Necessità reali dell’umanità.

 

Necessità reali dell’umanità.

 

 

Ricchi sempre più ricchi mentre

la povertà aumenta: “Nessuno

dovrebbe avere un miliardo.”

Cdt.ch - Michele Montanari – (15.01.2024) – ci dice:

 

Il Report Oxfam.

Tra pandemia, guerre e inflazione, gli stipendi di milioni di lavoratori crollano mentre poche aziende sono ancora più potenti: «Super-ricchi cresciuti a un ritmo di 14 milioni di dollari l'ora, i Governi devono intervenire».

 

Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.

 L’ineguaglianza nel mondo sta aumentando a un ritmo vertiginoso e passeranno centinaia di anni prima che la povertà venga sradicata.

È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Oxfam (Oxford Committee for “Famine Relief”), secondo cui i cinque uomini più ricchi del pianeta (Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Mark Zuckerberg) hanno più che raddoppiato la loro fortuna, passando da 405 miliardi di dollari del 2020 agli attuali 869 miliardi di dollari.

Si parla di un ritmo di crescita di 14 milioni di dollari l’ora, mentre quasi cinque miliardi di persone sono diventate più povere.

 Se le tendenze attuali dovessero continuare - si legge nel documento dal titolo “Inequality Inc”. - il mondo avrà il suo primo trilionario (un trilione nella scala corta statunitense equivale a mille miliardi, ndr) entro un decennio e la povertà non sparirà dal nostro mondo prima di altri 229 anni.

 

Il report, pubblicato oggi, 15 gennaio, giorno in cui le élite imprenditoriali si riuniscono a “Davos” per il “World Economic Forum” (WEF), rivela che sette delle più grandi aziende del mondo su dieci hanno un miliardario come amministratore delegato o come principale azionista.

Queste società valgono 10,2 trilioni di dollari, ossia più del PIL di tutti i Paesi dell’Africa e dell’America Latina sommati.

Il direttore esecutivo ad interim di “Oxfam International”,” Amitabh Behar”, ha commentato:

 «Stiamo assistendo all’inizio di un decennio di divisione, con miliardi di persone che si fanno carico dell'impatto economico di pandemia, inflazione e guerra, mentre le fortune dei miliardari crescono.

Questa disuguaglianza non è casuale, i miliardari si assicurano che le aziende gli garantiscano più ricchezza a spese di tutti gli altri».

 E ancora:

«Il potere monopolistico di queste società è una macchina che genera disuguaglianza:

 spremendo i lavoratori, eludendo le tasse, privatizzando gli enti statali e stimolando il collasso climatico, le aziende stanno incanalando ricchezza infinita verso i loro proprietari ultra-ricchi.

Ma stanno anche incanalando il potere, minando le nostre democrazie e i nostri diritti.

Nessuna azienda o individuo dovrebbe avere così tanto potere sulle nostre economie e sulle nostre vite: per essere chiari, nessuno dovrebbe possedere un miliardo di dollari».

In anni difficili, segnati dalla pandemia e guerre come quella in Ucraina e nella Striscia di Gaza, la ricchezza estrema è andata consolidandosi, mentre la povertà globale è rimasta impantanata ai livelli pre-COVID.

 Dal 2020 le ricchezze dei miliardari sono cresciute tre volte più velocemente del tasso di inflazione.

Nonostante rappresentino solo il 21% della popolazione mondiale, i Paesi del Nord del mondo possiedono il 69% della ricchezza globale e ospitano il 74% dei beni mondiali dal valore miliardario.

L’1% di ultra-ricchi possiede il 43% di tutte le attività finanziarie globali.

I «Paperoni» detengono il 48% della ricchezza finanziaria in Medio Oriente, il 50% in Asia e il 47% in Europa.

Le grandi aziende, inoltre, sono destinate a frantumare i loro record di profitti annuali:

 148 delle più grandi società del mondo insieme hanno raccolto 1,8 trilioni di dollari di profitti netti totali fino al mese di giugno del 2023, un aumento del 52% rispetto all'utile netto medio nel periodo 2018-2021.

 I loro profitti straordinari sono saliti a quasi 700 miliardi di dollari.

Il rapporto rileva che per ogni 100 dollari di profitto realizzati da 96 grandi aziende tra luglio 2022 e giugno 2023, 82 dollari sono finiti nelle tasche dei principali azionisti sotto forma di dividendi o buyback.

Secondo “Amitabh Behar”, «i monopoli danneggiano l’innovazione e schiacciano i lavoratori e le piccole imprese. Il mondo non ha dimenticato come i monopoli farmaceutici (la cosiddetta Big Pharma) abbiano privato milioni di persone dei vaccini contro il Covid-19, creando una apartheid razziale e creando al tempo stesso un nuovo club di miliardari».

Le persone in tutto il mondo lavorano di più, spesso per salari miseri, in posti di lavoro precari e non sicuri.

I salari di quasi 800 milioni di lavoratori non sono riusciti a tenere il passo con l’inflazione e sono andati persi 1,5 trilioni di dollari negli ultimi due anni, l’equivalente di quasi un mese (25 giorni) di lavoro non retribuito per ciascun lavoratore.

Qualche esempio di monopolio?

Il report cita “Bernard Arnault”, il secondo uomo più ricco del mondo, a capo dell’impero del lusso LVMH.

Arnault è già stato multato dall’organismo antitrust francese.

Possiede anche il più grande media francese, “Les Écho”s, e “Le Parisien”.

Poi c''è “Aliko Dangote”, la persona più ricca dell’Africa, che detiene un «quasi monopolio» del cemento in Nigeria.

 L’espansione del suo impero nel settore petrolifero ha sollevato preoccupazioni sull'arrivo di un nuovo monopolio privato.

Senza contare “Jeff Bezos”, il cui patrimonio di 167,4 miliardi di dollari è aumentato di 32,7 miliardi di dollari dall’inizio del decennio.

 Il governo degli Stati Uniti ha citato in giudizio Amazon, la creatura di Bezos, per aver esercitato il suo «potere monopolistico» per aumentare i prezzi, peggiorare il servizio rivolto agli acquirenti e soffocare la concorrenza.

Stando a un’analisi basata sui dati della “World Benchmarking Alliance”, che comprende oltre 1.600 tra le più grandi aziende di tutto il mondo, lo 0,4% di queste si impegna pubblicamente a pagare ai lavoratori un salario dignitoso e a sostenere un salario dignitoso nelle loro catene del valore.

 Poi però emergono situazioni di assoluta disparità:

stando al report, per una donna attiva nel settore sanitario o sociale ci vorrebbero 1.200 anni per guadagnare quanto in un anno percepisce, in media, l’amministratore delegato di una delle 100 imprese della lista stilata da Fortune.

Il rapporto di Oxfam mostra inoltre come le multinazionali in questi anni abbiano incessantemente privatizzato il settore pubblico, segregando servizi fondamentali come l’istruzione o l’acqua:

 «Il potere pubblico dovrebbe tenere a freno il potere sconfinato delle imprese, modellando il mercato per renderlo più giusto e libero dal controllo miliardario.

 I governi devono intervenire per spezzare i monopoli, dare potere ai lavoratori, tassare questi enormi profitti aziendali e, soprattutto, investire in una nuova era di beni e servizi pubblici», ha dichiarato Behar, chiedendo un'azione decisiva da parte dei Governi per limitare il potere dei pochi ultra-ricchi.

Tra le misure che dovrebbero essere prese in considerazione per abbattere le disuguaglianze, l'Oxfam cita la tassa sul patrimonio dei più ricchi, un prelievo più efficace sui redditi delle grandi aziende e una rinnovata spinta contro l’evasione fiscale.

Solo nel Regno Unito si stima che una tassa del 2% sul patrimonio dei super-ricchi (chi possiede più di 10 milioni) porterebbe 22 miliardi di sterline all'anno all'erario britannico.

“Julia Davies”, membro fondatore di “Patriotic Millionaires UK”, un gruppo apartitico di milionari britannici che si batte per l’imposta sul patrimonio, ha affermato che le imposte sulla ricchezza sono «minuscole» rispetto alla tassazione sul reddito da lavoro.

 Citata dal Guardian, la donna ha spiegato: «Immaginiamo quanto potrebbero essere utili 22 miliardi di sterline all’anno da investire in servizi pubblici e infrastrutture.

Potrebbero migliorare la vita di ognuno di noi e fornire ai nostri anziani, giovani e persone vulnerabili le cure e il sostegno di cui hanno bisogno e che meritano».

 

 

BRICS, l’altro mondo e noi.

Ispionline.it – (24 Ott. 2024) – Alessia De Luca – ci dice:

 

 

A Kazan si è parlato di ‘de-dollarizzazione’ e di un nuovo ordine internazionale. Ma per Mosca il summit BRICS è più che una ‘vetrina’ per dimostrare di non essere isolata.

 L’Occidente farebbe bene a prestare attenzione.

La Russia ha i suoi interessi e la sua narrativa, certo, ma sarebbe sbagliato ridurre il vertice BRICS di Kazan, nella repubblica russa del Tatarstan, solo a una vetrina allestita dal Cremlino per mostrare il non-isolamento di Mosca e la sua volontà di costruire un nuovo ordine globale, antagonista rispetto all’Occidente.

 Che questo sia un obiettivo, è fuor di dubbio, ma non è il solo.

Nel corso della due giorni si è parlato infatti di de-dollarizzazione, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la dipendenza dal ‘biglietto verde’, ma anche della necessità di favorire la de-escalation in Ucraina e Medio Oriente e sono stati raggiunti importanti accordi per appianare i conflitti che esistono anche tra stati membri come Pechino e New Delhi.

 Il blocco, che inizialmente comprendeva Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, e che oggi include anche Iran, Egitto, Etiopia ed Emirati Arabi Uniti, rappresenta già oggi circa metà della popolazione del pianeta (contro appena il 10% del G7) e il 35% del Pil mondiale.

E ha alla porta una lunga fila di paesi desiderosi di aderire.

 “Ignorarli o minimizzarne la portata come forza politica internazionale” avvertono gli esperti della “Tuft University ““non è più un’opzione percorribile”.

 

Un gruppo che sfugge alle categorie?

Mentre i membri del BRICS si incontrano per il loro 16esimo summit annuale, l’organizzazione continua a sfuggire a una definizione chiara.

Fondata nel 2009, la sua struttura informale, i suoi programmi eterogenei, le adesioni composite e spesso attraversate da rivalità geopolitiche di lunga data, sfidano le categorie tradizionali di libero scambio, integrazione economica o cooperazione politica.

Questi fattori hanno suscitato a lungo un diffuso scetticismo circa il peso del blocco come forum multinazionale e la sua capacità nel costituire politiche efficaci a lungo termine.

Eppure, nel corso degli anni, i BRICS hanno continuato a espandersi e prosperare, come dimostrato dalla lunga fila di paesi desiderosi di aderire.

 Oggi, la resilienza del gruppo va letta alla luce delle attuali trasformazioni geopolitiche. In un panorama globale sempre più frammentato, il sistema di governance istituito dopo la Seconda guerra mondiale, incentrato sugli Stati Uniti e sul dollaro, affronta critiche crescenti da parte delle potenze del Sud del mondo, che lo considerano obsoleto e non rappresentativo della realtà attuale.

 

Un forum non occidentale o anti-occidentale?

Lungi dall’essere fatalmente animati da sentimenti anti-occidentali, i paesi all’interno del gruppo hanno posizioni variegate, con alcuni che invocano una revisione aperta dell’ordine attuale e altri che preferirebbero riformarlo e soprattutto non sostituirlo con un nuovo ordine sino-russo.

 “La maggior parte dei paesi del Sud del mondo non si considera necessariamente anti-occidentale – osserva l’analista “Irene Mia” – ma piuttosto non occidentale.

Hanno programmi distinti di politica interna ed estera e sono sempre più abili nel gestire la competizione geopolitica, impegnandosi contemporaneamente con potenze come Cina e Stati Uniti in base ai propri interessi”.

Di questo mutamento, l’America Latina è un esempio:

situata nella tradizionale sfera di influenza degli Stati Uniti, oggi ha nella Cina il suo più grande partner commerciale e finanziario.

All’interno dei BRICS, a guidare questa tendenza sono soprattutto Brasile, India e Sudafrica, capofila di un ‘movimento di non allineati 2.0’ che sostiene la necessità “non tanto di una rivoluzione dell’ordine mondiale – spiega “Giorgio Fruscione” – quanto piuttosto a una sua riforma, avvertita come sempre più necessaria”.

Senza contare che paesi già da tempo in bilico tra il ‘West’ e il ‘Rest’ come l’Arabia Saudita, e la stessa Turchia – primo paese Nato a chiedere l’adesione ai BRICS –sono contrari a una contrapposizione netta con l’Occidente.

 

Verso un ordine più inclusivo?

In ogni caso, Europa e Stati Uniti trarrebbero beneficio dal riconoscere che, proprio come le loro, le decisioni dei paesi del Sud del mondo possano essere determinate da considerazioni di realpolitik.

E che un’architettura, finanziaria e degli organismi internazionali, più equa potrebbe produrre ricadute positive sia per gli stati sviluppati che per quelli in via di sviluppo.

 Una tale strategia, accompagnata dalla volontà di apportare cambiamenti politici tangibili, contribuirebbe anche a smorzare le critiche radicali all’ordine esistente e ad aumentare la posta in gioco delle potenze emergenti in un sistema riformato e più resiliente.

Questo approccio non solo affronterebbe le spinte ‘rivoluzionarie’ ma sosterrebbe lo sviluppo economico, mitigando le accuse di ‘Doppi Standard’ acuite dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente a tutto vantaggio di Pechino e Mosca.

Per dissuadere le potenze emergenti e medie del Sud del mondo dal precipitarsi verso istituzioni alternative o schierarsi con Cina e Russia, l’Occidente dovrebbe quindi dimostrare la volontà di partecipare, anziché ostacolare, alla riforma del sistema che governerà il futuro ordine mondiale.

 Questo pragmatismo potrebbe rivelarsi la strategia più attraente per il Sud del mondo e portare a un ordine più equilibrato ma sempre ancorato alla Carta delle Nazioni Unite e al diritto internazionale.

 

 

 

 

Scenari. I Brics, riuniti in Russia,

lanciano la sfida all'Occidente.

 Avvenire.it - Paolo M. Alfieri – (22 ottobre 2024) – ci dice:

 

Il club di Paesi che ha ampliato il gruppo originario costituito da Brasile, Russia, India e Cina vuole dimostrare che l’attuale infrastruttura istituzionale non ha portato pace e ricchezza per tutti.

Il presidente russo Vladimir Putin accoglie il presidente cinese Xi Jinping durante la cerimonia di benvenuto al vertice Brics 2024 in corso a Kazan, in Russia.

   

In un tempo di ritorno ai blocchi contrapposti, c’è un mondo visto da Kazan, capitale del Tatarstan russo, e uno visto da Washington, un mondo in cui c’è chi cerca il consolidamento di una nuova statura economico-politica e un altro che prova a far contare potere ed esperienza, pur tra gli scricchiolii delle sue strutture.

Brics da un lato, Fmi e Banca mondiale dall’altro, a migliaia di chilometri di distanza hanno aperto ieri le loro riunioni annuali, a due settimane dalle cruciali elezioni Usa e in uno scenario globale che va sempre più frammentandosi in pezzi di pianeta in competizione tra loro.

Conta la rivalità geopolitica tra Est e Ovest, conta una crescente alienazione reciproca tra Nord e Sud globale.

 Alleanze economiche che diventano sempre più politiche, contatti politici che trascendono sempre più nella finanza e nella cooperazione:

cos’è politica e cos’è economia, quando l’obiettivo è sempre più il potere di attrazione sugli altri?

 

Con un Consiglio di sicurezza Onu bloccato dai veti reciproci, un G7 visto sempre più solo alla stregua di un club occidentale, Vladimir Putin punta a far compiere ai Brics riuniti a Kazan il salto di qualità.

Non più, non solo un raggruppamento di economie emergenti – e che ormai rappresentano il 45% della popolazione e oltre un terzo della ricchezza globale - ma una calamita e un contrappeso sempre più forte e rappresentativo di un mondo geopolitico altro, antagonista dell'Occidente.

Da questo punto di vista, l’allargamento a Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti, con l’Arabia Saudita in “sala d’attesa”, già mostra la direzione, così come gli inviti ad un’altra decina di leader, compreso il presidente turco Erdogan, alla guida di un Paese Nato.

Del gruppo fa parte naturalmente fin dal principio anche la Cina, che nell’ultimo biennio non ha mancato di garantire a Mosca un certo sostegno sul dossier Ucraina.

Per Putin, considerato in Occidente un criminale di guerra, il vertice di Kazan significa anche mostrare allo stesso Occidente di aver fallito nel suo tentativo di isolare la Russia dopo l’attacco delle sue truppe oltre confine.

E allo stesso tempo, sottolineare non solo ai membri del G7, ma anche a chi cerca sponde diverse da quelle occidentali, che un altro mondo, il suo, è possibile.

Se poi una maggiore cooperazione economica e politica di un gruppo che vede al suo interno rivali come Cina e India, o Paesi dai rapporti complicati come Emirati Arabi e Iran, sia davvero possibile, è tutta un’altra storia.

Quel che conta, qui e ora, è illuminare l’alternativa.

Certificare che, come da più parti si fa notare, l’attuale infrastruttura istituzionale dominata dall’Occidente non ha portato pace e ricchezza per tutti.

Sfruttare un certo risentimento anti-occidentale favorirebbe peraltro la paralisi di quella cooperazione globale che è già in crisi.

Come in crisi d’immagine, se non d’identità, appaiono da qualche tempo Fmi e Banca mondiale, le istituzioni nate a Bretton Woods di cui da più parti si invoca una riforma.

Se cambia il contesto, si usa dire, è impensabile non cambino gli strumenti da utilizzare in quel contesto: non può non valere per l’architettura finanziaria globale.

Cambiamento climatico, crisi del debito, sicurezza alimentare sono solo alcuni dei temi che risuonano con insistenza nei meeting in corso a Washington, questioni che pesano molto anche sulle dinamiche geopolitiche di un mondo squassato da conflitti e rivalità.

La lentezza con cui il sistema finanziario globale ha reagito alle nuove sfide, la necessità di partenariati con il Sud globale e uno sviluppo maggiormente guidato dal basso, l’obiettivo di accelerare la lotta alla povertà davanti a disuguaglianze crescenti:

c’è anche questo, nei termini della dialettica con i Brics. Anche se, nascosto dagli slogan e dall’esibizione dei muscoli, non lo vediamo.

 

 

 

 

 

Multilateralismo.

La trascurata crescita

economica dei Paesi Brics.

 Linkiesta.it - Mario Lettieri - Paolo Raimondi – (30 agosto 2024) – ci dicono:                 

Il commercio reciproco tra i Cina, India, Brasile, Russia e Sud Africa ha raggiunto quasi seicento settantotto miliardi di dollari l’anno.

Ma le loro proposte per riformare l’ordine economico e finanziario internazionale ricevono poca copertura mediatica in Occidente.

I Brics crescono ma i nostri media li ignorano totalmente.

 Non si dovrebbero sorprendere se al sedicesimo vertice di Kazan, in Russia, il prossimo 22 – 24 ottobre, essi avanzassero proposte e iniziative di una valenza economica e politica tale da scuotere alle fondamenta il vecchio ordine geopolitico.

Da otto mesi quest’anno hanno tenuto decine e decine di conferenze e incontri preparatori a livello di governi, di parlamenti e di esperti su tutti gli argomenti di interesse globale.

Uno degli argomenti affrontati, quello monetario e finanziario, merita indubbiamente una maggiore attenzione per le sue inevitabili ripercussioni geopolitiche.

Anche quando si è discusso di cooperazione energetica, tecnologica, infrastrutturale, sanitaria, educativa o culturale, è sempre emersa la centralità del futuro assetto monetario e finanziario a livello internazionale.

Affermano di voler sviluppare la cooperazione interbancaria, fornendo assistenza alla trasformazione del sistema dei pagamenti internazionali con l’uso di tecnologie finanziarie alternative, ampliando l’utilizzo delle valute nazionali dei singoli paesi Brics nel commercio reciproco.

Allo scopo i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali sono stati incaricati di esaminare e relazionare a Kazan sull’uso delle valute locali e delle piattaforme di pagamento.

L’intento è chiaramente quello di rafforzare il proprio ruolo nel sistema monetario e finanziario internazionale, soprattutto sulle piattaforme multilaterali come l’”Organizzazione mondiale del commercio, il “Fondo monetario internazionale” e la “Banca mondiale”.

Vogliono unire gli sforzi contro la frammentazione del sistema commerciale multilaterale, contro l’aumento del protezionismo e contro l’introduzione di restrizioni commerciali unilaterali.

 

Secondo gli ultimi dati, il commercio reciproco tra i paesi Brics ha raggiunto quasi seicento settantotto miliardi di dollari l’anno.

Allo stesso tempo, negli ultimi dieci anni, il commercio globale è cresciuto del tre per cento l’anno, quello dei Brics con il resto del mondo del 2,9 per cento e quello all’interno del gruppo del 10,7 per cento.

 Per capire il processo è più importante analizzare il tasso di crescita piuttosto che il valore globale.

Nonostante l’ostilità manifesta e crescente di un certo mondo occidentale nei confronti dei Brics, le candidature e le adesioni da parte dei più svariati paesi stanno aumentando.

Non crediamo che tutti siano in guerra con il cosiddetto occidente.

Ciò dovrebbe far riflettere senza pregiudizio alcuno.

Una spiegazione, intelligente quanto preoccupante, la fornisce il Washington Post che, in un recente articolo, riporta che gli Stati Uniti hanno messo un terzo del mondo sotto sanzioni.

 Non solo, ma ben il sessanta per cento di tutti i Paesi a basso reddito.

Oggi più di quindicimila sanzioni economiche sono operative!

 

Il “Washington Post” rivela che diversi esperti e funzionari di vari governi americani hanno espresso dubbi sull’effettiva efficacia delle sanzioni, ammettendo che esse sono diventate lo strumento principale, quasi automatico, della politica estera americana.

 Ciò, di riflesso, avrebbe indotto a sottovalutarne anche i possibili danni collaterali. Il quotidiano sostiene che si sarebbe addirittura favorita la crescita di ’un’industria delle sanzioni’, multimiliardaria, composta di studi legali, lobbisti e consulenti che si occupano esclusivamente di queste.

 

Razionalmente dovremmo tutti essere d’accordo sulla necessità di rafforzare il multilateralismo per il giusto sviluppo globale, per la sicurezza e per la pace.

Perciò noi ancora ci chiediamo perché i paesi europei e l’Ue non vogliono seguire un percorso autonomo, facendo così anzitutto il proprio interesse.

Al riguardo, significativo è il pensiero del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che, in occasione della sua recente visita al “Centro Brasiliano per le Relazioni Internazionali” (Cebri) di Rio de Janeiro, in Brasile, il paese che nel 2024 detiene la presidenza del G20 e che nel 2025 avrà quella dei Brics, ha sostenuto che siamo di fronte a grandi sfide globali «che riguardano tutti, che coinvolgono il concetto – usato talvolta in modo vago – di ’Occidente’, tanto quanto il concetto, definito talora in maniera strumentale – di Sud Globale.

Questo è un tempo che richiede dialogo e confronto».

Ricordando, inoltre, la vocazione inclusiva della politica estera italiana, ha evidenziato «la necessità di un multilateralismo in cui i paesi del Sud Globale possano esprimere con efficacia la loro voce protagonista e il loro peso».

Questa anche a noi sembra la strada più sicura per lo sviluppo e per la pace nel mondo.

 

 

 

 

 

Miguel Bosè e l’Alluvione di Valencia:

“Colpa dei Governi non del Cambiamento Climatico.”

Conoscenzealconfine.it – Redazione – (3 Novembre 2024) –  Miguel Bosé - ci dice:

 

Lo sfogo del cantante italo-spagnolo sui social: “La gente si svegli, non è colpa della Dana ma dell’ingegneria climatica e delle scie chimiche”.

“Sono devastato e sopraffatto dalla catastrofe avvenuta a Valencia, anche a Cuenca e Albacete”.

 Lo scrive il cantante e attore Miguel Bosè in un lungo post su Instagram.

Dal dolore alla rabbia il passo è breve per la star italo-spagnola, non nuova a teorie sorprendenti, come quella che dà sull’origine della Dana, costata la vita a oltre 200 persone in Spagna.

 “Le persone – scrive Bosè – devono svegliarsi una volta per tutte e smettere di pensare che tutto ciò sia dovuto al cambiamento climatico, precedentemente chiamato riscaldamento globale.

Non esiste una cosa del genere”.

Dopo aver negato il Covid, Miguel Bosè ora “nega il cambiamento climatico” e sui social attribuisce la responsabilità delle inondazioni “ai governi”, formati da quella che definisce “una banda di malvagi delinquenti”, quindi punta il dito contro “l’ingegneria climatica delle scie chimiche sfuggita di mano”.

“Sono furioso e pieno di rabbia – prosegue il cantante –  perché tutte queste vite perdute, tutte queste case, campi, bestiame e averi sono senza dubbio la conseguenza già ampiamente documentata e pubblica di una somma di pratiche terribili e criminali messe in atto da governi che, tra distruzioni di dighe e bacini artificiali, e soprattutto con la pratica sproporzionata e incontrollata dell’ingegneria climatica, delle scie chimiche, sfuggita di mano, stanno causando solo dolore, sofferenza e povertà.

Le stagioni naturali sono state cancellate e il corso della natura è alterato. Vogliono venderci qualcosa che non esiste e che loro stessi provocano per lucrarci ancora una volta, come è successo con vaccini e mascherine durante la pandemia “.

 

Quindi lancia un appello affinché le persone smettano di credere che il cambiamento climatico esiste:

 “Chiedo a tutti di alzare la voce e far sentire la vostra rabbia per finire un’agenda 2030 che favorirà un’élite la cui unica intenzione è distruggere tutto quello che, lungo le generazioni, intere famiglie dai campi e dalle città sono andate a costruire con innumerevoli sforzi e dignità”.

Il lungo post, che in poche ore ha ricevuto moltissimi commenti e reazioni di follower si conclude con il pensiero a chi ha pagato il prezzo più alto.

 “Le mie condoglianze a tutte le persone che qualcosa o qualcuno hanno perso. A loro tutta la mia luce e la mia forza”, conclude Bosè.

Grande Miguel! (nota di conoscenze al confine).

(quotidiano.net/cronaca/miguel-bose-alluvione-valencia-o2l67xg4)

 

 

 

 

 

Il traffico di organi in Ucraina:

Soros ha ricevuto un trapianto

di organi da un soldato ucraino.

Lacrunadellago.net – Cesare Sacchetti – (2-11-2024) – ci dice:

 

Si erano perse da un po’ di tempo le tracce su di lui, e francamente, almeno per noi, non se ne sentiva molto la mancanza.

Si tratta del famigerato magnate di origini ebraiche, George Soros, che ha inciso così tanto, in negativo, nella storia recente dell’Europa, degli Stati Uniti e del mondo intero, data la sua instancabile attività eversiva portata in ogni luogo del pianeta.

Ora il settimanale americano “Christian Science Monitor” informa di un fatto molto singolare che riguarda il fondatore della “Open Society”.

 

L’assenza prolungata di Soros e i suoi problemi di salute.

L’ultima volta che Soros è apparso in pubblico è stata il 21 febbraio del 2023 presso la conferenza della sicurezza di Monaco, uno dei vari appuntamenti annuali molto cari al blocco Euro-Atlantico, e nel quale ogni anno si cerca di riaffermare il sempre più fragile ordine liberale dell’anglosfera uscito dalla seconda guerra mondiale.

In quell’occasione, il miliardario di New York era apparso molto in affanno. Riusciva a malapena a parlare, e il suo braccio sinistro era affetto da una sorta di paresi.

Gradualmente, le apparizioni di Soros hanno iniziato ad essere sempre di meno, e nei mesi successivi il figlio Alexander, non all’altezza del padre, ma nel senso deteriore del termine, ha iniziato a prendere il suo posto nel tentativo di mantenere attiva quella centrale di sovversione internazionale che il padre aveva allestito.

 

Gli sforzi sembrano comunque essere stati vani perché, a poco a poco, le varie sezioni della Open Society in giro per il mondo hanno iniziato a chiudere, e i fondi che arrivavano prima in quantità praticamente illimitata hanno iniziato ad essere interrotti persino per l’Unione europea, uno dei teatri più importanti per il magnate, e uno dei suoi luoghi “privilegiati”, tanto che qualche tempo fa uscì una lista di eurodeputati considerati suoi “amici”,  a dimostrazione di come l’UE sia strettamente dipendente da Soros e dalla sua agenda.

Da allora, il finanziere si è visto sempre di meno e sono giunte indiscrezioni di una sua morte ancora non annunciata, poiché ai piani alti del potere finanziario e massonico, gli annunci delle morti pesanti vengono non di rado posticipati per provare a proteggere meglio gli interessi di tale sistema.

Adesso però pare che George Soros non si rassegni alla fine della sua esistenza e sia alla ricerca di un qualche “elisir” di lunga vita per restare ancora un po’ su questa terra, forse nel timore che nell’altro mondo l’accoglienza, per lui, non sia poi così benevola.

Il trapianto di organi da un soldato ucraino.

Il settimanale americano del quale si diceva prima riferisce infatti che il miliardario 94enne avrebbe subito una procedura di impianto multipla di organi presso la “Duke University Hospital”, un centro molto noto negli Stati Uniti per questo tipo di interventi.

A donare i suoi organi a Soros sarebbe stato un soldato ucraino di una delle unità speciali di combattimento, ormai sempre più scarne, impegnate nei combattimenti sul fronte di “Kharkiv”.

L’uomo sarebbe morto in battaglia nel mese di settembre, i suoi organi immediatamente prelevati e trasportati il giorno dopo negli Stati Uniti per eseguire la delicata operazione.

Da quel che si apprende, Soros era in lista per ricevere questo trapianto di organi, dato che il donatore si sarebbe preparato per la donazione astenendosi dal fumare e dal bere per assicurare che il recipiente dei suoi preziosi organi non avesse eventuali problemi una volta eseguita l’operazione.

Soros avrebbe ricevuto il cuore di questo soldato ucraino, i reni e diversi altri organi, e ciò fa pensare che di suoi organi originali, a questo punto, il fondatore della Open Society ne abbia veramente pochi.

Il “Duke University Center” è stato scelto con ogni probabilità per una ragione specifica.

È uno dei centri più specializzati per questo genere di operazioni negli Stati Uniti.

Nel suo sito si legge infatti che i medici del Duke vantano una lunga esperienza con le procedure di impianto multi – organo, che sono le più delicate e le più rischiose, e quelle, di conseguenza, con la più alta probabilità di fallimento.

Se un organo subisce una crisi di rigetto, seguono anche gli altri, e il paziente che ha ricevuto i nuovi organi non sopravvive.

Non sono questi dei trapianti comuni, ma sono tra i più rari, anche per la difficoltà di trovare un donatore dal quale prendere più di un organo.

Negli Stati Uniti, ne sono stati effettuati complessivamente 1450 nel 2023, e il centro Duke guida la classifica dell’ospedale che ne ha eseguiti di più, 44, sempre lo scorso anno.

Soros quindi, non sorprendentemente, si è rivolto al meglio che c’era sulla piazza per provare a restare in vita ancora qualche anno e ad affliggere questo mondo ancora con la sua presenza.

Si apre qui però un capitolo molto inquietante su come il magnate sia riuscito ad avere tutti questi organi in maniera così rapida, e ci si chiede se quanto avvenuto sia più o meno legale.

L’Ucraina, non è un segreto, è una specie di centro di approvvigionamento mondiale per coloro che vogliono procurarsi illegalmente gli organi di cui hanno bisogno.

Sotto i regimi filo-nazisti di Poroshenko e di Zelensky, i trafficanti avevano e hanno mano libera per uccidere le persone, spesso anche bambini, data la rete pedofila che c’è nel Paese, e depredarli dei loro organi vitali per poi eseguire dei trapianti illegali.

I clienti sono gli uomini più facoltosi del mondo.

Sono i signori di Davos, sono coloro che predicano la cosiddetta politica “green”, quella nella quale l’uomo comune deve rinunciare alla propria auto, mentre i miliardari che frequentano tali circoli possono spostarsi con i loro aerei privati che inquinano come migliaia di utilitarie.

L’Ucraina è quello che fa più al caso di questi personaggi.

L’Ucraina è un pozzo nero di orrori. C’è dentro di tutto.

 C’è la pedofilia, il traffico di droga e il traffico di organi, e questo pozzo nero è cresciuto all’ombra della NATO e dell’Unione europea che hanno protetto, benedetto e finanziato questo Paese in mano alla peggiore feccia del pianeta, assieme, ovviamente, allo stato di Israele che non ha mancato di esprimere tutto il suo sostegno ai nazisti ucraini, e se questo dovesse sorprendere qualcuno rimandiamo al precedente contributo nel quale si racconta la storia dell’alleanza tra sionisti e nazisti che risale al 1933, anno dall’ascesa al potere di Adolf Hitler.

È in questo supermercato che George Soros ha fatto la sua spesa di organi, ma lo ha fatto legalmente oppure ha rubato gli organi di un soldato morto che forse non aveva nemmeno dato il suo consenso a differenza di quanto trapelato?

Ci si chiede poi se questo soldato sia morto davvero in battaglia oppure se qualcuno ha “favorito”, per così dire, la sua fine in altri modi.

Soltanto lo scorso luglio, “Maria Zakharova”, la portavoce del ministero degli Affari Esteri, aveva riferito di un vasto mercato nero di organi di soldati ucraini che venivano mandati al macello per poi, senza il loro consenso o dei loro famigliari, privarli dei loro organi che venivano comprati dai personaggi interessati.

I soldati venivano persino scelti per essere mandati al fronte non tanto per le loro presunte abilità di combattimento, ma per le loro caratteristiche genetiche che li avvicinano di più alla persona che doveva subire il trapianto.

Zelesnky, in altre parole, vendeva e vende gli organi dei “suoi” soldati morti a personaggi come George Soros, che, visto ll “modus operandi” dei nazisti ucraini, fa pensare che abbia rubato illegalmente gli organi di un ucraino mandato al macello appositamente per soddisfare la sua richiesta di trapianto.

Lo storico speculatore che lanciò il famigerato attacco alla lira e alla sterlina nel 1992 attraverso il suo “Quantum Fund” non si rassegna evidentemente all’idea di morire, ma ci sentiamo di rassicurare il principe della eversione internazionale.

Non è attraverso qualche organo nuovo che George Soros comprerà un biglietto per l’immortalità.

Quell’appuntamento è inevitabile, ma il voler restare attaccati a tutti i costi alla vita anche a costo di toglierla agli altri, non fa altro che mettere in rilievo, ancora una volta, quanto siano irrimediabilmente corrotti e marci gli uomini che appartengono alle alte sfere del mondialismo.

E George Soros ne è certamente l’esempio perfetto.

 

 

 

 

Può il gruppo BRICS creare

un nuovo ordine mondiale?

Transform-italia – (23/08/2023) - Alessandro Scassellati – ci dice:

 

Il summit del gruppo BRICS di Johannesburg ha il potenziale per fare la storia. Decine di Paesi del Sud globale vogliono unirsi al club dei cinque Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) con la speranza che sia possibile rimodellare la governance globale in modo che la maggioranza mondiale abbia pari voce nelle decisioni che influenzano il suo futuro.

Ma per sfidare la gerarchia globale guidata dagli Stati Uniti e i loro alleati, i BRICS devono prima superare le divisioni interne (molto enfatizzate da politici e media occidentali).

Sin dalla sua fondazione nel 2009, le ambizioni del blocco di esercitare una significativa influenza politica ed economica globale sono state indebolite dalle differenze tra valori, interessi e sistemi politici dei suoi membri.

Uno dei temi del vertice riguarda le iniziative volte a indebolire il dominio del dollaro USA nelle transazioni commerciali internazionali.

Sono economie gigantesche, con popolazioni ancora più grandi e ambizioni ancora maggiori.

A partire da martedì, i leader del gruppo di Paesi noto come BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – si incontrano per un vertice di tre giorni (22-24 agosto), che attira l’attenzione delle capitali di tutto il mondo.

Il presidente russo Vladimir Putin non partecipa in presenza al summit a Johannesburg, in Sudafrica, ma solo in videoconferenza per evitare al Paese l’imbarazzo di ospitare un leader con un mandato della Corte Penale Internazionale (CPI) contro di lui legato alla guerra di Mosca all’Ucraina (c’è però il ministro degli Esteri Sergei Lavrov).

Il Sudafrica è membro della Corte Penale Internazionale e, secondo il diritto internazionale, sarebbe stato obbligato ad arrestare Putin in caso di visita.

Tuttavia, mentre il conflitto in Ucraina e l’aggravarsi delle tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina (l’avanzare di una Nuova Guerra Fredda, di cui abbiamo parlato nei nostri articoli qui, qui, qui e qui) fanno da sfondo al vertice, è probabile che l’incontro dei BRICS, al quale sono stati invitati i leader di oltre 70 Paesi, metterà in primo piano la crescente posizione del gruppo come forza che sfida un ordine mondiale a lungo dominante, guidato da Washington e da Bruxelles, per trasformarlo in un sistema multipolare in cui i Paesi in via di sviluppo hanno una maggiore influenza.

 Questo anche se la maggioranza dei Paesi non vuole schierarsi esplicitamente dalla parte di Stati Uniti, Cina o Russia.

Nel suo discorso (letto dal ministro del commercio “Wang Wentao”), “Xi” ha cercato di tranquillizzare e ha insistito sul fatto che “l’egemonismo non è nel DNA della Cina” e che l’espansione dei BRICS non mira a “chiedere ai Paesi di schierarsi o a creare uno scontro di blocco, ma piuttosto ad espandere l’architetto della pace e dello sviluppo”.

 

L’espansione dei BRICS è una delle priorità dell’agenda.

Molti sono i Paesi del Sud globale (che rappresenta l’85% della popolazione mondiale) che chiedono di entrare nel club.

Dall’Algeria all’Argentina, almeno 40 Paesi hanno mostrato interesse ad aderire al gruppo. Al centro dell’attrattiva del gruppo c’è il suo crescente peso economico. I cinque Paesi BRICS sono ormai dei pilastri del sistema economico globale – nell’ultimo decennio Cina e India hanno registrato una crescita impressionante mentre gli altri tre hanno registrato una crescita debole -, hanno ora più del 40% della popolazione mondiale (3,24 miliardi di abitanti) e un prodotto interno lordo (PIL) combinato maggiore di quello del G7 (formato dalle più grandi economie industrializzate del blocco occidentale: Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Giappone, Italia e Canada) in termini di parità di potere d’acquisto (il 31,5% dell’economia globale, superando la quota del G7 che è del 30,4%). In termini nominali, i paesi BRICS sono responsabili del 26% del PIL globale e del 16% del commercio globale.

Nonostante ciò, ottengono solo il 15% del potere di voto presso il Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Oltre alle lamentele per tali squilibri, nel Sud del mondo crescono le preoccupazioni che gli Stati Uniti possano utilizzare il dollaro come un’arma attraverso le sanzioni, come hanno fatto contro la Russia.

Ciò ha portato e porta i Paesi BRICS a cercare individualmente e collettivamente di ridurre la loro dipendenza dalla valuta statunitense, aumentando al tempo stesso il commercio bilaterale nelle proprie valute.

Concordare sul fatto che qualcosa deve cambiare è una cosa, ma concordare su come lavorare insieme è un’altra.

 India e Cina sono bloccate in una situazione di stallo al confine himalayano dal maggio 2020.

Nel frattempo, India, Sudafrica e Brasile desiderano essere non allineati, ossia avere relazioni cordiali con l’Occidente tanto quanto con Cina e Russia.

 Per cui il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha dichiarato che il blocco dei BRICS mira a organizzare il Sud del mondo in via di sviluppo e non intende rivaleggiare con le economie ricche del G7, del G20 o degli Stati Uniti.

Il presidente sudafricano “Cyril Ramaphosa” ha sottolineato che Pretoria “non si lascerà trascinare in una competizione tra potenze mondiali” nel contesto della guerra in Ucraina, e che il Sudafrica “ha intrapreso una politica di non allineamento” (il Paese si è finora rifiutato di condannare Mosca per l’invasione russa, affermando di favorire la via del dialogo e attirandosi critiche nella scena internazionale), volendo evitare un mondo “sempre più polarizzato in campi concorrenti”.

“Abbiamo quasi un sistema [simile all’] apartheid del Sudafrica in cui la minoranza decide per la maggioranza, e questa è ancora la situazione sulla scena mondiale oggi. […]

 I paesi del sud [del mondo] non vogliono che gli venga detto chi sostenere, come comportarsi e come condurre i propri affari sovrani.

 Ora sono abbastanza forti per affermare le rispettive posizioni”, ha affermato “Anil Sooklal”, ambasciatore generale del Sudafrica per l’Asia e i BRICS.

Per questi motivi ci si interroga se il gruppo BRICS sarà in grado di emergere come un pilastro economico e geopolitico alternativo agli Stati Uniti e ai suoi alleati oppure se le differenze interne limiteranno ciò che il gruppo può realizzare.

È probabile che il peso del gruppo BRICS aumenti ma, secondo molti osservatori, è molto più probabile che nel breve periodo il blocco sia in grado di offrire alternative economiche e diplomatiche frammentarie all’ordine globale guidato dagli Stati Uniti piuttosto che sostituirlo drasticamente.

Ciò potrebbe portare a ulteriori tensioni con l’Occidente mentre i leader del gruppo cercano di tracciare un percorso indipendente in un mondo in continuo cambiamento.

 Ma per rimanere efficace, il gruppo BRICS dovrà gestire le diverse priorità dei Paesi membri – una sfida che non sarà facile da affrontare per il gruppo.

 

“Voce” del Sud del mondo.

Nel discorso di apertura dell’incontro dei ministri degli Esteri dei BRICS in Sudafrica il 1° giugno scorso, il ministro degli Esteri indiano “Subrahmanyam Jaishankar” ha descritto l’attuale concentrazione del potere economico come quella che “lascia troppe nazioni alla mercé di troppo poche”.

È un (ri)sentimento che risuona in tutto il Sud del mondo e che fa leva sul fatto che il potere di veto del “Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite” rimane limitato a cinque Paesi – USA, Russia, Francia, Regno Unito e Cina – sulla base di un’intesa tra gli alleati vittoriosi nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Negli ultimi anni, sono cresciute le crepe nell’ordine internazionale unipolare imposto da Washington e Bruxelles al resto del mondo attraverso la NATO, nel sistema finanziario internazionale, nel controllo dei flussi di informazione (sia nelle reti tradizionali che nei social media), e nell’uso indiscriminato (da molti considerato un vero e proprio abuso) di sanzioni unilaterali contro un numero crescente di Paesi.

Nelle sue osservazioni videoregistrate, Putin ha attribuito la volatilità dei mercati globali del cibo e di altri beni alle sanzioni occidentali, e ha affermato che i BRICS sarebbero una forza per l’equità nelle relazioni internazionali.

“Cooperiamo secondo i principi di uguaglianza, sostegno reciproco e rispetto per gli interessi reciproci”, ha affermato.

“Questa è l’essenza del percorso strategico orientato al futuro della nostra associazione, un percorso che soddisfa le aspirazioni della parte principale della comunità mondiale, la cosiddetta maggioranza globale”.

“Il tradizionale sistema di governo globale è diventato disfunzionale, carente e disperso”, ha detto l’ambasciatore cinese in Sud Africa, “Chen Xiaodong”, in un briefing a Pretoria la scorsa settimana, aggiungendo che il gruppo BRICS “sta diventando sempre più una forza di difesa della giustizia internazionale”.

La Cina, una forza dominante nell’economia globale nonché una potenza militare, sta mettendo alla prova i limiti dell’influenza di Washington.

Il ministro degli Esteri iraniano “Hossein Amir-Abdollahian “ha visitato Riyadh la scorsa settimana e ha incontrato il principe ereditario dell’Arabia Saudita “Mohammed bin Salman” nell’ultimo passo verso una normalizzazione dei legami tra i tradizionali rivali mediorientali, mediata dalla Cina.

 

L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia a partire dal febbraio 2022 e il successivo rafforzamento delle relazioni tra Mosca e Pechino – nonostante la condanna occidentale – hanno ulteriormente accelerato la spaccatura.

 India, Brasile e Sudafrica hanno camminato con cautela su una corda tesa, rifiutandosi di aderire alle sanzioni occidentali o ad altre azioni contro la Russia, prendendo allo stesso tempo le distanze dalle giustificazioni di Mosca per la guerra.

Con l’attenuarsi dell’influenza dell’Occidente in parte dopo parte del mondo – l’ultimo esempio è il Niger e più in generale il Sahel – c’è un crescente coro che emerge tra i Paesi di Africa, America Latina e le potenze asiatiche emergenti come l’India per ribaltare il sistema unipolare post-Guerra Fredda.

Russia e Cina si sono presentate come paladine di questo allontanamento da un ordine guidato dagli Stati Uniti, delle cui regole – agli occhi del Sud del mondo – Washington stessa spesso si fa beffe (alimentando l’accusa di double standard).

A luglio, Putin ha lanciato un’offensiva in un vertice a San Pietroburgo con i leader africani, citando “Nelson Mandela”e facendo il nome di eroi anticoloniali come “Gamal Abdel Nasser” e “Patrice Lumumba”.

“Penso che sia giunto il momento di rettificare il torto storico commesso nei confronti del continente africano”, ha affermato quando ha discusso una proposta per riformare il “Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “e includere i Paesi africani come membri permanenti.

Anche l’India ha spinto attivamente affinché l’Unione Africana ottenga un seggio al vertice del G20, che Nuova Delhi ospiterà il mese prossimo.

 

C’è certamente uno spazio per creare un nuovo ordine mondiale.

Uno spazio che è stato creato da una convergenza di due fattori:

 il Sud del mondo che trova la sua voce e cerca Paesi che possano difendere i propri interessi e la Russia e la Cina che si trovano in contrasto senza precedenti con l’Occidente.

Tuttavia, è importante tenere presente che questi due fattori non si sovrappongono completamente, anche se in questo momento servono gli stessi interessi.

L’India, ad esempio, non vede la Cina come una voce del Sud del mondo, ma come un Paese ormai economicamente sviluppato che cerca di intromettersi nella narrativa del Sud del mondo e di trasformare il gruppo BRICS in un’organizzazione di sostegno all’agenda geopolitica cinese, come la promozione della “Belt and Road Initiative” (sostenuta dalla Asian Infrastructure Investment Bank), della “Global Development Initiative” (accompagnata dalla Global Security Initiative e dalla Global Civilization Initiative), dell’”Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai” (che comprende tra i suoi membri oltre alla Cina, anche Russia e India) e dell’esplicita retorica anti-americana (sulle proposte cinesi si vedano i nostri articoli.

 L’India e soprattutto Modi non hanno alcun interesse a plasmare la politica estera indiana in una direzione antioccidentale anche perché punta ad essere una destinazione di investimento alternativa alla Cina per costruire “more resilient supply chains”.

I BRICS sono stati concepiti come una piattaforma geoeconomica, ma l’India teme che stiano scivolando verso un ruolo geopolitico e non si sente a proprio agio con questa deriva.

Invece, l’India ha concentrato le discussioni e le attività dei BRICS su progetti di cooperazione economica e finanziaria Sud-Sud, iniziative per ridurre la dipendenza globale dal sistema finanziario e di pagamento internazionale basato sul dollaro statunitense e riforme delle istituzioni finanziarie internazionali per dare ai Paesi in via di sviluppo più voce e rappresentanza.

Il Sudafrica sembra aver seguito questo approccio nel formulare il tema del prossimo vertice:

“BRICS e Africa: partenariato per una crescita reciprocamente accelerata, uno sviluppo sostenibile e un multilateralismo inclusivo”.

 Per rafforzare la propria attenzione sull’Africa, il Sudafrica ha invitato i leader di tutti i Paesi africani a partecipare al vertice.

Allo stesso tempo, la guerra della Russia in Ucraina e la conseguente interruzione delle forniture energetiche e alimentari ha anche contribuito a far salire alle stelle l’inflazione in tutto il mondo in via di sviluppo, colpendo soprattutto gli stessi Paesi per i quali Mosca afferma di parlare.

 Tuttavia, la risposta dell’Occidente alla guerra della Russia in Ucraina – separando praticamente la Russia dal sistema finanziario globale attraverso dure sanzioni – ha anche spaventato le economie emergenti e in via di sviluppo, preoccupate che Stati Uniti e Unione Europea possano potenzialmente esercitare quel potere anche su di loro.

Seguire i soldi.

Un sistema finanziario alternativo è al centro dell’attrattività del blocco BRICS.

 Nel 2015 è stata fondata la “Nuova Banca di Sviluppo” (NDB), allora nota come “Banca di Sviluppo BRICS”, con sede a Shanghai, per dare ai membri BRICS un maggiore controllo sui finanziamenti allo sviluppo e offrire un’alternativa alle istituzioni guidate dagli Stati Uniti come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, istituzioni finanziarie costituite all’indomani della Seconda Guerra Mondiale (i pilastri del “sistema di Bretton Woods”).

La creazione della “NDB” (di cui da pochi mesi è diventata presidente Dilma Rousseff, ex presidente del Brasile) è stata una mossa che ha mostrato un intento reale e ha detto al Sud del mondo che era possibile sfidare l’architettura istituzionale finanziaria globale.

I Paesi BRICS hanno anche costruito il “BRICS pay” – un sistema di pagamento per le transazioni tra i BRICS senza dover convertire la valuta locale in dollari.

Eppure, otto anni dopo la creazione della NDB, la banca per lo sviluppo dipende ancora in gran parte dai dollari e ha faticato a garantire quella valuta in mezzo alle sanzioni contro la Russia, uno dei Paesi fondatori.

 A livello globale, il dollaro USA rappresenta il 60% delle riserve valutarie delle banche centrali.

Il dibattito sulla creazione di una valuta BRICS ha preso piede negli ultimi mesi, anche se il Sudafrica ha chiarito che non sarà discusso in questo vertice.

Per ora le iniziative di de-dollarizzazione dei BRICS, come gruppo, non mirano a sostituire il dollaro, ma a creare alternative e facilitare il commercio bilaterale nelle valute locali.

 Ma sul tavolo c’è una proposta brasiliana4 e il presidente Lula de Silva ha recentemente affermato che “ogni notte mi chiedo perché tutti i Paesi debbano basare il loro commercio sul dollaro”.

L’idea, così come la promessa ad altri che vogliono unirsi o collaborare con i BRICS, è semplice.

Oltre alla minaccia delle sanzioni statunitensi, una schiacciante dipendenza dal dollaro statunitense per il commercio o il rimborso del debito è costosa quando il valore del dollaro aumenta, come accade quasi invariabilmente durante le crisi globali come quella che il mondo attraversa dal 2020 e soprattutto da quando FED e BCE hanno avviato il rialzo dei tassi di interesse al fine di domare le spinte inflazionistiche negli USA e UE.

C’è poi un’altra ragione per ridurre la dipendenza dal dollaro.

Può aumentare l’influenza dei Paesi in via di sviluppo, fungendo da strumento complementare quando si prendono grandi decisioni sul finanziamento dello sviluppo e sul ruolo di istituzioni come il FMI.

Per vedere le vere opinioni comuni dei membri del gruppo BRICS basta scorrere i loro comunicati congiunti che contengono sempre riferimenti all’influenza dei membri, o alla sua mancanza, all’interno di Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio o FMI.

Queste parti delle passate dichiarazioni dei BRICS descrivono la significativa frustrazione per il fatto che, nonostante siano economie molto importanti e influenti, percepiscono la loro influenza come limitata.

Un potenziale modo per rendere il blocco impossibile da ignorare?

Trasformare un club selezionato di cinque Paesi in una squadra composta da molti altri.

 

La forza dei numeri.

A luglio, il presidente algerino “Abdelmadjid Tebboune” ha dichiarato che il suo Paese voleva aderire ai BRICS e aveva persino messo da parte una somma di 1,5 miliardi di dollari per contribuire alla “Nuova Banca di Sviluppo” del gruppo – in sostanza, per acquistare il biglietto per essere della partita.

A giugno anche l’Egitto ha chiesto l’ammissione.

 E nell’ultimo anno, Argentina, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran sono emersi come altri candidati in una coda sempre più lunga per unirsi potenzialmente al blocco, tra cui l’Indonesia, il quarto Paese più popoloso del mondo, il Messico, l’Etiopia, una delle economie africane in più rapida crescita, e la Nigeria, la più grande economia dell’Africa.

La Cina, sicura della sua posizione a capotavola, ha chiarito che è felice di esplorare l’idea, riaffermando che il meccanismo di cooperazione BRICS è un meccanismo di cooperazione internazionale sul tema dello sviluppo e non un’alleanza militare o politica contro i Paesi sviluppati occidentali.

 E la Russia, che ha bisogno di amici internazionali, si è detta disponibile ad accogliere nuovi membri nel club.

Tuttavia, non tutti i membri sono sicuri che un BRICS più grande sia necessariamente un BRICS più forte.

Il Brasile è stato reticente riguardo ad un’espansione, temendo che la sua influenza possa essere diluita.

 “Un’espansione potrebbe trasformare il blocco in qualcos’altro”, ha detto a Reuters un funzionario brasiliano all’inizio di agosto.

L’India non è a suo agio con la questione dell’espansione, anche se è improbabile che porrà il veto a qualsiasi mossa.

 Invece, Nuova Delhi sta spingendo affinché il gruppo sviluppi regole e criteri per l’adesione di potenziali nuovi membri (i principali criteri dell’allargamento, differenziando anche tra un gruppo BRICS e un gruppo BRICS+, saranno svelati nel corso del summit di Johannesburg), mettendo le democrazie al centro delle considerazioni sull’adesione.

Più in generale, l’India ritiene che il gruppo abbia bisogno di mettere ordine in casa propria prima di considerare nuove adesioni.

 Ciò include, tra le altre cose, lo stallo di tre anni tra India e Cina che coinvolge migliaia di soldati di stanza lungo il loro confine conteso nella regione orientale del Ladakh.

“Jaishankar”, ministro degli Esteri indiano, ha più volte affermato che le relazioni tra i giganti asiatici “non sono normali”.

C’è anche una rivalità con Pechino per l’influenza regionale.

Tuttavia, la Cina ha mostrato segni di ammorbidimento in vista del vertice BRICS, con il recente impegno da parte dei comandanti militari di entrambe le parti a “mantenere la pace e la tranquillità” lungo il confine.

 Non è chiaro se il primo ministro indiano Narendra Modi e il presidente cinese Xi Jinping si incontreranno a margine del vertice.

 Il modo in cui le due maggiori economie BRICS gestiscono le loro relazioni potrebbe determinare se il blocco prospererà o balbetterà.

Non un “o-o”.

Alla fine, un punto di forza del gruppo BRICS – a cui i suoi membri fanno ripetutamente riferimento – è che, a differenza dell’Occidente, non si aspettano che altri Paesi debbano scegliere ed essere vincolati a salde alleanze (esclusive).

Ad esempio, il commercio all’interno dei BRICS in valute locali o il commercio con gli Stati Uniti in dollari non deve necessariamente essere un “o-o”.

 Per molti Paesi può essere semplicemente un meccanismo che può servire meglio i propri interessi in determinate situazioni.

In parole povere, il gruppo BRICS sta cercando di offrire una serie parallela di opzioni economiche e diplomatiche ai Paesi piuttosto che cercare di distruggere attivamente il modello guidato dagli Stati Uniti (al punto che si ipotizza anche la creazione di un formato BRICS++ che includa anche i Paesi del G7).

Questa idea può essere difficile da comprendere da alcune persone – soprattutto in Occidente – in un momento in cui la politica globale è così divisa.

Ma i BRICS non sono nuovi a essere fraintesi.

Quando fu formato il gruppo BRICS nel 2009, fu accolto in modo sprezzante dai diplomatici occidentali che parteciparono al primo vertice.

 Da allora la retorica in Occidente si è trasformata nell’idea che i BRICS siano semplicemente un blocco piegato alla Cina e guidato da un’agenda anti-occidentale.

 Potrebbero essersi sbagliati entrambe le volte.

 

Secondo alcuni analisti, il gruppo sta effettivamente cercando di costruire una piattaforma per la cooperazione tra Paesi emergenti (come la Cina) e Paesi in via di sviluppo, per migliorare la governance globale e, in definitiva, per costruire una comunità globale con un futuro condiviso.

Nel suo discorso, “Xi” ha affermato che i BRICS continueranno a crescere “qualunque resistenza possa esserci. … In questo momento, i cambiamenti nel mondo, nei nostri tempi e nella storia si stanno manifestando in modi come mai prima d’ora, portando la società umana a un punto critico”.

Presto potrebbe essere il momento per l’Occidente (i Paesi della Triade, USA, UE e Giappone) di ascoltare e accettare che i BRICS rappresentano semplicemente un sentimento globale in crescita:

anche altri Paesi, oltre a quelli occidentali, vogliono un posto al tavolo dove si discute e si prendono le decisioni sul futuro del mondo e, a differenza del passato, questa volta hanno la forza economico-politica per ottenerlo.

(Alessandro Scassellati)

 

 

 

 

 

Cosa sono i Brics e

cosa vogliono ottenere.

Wired.it – Kevin Carboni – Elena Capilupi – (22-10-2024) – ci dicono:

La sigla rappresenta le economie emergenti mondiali negli anni 2000: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

°A farne parte dal 1° gennaio 2024 sono anche Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran, Egitto e Arabia Saudita

Il presidente russo Vladimir Puntin è presente al vertice Brics.

L’insieme di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica forma i Brics, il gruppo di economie mondiali emergenti nato all’inizio degli anni Duemila per iniziativa di un banchiere della firma statunitense “Goldman Sachs”.

 L’influenza del gruppo è diminuita progressivamente negli ultimi anni, ma oggi Cina e Russia sperano di allargare e rafforzare questa alleanza per farla diventare un contrappeso dell’Occidente.

Da gennaio 2024 ne fanno parte anche Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran, Egitto, Arabia Saudita.

La storia:

Cosa sono i Brics.

Il vertice del 2023 di Johannesburg.

Gli obiettivi del nuovo vertice a Kazan.

Cosa sono i Brics.

Principalmente grazie all’India e alla Cina, i Brics rappresentano quasi metà della popolazione mondiale, con circa 3,5 miliardi di persone all’interno degli stati che formano il gruppo.

 Il nome deriva dal banchiere “Jim O’Neil”, si legge su Bloomberg, che nel 2001 usò il termine Bric, senza la S del Sudafrica, per indicare alcuni mercati promettenti per gli investitori ma che “non avevano nient’altro in comune”.

 

E in effetti, questo club di economie è profondamente diviso al suo interno per le enormi differenze che separano i paesi che lo compongono, sia sociali e politiche che economiche.

La formazione ufficiale composta dai primi 4 paesi si riunì la prima volta nel 2009, per poi invitare al suo interno il Sudafrica l’anno successivo, principalmente perché non poteva non esserci un paese africano nel gruppo dei paesi emergenti.

Il vertice del 2023 di Johannesburg.

Il 15° vertice Brics si è tenuto a Johannesburg, in Sudafrica, dal 22 al 24 agosto 2023.

Alla riunione hanno partecipato di persona tutti i leader dei paesi che lo componevano ad eccezione di uno:

 Vladimir Putin, su cui pendeva un mandato di arresto della Corte penale internazionale per i crimini di guerra commessi dalle truppe russe in Ucraina.

 

Robert Downey Jr e Christopher Nolan rispondono alle domande del web.

Durante i primi due giorni di vertice i leader dei Paesi Brics hanno discusso le richieste e i criteri di adesione esistenti e hanno deciso di invitare 6 nuovi paesi a far parte del gruppo.

 Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran, Egitto, Arabia Saudita hanno accettato, entrando ufficialmente l'1° gennaio 2024, l'Argentina, invece, ha declinato l'invito dopo l'insediamento del presidente “Javier Milei” il 10 dicembre 2023.

 

Gli obiettivi del nuovo vertice a Kazan.

Il nuovo vertice Brics si terrà a Kazan, in Russia, dal 22 al 24 ottobre, dove Vladimir Putin incontrerà diversi leader mondiali tra cui il cinese Xi Jinping, l'indiano Narendra Modi, il turco Recep Tayyip Erdogan e l'iraniano Masoud Pezeshkian.

Sarà la prima riunione che vedrà la partecipazione dei cinque nuovi membri: Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. All’ordine del giorno del meeting dovrebbero figurare anche i conflitti in Ucraina e Medio Oriente.

Secondo l'assistente di Putin per la politica estera, “Yuri Ushakov”, 32 paesi e più di venti capi di Stato hanno confermato la loro partecipazione.

Ushakov ha inoltre detto che Putin prevede di tenere circa 20 incontri bilaterali, suggerendo che questo potrebbe diventare "il più grande evento di politica estera mai tenuto" sul suolo russo.

Per Putin, questo vertice è cruciale: rappresenta l'opportunità di dimostrare che la Russia resta vicina ai suoi alleati globali, nonostante le crescenti tensioni con l'Occidente.

 Il Cremlino cercherà inoltre di sfruttare l'incontro per siglare accordi che possano rafforzare l'economia russa e sostenere lo sforzo bellico del Paese.

Cina e India sono partner particolarmente importanti per la Russia.

Nello specifico, l'India è un importante acquirente di materie prime russe, mentre la Cina potrebbe fornire software e tecnologie, che possono avere utilizzo civile e militare fondamentali per gli sforzi militari della Russia impegnata nell'invasione del territorio ucraino.

Un altro obiettivo della Russia è l'implementazione di un metodo di pagamento alternativo al “sistema Swift”, la rete utilizzata dalla maggior parte delle banche mondiali e dalla quale Mosca è stata esclusa.

L'intenzione è quella di sviluppare una piattaforma che coinvolga Cina, India, Arabia Saudita e Brasile, così da rendersi immune alle sanzioni statunitensi.

L'Iran, altro attore chiave, è in procinto di formalizzare una partnership strategica con la Russia:

Teheran ha infatti fornito droni militari al paese e, in cambio, sta cercando di ottenere armi russe avanzate per difendersi dalle potenziali minacce di Israele.

 

 

 

BRICS: il volto nascosto della

 nuova guerra fredda e

del controllo globale.

Sfero.me – Carmen Tortora – (3 novembre 2024) – ci dice:

 

Questo articolo è un po' lungo, ma vale la pena prendersi del tempo per assorbire ogni parola e comprendere come tutto ciò che stiamo vivendo sia il risultato di una preparazione orchestrata da tempo, con piani che vanno ben oltre i confini e i poteri dei singoli Stati.

Eccomi di nuovo, pronta a mettere in chiaro una volta per tutte cosa si cela dietro i BRICS.

Pensate davvero che questa alleanza sia nata per pura cooperazione?

No, è lo stesso copione della “Comunità Economica Europea”: un blocco ideato sotto il paravento della Guerra Fredda, il primo passo per aggregare nazioni che sarebbero poi state manipolate per la Guerra Fredda 2.0, quella che stiamo vedendo prepararsi sotto i nostri occhi.

Prima l’interdipendenza commerciale, mascherata da “libero commercio” e globalismo, poi un labirinto di regolamenti finanziari e giuridici, fino alla formazione di un blocco che profuma di federalismo comunista.

Sono anni che lo dico, e ogni passo di questo piano va esattamente nella direzione che avevo previsto.

 

Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto come il regionalismo si sia evoluto in una nuova religione, sostenuta da menti come “Samuel P. Huntington”.

Nel suo “Clash of Civilizations”, Huntington ci aveva già avvertiti che il mondo non stava andando verso un’unica democrazia liberale, ma verso un sistema di blocchi multipolari, “civiltà” separate in base a linee religiose ed etniche.

Un modello che chi tira le fila ha abbracciato con entusiasmo, perché serve perfettamente agli interessi dei “parassiti vampiri” che agiscono dietro le quinte.

Guardiamo al “Valdai Club”, il think tank” russo che ora spinge un progetto chiamato R20 (Regionalism 20).

Di cosa si tratta?

Di una struttura per “supervisionare” – sì, supervisionare, ma leggiamo: controllare – lo sviluppo economico e finanziario delle regioni del G20.

Per “Maxim Lissovolik”, questa piattaforma R20 rappresenta una “rete di connettività” che mira a connettere le principali infrastrutture globali.

Si parla di giganti come la “Belt and Road Initiative “della Cina e dell’Asia-Africa “Growth Corridor” di Giappone e India.

 L’obiettivo? Sostituire il G20 stesso.

La prova definitiva? Arriverà quando il “petroyuan” sostituirà il dollaro come valuta dominante.

 

E per chi sa dove guardare, ci sono altri segnali:

le “Aree di Responsabilità del Comando Combattente Unificato” dell’esercito statunitense tracciano il mondo in sei precise zone operative.

Coincidenze? Nient’affatto, ma un’evoluzione accuratamente orchestrata.

Huntington non è stato certo il primo a concepire questi schemi;

 si è limitato ad adattarli ai tempi.

Già negli anni ’40, “David Mitrany” aveva messo a punto il concetto di “funzionalismo”, un’idea di dominio che non si realizzava più con le guerre dirette, ma attraverso l’istituzione di organi sovranazionali incaricati di “coordinare” settori strategici come il commercio e la sanità.

 Uno stratagemma finemente costruito: apparentemente orientato alla risoluzione di problemi comuni, il sistema di Mitrany creava in realtà una rete di dipendenze funzionali tra gli Stati, facendo di ogni funzione un silenzioso strumento di controllo.

 

Nel 1943, al servizio del “British Foreign Office”, Mitrany pubblicava il suo” A Working Peace System”, presentando queste idee sotto la facciata della “pace duratura”.

 Ma non lasciatevi ingannare:

quel modello di “cooperazione funzionale” era in realtà pensato per incatenare i popoli e mettere nelle mani delle élite gli strumenti per edificare un impero senza confini.

E “Mitrany” non era solo.

Tra think tank e istituti come la “London School of Economics” e “Yale”, collaborava con organizzazioni e intellettuali che ufficialmente si occupavano di “pace” e “cooperazione internazionale”, ma che perseguivano obiettivi ben più oscuri.

 

Dietro le quinte, i finanziatori di questo teatro avevano già stabilito, nel lontano 1909, la strategia definitiva per conquistare il mondo: guerre infinite – o “perpetue” – che avrebbero fornito il terreno ideale per instaurare un controllo assoluto.

Non era del resto stato “H.G. Wells”, fabiano socialista e ponte tra le élite britanniche e statunitensi, a profetizzare ciò che ci attende nel suo romanzo Londra 2100.

Il risveglio del dormiente?

Un mondo dove la popolazione è ammassata in condizioni disumane, stretta nella morsa di un “White Council” oligarchico che governa con pugno di ferro.

Un piano da completare entro il 2100, non un giorno di più.

 

Non vi sembra la stessa trama dei “Hunger Games?”

 Anche qui, siamo in una nazione distopica chiamata “Panem”, divisa in 12 distretti, ognuno sotto il rigido controllo di “Capitol City”.

E ogni anno, Capitol punisce questi distretti con gli “Hunger Games”, uno spietato reality show in cui ragazzi e ragazze sono costretti a combattere fino alla morte.

E così, la storia ci porta nel “Distretto 12, dove “Katniss Everdeen” si offre volontaria per salvare sua sorella.

Ma non si tratta solo di sopravvivere: attraverso alleanze e un’insurrezione crescente, “Katniss” sfida la brutalità di “Capitol”, divenendo simbolo della resistenza per i distretti oppressi.

 

In “Hunger Games”, siamo in un futuro imprecisato, probabilmente secoli più avanti.

 Non si fa mai riferimento a una data precisa, ma si intuisce che sia un’era post-apocalittica, in cui le vecchie strutture sono crollate dopo disastri naturali e conflitti devastanti, portando alla creazione di “Panem”, che occupa quello che un tempo era il Nord America.

 

A ben vedere, è tutto parte di una programmazione predittiva, il metodo attraverso cui libri, film e serie TV, in apparenza innocui, introducono temi e scenari futuri con lo scopo di assuefare il pubblico a cambiamenti già pianificati.

Mostrare costantemente scene di pandemie, guerre o sorveglianza totale prepara le menti a queste idee, rendendole più propense ad accettarle quando si manifestano nella realtà.

 Il fine?

Rendere il pubblico sempre più incline ad accettare mutamenti sociali, politici e tecnologici, agevolando l’agenda di chi detiene il potere e il controllo.

Torniamo a Londra 2100.

 Il risveglio del dormiente.

La trama ruota intorno a Graham, un uomo del XIX secolo che, misteriosamente, cade in un sonno profondo per risvegliarsi duecento anni dopo, nel 2100, in una Londra distopica, dove nulla è ciò che sembra.

Mentre dormiva, i suoi beni venivano gestiti e moltiplicati da un gruppo di interessi che aveva costruito un impero sfruttando il suo “sonno eterno”.

Al risveglio, Graham scopre di essere, inconsapevolmente, il proprietario di gran parte del mondo, una figura temuta e venerata, dotata di un potere tale da poter decidere il destino della società.

Ma quel mondo che Graham trova al suo risveglio è marcio, segnato da disuguaglianze inimmaginabili, con la popolazione soggiogata a una classe elitaria mentre le masse languiscono oppresse.

 Nel corso della storia, Graham tenta di comprendere la nuova realtà e, inevitabilmente, diventa il simbolo della speranza per le masse sfruttate, unendosi infine a una rivolta contro quelle stesse élite che avevano tramato per controllarlo e manipolarlo.

La conclusione è drammatica e, volutamente, ambigua:

Graham, nel caos della battaglia finale, si sacrifica, lasciando l’esito della ribellione in sospeso.

La sua morte, però, si trasforma in un simbolo di speranza, un faro per chi anela a un mondo diverso, anche se Wells lascia intravedere un destino incerto.

La sua visione, infatti, suggerisce che l’umanità potrebbe continuare a ricadere nei soliti schemi di oppressione, alludendo ai rischi di un mondo tecnologicamente avanzato, ma sempre prigioniero delle stesse ombre del potere.

Questo tema viene ripreso nell'ultima scena di “Matrix Resurrections”, dove Neo e Trinity affrontano il “nuovo Analista”, ormai in controllo di Matrix.

Di seguito alcune delle battute conclusive del loro confronto:

 

Analista (rivolgendosi a Neo e Trinity): "Credete davvero di poter cambiare tutto? Di poter cambiare quello che la gente desidera? Nessuno vuole essere libero. La realtà è troppo dolorosa."

Trinity (con tono risoluto): "Non ti elimineremo, almeno per ora. Siamo qui solo per farti sapere che le regole del gioco sono cambiate. Siamo qui per ricostruire, per dare un nuovo finale alla nostra storia."

Neo: "Questa volta, le cose andranno come decidiamo noi."

Analista: "Vi illudete che la gente desideri qualcosa di diverso."

Trinity (avvicinandosi con fermezza): "Oh, non te la caverai così facilmente. Da ora in avanti, saremo noi a scrivere le regole."

Neo e Trinity (insieme, mentre si allontanano volando): "Ci rivedremo."

 

Queste battute concludono “Matrix Resurrections”, con Neo e Trinity che affermano la loro libertà e il nuovo potere.

Non solo sfidano l'Analista, ma esprimono l'intenzione di riscrivere Matrix a modo loro, segnando l'inizio di una nuova era nella simulazione.

Nel 2009, “Michel Serres”, il filosofo e sociologo francese, pubblicò “Gaia”:

 Il futuro della politica, un saggio che, più che un’opera di riflessione filosofica, sembrava una chiamata alla trasformazione radicale della nostra società.

 “Serres esplorava” il rapporto tra l’umanità e il pianeta Terra, che definiva Gaia, e lanciava un messaggio che non lasciava spazio a interpretazioni:

per superare le crisi ambientali e sociali, avremmo dovuto ridisegnare da zero il nostro sistema politico e il modo in cui ci relazioniamo con la natura.

Il testo, o meglio la "trama", segue un percorso concettuale inquietante:

 secondo Serres, l’umanità non poteva più considerarsi separata o superiore rispetto alla natura.

 Questo principio è alla base del “programma One Health” dell'OMS, che promuove un approccio olistico fondato sull’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale.

 La Terra, Gaia, doveva essere vista come un'entità viva, non solo una risorsa da sfruttare, e richiedeva una responsabilità condivisa.

 Per “Serres”, serviva una “Dichiarazione dei diritti della Terra” e un nuovo contratto sociale che ponesse il pianeta al centro delle scelte politiche.

Solo passando dalla competizione alla coabitazione, sosteneva, l’umanità avrebbe potuto preservare il proprio futuro.

 

Ma Serres non era l’unico a delineare questo scenario:

un anno prima, nel 2008, “Gianroberto Casaleggio”, co-fondatore del Movimento 5 Stelle, aveva prodotto un video sperimentale intitolato “Gaia – The Future of Politics”.

 In questo video, Casaleggio dipingeva un futuro inquietante, dove Internet era diventato il nucleo di tutta la comunicazione, conoscenza e organizzazione globale, portando una trasformazione radicale nella società e nella politica.

La narrazione, iniziando con una panoramica storica dell’evoluzione dei mezzi di comunicazione e del potere, mostrava come Internet avesse “democratizzato” l’accesso all’informazione – o almeno così si voleva far credere.

Secondo la previsione, entro il 2018 il mondo si sarebbe diviso in due blocchi: l’Occidente, caratterizzato da democrazie dirette e libero accesso alla rete, e paesi come Cina, Russia e Medio Oriente, dominati da dittature orwelliane che avrebbero mantenuto il controllo totale sull’accesso a Internet.

Poi, il 2020.

 Casaleggio prevedeva l’inizio di una Terza Guerra Mondiale, un conflitto di vent’anni in cui sarebbero state impiegate armi batteriologiche, accompagnato da un’accelerazione del cambiamento climatico, innalzamento dei mari di 12 metri, carestie globali, il collasso dell’era dei combustibili fossili e la distruzione dei simboli occidentali.

Questa guerra avrebbe lasciato il pianeta in uno stato di devastazione, riducendo la popolazione mondiale a un miliardo di persone.

Nel 2040, l’Occidente avrebbe infine trionfato, instaurando una “democrazia della rete” come nuovo sistema dominante.

Entro il 2047, ogni individuo sarebbe stato dotato di un’identità digitale unica su “Earthlink”, un social network globale creato da Google che avrebbe reso superflui i passaporti, introducendo un nuovo livello di controllo globale.

Ma non finiva lì.

Nel 2050, si sarebbe sviluppata una nuova entità chiamata “Brain Trust”, un’intelligenza collettiva che avrebbe risolto i problemi più complessi dell’umanità.

Nel 2051, un referendum mondiale online avrebbe abolito la pena di morte.

E infine, il 14 agosto 2054, si sarebbero tenute le prime elezioni mondiali online, sancendo l’istituzione di un governo globale chiamato Gaia.

 In questo nuovo ordine, partiti, religioni, ideologie – tutto sarebbe scomparso, lasciando l’uomo come unico governante del proprio destino.

La conoscenza collettiva sarebbe stata la nuova, vera politica.

 Wells esplora temi simili nel saggio World Brain (1938), in cui immagina una rete globale di conoscenza condivisa, un “cervello mondiale” che permetterebbe all’umanità di accedere e contribuire a una conoscenza collettiva.

Questa visione si stagliava come una presunta utopia tecnologica, ma, a uno sguardo attento, rivelava piuttosto il progetto di una società senza confini e identità, in cui il controllo sarebbe stato esercitato da pochi potenti attraverso l’illusione della “democrazia della rete”.

Guardate i progetti delle “smart city” per il futuro:

enormi megalopoli pronte a “ospitare” l’intera popolazione mondiale, mentre ogni spazio esterno viene lasciato a uno stato “naturale” inaccessibile, protetto dalle cosiddette “Restoration Laws”.

Queste leggi, con il pretesto di “restaurare” l’ambiente, mirano a chiudere ai cittadini vasti territori, in nome della protezione ecologica.

Ogni anno, obiettivi sempre più ambiziosi e distopici estenderanno queste aree, fino a escludere totalmente i comuni mortali che potranno solo osservare la “natura” tramite i loro dispositivi, limitandosi a un “gemello digitale” della realtà, accuratamente manipolato.

Il grande gioco è stato formalizzato già nei primi anni ’60, con il “Special Studies Project dei Rockefeller”.

 Il mondo, secondo il loro piano, doveva essere diviso in grandi aree economiche e politiche, raggruppate su base regionale e allineate attraverso interdipendenze economiche.

Ecco la chiave:

per raggiungere quel “governo mondiale federale” che avevano in mente, occorreva passare prima dalla regionalizzazione, guidata dall’ONU e, ovviamente, sotto la direzione degli Stati Uniti – ridotti, nel frattempo, all’ombra di ciò che erano stati.

Guardate l’Europa: il copione si ripete ora con i BRICS.

 

Negli anni ’70, per alimentare questa macchina, hanno staccato il dollaro dall’oro, aprendo la porta a guerre finanziate senza sosta.

Ma vi siete mai chiesti quante guerre abbiano vinto davvero gli Stati Uniti? Nessuna.

Autocitandomi “Le guerre non possono essere vinte ma non devono essere perse”.

Perché, al di là dei profitti che riempivano le casse dell’élite, ogni conflitto serviva a generare odio verso gli Stati Uniti e l’Occidente.

 Nel frattempo, Russia e Cina, finanziate profumatamente dall’Occidente, apparivano come “giganti buoni” – mai una guerra, mai un conflitto diretto.

“La Cina”, come affermavano i piani segreti, “si ribellerebbe apertamente a una dominazione straniera, ma abbraccerebbe il Nuovo Ordine Mondiale se le fosse fatto credere di avere il controllo”.

 Ed ecco la brillante strategia in due fasi:

Creare una falsa alleanza anti-occidentale – una coalizione incentrata sulla Cina, da contrapporre all’alleanza occidentale. La stampa mainstream ce ne ha dato già qualche indizio, come in un articolo del 2002 intitolato

“La Cina vuole il suo ‘nuovo ordine mondiale’ per opporsi alla versione statunitense”.

I burattinai, è risaputo, amano usare fazioni opposte per perseguire i loro scopi, assicurandosi sempre di avere le redini di entrambe.

Spingere il pubblico mondiale verso le braccia dell’alleanza cinese.

 Ma come farlo?

Semplice: dipingere il Nuovo Ordine Mondiale dell’Occidente come una minaccia brutale e, al contempo, promuovere quello della Cina e dei suoi alleati come un paradiso pacifico.

Creano paura da una parte e sicurezza dall’altra.

Hanno orchestrato azioni scandalose e provocatorie, sia economiche che militari, da parte delle potenze occidentali.

Vi suonano familiari i disastri in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria?

Hanno esposto ogni tipo di scandalo sulle nazioni occidentali, specialmente sugli Stati Uniti.

E chi abbiamo visto scappare dai tentacoli della NSA?

“Edward Snowden”: prima in Cina (Hong Kong), poi in Russia.

Il messaggio?

 Cina e Russia sono il rifugio dalla minaccia maligna degli Stati Uniti e del loro impero decadente.

E il caso “Assange”?

Una mossa perfetta.

 Vogliono farci credere che le intelligence, quelle stesse che controllano ogni comunicazione e ogni segreto, si siano fatte sfuggire “leaks" di tale portata?

 No, è solo un altro tassello nella messinscena globale.

Assange rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana, poi incarcerato:

uno spettacolo orchestrato per creare un martire, un “eroe” anti-sistema.

Ma di quale sistema stiamo parlando?

Di quello stesso apparato che ci fa credere che le informazioni “fuggano” dalle loro mani come perdite accidentali.

Non sto dicendo che Assange ne fosse consenziente o consapevole, ma la sua vicenda ha rafforzato l’immagine di un Occidente spietato che perseguita chi si oppone, mentre l’Est, con la Russia in particolare, viene ritratto come un potenziale rifugio per chi cerca scampo dalla sorveglianza oppressiva dell’Occidente.

Il gioco è chiaro: hanno costruito una trappola, l’alleanza BRICS, che sembra una salvezza dal pericolo.

Ma attenzione: è solo un rifugio ingannevole per attirare chi cerca protezione dall’Occidente.

 Nel frattempo, con le azioni scellerate delle potenze occidentali, spingono sempre più “conigli” spaventati verso questa trappola ben allestita.

I globalisti hanno costruito il Nuovo Ordine Mondiale su misura per le “aspirazioni dei popoli” a liberarsi dal giogo coloniale.

 È per questo che i BRICS esistono, per questo il NWO appare “multipolare”: vogliono che le nazioni oppresse credano di sconfiggere l’Occidente, che si vedano finalmente in trionfo.

Ma in verità, è solo l’inizio di una nuova fase di sottomissione.

 I popoli del mondo si sveglieranno un giorno, solo per scoprire che l’uguaglianza promessa altro non è che un’uguaglianza di servi globali.

 

E adesso, addentriamoci nella dichiarazione del vertice di Kazan, un documento corposo, scritto in quel linguaggio nebuloso tipico delle comunicazioni delle Nazioni Unite, del G7, del G20.

 È come se fosse stato copiato e incollato dai documenti occidentali:

denso di parole ma leggero di sostanza.

Ma ecco la cosa davvero interessante:

non c’è nessuna menzione diretta alla NATO, nessun accenno all’Unione Europea, al dollaro o a una volontà esplicita di sostituire il sistema SWIFT.

 In altre parole, tutta la retorica che ci vendono sui BRICS come distruttori del dollaro e dell’Occidente… non compare affatto nella dichiarazione ufficiale.

Eppure, i media alternativi sono pieni di allusioni a un imminente collasso dell’Occidente per mano dei BRICS, dipingendoli come cavalieri della giustizia pronti a spezzare le catene del sistema occidentale.

 Ma la realtà? È ben diversa.

La dichiarazione è una minestra riscaldata, un susseguirsi di frasi roboanti che sembrano tutto fuorché una minaccia imminente al dominio globale del dollaro.

Ora che il “Grande Vertice di Kazan dei BRICS+” è terminato, i vampiri sono tornati nei loro rifugi, al sicuro nelle loro lussuose fortezze, cullati da visioni di un nuovo ordine multipolare che danza nelle loro teste.

 Ma per chi legge attentamente tra le righe, i loro veri intenti restano avvolti nelle ombre.

Partiamo dai “partner” del summit.

Il primo è” Hongqi2, il produttore di auto cinese fondato nel 1958 sotto la guida di Mao.

 Ironico che il marchio si chiami “Bandiera Rossa” (Hongqi in mandarino).

 Ecco un piccolo dettaglio curioso: la prima auto di Hongqi era una copia di una Chrysler del ’55, riservata esclusivamente ai pezzi grossi del Partito Comunista.

Per il proletariato, invece, nemmeno l’ombra di quella lussuosa berlina “capitalista”.

Nulla dice “comunismo” come imitare il lusso occidentale e vietarlo al popolo.

Ma andiamo oltre.

L’ascesa di Mao non fu affatto casuale. La Corona britannica aveva da tempo interessi strategici in Cina, specialmente nel controllo del commercio dell’oppio. Forse c’era un compromesso nascosto dietro il suo potere:

un patto che avrebbe giovato tanto all’élite comunista quanto ai “parassiti vampiri” che si sarebbero serviti del regime anni dopo, fino ai giorni nostri, per introdurre un sistema collettivista tecnocratico.

 

Il secondo partner strategico?

Sberbank, la banca statale russa di cui la Russia controlla il 50% più un’azione con diritto di voto.

E a capo di questa macchina imponente troviamo” Herman Gref,” veterano dell’élite russa, con legami che spaziano da “Gazprom” a “Yandex”.

Nel 2020, Gref ha orchestrato la “trasformazione” di Sberbank: da semplice banca a “ecosistema” onnipresente, con servizi che vanno dall’intrattenimento al cibo, dal cloud alle farmacie, producendo persino farmaci generici.

Ora è semplicemente “Sber” – una banca che, di fatto, è diventata molto di più, un colosso digitale con ambizioni ben più ampie della finanza tradizionale.

Ma ecco il dettaglio che svela tutto:

Gref è uno dei “Young Global Leaders” del World Economic Forum (WEF), scelto per il suo “potenziale impatto globale.”

Sappiamo tutti cosa significa:

il WEF, con la sua agenda della “quarta rivoluzione industriale” e il progetto di trasformazione digitale, ha bisogno di uomini di fiducia per portare avanti il piano. Non solo:

 Gref è anche fiduciario del WEF.

 E durante la pandemia?

“Sberbank” ha creato” Immunotechnologies”, una sussidiaria che ha ottenuto i diritti esclusivi per distribuire il “vaccino Sputnik V”.

Con una spesa di 3 miliardi di rubli, Sberbank ha invaso il settore sanitario, producendo vaccini, attrezzature e dispositivi di protezione destinati ai maggiori centri di ricerca.

In altre parole, Sberbank si è trasformata nel braccio sanitario della Russia, estendendo il proprio controllo su settori chiave e sensibili.

 

Ma c’è di più.

Sberbank e il governo russo sono già immersi nel mondo del “data mining” e della “criptovaluta.

 Il 18 ottobre, il Fondo russo per gli investimenti diretti (RDIF) e “Bit River”, gigante dei data center, hanno annunciato una partnership per sviluppare intelligenza artificiale e potenza di calcolo, con 21 data center operativi e altri 10 in costruzione.

È evidente:

costruire le infrastrutture digitali dei BRICS è il primo passo per dominare il panorama globale del digitale.

E se la Russia riuscisse davvero a eguagliare gli USA su questo fronte? Diventerebbe impossibile ignorarla – e per qualcuno, molto difficile fermarla.

 

A guidare questa mossa c’è “Kirill Dmitriev”, CEO del RDIF e parte della cerchia dei “Young Global Leaders” del World Economic Forum.

 E dove è stato “formato”?

A “Stanford”, il centro mondiale di manipolazione delle masse, e ad “Harvard”, che ha sfornato una lunga lista di psicopatici elitari.

 Il tutto sotto la bandiera della cosiddetta “diplomazia civile” degli anni ’90 nello spazio post-sovietico.

Ecco un dettaglio “curioso”: da ragazzo, Dmitriev fu mandato in California a vivere con “amici di famiglia” americani.

 Coincidenze? Ho 10 rubli che puntano sul fatto che questi “amici” avessero legami con la CIA.

 Dopo la laurea, eccolo catapultato direttamente nei circoli di Goldman Sachs e McKinsey.

 Fin dove bisogna scendere negli abissi dello “Stato Profondo” prima che la gente inizi a notare che qualcosa non torna?

 

È ora di aprire gli occhi:

i BRICS non sono altro che un altro ingranaggio nell’”agenda del World Economic Forum”.

Eppure, c’è chi nella cosiddetta comunità “anti-sistema” si lascia ancora ammaliare dalla favola dei BRICS come “ribelli” contro i globalisti.

 Sì, proprio come la favola di “QAnon” con Trump.

 Gli ingenui creduloni di turno, convinti che i BRICS stiano combattendo i poteri forti dell’Occidente, stanno abboccando a un’altra storia ben confezionata.

Date un’occhiata alla dichiarazione ufficiale del summit di Kazan:

pubblicata online il 23 ottobre, prima ancora che il vertice fosse concluso.

Tutto già scritto, tutto pianificato in anticipo.

 Nessun dibattito, nessuna vera discussione, solo una messinscena ben orchestrata per intrattenere gli utili idioti accorsi per un pranzo gratis.

Ma attenzione, non fraintendete: questa è solo la mia modesta opinione… oppure quella di una “teorica del complotto”, giusto?

La dichiarazione, prevedibilmente, riafferma “lo spirito BRICS di rispetto, uguaglianza sovrana, solidarietà, democrazia, apertura, inclusività”.

Pace, amore e comprensione, insomma – niente di più che una patinata copertura per una furtiva presa di potere globale orchestrata da questi “giganti multipolari”.

La dichiarazione dei BRICS non perde tempo a ribadire i loro “nobili” impegni.

 E come potrebbero, visto che iniziano con l’elemento simbolico per eccellenza: l’ONU è definita la “pietra angolare indispensabile” del sistema internazionale.

La scelta di questo termine non è affatto casuale.

Nel linguaggio esoterico e massonico, la “pietra angolare” rappresenta la base del potere, il simbolo dell’inizio di una nuova costruzione, sia essa materiale o spirituale.

Non è un mistero che i “massoni”, insieme ai” teosofi”, abbiano sempre sognato una “Grande Opera” – la creazione di un nuovo ordine mondiale costruito su pilastri ben definiti.

E qui, con il patrocinio del “World Economic Forum”, vediamo proprio quel sogno prendere forma.

 

Parliamo di Agenda 2030, la bandiera sotto cui si nasconde il grande piano per “pace, prosperità e un pianeta sano.”

Ma chi decide cosa è prospero, cosa è “sano”?

Forse quei pochi che, dietro il velo delle istituzioni, spingono verso un obiettivo comune, ben lontano dal benessere delle masse.

 Una partnership strategica tra l’ONU e il WEF per accelerare questi “obiettivi” non è certo una coincidenza.

Piuttosto, è un segno che i pezzi del puzzle si stanno finalmente allineando.

 

Eppure, i fedeli della “grande scacchiera” sussurrano che Putin e Xi stiano solo fingendo di aderire agli obiettivi delle Nazioni Unite per “ingannare” i globalisti.

Sarebbe un piano da manuale, no?

 Fingere di essere complici per poi ribaltare il tavolo, infilando i loro scintillanti BRICS come salvatori del mondo.

Ovviamente, i globalisti sono così ciechi che non vedono la trappola, nonostante sorveglino ogni comunicazione globale.

E alla fine, poveri illusi, saranno messi all’angolo dalle “arti oscure” di Putin e Xi, pronti a sferrare il colpo finale a Klaus Schwab.

Fidatevi.

Il documento ribadisce con fervore l’appello del G20 per una “riforma della governance globale”, questa volta sotto l’egida del Brasile.

Ma cosa si nasconde dietro questa “riforma”?

Un potenziamento mai visto dell’ONU, una ristrutturazione strategica del Consiglio di Sicurezza con nuovi membri per riequilibrare il potere globale, una revisione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, una riforma del Fondo Monetario Internazionale e – tenetevi forte – persino discussioni sulla tassazione dei miliardari.

Un copione che abbiamo già visto?

Assolutamente.

 

Ora arriviamo al cuore pulsante del piano:

 i potenti hanno già messo nero su bianco l’ambizioso “ONU 2.0”, un programma studiato per trasformare le Nazioni Unite in una macchina di controllo globale senza precedenti.

L’obiettivo?

Equipaggiare l’ONU con strumenti ancora più potenti per estendere la sua influenza su ogni angolo del pianeta.

Al Summit del Futuro, il “Patto per il Futuro” è stato adottato con un impegno granitico verso il multilateralismo.

 Tradotto: un ulteriore passo verso il potere centralizzato, mascherato da un sistema “equo e sostenibile”.

Naturalmente, tutto questo perfettamente sincronizzato con l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

E non dimentichiamoci del Fondo Monetario Internazionale – la punta di diamante del cartello finanziario globale.

Potenti, spietati e straordinariamente influenti, sono pronti a colpire dove vogliono.

Probabilmente non l’avete letto altrove, ma il Fondo Monetario Internazionale è stato l’artefice dietro l’operazione anti-terrorismo in Ucraina nel 2014.

Tutto risale a “Jackson Hole”, al raduno dei banchieri centrali, dove “Jack Lew “parlò con “Christine Lagarde”, allora alla guida del “FMI”.

Lagarde impose alla giunta ucraina di usare la forza per controllare il sud e l’est dell’Ucraina, pena la rottura degli accordi economici con il FMI.

Senza i fondi del Fondo, il governo ucraino non avrebbe potuto mantenersi – così, in un attimo, Kiev lanciò le operazioni antiterrorismo contro le popolazioni del Donbas.

E guarda caso, prima di quell’attacco strategico, una schiera di emissari si riversò a Kiev per “incoraggiare” il governo a prendere l’iniziativa.

 

Ma non finisce qui.

La guerra contro lo Yemen nel 2015 esplose dopo che lo Yemen rifiutò un’offerta del FMI.

Stessa storia in Bolivia: un colpo di stato scoppiò proprio dopo il rifiuto di un’offerta di finanziamento del Fondo.

Coincidenze?

 Difficile crederlo. Ogni governo che si oppone si trova magicamente in ginocchio.

 

E chi applaude a tutto questo come una rockstar del controllo globale?

Esatto, il World Economic Forum, il gran promotore della “quarta rivoluzione industriale”, sostenitore instancabile di ogni mossa.

 Un’influenza sottile ma potente che sostiene questa riorganizzazione globale con un entusiasmo che non lascia dubbi su chi tirerà le fila dietro le quinte.

Il loro messaggio è chiaro: il mondo deve evolvere verso una nuova multipolarità, spostando il potere da Occidente a Oriente. Riformare le Nazioni Unite è un obiettivo che i BRICS, e in particolare la Russia e la Cina, perseguono con zelo.

La “Dichiarazione di Johannesburg II” del 2023 ribadisce questa visione:

 aprire le porte del “Consiglio di Sicurezza” a Brasile, India e Sudafrica.

Un Consiglio “più democratico, rappresentativo ed efficiente”, che risponda alle “aspirazioni” dei paesi in via di sviluppo, rappresentando le nazioni emergenti di Africa, Asia e America Latina.

Ma non illudetevi:

il tanto proclamato “mondo multipolare” non vedrà mai la luce fino a quando due condizioni non saranno soddisfatte.

Primo, il sistema finanziario mondiale dovrà abbandonare il dollaro come valuta di riserva per passare a un paniere di valute controllato da nuovi attori.

Secondo, il “Consiglio di Sicurezza dell’ONU” dovrà essere riformato per includere i membri dei BRICS, come Brasile, India e Sudafrica – i campioni del Sud del mondo.

 

Gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna, che tengono saldo il controllo sul Consiglio di Sicurezza dell’ONU, faranno di tutto per non perdere il dominio.

Sanno benissimo che se i BRICS dovessero fare il loro ingresso, sarebbe la fine della supremazia occidentale.

Ma i veri burattinai, quei vampiri parassiti che tessono i fili del potere globale, hanno già deciso la direzione:

il modello da seguire è quello “efficiente” e senza libertà, già testato con successo in Cina.

 E perché mai Russia e Cina sostengono così ardentemente i loro alleati BRICS?

 La risposta è semplice: per stringere ancor di più la morsa sul potere globale.

 Ma l’idea di una vera ONU democratica, dove ogni nazione ha voce uguale e il potere di veto scompare, è solo un’illusione che non ci sarà mai concessa.

Il “World Economic Forum”, come da copione, si unisce entusiasta al coro delle cause “universali” come l’UNFCCC e il Protocollo di Kyoto, spacciandoli per impegni per il “bene comune” grazie alla loro “adesione quasi universale.”

E al vertice dei BRICS, naturalmente, non poteva mancare “António Guterres”, segretario generale dell’ONU, con i suoi discorsi su cambiamento climatico, intelligenza artificiale e “cooperazione globale.”

 E cosa sfodera davanti ai leader mondiali?

La solita retorica della “famiglia globale.”

Ma di quale famiglia parliamo davvero?

È la rete globale di sorveglianza e controllo che ho già descritto nel mio libro “Welcome to 1984”: il “villaggio globale” profetizzato da “McLuhan”, dove ogni individuo è costantemente tracciato, monitorato, controllato.

 

Il concetto di “famiglia globale” o “umanità collettiva” affonda le sue radici in tradizioni esoteriche, teosofiche e massoniche, che lo collegano a una visione dell’intera umanità come un’unità interconnessa e indivisibile.

 Per queste tradizioni, l’individuo non è che una cellula di un organismo cosmico molto più vasto, dove il pensiero e la consapevolezza collettiva convergono in un’unica coscienza universale.

È un’idea che riecheggia attraverso simboli antichi, archetipi potenti e, sì, anche nella moderna infrastruttura della sorveglianza globale.

Secondo la visione esoterica, l’umanità collettiva è un aspetto cruciale della crescita spirituale, l’unione di singoli frammenti che formano una coscienza unitaria.

Correnti come l’ermetismo e l’alchimia sostengono che ogni essere umano sia una scintilla dell’unica intelligenza divina, unita agli altri in un campo di energia e consapevolezza chiamato “Registri Akashici”.

Questi registri sono la “memoria universale” dove ogni pensiero, emozione e azione umana è scritta e custodita, come un’eterna biblioteca cosmica.

 All’interno di questa memoria collettiva, la “famiglia globale” esiste come un’unica entità, e ogni persona ne è parte inseparabile.

 

Un concetto simile si trova nella noosfera, la “sfera del pensiero” che il filosofo “Teilhard de Chardin” descrive come una rete invisibile che collega le menti umane.

Questa noosfera, secondo de Chardin, è destinata a evolversi fino a diventare una coscienza globale unica.

I piani di un futuro mondo “armonioso” sembrano attingere a questi stessi concetti, ma si traducono in un monitoraggio costante e in una conformità collettiva.

 

In teosofia, l’umanità collettiva assume un significato centrale. La “Società Teosofica”, fondata da” Helena Petrovna Blavatsky” nel XIX secolo, propose la” Fratellanza Universale” come pilastro della sua filosofia, sostenendo che tutte le razze, religioni e culture sono manifestazioni di un unico Logos, lo spirito universale.

“Blavatsky” e altri teosofi insegnavano che l’evoluzione spirituale dell’uomo è, per natura, collettiva:

l’umanità deve avanzare come una sola unità verso l’illuminazione globale.

Questo richiamo alla “famiglia globale” è associato a cicli cosmici e alla progressiva ascesa della coscienza collettiva.

Le radici della Fratellanza Universale risuonano con l’idea di un “nuovo ordine mondiale”, ma quello teosofico puntava alla liberazione spirituale, non al controllo totalizzante.

 

Anche la massoneria ha radici filosofiche che rispecchiano il concetto di unità e fraternità umana, rappresentando l’umanità come un grande edificio in cui ogni individuo è una pietra, una componente necessaria per il compimento dell’intero.

 Nei rituali e nei simboli massonici, si intravede un percorso verso la scoperta del proprio posto all’interno dell’”universo ordinato,” una noosfera spirituale che unisce tutti gli esseri umani in una “famiglia universale.”

Qui, ogni nazione, cultura e individuo cooperano per costruire un mondo ideale. Solo che questa visione è stata trasformata:

oggi, l’idea della “famiglia globale” viene usata per promuovere una struttura di sorveglianza globale che emula quest’antica aspirazione, ma con lo scopo opposto: invece che unire, serve a monitorare, anziché liberare, trattiene.

In questa versione moderna, la “famiglia globale” diventa un’illusione per giustificare una rete di sorveglianza e conformità.

 Non è la Fratellanza Universale dei teosofi, né l’umanità connessa ai “Registri Akashici”, e tantomeno il “grande edificio” dei massoni.

La “famiglia” è, ora, una rete di occhi e orecchie che tutto vede e tutto controlla.

E poi c’è la nuova alleanza spaziale dei BRICS, con i loro satelliti in orbita bassa, ufficialmente per raccogliere dati sui “cambiamenti climatici”.

Davvero crediamo ancora a questa storiella del “telerilevamento”?

Questa è solo una copertura per un monitoraggio globale 24/7, reso possibile grazie al 5G e al futuro 6G per processare dati in tempo reale.

Ogni satellite lanciato è un occhio in più su di noi, un tassello in più nel sistema di controllo globale che stanno costruendo, uno strato dopo l’altro, fino a creare una rete inestricabile di sorveglianza planetaria.

Ma non è tutto.

I BRICS hanno istituito un proprio centro di ricerca sui vaccini, una macchina “sanitaria” con l’obiettivo dichiarato di contrastare malattie infettive e, soprattutto, la tanto temuta “Malattia X.”

 Sì, proprio quella.

Il World Economic Forum ci avverte da anni su questa minaccia enigmatica, e ora si parla già di piani per vaccinare contro un virus che… non è ancora apparso.

E chi alimenta questa narrativa?

“Kate Kelland”, autrice per la sezione “Agenda” del WEF, sempre pronta a diffondere l’idea di una “Disease X” in podcast e articoli sulla preparazione pandemica.

 

Dietro le quinte, spunta la “CEPI”, l’organizzazione creata per sviluppare vaccini “in anticipo,” supportata dai soliti volti noti: Bill Gates e il fedele Tony Blair. Una struttura che sembra più una rete di controllo preventivo, pronta ad agire appena scatta la prossima “emergenza”.

E ora, addentriamoci nell’”agenda woke”, quell’invisibile rete che filtra in ogni parola, in ogni frase di questi documenti.

“Chiediamo di aumentare il ruolo e la quota delle donne, soprattutto dei paesi meno sviluppati, a diversi livelli di responsabilità nelle organizzazioni internazionali…” — eccoci qui, nel cuore pulsante del programma inclusivo.

Dimentichiamoci la selezione basata sulle competenze o sui meriti personali.

Ora, le quote sono essenziali, e queste quote devono sostenere un’agenda di “equità” ben lontana dalla vera meritocrazia.

 

E come se non bastasse, rilanciano ancora:

“Riconosciamo il “G20 Call to Action on Global Governance Reform,” la richiesta del Brasile di riformare il G20, con un occhio particolare all’espansione del ruolo delle donne.

Qual è il vero scopo?

Certo, vogliono più donne in posizioni chiave, ma se davvero si trattasse di selezione per merito, chi avrebbe qualcosa da obiettare?

No, qui siamo oltre la semplice competenza.

Qui si parla di costruire una struttura “inclusiva” per servire scopi più vasti.

 

Ma non finisce qui:

 “Sosteniamo un processo di selezione basato sul merito inclusivo ed equo per le posizioni al vertice delle istituzioni di Bretton Woods, una maggiore rappresentanza geografica e la quota delle donne.”

Ci tengono tanto a Bretton Woods, anzi, sembra quasi che stiano cercando di rispolverarlo, rafforzando il “Fondo Monetario Internazionale” e la “Banca Mondiale”.

 Solo che ora, a differenza del passato, vogliono avere più controllo su queste istituzioni.

 

E come al solito, ecco che arrivano le criptovalute e le valute digitali delle banche centrali (CBDC):

“Ribadiamo il nostro impegno per combattere i flussi finanziari illeciti, il riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo… comprese le criptovalute, per scopi illegali.”

Vogliono monitorare tutto, con la scusa di “prevenire” il crimine.

 Non suona già come il preludio a un sistema di sorveglianza globale?

Poi si passa agli “stakeholder,” i nuovi padroni del mondo: “Chiediamo un dialogo rafforzato all’interno dei BRICS sulle questioni del riciclaggio di denaro e il contrasto al finanziamento del terrorismo con la partecipazione delle parti interessate.”

 E chi sono queste “parti interessate”?

Gli “stakeholder,” termine caro a Klaus Schwab, che ci ricorda che il controllo del mondo è ben pianificato, anche a livello delle giovani generazioni:

“Sottolineiamo l’importanza di creare condizioni per uno sviluppo sicuro delle giovani generazioni…”

E naturalmente, non manca il tema della disinformazione:

 “Esprimiamo serie preoccupazioni per la diffusione esponenziale della disinformazione e delle fake news…”

 La censura si veste di preoccupazione per la “verità.”

 E mentre il Brasile fa da pioniere nella censura sui social, ci mostrano la strada che intendono percorrere:

“Pur riaffermando l’impegno alla sovranità degli stati… garantire il libero flusso e l’accesso pubblico a informazioni accurate e basate sui fatti.

” Tradotto?

 Decideranno loro cosa è vero e cosa non lo è.

 

Poi c’è il controllo dei dati, la nuova frontiera del potere: “Preoccupati del rapido processo di digitalizzazione… sottolineiamo il ruolo chiave dei dati per lo sviluppo.”

 E proseguono:

“Evidenziamo che una governance giusta, inclusiva ed equa dei dati è fondamentale.”

Insomma, i dati sono cruciali, e ogni informazione digitale verrà monitorata, limitata, gestita, tutto per il “bene comune.”

E vogliono pure regolare i flussi di dati tra i Paesi:

 “Chiediamo la definizione di un quadro globale giusto ed equo per la governance dei dati, compreso i flussi di dati transfrontalieri.”

Un quadro che deciderà chi avrà accesso a quale dato, chi potrà usare cosa, e ovviamente, tutto sotto il controllo ONU, con il tocco della Cina.

La “nuova rivoluzione industriale” non poteva mancare:

“Riconosciamo che il partenariato per la nuova rivoluzione industriale funge da piattaforma guida per la cooperazione di BRICS.”

 Ah, la famosa Industria 4.0 che fa battere il cuore a Klaus Schwab, con partenariati e produttività – una vera ode al controllo totale.

Ma non finisce qui, perché parlano dei “mercati del carbonio”: “Riconosciamo l’importante ruolo dei mercati del carbonio… come uno dei motori dell’azione per il clima.”

 E via con la nuova economia verde, fondata su uno scambio che rafforza il controllo su industrie e nazioni, tutto per il clima.

E come ciliegina, arriva l’OMS:

 “Ribadiamo il nostro sostegno al ruolo centrale di coordinamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità,” sempre lì, pronta a riformare il sistema globale per proteggere la “salute pubblica.”

 Insomma, l’OMS diventa il guardiano della nostra “salute”, supportata da istituzioni globali che mirano a prevenire, preparare e rispondere a ogni futura “emergenza sanitaria.”

A coronamento, troviamo il sistema di “pre-allerta”:

“Sosteniamo le iniziative del BRICS R&D Vaccine Center… l’ulteriore sviluppo del BRICS Integrated Early Warning System.”

 Un sistema per avvertirci di ogni nuova minaccia sanitaria, prima ancora che accada.

Tutto sommato, è solo un altro “BRICS nel muro”.

Quello che vediamo è un progetto totalmente globalista travestito da nuova alleanza.

I BRICS stanno costruendo una propria “cultura”, ma la stanno riempiendo di comitati, sotto-comitati, e sub-organizzazioni ad ogni livello immaginabile.

Ecco solo un assaggio dalla loro dichiarazione:

 Festival della cultura BRICS, Festival del cinema, Alleanza dei musei, Alleanza delle biblioteche, Alleanza dei teatri per bambini, Alleanza della danza popolare, Giochi BRICS, Summit dei giovani, Consiglio dei giovani, Forum parlamentare, Dialogo tra partiti politici, Forum di urbanizzazione, Forum delle donne, Alleanza imprenditoriale femminile, Forum accademico, Forum civile… e la lista continua all’infinito.

Think tank, centri di arbitrato, comitati per la cooperazione digitale e financo il “Giorno del geografo BRICS”.

Il tutto riempito di tecnocrati entusiasti, convinti di far parte di una rivoluzione globale che in realtà non comprendono.

È un sistema che ricorda in tutto e per tutto l’establishment del World Economic Forum:

 tecnocrati psicopatici, scienziati pazzi e burocrati iper-organizzati che creano strutture senza fine, riempiendo questi ruoli con uomini e donne senza spina dorsale, moralmente deboli e ben contenti di essere risucchiati in una macchina che li rende importanti, ma solo a livello di facciata.

In fondo, cosa sono?

Solo dei patetici burocrati senza immaginazione, servi ben remunerati di un sistema che li ha sedotti con la promessa di status e vantaggi, ma che in realtà non è altro che il “Culto dei Vampiri” mascherato da rivoluzione multipolare.

La strada per l’inferno è lastricata di burocrazia, e i vampiri globalisti del WEF e dell’ONU piovra sono i maestri indiscussi di questa tetra arte.

Sono dirigenti intermedi, micro-manager, macro-manager, amministratori viscidi. Individui dall’aspetto impeccabile, freddi, meticolosi, iper-organizzati e spietati. Privati di qualsiasi qualità redentrice, incarnano un tipo di male che si cela nella normalità.

 E, credetemi, è la cosa più “bella” che posso dire di loro.

Per concludere, vi lascio con una citazione dal libro illuminante di “Hannah Arendt”, “Eichmann a Gerusalemme”:

 la banalità del male, che racconta il processo ad “Adolf Eichmann”.

Qui “Arendt” descrive “Eichmann”, ma il parallelo con i burattinai del potere oggi è fin troppo calzante:

 

“Il problema con Eichmann era proprio che così tanti erano come lui, e che i molti non erano né pervertiti né sadici, che erano, e sono ancora, terribilmente e terrificamente normali.

Dal punto di vista delle nostre istituzioni legali e dei nostri standard morali di giudizio, questa normalità era molto più terrificante di tutte le atrocità messe insieme, perché implicava – come fu detto a Norimberga più e più volte – che questo nuovo tipo di criminale, “hostis generis humani”, [nemico dell’umanità] commette i suoi crimini in circostanze che rendono quasi impossibile per lui sapere o sentire che sta facendo del male”.

Ecco la vera minaccia:

 burocrati così terribilmente normali da non rendersi nemmeno conto del male che fanno, e proprio per questo sono tanto più pericolosi.

(t.me/carmen_tortora1)

 

 

 

Al Liceo Righi di Roma Ragazzi “Identificati”

per Aver Esposto Bandiere della Palestina!

Conoscenzealconfine.it – (4 Novembre 2024) - Agata Iacono – ci dice:

 

Gli studenti del Collettivo Ludus denunciano il gravissimo episodio su Instagram.

“È successo di nuovo”, scrivono gli studenti medi del Liceo Righi di Roma, il miglior liceo scientifico della Capitale secondo la classifica Eduscopio.

Il liceo Righi è stato al centro di molte polemiche anche lo scorso anno scolastico, da quando cioè docenti e studenti hanno cercato di capire insieme cosa sia successo dal 7 ottobre 2023 in Palestina, affrontando a tutto tondo la drammatica situazione, anche dal punto di vista storico e filosofico.

È scattato subito l’allarme, i giornali hanno raccontato episodi mai avvenuti (con relative smentite postume che però non hanno cambiato la narrazione mainstream).

 Ad esempio.

Ma la questione più recente è di una gravità che non è possibile ignorare, perché criminalizza, nella scuola, la volontà di esprimere pacificamente solidarietà ad un popolo sottoposto a genocidio.

Cos’è successo?

Lo denuncia il Collettivo Ludus del Righi su Istagram.

Alla fine delle lezioni, venerdì 25 ottobre, gli studenti hanno esposto alle finestre dell’istituto scolastico 38 bandiere con i colori della Palestina.

Raccontano loro stessi:

“Abbiamo esposto manualmente 38 bandiere palestinesi dalle finestre della nostra scuola che affacciano su via Campania.

 Facendo ciò non abbiamo commesso alcuna infrazione, poiché avendo esposto e non affisso le bandiere e non essendoci sporti dalle finestre, la nostra azione era più che in regola, oltre che legittima.

 Per questo motivo abbiamo rifiutato di rimanere dentro la scuola e collettivamente siamo usciti”.

Ma la dirigente scolastica ha chiamato le forze dell’ordine.

 I ragazzi sono stati trattenuti per l’identificazione, quindi gli agenti sono andati via, secondo il Collettivo Ludus “perché la stessa Digos non ha rilevato alcuna infrazione”.

Non finisce qui. Il giorno dopo, la nuova dirigente scolastica, “Giulia Orsini”, inoltra una email ai genitori dei “pericolosi” ragazzi.

La dottoressa Orsini ha sostituito la precedente preside Giacomo Bono, distintasi per aver impedito una conferenza “sull’approfondimento del conflitto israelo-palestinese” per “motivi di serenità all’interno della scuola”.

 

Relativamente alla email ai genitori, la dirigente, che minaccia i ragazzi di ritorsioni disciplinari se oseranno persistere nella solidarietà alla Palestina o addirittura ambissero a “portare la politica nella scuola”, precisa a Roma Today:

“La lettera è stata inviata agli otto studenti che siamo riusciti a identificare e che hanno esposto le bandiere fuori dall’orario delle lezioni, ritardando e compromettendo così il lavoro del personale della scuola.

Abbiamo lavoratori che vengono da altre regioni, che hanno dei tempi molto stretti per tornare a casa e che sono stati messi in difficoltà”.

Quindi non si possono esprimere manifestazioni pacifiche di solidarietà perché ritardano la pulizia delle aule?

E riguardo ai procedimenti disciplinari specifica:

 “Ho fatto presente alle famiglie che, nel caso in cui si dovessero ripetere episodi come questi, prenderò tutti i dovuti provvedimenti.

La mia richiesta era diretta ai genitori, per spiegare loro la situazione e chiedere che le manifestazioni politiche vengano lasciate fuori dalla scuola”.

“Mi ero prefissa di commentare la mail e le puntuali risposte degli studenti.

 Ma credo che questa ‘storia’ Istagram sia già eloquente e tragicomica”.

Com’è possibile che il dirigente scolastico del migliore istituto scientifico della Capitale chiami la Digos contro i suoi studenti, adducendo motivi di orario per la pulizia delle aule, inventando che i docenti sono tenuti ad inseguire gli alunni fuori dall’orario scolastico, paragonando l’esposizione di ben 38 bandiere palestinesi alle finestre ad un “parco giochi”?

Forse basta riportare il commento postato in calce dal collettivo Ludus Righi:

“E adesso parliamo noi”.

“Pretendiamo rispetto e ascolto: una scuola solidale è alla base della società”.

(Agata Iacono)

(lantidiplomatico.it/dettnews-il_liceo_righi_di_roma_ragazzi_identificati_per_aver_esposto_bandiere_della_palestina/39130_57441/).

 

 

 

 

 

I Brics Plus vogliono

autodeterminazione e pace.

Contropiano.org - Salvatore Izzo – Il Faro di Roma – Luciano Vasapollo - (4-2-2024) – ci dicono:

 

 

L’ingresso nei Brics di Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran, che si aggiungono ai membri fondatori, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, rende concreto e raggiungibile “l’obiettivo di creare un nuovo ordine economico pluri polare e multicentrico, che sia garanzia di un equilibrio universale che minimizzi la supremazia delle potenze e permetta di procedere verso modelli di giustizia sociale ed uguaglianza”, sottolinea il decano di economia della Sapienza, “Luciano Vasapollo”, intervistato da Faro di Roma.

 

Tuttavia, osserva il docente, “la presente evoluzione mondiale non traccia ancora un ‘nuovo ordine’ quanto piuttosto nuove forme di scontro mondiale tra l’ordine dell’impero (centro) e la volontà di indipendenza (di ‘decolonizzazione’) delle periferie, di quello che usualmente e impropriamente viene chiamato Terzo Mondo”.

“Ciò che si sta verificando è che la volontà di indipendenza nazionale degli Stati periferici – spiega “Vasapollo” – si rivela con nuovi parametri ideologici (neo-sviluppo nazionale), i quali continuano ad avere come elemento principale la critica del dominio della proprietà privata e, quindi, della volontà imperiale di possedere la proprietà di tutto il capitale redditizio in tutto il mondo e in particolare nella periferia”.

 

Secondo Vasapollo, “con questo allargamento finalmente il mondo pluri-polare diventa una concreta realtà, e questo non solo per il peso in termini di PIL e in termini demografici, ma perché quest’area assume una ben maggiore forza di impatto dal punto di vista della “Tricontinental”, parola usata da “Che Guevara” come indicazione di una precisa direzione:

si rafforza la presenza dell’America Latina con l’Argentina, dell’Africa con l’Egitto e del Medio Oriente e del Vicino Oriente con l’Arabia Saudita e gli Emirati, ma anche con la presenza dell’Iran che è importantissima”, spiega il docente “quindi avanza quella nuova concezione di cui abbiamo sempre parlato in termini gramsciani come della nuova visione meridionale, meridionale allargata”.

“Questo – rivendica Vasapollo – significa che avevamo ragione in tempi non sospetti sul fatto che la prospettiva sarebbe stata unipolarismo contro pluri-polarismo e quindi la fine del mondo uni-centrico dove per uni-centrismo si intendono le aree ovviamente imperialiste gli Stati Uniti e l’Unione europea e il mondo multipolare significa appunto creare una condizione di alternativa all’imperialismo anche se con paesi fra loro eterogenei”.

“Auspichiamo – confida il professore – che prima possibile possa entrare anche il Venezuela e caratterizzare di più la presenza dei paesi a transizione e pianificazione socialista.

Ma anche gli attuali BRICS hanno un fattore in comune: questa Alleanza non ha carattere militare e non ha carattere ovviamente aggressivo, ma una caratteristica di complementarità anti-imperialista.

Tutto questo fa pensare immediatamente al fatto che si può marciare in maniera veloce per la de-dollarizzazione e senza che dall’alto arrivi una moneta di sostituzione del dollaro negli scambi internazionali, perché non servono nuove forme imperiali ma la creazione di un’area di scambio, di un commercio a carattere complementare e solidale”.

 

Professore, ma il processo in atto di allargamento dei Brics come si inserisce nell’attuale contesto internazionale caratterizzato dalla guerra in Ucraina e dal genocidio a Gaza?

L’allargamento dei BRICS, che c’è stato qualche mese fa, rafforza la visione multipolare, pluricentrica e pluri-polare del mondo, contro quella che è la visione unipolare, a guida imperialista, statunitense e dell’Unione Europea, della quale è conseguenza la guerra della NATO contro la Russia, che si combatte in Ucraina.

 Ma lo è in effetti anche il nuovo attacco a Gaza da parte del governo israeliano, che ha ovviamente una idea ancora fortemente colonizzatrice e imperialista.

In effetti le aspirazioni del gruppo dei paesi dei Brics (oggi Brics plus), sono proprio quelle di imporsi alla dinamica delle regole dell’ordine mondiale, con una visione invece multipolare e multicentrica, in cui anche nelle differenze politiche fra i vari paesi, che sono rilevanti anche sull’approccio economico e sociale differente, però si possa creare quello che è uno svincolo completo dall’impero.

L’allargamento dei Brics può incidere fortemente sui paesi occidentali perché anch’essi, specialmente in quanto importatori, debbono interrogarsi se continuare ad essere una colonia degli Stati Uniti, oppure aprirsi a quelle che sono le relazioni monetarie e commerciali più ampie.

E in questo senso una delle strategie più importanti è quella della de dollarizzazione, che intende sottrarre il mondo al dominio del dollaro.

 

Le guerre di oggi in Ucraina e Medio Oriente sono conflitti della NATO, entrambe in difesa dell’unipolarismo, fronte sul quale i governi dei paesi NATO si schierano per difendere quelli che sono gli interessi degli apparati militari industriali e quindi dell’industria bellica che cerca di fare profitto alimentando azioni militari che portano morte e devastazione, e che sono effetti di un keynesismo militare che ha per obiettivo l’accumulazione dei profitti e non certo l’affermazione o la difesa di ideali e diritti.

In merito, la Russia dichiara di considerare molto importante l’allargamento dei Brics e di voler includere paesi come l’Arabia Saudita nel blocco, e che si devono appunto ampliare le attività commerciali che sono sempre più realizzate per esempio in Yuan e con quindi una sostituzione del dollaro con la moneta cinese: questa evoluzione è dovuta a quelle che sono le prese di posizione degli Stati Uniti che impongono alla Russia delle sanzioni, e quindi per cercare di sottrarsi alla dipendenza dal dollaro, la Cina e altri paesi cercano sempre di più modi di pagamento alternativi, anche perché l’interesse è forte: il processo di de dollarizzazione sta marciando.

 

I paesi Brics ormai commerciano nelle valute nazionali per circa l’85% e questo è un segnale forte di autonomia e conferma il fatto che deve cessare qualsiasi interferenza degli Stati Uniti sulle politiche interne, ad esempio su Taiwan, e che la Russia pone in maniera chiara la sua posizione a conferma del sostegno a “una sola Cina” in questo scontro con la NATO.

“Xi Jinping”, il leader cinese, afferma che la Russia e la Cina devono collaborare strettamente per difendere la sovranità dei loro paesi, la sicurezza e opporsi a ogni interferenza agli affari interni da parte degli Stati Uniti.

Purtroppo incombe su tutto questo la cappa della minaccia militare dell’Occidente.

Professore, sembrano realizzarsi dunque le parole di Gramsci: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.

Di fatto sta emergendo un ordine multipolare e policentrico che è contrastante con il disegno geostrategico del capitale globale.

 La permanenza delle profonde divergenze, per non parlare del vero e proprio stato di soggezione economica, produttiva e finanziaria dei paesi vittime del colonialismo e dell’imperialismo, sono frequentemente individuate col particolarismo, con la spiegazioni che alludono alle differenze etniche, culturali, naturali, religiose, non molto differenti nella sostanza dal discorso ideologico condannato da Gramsci nella questione meridionale, ma assolutamente scevre di qualsiasi fondamento materiale ed economico.

Le divergenze, pure esistenti nell’analisi dei marxisti sul punto, scontano, nell’essenza, un ritardo nella messa a fuoco della questione della polarizzazione e della lotta anticoloniale come momento della generale teoria del modello di produzione capitalistico.

I Brics, e in particolare la Cina, hanno messo bene in evidenza che hanno dei loro progetti:

 la Cina punta forte sulla nuova Via della Seta ed è veramente incomprensibile, dal punto di vista anche della sovranità e della determinazione del processo nazionale di rafforzamento dell’economia nazionale, il fatto che il governo italiano ci stia portando fuori dal progetto della nuova Via della Seta, ovviamente, questo è avvenuto per spinta degli Stati Uniti, ed è questo che dimostra che siamo una colonia.

Di fatto abbiamo assecondato una spinta da parte degli Stati Uniti che volevano cercare di fermare il rapporto fra l’Italia e la Cina sulla nuova Via della Seta, quindi è una decisione che fa male sicuramente all’Italia non alla Cina.

Ed è una decisione invece che fa bene agli Stati Uniti, per mantenere il dominio anche commerciale sull’Italia.

Con le sanzioni, come Italia e in generale come Europa, già ci hanno isolato dalla Russia, maggior fornitore di gas e grande mercato per i nostri prodotti manifatturieri…

Sia la Russia che la Cina hanno aumentato i loro rapporti strategici.

E sono importanti a livello mondiale le risorse esterne all’area del dollaro:

il settore energetico, le materie prime, in particolare le “terre rare”, il settore alimentare, con la fornitura di grano, sono potenzialmente punti di forza dei Brics e dei Brics allargati.

I paesi aderenti al nuovo cartello hanno sviluppato anche una significativa collaborazione scientifica, anche con un progetto di società spaziale che potrà coinvolgere pure alcuni Stati africani.

Il programma “Sfera” prevede di lanciare satelliti per la comunicazione e il rilevamento.

 Anche questo è un modo di opporsi al dominio della comunicazione, cioè a una narrazione a senso unico degli eventi basata sulla comunicazione voluta dall’impero.

Si tratta di un programma di costellazioni satellitari per tutti i servizi di telecomunicazione con strumentazione russa e anche 5 satelliti per il telerilevamento.

Un processo già avviato grazie ai satelliti che sono stati inviati nei mesi scorsi, già a partire da ottobre.

La Cina si è resa disponibile a coniugare i propri sforzi a quelli della Russia imponendo proprio un discorso generale sulla nuova piattaforma delle relazioni internazionali.

 

I Brics rappresentano in effetti una novità rispetto all’approccio tradizionale della Cina?

È nata una cooperazione che i cinesi chiamano “comunità dal destino condiviso per l’umanità”.

Loro hanno queste frasi bellissime e sono, diciamo così, in una linea di progettazione per concepire un futuro di uguaglianza di diritti e di diritti sociali, cioè quindi una nuova umanità, con una visione globale degli interessi.

Analogamente il Sudafrica ha incitato a un cambiamento dei Brics in senso propositivo.

 Il paese ha avuto dei grandi benefici da questo punto di vista perché le priorità del Sudafrica sono quelle di rafforzare il partenariato e hanno ribadito che vogliono assolutamente allargare la cooperazione all’Unione Africana nei prossimi decenni, ed è quindi un progetto di medio-lungo periodo e con l’operatività di una zona di libero scambio continentale in Africa.

 

Si tratta dunque di crescere attraverso i concetti di cooperazione e di cooperazione economica, monetaria e finanziaria fra i Brics, ii Brics plus e 20 paesi dell’Africa che erano interessati a mobilitarsi per una buona causa.

Un ragionamento che è estremamente importante perchè prevede degli investimenti anche a livello internazionale fatti dal Sudafrica.

 

In effetti il Sudafrica è fedele all’insegnamento dell’uomo che l’ha liberato dalle catene dell’apartheid, Nelson Mandela.

Questo paese con la sua storia travagliata rappresenta un punto di riferimento forte. Per esempio tra gli obiettivi raggiunti dal Sud Africa ci sono la capacità di affrontare le sfide della disoccupazione, della povertà, della disuguaglianza.

Dobbiamo guardare all’aumento del commercio tra Stati, in particolare tra gli altri paesi dei Brics.

In particolare è importante l’aumento degli investimenti nel turismo, nello sviluppo e nel trasferimento di tecnologia, quindi è estremamente importante la presa di posizione continua da parte dell’Iran, che sollecita fortemente l’intervento dei Brics anche per fermare i crimini di guerra, per fermare il genocidio di Israele a Gaza.

L’Iran, però, viene continuamente criminalizzato e minacciato…

C’è infatti un ruolo politico forte da parte degli uomini dell’Iran, che mette al centro la ridefinizione di un nuovo ordine mondiale più equilibrate, più equo.

Un futuro di pace passa necessariamente dalla risoluzione giusta del conflitto medio orientale intorno a questa tremenda guerra, una guerra genocida da parte di Israele e degli Stati Uniti contro i palestinesi.

Diciamo che si formano dei blocchi che si fronteggiano a livello anche militare oltre che politico.

I blocchi sono quelli che sono oggi in campo:

da una parte paesi come la Russia, la Cina, eccetera, che sostengono le ragioni dei palestinesi, quindi il pluri- popolarismo che si muove verso un mondo libero dall’impero, dall’altra parte l’unipolarismo occidentale che sostiene invece Israele e il suo violento sionismo.

La sensazione è che questa guerra contro i palestinesi alla quale il nostro paese non riesce minimamente a opporsi ci dimostra sempre di più anche che l’Italia ha paura degli Stati Uniti e dei suoi alleati e che Washington non rappresenta più il punto di vista del cosiddetto mondo libero ma si oppone e a quella che è che la nuova visione del mondo, che è appunto quella dei Brics che vogliono sempre più svincolarsi dalle costrizioni nordamericane ed essere più forti per lanciare anche un nuovo progetto di rivoluzione industriale che non sia basato sul rafforzamento della produzione delle armi e quindi sull’apparato industriale militare ma su altri settori, come la comunicazione e i settori per esempio della intelligenza artificiale: la Cina da questo punto di vista scommette fortemente sulla tecnologia.

 

Ma l’intelligenza artificiale può essere al servizio di un mondo più giusto?

 

Nella nuova rivoluzione industriale e della comunicazione, le nuove tecnologie, compresa l’IA, devono giocare una partita fondamentale rafforzando il dialogo tra i governi, le industrie e il mondo accademico, che si muova sulla produzione di software e l’uso di nuovi materiali come per esempio il “coltan”.

Ben venga la realizzazione di progetti di cooperazione e formazione, di crescita di nuove risorse tecnologiche ma anche umane, cioè un nuovo assetto delle risorse umane che possano portare avanti una rivoluzione industriale sostenibile, per cui questo nuovo progetto deve portare ovviamente ad alternative concrete che riguardino non solo gli aspetti economici e finanziari ma anche gli aspetti politici e della sicurezza.

Servono accordi culturali, accademici ed economici per favorire le relazioni umanitarie di partenariato e di solidarietà.

Vediamo che nonostante le sanzioni i russi continuano i loro piani di lavoro per il 2024 con una grande delusione da parte di USA e UE.

E assistiamo a quella che viene chiamata dai russi, dalla Cina, dall’Iran, la nuova cooperazione multipolare che vede un ruolo fondamentale a livello politico anche di paesi come Cuba, Bolivia e Venezuela.

Inoltre si prevede di sviluppare modalità appunto per il rafforzamento del coordinamento delle politiche estere e della lotta contro il terrorismo, per la sicurezza e l’informazione, quindi contro la comunicazione deviante.

Una difficoltà che rallenta il cammino di questa cooperazione è il boicottaggio degli accordi commerciali attraverso il blocco dei pagamenti interbancari?

I Brics pongono grande attenzione alle strategie di partenariato che rappresentano un piano d’azione e di cooperazione fortemente innovativa. E si sta lavorando molto per avere un circuito comune, a partire dalla Banca per lo sviluppo guidata dall’ex presidente brasiliana “Dilma Rousseff” che intende raccogliere fondi da un’ampia serie di mercati mondiali, in diverse valute, compresi yuan, dollaro e euro.

Allo scopo di finanziare i progetti con valute locali, privilegiando i mercati domestici e riducendo l’esposizione alle oscillazioni dei mercati valutari.

Tutto questo potenzierà il ruolo dei paesi Brics e Brics plus anche nel sistema finanziario, a partire dalla disponibilità a qualsiasi forma di cooperazione pratica, che rafforzi però l’apposita posizione di un’associazione nuova a livello internazionale che si opponga all’unipolarismo.

E da questo punto di vista, ovviamente, contribuirà alla pace, perché veramente questa del dominio imperiale è la dinamica ad esempio della guerra di Gaza.

 Una situazione drammatica che accelera però, dal punto di vista di chi osserva dall’esterno, la cooperazione tra i paesi del Sud globale che resistono al conflitto voluto dall’Occidente.

Ad una reale indipendenza aspirano certamente i paesi dell’Asia.

 

Per immaginare un’Asia libera dagli Stati Uniti, accanto alla leadership della Cina dobbiamo riconoscere anche un ruolo centrale dell’Iran in particolare nella battaglia contro il colonialismo e l’imperialismo.

Quelli di Israele in questo momento drammatico e quelli analoghi della NATO contro la Russia.

Perchè il regime sionista di Israele commette genocidio e viola tutte le regole e norme, e quindi, dicono i Brics, bisogna normalizzare i rapporti tra i paesi dell’area e rafforzare i rapporti della Palestina.

Dunque rompere, boicottare, i legami con il regime israeliano e per far questo gioca un ruolo prioritario l’Iran con anche accordi di carattere commerciale che stanno sempre di più rafforzando l’unione economica eurasiatica che firma accordi di libero scambio su vasta scala con l’Iran stesso e si sostituisce agli affari e accordi precedenti, che erano stati stipulati, contrariamente a tutte le norme e il buon senso, ad esclusivo vantaggio degli USA.

Oggi invece un asse con la Russia diventa sempre più importante per l’Iran e la crescita dei Brics.

Cresce la Russia attraverso i Brics, ma emerge anche un nuovo circuito di legami cui può guardare tutto il blocco dell’euro asia:

da questo punto di vista la cooperazione anche logistica si sviluppa attivamente e gli accordi tra Teheran e Mosca continuano a crescere, e l’Iran potrebbe diventare un hub di passaggio per l’esportazione ad esempio del grano e dell’olio di girasole e questo è un qualcosa che aggira le sanzioni imposte dagli Stati Uniti contro la Russia e così mette insieme un quadro unico di accordi che creano una base economica e logistica di risorse che permetterà così anche alla Cina, all’Eurasia e all’intero Sud del mondo e all’Africa di non sentirsi assolutamente sottomessa alle logiche nord-centriche dell’Occidente globale.

 

Accordi che moltiplicandosi portano l’Iran tra le prime 20 economie mondiali.

Ma i principali punti di forza dell’Iran sono il grado altissimo di scolarizzazione, le riserve di idrocarburi, il basso costo dell’energia, un PIL sempre più elevato e il 12% delle riserve mondiali di petrolio:

 il terzo posto su scala mondiale appunto per riserve petrolifere, mentre l’Iran è al secondo e il Venezuela è al primo.

 

Primi al mondo per quanto riguarda le riserve le riserve di gas e questo fa vedere immediatamente l’espansione dei Brics e crea un super gruppo una super forza di produttori e consumatori di petrolio;

e l’espansione dei primis include importanti produttori di petrolio dell’Opec e quindi un controllo dell’energia.

Se l’Arabia Saudita confermerà la sua volontà di presenza all’interno dei Brics il gruppo controllerà metà della produzione globale di petrolio i Brics si preparano quindi a questa nuova dimensione a questi nuovi allargamenti che dovranno avvenire tra settembre ottobre del 2025.

Come è noto il “neo fascista Milei “appena eletto presidente argentino ha ufficialmente notificato ai Brics che il suo paese non si unisce e starà fuori da quello che è il gruppo dei paesi in realtà più emergenti, questo modifica le sue previsioni sull’avvento dei Brics in America Latina?

Rinunciando ai Brics l’Argentina si chiude in una politica di dominio e di accettazione del colonialismo e della dollarizzazione da parte degli Stati Uniti. Invece, in America Latina, risponde da questo punto di vista fortemente Cuba con una politica di apertura al pluralismo e cioè a un sistema democratico maturo.

I paesi dell”’Alba”, l’Alleanza Bolivariana fondata da Castro e Chavez, sono tutti in transizione verso la piena adesione ai Brics plus ed è questo un ulteriore passo in avanti nella ridefinizione di tutti gli assetti geopolitici e geoeconomici internazionali, anche come alternativa dei servizi Internet statunitensi, cioè si cerca di sottrarsi al controllo da parte degli Stati Uniti sulle comunicazioni.

E da questo punto di vista si sta pensando a un’infrastruttura Internet nei paesi dei Brics che porti ad un unico spazio cibernetico.

(Il Faro di Roma – Salvatore Izzo).

Spiritualità e realtà: una visione

umanistica e scientifica del mondo.

matematica.unibocconi.eu – Prof. Marcello Costa – (10-2-2024) – ci dice:

 

Preambolo.

In questi giorni si parla spesso di spiritualità, e sembra che questa esigenza dell’uomo sia in contrapposto alla materialità della vita di ogni giorno.

 La vita cosiddetta materiale risveglia nei più un desiderio di ritrovare un senso della vita umana che sfugga al giornaliero.

 Inoltre il rinascere delle tensioni internazionali, dovute in parte a visioni contrastanti del mondo basate su cosmologie religiose, ci obbliga a rivedere il ruolo delle religioni nella vita spirituale.

Vorrei spartire con voi i miei pensieri di come una visione di scienziato umanista può essere rilevante ad una visione più ampia delle attività spirituali dell’umanità. I punti di vista che esporrò non saranno forse condivisi da tutti gli scienziati, ma spero peraltro che anche alcuni non scienziati vedano, nelle idee esposte, un tentativo serio di riportare problematiche spirituali nell’ambito del pensiero umanistico-scientifico.

Sin dai primi tentativi di darsi una visione del mondo, numerose culture, compresa la nostra, hanno cercato la spiritualità nella trascendenza, in un mondo cioè che va oltre all’immediato e al materiale:

 il desiderio di “Mythos” oltre che di” Logos”, per dirlo con “Karen Armstrong”.

 Il pensiero di una trascendenza si associa facilmente all’idea di assoluto.

 Le posizioni spirituali basate sull’assoluto hanno dato origine per lo più ad atteggiamenti che vengono chiamati al giorno d’oggi, fondamentalisti.

 Spesso, anzi spessissimo, le posizioni fondamentaliste vanno mano a mano con atteggiamenti di natura repressiva.

Il pericolo di questo processo, che è in antitesi alla civiltà del mondo umanistico-scientifico, è attualissimo.

 

Il desiderio di spiritualità è molto comprensibile, e va visto come un’esigenza fondamentale della vita umana, piuttosto che come un ritorno ad un semplice oscurantismo religioso.

La ricerca di spiritualità tuttavia non va, proprio per questo, confusa con un ritorno alle religioni.

Il problema dunque è come dare allo stesso tempo spazio all’esigenza di spiritualità senza cadere nel fondamentalismo religioso e neppure seguire i movimenti della "new age".

Naturalmente vorrei partire da un presupposto storico, cioè che la religiosità slavata del cristianesimo occidentale moderno non possa essere una soluzione sociale duratura, proprio per la sua debolezza storico-filosofica.

 La tolleranza da parte del cristianesimo nei confronti di una società chiamata da “Karl Popper” "aperta", peraltro conquistata dal mondo laico umanista nel corso di secoli, spesso non in modo incruento, è vista come debolezza da un’ottica più "fondamentale" della spiritualità.

La ricerca di una spiritualità più robusta e adatta al mondo moderno e post-moderno richiede quindi uno sforzo di apertura concettuale non indifferente.

La spiritualità a mio avviso è troppo importante per lasciarla alle religioni.

Mi propongo di mostrare come si può trovare la spiritualità all’interno del mondo umanistico-scientifico, come un’estensione naturale alla lunga storia della cultura umana che tende a scalzare le culture del trascendente.

L’umanizzazione della spiritualità è dunque un processo in atto e di cui mi faccio semplice portavoce.

Il grandioso edificio della scienza umana, entro l’ottica illuminante dell’evoluzione biologica e culturale, rappresenta insomma un’attività spirituale “par eccellence”.

 

 L’emergenza della spiritualità nell’evoluzione umana.

Inizierò dal problema della spiritualità e del suo emergere nell’evoluzione umana. Questa si è sviluppata nell’arco delle decine di migliaia d’anni, che hanno visto la comparsa dei primi segni di attività coscienti.

Non intendo definire qui la spiritualità in modo troppo rigoroso, ma indicherò, con questo termine un po’ generico, tutte quelle attività umane che ci spingono ad andare oltre l’esperienza immediata del qui ed ora.

Questa semplice definizione comprende il mondo dei sentimenti interiori, delle idee, dell’immaginazione e delle credenze.

Parte di queste attività spirituali comprende le visioni del mondo sia personali che collettive, fra cui vi sono i miti, le religioni e anche la scienza stessa.

Queste attività spirituali, del tutte umane, rappresentano il tentativo di dare un senso in tre aspetti dell’esistenza umana. Dare senso:

1. al mondo attorno a noi,

2. ai nostri rapporti con altri esseri umani e

3. alla nostra stessa esistenza individuale.

 

Da dove viene questo bisogno di dare un senso a questi tre quesiti fondamentali dell’esistenza?

In questo tradisco, senza alcuna vergogna, la mia formazione di biologo e in particolare di neuroscienziato.

L’evidenza che l’essere umano sia emerso da un processo evolutivo, con i primi ominidi apparsi circa da 3 a 5 milioni di anni fa, è incontrovertibile.

 Il problema è quindi non già se l’uomo si sia evoluto, ma come questo sia avvenuto.

Il problema così attuale del genoma umano dimostra, in modo convincente, che l’essere umano non è poi così distante dai suoi cugini nel processo di diversificazione della vita sulla terra.

Il processo evolutivo non comprende solo l’aspetto fisico dell’essere umano, ma anche le sue attività mentali compreso il linguaggio, l’immaginazione, i sentimenti, compreso quelli religiosi.

 L’evoluzione del sistema nervoso (cervello) sta’ certamente alla base del processo dell’evoluzione della mente.

Quindi il problema che va posto non è se la religiosità e le attività spirituali siano comparse per un processo evolutivo o meno, ma come e quando siano comparse.

Nell’evoluzione del cervello c’e’ una buona correlazione fra la complessità del sistema nervoso e il grado di costruzioni percettive del mondo esterno e degli individui stessi di una particolare specie.

Questo processo si è accelerato con la comparsa dei mammiferi, data l’importanza crescente che i rapporti sociali hanno acquistato sia fra genitori e figli che in comunità più estese.

Negli organismi più complessi il cervello non controlla solamente movimenti e comportamento e non solamente integra l’informazione sensoriale che giunge al cervello attraverso i sensi, ma è anche sede di attività continua anche in assenza di movimenti e di sensazioni.

Questa attività "silente" del sistema nervoso può essere considerata a tutti gli effetti come "attività mentale" cosciente o non-cosciente che sia.

Naturalmente anche l’attività mentale è comparsa per un lento processo evolutivo.

 Ciò che chiamiamo le visioni del mondo, cioè miti, religioni e la scienza stessa, per quanto grandiose siano, sono pur sempre costruzioni mentali cioè umane. Pertanto, anche queste gigantesche e complesse costruzioni del pensare umano, il modo in cui si vedono i rapporti con altri esseri umani e il rapporto con sé stessi, sono stati della mente che sono comparsi in qualche momento nell’evoluzione.

La comparsa dei valori.

Fra queste attività mentali, chiamiamole superiori nel senso che sono certamente le più complesse sinora, c’e’ la capacità di attribuire significato e valori.

Viene detto spesso che gli esseri umani sono unici nell’attribuire significati, valori al mondo, a sé stessi e ad altri esseri umani.

Questa caratteristica umana apparentemente unica, a meno che non la si ritenga di origine trascendente, deve essere anch’essa il frutto di un processo evolutivo. Come questa evoluzione possa essere avvenuta appare in parte chiaro dagli studi degli altri animali.

Sin dall’inizio gli organismi viventi hanno dovuto far delle scelte fra le diverse richieste impellenti per la sopravvivenza stessa.

Nutrirsi, fuggire dai pericoli e riprodursi sono le funzioni più fondamentali della vita stessa.

Il vantaggio evolutivo di provvedere strumenti adeguati per scegliere fra questi comportamenti sta’ alla base del cammino evolutivo per lo sviluppo di un sistema nervoso complesso, e ricco di attività "mentali".

Il processo di fare scelte fra diversi comportamenti richiede prima di tutto la capacità di percepire fenomeni salienti nell’ambiente esterno.

La comparsa del sistema nervoso, sin dall’inizio della comparsa degli organismi multicellulari, compreso quella dei vertebrati circa 500 milioni di anni fa, testimonia l’importanza di questa funzione che si sviluppò più complessa nei mammiferi.

 Circuiti nervosi si svilupparono specificamente per garantire comportamenti complessi ed effettivi per nutrirsi, fuggire da danni e riprodursi.

Da questi si svilupparono circuiti nervosi più raffinati che arricchirono il repertorio di ciò che viene giustamente chiamato "comportamento adattativo".

L’insieme di questi circuiti nervosi e le loro interazioni con l’ambiente sono alla base del processo di attribuire valori e senso di cui l’essere umano è così impregnato.

Memoria, tempo e angoscia esistenziale.

Un altro aspetto fondamentale per comprendere la comparsa della spiritualità e’ lo sviluppo della memoria.

L’emergenza della memoria nel sistema nervoso ha una lunga storia.

L’aumento di questa funzione permise agli animali più complessi di percepire le regolarità più salienti nell’ambiente che facilitarono l’adattamento.

Lo sviluppo della memoria attribuì agli ominidi capacità di immaginare situazioni prima di averne esperienza diretta.

Questo segna la comparsa dell’immaginazione.

Questo passo evolutivo si accompagnò anche alla capacità di ricordare esperienze passate mediante introspezione.

Con l’immaginazione gli ominidi e gli esseri umani poterono proiettarsi nel futuro e iniziare a pianificare comportamenti sulla base delle regolarità dell’ambiente. Questa segna probabilmente la nascita del senso del tempo nel sistema nervoso degli animali più complessi.

 

Quest’enorme vantaggio evolutivo, di esser cioè capaci di compiere prove di vita estemporanee, cioè prima di farle nella realtà, e’ avvenuto ad un altissimo prezzo esistenziale. Nell’aumentare questa capacità di immaginare eventi prima e dopo il momento pr

esente, cioè di ampliare la sfera del "Tempo", il processo evolutivo raggiunse uno stadio critico.

 Gli esseri umani poterono immaginare tempi più in là della propria vita, prima e dopo.

Divennero pertanto consci della propria fine.

In altre parole riconobbero la loro mortalità.

 

L’angoscia esistenziale, provocata da questa presa di coscienza, rimane ancora profondamente radicata nelle nostre menti.

Il senso di disperazione di perdere qualcheduno a cui siamo emotivamente attaccati, ha giocato e gioca un ruolo importante nel plasmare la nostra vita individuale e sociale.

 Naturalmente, anche la ricchezza delle emozioni umane trova riscontro nell’evoluzione con la comparsa di circuiti nervosi dediti a guidare comportamenti secondo esperienze piacevoli o sgradite.

La comparsa di miti e religiosità coincide, probabilmente, con questo gradino, molto drammatico, dell’evoluzione.

Il senso della propria mortalità è stato da allora forse la sfida più grande che ogni essere si porta dietro.

Questa segna la nascita dell’attività mentale, conscia, e della spiritualità.

 La spiritualità dunque è il risultato di un lungo processo dell’esser cosciente di essere individui unici e distinti dal mondo e dagli altri e inoltre di essere mortali. Ciascuno di noi, esseri mortali e coscienti di esserlo, vive questi drammatici passi come esperienza inevitabile della vita.

 

Angoscia, paura, speranza, disperazione trovano tutte probabilmente le loro radici in questo processo evolutivo, quasi fosse un prezzo inevitabile per il successo di estendere le capacita mentali superiori.

 Questo processo sofferto e paradossale potrebbe essere la radice di ciò che siamo giunti a chiamare "la condizione umana".

L’esistenza di un mondo oltre l’esperienza immediata divenne parte della "natura" umana.

Dobbiamo pensarlo come un processo che è nato circa 100 mila anni fa con “Homo Sapiens” e che si sta ancora evolvendo.

È l’inizio del porsi domande di natura fondamentale. È l’inizio della conquista dell’ignoto.

 

 I sentimenti di spiritualità, onniscienza, onnipotenza e immortalità.

Vorrei ora discutere l’idea che alcuni dei concetti profondi legati a sentimenti di spiritualità, sono anch’essi il risultato di un’evoluzione culturale avvenuta durante l’esistenza dell’Homo Sapiens.

La capacità di immaginare situazioni, per poi comprovarle nella realtà, sta alla base di ciò che chiamiamo conoscenza.

 Il senso di aver conoscenza anche di eventi e situazioni non immediate ha probabilmente dato origine, per un processo di estrapolazione ultima, al concetto di onniscienza, del poter sapere saper tutto, per lo meno in principio.

Il sentimento esplicito di poter controllare il proprio destino che si accompagna anche ad un senso di potere su sé stessi, sugli altri e sul mondo circostante, sta’ probabilmente all’origine del concetto di onnipotenza.

La terza idea fondamentale è legata alla difficoltà di accettare esistenzialmente che il nostro stesso essere individuale possa scomparire semplicemente con la morte.

Questo rifiuto esistenziale ha probabilmente dato origine alla speranza e alla credenza dell’immortalità dell’essere soggettivo, il sé stesso cioè l’anima.

 

Non è probabilmente un caso che gli esseri umani abbiano attribuito alle loro entità supreme caratteristiche di onnipotenza, onniscienza e di immortalità.

Curiosità e fede.

La realizzazione di essere individui, di essere distinti e separati dal mondo, e’ accompagnata da un senso di essere osservatori del mondo.

 Assieme a questa capacità di separare l’esperienza di un sé interno da quella di un mondo esterno, si sviluppò anche un dualismo di vedute circa la natura di questo mondo.

Da un lato vi è l’immediato, ciò che appare ai sensi, e dall’altro ciò che sta nascosto dietro a ciò che appare.

Questa è l’origine certamente preistorica, del senso che nulla è ciò che appare. Nulla è ciò che sembra.

 Questo segna la comparsa di un senso profondo che ci sia una realtà nascosta, e più vera, di quella presente, delle apparenze, qualche cosa che esiste oltre a ciò che viene osservato o vissuto direttamente.

 A questo senso dell’esistenza di un mondo che va oltre l’esperienza immediata si accompagnò la curiosità che è il motore della conoscenza.

 

Assieme al bisogno di mantenere una curiosità viva, per poter compiere azioni a lungo termine, azioni che spesso durano una vita intiera, si è dovuto sviluppare un’altra importante capacità.

Un senso di continuità nel tempo in previsione di ciò che ci si attende nel futuro. Questo sentimento che da una certa sicurezza in ciò che accadrà è la fede.

 In questo senso fede e credenze sono stati mentali di preparazione a ciò che avverrà.

 Sono, per natura, temporanei.

 Sono idee di ciò che potrebbe essere davvero dietro le apparenze.

Sono esperienze mentali di qualche cosa oltre l’osservazione e oltre l’esperienza immediata. La fede insomma rappresenta uno strumento essenziale per volgersi al quesito delle realtà nascoste.

La fede può esser quindi interpretata come un modo di dare un certo grado di sicurezza che ci siano cose anche quando non si possono ancora vivere direttamente, o perché non siano qui, o perché non accadano al presente.

Ad un livello semplice, la fede equivale alla capacità di agire come se ci sia un mondo oltre a ciò che si percepisce al momento.

 Così per esempio, il semplice aver fede che troveremo ancora i nostri cari quando torniamo a casa o al rifugio, o che dietro quella collina ci sia un animale che inseguiamo, diventa un atteggiamento essenziale per la sopravvivenza.

 Credere è dunque uno stato temporaneo necessario prima di poter stabilire e confermare come stiano, di fatto, le cose.

Un’altra caratteristica degli essere umani, che si e’ sviluppata assieme alla curiosità e la fede, e’ il dubbio.

Ogni volta che si dà una credenza, una possibile domanda si affaccia al pensiero; "ma sarà proprio così?"

Questo stato d’animo tempera le credenze e le obbliga a rimanere in sospeso sin tanto a che non si sia andato a vedere cosa davvero ci sia.

Il dubbio, o uno stato di un certo scetticismo, non e’ incompatibile ne’ con la curiosità ne’ con la fede.

 Il dubbio fa parte della triade di stati della mente inquisitiva che comprendono dunque curiosità, fede e dubbio.

La mente inquisitiva spinge a chiedersi "cosa c’e’?" poi "credo ci sia questo o quello" e poi infine "ma sarà proprio cosi? "

 La mente inquisitiva a sua volta fa parte del processo di adattamento evolutivo che rende l’essere umano così "mentale".

In questa ottica evolutiva si può vedere ora più chiaramente che la scienza e’ un’attività inquisitiva che applica questa triade di atteggiamenti in modo più rigoroso e completo di quanto fatto prima.

La capacità di sperimentazione della scienza moderna ha esteso la capacità di verifica di dubbi e pertanto ha aumentato in modo straordinario l’orizzonte della conoscenza possibile.

Le dicotomie; due visioni del mondo e la natura della realtà.

Negli ultimi millenni di evoluzione culturale alcune dicotomie sono comparse a causa di questa mente inquisitiva.

 Una di queste, che rappresenta una potente fonte di incertezza, è la dicotomia che c’e’ fra la realtà immediata e materiale da un lato, e una realtà nascosta e più essenziale dall’altra.

Questa dicotomia ha portato molti pensatori ad oscillare fra due posizioni apparentemente inconciliabili di cosa sia la realtà.

Da un lato c’e’ un profondo senso dell’importanza della immediatezza della nostra esperienza.

Questo ha portato molti pensatori ad affermare in modo deciso che il mondo è ciò che appare, e che ciò che si vede, si tocca e si sente è reale (vedere è credere) e che quello che ci dicono i nostri sensi è reale.

Chiamerò questo il mondo del qui-ed-ora.

 

Dall’altro lato l’esperienza di cose e fenomeni che non si osservano immediatamente, ma che pur ci sono alla luce dell’esperienza susseguente, suggerisce che ci sia un mondo reale, ma nascosto.

 Che ci sia una natura essenziale più vera di quella immediata.

È l’idea platonica alla ricerca dell’essenza delle cose, per rivelare cosa c’e’ dietro le apparenze.

Chiamerò questo mondo dell’ al-di-là.

Da queste tendenze apparentemente contraddittorie sono nati da un lato il concetto della” res extensa”, basata sulle sensazioni, su oggetti esterni, il mondo materiale della fisica e della materia che decade, e dall’altro il concetto della “res cogitan”s, delle cose immateriali, dei sogni, dell’immaginazione, delle idee, della mente pensante, dello spirito immutabile, dell’anima immortale.

 

Da ciò l’idea che ci siano due o più conoscenze adatte ai due mondi, quello della materia e quello dello spirito.

 L’una si acquista attraverso i sensi dal mondo materiale (la scienza apparterrebbe a questa forma di conoscenza) e l’altra proviene dal mondo spirituale come il ragionamento aristotelico ipotetico-deduttivo, l’intuizione, o addirittura le post Platoniche "rivelazioni divine" comunicateci direttamente o indirettamente da entità trascendenti.

Questo dualismo si irrobustisce con la distinzione fra il sapere a priori e trascendente e quello scientifico a posteriori e immanente, oppure considerandole conoscenze parallele con magistero equivalente, ma in campi diversi.

Da qui il potenziale scontro fra conoscenza per illuminazione divina e conoscenza tutta umana.

La distinzione fra questi due mondi permea ancora sia il linguaggio di tutti i giorni che quello dei concetti di cosmologia.

 In filosofia questa dicotomia e’ nota come la visione dualista del mondo che dobbiamo in tempi recenti a Cartesio.

 In molti dei libri sulla spiritualità moderna questo concetto è accettato come dato indiscutibile e temo che molti di voi nell’udienza accettino questa visione dualistica con tutti i paradossi che ne conseguono.

 Vedremo che il negare completamente le due visioni porta a impossibilità ancora più estreme.

Vorrei proporre il modo in cui possiamo vedere questi due mondi e modi di conoscerli sotto una prospettiva umanistico/scientifica, rifacendomi alla natura comune della conoscenza e dei processi evolutivi che sottostanno alla conoscenza.

Gli esseri umani da un lato devono interagire continuamente con il mondo mutevole dell’immediato e, dall’altro grazie al processo straordinario di evoluzione del cervello, gli esseri umani possiedono anche un'attività nervosa indipendente dal sensorio immediato che e’ presente anche in assenza di movimenti e di comportamento.

 Questo stato di attività cerebrale senza azione può essere definita come attività mentale, cioè pensiero.

 Da qui la distinzione fra il mondo del pensiero interiore e immateriale e il mondo esterno e materiale.

 Questi processi, hanno certamente aiutato gli esseri umani a vivere sia nel contatto continuo del presente immediato che nel concepire un mondo del passato e del futuro.

 Questo è la funzione d’adattamento di questi processi.

Mi pare che questa dicotomia sia emersa da un processo di estrapolazione, comprensibile ma forse esagerata, di processi del tutto normali.

 Ma non dovrebbe quindi sorprendere che qualsiasi tentativo di negare l’una o l’altra di queste visioni della realtà abbia portato a paradossi impossibili da risolvere.

Di fatto sia la visione che solo le idee sono reali (idealismo classico) sia l’idea che solo la materia sensibile è reale (materialismo classico) hanno portato inevitabilmente a situazioni insoddisfacenti sia per la vita pratica che per la filosofia.

Oltre al dualismo.

Queste due visioni del mondo, spinte agli estremi da diversi filosofi sia dell’idealismo che del materialismo, non sono convincenti per un critico serio.

Che l’esperienza soggettiva non significhi una "esistenza reale" è chiaramente assurda per la maggior parte delle persone pensanti e di buon senso.

La conseguenza del negare questa visione è che si rifiuterebbe di "esistere" nel presente, nel qui e ora, con chiari problemi di sopravvivenza.

D’altro lato l’idea che il mondo sia fatto solo di materia sensibile conosciuta solo attraverso l’esperienza immediata e che non ci sia un mondo di esistenza mentale è altrettanto assurda.

La conseguenza del negare la vita mentale porta a considerare altri esseri umani dei semplici automi, atteggiamento esistenzialmente incompatibile con l’esperienza personale per la quale si tratta con altri esseri umani come se fossero coscienti e autonomi.

D’altro canto la visione che il mondo sia fatto solo di idee a che addirittura il mondo sia del tutto immaginario e che potrebbe non esistere al di fuori della nostra esperienza è un esercizio che porta solo al solipsismo.

 

La visione tradizionale è stata che il mondo della materia è cangiante, caduco limitato nel tempo e nello spazio, mentre il mondo spirituale è immateriale, e non limitato da spazio e tempo immutabile.

Questa visione normalmente sostiene che questo secondo mondo dello spirito sia un mondo migliore nel quale le menti, gli spiriti esistono lontano dal mondo di dolori e tragedie del mondo materiale, e che le anime dunque trovano pace e riposo "nell’altro mondo".

Questa metafora dei due mondi ha resistito per molte centinaia di anni, forse millenni, tanto forte è l’importanza che questi due tipi di esperienze hanno per gli individui.

Di fatto salvo il credere che ci sia una mente non-umana capace di osservare il mondo dal di fuori, non vi è altro modo di superare i paradossi della visione dicotomica, salvo il comprendere meglio l’origine e la ragione evolutiva di pensare alla esperienza soggettiva del "sé" e ad un "mondo" separato dal sé.

 

Questa dicotomia è artificiale e nasce a mio avviso, da una serie di malintesi circa la natura della conoscenza.

Seguendo questa dicotomia la conoscenza del mondo cosiddetto fisico è prerogativa della scienza, mentre la conoscenza dei pensieri e della mente umana, del mondo cosiddetto spirituale cioè, è prerogativa della filosofia e della religione. Questa separazione a mio avviso oggi insostenibile.

I malintesi su cui si basava possono essere chiarificati.

 

Fra gli studiosi di scienze cognitive e alcuni filosofi si ritiene che anche le esperienze più soggettive, quelle ritenute appartenenti al mondo dello spirito, hanno una controparte fisica.

Che sono cioè stati fisici del sistema nervoso seppur molto complessi.

 D’altro lato dobbiamo anche accettare che e’ il funzionamento del cervello a creare una realtà, come quella delle nostre vivenze, e che quindi anche le entità più prettamente "fisiche e materiali" hanno associate ad esse un aspetto di spiritualità umana, nel senso che sono il prodotto di una costruzione mentale, pur coerente con il mondo.

È proprio la coerenza fra costruzioni mentali e conseguenze nel mondo, che giustifica evolutivamente la correttezza di queste costruzioni.

Infatti, questo processo, che può considerarsi di superamento della dicotomia dello spirito e della materia, del corpo e della mente è già a buon punto.

 Oramai quasi nessuno si fa fautore esclusivo di una delle due soluzioni opposte e paradossali.

Malgrado le difficoltà di pensiero, che non vanno sottovalutate, non è sorprendente che il processo di superamento sta avvenendo perchè le idee dualiste svaniscono per lasciar posto ad idee più mature e unificanti.

In questa ottica la prima considerazione e’ che se sia la costruzione del mondo esterno da parte della mente che la creazione di un mondo soggettivo interno sono il prodotto dell’evoluzione, allora si possono considerare soggetto di studio sotto una stessa prospettiva.

Quella cioè di trovare i correlati dell’attività nervosa alle esperienze esterne ed interne.

Questo sta’ avvenendo ad esempio con gli studi delle attività nervose correlate con sperienze religiose.

Naturalmente questi studi si inquadrano in una visione più ampia che prende spunto da diverse branche della conoscenza fra cui psicologia, psichiatria, linguistica, neuroscienze, antropologia, biologia ecc.

D’altro lato in fisica l’influenza del pensiero umano stesso nel plasmare le idee circa la natura del mondo porta con sé sempre di più un’impronta prettamente umana.

 Si parla di un principio antropico per indicare proprio questa sensazione che la mente umana impronta di se persino le apparenti leggi naturali.

Si pensa, evitando di esagerare l’importanza della mente umana, che non sia un caso che la mente trovi principi dell’universo che sono totalmente coerenti con la mente.

La mente si è evoluta adattandosi al mondo e quindi non è sorprendente che rifletta questa coerenza, senza la quale la specie umana non sarebbe comparsa come specie adatta alla vita su una terra con aria, sole e gravità.

Una prospettiva di conoscenza umanistica.

Tenendo conto di tutto quanto detto sopra si può affermare, con la prospettiva dell’umanesimo scientifico, che la conoscenza può essere solo umana e che e’ il risultato di un’attività tutta umana, non derivante da un’istruzione da entità divine.

Il mondo da un lato quello materiale cioè fatto di oggetti e fenomeni, e il mondo spirituale, cioè tutte le attività mentali, dall’altro, sono parte dello stesso universo a cui si può accedere solo mediante la mente pensante dell’uomo.

Forse il vederci e accettarci come parte del mondo stesso, è un primo passo necessario.

 La storia del riconoscimento che noi non occupiamo poi un posto così importante nel mondo tanto da pensare che il mondo sia una creazione solo per uso dell’uomo, è lunga ed è appena agli inizi.

 Nell’afflato di spiritualità, nel desiderio di trascendere l’esperienza immediata e di dar senso al mondo, alla vita a noi e agli altri, la conoscenza scientifica umanistica mi pare abbia un ruolo fondamentale da giocare.

 

 La dimensione spirituale della scienza.

Come dissi sopra la tendenza alla spiritualità dell’essere umano si manifesta con un desiderio di dare senso alla propria esperienza, cioè dar senso del mondo, dar senso di sé in rapporto agli altri e dar senso di sé come essere individuale.

 A questo desiderio corrispondono tre corrispondenti domande fondamentali.

1. La prima questione è quella delle origini. L’origine del mondo, della vita e dell’uomo.

2. La seconda è quella delle relazioni umane, dell’origine dei costumi, delle leggi di convivenza della moralità e dell’etica.

3. La terza questione è quella dell’identità personale.

In altre parole chi siamo per noi e come conciliamo le nostre vivenze individuali e uniche con il mondo e con gli altri.

La scienza, come si e’ sviluppata nella cultura post-rinascimentale, fa parte del processo di evoluzione culturale che mira a dare spiegazioni alle tre questioni fondamentali accennate sopra.

 La scienza, a differenza delle altre cosmologie religiose e mitiche o mistiche, ha pazienza.

Cioè resiste a dare spiegazioni affrettate solo perché si è posta una domanda. Questa pazienza spesso le religioni non l’hanno e hanno creato mostri di pensiero dai quali stiamo ancora liberandoci.

Pian piano, la scienza sta raggiungendo una unità di visione grazie alla coerenza fra molte vie di investigazioni.

 La "consiliency" di E Wilson corrisponde al concetto di concordanza fra campi del sapere diverso.

Questa concordanza sta alla base dell’unificazione possibile del sapere. Non un sapere finale, ma sempre approssimato e evolvente.

Da questa nuova maturità, raggiunta dalla scienza umanistica, si possono intravedere cenni di risposte alle tre questioni fondamentali.

 

Circa la questione delle origini, la scienza ci mostra un universo in evoluzione comparso circa 15 miliardi di anni fa, nel quale la vita sulla terra comparsa da qualche miliardo di anni, viene oramai vista come una serie di gradini incredibilmente complessi ma che riportano la questione ad un livello umano.

 La comparsa dell’uomo poi con tutte le sue unicità di pensiero, linguaggio e autocoscienza è pure riportata a misura di conoscenza umana.

 

Circa la questione dei rapporti con gli altri, e quindi le basi dell’etica, il riconoscimento che si è una specie di mammiferi con ancora molte delle caratteristiche associate ad essi, ci fa accettare che fenomeni quali la cooperazione, la lotta per la riproduzione, le emozioni associate alla vita di gruppo, sono tutte parte del nostro bagaglio biologico, accettato e non rifiutato.

La morale e l’etica insomma hanno una radice profondamente biologica.

 Il sentirci parte dell’evoluzione della vita ci dà anche un senso profondo di appartenenza comune ad una terra, piccolo granello nell’universo.

La possibilità di essere una specie che potrà finire come tutte le altre ci dà un profondo senso di umiltà.

 La comparsa delle culture nelle società animali si estende all’uomo.

Le culture stesse diventano soggetto di studio e rendono più consapevoli noi dell’  attenzione con la quale si deve considerare il processo di convivenza su uno stesso pianeta.

 

Circa la terza questione fondamentale dell’essere individuale, della vita interiore, la scienza non si ritira in un agnosticismo.

Questa questione è quella di maggior difficoltà in quanto va a toccare processi profondi, e nascosti, all’introspezione.

L’origine della coscienza personale rappresenta una delle maggiori sfide al sapere umano.

Ma con le possibilità che compaiono molto rapidamente, di indagare lo stato del cervello associato a diverse esperienze, si apre la prospettiva di non considerare più la mente una scatola chiusa dentro il cranio, ma come una particolare e forse unica, struttura della materia con stati che corrispondono al "soggettivo".

Considerazioni finali.

La nuova maturità che emerge da queste conoscenze scientifiche, mai come prima disponibili ai più, attraverso pubblicazioni chiare e semplificate, ma valide e profonde, può, in effetti, prendere un posto importante nella cultura umana, nella ricerca di risposte alle questioni fondamentali.

Il posto dell’uomo nel mondo, il rapporto di interdipendenza dagli altri, e quello particolarissimo del sé stesso che viene dal nulla e torna al nulla, possono esser visti con questa nuova ottica con un maggior senso di matura serenità.

La scienza vista come l’attività spirituale sociale più eccelsa ha dunque la responsabilità di dare risposte alle domande, non solo quelle del primo quesito sulle origini, ma anche sulla società e sull’essere stesso cosciente e autonomo e quindi responsabile.

Come prodotto di esseri responsabili, la scienza ha una responsabilità ancora maggiore di occuparsi di tutti gli aspetti della vita umana soprattutto a lenire le sofferenze dovunque esse accadano.

 

 

 

Lo scherzo che uccide.

Non si tratta di soldi.

Si tratta di inviare un messaggio.

Tyheburningplatform.com - substack.com – Redazione – (4 novembre 2024) – ci dice:

 

Fin dall'inizio dell'Accordo di Bretton Woods del 1944, il Federal Reserve System, di proprietà privata, non vedeva l'ora di imporre il denaro fiat puro alle nazioni commerciali del mondo.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l'Europa e il Giappone erano terre desolate industriali, l'estrazione mineraria dagli imperi coloniali europei aveva solo scalfito la superficie, e gli Stati Uniti d'America e i loro cittadini produttivi erano pronti con le banconote della Federal Reserve appena stampate per ricostruire il mondo.

Quei primi vent'anni di supremazia della valuta di riserva in dollari USA si svolsero senza intoppi, poiché l'Europa e il Giappone dovettero importare praticamente tutto ciò di cui avevano bisogno, e pagarono gran parte di esso in dollari USA garantiti dall'oro.

 Poi arrivarono gli anni '60 e si rivelarono difficili a causa del requisito che il Tesoro pubblico degli Stati Uniti detenesse oro fisico per sostenere quelle banconote private della Federal Reserve.

Perché una volta che l'Europa e il Giappone hanno ricostruito le loro basi industriali – per gentile concessione della generosità dei contribuenti americani – hanno iniziato a generare riserve di valuta estera in eccesso producendo ed esportando roba al popolo americano ora ricco con reddito discrezionale.

 Sempre più nazioni produttive – in particolare le nazioni produttrici di petrolio – hanno chiesto di scambiare i loro dollari USA in eccesso con oro fisico secondo il bianco e nero dell'accordo di Bretton Woods.

Le riserve auree del Tesoro degli Stati Uniti si sono rapidamente prosciugate, i dollari si sono accumulati in patria senza un posto dove andare, e la situazione è diventata terribile poiché la stabilità economica dell'intero mondo libero era a rischio.

Il lato "Libertà" di quel nuovo ordine mondiale con l'America al suo apice stava affrontando un collasso imminente.

All'inizio degli anni '70, il nascente sistema monetario del mondo "libero" stava vacillando sull'orlo del baratro e qualcosa doveva essere fatto per tenere l'Europa e il Giappone fuori dalla sfera dei cambi del rublo sovietico.

 L'Unione Sovietica aveva abbastanza risorse auree non estratte per costruire un sistema monetario globale a riserva frazionaria concorrente, ma aveva abbandonato il suo rublo d'oro nel 1924 e aveva preso la strada del “denaro fiat” per finanziare l'industrializzazione e la militarizzazione in tutto il suo impero tentacolare ma contiguo.

 Se i sovietici avessero abbandonato la loro “moneta fiat” e avessero iniziato a estrarre quell'oro nel terreno, il loro ritorno al rublo d'oro si sarebbe dimostrato un formidabile concorrente di quelle banconote private della Federal Reserve in circolazione con la loro offerta d'oro in diminuzione dietro di loro.

Così la scienza economica americana divenne una corsa contro il tempo sia per evitare l'esaurimento delle riserve auree del Tesoro, sia per tenere l'Unione Sovietica completamente occupata in modo che non potesse mai ricorrere all'estrazione di quella risorsa aurea per sostenere un sistema monetario sovietico rivitalizzato.

Ma i costi per sostenere l'esercito americano convenzionale necessario per difendere il Re Dollaro fino alla morte ovunque e ovunque nel mondo "libero", in qualsiasi momento, stavano diventando insostenibili con il passare degli anni di aumento dell'offerta di moneta M1.

La "libertà" dopo tutto non era gratuita, era molto costosa se valutata in oro, ma era infinitamente più economica se valutata in “fiat”.

Se gli Stati Uniti volevano stampare più denaro per finanziare questa difesa, dovevano prima comprare più oro che sarebbe stato rapidamente scambiato con quei dollari statunitensi detenuti all'estero che si accumulavano all'estero.

Questo esaurimento delle riserve auree non poteva continuare all'infinito poiché c'era un fondo a questo esaurimento e quel fondo era una riserva aurea pari a zero.

 E quel requisito di detenzione dell'oro ha tolto denaro che avrebbe potuto essere speso per combattere guerre ed espandere l'impero mondiale "libero".

Ma se gli Stati Uniti stampassero più dollari e non comprassero più oro, il prezzo dell'oro esploderebbe e scatenerebbe l'iperinflazione mentre la facciata monetaria veniva abbassata per rivelare il saldo zero.

Le nazioni commerciali del mondo cercherebbero quindi un'alternativa stabile a quelle “banconote private” della Federal Reserve, e un'Unione Sovietica opportunista avrebbe solo bisogno di iniziare a estrarre il suo oro per raggiungere questo obiettivo.

Bisognava fare qualcosa per mantenere il mondo "libero" nella sfera del dollaro USA, mantenendo i sovietici completamente occupati in modo che non potessero mai esperire le loro risorse auree.

Se la guerra del Vietnam ha dimostrato qualcosa, è che la difesa di Re Dollaro sarebbe stata una lunga, brutale e costosa fatica e che ogni dollaro era necessario per la causa.

 E mentre le riserve auree si esaurivano, gli Stati Uniti non potevano onorare l'accordo di Bretton Woods e quindi non potevano stampare il denaro necessario per difendere il loro re.

 La scienza politica americana si trovò di fronte a una situazione di scelta tra solvibilità e guerra continua.

Ma ci doveva essere una soluzione a questa equazione, poiché l'unica cosa che si frapponeva tra il sistema privato della Federal Reserve e il dominio totale del mondo era il requisito per il Tesoro pubblico degli Stati Uniti di detenere riserve auree per sostenere questa valuta di riserva mondiale.

Anche se la Guerra Infinita doveva ancora iniziare, la guerra globale per imporre il Re Dollaro al mondo e sostituire il rublo era ben avviata.

I vassalli stranieri si rifiutarono di acquistare banconote e buoni del Tesoro degli Stati Uniti, preferendo invece convertire il Re Dollaro nella barbara reliquia.

Wall Street, sul fronte interno, è riuscita a malapena a spremere un altro punto base di guadagno in efficienza da un “Joe Six Pack” lento e coccolato, ma ancora produttivo.

E Madison Avenue ha trovato sempre più difficile estrarre un altro nichelino dall'unità di consumo americana frugale e incline al risparmio.

 

Se i Re Filosofi dietro il Federal Reserve System non sono riusciti a conquistare il mondo con le promesse insite nella carta riscattabile in oro, allora a cosa serviva quella carta quando l'oro si è esaurito?

Re Dollaro ne aveva avuto abbastanza del suo regno benevolo.

Così i Re Filosofi escogitarono un piano ingegnoso in base al quale avrebbero tenuto la carta e abbandonato l'oro.

L'argento era già sparito, poiché avevano già ordinato al presidente Johnson di sbarazzarsi dell'ingerenza monetaria di Kennedy con il “Coinage Act” (1965) e di sbarazzarsi di Kennedy nel 1963.

 E non fu un caso che l'anno successivo il volto del presidente Kennedy comparve ironicamente sul mezzo dollaro d'argento per commemorare l'atto e dire addio per sempre alla moneta d'argento.

Ma quale nazione sana di mente scambierebbe petrolio, grano, legname, tondo per cemento armato, cemento, acido solforico e tutte le forme di prodotti a valore aggiunto per semplici cambiali di carta?

 E' stata quella promessa di Piena Fede e Credito che ha motivato le nazioni commerciali del mondo a mettersi in riga e a giurare la loro incrollabile lealtà a Re Dollaro?

No, era la paura costante e pervasiva di essere istantaneamente vaporizzati in cenere.

Il problema con il "capitalismo" diretto dalla “Banca Centrale privata” è che una cosa buona non è mai abbastanza buona.

Come un avido contadino che spinge il suo mulo da aratro alla sua morte per esaurimento, l'agricoltore si aspetta sempre che il reddito derivato da quel mulo morto faciliti non solo l'acquisto di uno nuovo, ma generi anche un profitto.

Ma per garantire una fornitura infinita di muli freschi, i Re Filosofi dovettero prima far fluire “dollari fiat puri”.

 Dopotutto, il tentacolare impero sovietico è stato costruito quasi interamente con “rubli fiat”, quindi il precedente era stato stabilito.

E per far sì che quei dollari fiat puri fluiscano e siano accettati senza protestare ovunque e ovunque nel mondo, è stato necessario evocare uno stato globale di paura pervasiva e permanente.

E quello stato globale di paura pervasiva e permanente sarebbe stato molto più difficile che evocare semplici cambiali cartacee.

 E stava per drenare un sacco di oro dalle casse del Tesoro degli Stati Uniti durante la transizione verso la Piena Fede e Credito, che da allora in poi avrebbe arginato il drenaggio dell'oro – perché non ce ne sarebbe più stato nessuno da drenare – e non avrebbe richiesto altro che la magia di evocare sempre più carta moneta all'infinito.

Vedi! Vedi! Le vostre stupide menti! Stupido! Stupido...!

Ciò di cui i Re Filosofi avevano bisogno ora era la Scienza Economica.

Ma con ogni unità di pura moneta fiat evocata all'infinito, i Re Filosofi dovevano anche evocare un'unità proporzionale di paura pervasiva e permanente all'infinito. E “The Economic Science™ “vide chiaramente arrivare quel giorno in cui l'oro si sarebbe esaurito e Bretton Woods sarebbe diventata obsoleta.

Gli "alleati" avevano inserito quella sicurezza in materia di oro nell'accordo del 1944 per dare loro il tempo di reindustrializzarsi, a spese dei contribuenti americani, e poi riprendersi il premio della valuta di riserva mondiale una volta che il progetto dell'Unione Europea con il suo blocco monetario unico fosse diventato operativo.

 Così, nel 1958, la “Scienza™ Economica” convinse la “scienza politica” a evocare la “NASA”, con una missione occulta per andare coraggiosamente dove nessun missile balistico intercontinentale era mai andato prima.

Divenne una corsa contro il tempo e la tecnologia del sistema di guida russo quando, nel maggio del 1960, questi russi ebbero l'audacia di abbattere un aereo spia americano U2 che sorvolava il loro paese e di dimostrare al mondo la natura obsoleta di un arsenale di lancio di carichi nucleari ad ala fissa.

Così, nel novembre del 1960, la NASA tolse un veicolo di lancio “Jupiter-C” dalla ricerca e sviluppo e lo attaccò a un razzo “Redstone dell'esercito americano” e voilà!

 Era nato il "programma spaziale" americano.

 Ma i voli suborbitali con scimmie solitarie e pochi massoni non hanno inculcato paura in quelle nazioni che chiedevano oro per i loro guadagni in valuta estera. Anche il mondo non ha recepito il messaggio esplicito, nonostante il” progetto Mercury” prenda il nome dal “messaggero degli Dei”.

La NASA avrebbe avuto bisogno di un razzo più grande e più spaventoso.

E sarebbe costato un sacco di soldi ai contribuenti.

Divenne una corsa contro il tempo prima che l'oro finisse e l'esercito per procura di Re Dollaro andasse in bancarotta.

Avremo bisogno di un carico di paura più grande.

Entra in scena un uomo morto che porta a spasso il presidente Kennedy nel settembre del 1962 con la sua promessa improvvisa di mandare un americano sulla luna che nessuno ha mai chiesto e di cui nessuno aveva veramente bisogno.

Tranne i Re Filosofi – hanno ottenuto il volo orbitale terrestre basso con i razzi “Titan-II del progetto Gemini” e il popolo americano ha avuto una grande faccina sorridente gialla su un programma ICBM super costoso.

Lo spazio può essere l'ultima frontiera, ma è realizzato in un seminterrato di Hollywood.

 Dov'è il cratere del pennacchio di scarico? Dov'è la polvere? Dove sono le stelle?

Gli ultimi pezzi andarono al loro posto una volta che il presidente Kennedy si fu tolto di mezzo, quelle banconote degli Stati Uniti furono cacciate e ritirate una per una dalla circolazione, e il Tesoro degli Stati Uniti vendette tutte le sue riserve d'argento.

Il percorso verso la “pura fiat” è stato completato con il successo del lancio di prova dell'Apollo 8 e del suo razzo Saturn V.

 Le restanti missioni Apollo erano solo uno spettacolo pubblico: non riguardavano i soldi, ma l'invio di un messaggio.

Un messaggio al mondo che i Re Filosofi aspiravano a raggiungere la statura di Dei, equivalente a quelli di Apollo, e che nessun mortale d'ora in poi avrebbe ostacolato la loro strada.

I Re Filosofi avevano il loro inattaccabile sistema di lancio del carico nucleare ICBM.

 Il contribuente americano ha ottenuto “Tang e le banconote crescenti” per la difesa di Re Dollaro.

E il mondo è entrato in uno stato di paura pervasiva e permanente. Il mondo era pronto per il puro fiat universale. Il mondo era pronto per la sua marcia verso la Fine della Storia.

Temo che si sia rotto, signor Peabody.

 Non c'è modo di tornare indietro.

E quei missili balistici intercontinentali dotati di armi nucleari erano la prova di sicurezza della fine della storia dei Re Filosofi.

 Se i Re Filosofi non potessero avere la loro Fine della Storia in cui regnerebbero come dei, allora l'America e il mondo non avrebbero più storia.

In un modo o nell'altro, l'età della storia stava volgendo al termine.

Ma come iniziare quella marcia unita e irreversibile di oltre 207 milioni di americani attraverso il traguardo della Fine della Storia?

 I Re Filosofi avevano bisogno di fornire la giusta motivazione, e quella giusta motivazione doveva essere commercializzata, e che il marketing doveva far partire quella marcia irreversibile prima che l'alzata e la partenza dell'”Apollo 11 Show” si alzasse e se ne andasse.

Commenti

Post popolari in questo blog

Quale futuro per il mondo?

Co2 per produrre alimenti.

Caos e dazi.