’altezza del padre, ma nel senso
deteriore del termine, ha iniziato a prendere il suo posto nel tentativo di
mantenere attiva quella centrale di sovversione internazionale che il padre
aveva allestito.
Gli
sforzi sembrano comunque essere stati vani perché, a poco a poco, le varie
sezioni della Open Society in giro per il mondo hanno iniziato a chiudere, e i
fondi che arrivavano prima in quantità praticamente illimitata hanno iniziato
ad essere interrotti persino per l’Unione europea, uno dei teatri più
importanti per il magnate, e uno dei suoi luoghi “privilegiati”, tanto che
qualche tempo fa uscì una lista di eurodeputati considerati suoi “amici”, a dimostrazione di come l’UE sia strettamente
dipendente da Soros e dalla sua agenda.
Da
allora, il finanziere si è visto sempre di meno e sono giunte indiscrezioni di
una sua morte ancora non annunciata, poiché ai piani alti del potere
finanziario e massonico, gli annunci delle morti pesanti vengono non di rado
posticipati per provare a proteggere meglio gli interessi di tale sistema.
Adesso
però pare che George Soros non si rassegni alla fine della sua esistenza e sia
alla ricerca di un qualche “elisir” di lunga vita per restare ancora un po’ su
questa terra, forse nel timore che nell’altro mondo l’accoglienza, per lui, non
sia poi così benevola.
Il
trapianto di organi da un soldato ucraino.
Il
settimanale americano del quale si diceva prima riferisce infatti che il
miliardario 94enne avrebbe subito una procedura di impianto multipla di organi
presso la “Duke University Hospital”, un centro molto noto negli Stati Uniti
per questo tipo di interventi.
A
donare i suoi organi a Soros sarebbe stato un soldato ucraino di una delle
unità speciali di combattimento, ormai sempre più scarne, impegnate nei
combattimenti sul fronte di “Kharkiv”.
L’uomo
sarebbe morto in battaglia nel mese di settembre, i suoi organi immediatamente
prelevati e trasportati il giorno dopo negli Stati Uniti per eseguire la
delicata operazione.
Da
quel che si apprende, Soros era in lista per ricevere questo trapianto di
organi, dato che il donatore si sarebbe preparato per la donazione astenendosi
dal fumare e dal bere per assicurare che il recipiente dei suoi preziosi organi
non avesse eventuali problemi una volta eseguita l’operazione.
Soros
avrebbe ricevuto il cuore di questo soldato ucraino, i reni e diversi altri
organi, e ciò fa pensare che di suoi organi originali, a questo punto, il
fondatore della Open Society ne abbia veramente pochi.
Il “Duke
University Center” è stato scelto con ogni probabilità per una ragione
specifica.
È uno
dei centri più specializzati per questo genere di operazioni negli Stati Uniti.
Nel
suo sito si legge infatti che i medici del Duke vantano una lunga esperienza
con le procedure di impianto multi – organo, che sono le più delicate e le più
rischiose, e quelle, di conseguenza, con la più alta probabilità di fallimento.
Se un
organo subisce una crisi di rigetto, seguono anche gli altri, e il paziente che
ha ricevuto i nuovi organi non sopravvive.
Non
sono questi dei trapianti comuni, ma sono tra i più rari, anche per la
difficoltà di trovare un donatore dal quale prendere più di un organo.
Negli
Stati Uniti, ne sono stati effettuati complessivamente 1450 nel 2023, e il
centro Duke guida la classifica dell’ospedale che ne ha eseguiti di più, 44,
sempre lo scorso anno.
Soros
quindi, non sorprendentemente, si è rivolto al meglio che c’era sulla piazza
per provare a restare in vita ancora qualche anno e ad affliggere questo mondo
ancora con la sua presenza.
Si
apre qui però un capitolo molto inquietante su come il magnate sia riuscito ad
avere tutti questi organi in maniera così rapida, e ci si chiede se quanto
avvenuto sia più o meno legale.
L’Ucraina,
non è un segreto, è una specie di centro di approvvigionamento mondiale per
coloro che vogliono procurarsi illegalmente gli organi di cui hanno bisogno.
Sotto
i regimi filo-nazisti di Poroshenko e di Zelensky, i trafficanti avevano e
hanno mano libera per uccidere le persone, spesso anche bambini, data la rete
pedofila che c’è nel Paese, e depredarli dei loro organi vitali per poi
eseguire dei trapianti illegali.
I
clienti sono gli uomini più facoltosi del mondo.
Sono i
signori di Davos, sono coloro che predicano la cosiddetta politica “green”,
quella nella quale l’uomo comune deve rinunciare alla propria auto, mentre i
miliardari che frequentano tali circoli possono spostarsi con i loro aerei
privati che inquinano come migliaia di utilitarie.
L’Ucraina
è quello che fa più al caso di questi personaggi.
L’Ucraina
è un pozzo nero di orrori. C’è dentro di tutto.
C’è la pedofilia, il traffico di droga e il
traffico di organi, e questo pozzo nero è cresciuto all’ombra della NATO e
dell’Unione europea che hanno protetto, benedetto e finanziato questo Paese in
mano alla peggiore feccia del pianeta, assieme, ovviamente, allo stato di
Israele che non ha mancato di esprimere tutto il suo sostegno ai nazisti
ucraini, e se questo dovesse sorprendere qualcuno rimandiamo al precedente
contributo nel quale si racconta la storia dell’alleanza tra sionisti e nazisti
che risale al 1933, anno dall’ascesa al potere di Adolf Hitler.
È in
questo supermercato che George Soros ha fatto la sua spesa di organi, ma lo ha
fatto legalmente oppure ha rubato gli organi di un soldato morto che forse non
aveva nemmeno dato il suo consenso a differenza di quanto trapelato?
Ci si
chiede poi se questo soldato sia morto davvero in battaglia oppure se qualcuno
ha “favorito”, per così dire, la sua fine in altri modi.
Soltanto
lo scorso luglio, “Maria Zakharova”, la portavoce del ministero degli Affari
Esteri, aveva riferito di un vasto mercato nero di organi di soldati ucraini
che venivano mandati al macello per poi, senza il loro consenso o dei loro
famigliari, privarli dei loro organi che venivano comprati dai personaggi
interessati.
I
soldati venivano persino scelti per essere mandati al fronte non tanto per le
loro presunte abilità di combattimento, ma per le loro caratteristiche
genetiche che li avvicinano di più alla persona che doveva subire il trapianto.
Zelesnky,
in altre parole, vendeva e vende gli organi dei “suoi” soldati morti a
personaggi come George Soros, che, visto ll “modus operandi” dei nazisti
ucraini, fa pensare che abbia rubato illegalmente gli organi di un ucraino
mandato al macello appositamente per soddisfare la sua richiesta di trapianto.
Lo
storico speculatore che lanciò il famigerato attacco alla lira e alla sterlina
nel 1992 attraverso il suo “Quantum Fund” non si rassegna evidentemente
all’idea di morire, ma ci sentiamo di rassicurare il principe della eversione
internazionale.
Non è
attraverso qualche organo nuovo che George Soros comprerà un biglietto per
l’immortalità.
Quell’appuntamento
è inevitabile, ma il voler restare attaccati a tutti i costi alla vita anche a
costo di toglierla agli altri, non fa altro che mettere in rilievo, ancora una
volta, quanto siano irrimediabilmente corrotti e marci gli uomini che appartengono
alle alte sfere del mondialismo.
E
George Soros ne è certamente l’esempio perfetto.
Può il
gruppo BRICS creare
un
nuovo ordine mondiale?
Transform-italia
– (23/08/2023) - Alessandro Scassellati – ci dice:
Il
summit del gruppo BRICS di Johannesburg ha il potenziale per fare la storia.
Decine di Paesi del Sud globale vogliono unirsi al club dei cinque Paesi BRICS
(Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) con la speranza che sia possibile
rimodellare la governance globale in modo che la maggioranza mondiale abbia
pari voce nelle decisioni che influenzano il suo futuro.
Ma per
sfidare la gerarchia globale guidata dagli Stati Uniti e i loro alleati, i
BRICS devono prima superare le divisioni interne (molto enfatizzate da politici
e media occidentali).
Sin
dalla sua fondazione nel 2009, le ambizioni del blocco di esercitare una
significativa influenza politica ed economica globale sono state indebolite
dalle differenze tra valori, interessi e sistemi politici dei suoi membri.
Uno
dei temi del vertice riguarda le iniziative volte a indebolire il dominio del
dollaro USA nelle transazioni commerciali internazionali.
Sono
economie gigantesche, con popolazioni ancora più grandi e ambizioni ancora
maggiori.
A
partire da martedì, i leader del gruppo di Paesi noto come BRICS – Brasile,
Russia, India, Cina e Sudafrica – si incontrano per un vertice di tre giorni
(22-24 agosto), che attira l’attenzione delle capitali di tutto il mondo.
Il
presidente russo Vladimir Putin non partecipa in presenza al summit a
Johannesburg, in Sudafrica, ma solo in videoconferenza per evitare al Paese
l’imbarazzo di ospitare un leader con un mandato della Corte Penale
Internazionale (CPI) contro di lui legato alla guerra di Mosca all’Ucraina (c’è
però il ministro degli Esteri Sergei Lavrov).
Il
Sudafrica è membro della Corte Penale Internazionale e, secondo il diritto
internazionale, sarebbe stato obbligato ad arrestare Putin in caso di visita.
Tuttavia,
mentre il conflitto in Ucraina e l’aggravarsi delle tensioni geopolitiche tra
Stati Uniti e Cina (l’avanzare di una Nuova Guerra Fredda, di cui abbiamo
parlato nei nostri articoli qui, qui, qui e qui) fanno da sfondo al vertice, è
probabile che l’incontro dei BRICS, al quale sono stati invitati i leader di
oltre 70 Paesi, metterà in primo piano la crescente posizione del gruppo come
forza che sfida un ordine mondiale a lungo dominante, guidato da Washington e
da Bruxelles, per trasformarlo in un sistema multipolare in cui i Paesi in via
di sviluppo hanno una maggiore influenza.
Questo anche se la maggioranza dei Paesi non vuole
schierarsi esplicitamente dalla parte di Stati Uniti, Cina o Russia.
Nel
suo discorso (letto dal ministro del commercio “Wang Wentao”), “Xi” ha cercato
di tranquillizzare e ha insistito sul fatto che “l’egemonismo non è nel DNA
della Cina” e che l’espansione dei BRICS non mira a “chiedere ai Paesi di
schierarsi o a creare uno scontro di blocco, ma piuttosto ad espandere
l’architetto della pace e dello sviluppo”.
L’espansione
dei BRICS è una delle priorità dell’agenda.
Molti
sono i Paesi del Sud globale (che rappresenta l’85% della popolazione mondiale)
che chiedono di entrare nel club.
Dall’Algeria
all’Argentina, almeno 40 Paesi hanno mostrato interesse ad aderire al gruppo.
Al centro dell’attrattiva del gruppo c’è il suo crescente peso economico. I
cinque Paesi BRICS sono ormai dei pilastri del sistema economico globale –
nell’ultimo decennio Cina e India hanno registrato una crescita impressionante
mentre gli altri tre hanno registrato una crescita debole -, hanno ora più del
40% della popolazione mondiale (3,24 miliardi di abitanti) e un prodotto
interno lordo (PIL) combinato maggiore di quello del G7 (formato dalle più
grandi economie industrializzate del blocco occidentale: Stati Uniti, Regno
Unito, Germania, Francia, Giappone, Italia e Canada) in termini di parità di
potere d’acquisto (il 31,5% dell’economia globale, superando la quota del G7
che è del 30,4%). In termini nominali, i paesi BRICS sono responsabili del 26%
del PIL globale e del 16% del commercio globale.
Nonostante
ciò, ottengono solo il 15% del potere di voto presso il Fondo Monetario
Internazionale (FMI).
Oltre
alle lamentele per tali squilibri, nel Sud del mondo crescono le preoccupazioni
che gli Stati Uniti possano utilizzare il dollaro come un’arma attraverso le
sanzioni, come hanno fatto contro la Russia.
Ciò ha
portato e porta i Paesi BRICS a cercare individualmente e collettivamente di
ridurre la loro dipendenza dalla valuta statunitense, aumentando al tempo
stesso il commercio bilaterale nelle proprie valute.
Concordare
sul fatto che qualcosa deve cambiare è una cosa, ma concordare su come lavorare
insieme è un’altra.
India e Cina sono bloccate in una situazione
di stallo al confine himalayano dal maggio 2020.
Nel
frattempo, India, Sudafrica e Brasile desiderano essere non allineati, ossia
avere relazioni cordiali con l’Occidente tanto quanto con Cina e Russia.
Per cui il presidente brasiliano Luiz Inacio
Lula da Silva ha dichiarato che il blocco dei BRICS mira a organizzare il Sud
del mondo in via di sviluppo e non intende rivaleggiare con le economie ricche
del G7, del G20 o degli Stati Uniti.
Il
presidente sudafricano “Cyril Ramaphosa” ha sottolineato che Pretoria “non si
lascerà trascinare in una competizione tra potenze mondiali” nel contesto della
guerra in Ucraina, e che il Sudafrica “ha intrapreso una politica di non
allineamento” (il Paese si è finora rifiutato di condannare Mosca per
l’invasione russa, affermando di favorire la via del dialogo e attirandosi
critiche nella scena internazionale), volendo evitare un mondo “sempre più
polarizzato in campi concorrenti”.
“Abbiamo
quasi un sistema [simile all’] apartheid del Sudafrica in cui la minoranza
decide per la maggioranza, e questa è ancora la situazione sulla scena mondiale
oggi. […]
I paesi del sud [del mondo] non vogliono che
gli venga detto chi sostenere, come comportarsi e come condurre i propri affari
sovrani.
Ora sono abbastanza forti per affermare le
rispettive posizioni”, ha affermato “Anil Sooklal”, ambasciatore generale del
Sudafrica per l’Asia e i BRICS.
Per
questi motivi ci si interroga se il gruppo BRICS sarà in grado di emergere come
un pilastro economico e geopolitico alternativo agli Stati Uniti e ai suoi
alleati oppure se le differenze interne limiteranno ciò che il gruppo può
realizzare.
È
probabile che il peso del gruppo BRICS aumenti ma, secondo molti osservatori, è
molto più probabile che nel breve periodo il blocco sia in grado di offrire
alternative economiche e diplomatiche frammentarie all’ordine globale guidato
dagli Stati Uniti piuttosto che sostituirlo drasticamente.
Ciò
potrebbe portare a ulteriori tensioni con l’Occidente mentre i leader del
gruppo cercano di tracciare un percorso indipendente in un mondo in continuo
cambiamento.
Ma per rimanere efficace, il gruppo BRICS
dovrà gestire le diverse priorità dei Paesi membri – una sfida che non sarà
facile da affrontare per il gruppo.
“Voce”
del Sud del mondo.
Nel
discorso di apertura dell’incontro dei ministri degli Esteri dei BRICS in
Sudafrica il 1° giugno scorso, il ministro degli Esteri indiano “Subrahmanyam
Jaishankar” ha descritto l’attuale concentrazione del potere economico come
quella che “lascia troppe nazioni alla mercé di troppo poche”.
È un
(ri)sentimento che risuona in tutto il Sud del mondo e che fa leva sul fatto
che il potere di veto del “Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite” rimane
limitato a cinque Paesi – USA, Russia, Francia, Regno Unito e Cina – sulla base
di un’intesa tra gli alleati vittoriosi nel 1945, alla fine della Seconda
Guerra Mondiale.
Negli
ultimi anni, sono cresciute le crepe nell’ordine internazionale unipolare
imposto da Washington e Bruxelles al resto del mondo attraverso la NATO, nel
sistema finanziario internazionale, nel controllo dei flussi di informazione
(sia nelle reti tradizionali che nei social media), e nell’uso indiscriminato
(da molti considerato un vero e proprio abuso) di sanzioni unilaterali contro
un numero crescente di Paesi.
Nelle
sue osservazioni videoregistrate, Putin ha attribuito la volatilità dei mercati
globali del cibo e di altri beni alle sanzioni occidentali, e ha affermato che
i BRICS sarebbero una forza per l’equità nelle relazioni internazionali.
“Cooperiamo
secondo i principi di uguaglianza, sostegno reciproco e rispetto per gli
interessi reciproci”, ha affermato.
“Questa
è l’essenza del percorso strategico orientato al futuro della nostra
associazione, un percorso che soddisfa le aspirazioni della parte principale
della comunità mondiale, la cosiddetta maggioranza globale”.
“Il
tradizionale sistema di governo globale è diventato disfunzionale, carente e
disperso”, ha detto l’ambasciatore cinese in Sud Africa, “Chen Xiaodong”, in un
briefing a Pretoria la scorsa settimana, aggiungendo che il gruppo BRICS “sta
diventando sempre più una forza di difesa della giustizia internazionale”.
La
Cina, una forza dominante nell’economia globale nonché una potenza militare,
sta mettendo alla prova i limiti dell’influenza di Washington.
Il
ministro degli Esteri iraniano “Hossein Amir-Abdollahian “ha visitato Riyadh la
scorsa settimana e ha incontrato il principe ereditario dell’Arabia Saudita “Mohammed
bin Salman” nell’ultimo passo verso una normalizzazione dei legami tra i
tradizionali rivali mediorientali, mediata dalla Cina.
L’invasione
su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia a partire dal febbraio 2022 e
il successivo rafforzamento delle relazioni tra Mosca e Pechino – nonostante la
condanna occidentale – hanno ulteriormente accelerato la spaccatura.
India, Brasile e Sudafrica hanno camminato con
cautela su una corda tesa, rifiutandosi di aderire alle sanzioni occidentali o
ad altre azioni contro la Russia, prendendo allo stesso tempo le distanze dalle
giustificazioni di Mosca per la guerra.
Con
l’attenuarsi dell’influenza dell’Occidente in parte dopo parte del mondo –
l’ultimo esempio è il Niger e più in generale il Sahel – c’è un crescente coro
che emerge tra i Paesi di Africa, America Latina e le potenze asiatiche
emergenti come l’India per ribaltare il sistema unipolare post-Guerra Fredda.
Russia
e Cina si sono presentate come paladine di questo allontanamento da un ordine
guidato dagli Stati Uniti, delle cui regole – agli occhi del Sud del mondo –
Washington stessa spesso si fa beffe (alimentando l’accusa di double standard).
A
luglio, Putin ha lanciato un’offensiva in un vertice a San Pietroburgo con i
leader africani, citando “Nelson Mandela”e facendo il nome di eroi
anticoloniali come “Gamal Abdel Nasser” e “Patrice Lumumba”.
“Penso
che sia giunto il momento di rettificare il torto storico commesso nei
confronti del continente africano”, ha affermato quando ha discusso una
proposta per riformare il “Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “e
includere i Paesi africani come membri permanenti.
Anche
l’India ha spinto attivamente affinché l’Unione Africana ottenga un seggio al
vertice del G20, che Nuova Delhi ospiterà il mese prossimo.
C’è
certamente uno spazio per creare un nuovo ordine mondiale.
Uno
spazio che è stato creato da una convergenza di due fattori:
il Sud del mondo che trova la sua voce e cerca
Paesi che possano difendere i propri interessi e la Russia e la Cina che si
trovano in contrasto senza precedenti con l’Occidente.
Tuttavia,
è importante tenere presente che questi due fattori non si sovrappongono
completamente, anche se in questo momento servono gli stessi interessi.
L’India,
ad esempio, non vede la Cina come una voce del Sud del mondo, ma come un Paese
ormai economicamente sviluppato che cerca di intromettersi nella narrativa del
Sud del mondo e di trasformare il gruppo BRICS in un’organizzazione di sostegno
all’agenda geopolitica cinese, come la promozione della “Belt and Road
Initiative” (sostenuta dalla Asian Infrastructure Investment Bank), della “Global
Development Initiative” (accompagnata dalla Global Security Initiative e dalla
Global Civilization Initiative), dell’”Organizzazione per la Cooperazione di
Shanghai” (che comprende tra i suoi membri oltre alla Cina, anche Russia e
India) e dell’esplicita retorica anti-americana (sulle proposte cinesi si
vedano i nostri articoli.
L’India e soprattutto Modi non hanno alcun
interesse a plasmare la politica estera indiana in una direzione
antioccidentale anche perché punta ad essere una destinazione di investimento
alternativa alla Cina per costruire “more resilient supply chains”.
I
BRICS sono stati concepiti come una piattaforma geoeconomica, ma l’India teme
che stiano scivolando verso un ruolo geopolitico e non si sente a proprio agio
con questa deriva.
Invece,
l’India ha concentrato le discussioni e le attività dei BRICS su progetti di
cooperazione economica e finanziaria Sud-Sud, iniziative per ridurre la
dipendenza globale dal sistema finanziario e di pagamento internazionale basato
sul dollaro statunitense e riforme delle istituzioni finanziarie internazionali
per dare ai Paesi in via di sviluppo più voce e rappresentanza.
Il
Sudafrica sembra aver seguito questo approccio nel formulare il tema del
prossimo vertice:
“BRICS
e Africa: partenariato per una crescita reciprocamente accelerata, uno sviluppo
sostenibile e un multilateralismo inclusivo”.
Per rafforzare la propria attenzione
sull’Africa, il Sudafrica ha invitato i leader di tutti i Paesi africani a
partecipare al vertice.
Allo
stesso tempo, la guerra della Russia in Ucraina e la conseguente interruzione
delle forniture energetiche e alimentari ha anche contribuito a far salire alle
stelle l’inflazione in tutto il mondo in via di sviluppo, colpendo soprattutto
gli stessi Paesi per i quali Mosca afferma di parlare.
Tuttavia, la risposta dell’Occidente alla guerra della
Russia in Ucraina – separando praticamente la Russia dal sistema finanziario
globale attraverso dure sanzioni – ha anche spaventato le economie emergenti e
in via di sviluppo, preoccupate che Stati Uniti e Unione Europea possano
potenzialmente esercitare quel potere anche su di loro.
Seguire
i soldi.
Un
sistema finanziario alternativo è al centro dell’attrattività del blocco BRICS.
Nel 2015 è stata fondata la “Nuova Banca di
Sviluppo” (NDB), allora nota come “Banca di Sviluppo BRICS”, con sede a
Shanghai, per dare ai membri BRICS un maggiore controllo sui finanziamenti allo
sviluppo e offrire un’alternativa alle istituzioni guidate dagli Stati Uniti
come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, istituzioni
finanziarie costituite all’indomani della Seconda Guerra Mondiale (i pilastri
del “sistema di Bretton Woods”).
La
creazione della “NDB” (di cui da pochi mesi è diventata presidente Dilma
Rousseff, ex presidente del Brasile) è stata una mossa che ha mostrato un
intento reale e ha detto al Sud del mondo che era possibile sfidare
l’architettura istituzionale finanziaria globale.
I
Paesi BRICS hanno anche costruito il “BRICS pay” – un sistema di pagamento per
le transazioni tra i BRICS senza dover convertire la valuta locale in dollari.
Eppure,
otto anni dopo la creazione della NDB, la banca per lo sviluppo dipende ancora
in gran parte dai dollari e ha faticato a garantire quella valuta in mezzo alle
sanzioni contro la Russia, uno dei Paesi fondatori.
A livello globale, il dollaro USA rappresenta il 60%
delle riserve valutarie delle banche centrali.
Il
dibattito sulla creazione di una valuta BRICS ha preso piede negli ultimi mesi,
anche se il Sudafrica ha chiarito che non sarà discusso in questo vertice.
Per
ora le iniziative di de-dollarizzazione dei BRICS, come gruppo, non mirano a
sostituire il dollaro, ma a creare alternative e facilitare il commercio
bilaterale nelle valute locali.
Ma sul tavolo c’è una proposta brasiliana4 e
il presidente Lula de Silva ha recentemente affermato che “ogni notte mi chiedo
perché tutti i Paesi debbano basare il loro commercio sul dollaro”.
L’idea,
così come la promessa ad altri che vogliono unirsi o collaborare con i BRICS, è
semplice.
Oltre
alla minaccia delle sanzioni statunitensi, una schiacciante dipendenza dal
dollaro statunitense per il commercio o il rimborso del debito è costosa quando
il valore del dollaro aumenta, come accade quasi invariabilmente durante le
crisi globali come quella che il mondo attraversa dal 2020 e soprattutto da
quando FED e BCE hanno avviato il rialzo dei tassi di interesse al fine di
domare le spinte inflazionistiche negli USA e UE.
C’è
poi un’altra ragione per ridurre la dipendenza dal dollaro.
Può
aumentare l’influenza dei Paesi in via di sviluppo, fungendo da strumento
complementare quando si prendono grandi decisioni sul finanziamento dello
sviluppo e sul ruolo di istituzioni come il FMI.
Per
vedere le vere opinioni comuni dei membri del gruppo BRICS basta scorrere i
loro comunicati congiunti che contengono sempre riferimenti all’influenza dei
membri, o alla sua mancanza, all’interno di Banca Mondiale, Organizzazione
Mondiale del Commercio o FMI.
Queste
parti delle passate dichiarazioni dei BRICS descrivono la significativa
frustrazione per il fatto che, nonostante siano economie molto importanti e
influenti, percepiscono la loro influenza come limitata.
Un
potenziale modo per rendere il blocco impossibile da ignorare?
Trasformare
un club selezionato di cinque Paesi in una squadra composta da molti altri.
La
forza dei numeri.
A
luglio, il presidente algerino “Abdelmadjid Tebboune” ha dichiarato che il suo
Paese voleva aderire ai BRICS e aveva persino messo da parte una somma di 1,5
miliardi di dollari per contribuire alla “Nuova Banca di Sviluppo” del gruppo –
in sostanza, per acquistare il biglietto per essere della partita.
A
giugno anche l’Egitto ha chiesto l’ammissione.
E nell’ultimo anno, Argentina, Arabia Saudita,
Emirati Arabi Uniti e Iran sono emersi come altri candidati in una coda sempre
più lunga per unirsi potenzialmente al blocco, tra cui l’Indonesia, il quarto
Paese più popoloso del mondo, il Messico, l’Etiopia, una delle economie
africane in più rapida crescita, e la Nigeria, la più grande economia
dell’Africa.
La
Cina, sicura della sua posizione a capotavola, ha chiarito che è felice di
esplorare l’idea, riaffermando che il meccanismo di cooperazione BRICS è un
meccanismo di cooperazione internazionale sul tema dello sviluppo e non
un’alleanza militare o politica contro i Paesi sviluppati occidentali.
E la Russia, che ha bisogno di amici
internazionali, si è detta disponibile ad accogliere nuovi membri nel club.
Tuttavia,
non tutti i membri sono sicuri che un BRICS più grande sia necessariamente un
BRICS più forte.
Il
Brasile è stato reticente riguardo ad un’espansione, temendo che la sua
influenza possa essere diluita.
“Un’espansione potrebbe trasformare il blocco
in qualcos’altro”, ha detto a Reuters un funzionario brasiliano all’inizio di
agosto.
L’India
non è a suo agio con la questione dell’espansione, anche se è improbabile che
porrà il veto a qualsiasi mossa.
Invece, Nuova Delhi sta spingendo affinché il
gruppo sviluppi regole e criteri per l’adesione di potenziali nuovi membri (i
principali criteri dell’allargamento, differenziando anche tra un gruppo BRICS
e un gruppo BRICS+, saranno svelati nel corso del summit di Johannesburg),
mettendo le democrazie al centro delle considerazioni sull’adesione.
Più in
generale, l’India ritiene che il gruppo abbia bisogno di mettere ordine in casa
propria prima di considerare nuove adesioni.
Ciò include, tra le altre cose, lo stallo di
tre anni tra India e Cina che coinvolge migliaia di soldati di stanza lungo il
loro confine conteso nella regione orientale del Ladakh.
“Jaishankar”,
ministro degli Esteri indiano, ha più volte affermato che le relazioni tra i
giganti asiatici “non sono normali”.
C’è
anche una rivalità con Pechino per l’influenza regionale.
Tuttavia,
la Cina ha mostrato segni di ammorbidimento in vista del vertice BRICS, con il
recente impegno da parte dei comandanti militari di entrambe le parti a
“mantenere la pace e la tranquillità” lungo il confine.
Non è chiaro se il primo ministro indiano
Narendra Modi e il presidente cinese Xi Jinping si incontreranno a margine del
vertice.
Il modo in cui le due maggiori economie BRICS
gestiscono le loro relazioni potrebbe determinare se il blocco prospererà o
balbetterà.
Non un
“o-o”.
Alla
fine, un punto di forza del gruppo BRICS – a cui i suoi membri fanno
ripetutamente riferimento – è che, a differenza dell’Occidente, non si
aspettano che altri Paesi debbano scegliere ed essere vincolati a salde
alleanze (esclusive).
Ad
esempio, il commercio all’interno dei BRICS in valute locali o il commercio con
gli Stati Uniti in dollari non deve necessariamente essere un “o-o”.
Per molti Paesi può essere semplicemente un meccanismo
che può servire meglio i propri interessi in determinate situazioni.
In
parole povere, il gruppo BRICS sta cercando di offrire una serie parallela di
opzioni economiche e diplomatiche ai Paesi piuttosto che cercare di distruggere
attivamente il modello guidato dagli Stati Uniti (al punto che si ipotizza
anche la creazione di un formato BRICS++ che includa anche i Paesi del G7).
Questa
idea può essere difficile da comprendere da alcune persone – soprattutto in
Occidente – in un momento in cui la politica globale è così divisa.
Ma i
BRICS non sono nuovi a essere fraintesi.
Quando
fu formato il gruppo BRICS nel 2009, fu accolto in modo sprezzante dai
diplomatici occidentali che parteciparono al primo vertice.
Da allora la retorica in Occidente si è
trasformata nell’idea che i BRICS siano semplicemente un blocco piegato alla
Cina e guidato da un’agenda anti-occidentale.
Potrebbero essersi sbagliati entrambe le
volte.
Secondo
alcuni analisti, il gruppo sta effettivamente cercando di costruire una
piattaforma per la cooperazione tra Paesi emergenti (come la Cina) e Paesi in
via di sviluppo, per migliorare la governance globale e, in definitiva, per
costruire una comunità globale con un futuro condiviso.
Nel
suo discorso, “Xi” ha affermato che i BRICS continueranno a crescere “qualunque
resistenza possa esserci. … In questo momento, i cambiamenti nel mondo, nei
nostri tempi e nella storia si stanno manifestando in modi come mai prima
d’ora, portando la società umana a un punto critico”.
Presto
potrebbe essere il momento per l’Occidente (i Paesi della Triade, USA, UE e
Giappone) di ascoltare e accettare che i BRICS rappresentano semplicemente un
sentimento globale in crescita:
anche
altri Paesi, oltre a quelli occidentali, vogliono un posto al tavolo dove si
discute e si prendono le decisioni sul futuro del mondo e, a differenza del
passato, questa volta hanno la forza economico-politica per ottenerlo.
(Alessandro
Scassellati)
Cosa
sono i Brics e
cosa
vogliono ottenere.
Wired.it
– Kevin Carboni – Elena Capilupi – (22-10-2024) – ci dicono:
La
sigla rappresenta le economie emergenti mondiali negli anni 2000: Brasile,
Russia, India, Cina e Sudafrica.
°A
farne parte dal 1° gennaio 2024 sono anche Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran,
Egitto e Arabia Saudita
Il
presidente russo Vladimir Puntin è presente al vertice Brics.
L’insieme
di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica forma i Brics, il gruppo di
economie mondiali emergenti nato all’inizio degli anni Duemila per iniziativa
di un banchiere della firma statunitense “Goldman Sachs”.
L’influenza del gruppo è diminuita
progressivamente negli ultimi anni, ma oggi Cina e Russia sperano di allargare
e rafforzare questa alleanza per farla diventare un contrappeso dell’Occidente.
Da
gennaio 2024 ne fanno parte anche Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran, Egitto,
Arabia Saudita.
La
storia:
Cosa
sono i Brics.
Il
vertice del 2023 di Johannesburg.
Gli
obiettivi del nuovo vertice a Kazan.
Cosa
sono i Brics.
Principalmente
grazie all’India e alla Cina, i Brics rappresentano quasi metà della
popolazione mondiale, con circa 3,5 miliardi di persone all’interno degli stati
che formano il gruppo.
Il nome deriva dal banchiere “Jim O’Neil”, si
legge su Bloomberg, che nel 2001 usò il termine Bric, senza la S del Sudafrica,
per indicare alcuni mercati promettenti per gli investitori ma che “non avevano
nient’altro in comune”.
E in
effetti, questo club di economie è profondamente diviso al suo interno per le
enormi differenze che separano i paesi che lo compongono, sia sociali e
politiche che economiche.
La
formazione ufficiale composta dai primi 4 paesi si riunì la prima volta nel
2009, per poi invitare al suo interno il Sudafrica l’anno successivo,
principalmente perché non poteva non esserci un paese africano nel gruppo dei
paesi emergenti.
Il
vertice del 2023 di Johannesburg.
Il 15°
vertice Brics si è tenuto a Johannesburg, in Sudafrica, dal 22 al 24 agosto
2023.
Alla
riunione hanno partecipato di persona tutti i leader dei paesi che lo
componevano ad eccezione di uno:
Vladimir Putin, su cui pendeva un mandato di
arresto della Corte penale internazionale per i crimini di guerra commessi
dalle truppe russe in Ucraina.
Robert
Downey Jr e Christopher Nolan rispondono alle domande del web.
Durante
i primi due giorni di vertice i leader dei Paesi Brics hanno discusso le
richieste e i criteri di adesione esistenti e hanno deciso di invitare 6 nuovi
paesi a far parte del gruppo.
Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran, Egitto,
Arabia Saudita hanno accettato, entrando ufficialmente l'1° gennaio 2024,
l'Argentina, invece, ha declinato l'invito dopo l'insediamento del presidente “Javier
Milei” il 10 dicembre 2023.
Gli
obiettivi del nuovo vertice a Kazan.
Il
nuovo vertice Brics si terrà a Kazan, in Russia, dal 22 al 24 ottobre, dove
Vladimir Putin incontrerà diversi leader mondiali tra cui il cinese Xi Jinping,
l'indiano Narendra Modi, il turco Recep Tayyip Erdogan e l'iraniano Masoud
Pezeshkian.
Sarà
la prima riunione che vedrà la partecipazione dei cinque nuovi membri: Arabia
Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. All’ordine del giorno del
meeting dovrebbero figurare anche i conflitti in Ucraina e Medio Oriente.
Secondo
l'assistente di Putin per la politica estera, “Yuri Ushakov”, 32 paesi e più di
venti capi di Stato hanno confermato la loro partecipazione.
Ushakov
ha inoltre detto che Putin prevede di tenere circa 20 incontri bilaterali,
suggerendo che questo potrebbe diventare "il più grande evento di politica
estera mai tenuto" sul suolo russo.
Per
Putin, questo vertice è cruciale: rappresenta l'opportunità di dimostrare che
la Russia resta vicina ai suoi alleati globali, nonostante le crescenti
tensioni con l'Occidente.
Il Cremlino cercherà inoltre di sfruttare
l'incontro per siglare accordi che possano rafforzare l'economia russa e
sostenere lo sforzo bellico del Paese.
Cina e
India sono partner particolarmente importanti per la Russia.
Nello
specifico, l'India è un importante acquirente di materie prime russe, mentre la
Cina potrebbe fornire software e tecnologie, che possono avere utilizzo civile
e militare fondamentali per gli sforzi militari della Russia impegnata
nell'invasione del territorio ucraino.
Un
altro obiettivo della Russia è l'implementazione di un metodo di pagamento
alternativo al “sistema Swift”, la rete utilizzata dalla maggior parte delle
banche mondiali e dalla quale Mosca è stata esclusa.
L'intenzione
è quella di sviluppare una piattaforma che coinvolga Cina, India, Arabia
Saudita e Brasile, così da rendersi immune alle sanzioni statunitensi.
L'Iran,
altro attore chiave, è in procinto di formalizzare una partnership strategica
con la Russia:
Teheran
ha infatti fornito droni militari al paese e, in cambio, sta cercando di
ottenere armi russe avanzate per difendersi dalle potenziali minacce di Israele.
BRICS:
il volto nascosto della
nuova guerra fredda e
del
controllo globale.
Sfero.me
– Carmen Tortora – (3 novembre 2024) – ci dice:
Questo
articolo è un po' lungo, ma vale la pena prendersi del tempo per assorbire ogni
parola e comprendere come tutto ciò che stiamo vivendo sia il risultato di una
preparazione orchestrata da tempo, con piani che vanno ben oltre i confini e i poteri
dei singoli Stati.
Eccomi
di nuovo, pronta a mettere in chiaro una volta per tutte cosa si cela dietro i
BRICS.
Pensate
davvero che questa alleanza sia nata per pura cooperazione?
No, è
lo stesso copione della “Comunità Economica Europea”: un blocco ideato sotto il
paravento della Guerra Fredda, il primo passo per aggregare nazioni che
sarebbero poi state manipolate per la Guerra Fredda 2.0, quella che stiamo
vedendo prepararsi sotto i nostri occhi.
Prima
l’interdipendenza commerciale, mascherata da “libero commercio” e globalismo,
poi un labirinto di regolamenti finanziari e giuridici, fino alla formazione di
un blocco che profuma di federalismo comunista.
Sono
anni che lo dico, e ogni passo di questo piano va esattamente nella direzione
che avevo previsto.
Nella
prima parte di questo articolo abbiamo visto come il regionalismo si sia
evoluto in una nuova religione, sostenuta da menti come “Samuel P. Huntington”.
Nel
suo “Clash of Civilizations”, Huntington ci aveva già avvertiti che il mondo
non stava andando verso un’unica democrazia liberale, ma verso un sistema di
blocchi multipolari, “civiltà” separate in base a linee religiose ed etniche.
Un
modello che chi tira le fila ha abbracciato con entusiasmo, perché serve
perfettamente agli interessi dei “parassiti vampiri” che agiscono dietro le
quinte.
Guardiamo
al “Valdai Club”, il think tank” russo che ora spinge un progetto chiamato R20
(Regionalism 20).
Di
cosa si tratta?
Di una
struttura per “supervisionare” – sì, supervisionare, ma leggiamo: controllare –
lo sviluppo economico e finanziario delle regioni del G20.
Per “Maxim
Lissovolik”, questa piattaforma R20 rappresenta una “rete di connettività” che
mira a connettere le principali infrastrutture globali.
Si
parla di giganti come la “Belt and Road Initiative “della Cina e
dell’Asia-Africa “Growth Corridor” di Giappone e India.
L’obiettivo? Sostituire il G20 stesso.
La
prova definitiva? Arriverà quando il “petroyuan” sostituirà il dollaro come
valuta dominante.
E per
chi sa dove guardare, ci sono altri segnali:
le
“Aree di Responsabilità del Comando Combattente Unificato” dell’esercito
statunitense tracciano il mondo in sei precise zone operative.
Coincidenze?
Nient’affatto, ma un’evoluzione accuratamente orchestrata.
Huntington
non è stato certo il primo a concepire questi schemi;
si è limitato ad adattarli ai tempi.
Già
negli anni ’40, “David Mitrany” aveva messo a punto il concetto di
“funzionalismo”, un’idea di dominio che non si realizzava più con le guerre
dirette, ma attraverso l’istituzione di organi sovranazionali incaricati di
“coordinare” settori strategici come il commercio e la sanità.
Uno stratagemma finemente costruito:
apparentemente orientato alla risoluzione di problemi comuni, il sistema di
Mitrany creava in realtà una rete di dipendenze funzionali tra gli Stati,
facendo di ogni funzione un silenzioso strumento di controllo.
Nel
1943, al servizio del “British Foreign Office”, Mitrany pubblicava il suo” A
Working Peace System”, presentando queste idee sotto la facciata della “pace
duratura”.
Ma non lasciatevi ingannare:
quel
modello di “cooperazione funzionale” era in realtà pensato per incatenare i
popoli e mettere nelle mani delle élite gli strumenti per edificare un impero
senza confini.
E “Mitrany”
non era solo.
Tra
think tank e istituti come la “London School of Economics” e “Yale”,
collaborava con organizzazioni e intellettuali che ufficialmente si occupavano
di “pace” e “cooperazione internazionale”, ma che perseguivano obiettivi ben
più oscuri.
Dietro
le quinte, i finanziatori di questo teatro avevano già stabilito, nel lontano
1909, la strategia definitiva per conquistare il mondo: guerre infinite – o
“perpetue” – che avrebbero fornito il terreno ideale per instaurare un
controllo assoluto.
Non
era del resto stato “H.G. Wells”, fabiano socialista e ponte tra le élite
britanniche e statunitensi, a profetizzare ciò che ci attende nel suo romanzo
Londra 2100.
Il
risveglio del dormiente?
Un
mondo dove la popolazione è ammassata in condizioni disumane, stretta nella
morsa di un “White Council” oligarchico che governa con pugno di ferro.
Un
piano da completare entro il 2100, non un giorno di più.
Non vi
sembra la stessa trama dei “Hunger Games?”
Anche qui, siamo in una nazione distopica
chiamata “Panem”, divisa in 12 distretti, ognuno sotto il rigido controllo di “Capitol
City”.
E ogni
anno, Capitol punisce questi distretti con gli “Hunger Games”, uno spietato
reality show in cui ragazzi e ragazze sono costretti a combattere fino alla
morte.
E
così, la storia ci porta nel “Distretto 12, dove “Katniss Everdeen” si offre
volontaria per salvare sua sorella.
Ma non
si tratta solo di sopravvivere: attraverso alleanze e un’insurrezione
crescente, “Katniss” sfida la brutalità di “Capitol”, divenendo simbolo della
resistenza per i distretti oppressi.
In “Hunger
Games”, siamo in un futuro imprecisato, probabilmente secoli più avanti.
Non si fa mai riferimento a una data precisa,
ma si intuisce che sia un’era post-apocalittica, in cui le vecchie strutture
sono crollate dopo disastri naturali e conflitti devastanti, portando alla
creazione di “Panem”, che occupa quello che un tempo era il Nord America.
A ben
vedere, è tutto parte di una programmazione predittiva, il metodo attraverso
cui libri, film e serie TV, in apparenza innocui, introducono temi e scenari
futuri con lo scopo di assuefare il pubblico a cambiamenti già pianificati.
Mostrare
costantemente scene di pandemie, guerre o sorveglianza totale prepara le menti
a queste idee, rendendole più propense ad accettarle quando si manifestano
nella realtà.
Il fine?
Rendere
il pubblico sempre più incline ad accettare mutamenti sociali, politici e
tecnologici, agevolando l’agenda di chi detiene il potere e il controllo.
Torniamo
a Londra 2100.
Il risveglio del dormiente.
La
trama ruota intorno a Graham, un uomo del XIX secolo che, misteriosamente, cade
in un sonno profondo per risvegliarsi duecento anni dopo, nel 2100, in una
Londra distopica, dove nulla è ciò che sembra.
Mentre
dormiva, i suoi beni venivano gestiti e moltiplicati da un gruppo di interessi
che aveva costruito un impero sfruttando il suo “sonno eterno”.
Al
risveglio, Graham scopre di essere, inconsapevolmente, il proprietario di gran
parte del mondo, una figura temuta e venerata, dotata di un potere tale da
poter decidere il destino della società.
Ma
quel mondo che Graham trova al suo risveglio è marcio, segnato da disuguaglianze
inimmaginabili, con la popolazione soggiogata a una classe elitaria mentre le
masse languiscono oppresse.
Nel corso della storia, Graham tenta di comprendere la
nuova realtà e, inevitabilmente, diventa il simbolo della speranza per le masse
sfruttate, unendosi infine a una rivolta contro quelle stesse élite che avevano
tramato per controllarlo e manipolarlo.
La
conclusione è drammatica e, volutamente, ambigua:
Graham,
nel caos della battaglia finale, si sacrifica, lasciando l’esito della
ribellione in sospeso.
La sua
morte, però, si trasforma in un simbolo di speranza, un faro per chi anela a un
mondo diverso, anche se Wells lascia intravedere un destino incerto.
La sua
visione, infatti, suggerisce che l’umanità potrebbe continuare a ricadere nei
soliti schemi di oppressione, alludendo ai rischi di un mondo tecnologicamente
avanzato, ma sempre prigioniero delle stesse ombre del potere.
Questo
tema viene ripreso nell'ultima scena di “Matrix Resurrections”, dove Neo e
Trinity affrontano il “nuovo Analista”, ormai in controllo di Matrix.
Di
seguito alcune delle battute conclusive del loro confronto:
Analista
(rivolgendosi a Neo e Trinity): "Credete davvero di poter cambiare tutto? Di
poter cambiare quello che la gente desidera? Nessuno vuole essere libero. La
realtà è troppo dolorosa."
Trinity
(con tono risoluto): "Non ti elimineremo, almeno per ora. Siamo qui solo per
farti sapere che le regole del gioco sono cambiate. Siamo qui per ricostruire,
per dare un nuovo finale alla nostra storia."
Neo: "Questa volta, le cose andranno
come decidiamo noi."
Analista:
"Vi
illudete che la gente desideri qualcosa di diverso."
Trinity
(avvicinandosi con fermezza): "Oh, non te la caverai così facilmente. Da ora in
avanti, saremo noi a scrivere le regole."
Neo e
Trinity (insieme, mentre si allontanano volando): "Ci rivedremo."
Queste
battute concludono “Matrix Resurrections”, con Neo e Trinity che affermano la
loro libertà e il nuovo potere.
Non
solo sfidano l'Analista, ma esprimono l'intenzione di riscrivere Matrix a modo
loro, segnando l'inizio di una nuova era nella simulazione.
Nel
2009, “Michel Serres”, il filosofo e sociologo francese, pubblicò “Gaia”:
Il futuro della politica, un saggio che, più
che un’opera di riflessione filosofica, sembrava una chiamata alla
trasformazione radicale della nostra società.
“Serres esplorava” il rapporto tra l’umanità e
il pianeta Terra, che definiva Gaia, e lanciava un messaggio che non lasciava
spazio a interpretazioni:
per
superare le crisi ambientali e sociali, avremmo dovuto ridisegnare da zero il
nostro sistema politico e il modo in cui ci relazioniamo con la natura.
Il
testo, o meglio la "trama", segue un percorso concettuale
inquietante:
secondo Serres, l’umanità non poteva più
considerarsi separata o superiore rispetto alla natura.
Questo principio è alla base del “programma
One Health” dell'OMS, che promuove un approccio olistico fondato
sull’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale.
La Terra, Gaia, doveva essere vista come
un'entità viva, non solo una risorsa da sfruttare, e richiedeva una
responsabilità condivisa.
Per “Serres”, serviva una “Dichiarazione dei diritti della
Terra” e
un nuovo contratto sociale che ponesse il pianeta al centro delle scelte
politiche.
Solo
passando dalla competizione alla coabitazione, sosteneva, l’umanità avrebbe
potuto preservare il proprio futuro.
Ma
Serres non era l’unico a delineare questo scenario:
un
anno prima, nel 2008, “Gianroberto Casaleggio”, co-fondatore del Movimento 5
Stelle, aveva prodotto un video sperimentale intitolato “Gaia – The Future of
Politics”.
In questo video, Casaleggio dipingeva un futuro
inquietante, dove Internet era diventato il nucleo di tutta la comunicazione,
conoscenza e organizzazione globale, portando una trasformazione radicale nella
società e nella politica.
La
narrazione, iniziando con una panoramica storica dell’evoluzione dei mezzi di
comunicazione e del potere, mostrava come Internet avesse “democratizzato”
l’accesso all’informazione – o almeno così si voleva far credere.
Secondo
la previsione, entro il 2018 il mondo si sarebbe diviso in due blocchi:
l’Occidente, caratterizzato da democrazie dirette e libero accesso alla rete, e
paesi come Cina, Russia e Medio Oriente, dominati da dittature orwelliane che
avrebbero mantenuto il controllo totale sull’accesso a Internet.
Poi,
il 2020.
Casaleggio prevedeva l’inizio di una Terza
Guerra Mondiale, un conflitto di vent’anni in cui sarebbero state impiegate
armi batteriologiche, accompagnato da un’accelerazione del cambiamento
climatico, innalzamento dei mari di 12 metri, carestie globali, il collasso
dell’era dei combustibili fossili e la distruzione dei simboli occidentali.
Questa
guerra avrebbe lasciato il pianeta in uno stato di devastazione, riducendo la
popolazione mondiale a un miliardo di persone.
Nel
2040, l’Occidente avrebbe infine trionfato, instaurando una “democrazia della
rete” come nuovo sistema dominante.
Entro
il 2047, ogni individuo sarebbe stato dotato di un’identità digitale unica su “Earthlink”,
un social network globale creato da Google che avrebbe reso superflui i
passaporti, introducendo un nuovo livello di controllo globale.
Ma non
finiva lì.
Nel
2050, si sarebbe sviluppata una nuova entità chiamata “Brain Trust”,
un’intelligenza collettiva che avrebbe risolto i problemi più complessi
dell’umanità.
Nel
2051, un referendum mondiale online avrebbe abolito la pena di morte.
E
infine, il 14 agosto 2054, si sarebbero tenute le prime elezioni mondiali
online, sancendo l’istituzione di un governo globale chiamato Gaia.
In questo nuovo ordine, partiti, religioni,
ideologie – tutto sarebbe scomparso, lasciando l’uomo come unico governante del
proprio destino.
La
conoscenza collettiva sarebbe stata la nuova, vera politica.
Wells esplora temi simili nel saggio World
Brain (1938), in cui immagina una rete globale di conoscenza condivisa, un
“cervello mondiale” che permetterebbe all’umanità di accedere e contribuire a
una conoscenza collettiva.
Questa
visione si stagliava come una presunta utopia tecnologica, ma, a uno sguardo
attento, rivelava piuttosto il progetto di una società senza confini e
identità, in cui il controllo sarebbe stato esercitato da pochi potenti
attraverso l’illusione della “democrazia della rete”.
Guardate
i progetti delle “smart city” per il futuro:
enormi
megalopoli pronte a “ospitare” l’intera popolazione mondiale, mentre ogni
spazio esterno viene lasciato a uno stato “naturale” inaccessibile, protetto
dalle cosiddette “Restoration Laws”.
Queste
leggi, con il pretesto di “restaurare” l’ambiente, mirano a chiudere ai
cittadini vasti territori, in nome della protezione ecologica.
Ogni
anno, obiettivi sempre più ambiziosi e distopici estenderanno queste aree, fino
a escludere totalmente i comuni mortali che potranno solo osservare la “natura”
tramite i loro dispositivi, limitandosi a un “gemello digitale” della realtà,
accuratamente manipolato.
Il
grande gioco è stato formalizzato già nei primi anni ’60, con il “Special
Studies Project dei Rockefeller”.
Il mondo, secondo il loro piano, doveva essere
diviso in grandi aree economiche e politiche, raggruppate su base regionale e
allineate attraverso interdipendenze economiche.
Ecco
la chiave:
per
raggiungere quel “governo mondiale federale” che avevano in mente, occorreva
passare prima dalla regionalizzazione, guidata dall’ONU e, ovviamente, sotto la
direzione degli Stati Uniti – ridotti, nel frattempo, all’ombra di ciò che
erano stati.
Guardate
l’Europa: il copione si ripete ora con i BRICS.
Negli
anni ’70, per alimentare questa macchina, hanno staccato il dollaro dall’oro,
aprendo la porta a guerre finanziate senza sosta.
Ma vi
siete mai chiesti quante guerre abbiano vinto davvero gli Stati Uniti? Nessuna.
Autocitandomi
“Le guerre non possono essere vinte ma non devono essere perse”.
Perché,
al di là dei profitti che riempivano le casse dell’élite, ogni conflitto
serviva a generare odio verso gli Stati Uniti e l’Occidente.
Nel frattempo, Russia e Cina, finanziate
profumatamente dall’Occidente, apparivano come “giganti buoni” – mai una
guerra, mai un conflitto diretto.
“La
Cina”, come affermavano i piani segreti, “si ribellerebbe apertamente a una
dominazione straniera, ma abbraccerebbe il Nuovo Ordine Mondiale se le fosse
fatto credere di avere il controllo”.
Ed ecco la brillante strategia in due fasi:
Creare
una falsa alleanza anti-occidentale – una coalizione incentrata sulla Cina, da
contrapporre all’alleanza occidentale. La stampa mainstream ce ne ha dato
già qualche indizio, come in un articolo del 2002 intitolato
“La
Cina vuole il suo ‘nuovo ordine mondiale’ per opporsi alla versione
statunitense”.
I
burattinai, è risaputo, amano usare fazioni opposte per perseguire i loro
scopi, assicurandosi sempre di avere le redini di entrambe.
Spingere
il pubblico mondiale verso le braccia dell’alleanza cinese.
Ma come farlo?
Semplice:
dipingere il Nuovo Ordine Mondiale dell’Occidente come una minaccia brutale e,
al contempo, promuovere quello della Cina e dei suoi alleati come un paradiso
pacifico.
Creano
paura da una parte e sicurezza dall’altra.
Hanno
orchestrato azioni scandalose e provocatorie, sia economiche che militari, da
parte delle potenze occidentali.
Vi
suonano familiari i disastri in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria?
Hanno
esposto ogni tipo di scandalo sulle nazioni occidentali, specialmente sugli
Stati Uniti.
E chi
abbiamo visto scappare dai tentacoli della NSA?
“Edward
Snowden”: prima in Cina (Hong Kong), poi in Russia.
Il
messaggio?
Cina e Russia sono il rifugio dalla minaccia
maligna degli Stati Uniti e del loro impero decadente.
E il
caso “Assange”?
Una
mossa perfetta.
Vogliono farci credere che le intelligence,
quelle stesse che controllano ogni comunicazione e ogni segreto, si siano fatte
sfuggire “leaks" di tale portata?
No, è solo un altro tassello nella messinscena
globale.
Assange
rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana, poi incarcerato:
uno
spettacolo orchestrato per creare un martire, un “eroe” anti-sistema.
Ma di
quale sistema stiamo parlando?
Di
quello stesso apparato che ci fa credere che le informazioni “fuggano” dalle
loro mani come perdite accidentali.
Non
sto dicendo che Assange ne fosse consenziente o consapevole, ma la sua vicenda
ha rafforzato l’immagine di un Occidente spietato che perseguita chi si oppone,
mentre l’Est, con la Russia in particolare, viene ritratto come un potenziale
rifugio per chi cerca scampo dalla sorveglianza oppressiva dell’Occidente.
Il
gioco è chiaro: hanno costruito una trappola, l’alleanza BRICS, che sembra una
salvezza dal pericolo.
Ma
attenzione: è solo un rifugio ingannevole per attirare chi cerca protezione
dall’Occidente.
Nel frattempo, con le azioni scellerate delle
potenze occidentali, spingono sempre più “conigli” spaventati verso questa
trappola ben allestita.
I
globalisti hanno costruito il Nuovo Ordine Mondiale su misura per le
“aspirazioni dei popoli” a liberarsi dal giogo coloniale.
È per questo che i BRICS esistono, per questo
il NWO appare “multipolare”: vogliono che le nazioni oppresse credano di
sconfiggere l’Occidente, che si vedano finalmente in trionfo.
Ma in
verità, è solo l’inizio di una nuova fase di sottomissione.
I popoli del mondo si sveglieranno un giorno,
solo per scoprire che l’uguaglianza promessa altro non è che un’uguaglianza di
servi globali.
E
adesso, addentriamoci nella dichiarazione del vertice di Kazan, un documento
corposo, scritto in quel linguaggio nebuloso tipico delle comunicazioni delle
Nazioni Unite, del G7, del G20.
È come se fosse stato copiato e incollato dai
documenti occidentali:
denso
di parole ma leggero di sostanza.
Ma
ecco la cosa davvero interessante:
non
c’è nessuna menzione diretta alla NATO, nessun accenno all’Unione Europea, al
dollaro o a una volontà esplicita di sostituire il sistema SWIFT.
In altre parole, tutta la retorica che ci vendono sui
BRICS come distruttori del dollaro e dell’Occidente… non compare affatto nella
dichiarazione ufficiale.
Eppure,
i media alternativi sono pieni di allusioni a un imminente collasso
dell’Occidente per mano dei BRICS, dipingendoli come cavalieri della giustizia
pronti a spezzare le catene del sistema occidentale.
Ma la realtà? È ben diversa.
La
dichiarazione è una minestra riscaldata, un susseguirsi di frasi roboanti che
sembrano tutto fuorché una minaccia imminente al dominio globale del dollaro.
Ora
che il “Grande Vertice di Kazan dei BRICS+” è terminato, i vampiri sono tornati
nei loro rifugi, al sicuro nelle loro lussuose fortezze, cullati da visioni di
un nuovo ordine multipolare che danza nelle loro teste.
Ma per chi legge attentamente tra le righe, i
loro veri intenti restano avvolti nelle ombre.
Partiamo
dai “partner” del summit.
Il
primo è” Hongqi2, il produttore di auto cinese fondato nel 1958 sotto la guida
di Mao.
Ironico che il marchio si chiami “Bandiera
Rossa” (Hongqi in mandarino).
Ecco un piccolo dettaglio curioso: la prima
auto di Hongqi era una copia di una Chrysler del ’55, riservata esclusivamente
ai pezzi grossi del Partito Comunista.
Per il
proletariato, invece, nemmeno l’ombra di quella lussuosa berlina “capitalista”.
Nulla
dice “comunismo” come imitare il lusso occidentale e vietarlo al popolo.
Ma
andiamo oltre.
L’ascesa
di Mao non fu affatto casuale. La Corona britannica aveva da tempo interessi
strategici in Cina, specialmente nel controllo del commercio dell’oppio. Forse
c’era un compromesso nascosto dietro il suo potere:
un
patto che avrebbe giovato tanto all’élite comunista quanto ai “parassiti
vampiri” che si sarebbero serviti del regime anni dopo, fino ai giorni nostri,
per introdurre un sistema collettivista tecnocratico.
Il
secondo partner strategico?
Sberbank,
la banca statale russa di cui la Russia controlla il 50% più un’azione con
diritto di voto.
E a
capo di questa macchina imponente troviamo” Herman Gref,” veterano dell’élite
russa, con legami che spaziano da “Gazprom” a “Yandex”.
Nel
2020, Gref ha orchestrato la “trasformazione” di Sberbank: da semplice banca a
“ecosistema” onnipresente, con servizi che vanno dall’intrattenimento al cibo,
dal cloud alle farmacie, producendo persino farmaci generici.
Ora è
semplicemente “Sber” – una banca che, di fatto, è diventata molto di più, un
colosso digitale con ambizioni ben più ampie della finanza tradizionale.
Ma
ecco il dettaglio che svela tutto:
Gref è
uno dei “Young Global Leaders” del World Economic Forum (WEF), scelto per il
suo “potenziale impatto globale.”
Sappiamo
tutti cosa significa:
il
WEF, con la sua agenda della “quarta rivoluzione industriale” e il progetto di
trasformazione digitale, ha bisogno di uomini di fiducia per portare avanti il
piano. Non solo:
Gref è anche fiduciario del WEF.
E durante la pandemia?
“Sberbank”
ha creato” Immunotechnologies”, una sussidiaria che ha ottenuto i diritti
esclusivi per distribuire il “vaccino Sputnik V”.
Con
una spesa di 3 miliardi di rubli, Sberbank ha invaso il settore sanitario,
producendo vaccini, attrezzature e dispositivi di protezione destinati ai
maggiori centri di ricerca.
In
altre parole, Sberbank si è trasformata nel braccio sanitario della Russia,
estendendo il proprio controllo su settori chiave e sensibili.
Ma c’è
di più.
Sberbank
e il governo russo sono già immersi nel mondo del “data mining” e della “criptovaluta.
Il 18 ottobre, il Fondo russo per gli
investimenti diretti (RDIF) e “Bit River”, gigante dei data center, hanno
annunciato una partnership per sviluppare intelligenza artificiale e potenza di
calcolo, con 21 data center operativi e altri 10 in costruzione.
È
evidente:
costruire
le infrastrutture digitali dei BRICS è il primo passo per dominare il panorama
globale del digitale.
E se
la Russia riuscisse davvero a eguagliare gli USA su questo fronte? Diventerebbe
impossibile ignorarla – e per qualcuno, molto difficile fermarla.
A
guidare questa mossa c’è “Kirill Dmitriev”, CEO del RDIF e parte della cerchia
dei “Young Global Leaders” del World Economic Forum.
E dove è stato “formato”?
A “Stanford”,
il centro mondiale di manipolazione delle masse, e ad “Harvard”, che ha
sfornato una lunga lista di psicopatici elitari.
Il tutto sotto la bandiera della cosiddetta
“diplomazia civile” degli anni ’90 nello spazio post-sovietico.
Ecco
un dettaglio “curioso”: da ragazzo, Dmitriev fu mandato in California a vivere
con “amici di famiglia” americani.
Coincidenze? Ho 10 rubli che puntano sul fatto
che questi “amici” avessero legami con la CIA.
Dopo la laurea, eccolo catapultato
direttamente nei circoli di Goldman Sachs e McKinsey.
Fin dove bisogna scendere negli abissi dello “Stato
Profondo” prima che la gente inizi a notare che qualcosa non torna?
È ora
di aprire gli occhi:
i
BRICS non sono altro che un altro ingranaggio nell’”agenda del World Economic
Forum”.
Eppure,
c’è chi nella cosiddetta comunità “anti-sistema” si lascia ancora ammaliare
dalla favola dei BRICS come “ribelli” contro i globalisti.
Sì, proprio come la favola di “QAnon” con
Trump.
Gli ingenui creduloni di turno, convinti che i
BRICS stiano combattendo i poteri forti dell’Occidente, stanno abboccando a
un’altra storia ben confezionata.
Date
un’occhiata alla dichiarazione ufficiale del summit di Kazan:
pubblicata
online il 23 ottobre, prima ancora che il vertice fosse concluso.
Tutto
già scritto, tutto pianificato in anticipo.
Nessun dibattito, nessuna vera discussione,
solo una messinscena ben orchestrata per intrattenere gli utili idioti accorsi
per un pranzo gratis.
Ma
attenzione, non fraintendete: questa è solo la mia modesta opinione… oppure
quella di una “teorica del complotto”, giusto?
La
dichiarazione, prevedibilmente, riafferma “lo spirito BRICS di rispetto,
uguaglianza sovrana, solidarietà, democrazia, apertura, inclusività”.
Pace,
amore e comprensione, insomma – niente di più che una patinata copertura per
una furtiva presa di potere globale orchestrata da questi “giganti
multipolari”.
La
dichiarazione dei BRICS non perde tempo a ribadire i loro “nobili” impegni.
E come potrebbero, visto che iniziano con
l’elemento simbolico per eccellenza: l’ONU è definita la “pietra angolare
indispensabile” del sistema internazionale.
La
scelta di questo termine non è affatto casuale.
Nel
linguaggio esoterico e massonico, la “pietra angolare” rappresenta la base del
potere, il simbolo dell’inizio di una nuova costruzione, sia essa materiale o
spirituale.
Non è
un mistero che i “massoni”, insieme ai” teosofi”, abbiano sempre sognato una
“Grande Opera” – la creazione di un nuovo ordine mondiale costruito su pilastri
ben definiti.
E qui,
con il patrocinio del “World Economic Forum”, vediamo proprio quel sogno
prendere forma.
Parliamo
di Agenda 2030, la bandiera sotto cui si nasconde il grande piano per “pace, prosperità
e un pianeta sano.”
Ma chi
decide cosa è prospero, cosa è “sano”?
Forse
quei pochi che, dietro il velo delle istituzioni, spingono verso un obiettivo
comune, ben lontano dal benessere delle masse.
Una partnership strategica tra l’ONU e il WEF
per accelerare questi “obiettivi” non è certo una coincidenza.
Piuttosto,
è un segno che i pezzi del puzzle si stanno finalmente allineando.
Eppure,
i fedeli della “grande scacchiera” sussurrano che Putin e Xi stiano solo
fingendo di aderire agli obiettivi delle Nazioni Unite per “ingannare” i
globalisti.
Sarebbe
un piano da manuale, no?
Fingere di essere complici per poi ribaltare
il tavolo, infilando i loro scintillanti BRICS come salvatori del mondo.
Ovviamente,
i globalisti sono così ciechi che non vedono la trappola, nonostante sorveglino
ogni comunicazione globale.
E alla
fine, poveri illusi, saranno messi all’angolo dalle “arti oscure” di Putin e
Xi, pronti a sferrare il colpo finale a Klaus Schwab.
Fidatevi.
Il
documento ribadisce con fervore l’appello del G20 per una “riforma della
governance globale”, questa volta sotto l’egida del Brasile.
Ma
cosa si nasconde dietro questa “riforma”?
Un
potenziamento mai visto dell’ONU, una ristrutturazione strategica del Consiglio
di Sicurezza con nuovi membri per riequilibrare il potere globale, una
revisione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, una riforma del Fondo
Monetario Internazionale e – tenetevi forte – persino discussioni sulla
tassazione dei miliardari.
Un
copione che abbiamo già visto?
Assolutamente.
Ora
arriviamo al cuore pulsante del piano:
i potenti hanno già messo nero su bianco
l’ambizioso “ONU 2.0”, un programma studiato per trasformare le Nazioni Unite
in una macchina di controllo globale senza precedenti.
L’obiettivo?
Equipaggiare
l’ONU con strumenti ancora più potenti per estendere la sua influenza su ogni
angolo del pianeta.
Al
Summit del Futuro, il “Patto per il Futuro” è stato adottato con un impegno
granitico verso il multilateralismo.
Tradotto: un ulteriore passo verso il potere
centralizzato, mascherato da un sistema “equo e sostenibile”.
Naturalmente,
tutto questo perfettamente sincronizzato con l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di
Sviluppo Sostenibile.
E non
dimentichiamoci del Fondo Monetario Internazionale – la punta di diamante del
cartello finanziario globale.
Potenti,
spietati e straordinariamente influenti, sono pronti a colpire dove vogliono.
Probabilmente
non l’avete letto altrove, ma il Fondo Monetario Internazionale è stato
l’artefice dietro l’operazione anti-terrorismo in Ucraina nel 2014.
Tutto
risale a “Jackson Hole”, al raduno dei banchieri centrali, dove “Jack Lew “parlò
con “Christine Lagarde”, allora alla guida del “FMI”.
Lagarde
impose alla giunta ucraina di usare la forza per controllare il sud e l’est
dell’Ucraina, pena la rottura degli accordi economici con il FMI.
Senza
i fondi del Fondo, il governo ucraino non avrebbe potuto mantenersi – così, in
un attimo, Kiev lanciò le operazioni antiterrorismo contro le popolazioni del
Donbas.
E
guarda caso, prima di quell’attacco strategico, una schiera di emissari si
riversò a Kiev per “incoraggiare” il governo a prendere l’iniziativa.
Ma non
finisce qui.
La
guerra contro lo Yemen nel 2015 esplose dopo che lo Yemen rifiutò un’offerta
del FMI.
Stessa
storia in Bolivia: un colpo di stato scoppiò proprio dopo il rifiuto di un’offerta di
finanziamento del Fondo.
Coincidenze?
Difficile crederlo. Ogni governo che si oppone si trova
magicamente in ginocchio.
E chi
applaude a tutto questo come una rockstar del controllo globale?
Esatto,
il World Economic Forum, il gran promotore della “quarta rivoluzione
industriale”, sostenitore instancabile di ogni mossa.
Un’influenza sottile ma potente che sostiene
questa riorganizzazione globale con un entusiasmo che non lascia dubbi su chi
tirerà le fila dietro le quinte.
Il
loro messaggio è chiaro: il mondo deve evolvere verso una nuova multipolarità,
spostando il potere da Occidente a Oriente. Riformare le Nazioni Unite è un
obiettivo che i BRICS, e in particolare la Russia e la Cina, perseguono con
zelo.
La “Dichiarazione
di Johannesburg II” del 2023 ribadisce questa visione:
aprire le porte del “Consiglio di Sicurezza” a
Brasile, India e Sudafrica.
Un
Consiglio “più democratico, rappresentativo ed efficiente”, che risponda alle
“aspirazioni” dei paesi in via di sviluppo, rappresentando le nazioni emergenti
di Africa, Asia e America Latina.
Ma non
illudetevi:
il
tanto proclamato “mondo multipolare” non vedrà mai la luce fino a quando due
condizioni non saranno soddisfatte.
Primo,
il sistema finanziario mondiale dovrà abbandonare il dollaro come valuta di
riserva per passare a un paniere di valute controllato da nuovi attori.
Secondo,
il “Consiglio
di Sicurezza dell’ONU” dovrà essere riformato per includere i membri dei BRICS,
come Brasile, India e Sudafrica – i campioni del Sud del mondo.
Gli
Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna, che tengono saldo il controllo sul
Consiglio di Sicurezza dell’ONU, faranno di tutto per non perdere il dominio.
Sanno
benissimo che se i BRICS dovessero fare il loro ingresso, sarebbe la fine della
supremazia occidentale.
Ma i
veri burattinai, quei vampiri parassiti che tessono i fili del potere globale,
hanno già deciso la direzione:
il
modello da seguire è quello “efficiente” e senza libertà, già testato con
successo in Cina.
E perché mai Russia e Cina sostengono così
ardentemente i loro alleati BRICS?
La risposta è semplice: per stringere ancor di più la morsa
sul potere globale.
Ma l’idea di una vera ONU democratica, dove
ogni nazione ha voce uguale e il potere di veto scompare, è solo un’illusione
che non ci sarà mai concessa.
Il “World
Economic Forum”, come da copione, si unisce entusiasta al coro delle cause
“universali” come l’UNFCCC e il Protocollo di Kyoto, spacciandoli per impegni
per il “bene comune” grazie alla loro “adesione quasi universale.”
E al
vertice dei BRICS, naturalmente, non poteva mancare “António Guterres”,
segretario generale dell’ONU, con i suoi discorsi su cambiamento climatico,
intelligenza artificiale e “cooperazione globale.”
E cosa sfodera davanti ai leader mondiali?
La
solita retorica della “famiglia globale.”
Ma di
quale famiglia parliamo davvero?
È la
rete globale di sorveglianza e controllo che ho già descritto nel mio libro “Welcome
to 1984”: il “villaggio globale” profetizzato da “McLuhan”, dove ogni individuo
è costantemente tracciato, monitorato, controllato.
Il
concetto di “famiglia globale” o “umanità collettiva” affonda le sue radici in
tradizioni esoteriche, teosofiche e massoniche, che lo collegano a una visione
dell’intera umanità come un’unità interconnessa e indivisibile.
Per queste tradizioni, l’individuo non è che
una cellula di un organismo cosmico molto più vasto, dove il pensiero e la
consapevolezza collettiva convergono in un’unica coscienza universale.
È
un’idea che riecheggia attraverso simboli antichi, archetipi potenti e, sì, anche nella moderna
infrastruttura della sorveglianza globale.
Secondo
la visione esoterica, l’umanità collettiva è un aspetto cruciale della crescita
spirituale, l’unione di singoli frammenti che formano una coscienza unitaria.
Correnti
come l’ermetismo e l’alchimia sostengono che ogni essere umano sia una
scintilla dell’unica intelligenza divina, unita agli altri in un campo di
energia e consapevolezza chiamato “Registri Akashici”.
Questi
registri sono la “memoria universale” dove ogni pensiero, emozione e azione
umana è scritta e custodita, come un’eterna biblioteca cosmica.
All’interno di questa memoria collettiva, la “famiglia
globale” esiste come un’unica entità, e ogni persona ne è parte inseparabile.
Un
concetto simile si trova nella noosfera, la “sfera del pensiero” che il
filosofo “Teilhard de Chardin” descrive come una rete invisibile che collega le
menti umane.
Questa
noosfera, secondo de Chardin, è destinata a evolversi fino a diventare una
coscienza globale unica.
I
piani di un futuro mondo “armonioso” sembrano attingere a questi stessi
concetti, ma si traducono in un monitoraggio costante e in una conformità
collettiva.
In
teosofia, l’umanità collettiva assume un significato centrale. La “Società Teosofica”, fondata da”
Helena Petrovna Blavatsky” nel XIX secolo, propose la” Fratellanza Universale”
come pilastro della sua filosofia, sostenendo che tutte le razze, religioni e culture
sono manifestazioni di un unico Logos, lo spirito universale.
“Blavatsky”
e altri teosofi insegnavano che l’evoluzione spirituale dell’uomo è, per
natura, collettiva:
l’umanità
deve avanzare come una sola unità verso l’illuminazione globale.
Questo
richiamo alla “famiglia globale” è associato a cicli cosmici e alla progressiva
ascesa della coscienza collettiva.
Le
radici della Fratellanza Universale risuonano con l’idea di un “nuovo ordine
mondiale”, ma quello teosofico puntava alla liberazione spirituale, non al
controllo totalizzante.
Anche
la massoneria ha radici filosofiche che rispecchiano il concetto di unità e
fraternità umana, rappresentando l’umanità come un grande edificio in cui ogni
individuo è una pietra, una componente necessaria per il compimento dell’intero.
Nei rituali e nei simboli massonici, si intravede un
percorso verso la scoperta del proprio posto all’interno dell’”universo
ordinato,” una noosfera spirituale che unisce tutti gli esseri umani in una
“famiglia universale.”
Qui,
ogni nazione, cultura e individuo cooperano per costruire un mondo ideale. Solo
che questa visione è stata trasformata:
oggi,
l’idea della “famiglia globale” viene usata per promuovere una struttura di
sorveglianza globale che emula quest’antica aspirazione, ma con lo scopo
opposto: invece che unire, serve a monitorare, anziché liberare, trattiene.
In
questa versione moderna, la “famiglia globale” diventa un’illusione per
giustificare una rete di sorveglianza e conformità.
Non è la Fratellanza Universale dei teosofi,
né l’umanità connessa ai “Registri Akashici”, e tantomeno il “grande edificio”
dei massoni.
La
“famiglia” è, ora, una rete di occhi e orecchie che tutto vede e tutto
controlla.
E poi
c’è la nuova alleanza spaziale dei BRICS, con i loro satelliti in orbita bassa,
ufficialmente per raccogliere dati sui “cambiamenti climatici”.
Davvero
crediamo ancora a questa storiella del “telerilevamento”?
Questa
è solo una copertura per un monitoraggio globale 24/7, reso possibile grazie al
5G e al futuro 6G per processare dati in tempo reale.
Ogni
satellite lanciato è un occhio in più su di noi, un tassello in più nel sistema
di controllo globale che stanno costruendo, uno strato dopo l’altro, fino a
creare una rete inestricabile di sorveglianza planetaria.
Ma non
è tutto.
I
BRICS hanno istituito un proprio centro di ricerca sui vaccini, una macchina
“sanitaria” con l’obiettivo dichiarato di contrastare malattie infettive e,
soprattutto, la tanto temuta “Malattia X.”
Sì, proprio quella.
Il
World Economic Forum ci avverte da anni su questa minaccia enigmatica, e ora si
parla già di piani per vaccinare contro un virus che… non è ancora apparso.
E chi
alimenta questa narrativa?
“Kate
Kelland”, autrice per la sezione “Agenda” del WEF, sempre pronta a diffondere
l’idea di una “Disease X” in podcast e articoli sulla preparazione pandemica.
Dietro
le quinte, spunta la “CEPI”, l’organizzazione creata per sviluppare vaccini “in
anticipo,” supportata dai soliti volti noti: Bill Gates e il fedele Tony Blair. Una struttura che sembra più una rete
di controllo preventivo, pronta ad agire appena scatta la prossima “emergenza”.
E ora,
addentriamoci nell’”agenda woke”, quell’invisibile rete che filtra in ogni parola, in ogni
frase di questi documenti.
“Chiediamo
di aumentare il ruolo e la quota delle donne, soprattutto dei paesi meno
sviluppati, a diversi livelli di responsabilità nelle organizzazioni
internazionali…” — eccoci qui, nel cuore pulsante del programma inclusivo.
Dimentichiamoci
la selezione basata sulle competenze o sui meriti personali.
Ora,
le quote sono essenziali, e queste quote devono sostenere un’agenda di “equità”
ben lontana dalla vera meritocrazia.
E come
se non bastasse, rilanciano ancora:
“Riconosciamo
il “G20 Call to Action on Global Governance Reform,” la richiesta del Brasile
di riformare il G20, con un occhio particolare all’espansione del ruolo delle
donne.
Qual è
il vero scopo?
Certo,
vogliono più donne in posizioni chiave, ma se davvero si trattasse di selezione
per merito, chi avrebbe qualcosa da obiettare?
No,
qui siamo oltre la semplice competenza.
Qui si
parla di costruire una struttura “inclusiva” per servire scopi più vasti.
Ma non
finisce qui:
“Sosteniamo un processo di selezione basato
sul merito inclusivo ed equo per le posizioni al vertice delle istituzioni di
Bretton Woods, una maggiore rappresentanza geografica e la quota delle donne.”
Ci
tengono tanto a Bretton Woods, anzi, sembra quasi che stiano cercando di
rispolverarlo, rafforzando il “Fondo Monetario Internazionale” e la “Banca
Mondiale”.
Solo che ora, a differenza del passato, vogliono avere
più controllo su queste istituzioni.
E come
al solito, ecco che arrivano le criptovalute e le valute digitali delle banche
centrali (CBDC):
“Ribadiamo
il nostro impegno per combattere i flussi finanziari illeciti, il riciclaggio
di denaro, il finanziamento del terrorismo… comprese le criptovalute, per scopi
illegali.”
Vogliono
monitorare tutto, con la scusa di “prevenire” il crimine.
Non suona già come il preludio a un sistema di
sorveglianza globale?
Poi si
passa agli “stakeholder,” i nuovi padroni del mondo: “Chiediamo un dialogo rafforzato
all’interno dei BRICS sulle questioni del riciclaggio di denaro e il contrasto
al finanziamento del terrorismo con la partecipazione delle parti interessate.”
E chi sono queste “parti interessate”?
Gli
“stakeholder,” termine caro a Klaus Schwab, che ci ricorda che il controllo del
mondo è ben pianificato, anche a livello delle giovani generazioni:
“Sottolineiamo
l’importanza di creare condizioni per uno sviluppo sicuro delle giovani
generazioni…”
E
naturalmente, non manca il tema della disinformazione:
“Esprimiamo serie preoccupazioni per la
diffusione esponenziale della disinformazione e delle fake news…”
La censura si veste di preoccupazione per la
“verità.”
E mentre il Brasile fa da pioniere nella
censura sui social, ci mostrano la strada che intendono percorrere:
“Pur
riaffermando l’impegno alla sovranità degli stati… garantire il libero flusso e
l’accesso pubblico a informazioni accurate e basate sui fatti.
”
Tradotto?
Decideranno loro cosa è vero e cosa non lo è.
Poi
c’è il controllo dei dati, la nuova frontiera del potere: “Preoccupati del rapido processo di
digitalizzazione… sottolineiamo il ruolo chiave dei dati per lo sviluppo.”
E proseguono:
“Evidenziamo
che una governance giusta, inclusiva ed equa dei dati è fondamentale.”
Insomma,
i dati sono cruciali, e ogni informazione digitale verrà monitorata, limitata,
gestita, tutto per il “bene comune.”
E
vogliono pure regolare i flussi di dati tra i Paesi:
“Chiediamo la definizione di un quadro globale
giusto ed equo per la governance dei dati, compreso i flussi di dati
transfrontalieri.”
Un
quadro che deciderà chi avrà accesso a quale dato, chi potrà usare cosa, e
ovviamente, tutto sotto il controllo ONU, con il tocco della Cina.
La
“nuova rivoluzione industriale” non poteva mancare:
“Riconosciamo
che il partenariato per la nuova rivoluzione industriale funge da piattaforma
guida per la cooperazione di BRICS.”
Ah, la famosa Industria 4.0 che fa battere il
cuore a Klaus Schwab, con partenariati e produttività – una vera ode al
controllo totale.
Ma non
finisce qui, perché parlano dei “mercati del carbonio”: “Riconosciamo l’importante ruolo
dei mercati del carbonio… come uno dei motori dell’azione per il clima.”
E via con la nuova economia verde, fondata su
uno scambio che rafforza il controllo su industrie e nazioni, tutto per il
clima.
E come
ciliegina, arriva
l’OMS:
“Ribadiamo il nostro sostegno al ruolo
centrale di coordinamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità,” sempre
lì, pronta a riformare il sistema globale per proteggere la “salute pubblica.”
Insomma, l’OMS diventa il guardiano della
nostra “salute”, supportata da istituzioni globali che mirano a prevenire,
preparare e rispondere a ogni futura “emergenza sanitaria.”
A
coronamento, troviamo il sistema di “pre-allerta”:
“Sosteniamo
le iniziative del BRICS R&D Vaccine Center… l’ulteriore sviluppo del BRICS
Integrated Early Warning System.”
Un sistema per avvertirci di ogni nuova minaccia
sanitaria, prima ancora che accada.
Tutto
sommato, è solo un altro “BRICS nel muro”.
Quello
che vediamo è un progetto totalmente globalista travestito da nuova alleanza.
I
BRICS stanno costruendo una propria “cultura”, ma la stanno riempiendo di
comitati, sotto-comitati, e sub-organizzazioni ad ogni livello immaginabile.
Ecco
solo un assaggio dalla loro dichiarazione:
Festival della cultura BRICS, Festival del
cinema, Alleanza dei musei, Alleanza delle biblioteche, Alleanza dei teatri per
bambini, Alleanza della danza popolare, Giochi BRICS, Summit dei giovani,
Consiglio dei giovani, Forum parlamentare, Dialogo tra partiti politici, Forum
di urbanizzazione, Forum delle donne, Alleanza imprenditoriale femminile, Forum
accademico, Forum civile… e la lista continua all’infinito.
Think
tank, centri di arbitrato, comitati per la cooperazione digitale e financo il
“Giorno del geografo BRICS”.
Il
tutto riempito di tecnocrati entusiasti, convinti di far parte di una
rivoluzione globale che in realtà non comprendono.
È un
sistema che ricorda in tutto e per tutto l’establishment del World Economic Forum:
tecnocrati psicopatici, scienziati pazzi e
burocrati iper-organizzati che creano strutture senza fine, riempiendo questi
ruoli con uomini e donne senza spina dorsale, moralmente deboli e ben contenti
di essere risucchiati in una macchina che li rende importanti, ma solo a
livello di facciata.
In
fondo, cosa sono?
Solo
dei patetici burocrati senza immaginazione, servi ben remunerati di un sistema
che li ha sedotti con la promessa di status e vantaggi, ma che in realtà non è
altro che il “Culto dei Vampiri” mascherato da rivoluzione multipolare.
La
strada per l’inferno è lastricata di burocrazia, e i vampiri globalisti del WEF
e dell’ONU piovra sono i maestri indiscussi di questa tetra arte.
Sono
dirigenti intermedi, micro-manager, macro-manager, amministratori viscidi.
Individui dall’aspetto impeccabile, freddi, meticolosi, iper-organizzati e
spietati. Privati di qualsiasi qualità redentrice, incarnano un tipo di male
che si cela nella normalità.
E, credetemi, è la cosa più “bella” che posso
dire di loro.
Per
concludere, vi lascio con una citazione dal libro illuminante di “Hannah Arendt”,
“Eichmann a Gerusalemme”:
la banalità del male, che racconta il processo
ad “Adolf Eichmann”.
Qui “Arendt”
descrive “Eichmann”, ma il parallelo con i burattinai del potere oggi è fin
troppo calzante:
“Il
problema con Eichmann era proprio che così tanti erano come lui, e che i molti
non erano né pervertiti né sadici, che erano, e sono ancora, terribilmente e
terrificamente normali.
Dal
punto di vista delle nostre istituzioni legali e dei nostri standard morali di
giudizio, questa normalità era molto più terrificante di tutte le atrocità
messe insieme, perché implicava – come fu detto a Norimberga più e più volte –
che questo nuovo tipo di criminale, “hostis generis humani”, [nemico
dell’umanità] commette i suoi crimini in circostanze che rendono quasi
impossibile per lui sapere o sentire che sta facendo del male”.
Ecco
la vera minaccia:
burocrati così terribilmente normali da non rendersi
nemmeno conto del male che fanno, e proprio per questo sono tanto più
pericolosi.
(t.me/carmen_tortora1)
Al
Liceo Righi di Roma Ragazzi “Identificati”
per
Aver Esposto Bandiere della Palestina!
Conoscenzealconfine.it
– (4 Novembre 2024) - Agata Iacono – ci dice:
Gli
studenti del Collettivo Ludus denunciano il gravissimo episodio su Instagram.
“È
successo di nuovo”, scrivono gli studenti medi del Liceo Righi di Roma, il
miglior liceo scientifico della Capitale secondo la classifica Eduscopio.
Il
liceo Righi è stato al centro di molte polemiche anche lo scorso anno
scolastico, da quando cioè docenti e studenti hanno cercato di capire insieme
cosa sia successo dal 7 ottobre 2023 in Palestina, affrontando a tutto tondo la
drammatica situazione, anche dal punto di vista storico e filosofico.
È
scattato subito l’allarme, i giornali hanno raccontato episodi mai avvenuti
(con relative smentite postume che però non hanno cambiato la narrazione
mainstream).
Ad esempio.
Ma la
questione più recente è di una gravità che non è possibile ignorare, perché
criminalizza, nella scuola, la volontà di esprimere pacificamente solidarietà
ad un popolo sottoposto a genocidio.
Cos’è
successo?
Lo
denuncia il Collettivo Ludus del Righi su Istagram.
Alla
fine delle lezioni, venerdì 25 ottobre, gli studenti hanno esposto alle
finestre dell’istituto scolastico 38 bandiere con i colori della Palestina.
Raccontano
loro stessi:
“Abbiamo
esposto manualmente 38 bandiere palestinesi dalle finestre della nostra scuola
che affacciano su via Campania.
Facendo ciò non abbiamo commesso alcuna
infrazione, poiché avendo esposto e non affisso le bandiere e non essendoci
sporti dalle finestre, la nostra azione era più che in regola, oltre che
legittima.
Per questo motivo abbiamo rifiutato di
rimanere dentro la scuola e collettivamente siamo usciti”.
Ma la
dirigente scolastica ha chiamato le forze dell’ordine.
I ragazzi sono stati trattenuti per
l’identificazione, quindi gli agenti sono andati via, secondo il Collettivo
Ludus “perché la stessa Digos non ha rilevato alcuna infrazione”.
Non
finisce qui. Il giorno dopo, la nuova dirigente scolastica, “Giulia Orsini”,
inoltra una email ai genitori dei “pericolosi” ragazzi.
La
dottoressa Orsini ha sostituito la precedente preside Giacomo Bono, distintasi
per aver impedito una conferenza “sull’approfondimento del conflitto
israelo-palestinese” per “motivi di serenità all’interno della scuola”.
Relativamente
alla email ai genitori, la dirigente, che minaccia i ragazzi di ritorsioni
disciplinari se oseranno persistere nella solidarietà alla Palestina o
addirittura ambissero a “portare la politica nella scuola”, precisa a Roma Today:
“La
lettera è stata inviata agli otto studenti che siamo riusciti a identificare e
che hanno esposto le bandiere fuori dall’orario delle lezioni, ritardando e
compromettendo così il lavoro del personale della scuola.
Abbiamo
lavoratori che vengono da altre regioni, che hanno dei tempi molto stretti per
tornare a casa e che sono stati messi in difficoltà”.
Quindi
non si possono esprimere manifestazioni pacifiche di solidarietà perché
ritardano la pulizia delle aule?
E
riguardo ai procedimenti disciplinari specifica:
“Ho fatto presente alle famiglie che, nel caso
in cui si dovessero ripetere episodi come questi, prenderò tutti i dovuti
provvedimenti.
La mia
richiesta era diretta ai genitori, per spiegare loro la situazione e chiedere
che le manifestazioni politiche vengano lasciate fuori dalla scuola”.
“Mi
ero prefissa di commentare la mail e le puntuali risposte degli studenti.
Ma credo che questa ‘storia’ Istagram sia già
eloquente e tragicomica”.
Com’è
possibile che il dirigente scolastico del migliore istituto scientifico della
Capitale chiami la Digos contro i suoi studenti, adducendo motivi di orario per
la pulizia delle aule, inventando che i docenti sono tenuti ad inseguire gli
alunni fuori dall’orario scolastico, paragonando l’esposizione di ben 38
bandiere palestinesi alle finestre ad un “parco giochi”?
Forse
basta riportare il commento postato in calce dal collettivo Ludus Righi:
“E
adesso parliamo noi”.
“Pretendiamo
rispetto e ascolto: una scuola solidale è alla base della società”.
(Agata
Iacono)
(lantidiplomatico.it/dettnews-il_liceo_righi_di_roma_ragazzi_identificati_per_aver_esposto_bandiere_della_palestina/39130_57441/).
I
Brics Plus vogliono
autodeterminazione
e pace.
Contropiano.org
- Salvatore Izzo – Il Faro di Roma – Luciano Vasapollo - (4-2-2024) – ci dicono:
L’ingresso
nei Brics di Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran, che
si aggiungono ai membri fondatori, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica,
rende concreto e raggiungibile “l’obiettivo di creare un nuovo ordine economico
pluri polare e multicentrico, che sia garanzia di un equilibrio universale che
minimizzi la supremazia delle potenze e permetta di procedere verso modelli di
giustizia sociale ed uguaglianza”, sottolinea il decano di economia della
Sapienza, “Luciano Vasapollo”, intervistato da Faro di Roma.
Tuttavia,
osserva il docente, “la presente evoluzione mondiale non traccia ancora un ‘nuovo
ordine’ quanto piuttosto nuove forme di scontro mondiale tra l’ordine
dell’impero (centro) e la volontà di indipendenza (di ‘decolonizzazione’) delle
periferie, di quello che usualmente e impropriamente viene chiamato Terzo
Mondo”.
“Ciò
che si sta verificando è che la volontà di indipendenza nazionale degli Stati
periferici – spiega “Vasapollo” – si rivela con nuovi parametri ideologici
(neo-sviluppo nazionale), i quali continuano ad avere come elemento principale
la critica del dominio della proprietà privata e, quindi, della volontà
imperiale di possedere la proprietà di tutto il capitale redditizio in tutto il
mondo e in particolare nella periferia”.
Secondo
Vasapollo, “con questo allargamento finalmente il mondo pluri-polare diventa
una concreta realtà, e questo non solo per il peso in termini di PIL e in
termini demografici, ma perché quest’area assume una ben maggiore forza di
impatto dal punto di vista della “Tricontinental”, parola usata da “Che Guevara”
come indicazione di una precisa direzione:
si
rafforza la presenza dell’America Latina con l’Argentina, dell’Africa con
l’Egitto e del Medio Oriente e del Vicino Oriente con l’Arabia Saudita e gli
Emirati, ma anche con la presenza dell’Iran che è importantissima”, spiega il
docente “quindi avanza quella nuova concezione di cui abbiamo sempre parlato in
termini gramsciani come della nuova visione meridionale, meridionale
allargata”.
“Questo
– rivendica Vasapollo – significa che avevamo ragione in tempi non sospetti sul
fatto che la prospettiva sarebbe stata unipolarismo contro pluri-polarismo e
quindi la fine del mondo uni-centrico dove per uni-centrismo si intendono le
aree ovviamente imperialiste gli Stati Uniti e l’Unione europea e il mondo
multipolare significa appunto creare una condizione di alternativa
all’imperialismo anche se con paesi fra loro eterogenei”.
“Auspichiamo
– confida il professore – che prima possibile possa entrare anche il Venezuela
e caratterizzare di più la presenza dei paesi a transizione e pianificazione
socialista.
Ma
anche gli attuali BRICS hanno un fattore in comune: questa Alleanza non ha
carattere militare e non ha carattere ovviamente aggressivo, ma una
caratteristica di complementarità anti-imperialista.
Tutto
questo fa pensare immediatamente al fatto che si può marciare in maniera veloce
per la de-dollarizzazione e senza che dall’alto arrivi una moneta di
sostituzione del dollaro negli scambi internazionali, perché non servono nuove
forme imperiali ma la creazione di un’area di scambio, di un commercio a
carattere complementare e solidale”.
Professore,
ma il processo in atto di allargamento dei Brics come si inserisce nell’attuale
contesto internazionale caratterizzato dalla guerra in Ucraina e dal genocidio
a Gaza?
L’allargamento
dei BRICS, che c’è stato qualche mese fa, rafforza la visione multipolare,
pluricentrica e pluri-polare del mondo, contro quella che è la visione
unipolare, a guida imperialista, statunitense e dell’Unione Europea, della
quale è conseguenza la guerra della NATO contro la Russia, che si combatte in
Ucraina.
Ma lo è in effetti anche il nuovo attacco a
Gaza da parte del governo israeliano, che ha ovviamente una idea ancora
fortemente colonizzatrice e imperialista.
In
effetti le aspirazioni del gruppo dei paesi dei Brics (oggi Brics plus), sono
proprio quelle di imporsi alla dinamica delle regole dell’ordine mondiale, con
una visione invece multipolare e multicentrica, in cui anche nelle differenze
politiche fra i vari paesi, che sono rilevanti anche sull’approccio economico e
sociale differente, però si possa creare quello che è uno svincolo completo
dall’impero.
L’allargamento
dei Brics può incidere fortemente sui paesi occidentali perché anch’essi,
specialmente in quanto importatori, debbono interrogarsi se continuare ad
essere una colonia degli Stati Uniti, oppure aprirsi a quelle che sono le
relazioni monetarie e commerciali più ampie.
E in
questo senso una delle strategie più importanti è quella della de dollarizzazione,
che intende sottrarre il mondo al dominio del dollaro.
Le
guerre di oggi in Ucraina e Medio Oriente sono conflitti della NATO, entrambe
in difesa dell’unipolarismo, fronte sul quale i governi dei paesi NATO si
schierano per difendere quelli che sono gli interessi degli apparati militari
industriali e quindi dell’industria bellica che cerca di fare profitto
alimentando azioni militari che portano morte e devastazione, e che sono
effetti di un keynesismo militare che ha per obiettivo l’accumulazione dei
profitti e non certo l’affermazione o la difesa di ideali e diritti.
In
merito, la Russia dichiara di considerare molto importante l’allargamento dei
Brics e di voler includere paesi come l’Arabia Saudita nel blocco, e che si
devono appunto ampliare le attività commerciali che sono sempre più realizzate
per esempio in Yuan e con quindi una sostituzione del dollaro con la moneta
cinese: questa evoluzione è dovuta a quelle che sono le prese di posizione
degli Stati Uniti che impongono alla Russia delle sanzioni, e quindi per
cercare di sottrarsi alla dipendenza dal dollaro, la Cina e altri paesi cercano
sempre di più modi di pagamento alternativi, anche perché l’interesse è forte:
il processo di de dollarizzazione sta marciando.
I
paesi Brics ormai commerciano nelle valute nazionali per circa l’85% e questo è
un segnale forte di autonomia e conferma il fatto che deve cessare qualsiasi
interferenza degli Stati Uniti sulle politiche interne, ad esempio su Taiwan, e
che la Russia pone in maniera chiara la sua posizione a conferma del sostegno a
“una sola Cina” in questo scontro con la NATO.
“Xi
Jinping”, il leader cinese, afferma che la Russia e la Cina devono collaborare
strettamente per difendere la sovranità dei loro paesi, la sicurezza e opporsi
a ogni interferenza agli affari interni da parte degli Stati Uniti.
Purtroppo
incombe su tutto questo la cappa della minaccia militare dell’Occidente.
Professore,
sembrano realizzarsi dunque le parole di Gramsci: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello
nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.
Di
fatto sta emergendo un ordine multipolare e policentrico che è contrastante con
il disegno geostrategico del capitale globale.
La permanenza delle profonde divergenze, per
non parlare del vero e proprio stato di soggezione economica, produttiva e
finanziaria dei paesi vittime del colonialismo e dell’imperialismo, sono
frequentemente individuate col particolarismo, con la spiegazioni che alludono
alle differenze etniche, culturali, naturali, religiose, non molto differenti
nella sostanza dal discorso ideologico condannato da Gramsci nella questione
meridionale, ma assolutamente scevre di qualsiasi fondamento materiale ed
economico.
Le
divergenze, pure esistenti nell’analisi dei marxisti sul punto, scontano,
nell’essenza, un ritardo nella messa a fuoco della questione della
polarizzazione e della lotta anticoloniale come momento della generale teoria
del modello di produzione capitalistico.
I
Brics, e in particolare la Cina, hanno messo bene in evidenza che hanno dei
loro progetti:
la Cina punta forte sulla nuova Via della Seta
ed è veramente incomprensibile, dal punto di vista anche della sovranità e
della determinazione del processo nazionale di rafforzamento dell’economia
nazionale, il fatto che il governo italiano ci stia portando fuori dal progetto
della nuova Via della Seta, ovviamente, questo è avvenuto per spinta degli
Stati Uniti, ed è questo che dimostra che siamo una colonia.
Di
fatto abbiamo assecondato una spinta da parte degli Stati Uniti che volevano
cercare di fermare il rapporto fra l’Italia e la Cina sulla nuova Via della
Seta, quindi è una decisione che fa male sicuramente all’Italia non alla Cina.
Ed è
una decisione invece che fa bene agli Stati Uniti, per mantenere il dominio
anche commerciale sull’Italia.
Con le
sanzioni, come Italia e in generale come Europa, già ci hanno isolato dalla
Russia, maggior fornitore di gas e grande mercato per i nostri prodotti
manifatturieri…
Sia la
Russia che la Cina hanno aumentato i loro rapporti strategici.
E sono
importanti a livello mondiale le risorse esterne all’area del dollaro:
il
settore energetico, le materie prime, in particolare le “terre rare”, il
settore alimentare, con la fornitura di grano, sono potenzialmente punti di
forza dei Brics e dei Brics allargati.
I
paesi aderenti al nuovo cartello hanno sviluppato anche una significativa
collaborazione scientifica, anche con un progetto di società spaziale che potrà
coinvolgere pure alcuni Stati africani.
Il
programma “Sfera” prevede di lanciare satelliti per la comunicazione e il
rilevamento.
Anche questo è un modo di opporsi al dominio
della comunicazione, cioè a una narrazione a senso unico degli eventi basata
sulla comunicazione voluta dall’impero.
Si
tratta di un programma di costellazioni satellitari per tutti i servizi di
telecomunicazione con strumentazione russa e anche 5 satelliti per il
telerilevamento.
Un
processo già avviato grazie ai satelliti che sono stati inviati nei mesi
scorsi, già a partire da ottobre.
La
Cina si è resa disponibile a coniugare i propri sforzi a quelli della Russia
imponendo proprio un discorso generale sulla nuova piattaforma delle relazioni
internazionali.
I
Brics rappresentano in effetti una novità rispetto all’approccio tradizionale
della Cina?
È nata
una cooperazione che i cinesi chiamano “comunità dal destino condiviso per
l’umanità”.
Loro
hanno queste frasi bellissime e sono, diciamo così, in una linea di
progettazione per concepire un futuro di uguaglianza di diritti e di diritti
sociali, cioè quindi una nuova umanità, con una visione globale degli
interessi.
Analogamente
il Sudafrica ha incitato a un cambiamento dei Brics in senso propositivo.
Il paese ha avuto dei grandi benefici da
questo punto di vista perché le priorità del Sudafrica sono quelle di
rafforzare il partenariato e hanno ribadito che vogliono assolutamente
allargare la cooperazione all’Unione Africana nei prossimi decenni, ed è quindi
un progetto di medio-lungo periodo e con l’operatività di una zona di libero
scambio continentale in Africa.
Si
tratta dunque di crescere attraverso i concetti di cooperazione e di
cooperazione economica, monetaria e finanziaria fra i Brics, ii Brics plus e 20
paesi dell’Africa che erano interessati a mobilitarsi per una buona causa.
Un
ragionamento che è estremamente importante perchè prevede degli investimenti
anche a livello internazionale fatti dal Sudafrica.
In
effetti il Sudafrica è fedele all’insegnamento dell’uomo che l’ha liberato
dalle catene dell’apartheid, Nelson Mandela.
Questo
paese con la sua storia travagliata rappresenta un punto di riferimento forte.
Per esempio tra gli obiettivi raggiunti dal Sud Africa ci sono la capacità di
affrontare le sfide della disoccupazione, della povertà, della disuguaglianza.
Dobbiamo
guardare all’aumento del commercio tra Stati, in particolare tra gli altri
paesi dei Brics.
In
particolare è importante l’aumento degli investimenti nel turismo, nello
sviluppo e nel trasferimento di tecnologia, quindi è estremamente importante la
presa di posizione continua da parte dell’Iran, che sollecita fortemente
l’intervento dei Brics anche per fermare i crimini di guerra, per fermare il
genocidio di Israele a Gaza.
L’Iran,
però, viene continuamente criminalizzato e minacciato…
C’è
infatti un ruolo politico forte da parte degli uomini dell’Iran, che mette al
centro la ridefinizione di un nuovo ordine mondiale più equilibrate, più equo.
Un
futuro di pace passa necessariamente dalla risoluzione giusta del conflitto
medio orientale intorno a questa tremenda guerra, una guerra genocida da parte
di Israele e degli Stati Uniti contro i palestinesi.
Diciamo
che si formano dei blocchi che si fronteggiano a livello anche militare oltre
che politico.
I
blocchi sono quelli che sono oggi in campo:
da una
parte paesi come la Russia, la Cina, eccetera, che sostengono le ragioni dei
palestinesi, quindi il pluri- popolarismo che si muove verso un mondo libero
dall’impero, dall’altra parte l’unipolarismo occidentale che sostiene invece Israele e
il suo violento sionismo.
La
sensazione è che questa guerra contro i palestinesi alla quale il nostro paese
non riesce minimamente a opporsi ci dimostra sempre di più anche che l’Italia
ha paura degli Stati Uniti e dei suoi alleati e che Washington non rappresenta
più il punto di vista del cosiddetto mondo libero ma si oppone e a quella che è
che la nuova visione del mondo, che è appunto quella dei Brics che vogliono
sempre più svincolarsi dalle costrizioni nordamericane ed essere più forti per
lanciare anche un nuovo progetto di rivoluzione industriale che non sia basato
sul rafforzamento della produzione delle armi e quindi sull’apparato
industriale militare ma su altri settori, come la comunicazione e i settori per
esempio della intelligenza artificiale: la Cina da questo punto di vista
scommette fortemente sulla tecnologia.
Ma
l’intelligenza artificiale può essere al servizio di un mondo più giusto?
Nella
nuova rivoluzione industriale e della comunicazione, le nuove tecnologie,
compresa l’IA, devono giocare una partita fondamentale rafforzando il dialogo
tra i governi, le industrie e il mondo accademico, che si muova sulla
produzione di software e l’uso di nuovi materiali come per esempio il “coltan”.
Ben
venga la realizzazione di progetti di cooperazione e formazione, di crescita di
nuove risorse tecnologiche ma anche umane, cioè un nuovo assetto delle risorse
umane che possano portare avanti una rivoluzione industriale sostenibile, per
cui questo nuovo progetto deve portare ovviamente ad alternative concrete che
riguardino non solo gli aspetti economici e finanziari ma anche gli aspetti
politici e della sicurezza.
Servono
accordi culturali, accademici ed economici per favorire le relazioni umanitarie
di partenariato e di solidarietà.
Vediamo
che nonostante le sanzioni i russi continuano i loro piani di lavoro per il
2024 con una grande delusione da parte di USA e UE.
E
assistiamo a quella che viene chiamata dai russi, dalla Cina, dall’Iran, la
nuova cooperazione multipolare che vede un ruolo fondamentale a livello
politico anche di paesi come Cuba, Bolivia e Venezuela.
Inoltre
si prevede di sviluppare modalità appunto per il rafforzamento del
coordinamento delle politiche estere e della lotta contro il terrorismo, per la
sicurezza e l’informazione, quindi contro la comunicazione deviante.
Una
difficoltà che rallenta il cammino di questa cooperazione è il boicottaggio
degli accordi commerciali attraverso il blocco dei pagamenti interbancari?
I
Brics pongono grande attenzione alle strategie di partenariato che
rappresentano un piano d’azione e di cooperazione fortemente innovativa. E si
sta lavorando molto per avere un circuito comune, a partire dalla Banca per lo
sviluppo guidata dall’ex presidente brasiliana “Dilma Rousseff” che intende
raccogliere fondi da un’ampia serie di mercati mondiali, in diverse valute,
compresi yuan, dollaro e euro.
Allo
scopo di finanziare i progetti con valute locali, privilegiando i mercati
domestici e riducendo l’esposizione alle oscillazioni dei mercati valutari.
Tutto
questo potenzierà il ruolo dei paesi Brics e Brics plus anche nel sistema
finanziario, a partire dalla disponibilità a qualsiasi forma di cooperazione
pratica, che rafforzi però l’apposita posizione di un’associazione nuova a
livello internazionale che si opponga all’unipolarismo.
E da
questo punto di vista, ovviamente, contribuirà alla pace, perché veramente
questa del dominio imperiale è la dinamica ad esempio della guerra di Gaza.
Una situazione drammatica che accelera però,
dal punto di vista di chi osserva dall’esterno, la cooperazione tra i paesi del
Sud globale che resistono al conflitto voluto dall’Occidente.
Ad una
reale indipendenza aspirano certamente i paesi dell’Asia.
Per
immaginare un’Asia libera dagli Stati Uniti, accanto alla leadership della Cina
dobbiamo riconoscere anche un ruolo centrale dell’Iran in particolare nella
battaglia contro il colonialismo e l’imperialismo.
Quelli
di Israele in questo momento drammatico e quelli analoghi della NATO contro la
Russia.
Perchè
il regime sionista di Israele commette genocidio e viola tutte le regole e
norme, e quindi, dicono i Brics, bisogna normalizzare i rapporti tra i paesi
dell’area e rafforzare i rapporti della Palestina.
Dunque
rompere, boicottare, i legami con il regime israeliano e per far questo gioca
un ruolo prioritario l’Iran con anche accordi di carattere commerciale che
stanno sempre di più rafforzando l’unione economica eurasiatica che firma
accordi di libero scambio su vasta scala con l’Iran stesso e si sostituisce
agli affari e accordi precedenti, che erano stati stipulati, contrariamente a
tutte le norme e il buon senso, ad esclusivo vantaggio degli USA.
Oggi
invece un asse con la Russia diventa sempre più importante per l’Iran e la
crescita dei Brics.
Cresce
la Russia attraverso i Brics, ma emerge anche un nuovo circuito di legami cui
può guardare tutto il blocco dell’euro asia:
da
questo punto di vista la cooperazione anche logistica si sviluppa attivamente e
gli accordi tra Teheran e Mosca continuano a crescere, e l’Iran potrebbe
diventare un hub di passaggio per l’esportazione ad esempio del grano e
dell’olio di girasole e questo è un qualcosa che aggira le sanzioni imposte
dagli Stati Uniti contro la Russia e così mette insieme un quadro unico di
accordi che creano una base economica e logistica di risorse che permetterà
così anche alla Cina, all’Eurasia e all’intero Sud del mondo e all’Africa di
non sentirsi assolutamente sottomessa alle logiche nord-centriche
dell’Occidente globale.
Accordi
che moltiplicandosi portano l’Iran tra le prime 20 economie mondiali.
Ma i
principali punti di forza dell’Iran sono il grado altissimo di scolarizzazione,
le riserve di idrocarburi, il basso costo dell’energia, un PIL sempre più
elevato e il 12% delle riserve mondiali di petrolio:
il terzo posto su scala mondiale appunto per
riserve petrolifere, mentre l’Iran è al secondo e il Venezuela è al primo.
Primi
al mondo per quanto riguarda le riserve le riserve di gas e questo fa vedere
immediatamente l’espansione dei Brics e crea un super gruppo una super forza di
produttori e consumatori di petrolio;
e
l’espansione dei primis include importanti produttori di petrolio dell’Opec e
quindi un controllo dell’energia.
Se
l’Arabia Saudita confermerà la sua volontà di presenza all’interno dei Brics il
gruppo controllerà metà della produzione globale di petrolio i Brics si
preparano quindi a questa nuova dimensione a questi nuovi allargamenti che
dovranno avvenire tra settembre ottobre del 2025.
Come è
noto il “neo fascista Milei “appena eletto presidente argentino ha
ufficialmente notificato ai Brics che il suo paese non si unisce e starà fuori
da quello che è il gruppo dei paesi in realtà più emergenti, questo modifica le
sue previsioni sull’avvento dei Brics in America Latina?
Rinunciando
ai Brics l’Argentina si chiude in una politica di dominio e di accettazione del
colonialismo e della dollarizzazione da parte degli Stati Uniti. Invece, in
America Latina, risponde da questo punto di vista fortemente Cuba con una
politica di apertura al pluralismo e cioè a un sistema democratico maturo.
I
paesi dell”’Alba”, l’Alleanza Bolivariana fondata da Castro e Chavez, sono
tutti in transizione verso la piena adesione ai Brics plus ed è questo un ulteriore
passo in avanti nella ridefinizione di tutti gli assetti geopolitici e
geoeconomici internazionali, anche come alternativa dei servizi Internet
statunitensi, cioè si cerca di sottrarsi al controllo da parte degli Stati
Uniti sulle comunicazioni.
E da
questo punto di vista si sta pensando a un’infrastruttura Internet nei paesi
dei Brics che porti ad un unico spazio cibernetico.
(Il Faro
di Roma – Salvatore Izzo).
Spiritualità
e realtà: una visione
umanistica
e scientifica del mondo.
matematica.unibocconi.eu
– Prof. Marcello Costa – (10-2-2024) – ci dice:
Preambolo.
In
questi giorni si parla spesso di spiritualità, e sembra che questa esigenza
dell’uomo sia in contrapposto alla materialità della vita di ogni giorno.
La vita cosiddetta materiale risveglia nei più
un desiderio di ritrovare un senso della vita umana che sfugga al giornaliero.
Inoltre il rinascere delle tensioni
internazionali, dovute in parte a visioni contrastanti del mondo basate su
cosmologie religiose, ci obbliga a rivedere il ruolo delle religioni nella vita
spirituale.
Vorrei
spartire con voi i miei pensieri di come una visione di scienziato umanista può
essere rilevante ad una visione più ampia delle attività spirituali
dell’umanità. I punti di vista che esporrò non saranno forse condivisi da tutti
gli scienziati, ma spero peraltro che anche alcuni non scienziati vedano, nelle
idee esposte, un tentativo serio di riportare problematiche spirituali
nell’ambito del pensiero umanistico-scientifico.
Sin
dai primi tentativi di darsi una visione del mondo, numerose culture, compresa
la nostra, hanno cercato la spiritualità nella trascendenza, in un mondo cioè
che va oltre all’immediato e al materiale:
il desiderio di “Mythos” oltre che di” Logos”,
per dirlo con “Karen Armstrong”.
Il pensiero di una trascendenza si associa
facilmente all’idea di assoluto.
Le posizioni spirituali basate sull’assoluto
hanno dato origine per lo più ad atteggiamenti che vengono chiamati al giorno
d’oggi, fondamentalisti.
Spesso, anzi spessissimo, le posizioni
fondamentaliste vanno mano a mano con atteggiamenti di natura repressiva.
Il
pericolo di questo processo, che è in antitesi alla civiltà del mondo
umanistico-scientifico, è attualissimo.
Il
desiderio di spiritualità è molto comprensibile, e va visto come un’esigenza
fondamentale della vita umana, piuttosto che come un ritorno ad un semplice
oscurantismo religioso.
La
ricerca di spiritualità tuttavia non va, proprio per questo, confusa con un
ritorno alle religioni.
Il
problema dunque è come dare allo stesso tempo spazio all’esigenza di
spiritualità senza cadere nel fondamentalismo religioso e neppure seguire i
movimenti della "new age".
Naturalmente
vorrei partire da un presupposto storico, cioè che la religiosità slavata del
cristianesimo occidentale moderno non possa essere una soluzione sociale
duratura, proprio per la sua debolezza storico-filosofica.
La tolleranza da parte del cristianesimo nei
confronti di una società chiamata da “Karl Popper” "aperta", peraltro
conquistata dal mondo laico umanista nel corso di secoli, spesso non in modo
incruento, è vista come debolezza da un’ottica più "fondamentale"
della spiritualità.
La
ricerca di una spiritualità più robusta e adatta al mondo moderno e
post-moderno richiede quindi uno sforzo di apertura concettuale non
indifferente.
La
spiritualità a mio avviso è troppo importante per lasciarla alle religioni.
Mi
propongo di mostrare come si può trovare la spiritualità all’interno del mondo
umanistico-scientifico, come un’estensione naturale alla lunga storia della
cultura umana che tende a scalzare le culture del trascendente.
L’umanizzazione
della spiritualità è dunque un processo in atto e di cui mi faccio semplice
portavoce.
Il
grandioso edificio della scienza umana, entro l’ottica illuminante
dell’evoluzione biologica e culturale, rappresenta insomma un’attività
spirituale “par eccellence”.
L’emergenza della spiritualità nell’evoluzione
umana.
Inizierò
dal problema della spiritualità e del suo emergere nell’evoluzione umana.
Questa si è sviluppata nell’arco delle decine di migliaia d’anni, che hanno
visto la comparsa dei primi segni di attività coscienti.
Non
intendo definire qui la spiritualità in modo troppo rigoroso, ma indicherò, con
questo termine un po’ generico, tutte quelle attività umane che ci spingono ad
andare oltre l’esperienza immediata del qui ed ora.
Questa
semplice definizione comprende il mondo dei sentimenti interiori, delle idee,
dell’immaginazione e delle credenze.
Parte
di queste attività spirituali comprende le visioni del mondo sia personali che
collettive, fra cui vi sono i miti, le religioni e anche la scienza stessa.
Queste
attività spirituali, del tutte umane, rappresentano il tentativo di dare un
senso in tre aspetti dell’esistenza umana. Dare senso:
1. al
mondo attorno a noi,
2. ai
nostri rapporti con altri esseri umani e
3.
alla nostra stessa esistenza individuale.
Da
dove viene questo bisogno di dare un senso a questi tre quesiti fondamentali
dell’esistenza?
In
questo tradisco, senza alcuna vergogna, la mia formazione di biologo e in
particolare di neuroscienziato.
L’evidenza
che l’essere umano sia emerso da un processo evolutivo, con i primi ominidi
apparsi circa da 3 a 5 milioni di anni fa, è incontrovertibile.
Il problema è quindi non già se l’uomo si sia
evoluto, ma come questo sia avvenuto.
Il
problema così attuale del genoma umano dimostra, in modo convincente, che
l’essere umano non è poi così distante dai suoi cugini nel processo di
diversificazione della vita sulla terra.
Il
processo evolutivo non comprende solo l’aspetto fisico dell’essere umano, ma
anche le sue attività mentali compreso il linguaggio, l’immaginazione, i
sentimenti, compreso quelli religiosi.
L’evoluzione del sistema nervoso (cervello)
sta’ certamente alla base del processo dell’evoluzione della mente.
Quindi
il problema che va posto non è se la religiosità e le attività spirituali siano
comparse per un processo evolutivo o meno, ma come e quando siano comparse.
Nell’evoluzione
del cervello c’e’ una buona correlazione fra la complessità del sistema nervoso
e il grado di costruzioni percettive del mondo esterno e degli individui stessi
di una particolare specie.
Questo
processo si è accelerato con la comparsa dei mammiferi, data l’importanza
crescente che i rapporti sociali hanno acquistato sia fra genitori e figli che
in comunità più estese.
Negli
organismi più complessi il cervello non controlla solamente movimenti e
comportamento e non solamente integra l’informazione sensoriale che giunge al
cervello attraverso i sensi, ma è anche sede di attività continua anche in
assenza di movimenti e di sensazioni.
Questa
attività "silente" del sistema nervoso può essere considerata a tutti
gli effetti come "attività mentale" cosciente o non-cosciente che
sia.
Naturalmente
anche l’attività mentale è comparsa per un lento processo evolutivo.
Ciò che chiamiamo le visioni del mondo, cioè
miti, religioni e la scienza stessa, per quanto grandiose siano, sono pur
sempre costruzioni mentali cioè umane. Pertanto, anche queste gigantesche e
complesse costruzioni del pensare umano, il modo in cui si vedono i rapporti
con altri esseri umani e il rapporto con sé stessi, sono stati della mente che
sono comparsi in qualche momento nell’evoluzione.
La
comparsa dei valori.
Fra
queste attività mentali, chiamiamole superiori nel senso che sono certamente le
più complesse sinora, c’e’ la capacità di attribuire significato e valori.
Viene
detto spesso che gli esseri umani sono unici nell’attribuire significati,
valori al mondo, a sé stessi e ad altri esseri umani.
Questa
caratteristica umana apparentemente unica, a meno che non la si ritenga di
origine trascendente, deve essere anch’essa il frutto di un processo evolutivo.
Come questa evoluzione possa essere avvenuta appare in parte chiaro dagli studi
degli altri animali.
Sin
dall’inizio gli organismi viventi hanno dovuto far delle scelte fra le diverse
richieste impellenti per la sopravvivenza stessa.
Nutrirsi,
fuggire dai pericoli e riprodursi sono le funzioni più fondamentali della vita
stessa.
Il
vantaggio evolutivo di provvedere strumenti adeguati per scegliere fra questi
comportamenti sta’ alla base del cammino evolutivo per lo sviluppo di un
sistema nervoso complesso, e ricco di attività "mentali".
Il
processo di fare scelte fra diversi comportamenti richiede prima di tutto la
capacità di percepire fenomeni salienti nell’ambiente esterno.
La
comparsa del sistema nervoso, sin dall’inizio della comparsa degli organismi
multicellulari, compreso quella dei vertebrati circa 500 milioni di anni fa,
testimonia l’importanza di questa funzione che si sviluppò più complessa nei
mammiferi.
Circuiti nervosi si svilupparono
specificamente per garantire comportamenti complessi ed effettivi per nutrirsi,
fuggire da danni e riprodursi.
Da
questi si svilupparono circuiti nervosi più raffinati che arricchirono il
repertorio di ciò che viene giustamente chiamato "comportamento
adattativo".
L’insieme
di questi circuiti nervosi e le loro interazioni con l’ambiente sono alla base
del processo di attribuire valori e senso di cui l’essere umano è così
impregnato.
Memoria,
tempo e angoscia esistenziale.
Un
altro aspetto fondamentale per comprendere la comparsa della spiritualità e’ lo
sviluppo della memoria.
L’emergenza
della memoria nel sistema nervoso ha una lunga storia.
L’aumento
di questa funzione permise agli animali più complessi di percepire le
regolarità più salienti nell’ambiente che facilitarono l’adattamento.
Lo
sviluppo della memoria attribuì agli ominidi capacità di immaginare situazioni
prima di averne esperienza diretta.
Questo
segna la comparsa dell’immaginazione.
Questo
passo evolutivo si accompagnò anche alla capacità di ricordare esperienze
passate mediante introspezione.
Con
l’immaginazione gli ominidi e gli esseri umani poterono proiettarsi nel futuro
e iniziare a pianificare comportamenti sulla base delle regolarità
dell’ambiente. Questa segna probabilmente la nascita del senso del tempo nel
sistema nervoso degli animali più complessi.
Quest’enorme
vantaggio evolutivo, di esser cioè capaci di compiere prove di vita
estemporanee, cioè prima di farle nella realtà, e’ avvenuto ad un altissimo
prezzo esistenziale. Nell’aumentare questa capacità di immaginare eventi prima
e dopo il momento pr
esente,
cioè di ampliare la sfera del "Tempo", il processo evolutivo
raggiunse uno stadio critico.
Gli esseri umani poterono immaginare tempi più
in là della propria vita, prima e dopo.
Divennero
pertanto consci della propria fine.
In
altre parole riconobbero la loro mortalità.
L’angoscia
esistenziale, provocata da questa presa di coscienza, rimane ancora
profondamente radicata nelle nostre menti.
Il
senso di disperazione di perdere qualcheduno a cui siamo emotivamente
attaccati, ha giocato e gioca un ruolo importante nel plasmare la nostra vita
individuale e sociale.
Naturalmente, anche la ricchezza delle
emozioni umane trova riscontro nell’evoluzione con la comparsa di circuiti
nervosi dediti a guidare comportamenti secondo esperienze piacevoli o sgradite.
La
comparsa di miti e religiosità coincide, probabilmente, con questo gradino,
molto drammatico, dell’evoluzione.
Il
senso della propria mortalità è stato da allora forse la sfida più grande che
ogni essere si porta dietro.
Questa
segna la nascita dell’attività mentale, conscia, e della spiritualità.
La spiritualità dunque è il risultato di un
lungo processo dell’esser cosciente di essere individui unici e distinti dal
mondo e dagli altri e inoltre di essere mortali. Ciascuno di noi, esseri
mortali e coscienti di esserlo, vive questi drammatici passi come esperienza
inevitabile della vita.
Angoscia,
paura, speranza, disperazione trovano tutte probabilmente le loro radici in
questo processo evolutivo, quasi fosse un prezzo inevitabile per il successo di
estendere le capacita mentali superiori.
Questo processo sofferto e paradossale
potrebbe essere la radice di ciò che siamo giunti a chiamare "la condizione umana".
L’esistenza
di un mondo oltre l’esperienza immediata divenne parte della "natura"
umana.
Dobbiamo
pensarlo come un processo che è nato circa 100 mila anni fa con “Homo Sapiens”
e che si sta ancora evolvendo.
È
l’inizio del porsi domande di natura fondamentale. È l’inizio della conquista
dell’ignoto.
I sentimenti di spiritualità, onniscienza,
onnipotenza e immortalità.
Vorrei
ora discutere l’idea che alcuni dei concetti profondi legati a sentimenti di
spiritualità, sono anch’essi il risultato di un’evoluzione culturale avvenuta
durante l’esistenza dell’Homo Sapiens.
La
capacità di immaginare situazioni, per poi comprovarle nella realtà, sta alla
base di ciò che chiamiamo conoscenza.
Il senso di aver conoscenza anche di eventi e
situazioni non immediate ha probabilmente dato origine, per un processo di
estrapolazione ultima, al concetto di onniscienza, del poter sapere saper
tutto, per lo meno in principio.
Il
sentimento esplicito di poter controllare il proprio destino che si accompagna
anche ad un senso di potere su sé stessi, sugli altri e sul mondo circostante,
sta’ probabilmente all’origine del concetto di onnipotenza.
La
terza idea fondamentale è legata alla difficoltà di accettare esistenzialmente
che il nostro stesso essere individuale possa scomparire semplicemente con la
morte.
Questo
rifiuto esistenziale ha probabilmente dato origine alla speranza e alla
credenza dell’immortalità dell’essere soggettivo, il sé stesso cioè l’anima.
Non è
probabilmente un caso che gli esseri umani abbiano attribuito alle loro entità
supreme caratteristiche di onnipotenza, onniscienza e di immortalità.
Curiosità
e fede.
La
realizzazione di essere individui, di essere distinti e separati dal mondo, e’
accompagnata da un senso di essere osservatori del mondo.
Assieme a questa capacità di separare
l’esperienza di un sé interno da quella di un mondo esterno, si sviluppò anche
un dualismo di vedute circa la natura di questo mondo.
Da un
lato vi è l’immediato, ciò che appare ai sensi, e dall’altro ciò che sta
nascosto dietro a ciò che appare.
Questa
è l’origine certamente preistorica, del senso che nulla è ciò che appare. Nulla
è ciò che sembra.
Questo segna la comparsa di un senso profondo
che ci sia una realtà nascosta, e più vera, di quella presente, delle
apparenze, qualche cosa che esiste oltre a ciò che viene osservato o vissuto
direttamente.
A questo senso dell’esistenza di un mondo che
va oltre l’esperienza immediata si accompagnò la curiosità che è il motore
della conoscenza.
Assieme
al bisogno di mantenere una curiosità viva, per poter compiere azioni a lungo
termine, azioni che spesso durano una vita intiera, si è dovuto sviluppare
un’altra importante capacità.
Un
senso di continuità nel tempo in previsione di ciò che ci si attende nel
futuro. Questo sentimento che da una certa sicurezza in ciò che accadrà è la
fede.
In questo senso fede e credenze sono stati
mentali di preparazione a ciò che avverrà.
Sono, per natura, temporanei.
Sono idee di ciò che potrebbe essere davvero
dietro le apparenze.
Sono
esperienze mentali di qualche cosa oltre l’osservazione e oltre l’esperienza
immediata.
La fede insomma rappresenta uno strumento essenziale per volgersi al quesito
delle realtà nascoste.
La
fede può esser quindi interpretata come un modo di dare un certo grado di
sicurezza che ci siano cose anche quando non si possono ancora vivere
direttamente, o perché non siano qui, o perché non accadano al presente.
Ad un
livello semplice, la fede equivale alla capacità di agire come se ci sia un
mondo oltre a ciò che si percepisce al momento.
Così per esempio, il semplice aver fede che
troveremo ancora i nostri cari quando torniamo a casa o al rifugio, o che
dietro quella collina ci sia un animale che inseguiamo, diventa un
atteggiamento essenziale per la sopravvivenza.
Credere è dunque uno stato temporaneo
necessario prima di poter stabilire e confermare come stiano, di fatto, le
cose.
Un’altra
caratteristica degli essere umani, che si e’ sviluppata assieme alla curiosità
e la fede, e’ il dubbio.
Ogni
volta che si dà una credenza, una possibile domanda si affaccia al pensiero;
"ma sarà proprio così?"
Questo
stato d’animo tempera le credenze e le obbliga a rimanere in sospeso sin tanto
a che non si sia andato a vedere cosa davvero ci sia.
Il
dubbio, o uno stato di un certo scetticismo, non e’ incompatibile ne’ con la
curiosità ne’ con la fede.
Il dubbio fa parte della triade di stati della
mente inquisitiva che comprendono dunque curiosità, fede e dubbio.
La
mente inquisitiva spinge a chiedersi "cosa c’e’?" poi "credo ci
sia questo o quello" e poi infine "ma sarà proprio cosi? "
La mente inquisitiva a sua volta fa parte del
processo di adattamento evolutivo che rende l’essere umano così
"mentale".
In
questa ottica evolutiva si può vedere ora più chiaramente che la scienza e’
un’attività inquisitiva che applica questa triade di atteggiamenti in modo più
rigoroso e completo di quanto fatto prima.
La
capacità di sperimentazione della scienza moderna ha esteso la capacità di
verifica di dubbi e pertanto ha aumentato in modo straordinario l’orizzonte
della conoscenza possibile.
Le
dicotomie; due visioni del mondo e la natura della realtà.
Negli
ultimi millenni di evoluzione culturale alcune dicotomie sono comparse a causa
di questa mente inquisitiva.
Una di queste, che rappresenta una potente
fonte di incertezza, è la dicotomia che c’e’ fra la realtà immediata e
materiale da un lato, e una realtà nascosta e più essenziale dall’altra.
Questa
dicotomia ha portato molti pensatori ad oscillare fra due posizioni
apparentemente inconciliabili di cosa sia la realtà.
Da un
lato c’e’ un profondo senso dell’importanza della immediatezza della nostra
esperienza.
Questo ha portato molti pensatori ad affermare in modo
deciso che il mondo è ciò che appare, e che ciò che si vede, si tocca e si
sente è reale (vedere è credere) e che quello che ci dicono i nostri sensi è
reale.
Chiamerò questo il mondo del qui-ed-ora.
Dall’altro
lato l’esperienza di cose e fenomeni che non si osservano immediatamente, ma
che pur ci sono alla luce dell’esperienza susseguente, suggerisce che ci sia un
mondo reale, ma nascosto.
Che ci sia una natura essenziale più vera di
quella immediata.
È
l’idea platonica alla ricerca dell’essenza delle cose, per rivelare cosa c’e’
dietro le apparenze.
Chiamerò
questo mondo dell’ al-di-là.
Da
queste tendenze apparentemente contraddittorie sono nati da un lato il concetto
della” res extensa”, basata sulle sensazioni, su oggetti esterni, il mondo
materiale della fisica e della materia che decade, e dall’altro il concetto
della “res cogitan”s, delle cose immateriali, dei sogni, dell’immaginazione,
delle idee, della mente pensante, dello spirito immutabile, dell’anima
immortale.
Da ciò
l’idea che ci siano due o più conoscenze adatte ai due mondi, quello della
materia e quello dello spirito.
L’una si acquista attraverso i sensi dal mondo
materiale (la scienza apparterrebbe a questa forma di conoscenza) e l’altra
proviene dal mondo spirituale come il ragionamento aristotelico
ipotetico-deduttivo, l’intuizione, o addirittura le post Platoniche
"rivelazioni divine" comunicateci direttamente o indirettamente da
entità trascendenti.
Questo
dualismo si irrobustisce con la distinzione fra il sapere a priori e
trascendente e quello scientifico a posteriori e immanente, oppure
considerandole conoscenze parallele con magistero equivalente, ma in campi
diversi.
Da qui
il potenziale scontro fra conoscenza per illuminazione divina e conoscenza
tutta umana.
La
distinzione fra questi due mondi permea ancora sia il linguaggio di tutti i
giorni che quello dei concetti di cosmologia.
In filosofia questa dicotomia e’ nota come la
visione dualista del mondo che dobbiamo in tempi recenti a Cartesio.
In molti dei libri sulla spiritualità moderna
questo concetto è accettato come dato indiscutibile e temo che molti di voi
nell’udienza accettino questa visione dualistica con tutti i paradossi che ne
conseguono.
Vedremo che il negare completamente le due visioni
porta a impossibilità ancora più estreme.
Vorrei
proporre il modo in cui possiamo vedere questi due mondi e modi di conoscerli
sotto una prospettiva umanistico/scientifica, rifacendomi alla natura comune
della conoscenza e dei processi evolutivi che sottostanno alla conoscenza.
Gli
esseri umani da un lato devono interagire continuamente con il mondo mutevole
dell’immediato e, dall’altro grazie al processo straordinario di evoluzione del
cervello, gli esseri umani possiedono anche un'attività nervosa indipendente
dal sensorio immediato che e’ presente anche in assenza di movimenti e di
comportamento.
Questo stato di attività cerebrale senza
azione può essere definita come attività mentale, cioè pensiero.
Da qui la distinzione fra il mondo del
pensiero interiore e immateriale e il mondo esterno e materiale.
Questi processi, hanno certamente aiutato gli
esseri umani a vivere sia nel contatto continuo del presente immediato che nel
concepire un mondo del passato e del futuro.
Questo è la funzione d’adattamento di questi
processi.
Mi
pare che questa dicotomia sia emersa da un processo di estrapolazione,
comprensibile ma forse esagerata, di processi del tutto normali.
Ma non dovrebbe quindi sorprendere che
qualsiasi tentativo di negare l’una o l’altra di queste visioni della realtà
abbia portato a paradossi impossibili da risolvere.
Di
fatto sia la visione che solo le idee sono reali (idealismo classico) sia
l’idea che solo la materia sensibile è reale (materialismo classico) hanno
portato inevitabilmente a situazioni insoddisfacenti sia per la vita pratica
che per la filosofia.
Oltre
al dualismo.
Queste
due visioni del mondo, spinte agli estremi da diversi filosofi sia
dell’idealismo che del materialismo, non sono convincenti per un critico serio.
Che
l’esperienza soggettiva non significhi una "esistenza reale" è
chiaramente assurda per la maggior parte delle persone pensanti e di buon
senso.
La
conseguenza del negare questa visione è che si rifiuterebbe di
"esistere" nel presente, nel qui e ora, con chiari problemi di
sopravvivenza.
D’altro
lato l’idea che il mondo sia fatto solo di materia sensibile conosciuta solo
attraverso l’esperienza immediata e che non ci sia un mondo di esistenza
mentale è altrettanto assurda.
La
conseguenza del negare la vita mentale porta a considerare altri esseri umani
dei semplici automi, atteggiamento esistenzialmente incompatibile con l’esperienza
personale per la quale si tratta con altri esseri umani come se fossero
coscienti e autonomi.
D’altro
canto la visione che il mondo sia fatto solo di idee a che addirittura il mondo
sia del tutto immaginario e che potrebbe non esistere al di fuori della nostra
esperienza è un esercizio che porta solo al solipsismo.
La
visione tradizionale è stata che il mondo della materia è cangiante, caduco
limitato nel tempo e nello spazio, mentre il mondo spirituale è immateriale, e
non limitato da spazio e tempo immutabile.
Questa
visione normalmente sostiene che questo secondo mondo dello spirito sia un
mondo migliore nel quale le menti, gli spiriti esistono lontano dal mondo di
dolori e tragedie del mondo materiale, e che le anime dunque trovano pace e
riposo "nell’altro mondo".
Questa
metafora dei due mondi ha resistito per molte centinaia di anni, forse
millenni, tanto forte è l’importanza che questi due tipi di esperienze hanno
per gli individui.
Di
fatto salvo il credere che ci sia una mente non-umana capace di osservare il
mondo dal di fuori, non vi è altro modo di superare i paradossi della visione
dicotomica, salvo il comprendere meglio l’origine e la ragione evolutiva di
pensare alla esperienza soggettiva del "sé" e ad un "mondo"
separato dal sé.
Questa
dicotomia è artificiale e nasce a mio avviso, da una serie di malintesi circa
la natura della conoscenza.
Seguendo
questa dicotomia la conoscenza del mondo cosiddetto fisico è prerogativa della
scienza, mentre la conoscenza dei pensieri e della mente umana, del mondo
cosiddetto spirituale cioè, è prerogativa della filosofia e della religione. Questa separazione a mio avviso oggi
insostenibile.
I
malintesi su cui si basava possono essere chiarificati.
Fra
gli studiosi di scienze cognitive e alcuni filosofi si ritiene che anche le
esperienze più soggettive, quelle ritenute appartenenti al mondo dello spirito,
hanno una controparte fisica.
Che
sono cioè stati fisici del sistema nervoso seppur molto complessi.
D’altro lato dobbiamo anche accettare che e’
il funzionamento del cervello a creare una realtà, come quella delle nostre
vivenze, e che quindi anche le entità più prettamente "fisiche e
materiali" hanno associate ad esse un aspetto di spiritualità umana, nel
senso che sono il prodotto di una costruzione mentale, pur coerente con il
mondo.
È
proprio la coerenza fra costruzioni mentali e conseguenze nel mondo, che
giustifica evolutivamente la correttezza di queste costruzioni.
Infatti,
questo processo, che può considerarsi di superamento della dicotomia dello
spirito e della materia, del corpo e della mente è già a buon punto.
Oramai quasi nessuno si fa fautore esclusivo
di una delle due soluzioni opposte e paradossali.
Malgrado
le difficoltà di pensiero, che non vanno sottovalutate, non è sorprendente che
il processo di superamento sta avvenendo perchè le idee dualiste svaniscono per
lasciar posto ad idee più mature e unificanti.
In questa ottica la prima
considerazione e’ che se sia la costruzione del mondo esterno da parte della
mente che la creazione di un mondo soggettivo interno sono il prodotto
dell’evoluzione, allora si possono considerare soggetto di studio sotto una
stessa prospettiva.
Quella cioè di trovare i correlati
dell’attività nervosa alle esperienze esterne ed interne.
Questo sta’ avvenendo ad esempio con
gli studi delle attività nervose correlate con sperienze religiose.
Naturalmente questi studi si
inquadrano in una visione più ampia che prende spunto da diverse branche della
conoscenza fra cui psicologia, psichiatria, linguistica, neuroscienze,
antropologia, biologia ecc.
D’altro
lato in fisica l’influenza del pensiero umano stesso nel plasmare le idee circa
la natura del mondo porta con sé sempre di più un’impronta prettamente umana.
Si parla di un principio antropico per
indicare proprio questa sensazione che la mente umana impronta di se persino le
apparenti leggi naturali.
Si
pensa, evitando di esagerare l’importanza della mente umana, che non sia un caso
che la mente trovi principi dell’universo che sono totalmente coerenti con la
mente.
La
mente si è evoluta adattandosi al mondo e quindi non è sorprendente che
rifletta questa coerenza, senza la quale la specie umana non sarebbe comparsa
come specie adatta alla vita su una terra con aria, sole e gravità.
Una
prospettiva di conoscenza umanistica.
Tenendo
conto di tutto quanto detto sopra si può affermare, con la prospettiva
dell’umanesimo scientifico, che la conoscenza può essere solo umana e che e’ il
risultato di un’attività tutta umana, non derivante da un’istruzione da entità
divine.
Il
mondo da un lato quello materiale cioè fatto di oggetti e fenomeni, e il mondo
spirituale, cioè tutte le attività mentali, dall’altro, sono parte dello stesso
universo a cui si può accedere solo mediante la mente pensante dell’uomo.
Forse
il vederci e accettarci come parte del mondo stesso, è un primo passo
necessario.
La storia del riconoscimento che noi non
occupiamo poi un posto così importante nel mondo tanto da pensare che il mondo
sia una creazione solo per uso dell’uomo, è lunga ed è appena agli inizi.
Nell’afflato di spiritualità, nel desiderio di
trascendere l’esperienza immediata e di dar senso al mondo, alla vita a noi e
agli altri, la conoscenza scientifica umanistica mi pare abbia un ruolo
fondamentale da giocare.
La dimensione spirituale della scienza.
Come
dissi sopra la tendenza alla spiritualità dell’essere umano si manifesta con un
desiderio di dare senso alla propria esperienza, cioè dar senso del mondo, dar
senso di sé in rapporto agli altri e dar senso di sé come essere individuale.
A questo desiderio corrispondono tre
corrispondenti domande fondamentali.
1. La
prima questione è quella delle origini. L’origine del mondo, della vita e
dell’uomo.
2. La
seconda è quella delle relazioni umane, dell’origine dei costumi, delle leggi
di convivenza della moralità e dell’etica.
3. La
terza questione è quella dell’identità personale.
In
altre parole chi siamo per noi e come conciliamo le nostre vivenze individuali
e uniche con il mondo e con gli altri.
La
scienza, come si e’ sviluppata nella cultura post-rinascimentale, fa parte del
processo di evoluzione culturale che mira a dare spiegazioni alle tre questioni
fondamentali accennate sopra.
La scienza, a differenza delle altre
cosmologie religiose e mitiche o mistiche, ha pazienza.
Cioè
resiste a dare spiegazioni affrettate solo perché si è posta una domanda.
Questa pazienza spesso le religioni non l’hanno e hanno creato mostri di
pensiero dai quali stiamo ancora liberandoci.
Pian
piano, la scienza sta raggiungendo una unità di visione grazie alla coerenza
fra molte vie di investigazioni.
La "consiliency" di E Wilson
corrisponde al concetto di concordanza fra campi del sapere diverso.
Questa
concordanza sta alla base dell’unificazione possibile del sapere. Non un sapere finale, ma sempre
approssimato e evolvente.
Da
questa nuova maturità, raggiunta dalla scienza umanistica, si possono
intravedere cenni di risposte alle tre questioni fondamentali.
Circa
la questione delle origini, la scienza ci mostra un universo in evoluzione
comparso circa 15 miliardi di anni fa, nel quale la vita sulla terra comparsa
da qualche miliardo di anni, viene oramai vista come una serie di gradini
incredibilmente complessi ma che riportano la questione ad un livello umano.
La comparsa dell’uomo poi con tutte le sue
unicità di pensiero, linguaggio e autocoscienza è pure riportata a misura di
conoscenza umana.
Circa
la questione dei rapporti con gli altri, e quindi le basi dell’etica, il
riconoscimento che si è una specie di mammiferi con ancora molte delle
caratteristiche associate ad essi, ci fa accettare che fenomeni quali la
cooperazione, la lotta per la riproduzione, le emozioni associate alla vita di
gruppo, sono tutte parte del nostro bagaglio biologico, accettato e non
rifiutato.
La
morale e l’etica insomma hanno una radice profondamente biologica.
Il sentirci parte dell’evoluzione della vita
ci dà anche un senso profondo di appartenenza comune ad una terra, piccolo
granello nell’universo.
La
possibilità di essere una specie che potrà finire come tutte le altre ci dà un
profondo senso di umiltà.
La comparsa delle culture nelle società
animali si estende all’uomo.
Le
culture stesse diventano soggetto di studio e rendono più consapevoli noi dell’
attenzione con la quale si deve
considerare il processo di convivenza su uno stesso pianeta.
Circa
la terza questione fondamentale dell’essere individuale, della vita interiore,
la scienza non si ritira in un agnosticismo.
Questa
questione è quella di maggior difficoltà in quanto va a toccare processi
profondi, e nascosti, all’introspezione.
L’origine
della coscienza personale rappresenta una delle maggiori sfide al sapere umano.
Ma con
le possibilità che compaiono molto rapidamente, di indagare lo stato del
cervello associato a diverse esperienze, si apre la prospettiva di non
considerare più la mente una scatola chiusa dentro il cranio, ma come una
particolare e forse unica, struttura della materia con stati che corrispondono
al "soggettivo".
Considerazioni
finali.
La
nuova maturità che emerge da queste conoscenze scientifiche, mai come prima
disponibili ai più, attraverso pubblicazioni chiare e semplificate, ma valide e
profonde, può, in effetti, prendere un posto importante nella cultura umana,
nella ricerca di risposte alle questioni fondamentali.
Il
posto dell’uomo nel mondo, il rapporto di interdipendenza dagli altri, e quello
particolarissimo del sé stesso che viene dal nulla e torna al nulla, possono
esser visti con questa nuova ottica con un maggior senso di matura serenità.
La
scienza vista come l’attività spirituale sociale più eccelsa ha dunque la
responsabilità di dare risposte alle domande, non solo quelle del primo quesito
sulle origini, ma anche sulla società e sull’essere stesso cosciente e autonomo
e quindi responsabile.
Come
prodotto di esseri responsabili, la scienza ha una responsabilità ancora
maggiore di occuparsi di tutti gli aspetti della vita umana soprattutto a
lenire le sofferenze dovunque esse accadano.
Lo
scherzo che uccide.
Non si
tratta di soldi.
Si
tratta di inviare un messaggio.
Tyheburningplatform.com
- substack.com – Redazione – (4 novembre 2024) – ci dice:
Fin
dall'inizio dell'Accordo di Bretton Woods del 1944, il Federal Reserve System,
di proprietà privata, non vedeva l'ora di imporre il denaro fiat puro alle
nazioni commerciali del mondo.
Dopo
la fine della Seconda Guerra Mondiale, l'Europa e il Giappone erano terre
desolate industriali, l'estrazione mineraria dagli imperi coloniali europei
aveva solo scalfito la superficie, e gli Stati Uniti d'America e i loro
cittadini produttivi erano pronti con le banconote della Federal Reserve appena
stampate per ricostruire il mondo.
Quei
primi vent'anni di supremazia della valuta di riserva in dollari USA si
svolsero senza intoppi, poiché l'Europa e il Giappone dovettero importare
praticamente tutto ciò di cui avevano bisogno, e pagarono gran parte di esso in
dollari USA garantiti dall'oro.
Poi arrivarono gli anni '60 e si rivelarono
difficili a causa del requisito che il Tesoro pubblico degli Stati Uniti
detenesse oro fisico per sostenere quelle banconote private della Federal
Reserve.
Perché
una volta che l'Europa e il Giappone hanno ricostruito le loro basi industriali
– per gentile concessione della generosità dei contribuenti americani – hanno
iniziato a generare riserve di valuta estera in eccesso producendo ed
esportando roba al popolo americano ora ricco con reddito discrezionale.
Sempre più nazioni produttive – in particolare
le nazioni produttrici di petrolio – hanno chiesto di scambiare i loro dollari
USA in eccesso con oro fisico secondo il bianco e nero dell'accordo di Bretton
Woods.
Le
riserve auree del Tesoro degli Stati Uniti si sono rapidamente prosciugate, i
dollari si sono accumulati in patria senza un posto dove andare, e la
situazione è diventata terribile poiché la stabilità economica dell'intero
mondo libero era a rischio.
Il
lato "Libertà" di quel nuovo ordine mondiale con l'America al suo
apice stava affrontando un collasso imminente.
All'inizio
degli anni '70, il nascente sistema monetario del mondo "libero"
stava vacillando sull'orlo del baratro e qualcosa doveva essere fatto per
tenere l'Europa e il Giappone fuori dalla sfera dei cambi del rublo sovietico.
L'Unione Sovietica aveva abbastanza risorse
auree non estratte per costruire un sistema monetario globale a riserva
frazionaria concorrente, ma aveva abbandonato il suo rublo d'oro nel 1924 e
aveva preso la strada del “denaro fiat” per finanziare l'industrializzazione e
la militarizzazione in tutto il suo impero tentacolare ma contiguo.
Se i sovietici avessero abbandonato la loro “moneta
fiat” e avessero iniziato a estrarre quell'oro nel terreno, il loro ritorno al
rublo d'oro si sarebbe dimostrato un formidabile concorrente di quelle
banconote private della Federal Reserve in circolazione con la loro offerta
d'oro in diminuzione dietro di loro.
Così
la scienza economica americana divenne una corsa contro il tempo sia per
evitare l'esaurimento delle riserve auree del Tesoro, sia per tenere l'Unione
Sovietica completamente occupata in modo che non potesse mai ricorrere
all'estrazione di quella risorsa aurea per sostenere un sistema monetario
sovietico rivitalizzato.
Ma i
costi per sostenere l'esercito americano convenzionale necessario per difendere
il Re Dollaro fino alla morte ovunque e ovunque nel mondo "libero",
in qualsiasi momento, stavano diventando insostenibili con il passare degli
anni di aumento dell'offerta di moneta M1.
La
"libertà" dopo tutto non era gratuita, era molto costosa se valutata
in oro, ma era infinitamente più economica se valutata in “fiat”.
Se gli
Stati Uniti volevano stampare più denaro per finanziare questa difesa, dovevano
prima comprare più oro che sarebbe stato rapidamente scambiato con quei dollari
statunitensi detenuti all'estero che si accumulavano all'estero.
Questo
esaurimento delle riserve auree non poteva continuare all'infinito poiché c'era
un fondo a questo esaurimento e quel fondo era una riserva aurea pari a zero.
E quel requisito di detenzione dell'oro ha
tolto denaro che avrebbe potuto essere speso per combattere guerre ed espandere
l'impero mondiale "libero".
Ma se
gli Stati Uniti stampassero più dollari e non comprassero più oro, il prezzo
dell'oro esploderebbe e scatenerebbe l'iperinflazione mentre la facciata
monetaria veniva abbassata per rivelare il saldo zero.
Le
nazioni commerciali del mondo cercherebbero quindi un'alternativa stabile a
quelle “banconote private” della Federal Reserve, e un'Unione Sovietica
opportunista avrebbe solo bisogno di iniziare a estrarre il suo oro per
raggiungere questo obiettivo.
Bisognava
fare qualcosa per mantenere il mondo "libero" nella sfera del dollaro
USA, mantenendo i sovietici completamente occupati in modo che non potessero
mai esperire le loro risorse auree.
Se la
guerra del Vietnam ha dimostrato qualcosa, è che la difesa di Re Dollaro
sarebbe stata una lunga, brutale e costosa fatica e che ogni dollaro era
necessario per la causa.
E mentre le riserve auree si esaurivano, gli
Stati Uniti non potevano onorare l'accordo di Bretton Woods e quindi non
potevano stampare il denaro necessario per difendere il loro re.
La scienza politica americana si trovò di
fronte a una situazione di scelta tra solvibilità e guerra continua.
Ma ci
doveva essere una soluzione a questa equazione, poiché l'unica cosa che si
frapponeva tra il sistema privato della Federal Reserve e il dominio totale del
mondo era il requisito per il Tesoro pubblico degli Stati Uniti di detenere
riserve auree per sostenere questa valuta di riserva mondiale.
Anche
se la Guerra Infinita doveva ancora iniziare, la guerra globale per imporre il
Re Dollaro al mondo e sostituire il rublo era ben avviata.
I
vassalli stranieri si rifiutarono di acquistare banconote e buoni del Tesoro
degli Stati Uniti, preferendo invece convertire il Re Dollaro nella barbara
reliquia.
Wall
Street, sul fronte interno, è riuscita a malapena a spremere un altro punto
base di guadagno in efficienza da un “Joe Six Pack” lento e coccolato, ma
ancora produttivo.
E
Madison Avenue ha trovato sempre più difficile estrarre un altro nichelino
dall'unità di consumo americana frugale e incline al risparmio.
Se i
Re Filosofi dietro il Federal Reserve System non sono riusciti a conquistare il
mondo con le promesse insite nella carta riscattabile in oro, allora a cosa
serviva quella carta quando l'oro si è esaurito?
Re
Dollaro ne aveva avuto abbastanza del suo regno benevolo.
Così i
Re Filosofi escogitarono un piano ingegnoso in base al quale avrebbero tenuto
la carta e abbandonato l'oro.
L'argento
era già sparito, poiché avevano già ordinato al presidente Johnson di
sbarazzarsi dell'ingerenza monetaria di Kennedy con il “Coinage Act” (1965) e
di sbarazzarsi di Kennedy nel 1963.
E non fu un caso che l'anno successivo il
volto del presidente Kennedy comparve ironicamente sul mezzo dollaro d'argento
per commemorare l'atto e dire addio per sempre alla moneta d'argento.
Ma
quale nazione sana di mente scambierebbe petrolio, grano, legname, tondo per
cemento armato, cemento, acido solforico e tutte le forme di prodotti a valore
aggiunto per semplici cambiali di carta?
E' stata quella promessa di Piena Fede e
Credito che ha motivato le nazioni commerciali del mondo a mettersi in riga e a
giurare la loro incrollabile lealtà a Re Dollaro?
No,
era la paura costante e pervasiva di essere istantaneamente vaporizzati in
cenere.
Il
problema con il "capitalismo" diretto dalla “Banca Centrale privata”
è che una cosa buona non è mai abbastanza buona.
Come
un avido contadino che spinge il suo mulo da aratro alla sua morte per
esaurimento, l'agricoltore si aspetta sempre che il reddito derivato da quel
mulo morto faciliti non solo l'acquisto di uno nuovo, ma generi anche un
profitto.
Ma per
garantire una fornitura infinita di muli freschi, i Re Filosofi dovettero prima
far fluire “dollari fiat puri”.
Dopotutto, il tentacolare impero sovietico è
stato costruito quasi interamente con “rubli fiat”, quindi il precedente era
stato stabilito.
E per
far sì che quei dollari fiat puri fluiscano e siano accettati senza protestare
ovunque e ovunque nel mondo, è stato necessario evocare uno stato globale di
paura pervasiva e permanente.
E
quello stato globale di paura pervasiva e permanente sarebbe stato molto più
difficile che evocare semplici cambiali cartacee.
E stava per drenare un sacco di oro dalle
casse del Tesoro degli Stati Uniti durante la transizione verso la Piena Fede e
Credito, che da allora in poi avrebbe arginato il drenaggio dell'oro – perché
non ce ne sarebbe più stato nessuno da drenare – e non avrebbe richiesto altro
che la magia di evocare sempre più carta moneta all'infinito.
Vedi!
Vedi! Le vostre stupide menti! Stupido! Stupido...!
Ciò di
cui i Re Filosofi avevano bisogno ora era la Scienza Economica.
Ma con
ogni unità di pura moneta fiat evocata all'infinito, i Re Filosofi dovevano
anche evocare un'unità proporzionale di paura pervasiva e permanente
all'infinito. E “The Economic Science™ “vide chiaramente arrivare quel giorno
in cui l'oro si sarebbe esaurito e Bretton Woods sarebbe diventata obsoleta.
Gli
"alleati" avevano inserito quella sicurezza in materia di oro
nell'accordo del 1944 per dare loro il tempo di reindustrializzarsi, a spese
dei contribuenti americani, e poi riprendersi il premio della valuta di riserva
mondiale una volta che il progetto dell'Unione Europea con il suo blocco
monetario unico fosse diventato operativo.
Così, nel 1958, la “Scienza™ Economica”
convinse la “scienza politica” a evocare la “NASA”, con una missione occulta
per andare coraggiosamente dove nessun missile balistico intercontinentale era
mai andato prima.
Divenne
una corsa contro il tempo e la tecnologia del sistema di guida russo quando,
nel maggio del 1960, questi russi ebbero l'audacia di abbattere un aereo spia
americano U2 che sorvolava il loro paese e di dimostrare al mondo la natura
obsoleta di un arsenale di lancio di carichi nucleari ad ala fissa.
Così,
nel novembre del 1960, la NASA tolse un veicolo di lancio “Jupiter-C” dalla
ricerca e sviluppo e lo attaccò a un razzo “Redstone dell'esercito americano” e
voilà!
Era nato il "programma spaziale"
americano.
Ma i voli suborbitali con scimmie solitarie e
pochi massoni non hanno inculcato paura in quelle nazioni che chiedevano oro
per i loro guadagni in valuta estera. Anche il mondo non ha recepito il
messaggio esplicito, nonostante il” progetto Mercury” prenda il nome dal “messaggero
degli Dei”.
La
NASA avrebbe avuto bisogno di un razzo più grande e più spaventoso.
E
sarebbe costato un sacco di soldi ai contribuenti.
Divenne
una corsa contro il tempo prima che l'oro finisse e l'esercito per procura di
Re Dollaro andasse in bancarotta.
Avremo
bisogno di un carico di paura più grande.
Entra
in scena un uomo morto che porta a spasso il presidente Kennedy nel settembre
del 1962 con la sua promessa improvvisa di mandare un americano sulla luna che
nessuno ha mai chiesto e di cui nessuno aveva veramente bisogno.
Tranne
i Re Filosofi – hanno ottenuto il volo orbitale terrestre basso con i razzi “Titan-II
del progetto Gemini” e il popolo americano ha avuto una grande faccina
sorridente gialla su un programma ICBM super costoso.
Lo
spazio può essere l'ultima frontiera, ma è realizzato in un seminterrato di
Hollywood.
Dov'è il cratere del pennacchio di scarico? Dov'è la
polvere? Dove sono le stelle?
Gli
ultimi pezzi andarono al loro posto una volta che il presidente Kennedy si fu
tolto di mezzo, quelle banconote degli Stati Uniti furono cacciate e ritirate
una per una dalla circolazione, e il Tesoro degli Stati Uniti vendette tutte le
sue riserve d'argento.
Il
percorso verso la “pura fiat” è stato completato con il successo del lancio di
prova dell'Apollo 8 e del suo razzo Saturn V.
Le restanti missioni Apollo erano solo uno
spettacolo pubblico: non riguardavano i soldi, ma l'invio di un messaggio.
Un
messaggio al mondo che i Re Filosofi aspiravano a raggiungere la statura di
Dei, equivalente a quelli di Apollo, e che nessun mortale d'ora in poi avrebbe
ostacolato la loro strada.
I Re
Filosofi avevano il loro inattaccabile sistema di lancio del carico nucleare
ICBM.
Il contribuente americano ha ottenuto “Tang e
le banconote crescenti” per la difesa di Re Dollaro.
E il
mondo è entrato in uno stato di paura pervasiva e permanente. Il mondo era
pronto per il puro fiat universale. Il mondo era pronto per la sua marcia verso
la Fine della Storia.
Temo
che si sia rotto, signor Peabody.
Non c'è modo di tornare indietro.
E quei
missili balistici intercontinentali dotati di armi nucleari erano la prova di
sicurezza della fine della storia dei Re Filosofi.
Se i Re Filosofi non potessero avere la loro Fine
della Storia in cui regnerebbero come dei, allora l'America e il mondo non
avrebbero più storia.
In un
modo o nell'altro, l'età della storia stava volgendo al termine.
Ma
come iniziare quella marcia unita e irreversibile di oltre 207 milioni di
americani attraverso il traguardo della Fine della Storia?
I Re Filosofi avevano bisogno di fornire la
giusta motivazione, e quella giusta motivazione doveva essere commercializzata,
e che il marketing doveva far partire quella marcia irreversibile prima che
l'alzata e la partenza dell'”Apollo 11 Show” si alzasse e se ne andasse.
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