Libro bianco sulla difesa.

 

Libro bianco sulla difesa.

 

 

Unione europea, le opzioni per sbloccare

 fino a 800 miliardi di euro per

 il piano di riarmo e difesa.

It.euronews.com- Paula Soler – (05/03/2025) – ci dice:

Il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen presenta il pacchetto difesa a Bruxelles.

La Commissione Ue ha presentato un piano per prendere in prestito 150 miliardi di euro per finanziare la spinta al riarmo.

Questa proposta si presenta sotto forma di prestiti piuttosto che di sovvenzioni, un'idea già respinta dai cosiddetti Paesi "frugali" come Germania e Paesi Bassi.

L'Unione europea è ufficialmente entrata nella sua "era del riarmo" ed è ora pronta a intensificare gli sforzi per sostenere l'Ucraina nel breve termine e garantire la sua autonomia strategica per difendersi nel lungo termine.

Giovedì, durante una riunione speciale dei leader dell'Ue a Bruxelles, i 27 capi di Stato e di governo discuteranno il piano di risposta in cinque punti, denominato "Rearm Europe", proposto martedì dalla Commissione Ue.

In cosa consiste il piano per riarmare l'Europa.

Il piano mira a mobilitare circa 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, la maggior parte dei quali proverrà dagli Stati membri che aumenteranno la spesa nazionale per la difesa e la sicurezza.

 

"Se gli Stati membri aumentassero la loro spesa per la difesa in media dell'1,5 per cento del Pil (che è il tetto stabilito dalla Commissione per la spesa aggiuntiva per la difesa all'anno), si potrebbe creare uno spazio fiscale di quasi 650 miliardi di euro in un periodo di quattro anni", ha dichiarato martedì la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ai giornalisti.

I restanti 150 miliardi di euro proverrebbero da un nuovo strumento per la difesa, che consentirebbe alla Commissione di prendere in prestito dai mercati dei capitali per emettere obbligazioni e concedere prestiti agli Stati membri.

Questo piano rispecchia il modo in cui l'Ue ha raccolto fondi per la ripresa dopo il Covid-19 con lo strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in caso di emergenza (Sure), anche se questa volta i fondi verrebbero distribuiti sotto forma di prestiti piuttosto che di sovvenzioni, sulla base dei piani nazionali di approvvigionamento di prodotti per la difesa nel corso del decennio.

"Stiamo parlando di (finanziare) domini di capacità paneuropee come, ad esempio, la difesa aerea e missilistica, i sistemi di artiglieria, i missili e le munizioni, i droni e i sistemi anti-drone, ma anche di rispondere ad altre esigenze, dalla cibernetica alla mobilità militare", ha dichiarato la presidente della Commissione.

L'Ue vuole concedere agli Stati membri più margine di manovra fiscale per aumentare la spesa per la difesa.

Il nuovo strumento sarà uno strumento fuori bilancio, il che implica un prestito congiunto che alla fine dovrà essere rimborsato.

"Nel breve termine, non credo che ci sia un'alternativa al finanziamento del debito. Dovremo avere il finanziamento del debito per assicurare che ci sia un livellamento delle tasse, che ci sia un livellamento della spesa e per ottenere effettivamente delle maggioranze politiche", ha dichiarato a Euronews “Guntram Wolff”, del think-tank economico” Bruegel”.

"Ma dovrebbe essere chiaro che non può essere una soluzione permanente", ha aggiunto Wolff.

Un pilastro fondamentale del piano di riarmo di von der Leyen è la concessione agli Stati membri di un maggiore margine di manovra fiscale per aumentare la spesa per la difesa, attivando la cosiddetta clausola di fuga nazionale del Patto di stabilità e crescita, come annunciato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco il mese scorso.

Il patto, adottato l'anno scorso, impone rigide regole fiscali che richiedono agli Stati membri di mantenere il debito al di sotto del 60 per cento del Pil e il deficit al di sotto del tre per cento.

Paesi come la Polonia e gli Stati baltici hanno a lungo spinto per ottenere regole meno rigide che permettessero di aumentare le spese per la difesa senza incorrere in sanzioni.

 La clausola di salvaguardia può essere attivata in circostanze eccezionali che "comportano un forte impatto sulle finanze pubbliche", anche se la Von der Leyen non ha specificato in che modo la spesa di Paesi altamente indebitati come Francia e Spagna verrebbe controllata.

La spesa aggiuntiva per la difesa fino all'1,5 per cento del Pil sarà esentata dai limiti di spesa dell'Ue per quattro anni, ma oltre questo periodo l'aumento della spesa per la difesa dovrà rientrare nei bilanci nazionali.

"Abbiamo bisogno di vedere gli sforzi europei al di là dell'Ue.

 Se l'Ue compie questo passo insieme al Regno Unito e alla Norvegia, avremo una maggiore influenza negli acquisti per la difesa e nel sostegno all'Ucraina", ha dichiarato a Euronews “Maria Martisiut”e, analista politico presso l'”European Policy Centre”.

 

Più capitale privato, un mandato Bei e un bilancio Ue flessibili per aumentare la spesa per la difesa.

La Commissione ha proposto anche tre misure aggiuntive:

 mobilitare più capitale privato, adattare il mandato della Banca europea per gli investimenti (Bei) e incentivare gli investimenti per la difesa nel bilancio dell'Ue.

A breve termine, l'Ue sta incoraggiando gli Stati membri a reindirizzare i fondi dai programmi della politica di coesione, che mirano a colmare le disparità economiche tra le regioni dell'Ue, alla difesa e alla sicurezza.

Anche sbloccare il pieno potenziale dell'Unione dei mercati dei capitali sarà "indispensabile" per il piano di Von der Leyen.

"Dobbiamo garantire che i miliardi di risparmi degli europei siano investiti nei mercati interni all'Ue", ha detto la presidente della Commissione Ue agli Stati membri in una lettera inviata martedì mattina.

Il blocco non è a corto di capitali:

Le famiglie europee risparmiano 1,4 trilioni di euro all'anno, rispetto agli 800 miliardi di euro degli Stati Uniti, ma ogni anno 300 miliardi di euro dei risparmi degli europei confluiscono in mercati esterni all'Ue.

Per affrontare questo problema, la Commissione presenterà entro il 19 marzo una comunicazione su un'Unione europea del risparmio e degli investimenti per incentivare il capitale di rischio e promuovere flussi di capitale senza soluzione di continuità in tutta l'Ue.

L'ultimo pilastro del piano è l'ampliamento del mandato della Banca europea per gli investimenti (Bei).

La Bei ha già modificato la sua politica di finanziamento delle imprese a duplice uso, cioè quelle che hanno meno del 50 per cento dei loro ricavi provenienti da attività legate alla difesa, e sta attualmente esaminando come estendere il suo ambito di finanziamento salvaguardando la sua capacità di prestito.

"In un periodo di aumento delle spese per la difesa, questo è un vincolo non indifferente, perché molte imprese a duplice uso non possono essere finanziate dalla Bei (...), quindi penso che ci sia la possibilità di cambiare il mandato della Bei e di utilizzarla come veicolo per finanziare le imprese che hanno un grave deficit di finanziamento da parte delle banche private e dei mercati dei capitali", ha detto “Wolff”.

Le altre proposte per migliorare le capacità di difesa dell'Europa.

Le proposte della Commissione rispondono a un'Europa che si trova ad affrontare "un pericolo chiaro e presente su una scala che nessuno di noi ha mai visto nel corso della propria vita adulta".

 Tuttavia, altre opzioni a lungo termine potrebbero includere l'aumento della spesa per la difesa nel prossimo bilancio dell'Ue o la creazione di una "banca del riarmo".

L'attuale quadro finanziario pluriennale (2021-2027) ha stanziato solo 15 miliardi di euro (l'1,2 per cento del Quadro finanziario pluriennale o Qfp) per la sicurezza e la difesa.

Le iniziative finanziate dall'Ue comprendono l'Atto a sostegno della produzione di munizioni (Asap), il Fondo europeo per la difesa (Fes) e l'Edirpa.

 La Commissione ha anche proposto il “Programma europeo per l'industria della difesa” (Edip) per il periodo successivo al 2025, per migliorare le capacità.

Tuttavia, l'organo di vigilanza finanziaria dell'Ue ha avvertito che l'Edip non ha il budget necessario per raggiungere i suoi obiettivi.

Nel prossimo decennio saranno necessari almeno 500 miliardi di euro per colmare le principali lacune in termini di capacità.

Il commissario “Andrius Kubilius” ha proposto di stanziare quasi cento miliardi di euro per gli investimenti nella difesa nel prossimo quadro finanziario pluriennale (2028-2034).

 I negoziati sul prossimo “Qfp” inizieranno quest'estate, ma questi fondi non saranno disponibili a breve termine.

Nel frattempo, l'Ue sta discutendo con Paesi terzi come gli Stati Uniti e il Regno Unito per istituire una "banca del riarmo" per incrementare in modo significativo la spesa per la difesa.

Questa nuova banca non inciderebbe sulla capacità di prestito nazionale, in quanto emetterebbe obbligazioni a tripla A sostenute dalle nazioni azioniste.

Ciò consentirebbe di investire rapidamente negli acquisti e nella tecnologia per la difesa senza aumentare il debito pubblico.

 

 

 

 

 

Difesa Ue: piano da 800 miliardi,

finanziato anche con l’emissione

di bond da 150 miliardi.

Ilsole24ore.com – (4 marzo 2025) – Redazione – ci dice:

 

Von der Leyen: «È l’era del riarmo».

L’Europa “è pronta” a fare quello che serve per difendersi, dice la presidente della Commissione Ue.

Il piano per riarmare l’Europa consentirà di mobilitare per la difesa Ue circa 800 miliardi di euro.

 Lo sostiene la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, presentando a Bruxelles il piano in cinque punti elaborato in vista del summit straordinario di dopodomani.

Oltre alla clausola nazionale di salvaguardia del patto di stabilità e ad un nuovo strumento da 150 miliardi, “il terzo punto - afferma - è utilizzare il potere del bilancio dell’Ue e c’è molto che possiamo fare in questo ambito nel breve termine per indirizzare più fondi verso investimenti legati alla difesa”.

Saranno emessi bond fino a 150 miliardi di euro sulla base della garanzia del bilancio Ue per finanziare il nuovo strumento comunitario:

l’obiettivo è fornire prestiti agli Stati che lo richiederanno.

Ciò, indica von der Leyen nella lettera ai Ventisette leader, servirà a «un rapido e significativo aumento degli investimenti in capacità di difesa adesso e durante il decennio».

 A questo strumento, che segue il modello sperimentato con “Sure” sotto pandemia per finanziare le «casse integrazioni» degli Stati, si affianca la flessibilità sui conti pubblici per investimenti «addizionali» per difesa e sicurezza. Ancora non è chiaro da quando si calcolerà tale spesa addizionale.

 

La presidente prosegue: «Proporremo ulteriori possibilità e incentivi affinché gli Stati membri decidano se utilizzare i programmi della politica di coesione per aumentare la spesa per la difesa.

 Gli ultimi due ambiti di azione mirano a mobilitare il capitale privato accelerando l’Unione del risparmio e degli investimenti e, ovviamente, attraverso la Banca europea per gli investimenti».

«Per concludere, l’Europa è pronta ad assumersi le proprie responsabilità. L’Europa potrebbe mobilitare quasi 800 miliardi di euro di spese per la difesa per un’Europa sicura e resiliente.

Naturalmente continueremo a lavorare a stretto contatto con i nostri partner nella Nato», conclude.

Questa è “un’era di riarmo” e l’Europa “è pronta” a fare quello che serve per difendersi, dice von der Leyen, presentando a Bruxelles, senza consentire domande alla stampa, il piano “Rearm Europe».

 «Viviamo - afferma - in tempi molto pericolosi.

Non serve che descriva la grave natura delle minacce che affrontiamo.

 O le conseguenze devastanti che dovremo sopportare se quelle minacce si realizzassero».

Perché, continua, “la questione non è più se la sicurezza dell’Europa sia minacciata in modo reale.

 O se l’Europa debba assumersi una maggiore responsabilità per la propria sicurezza.

In verità, conosciamo da tempo le risposte a queste domande.

La vera domanda che abbiamo di fronte è se l’Europa è disposta ad agire con la decisione che la situazione richiede.

E se l’Europa è pronta e in grado di agire con la rapidità e l’ambizione necessarie”. “Nei vari incontri delle ultime settimane - prosegue - l’ultimo due giorni fa a Londra, la risposta delle capitali europee è stata tanto clamorosa quanto chiara. Siamo in un’era di riarmo.

 E l’Europa è pronta ad aumentare massicciamente la spesa per la difesa.

Sia per rispondere all’urgenza di agire a breve termine e per sostenere l’Ucraina, ma anche per affrontare la necessità a lungo termine di assumersi molte più responsabilità per la nostra sicurezza europea”.

“Noi in Europa siamo molto riconoscenti per il sostegno degli Stati Uniti e per il ruolo che hanno svolto nella sicurezza europea per decenni.

Come presidente della Commissione, uno dei miei obiettivi principali è quello di avere relazioni solide con gli Stati Uniti, sia a livello bilaterale che tramite il G7.

Ma il contesto in cui operiamo sta cambiando drasticamente e drammaticamente.

Le fondamenta su cui è stato costruito l’intero ordine politico ed economico europeo del dopoguerra stanno venendo scosse nel profondo.

E quando l’ordine europeo viene scosso, la storia ci insegna che l’intero sistema internazionale può essere destabilizzato”, scrive von der Leyen, nella lettera indirizzata ai leader europei in vista del Consiglio europeo di giovedì.

“Abbiamo due possibili percorsi davanti a noi.

Il primo - spiega - è quello di cavarcela in questo periodo attuale in modo manageriale, per dare risposte frammentarie o incrementali alla situazione sul campo in Ucraina o altrove.

Il secondo è quello di cogliere il momento.

Mobilitare le immense risorse dell’Europa.

Evocare il nostro spirito collettivo per difendere la democrazia.

Credo che la seconda opzione sia la nostra unica scelta.

È, dopotutto, il nostro vero scopo.

Per far sì che ciò accada, dobbiamo scatenare il nostro potere industriale e produttivo e indirizzarlo verso l’obiettivo della sicurezza.

Perché è la sicurezza da cui dipendono la nostra prosperità e la nostra libertà.

Ma per questo, dobbiamo ripristinare la deterrenza contro coloro che cercano di farci del male”.

 

I file di Kennedy e il tentativo della CIA

 di insabbiare il ruolo di Israele

nel colpo di Stato del’63.

 Lacrunadellago.net – (19/03/2025) – Cesare Sacchetti – ci dice:

 

È una enorme mole di documenti quella che sta uscendo in queste ore sull’omicidio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy.

Ancora si è soltanto alle prime scoperte e conferme su quello che si può definire un colpo di Stato in piena regola, e tra tali scoperte e conferme c’è quella che la CIA non voleva rendere pubblico un documento che praticamente confermava come l’intelligence americana fosse eterodiretta da quella israeliana tramite il controllo di uomini più fedeli a Israele che agli Stati Uniti d’America, come l’ex capo del controspionaggio della CIA, “James Angleton”.

Esiste il documento declassificato nel quale la CIA chiede di non citare Israele.

 

“Angleton” era uno di quegli uomini che veniva istruito dagli israeliani su quello che doveva e non doveva dire, e non è difficile immaginarsi quindi che dalla CIA venisse fuori disinformazione concepita e scritta dagli uomini del Mossad a Tel Aviv.

Appare quindi ancora una volta impossibile comprendere le dinamiche che hanno portato alla morte di JFK, senza prendere in esame ogni singolo elemento di tale storia che riconduce, puntualmente, allo stato ebraico.

I fili della cospirazione sionista contro JFK e la storia dei Kennedy.

 

E per farlo si può partire per ricostruire il filo della cospirazione contro il presidente dal recente audio trapelato tra l’imprenditore americano” Billie Sol Estes”, già condannato per frode, e “Clifton Carter”, il braccio destro dell’ex vicepresidente e presidente,” Lyndon Johnson”.

“Carter “non ha peli sulla lingua in tale conversazione.

Afferma chiaramente che a ordinargli di uccidere il presidente degli Stati Uniti, JFK, è stato il suo vicepresidente, “Lyndon Johnson”, che nutriva un profondo disprezzo e una profonda avversione verso Kennedy e la sua famiglia, giudicati troppo ostili a certi interessi delle potenti lobby di Washington.

Esiste la foto di “Billie Sol Estes”.

L’audio è stato tenuto nel cassetto dal nipote di Billie Sol Estes, come per tenersi una polizza assicurativa attraverso la quale preservare la propria vita oppure per poter ricattare il riscattabilissimo Lyndon Johnson.

I Kennedy si erano messi contro troppi personaggi potenti a Washington, e soprattutto avevano osato sfidare la furia del vero potere sionista che ha controllato gli Stati Uniti per tutto il XX secolo e per i primi anni del secolo presente.

La famiglia Kennedy era alquanto detestata dal mondo sionista ed ebraico non solo per il fatto di essere membri della religione cattolica, vero e proprio spauracchio dell’universo talmudico, ma per essere intenzionata a mettere fine al potere che tale potentissima lobby esercitava sull’America.

La guerra tra i Kennedy e gli ebrei era già iniziata anni addietro, ai tempi del proibizionismo, quando le strade delle città americane e di Chicago erano insanguinate dalle bande non solo di Al Capone, ma soprattutto dei membri della mafia ebraica come “Meyer Lanksy” e” Micky Cohen”, mai ricordati dalla filmografia hollywoodiana, che ci tiene a far credere che la malavita sia un fenomeno italiano, quando in realtà esso ha ben altre origini.

“Joe Kennedy” è il capostipite di questa famiglia di emigrati irlandesi che si fa largo in quel mondo del sottobosco malavitoso americano grazie ai rapporti con questi personaggi, con i quali collabora e con i quali inizia a importare illegalmente liquori dal Canada e dall’Europa.

I rapporti sembrano essere proficui fino a quando “Joe” rompe definitivamente con i malavitosi del calibro di “Cohen” e le due parti iniziano a farsi una guerra feroce.

“Joe Kennedy “negli anni’30 diventa intanto un imprenditore rispettabile e inizia persino il suo cammino nel mondo della diplomazia tanto da guadagnare il prestigioso incarico di ambasciatore degli Stati Uniti a Londra, una delle posizioni più importanti in questo ambiente.

 

Kennedy in quegli anni stringe stretti rapporti con l’allora primo ministro, e massone di alto rango, “Winston Churchill”, ma ciò non gli impedisce di capire che gli ambienti della finanza che contano avevano messo in moto una potente macchina che voleva trascinare gli Stati Uniti a tutti i costi nel secondo conflitto mondiale.

 

Lo aveva intuito anche il celebre e leggendario aviatore di origini svedesi,” Charles, Lindbergh”, che aveva espressamente chiamato in causa le macchinazioni della lobby sionista e della Gran Bretagna per far entrare gli Stati Uniti in una guerra che avrebbe giovato soltanto a chi voleva costruire un determinato ordine dal caos, per utilizzare una espressione molto in voga nelle logge.

L’ordine era quello di costruire un impero americano che avesse come principale scopo quello di proteggere e assicurare gli interessi di chi, come Churchill, voleva costruire un governo mondiale e di chi voleva costruire uno stato ebraico che sarebbe diventato la nazione più influente del XX secolo.

I presidenti americani sono stati un mero strumento di tale potere.

Sono stati esecutori di volontà già scritte altrove con largo anticipo, e “Joe,” nonostante il suo passato opaco, aveva perfettamente capito chi comandava veramente in America e voleva che tale conoscenza fosse trasmessa ai suoi figli per avere quelle armi che lui non era riuscito ad avere per contrastare tale potere.

John Kennedy e la questione sionista.

Il sogno di “Joe” si realizza quando arriva alla Casa Bianca suo figlio, John Fitzgerald, già senatore dal dopoguerra in poi, e che aveva già intuito la radice del problema sionista negli Stati Uniti.

A renderlo edotto era stato un uomo come “Benjamin Freedman”, imprenditore di origini ebraiche, la cui storia non viene mai studiata abbastanza perché troppo “irritante” per taluni che vogliono mettere a tacere quello che hanno da dire alcuni ebrei convertiti al cattolicesimo.

“Freedman” era stato un sionista della prima d’ora, uno che sapeva alla perfezione quali erano i veri fini di questo potente mondo che avrebbe trasformato gli Stati Uniti nella sua longa manus economica e militare se non si fosse fatto qualcosa per impedirlo.

Inizia così la divulgazione dell’imprenditore divenuto attivista cattolico che riuscì ad avvicinare Kennedy per informarlo della minaccia che rappresentava il sionismo per gli Stati Uniti d’America e per il mondo intero.

Il giovane senatore ascolta, impara ancora di più di quello che aveva già imparato da suo padre, e arriva alla Casa Bianca, avendo le idee molto chiare su qual era la vera forza che aveva il controllo del suo Paese.

La guerra con il sionismo inizia sin da subito.

 All’ epoca, a Tel Aviv, c’era un uomo come il primo ministro “Ben Gurion”, considerato uno dei padri fondatori di Israele, e con un passato da terrorista dell’ Haganah” che aveva partecipato a diversi massacri di civili.

Israele voleva diventare una potenza nucleare. Aspirava a costruirsi l’atomica non certo per proteggersi dagli attacchi, ma per avere quella devastante arma in grado di mettere sotto scacco tutto il mondo arabo e coloro che non volessero sottomettersi alle volontà espansionistiche dello stato ebraico.

 

Inizia un durissimo scontro tra Kennedy e Ben Gurion.

Esiste la foto di Kennedy e Ben Gurion.

 

Il primo ministro israeliano apostrofa Kennedy come una sorta di giovincello alle prime armi non in grado di parlare con lui, mentre il presidente americano è perfettamente informato che gli israeliani gli stanno mentendo sul programma nucleare iniziato a “Dimona”, nel deserto israeliano.

Nei mesi prima della sua morte, il presidente americano era fermamente intenzionato a considerare l’”AIPAC”, la potentissima lobby israeliana, come un agente straniero e a impedire ad ogni costo che Israele diventasse una potenza nucleare.

Kennedy era entrato nella zona proibita.

Era entrato nel “sancta sanctorum”, per così dire, del vero potere che comanda l’America e andava eliminato ad ogni costo.

Complotto a Dallas.

Il presidente viene invitato a Dallas nel novembre del 1963 proprio dal presidente della comunità ebraica locale, “Julius Schepps”, che lo porta nella città laddove avviene l’intrigo.

“Oswald”, il capro espiatorio già designato dai suoi vecchi burattinai della CIA, non era nemmeno laddove la commissione Warren poi lo posizionerà, ovvero al quinto piano del deposito dei libri.

Lee Harvey Oswald.

Era fuori, in strada, come mostrato persino dalle immagini dell’Associated Press.

Sull’arma utilizzata per sparare non c’erano nemmeno le sue impronte, comparse soltanto più di una settimana dopo che gli esami scientifici avevano già stabilito che “Lee Harwey Oswald” non aveva preso in mano quel fucile Carcano.

I colpi di pistola poi non sono partiti da dietro come afferma la commissione Warren.

Sono partiti da davanti, come si può chiaramente vedere dal filmato di Zapruder.

 

A sparare a Kennedy era stato qualcuno che si trovava davanti e non dietro il presidente, e “Bill Cooper, ex militare della Marina americana, aveva già rivelato alla fine degli anni’80 di aver visionato documenti classificati che riferivano che a sparare a Kennedy fosse stato il suo autista,” William Greer”.

Nel filmato restaurato di quei drammatici attimi, si può vedere “Greer “che tiene un oggetto nella sua mano sinistra che viene puntato contro Kennedy, da non confondersi con il riflesso del sole sulla testa del governatore “Connally “a fianco dell’autista del servizio segreto.

La testa di Kennedy esplode, e “Jacqueline”, la sua consorte, prova a scappare perché ha visto chiaramente la scena.

La storia cambia corso. Il presidente che voleva opporsi allo stato ebraico viene eliminato soltanto grazie alla massiccia collaborazione della sicurezza che invece di proteggerlo ha partecipato al suo omicidio.

Lyndon Johnson”: il golpista complice dell’omicidio del presidente.

In tempo record, Lyndon Johnson diventa subito presidente degli Stati Uniti, quando in una qualsiasi inchiesta giudiziaria proprio il vicepresidente americano avrebbe dovuto finire sulla lista dei sospettati, in quanto primo beneficiario di quella morte.

Johnson aveva già confessato il giorno prima alla sua amante, “Madeleine Brown”, che tutto era pronto per uccidere il presidente Kennedy.

Il vicepresidente era tutto quello che Kennedy non era.

Era saldamente intenzionato a mettere gli Stati Uniti al servizio di Israele, e sotto la sua amministrazione non solo l’”AIPAC “aumenterà il suo potere, ma Israele costruirà la sua arma nucleare che ancora oggi segretamente e illegalmente detiene.

Israele ricorda ancora oggi “Johnson” come uno dei presidenti più vicini allo stato ebraico della storia americana, e non sorprende che dica ciò.

Johnson è il presidente che lascia attaccare agli israeliani la nave americana USS Liberty, un evento che portò alla morte di 34 marinai americani, nel tentativo di far entrare in guerra gli Stati Uniti contro l’Egitto.

Israele uccide militari americani e invece di essere punita, viene ricompensata da presidenti come Johnson.

Il presidente che sostituì Kennedy in una cospirazione vastamente organizzata, secondo diverse fonti israeliani, aveva anche origini ebraiche e questo aiuterebbe a capire ancora meglio tutta la sua devozione alla causa israeliana.

 

Nell’omicidio di Kennedy, la presenza sionista è ovunque.

Lo è in “Jack Ruby”, il mafioso di origini ebraiche, vero nome “Jacob Rubenstein”, mandato ad uccidere Oswald per evitare un processo troppo scomodo.

Ruby disse apertamente che lo aveva fatto per salvare gli ebrei da un probabile pogrom qualora si fosse saputa la verità.

Lo è anche nella commissione Warren, dove lo stesso “Earl Warren” era di origini ebraiche così come lo erano 10 dei 22 membri di quell’organismo che voleva fare di tutto per accusare Oswald e lasciare fuori tutte le prove che smentivano il teorema dell’assassino solitario e della sola pallottola che fa sette giri nell’aria prima di colpire Kennedy alla testa.

 

Una teoria che andrebbe bene per una pallina da flipper forse, ma che incredibilmente è la bufala che questa commissione ha propinato agli americani.

La macchina che ha portato alla morte di JFK è quella che controlla lo “stato profondo di Washington”, quella che controlla la CIA, e quella che ha scritto la politica estera di ogni presidente americano dal dopoguerra in poi fino all’arrivo di Trump.

 

Il testimone di Kennedy passato a Trump.

Il presidente che ha interrotto tale continuità è stato senza dubbio Donald Trump, che a differenza del suo predecessore, ha scelto una strategia molto più sottile e più abile.

Non ha scelto la via dello scontro frontale e aperto contro lo stato ebraico, ma ha sempre dichiarato di essere suo “amico” per poi intraprendere una geopolitica chiaramente antitetica a quella desiderata da Tel Aviv, iniziata tramite il ritiro delle truppe in Medio Oriente e proseguita con la fine delle guerre per procura che Washington scatenava per conto della lobby sionista.

È un tema questo alquanto dibattuto ed è uno dei principali cavalli di battaglia della falsa controinformazione che nel loro forsennato tentativo di associare Trump a Israele, non dicono che Trump è stato il primo presidente a mettere fine alle infinite guerre in Medio Oriente e non dicono nemmeno che Trump è stato infinito oggetto di una sequela di attentati alla sua vita, tutti organizzati dagli stessi poteri sionisti che uccisero Kennedy 62 anni prima.

Non si rischia di essere ucciso più volte se non si sono provocate le ire di ambienti come l’”AIPAC”, dei vari neocon, e di tutti quei fondi della finanza ebraica che il giorno prima dell’attentato a Butler, in Pennsylvania, scommettevano sulla sua morte perché chiaramente sapevano, cosi come sapevano i vari fondi che prima dell’11 settembre piazzavano le loro scommesse al ribasso contro le compagnie degli aerei coinvolti nell’11 settembre.

 

Trump era destinato per questi poteri a prendersi una pallottola in testa, esattamente come il presidente Kennedy, ma la Provvidenza, nel giorno della terza apparizione di Fatima, ha voluto che la sua vita gli fosse risparmiata perché c’era e c’è evidentemente un disegno ben più grande dietro il cammino di quest’uomo, che è quello di mettere fine al dispotismo di questi poteri che volevano erigere una tirannia globale, come visto ai tempi della farsa pandemica.

Trump è sanguinante all’orecchio dopo essere stato colpito da “Thomas Crooks”.

Trump è riuscito ad arrivare in quel terreno dove purtroppo non riuscì JFK, ovvero l’indipendenza degli Stati Uniti da lobby straniere, e l’esautorazione dal potere finanziario della FED.

Kennedy non aveva soltanto suscitato le ire del sionismo, ma anche del suo braccio finanziario della “Federal Reserve”, fondato da famiglie come i Warburg, i Vanderbilt, i Rockefeller e i Morgan, i vari fiduciari della famiglia Rothschild negli Stati Uniti.

Il presidente Kennedy aveva infatti firmato l’ordine esecutivo “11110” per consentire al Tesoro di stampare la sua moneta senza passare dalla FED nelle mani dei banchieri privati.

Trump sembra aver aperto la via anche per la fine del potere della FED attraverso i provvedimenti degli ultimi anni, grazie ai quali ha di fatto obbligato la banca centrale americana a stampare moneta per aiutare le piccole e medie imprese, a differenza di quello che facevano invece i suoi predecessori che lasciavano che i computer che stampavano banconote funzionassero soltanto per istituzioni bancarie come Goldman Sachs e JP Morgan.

Il cambio di paradigma è stato chiaro e netto, tanto che ora i vari banchieri dell’alta finanza temono che possa finire più di un secolo di potere della FED sugli Stati Uniti.

Appare più che mai evidente e solido il filo storico che lega i due presidenti americani, Kennedy e Trump.

Trump ha raccolto in pieno l’eredità del suo successore ed è riuscito a portarla a termine.

L’America sta finalmente entrando in un’era nella quale non è più sottoposta al dominio della finanza askenazita e del movimento sionista mondiale.

Il sogno di Kennedy oggi sta diventando realtà e a renderlo possibile è stato Donald J. Trump.

 

 

 

La Telefonata Putin-Trump e…

le Bombe su Gaza.

Conoscenzealconfine.it – (20 Marzo 2025) - Davide Malacaria – ci dice:

 

Israele riprende i bombardamenti su Gaza nel giorno della telefonata tra Putin e Trump. Tempistica non casuale.

Netanyahu rilancia e il genocidio di Gaza ricomincia:

 400 i morti in un attacco che supera per brutalità molti di quelli che hanno preceduto la tregua.

 Non solo si voleva riprendere l’aggressione, ma si volevano scioccare i palestinesi e il mondo, tale la spiegazione dell’intensità degli attacchi.

Netanyahu ha motivato l’azione come dettata dalla necessità di forzare Hamas a rilasciare gli ostaggi.

Sa perfettamente, ma non gli importa, che invece sta facendo l’esatto contrario, mettendoli ulteriormente a rischio, come ha dichiarato “Hamas” e come hanno urlato, disperati, i parenti degli ostaggi medesimi.

Ma l’importanza dell’attacco risiede in altro, cioè nella tempistica. Quando le bombe hanno squassato Gaza, uccidendo per lo più persone e bambini indifesi già stretti dalla fame e dalla sete a causa del blocco della Striscia, il mondo era in attesa della telefonata tra Putin e Trump per avviare un serio processo di pace per l’Ucraina.

 

Questioni di Tempistica.

Tempistica non casuale:

bombardando Gaza si voleva porre criticità alla conversazione tra i due presidenti e al processo di distensione; se possibile, anche se la possibilità era remota, farla saltare.

 

Putin, infatti, che sostiene le ragioni dell’Iran e della Palestina e dei loro alleati regionali, è stato messo in imbarazzo, costretto ad accordarsi con la persona a cui è attribuita la ripresa del genocidio dei palestinesi, avendo i media riferito che l’America ha dato luce verde alle bombe.

Placet vero o asserito che sia (probabile che si sia ripetuto quanto accaduto nel caso dell’omicidio del generale “Qassem Soleimani”, che Trump ha subito e non ordinato, vedi “Piccole note”) resta alla cronaca che la luce verde è arrivata da Washington:

se da altri della sua amministrazione, che non può smentire, o dal presidente perché piegato da indebite pressioni ha poca importanza per quanto riguarda i fatti (nella nota di ieri, peraltro, segnalavamo il rinnovato attivismo dei falchi pro-Israele).

Non si tratta di trovare giustificazioni a Trump, che non ne ha, solo portare alla luce le dinamiche che stanno dietro il teatrino del mondo.

Peraltro, al di là che la telefonata fosse saltata o meno – e Putin non poteva permettersi di farla saltare perché si sarebbero aperte le porte della terza guerra mondiale – i bombardamenti hanno ottenuto lo stesso il loro scopo:

sia ponendo criticità nei rapporti tra Putin e i suoi alleati mediorientali, che si vedono in tal modo più isolati rispetto alla brutalità di Tel Aviv e Washington (e suoi alleati europei), sia soprattutto scatenando nuove spinte destabilizzanti nel mondo.

Infatti, e più in generale, in apparenza la guerra che Tel Aviv ha scatenato per realizzare la “Grande Israele” (Gaza, Hezbollah etc.) non sembra aver nulla a che fare con la guerra ucraina, ma così non è.

Il partito della guerra globale preme sia per l’una che per l’altra, anzi perché l’una e l’altra si dilatino sia nel tempo che nello spazio.

Tale la cornice generale che sottende e sovrasta le tante differenze, che pure stanno, tra i due conflitti.

Il fatto che le élite imperiali – e loro pendant nelle colonie europee – che sostengono le ragioni di entrambe le guerre coincidano non è certo casuale.

Neocon come l’ex consigliere per la sicurezza nazionale “John Bolton”, per dirne uno, e liberal come il potente senatore democratico “Chuck Schumer”, per dirne un altro, e i loro tanti e potenti sodali hanno spinto sia per la prosecuzione ad oltranza del conflitto ucraino che per dar seguito al genocidio palestinese e all’espansionismo israeliano (Netanyahu, va ricordato, ha un filo diretto con gli ambiti neocon, con i filo comunisti Dem).

 

Così nel giorno in cui la telefonata tra Putin e Trump poteva segnare una svolta, ponendo le basi per chiudere un capitolo delle guerre senza fine e portando un po’ di stabilità nel mondo, il partito delle guerre infinite ha rilanciato la sua sanguinaria sfida nel modo più scioccante possibile, alimentando alla sua maniera il caos globale.

(Davide Malacaria).

(piccolenote.it/mondo/telefonata-putin-trump-e-le-bombe-su-gaza).

 

 

 

 

VERSO LA GIORNATA PER LA VITA.

Come la sinistra ha creato

il dogma abortista.

Lanuovabq.it – (6-2- 2021) -Eugenio Capozzi – ci dice:

Il legame tra socialismo e la difesa della famiglia si spezza per la torsione totalitaria inflitta al socialismo dal leninismo e dalla dittatura comunista sovietica.

Da allora nelle società “opulente” occidentali l'ossessione, propria delle ideologie totalitarie, di ridisegnare completamente la natura umana si è ripresentata sotto la veste di un relativismo culturale sfociato nella reinterpretazione della libertà come assoluto soggettivismo.

Un'ideologia che ha portato a una para-realtà che non ha più nulla a che fare con i diritti soggettivi.

Domanda non retorica: cosa c'entra la cultura politica della sinistra in tutte le sue forme, dal socialismo al progressismo liberale, con l'idea che l'aborto volontario sia un diritto, al quale non si possa contrapporre alcun diritto alla vita del bambino non ancora nato?

Ormai siamo abituati a considerare questa corrispondenza come un fatto scontato, ma non lo è assolutamente:

né sul piano filosofico, né su quello storico.

 In realtà la rivendicazione del “diritto all'aborto” è un fatto relativamente recente, e ha due radici ideologiche, di cui la seconda è in parte dipendente dalla prima:

i totalitarismi del primo Novecento e il relativismo radicale del secondo Novecento.

 

La concezione liberale dei diritti deriva innanzitutto dal giusnaturalismo, cioè dall'idea che esista una legge di natura su cui l'etica, la politica e il diritto devono fondarsi

 È sulla concezione giusnaturalista che si fondano le prime enunciazioni dei diritti inalienabili dell'essere umano:

quella di” John Locke” nel Secondo Trattato sul governo (1689) e quella contenuta nel preambolo alla “Dichiarazione d'indipendenza delle colonie americane “(1776), da essa chiaramente ispirato.

E le origini di esse risalgono al razionalismo cristiano medioevale:

in particolare, al pensiero di San Tommaso d'Aquino, secondo cui il potere politico deve arrestarsi davanti all'intangibilità dell'essere umano creato da Dio a propria immagine e somiglianza e da Lui dotato di razionalità e libertà morale.

Una concezione tradotta nella cultura inglese moderna dal teologo anglicano “Thomas Hooker”, nel “Trattato sulle leggi di politica ecclesiastica” (1594), che è il maggiore ispiratore di Locke.

 

Ora, il primo tra i diritti inalienabili dell'uomo sia per Locke che per i rivoluzionari americani è quello alla vita, unitamente con quelli alla libertà e alla proprietà, o alla “ricerca della felicità”.

 La creazione divina rende ogni essere umano unico e sacro.

Quindi la tradizione costituzionale occidentale, dagli esordi fino alla “Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo” dell'Onu, è incompatibile con qualsiasi legittimazione della soppressione di una vita umana innocente (altra questione è la pena di morte come autodifesa sociale contro la violenza, ma anche la liceità di essa viene messa sempre più in questione) in nome di qualsiasi esigenza individuale o collettiva.

 Ciò implica il rifiuto tanto dell'aborto quanto dell'eutanasia.

Che invece cominciano a venir giustificati in un'ottica eugenetica dalla cultura positivistica ottocentesca, per divenire poi nel XX secolo cardini del totalitarismo nazista.

Dall'altra parte il socialismo, mosso fin dalle origini da preoccupazioni umanitarie per le concrete condizioni di vita dei ceti operai a partire dalla rivoluzione industriale, trova con Karl Marx la sua classe sociale di riferimento proprio nel “proletariato”, ossia in chi non possedeva niente tranne i propri figli.

Sussiste nella storia del socialismo, nelle sue varie diramazioni, un legame costante tra l'obiettivo della liberazione dell'uomo dall'alienazione e dallo sfruttamento economico e la difesa della famiglia come forma elementare di organizzazione della vita di chi non possiede niente, e conseguentemente l'esigenza della tutela della maternità e dell'infanzia.

Un legame che verrà infranto soltanto dalla torsione totalitaria inflitta al socialismo dal leninismo e dalla dittatura comunista sovietica:

 tanto che l'Urss sarà il primo stato al mondo a rendere legale l'aborto nel 1920, come parte di un progetto di uguaglianza totale tra uomini e donne, di loro totale “mobilitazione” all'interno di una società in cui anche gli aspetti privati della vita sarebbero stati regolamentati rigidamente dal regime.

Nella cultura europea e occidentale, insomma, l'aborto, come l'eutanasia, viene legittimato solo dall'avvento dei totalitarismi, opposti tra loro ma contrapposti entrambi all'umanitarismo cristiano, con la sua visione della sacralità di ogni vita che si era sedimentata sia nel liberalismo che nel primo socialismo.

Non a caso, alla fine della seconda guerra mondiale le democrazie liberali ottengono che all'inizio della “Dichiarazione dell'Onu” venga ancora ripresa la proclamazione del diritto inalienabile alla vita.

E dopo? Cosa è successo?

 E' successo che nel secondo dopoguerra nelle società “opulente” occidentali l'ossessione, propria delle ideologie totalitarie, di ridisegnare completamente la natura umana si è ripresentata sotto la veste di un relativismo culturale avverso a tutti i fondamenti della “mentalità” e della tradizione occidentale, sfociato nella reinterpretazione della libertà come assoluto soggettivismo, coincidenza tra diritti e desideri, magnificazione della volontà, istituzionalizzazione di qualsiasi “stile di vita”.

Questa nuova ondata dottrinaria, in cui si coniugavano e venivano condotte all'estremo istanze individualistiche e collettivistiche, ha avuto quindi come principale terreno della sua affermazione la “biopolitica”, il legame tra politica e vita, e la sua principale espressione nella rivoluzione sessuale, parte integrante della quale è stato il femminismo di “seconda generazione”, imperniato sulla “politicizzazione” del corpo femminile in opposizione ad una società in cui sussisteva una complementarità dei ruoli tra uomini e donne, per negarla in favore di una assoluta potenzialità da parte delle donne di realizzare ogni propria aspirazione, e di assumere ruoli di preminenza nella società, nel lavoro, nella politica.

Nell'ottica della dittatura soggettivistica si è pretesa la cancellazione di ogni limite biologico, e dunque giuridico e politico, all'autodeterminazione, contestando alla radice l'etica universalistica millenaria che aveva nutrito l'umanesimo cristiano e la concezione moderna dei diritti.

E pretendendo, nella stessa ottica, la “decostruzione” integrale della famiglia naturale in nome dell'assenza di ogni dovere connaturato all'essere sociale.

 

Tanto la cultura liberale quanto quella socialista hanno in un primo tempo opposto resistenza a questo cambiamento radicale di paradigma, ma ben presto ogni argine filosofico e politico al loro interno è caduto, ed esse sono state quasi del tutto “colonizzate” dalla nuova “religione” dell'autodeterminazione:

portatrice, nel suo “relativismo assolutista”, di una nuova gerarchia in cui i gruppi in grado di accreditarsi come “discriminati” hanno posto le proprie aspirazioni come pietra di paragone, subordinando ad esse quelle degli altri soggetti.

Ma se all'interno del mondo liberale è rimasta pur viva una componente conservatrice e di ispirazione religiosa in grando quanto meno di contestare il “pensiero unico” iper-soggettivista, nelle sinistre il crollo dell'ideologia socialista alla fine del Novecento ha creato un vuoto pneumatico in cui l'ideologia progressista/relativista si è imposta come canone incontrastato, spacciandosi abilmente, per il suo individualismo, come erede dell'ideale liberale.

È questo il motivo per cui nel milieu della sinistra occidentale persino il tema di un bilanciamento tra il diritto della donna alla sessualità libera e alla maternità come scelta e quello del bambino alla tutela della propria vita ha cominciato ad essere considerato alla stregua di una bestemmia, e avversato con reazioni di inaudita violenza ed intolleranza.

 In base a un concetto totalmente unilaterale di libertà si è potuto affermare, contro ogni logica razionale, che l'aborto è il frutto di una libera decisione di una donna sul “proprio” corpo, quando è evidente che fin dalla fecondazione l'embrione, e poi il feto, è altro rispetto al corpo della madre, e si distingue come un essere dotato di propri caratteri genetici.

Si è potuto affermare, con analoga illogicità, che quell'essere non è una persona, laddove è chiaro a chiunque non sia ottenebrato dall'ideologia che quel “grumo di cellule” è un individuo unico e irripetibile, dotato di organi e sensibilità fin dai primissimi stadi della gestazione, e destinato a diventare un individuo razionale e autonomo se non lo si sopprime.

Si è persino negata, come in Italia, l'evidenza che la legge che pure rende lecito a determinate condizioni l'aborto si fonda sul riconoscimento del “valore sociale della maternità” e si prefigge innanzitutto come obiettivo la tutela della “vita umana dal suo inizio”, non considerando dunque l'aborto come un diritto inalienabile, ma subordinandolo all'esperimento di tutti i tentativi possibili per superare le cause che portano all'interruzione di gravidanza.

 E si continua ostinatamente a considerare come un'offesa ai diritti della donna, in Italia e altrove, persino la possibilità di assicurare l'affidamento del figlio indesiderato in adozione come alternativa alla sua soppressione.

Si tratta di una ostinazione cieca, rancorosa, che non ha più nulla a che fare non soltanto con qualsiasi concezione universalistica dei diritti soggettivi, come abbiamo visto, ma nemmeno con la possibilità di una razionalità pragmatica condivisa che possa mediare tra visioni del mondo differenti.

Essa è soltanto il risultato inevitabile dell'ossessione ideologica, che crea una para-realtà alienata, fittizia, senza più connessione con i fatti, e con le basi comuni della natura umana.

 

 

 

Ricostruire la sinistra comunista.

 Linterferenza.info - Salvatore A. Bravo – (2 Febbraio 2025 – ci dice:

L’urgenza di ricostituire la sinistra comunista non è più rimandabile.

 Le oligarchie transnazionali con la fine della globalizzazione mostrano la verità del dominio.

 Sono in lotta ad Oriente come ad Occidente.

 Con la lotta fra le plutocrazie si aprono spazi di intervento e di verità.

Le guerre plutocratiche si moltiplicheranno e i diritti sociali e individuali gradualmente scompariranno dall’orizzonte politico.

 Il loro posto è, e ancor più, sarà occupato da slogan e dalle parole ambivalenti della società dello spettacolo.

 L’articolo 31 del DDL sicurezza prepara l’Italia ad una lunga guerra.

Sarà possibile per le università, se fosse approvato, collaborare spontaneamente con i Servizi segreti. 

La guerra tra le oligarchie non può che causare un clima di timore.

 La paura è “arma” per neutralizzare i dissenzienti e per sollecitare il sospetto e il controllo.

 L’inquietudine è il mezzo con cui il capitalismo cerca di strappare la sua tranquillità, poiché è esso stesso inquieto a causa delle ingovernabili contraddizioni che lo corrodono.

Il declino del capitalismo nelle sue formule plurali è inevitabile.

I sintomi della decadenza sono ormai evidenti.

La sovrapproduzione e la scarsità di risorse da estrarre e da sfruttare sono ormai la tagliola sanguinante del capitalismo.

Il saccheggio è anche e specialmente spirituale, nella fase attuale il capitalismo rapina “la capacità di significare”, in tal modo i sudditi non sono che orci bucati in cui tutto fluisce, fino al punto che l’orcio assume la forma dei contenuti. 

 

Il sangue degli ultimi ha macchiato la storia dei capitalismi, pertanto la sua storia non potrà che terminare nel sangue e nel sudore degli infelici che già ora non vivono ma sopravvivono.

Rileggere Marx è oggi fondamentale per risemantizzare per il presente.

Il comunismo che verrà non sarà la riproposizione del passato, ma esso necessita della tradizione comunista e delle sue categorie per pensare il presente e progettare il futuro.

Marx ha riportato l’essere umano nella storia e ha svelato le religioni di sistema nella loro realtà ideologica.

La religione con le sue fughe dorate da un mondo reificante è stata la complice del dominio, ha sparso i “fiori sulle catene”, è stata l’oppiaceo che ha consentito di “sopportare l’insopportabile”.

Il dominio capitalistico nel nostro tempo ha prodotto nuove “forme di religiosità perversa” con cui aggiogare i sudditi.

L’offerta mercantile degli oppiacei oggi è innumerevole, essi hanno tutti il medesimo scopo:

derealizzare, ovvero astrarre il soggetto dalla realtà storica vissuta per spingerlo in un mondo psicotico e irrazionale in cui è il desiderio indotto a regnare.

 Edonismo, turismo acefalo, fanatismo del lavoro e dell’accumulo, narcisismo e nuove dipendenze (tecnologie, social, rete ecc.) producono il suddito addomesticato e conforme al sistema che si muove in una realtà spettrale.

 La funzione che la religione tradizionale aveva al tempo di Marx, oggi è sostituita da nuove forme mondane di dipendenza.

Leggere Marx significa dunque attualizzarlo:

“Il fondamento della critica irreligiosa è: l’uomo fa la religione, e non la religione l’uomo.

Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto sé stesso.

Ma l’uomo non è un essere astratto, posto fuori del mondo. L’uomo è il mondo dell’uomo, Stato, società.

Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto.

 La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point d’Honour spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne compimento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione.

 Essa è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera.

La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l’aroma spirituale.

 La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale.

La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito.

Essa è l’oppio del popolo.

 Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale.

L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni.

 La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l’aureola”.

 

La sinistra comunista non può e non potrà che essere radicale nella critica del presente storico.

Essa dovrà conservare la sorgente radicale e critica già viva in Marx.

 Smascherare le religioni del nostro tempo e mostrarle nella loro verità è il compito difficile della sinistra comunista.

Per bucare l’acquiescenza e la passività dei subalterni è necessario individuare i linguaggi adeguati da far scorrere negli innumerevoli mezzi mediatici che potrebbero essere usati nella controinformazione dello smascheramento ideologico.

Nel nostro tempo le catene continuano ad essere coperte dai fiori immaginari delle fantasie e delle false speranze.

Mostrare la verità in modo a- dialettico può comportare una reazione di rifiuto da parte di molti.

Il momento dello svelamento è dunque delicato, poiché squarcia il velo di Maya delle menzogne da cui le moltitudini sono avvolte.

La verità necessita di essere rivelata con modalità politiche aggreganti e con gradualità.

Molti non potrebbero che fuggire dinanzi al “crudo vero”.

Il problema dev’essere posto, poiché chi è abituato al conformismo e all’informazione omologata non può che respingere la verità con il suo aspetto meduseo, tanto più che si vive  normalmente rimuovendo il dolore e la sofferenza:

“La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi.

 La critica della religione disinganna l’uomo affinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a sé stesso e perciò, intorno al suo sole reale.

La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all’uomo, fino a che questi non si muove intorno a sé stesso”.

 

“Bisogna rendere l’oppressione più oppressiva”.

La verità pensata e condivisa ha lo scopo di rendere l’oppressione ancora più insopportabile, giacché essa riporta il suddito nella storia e gli dona uno sguardo nuovo con cui vivere e pensare la realtà strutturale e sovrastrutturale.

 

Il passaggio dalla menzogna ideologica alla verità è doloroso.

 La nuova sinistra comunista non può non valutare tale passaggio dialettico che dev’essere sostenuto con la speranza e con la progettualità.

La verità metafisica e storica del nuovo comunismo dovrà definire l’essere umano nella sua storicità per poter progettare “il comunismo del futuro”.

 L’innaturalità del capitalismo dovrà essere palesata con la fondazione metafisica del comunismo, in tal modo la politica non sarà scissa dalla filosofia.

 Il fondamento metafisico consente di trascendere le barriere sociali e i particolarismi e di comunicare ad un numero ampio e diversificato di compagini sociali e culturali la perversione operata dal capitalismo della natura umana.

Marx ci rammenta che le divisioni e i particolarismi “mummificano” e ipostatizzano le divisioni fino a naturalizzarle:

“Quale spettacolo!

 Una società divisa all’infinito nelle razze più svariate, le quali si contrastano con piccole antipatie, cattiva coscienza e brutale mediocrità, e che appunto per la reciproca posizione ambigua e sospetta chiedono di essere trattate tutte senza distinzione, se pur con differenti formalità, dai loro signori come esistenze consentite.

E lo stesso fatto di essere dominate, governate, possedute, esse devono riconoscerlo e professarlo come una concessione dal cielo!

Dall’altra parte stanno quegli stessi signori, la cui grandezza sta in rapporto inverso al loro numero!

La critica che si cimenta con questo contenuto è la critica che sta in mezzo alla mischia, e nella mischia non si tratta di sapere se l’avversario è nobile, di pari condizione, se è un avversario interessante, si tratta di colpirlo.

Si tratta di non concedere ai tedeschi un solo attimo di illusione su di sé e di rassegnazione.

Bisogna rendere ancor più oppressiva l’oppressione reale con l’aggiungervi la consapevolezza dell’oppressione, ancor più vergognosa la vergogna, dandole pubblicità.

Si deve raffigurare ciascuna sfera della società tedesca come la “parti contese” della società tedesca, bisogna far ballare questi rapporti mummificati cantando loro la loro propria musica!

Bisogna insegnare al popolo a spaventarsi di sé stesso, per fargli coraggio.

 Si soddisfa con ciò un imprescindibile bisogno del popolo tedesco, e i bisogni dei popoli sono di per se stessi i motivi ultimi del loro appagamento”.

 

Il dominio si eternizza con l’astrattezza.

Si astrae dall’uomo concreto per rimuovere la reale condizione di ogni strato sociale e di ogni individuo.

 L’astratto camuffa il concreto e lo rende opaco e ciò facilita la conservazione.

Si entra nel mondo dell’astrazione, in modo da negare ai subalterni le categorie con cui ricostruire la tragica verità in cui si è implicati e invischiati.

Nessuna tragedia è eterna.

 La concretezza riporta fatti, dati e strutture alla loro genesi e li emancipa dalle tempeste dell’astratto.

Marx lottò per la concretezza, tale è il materialismo storico, e a tale categoria oggettiva nessun comunismo dovrà rinunciare:

“La critica della filosofia tedesca dello Stato e del diritto, che con Hegel ha ricevuto la sua ultima forma più conseguente e più ricca, è l’una e l’altra cosa, sia l’analisi critica dello Stato moderno e della realtà ad essa connessa, sia la decisa negazione di tutto il modo precedente della coscienza politica e giuridica tedesca, la cui espressione più eminente, più universale, elevata a scienza, è appunto la filosofia speculativa del diritto.

 Se solo in Germania è stata possibile la filosofia speculativa del diritto, questo astratto ed esaltato pensamento dello Stato moderno, la cui realtà rimane un aldilà, questo aldilà può risiedere anche soltanto al di là del Reno:

inversamente, la concezione tedesca dello Stato moderno, che astrae dall’uomo reale, fu possibile a sua volta soltanto e in quanto lo Stato moderno stesso astrae dall’uomo reale, ovvero soddisfa in modo soltanto immaginario l’uomo totale.

 I tedeschi nella politica hanno pensato ciò che gli altri popoli hanno fatto.

La Germania fu la loro coscienza teorica.

L’astrattezza e la presunzione del suo pensiero andarono sempre di pari passo con la unilateralità e inferiorità della loro realtà.

Se dunque lo status quo del sistema statale tedesco esprime il compimento dell’”ancien regime”, questa spina nella carne dello Stato moderno, lo status quo della scienza statale tedesca esprime l’incompiutezza dello Stato moderno, la piaga della sua stessa carne”.

 

L’imperativo categorico del comunismo del futuro sarà finalizzato, come già fu, a rovesciare i rapporti di sussunzione nei quali l’essere umano è solo un mezzo. L’errore da non ripetere è nell’individuare una classe specifica che ha la missione di infrangere le catene.

Non vi sono classi già pronte per la missione o destinate dalla provvidenza storica. Vi sono potenzialità maggiormente presenti nei subalterni, ma senza il lungo lavoro dello spirito nulla sarà possibile.

Nessuna classe ha il suo “recondito segreto”; alla prassi si giunge non in modo necessario ma attraverso un lungo e tenace lavoro sostenuto, in cui variabili oggettive e storiche si incontrano. La rivoluzione è una scommessa, ma senza abili scommettitori ad essa non si giunge:

“Dov’è dunque la possibilità positiva della emancipazione tedesca?

Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile la quale non sia una classe della società civile, di uno stato che sia la dissoluzione di tutti gli stati, di una sfera che per i suoi dolori universali possieda un carattere universale e non rivendichi alcun diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitato non una ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro, la quale può fare appello non più ad un titolo storico ma al titolo umano, che non si trova in contrasto unilaterale verso le conseguenze, ma in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico tedesco, di una sfera, infine, che non può emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le rimanenti sfere della società e con ciò stesso emancipare tutte le rimanenti sfere della società, la quale, in una parola, è la perdita completa dell’uomo, e può dunque guadagnare nuovamente se stessa soltanto attraverso il completo riacquisto dell’uomo. Questa dissoluzione della società in quanto stato particolare è il proletariato.

 Il proletariato comincia per la Germania a diventar tale soltanto con l’irrompente movimento industriale, poiché non la povertà sorta naturalmente bensì la povertà prodotta artificialmente, non la massa di uomini meccanicamente oppressa dal peso della società ma la massa di uomini che proviene dalla sua acuta dissoluzione, anzi dalla dissoluzione del ceto medio, costituisce il proletariato, sebbene gradualmente entrino nelle sue file, com’è naturale, anche la povertà naturale e la cristiano-germanica schiavitù della gleba.

Se il proletariato annunzia la dissoluzione dell’ordinamento tradizionale del mondo, esso esprime soltanto il segreto della sua propria esistenza, poiché esso è la dissoluzione effettiva di questo ordinamento del mondo.

 Se il proletariato richiede la negazione della proprietà privata, esso eleva a principio della società solo ciò che la società ha elevato a suo principio, ciò che in esso è già impersonato senza suo apporto, in quanto risultato negativo della società.

 Il proletariato quindi rispetto al mondo in divenire si trova nello stesso diritto in cui il re tedesco si trova rispetto al mondo già divenuto, quando egli chiama suo popolo il popolo, così come chiama suo cavallo il cavallo.

 Il re dichiarando il popolo sua proprietà privata, esprime soltanto il fatto che il proprietario privato è re”.

Ciascuno di noi può contribuire alla svolta, ma ad essa si giunge con il lavoro perenne che solo la passione può donare.

La passione non è una forza cieca, ma essa emerge dalla consapevolezza dolorosa della verità storica e dalla capacità di usare le “categorie concrete” che ci restituiscono la realtà/verità senza filtri e facili illusioni.

 Per rifondare il comunismo dobbiamo andare “oltre Marx” ma senza congedarci dal “suo cantiere”, anzi sta a noi continuare l’opera.

 

 

 

 

 

Il Feticcio di “Ventotene”: Ma Qualcuno

 l’Ha Letto Veramente il Manifesto?

Conoscenzeaonfine.it – (21 Marzo 2025) - Ferdinando Pastore – ci dice:

 

Il “Manifesto di Ventotene” (1941) nasce in piena Operazione Barbarossa, con un’idea di federalismo europeo ostile al socialismo di stato sovietico.

 Contrasta l’impianto della Costituzione italiana e rivela l’anticomunismo di Spinelli.

Oggi è un feticcio scollegato dalla realtà politica.

Quale Manifesto? Il Feticcio di “Ventotene”.

Quando si fa riferimento a un avvenimento passato occorrerebbe collocarlo storicamente, partendo magari dalle date.

Il Manifesto di Ventotene viene redatto, sotto la regia di Altiero Spinelli (un comunista pentito) ed Ernesto Rossi (un liberale allievo di Luigi Einaudi), nel 1941. In piena Operazione Barbarossa i nostri eroi concepiscono un federalismo europeo con venature libertarie in chiaro contrasto con l’impianto del socialismo di stato sovietico.

In politica le fasi hanno la loro importanza, per cui partorire quel documento in piena Seconda guerra mondiale, con la Germania nel suo momento più aggressivo, prima dell’intervento statunitense, non voleva di certo essere un punto d’appoggio per la causa del popolo russo impegnato nella resistenza all’aggressione nazifascista.

 

Prendendo spunto da alcuni articoli di Einaudi non solo si criticava il socialismo di stato, ma anche la natura della sovranità statale.

Motivo per cui il Manifesto si poneva in netto contrasto con tutta la riflessione politico-culturale che portò alla nascita della Costituzione italiana, con il suo impianto lavorista, sociale e di partecipazione pubblica tramite la promozione di libertà positive, ritenuto questo il vero tratto distintivo del nuovo stato democratico e autenticamente antifascista.

Pietro Nenni, uomo di estrema profondità politica, comprese benissimo il sotterfugio contenuto tra le righe del Manifesto e costrinse Sandro Pertini, politico meno lungimirante di lui, al ritiro della firma.

Tanto che quel testo prospettava anche l’ideazione di una forza politica esterna ai partiti, a quei partiti poi protagonisti della Liberazione, perché ritenuti troppo nazionalisti.

 

Una volta pubblicata postuma la sua memorialistica, emerse uno Spinelli obnubilato dall’anticomunismo e dalla cieca volontà di sconfiggere militarmente l’Unione Sovietica, come avrebbe potuto professare, in quegli anni, qualsiasi reazionario appassionato alla lettura de “Il giornale d’Italia”.

Alla luce di tutto ciò sorge spontanea una considerazione.

 I progressisti sembrano sempre procedere per astrazioni impolitiche: “il sogno europeo”, “i padri fondatori”, “lo spirito del Manifesto di Ventotene”.

Queste astrazioni concettuali, salmodiate fino allo sfinimento, diventano dei veri e propri dogmi, totalmente sconnessi dalla realtà.

Realtà che, a quel punto, non hanno alcun interesse a conoscere.

Senza contare che il Manifesto di Ventotene è un vero e proprio feticcio, celebrato indifferentemente dai più biechi reazionari e dai più illusi liberal, del tutto estraneo al processo di formazione dell’Europa Unita, sia nella sua versione embrionale che in quella totalitaristica di Maastricht.

(Ferdinando Pastore).

(kulturjam.it/in-evidenza/il-feticcio-di-ventotene-ma-qualcuno-lha-letto-veramente-il-manifesto/).

 

 

 

 

Cari progressisti, ripensiamo cultura

 e valori in modo più aperto e dinamico.

 Libertaeguale.it – Prof.ssa Claudia Mancina - (9 Dicembre 2024) -ci dice:

Mi è accaduto varie volte di chiedermi come sarebbe stata la storia italiana se ci fosse stato un rapporto inverso dal punto di vista quantitativo tra Partito Socialista e Partito Comunista, cioè se il Partito Socialista fosse stato più grande e il Partito Comunista più piccolo.

Sarebbe stata sicuramente una storia molto diversa, forse una storia più simile a quella degli altri Paesi europei.

 L’anomalia italiana sarebbe stata sicuramente o inesistente o comunque molto meno pronunciata, perché l’anomalia italiana consisteva, come” Ceccanti “ha spiegato molto bene, nella presenza di questo “forte Partito Comunista”.

 

Tuttavia forse ci dovremmo chiedere come mai è successo che il Partito Socialista dal 1946 ha immediatamente perso la sua preponderanza mentre il Partito Comunista è cresciuto in modo estremamente significativo e ha continuato a crescere, a parte qualche ovvio momento di frenata.

 Ora io non pretendo di rispondere a questa domanda, è una domanda che tocca più agli storici, però la mia impressione è che all’uscita dalla guerra, in una atmosfera caratterizzata dalle difficoltà ma anche dall’entusiasmo della ricostruzione, il Partito Comunista apparisse – ai giovani soprattutto – come qualcosa di più nuovo, di più fresco, di più seriamente organizzato.

L’organizzazione del Partito Comunista, che è stata più tardi considerata quasi un difetto, era allora invece vista come un elemento di grande valore, di grande stima.

 E un elemento di concretezza.

 

Credo anche che il Partito Socialista, nella fase precedente al fascismo, all’inizio del Novecento, si fosse esposto a un giudizio negativo, con le sue contorsioni interne, con la frattura violenta tra riformisti e rivoluzionari, essendo poi – dopo la nascita del Partito comunista – altrettanto rivoluzionario dei comunisti.

 Mi pare cioè che il Partito socialista non rappresentasse in quella fase, e anche nell’immediato dopoguerra, un’opzione realmente socialdemocratica, ma qualcosa di non molto diverso dai comunisti.

 Comunque la storia è andata così; per quanto la storia controfattuale sia utile, non è il caso di interrogarsi oltre un certo limite su una possibile storia diversa.

Sul partito nuovo e il ruolo di Togliatti è stato detto molto.

Io vorrei ricordare un episodio, un piccolo episodio, perché è stata citata, come segno della vocazione insurrezionale del PCI, l’occupazione della Prefettura di Milano nel 1947.

Bisognerebbe citare però anche la risposta – ben nota – che Togliatti dette a Pajetta che gli telefonava tutto orgoglioso:

“abbiamo preso la Prefettura di Milano”;

la risposta fu: “bravi, adesso che ve ne fate?”

Che non è una cosa da poco, ma mostra chiaramente che il PCI di allora non aveva affatto una prospettiva di tipo insurrezionale.

 Certamente in seguito a una scelta di Stalin e agli accordi di Jalta, come ha ricordato Amato;

ma anche come effetto di un filone di pensiero sviluppato da Gramsci in carcere e dallo stesso Togliatti nell’esilio sovietico.

Se non fosse così non comprenderemmo passaggi fondamentali della storia italiana, come la partecipazione alla Costituente anche dopo l’esclusione dal governo;

o il modo in cui si comportò il Partito Comunista durante il rapimento di Moro.

Non potremmo neppure comprendere Berlinguer e il suo avvicinamento al governo negli anni Settanta.

 

È vero però, e questo credo che debba essere sottolineato, che ci fu una sottile vena insurrezionale in parte dentro il Pci ma soprattutto fuori e accanto ad esso (penso al tema del cosiddetto “tradimento della Resistenza”), che rimase viva molto sottotraccia e molto minoritaria, e che riemerse poi in collegamento con il terrorismo (l’album di famiglia della Rossanda non era una stupidaggine).

 Però non era quello il PCI, non era quella la linea del PCI, che d’altra parte, anche questo va detto e sottolineato con forza, non ruppe mai i suoi rapporti con Mosca: la “doppiezza”, che significava stare sì dentro la democrazia, ma non dentro l’Occidente.

Vorrei dire qualcosa sugli altri temi che ha sollevato “Amato” rispetto all’oggi e al domani e cioè le questioni che riguardano le prospettive della nostra democrazia. A proposito delle” lucciole” di Pasolini, io per esempio non sono tanto d’ accordo. Ricordo un passo di “Miriam Mafa”i, che scriveva (nei colloqui con Reichlin e Foa) “le lucciole sono tornate”, cioè non c’è solo il regresso, a volte ci sono anche momenti di progresso.

 Le lucciole sono tornate perché è diminuito l’impatto dei pesticidi, non è scomparso completamente ma è diminuito. Il declino non è ineluttabile, come pensava Pasolini, e le lucciole possono tornare.

 

Questo per dire che ho qualche perplessità sull’atteggiamento totalmente anticonsumistico che si incarna nella figura di Pasolini, più che nelle figure di Habermas e Ratzinger nel loro dibattito del 2004.

Devo dire soprattutto Ratzinger interessantissimo, più ancora di Habermas.

Ma tornando alla questione del consumismo, non sono così convinta che sia possibile essere totalmente negativi su questo punto, perché una tendenza al consumo e al godimento del consumo anche materiale è insita nell’essere umano ed è strettamente connessa alla innovazione tecnologica che è la principale caratteristica dell’homo sapiens.

Cos’erano le fiere medievali, diffuse in tutta Europa, se non appunto il tentativo di avvicinarsi a oggetti di consumo, naturalmente in condizioni di risorse – di offerta e di domanda – completamente diverse da quella in cui viviamo noi?

 

Però poi il consumismo, per usare questa parola standard, che è uno slogan, è stato uno degli elementi fondamentali della caduta del comunismo.

 I cittadini dei Paesi comunisti si sono trovati di fronte a una organizzazione statale e sociale che predicava l’uguaglianza, nella quale invece c’era una assoluta disuguaglianza, come fu denunciato già negli anni Sessanta nel celebre libro di “Milovan Gilas “sulla nuova classe:

la classe dei burocrati, che godeva di condizioni di grande privilegio sfruttando i cittadini lavoratori.

 La percezione ormai generalizzata della disuguaglianza, l’assenza di libertà e l’arretratezza tecnologica:

sono questi gli elementi sui quali è caduto il comunismo.

Il desiderio di consumi migliori e più facili sintetizza questi tre elementi.

E non è un caso che, quando i tedeschi dell’Est si sono riversati nelle strade di Berlino ovest, dove sono andati? Sono andati nei grandi magazzini, cosa che i comunisti, anche noi comunisti italiani, abbiamo guardato con grande disprezzo.

Allora era solo un problema di consumismo?

 O si trattava di avere una vita migliore, come avevamo in Occidente e come in quei Paesi non avevano proprio, neanche nella Germania Est che pure era il paese più avanzato, più coccolato e più ricco?

(E oggi, per un terribile paradosso della storia, quello in cui si sviluppano i partiti neonazisti.)

 

L’ultimo punto che vorrei toccare è questo: il presentismo della politica.

 Certo, è verissimo che siamo in una fase in cui la politica non riesce a guardare neanche all’anno dopo, figurarsi allo sviluppo decennale di questioni come quella climatica o quella, ad essa collegata, della riconversione industriale.

 Io però credo che questo sia fondamentalmente un problema della politica; sull’opinione pubblica sono meno pessimista e mi chiedo se non possiamo guardare con un po’ più di fiducia all’evoluzione della nostra società.

 È vero che ci sono gli attacchi ai medici, agli insegnanti, che c’è un aumento dell’egoismo sociale, dovuto anche alla pessima influenza dei social media, ma credo che la responsabilità maggiore sia di una politica che non è in grado di rispondere ai bisogni della società, non è in grado di indicare prospettive di sviluppo al paese, e tanto meno di indicare dei valori.

 

Io non credo di avere soluzioni, per carità.

 Un punto che però mi sentirei di sottolineare è quello dei valori conservatori di cui pure ha parlato Giuliano Amato”.

Io credo che la sinistra debba avere la capacità e l’umiltà di assumere, sia pure trasformandoli, almeno alcuni valori che appaiono a uno sguardo pigro conservatori.

Credo che questo sia il punto vero che abbiamo di fronte.

Io non chiedo alla religione di svolgere questo ruolo, anche perché il discorso sulla religione oggi è più complicato che mai: la nostra società è inevitabilmente multireligiosa e multiculturale, in tutti i paesi democratici, e questo rende ancora più difficile attribuire alla religione (quale religione?) il ruolo di “deposito di valori” evocato da “Habermas”.

Credo che la politica progressista possa e debba elaborare da sé il deposito di valori che è necessario per ricostruire una società libera e solidale.

Faccio un esempio.

La politica progressista, una politica che guardi avanti, deve essere in grado di porsi seriamente, e non soltanto in termini ideologici o moralistici, il problema dell’immigrazione.

Non basta l’idea di accoglienza, bisogna porsi il problema di come concretamente strutturare l’ingresso di migliaia e migliaia di persone nei nostri Paesi, delle quali peraltro abbiamo bisogno.

Non è solo per generosità che li dobbiamo fare entrare, è anche perché ne abbiamo bisogno, come ci ripetono tutti i giorni gli industriali e gli economisti.

 

Però bisogna pensare a modi concreti di inserire queste persone nel nostro tessuto sociale, rispettando la loro cultura e la loro religione, (sono convinta che l’assimilazione nel vecchio senso francese sia fallita e non sia più un modello), però nello stesso tempo richiedendo una adesione a quelli che sono i valori fondamentali della nostra società democratica e anche, non dobbiamo temere di dirlo, della nostra tradizione culturale.

La differenza tra la sinistra e la destra non dovrebbe essere sulla negazione o affermazione della tradizione culturale, ma sul modo di concepirla:

come qualcosa di statico o come qualcosa che è in continua evoluzione, oggi come ieri e come domani.

Così come penso che sarebbe giusto anche recuperare un concetto progressivo di nazione, e non lasciare questo concetto esclusivamente alla destra.

Non credo che sia un concetto di destra:

è nato come concetto democratico (non c’è bisogno di citare Mazzini, John Stuart Mill, Renan), ma anche oggi è un concetto che ha e deve avere un senso democratico e progressivo.

Mi fermo qui perché non voglio fare un elenco.

 Voglio però dire, come atteggiamento generale, che credo che la parte progressiva, quella che è erede del Partito Socialista e anche in buona parte del Partito Comunista e naturalmente del Partito Popolare e della Democrazia Cristiana, dovrebbe avere la capacità di ripensare in termini un po’ più aperti, un po’ più dinamici, il proprio patrimonio politico-culturale.

Il nostro patrimonio di idee mi pare un po’ troppo – come dire – adagiato su sé stesso;

non guarda sufficientemente ai mutamenti che sono in atto nella società.

Per guardare a questi mutamenti, per cercare soluzioni nuove, temo che non basti rivolgersi alla religione;

bisogna ripensare, rinnovare coraggiosamente tutto il nostro patrimonio, quello del mondo cattolico così come quello del mondo della sinistra.

 

 

 

 

Il Libro Bianco sulla Difesa in italiano.

Eunews.it – Redazione – X eunewsit – (29 -03 – 2025) – ci dice:

Il testo presentato congiuntamente il 19 marzo dalla Commissione europea e dall'alta rappresentante per la politica Estera e di Difesa dell'Unione.

Difesa Ue.

Bruxelles – Pubblichiamo qui di seguito, e con i link ai testi in PDF, il Libro Bianco sulla Difesa europea, presentato congiuntamente il 19 marzo dalla Commissione europea e dall’alta rappresentante per la politica Estera e di Difesa dell’Unione. Il testo in italiano è stato curato dal” Servizio Traduzioni di Withub”.

1.  INTRODUZIONE

L’Europa si trova ad affrontare una minaccia acuta e crescente. L’unico modo per garantire la pace è avere la prontezza di dissuadere chi vuole farci del male. Abbiamo molte basi solide, come il nostro potenziale di liberare vaste risorse e la potenza tecnologica e industriale latente. Ma partiamo anche da una posizione in cui la nostra prontezza di difesa è stata indebolita da decenni di investimenti insufficienti.

 

Il nostro continente è attualmente colpito dalla guerra, da aggressioni e altri atti ostili. L’Unione europea ha un’immensa ricchezza e potenza produttiva e una profonda fede nell’importanza dei valori democratici condivisi da tutti gli Stati membri. Ma è costretta da attori esterni che stanno mobilitando le loro risorse e utilizzando la tecnologia in modo più efficace per raggiungere i loro obiettivi.

Essi minacciano direttamente il nostro stile di vita e la nostra capacità di scegliere il nostro futuro attraverso processi democratici.

Ritengono che non siamo politicamente in grado dare una risposta significativa e strategicamente duratura.

 

L’ordine internazionale sta subendo cambiamenti di portata mai vista dal 1945. Questi cambiamenti sono particolarmente profondi in Europa, a causa del suo ruolo centrale nelle principali sfide geopolitiche del secolo scorso.

L’equilibrio politico emerso dalla fine della Seconda guerra mondiale e poi dalla conclusione della Guerra fredda è stato gravemente compromesso.

 Per quanto possiamo rimpiangere questa vecchia era, dobbiamo accettare che questa non tornerà.

Il mantenimento dell’”ordine internazionale basato sulle regole” rimarrà di estrema importanza, sia nel nostro interesse che come espressione dei nostri valori.

Ma un nuovo ordine internazionale si formerà nella seconda metà di questo decennio e oltre.

Se non diamo forma a questo ordine – sia nella nostra regione sia al di fuori di essa – saremo destinatari passivi dell’esito di questo periodo di competizione interstatale, con tutte le conseguenze negative che ne potrebbero derivare, compresa la reale prospettiva di una guerra su larga scala.

La storia non ci perdonerà l’inazione.

 

In questo contesto, l’Europa si trova di fronte a una scelta fondamentale per il suo futuro. Vuole affrontare gli anni a venire in modo confuso, cercando di adattarsi alle nuove sfide in modo incrementale e cauto? Oppure vuole decidere il proprio futuro, libero da coercizioni e aggressioni, assicurando che i cittadini europei possano vivere in sicurezza, pace, democrazia e prosperità?

 Se rispondiamo a questo momento con determinazione, azione collettiva e una strategia chiara, rafforzeremo il nostro posto nel mondo e rinnoveremo le nostre alleanze internazionali su una base più sostenibile.

Consentiremo un rinnovamento del progetto europeo e miglioreremo la sicurezza, la prosperità e il benessere dei nostri cittadini.

Se continuiamo sulla stessa strada, invece, finiremo per essere sminuiti, divisi e vulnerabili.

 

La nostra sicurezza ha tratto immensi benefici sia dalla NATO che dall’Unione Europea.

 Negli ultimi anni, abbiamo lavorato sempre più a stretto contatto per rispondere alle minacce che dobbiamo affrontare.

Ma questo non sarà sufficiente per i prossimi anni.

 L’Europa deve fare molto di più se vuole ripristinare una deterrenza credibile e garantire la sicurezza da cui dipende la nostra prosperità.

Ciò richiede che tutti gli Stati membri agiscano in modo solidale e investano nella nostra difesa collettiva.

 

Il futuro dell’Ucraina è fondamentale per il futuro dell’intera Europa.

 Dal 2022, abbiamo assistito a una guerra ad alta intensità su larga scala ai confini dell’Unione europea, con centinaia di migliaia di vittime, spostamenti di massa della popolazione, costi economici enormi e distruzione deliberata di sistemi energetici vitali e del patrimonio culturale. L’esito di questa guerra sarà un fattore determinante per il nostro futuro collettivo nei decenni a venire.

 

L’Europa deve affrontare altre crescenti minacce e sfide alla sicurezza, nella sua regione e oltre. La competizione strategica è in aumento nel nostro più ampio vicinato, dall’Artico al Baltico, dal Medio Oriente al Nord Africa. Le sfide transnazionali, come la rapida evoluzione tecnologica, le migrazioni e i cambiamenti climatici, potrebbero mettere a dura prova il nostro sistema politico ed economico.

Stati autoritari come la Cina cercano sempre più di affermare la propria autorità e il proprio controllo sulla nostra economia e società. Anche gli alleati e i partner tradizionali, come gli Stati Uniti, stanno spostando la loro attenzione dall’Europa ad altre regioni del mondo. Si tratta di un fenomeno di cui siamo stati avvertiti più volte, ma che ora sta avvenendo più rapidamente di quanto molti avessero previsto.

 

È giunto il momento per l’Europa di riarmarsi. Per sviluppare le capacità e la prontezza militare necessarie a scoraggiare in modo credibile le aggressioni armate e a garantire il futuro, è necessario un massiccio aumento della spesa europea per la difesa.

Questa deve essere coordinata e diretta in modo più efficace che mai tra gli Stati membri, riflettendo i nostri punti di forza collettivi e affrontando le debolezze derivanti da un’azione non coordinata.

Abbiamo bisogno di una base industriale più forte e più resiliente. Abbiamo bisogno di un ecosistema di innovazione tecnologica per le nostre industrie della difesa per tenere il passo con i cambiamenti nel carattere della guerra.

Dobbiamo trarne le lezioni ed estrapolarle per un eventuale conflitto su larga scala nel prossimo futuro.

 Abbiamo bisogno di approvvigionamenti più rapidi ed efficienti. Dobbiamo trovare nuovi modi di lavorare con alleati e partner che condividono gli stessi obiettivi.

 

La ricostruzione della difesa europea richiede, come punto di partenza, un investimento massiccio per un periodo prolungato. Insieme dobbiamo accelerare i lavori su tutti i fronti per aumentare urgentemente la prontezza della difesa europea e garantire che l’Europa abbia una postura di difesa europea forte e sufficiente al più tardi entro il 2030, aumentando così anche il nostro contributo alla sicurezza transatlantica.

 

Il presente “Libro bianco” fornisce un quadro di riferimento per il “piano ReArm Europe”, definendo le ragioni di un aumento degli investimenti europei nel settore della difesa che si verifica una volta per generazione.

 Esso definisce i passi necessari per ricostruire la difesa europea, sostenere l’Ucraina, affrontare le carenze di capacità critiche e creare una base industriale della difesa forte e competitiva.

 

Per il breve termine, il presente “Libro bianco” presenta opzioni concrete per la collaborazione tra gli Stati membri al fine di rifornire urgentemente le loro scorte di munizioni, armi ed equipaggiamenti militari. Ciò è essenziale anche per mantenere e rafforzare il sostegno militare all’Ucraina. Come si evince dal Libro bianco, il sostegno all’Ucraina è il compito immediato e più urgente per la difesa europea. L’Ucraina ne è attualmente la prima linea, che resiste a una guerra di aggressione guidata dalla più grande minaccia alla nostra sicurezza comune.

 

Per il medio-lungo termine, indica diverse aree critiche di capacità, in cui le lacune sono già state identificate dagli Stati membri nelle iniziative di priorità di capacità dell’UE e della NATO.

Propone che gli Stati membri uniscano urgentemente i loro sforzi per colmare queste lacune, anche attraverso una serie di progetti di difesa di comune interesse europeo, che saranno definiti dagli Stati membri e che beneficeranno degli incentivi dell’UE.

Il sostegno dell’Unione allo sviluppo collaborativo delle capacità faciliterà così gli Stati membri nell’Alleanza Atlantica a raggiungere i loro obiettivi di capacità in modo più rapido ed economico e con una maggiore interoperabilità fin dall’inizio. Infine, il Libro bianco suggerisce indicazioni per rafforzare la base tecnologica e industriale della difesa europea, stimolando la ricerca e creando un mercato europeo per le attrezzature di difesa.

 

2.  UN CONTESTO STRATEGICO IN RAPIDO DETERIORAMENTO.

Le minacce alla sicurezza europea stanno proliferando in modo tale da costituire una minaccia acuta per il nostro stile vita.

 Anche prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, c’era una crescente consapevolezza della pericolosità dell’ambiente in cui operiamo.

Questo, a sua volta, ha influenzato il nostro sistema politico e ha avuto un impatto negativo sulla crescita economica, poiché i cittadini temono le conseguenze di una rottura dell’ordine internazionale dovuta al comportamento di attori ostili.

 

In primo luogo, la geografia e la storia dell’Unione europea la rendono vulnerabile a certi tipi di sfide nel più ampio vicinato europeo. La vicinanza al Nord Africa e al Medio Oriente rende l’Europa vulnerabile allo sconfinamento dei conflitti, delle migrazioni e degli effetti del cambiamento climatico che hanno colpito queste regioni. A nord, l’Artico sta diventando una nuova arena di competizione geopolitica. Dall’altra parte dell’Atlantico, gli Stati Uniti, tradizionalmente un alleato forte, sono convinti di essere troppo impegnati in Europa e di doversi riequilibrare, riducendo il loro ruolo storico di garante primario della sicurezza.

 

In secondo luogo, esiste un’ampia gamma di diversi tipi di minacce alla sicurezza, sempre più interconnesse e sempre più diffuse. Si tratta di casi di terrorismo ed estremismo violento, attacchi ibridi, azioni di gruppi internazionali di criminalità organizzata e reti di criminali informatici. Le prove delle connessioni tra questi gruppi e gli attori statali ostili sono in aumento, a causa delle nuove tecnologie che trascendono facilmente i confini.

 

In terzo luogo, uno dei fattori distintivi di questa nuova era è la misura in cui queste sfide alla sicurezza sono di natura strategica, e richiedono quindi una risposta strategica.

Ad esempio, la Russia rappresenta una grande minaccia strategica sul campo di battaglia. Ha costretto l’Europa e i nostri partner a confrontarsi con la realtà di una grande guerra meccanizzata ad alta intensità sul continente europeo, su una scala mai vista dal 1945. La Russia – che era già per distacco lo Stato europeo più pesantemente armato – ha ora un’economia di guerra, focalizzata in modo preponderante sul perseguimento dei suoi obiettivi bellici, basata sulla mobilitazione industriale e sull’innovazione tecnologica.

 

Nel frattempo, le implicazioni per la sicurezza dell’ascesa della Cina sono di natura altrettanto strategica. La sfida posta da Pechino è sistematica in quanto si basa su un sistema di governo completamente diverso – autoritario e non democratico – da quello dell’UE. È inoltre sistematica in quanto legata all’approccio della Cina al commercio, agli investimenti e alla tecnologia, con cui cerca di ottenere il primato e in alcuni casi la supremazia.

 

In un’epoca in cui le minacce proliferano e la concorrenza sistemica aumenta, l’Europa deve rispondere in modo strategico. Ciò richiede di sfruttare i punti di forza dell’Unione europea, ma anche di affrontare le aree di debolezza comparativa, come la nostra capacità di stabilire una chiara direzione di marcia centrale. Altrimenti, l’Europa sarà sempre meno in grado di decidere del proprio futuro e sempre più spinta da grandi blocchi economici, tecnologici e militari che cercano di ottenere un vantaggio su di noi.

 

Nel breve termine, il futuro dell’Europa è determinato dal conflitto in Ucraina. Nel medio-lungo termine, con l’attuale traiettoria, alcune delle sfide che dobbiamo affrontare non potranno che acuirsi. Il resto del mondo è impegnato in una corsa alla modernizzazione militare e al vantaggio tecnologico ed economico. Questa corsa si sta intensificando e l’Europa deve ancora trovare una risposta pienamente coerente per far fronte alla gravità del momento attuale.

 

La Russia continuerà a incrementare la sua economia di guerra, sostenuta da Bielorussia, Corea del Nord e Iran. Mosca sta espandendo massicciamente la sua capacità di produzione militare-industriale, con una spesa stimata nel 2024 pari al 40% del budget federale e fino al 9% del PIL (dal 6% nel 2023) per la difesa. Nel 2025, si prevede che la Russia supererà la spesa per la difesa degli Stati membri in termini di parità di potere d’acquisto. Inoltre, Mosca ha chiarito che, secondo la sua concezione, rimane in guerra con l’Occidente. Se si permette alla Russia di raggiungere i suoi obiettivi in Ucraina, le sue ambizioni territoriali si estenderanno oltre.

 

La Russia rimarrà una minaccia fondamentale per la sicurezza dell’Europa nel prossimo futuro, anche per la sua posizione nucleare più aggressiva e il posizionamento di armi nucleari in Bielorussia. Mosca sta sfruttando una rete di instabilità sistemica, anche attraverso una stretta collaborazione con altre potenze autoritarie. Continua ad alimentare le tensioni e l’instabilità nei Paesi vicini all’Europa, che si tratti di Balcani occidentali, Georgia, Moldavia o Armenia, e ha una crescente influenza destabilizzante in Africa.

 

Se da un lato la Cina è un partner commerciale fondamentale per l’UE, dall’altro sta aumentando le spese per la difesa, con una mancanza di trasparenza sul suo sviluppo militare. Oggi la Cina è il secondo Paese al mondo per spesa militare, superando tutti gli altri Paesi dell’Asia orientale messi insieme. Sta espandendo rapidamente le proprie capacità militari, comprese quelle nucleari, spaziali e informatiche. Questo cambiamento sta alterando in modo significativo l’equilibrio strategico nell’Indo-Pacifico. La modernizzazione militare e industriale della difesa cinese è sia quantitativa che qualitativa. Pechino sta intensificando le misure politiche, economiche, militari, informatiche e cognitive per costringere Taiwan, pur rimanendo al di sotto della soglia del confronto diretto. Il cambiamento dello status quo di Taiwan solleva il rischio di una grave perturbazione che avrebbe profonde conseguenze economiche e strategiche per l’Europa. Inoltre, le azioni della Cina nel Mar Cinese Orientale e Meridionale stanno destabilizzando la regione, mentre la sua crescente proiezione militare nel Pacifico Meridionale e nell’Oceano Indiano sta sollevando preoccupazioni tra i partner europei.

Le rivalità geopolitiche alimentano l’instabilità in diverse parti del mondo. Questo non solo influisce sulla sicurezza europea, ma mette anche a rischio la nostra economia. In Medio Oriente, sia il cessate il fuoco a Gaza che la caduta del regime di Assad in Siria offrono l’opportunità di ridurre le tensioni regionali e di porre fine alle sofferenze umane. Ciò potrebbe anche ridurre l’insicurezza economica ed evitare ricadute, anche intorno al Mar Rosso. Il legame diretto dell’Iran con la Russia, le sue ambizioni militari, il suo sostegno alle forze per procura e il suo ruolo nella destabilizzazione della regione continuano a rappresentare una seria preoccupazione per la sicurezza europea. La fragile situazione in Israele/Palestina, Siria e Libano dovrà essere attentamente monitorata per evitare nuove tensioni.

 

I conflitti, l’instabilità e il crescente estremismo violento in tutta l’Africa, compresi il Sahel, la Libia e il Sudan, hanno implicazioni dirette per la sicurezza e l’economia dell’Europa e continueranno a generare instabilità.

 

Le crescenti minacce ibride includono attacchi informatici, sabotaggi, interferenze elettroniche nei sistemi globali di navigazione e satellitari, campagne di disinformazione e spionaggio politico e industriale, nonché l’armamento della migrazione. Le attività di sabotaggio nel Mar Baltico e nel Mar Nero sono in aumento. Le attività marittime, il relativo traffico e le infrastrutture critiche sottomarine sono minacciati. Anche la libertà d’azione dell’Europa nell’aria e nello spazio è sempre più minacciata.

 

Le rivalità geopolitiche non solo hanno portato a una nuova corsa agli armamenti, ma hanno anche provocato una corsa alla tecnologia globale. La tecnologia sarà la principale caratteristica della competizione nel nuovo ambiente geopolitico. Alcune tecnologie critiche e fondamentali come l’IA, la quantistica, le biotecnologie, la robotica e l’ipersonico sono fattori chiave per la crescita economica a lungo termine e per la preminenza militare. Per questo è fondamentale promuovere l’innovazione. Pertanto, la diffusione della tecnologia a fini commerciali deve essere conciliata con ecosistemi tecnologici più rigidi per promuovere gli obiettivi di sicurezza nazionale. I concorrenti strategici dell’UE stanno investendo molto in questo settore.

 

Lo stesso vale per la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime critiche, fondamentali per la nostra produzione economica e industriale, per le capacità di difesa e per la competitività. Queste sono sempre più spesso causa di competizione e conflitti e fanno parte della politica di potenza, in quanto le dipendenze eccessive possono essere sfruttate. Ad esempio, un’escalation delle tensioni nello Stretto di Taiwan potrebbe precludere all’UE l’accesso a materiali, tecnologie e componenti fondamentali.

 

In un mondo più duro, caratterizzato da una geopolitica iper-competitiva e transazionale, che si estende su diversi teatri, l’UE deve essere in grado di contrastare efficacemente qualsiasi sfida ed essere pronta, anche per le contingenze militari più estreme, come l’aggressione armata.

 

3.  PRONTEZZA EUROPEA 2030.

Visti i cambiamenti nell’ambiente strategico, è importante che l’Europa costruisca una capacità di deterrenza sufficiente a prevenire una potenziale guerra di aggressione.

 

Gli Stati membri manterranno sempre la responsabilità delle proprie truppe, dalla dottrina allo schieramento, e delle esigenze di definizione delle proprie forze armate.

 Inoltre, l’UE agirà sempre in modo da non pregiudicare il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di specifici Stati membri, tenendo conto degli interessi di sicurezza e di difesa di tutti.

 

Tuttavia, l’Unione può fare molto per sostenere e coordinare gli sforzi degli Stati membri per rafforzare la base industriale della difesa e la prontezza complessiva in materia di difesa, compresi i contributi europei alla deterrenza e alla difesa collettiva della NATO.

Creando le condizioni necessarie per anticipare massicciamente gli investimenti nel settore della difesa, fornendo la necessaria prevedibilità all’industria e riducendo la burocrazia, l’UE sosterrà gli Stati membri per raggiungere la piena prontezza nel 2030.

 

L’Unione integra e moltiplica gli sforzi individuali degli Stati membri. Indipendentemente dal formato scelto da questi ultimi, la realizzazione di progetti di collaborazione migliorerà il coordinamento, generando economie di scala e migliorando i tempi di consegna. A sua volta, questo aumenterà la capacità produttiva dell’industria europea della difesa.

 

L’UE sta apportando valore aggiunto:

facilitando una maggiore collaborazione e una scala efficiente per l’industria europea della difesa nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di sistemi d’arma,

facilitando l’efficienza, l’intercambiabilità e l’interoperabilità, riducendo i costi evitando acquisti competitivi e migliorando il potere d’acquisto degli Stati membri, contribuendo allo stesso tempo a generare stabilità e prevedibilità con la domanda industriale pluriennale,

sostenendo infrastrutture a duplice uso per la mobilità e comunicazioni satellitari per la navigazione e l’osservazione

permettendo partenariati.

Il Libro bianco sarà seguito dalla Strategia dell’Unione per la preparazione, che definirà un approccio integrato a tutti i rischi per la preparazione a conflitti e crisi, e dalla Strategia di sicurezza interna dell’UE, che fornirà un quadro completo e unificato per prevenire, individuare e rispondere efficacemente alle minacce alla sicurezza.

 

4.  COLMARE LE LACUNE.

Per dissuadere in modo credibile le aggressioni armate straniere e affrontare le conseguenze dell’instabilità e dei conflitti, gli Stati membri dell’UE devono disporre delle capacità necessarie per portare avanti l’intero spettro degli incarichi militari. Oggi gli Stati membri soffrono di carenze critiche di capacità che influiscono sull’esecuzione di operazioni militari complesse per un periodo prolungato. Dato il rapido deterioramento del contesto geopolitico e le crescenti tensioni, l’Europa deve acquisire i mezzi necessari in tempi ragionevolmente brevi.

 

La ricostruzione della difesa europea richiede di agire su diverse dimensioni, in stretto coordinamento con la NATO.

Sono necessari interventi e investimenti urgenti per ricostituire le scorte di attrezzature ed equipaggiamenti militari degli Stati membri.

Lo sviluppo di una cooperazione paneuropea su larga scala per colmare le lacune di capacità critiche in aree prioritarie è destinato a diventare una necessità strategica che richiederà diversi anni per essere realizzata. Ecco perché è necessario intensificare gli sforzi adesso.

 

Lacune di competenza

Per colmare le lacune in termini di competenza occorre:

 1) un’intesa condivisa tra gli Stati membri sulle priorità più urgenti di investimento nelle capacità, alla luce delle recenti indicazioni del Consiglio europeo;

 2) un impegno stabile e a lungo termine per affrontarle;

3) un accordo chiaro tra gli Stati membri sul quadro di governance per ogni tipo di competenza, che può variare da uno all’altro;

 4) finanziamenti e incentivi dell’UE per aiutare gli Stati membri a mobilitare le risorse di bilancio necessarie e a spenderle nel modo più efficiente e mirato.

 

L’Unione europea è già in grado di farlo, in quanto:

aiuta gli Stati membri a individuare le carenze e le priorità di capacità a livello europeo,

sostiene gli Stati membri nell’avvio di nuovi progetti, a partire dall’armonizzazione dei requisiti. La “multi-ruolo” flotta di navi cisterna per il trasporto ne è un esempio,

sostiene l’aggregazione della domanda attraverso l’acquisto collaborativo, aprendo la strada alla fase industriale e intraprendendo acquisti congiunti per conto degli Stati membri e su loro richiesta (ad esempio, munizioni da 155 mm per l’Ucraina),

rafforza la cooperazione attraverso la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) per implementare la competenza e i progetti operativi di difesa.

Domini di competenza difensiva.

Sulla base delle carenze di competenze difensive già individuate dagli Stati membri, il presente Libro bianco definisce sette aree prioritarie fondamentali per costruire una solida difesa europea. Le aree di competenza prioritarie sono le seguenti:

 

Difesa aerea e missilistica: una difesa aerea e missilistica integrata, a più livelli, che protegge da un intero spettro di minacce aeree (missili da crociera, missili balistici e ipersonici, aerei e UAS).

 

Sistemi di artiglieria: sistemi di fuoco avanzati che includono artiglieria moderna e sistemi missilistici a lungo raggio progettati per sferrare attacchi precisi e a lungo raggio contro obiettivi terrestri (deep precision strike).

Munizioni e missili: sulla base dell’iniziativa del Servizio europeo per l’azione esterna “Piano munizioni 2.0”, una scorta strategica di munizioni, missili e componenti e una capacità di produzione industriale della difesa sufficiente a garantire un rifornimento tempestivo.

 

Droni e sistemi di contro-droni: sistemi senza pilota, compresi veicoli aerei, terrestri, di superficie e subacquei che possono essere controllati a distanza o operare autonomamente utilizzando software e sensori avanzati e migliorare le capacità consentite da questa tecnologia (ad esempio, consapevolezza della situazione, sorveglianza, …).

 

Mobilità militare: una rete europea di corridoi terrestri, aeroporti, porti marittimi ed elementi e servizi di supporto, che facilita il trasporto rapido e senza soluzione di continuità di truppe ed equipaggiamenti militari nell’UE e nei Paesi partner.

 

AI, Quantum, Cyber & Electronic Warfare: applicazioni di difesa che utilizzano l’AI militare e l’informatica quantistica; sistemi elettronici avanzati a livello europeo progettati per

a) proteggere e garantire l’uso senza ostacoli dello spettro elettromagnetico per le forze e le operazioni terrestri, aeree, spaziali e navali;

b) sopprimere, interrompere e negare l’uso dello spettro elettromagnetico da parte di un avversario;

c) proteggere la libertà di operare nel cyberspazio e garantire un accesso senza ostacoli alle capacità informatiche.

Per garantire la protezione e la libertà di manovra nel cyberspazio sono necessarie capacità cibernetiche sia difensive che offensive. È necessario sviluppare insieme agli Stati membri un sistema di sostegno volontario di competenze informatiche offensive come deterrente credibile.

Abilitatori strategici e protezione delle infrastrutture critiche: compresi, ma non solo, i velivoli per il trasporto aereo strategico e il rifornimento aria-aria, l’intelligence e la sorveglianza, il dominio marittimo, l’uso e la protezione dello spazio e di altri mezzi di comunicazione sicuri e l’infrastruttura militare per il carburante.

 

Raccogliere il “dividendo collaborativo.”

È assolutamente necessario colmare queste lacune di capacità e competenze in modo collaborativo.

 

Sia il Rapporto Niinistö che il Rapporto Draghi evidenziano come la mancanza di collaborazione abbia portato a inefficienze nello sviluppo delle capacità di difesa imponendo costi aggiuntivi a tutti gli Stati membri.

Di conseguenza, si è persa l’opportunità di sfruttare le economie di scala europee per ridurre i costi unitari.

 La spesa – scarsa e frammentata – degli Stati membri destinata all’innovazione nel settore della difesa ha un impatto negativo sulle tecnologie emergenti, fondamentali per le future capacità di difesa.

 

I gap di competenza possono essere colmati attraverso l’acquisizione di competenze belliche ad alta intensità, in linea con i processi di capacità dell’UE e della NATO.

La portata, il costo e la complessità della maggior parte dei progetti in questi settori vanno oltre le capacità individuali degli Stati membri.

Pertanto, un’azione coordinata che benefici del sostegno dell’intero pacchetto di strumenti dell’UE faciliterebbe l’approvvigionamento economicamente vantaggioso e favorirebbe l’aumento della capacità industriale europea di difesa, rafforzando la nostra base tecnologica, compresa l’innovazione tecnologica nel campo della difesa.

 

L’approvvigionamento collaborativo è il mezzo più efficiente per procurarsi un gran numero di “materiali di consumo” come munizioni, missili e droni. Gli acquisti collaborativi, tuttavia, sono fondamentali anche per realizzare progetti più complessi, poiché l’aggregazione della domanda limita i costi, invia segnali più chiari agli operatori di mercato, accorcia i tempi di consegna e garantisce l’interoperabilità e l’intercambiabilità.

 Dal 2007, nell’ambito dell’Agenzia europea per la difesa (EDA),

Gli Stati membri hanno concordato un obiettivo comune del 35% sul totale degli acquisti di attrezzature per la difesa da effettuare in collaborazione. Questo obiettivo si riflette negli impegni della PESCO, lanciata nel 2017.

 

Gli Stati membri hanno a disposizione diversi formati e strutture di collaborazione. Queste forme includono, ma non si limitano a:

la cooperazione multinazionale ad hoc, come per esempio una struttura a “nazione guida”;

l’Agenzia europea per la difesa, l’Agenzia di supporto e approvvigionamento della NATO o l’Organizzazione per la cooperazione congiunta in materia di armamenti (OCCAR).

Su richiesta degli Stati membri, la Commissione potrebbe anche agire come centrale di acquisto per conto degli Stati membri.

 

Mobilità militare e infrastrutture.

La mobilità militare è un fattore essenziale per la sicurezza e la difesa europee e per il nostro sostegno all’Ucraina. Essa rafforza la capacità delle forze armate degli Stati membri e degli alleati di spostare rapidamente truppe ed equipaggiamenti in tutta l’UE in caso di conflitto o di intensificazione della guerra ibrida. Dimostra la nostra prontezza e deterrenza. Il rafforzamento della logistica delle forze armate si sposa anche con la necessità di rendere la nostra economia più connessa e competitiva: un binomio perfetto in termini di duplice utilizzo. Sebbene negli ultimi anni siano stati compiuti progressi significativi, permangono notevoli ostacoli allo spostamento di truppe ed equipaggiamenti senza ostacoli attraverso l’UE.

 

La mobilità militare è ostacolata dalla burocrazia, che spesso richiede un’autorizzazione diplomatica specifica per i trasporti militari e anche il rispetto delle normali norme e procedure amministrative. Le attuali procedure non armonizzate, comprese quelle doganali, causano spesso gravi ritardi nel rilascio dei permessi transfrontalieri. Per accelerare la deterrenza indipendente dell’Europa e il nostro sostegno all’Ucraina, l’UE e gli Stati membri devono semplificare e snellire immediatamente i regolamenti e le procedure e garantire alle forze armate un accesso prioritario alle strutture, alle reti e ai mezzi di trasporto, anche nel contesto della sicurezza marittima.

 

Per i loro spostamenti, le forze armate hanno bisogno di accedere a infrastrutture di trasporto critiche, adatte a un duplice utilizzo. Hanno bisogno della disponibilità di tutte le modalità di trasporto e anche di percorsi multipli all’interno dell’Unione Europea, oltre che di collegamenti con i Paesi partner. Per questo motivo, l’UE ha individuato quattro corridoi multimodali prioritari (ferroviario, stradale, marittimo e aereo) per la mobilità militare per i movimenti di truppe ed equipaggiamenti a breve termine e su larga scala. Questi corridoi necessitano di investimenti sostanziali e urgenti per facilitare il movimento di truppe ed equipaggiamenti militari. All’interno di questi quattro corridoi prioritari, sono già stati stanziati 500 progetti hot-spot che devono essere migliorati con urgenza (come l’ampliamento dei tunnel ferroviari, il rafforzamento dei ponti stradali e ferroviari, l’espansione dei terminal portuali e aeroportuali). Occorre inoltre garantirne la sicurezza, la manutenzione e la riparazione. L’UE e gli Stati membri devono identificare le possibili strozzature immediate e future nell’approvvigionamento energetico insieme ai partner interessati, in particolare la NATO.

 

La mobilità militare può essere ulteriormente rafforzata da una maggiore disponibilità di mezzi di trasporto specializzati e a duplice uso in tutte le modalità di trasporto. L’UE può portare valore aggiunto agevolando l’approvvigionamento congiunto, la pre-contrattazione dei beni e l’utilizzo di standard di progettazione uniformi per le capacità a duplice utilizzo e per quelle di difesa e sicurezza. Una cooperazione rafforzata tra le industrie dell’UE consentirebbe di aumentare la fornitura di beni critici e di mantenere la posizione di leader di mercato delle aziende europee che offrono tecnologie a duplice utilizzo.

 

La Commissione, in consultazione con l’Alto Rappresentante, riesaminerà tutta la legislazione UE esistente che incide sulla mobilità militare – comprese regole più severe in merito alla proprietà e al controllo delle infrastrutture di trasporto critiche – mapperà e aggiornerà le necessarie infrastrutture a duplice utilizzo e le infrastrutture di trasporto critiche e prenderà in considerazione azioni appropriate per rimuovere gli ostacoli persistenti e garantire l’accesso dei militari ai mezzi di trasporto specializzati. I progetti infrastrutturali a lungo termine a duplice utilizzo beneficerebbero anche di una maggiore prevedibilità finanziaria.

 

Quest’anno, l’UE adotterà una comunicazione congiunta sulla mobilità militare, portando avanti le necessarie proposte legislative.

 

Protezione delle frontiere.

La difesa di tutti i confini terrestri, aerei e marittimi dell’UE è importante, in particolare per quanto riguarda il confine orientale dell’UE. Il progetto di uno scudo per il confine orientale è un’iniziativa degna di nota intrapresa da alcuni Stati membri per affrontare le crescenti sfide in questa regione. Il progetto prevede l’istituzione di un sistema integrato di gestione delle frontiere terrestri, volto a rafforzare il confine terrestre esterno dell’UE con la Russia e la Bielorussia contro le minacce militari e ibride. Ciò includerebbe una combinazione completa di barriere fisiche, sviluppo di infrastrutture e moderni sistemi di sorveglianza.

 

Omnibus della difesa

La semplificazione e l’armonizzazione normativa devono concentrarsi sia sulle norme e le procedure specifiche del settore della difesa, sia sull’impatto sull’industria della difesa delle politiche e dei regolamenti dell’UE che non sono specifici per la difesa, ma che impediscono alla base tecnologica e industriale della difesa europea (EDTIB) di rispondere con la massima agilità alle attuali, accresciute, esigenze.

 

La Commissione avvierà immediatamente un dialogo strategico con l’industria della difesa per discutere le possibili misure in questi settori, individuare gli ostacoli normativi e affrontare le sfide dell’industria della difesa. In questo contesto, la Commissione inviterà l’EDA e lo Stato Maggiore dell’UE a condividere le proprie competenze, se necessario. Sulla base dei risultati di questo dialogo, la Commissione presenterà una proposta di semplificazione omnibus per la difesa entro giugno 2025. Tale proposta sarà finalizzata in particolare a:

 

aumentare la certificazione incrociata dei prodotti per la difesa e facilitare il riconoscimento reciproco della certificazione, ove opportuno;

consentire il rapido rilascio delle autorizzazioni edilizie e ambientali per i progetti industriali di difesa come questione di interesse pubblico prioritario;

garantire la disponibilità e l’utilizzabilità tempestiva e legale di tutti i materiali e gli altri fattori produttivi necessari nella catena di approvvigionamento dell’EDTIB, in particolare per gli usi essenziali per i quali non sono disponibili sostituti adeguati;

rimuovere gli ostacoli che impediscono la disponibilità del personale militare nei tempi e nei luoghi opportuni

rimuovere gli ostacoli legati all’accesso ai finanziamenti, compresi gli investimenti ESG;

facilitare lo scambio di informazioni riservate e sensibili in condizioni che garantiscano la semplicità e la sicurezza del trattamento;

la razionalizzazione dei programmi industriali di difesa dell’UE per ridurre i tempi di consegna, semplificare la gestione dei progetti finanziati dall’UE e semplificare il trattamento dei cofinanziamenti degli Stati membri.

In questo contesto, anche le direttive dell’UE sugli appalti per la difesa e la sicurezza sensibile e sui trasferimenti intra-UE di prodotti per la difesa saranno oggetto di semplificazione e armonizzazione normativa. Sulla base della sua revisione intermedia, l’obiettivo dovrebbe essere anche quello di semplificare e le regole e le procedure del Fondo europeo per la difesa.

 

Scorte strategiche e pool di preparazione.

L’UE, insieme agli Stati membri, può sostenere la creazione di scorte strategiche e di pool di pronto intervento industriale per la difesa. Il Programma europeo per l’industria della difesa (EDIP) sosterrà tali sforzi secondo tre linee d’azione. In primo luogo, supportando azioni industriali per lo sviluppo di partenariati industriali transfrontalieri per coordinare le riserve di prodotti per la difesa, componenti e relative materie prime. In secondo luogo, sostenendo azioni di approvvigionamento per creare riserve strategiche di componenti e materie prime rilevanti. In terzo luogo, sostenendo la creazione di riserve strategiche (o pool di preparazione industriale per la difesa) di prodotti per la difesa fabbricati nell’UE.

 

5.  INCREMENTO DEL SOSTEGNO MILITARE ALL’UCRAINA (“Strategia Porcospino”)

Dal febbraio 2022, l’UE e gli Stati membri hanno fornito circa 50 miliardi di euro di sostegno militare all’Ucraina, anche attraverso il Fondo europeo per la pace. Questo sostegno è stato fondamentale per sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina. La resistenza dell’Ucraina di fronte alla guerra di aggressione della Russia è stata notevole. Le esigenze di difesa dell’Ucraina continueranno a essere elevate ben oltre qualsiasi cessate il fuoco o accordo di pace a breve termine. L’Ucraina rimarrà in prima linea nella difesa e nella sicurezza europea ed è il teatro chiave per definire il nuovo ordine internazionale, con la propria sicurezza interconnessa a quella dell’Unione europea. L’UE e i suoi Stati membri dovranno potenziare la capacità di difesa e di sicurezza dell’Ucraina attraverso una “Strategia porcospino”, che sia in grado di scoraggiare eventuali ulteriori attacchi e di garantire una pace duratura. È quindi indispensabile che l’UE e i suoi Stati membri aumentino con urgenza l’assistenza militare all’Ucraina.

 

La guerra di aggressione ha messo in luce anche l’industria della difesa ucraina, altamente innovativa e fiorente, con competenze significative in settori come l’intelligenza artificiale e i droni, nonché competenze inutilizzate in settori chiave. L’attitudine al fare e lo spirito imprenditoriale delle giovani e dinamiche aziende ucraine possono fornire importanti impulsi alla competitività dell’Europa e allo sviluppo di maggiori capacità di difesa europee.

 

Il sostegno militare dell’UE all’Ucraina dovrebbe concentrarsi su due priorità che si rafforzano a vicenda:

a. Aumentare l’assistenza – militare e di altro tipo – dell’UE all’Ucraina.

 

Nell’ambito delle garanzie di sicurezza a lungo termine e in linea con l’iniziativa dell’Alto Rappresentante sul rafforzamento del sostegno militare all’Ucraina, l’UE e i suoi Stati membri dovrebbero provvedere a quanto segue:

 

La fornitura di munizioni di artiglieria di grosso calibro con un obiettivo minimo di 2 milioni di proiettili all’anno. È urgente finanziare completamente in tempi brevi le forniture di munizioni all’Ucraina per tutto il 2025, anche attraverso donazioni incentivate dalle scorte e dagli approvvigionamenti è urgente. Per garantire forniture stabili è necessario impegnarsi finanziariamente fin da ora.

La fornitura di sistemi di difesa aerea, missili (compreso l’attacco di precisione) e droni sono priorità condivise dall’Ucraina e dagli Stati membri. Sulla base della Lettera d’intenti del novembre 2024, in cui 18 Stati membri hanno affermato la loro volontà di colmare collettivamente le urgenti carenze di capacità nel breve termine, acquistando sistemi di difesa aerea terrestri e sistemi aerei senza pilota, dovrebbe essere avviata con l’Ucraina una “Iniziativa di difesa aerea” su due binari, che comprenda l’approvvigionamento collettivo e il sostegno finanziario all’Ucraina per la produzione accelerata di intercettori per i sistemi di difesa aerea a corto e medio raggio.

I droni sono uno strumento indispensabile per correggere l’asimmetria delle risorse militari sul campo. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero continuare a sostenere l’acquisto di droni da parte dell’Ucraina e sostenere ulteriormente lo sviluppo della sua capacità produttiva, anche attraverso joint venture tra industrie europee e ucraine.

Gli sforzi dell’UE e degli Stati membri per addestrare ed equipaggiare le brigate ucraine e sostenere attivamente la rigenerazione dei battaglioni devono consolidarsi e continuare a svilupparsi ulteriormente, diventando un elemento essenziale del futuro sviluppo delle capacità militari dell’Ucraina dopo qualsiasi cessate il fuoco. L’EUMAM Ucraina continuerà a fornire formazione oltre i 75.000 beneficiari attuali. È necessario fornire pezzi di ricambio e un supporto dedicato il più possibile parallelamente alle operazioni, per la manutenzione, la riparazione e la revisione delle attrezzature danneggiate in battaglia, adattando nel modo migliore le attrezzature militari inviate in Ucraina alle necessità sul campo. Allo stesso modo, le truppe europee potranno trarre notevoli benefici dall’esperienza in prima linea delle forze ucraine.

Il sostegno diretto all’industria della difesa ucraina è il modo più efficace ed efficiente in termini di costi per sostenere gli sforzi militari dell’Ucraina, in particolare attraverso gli ordini di approvvigionamento diretto dell’industria della difesa da parte degli Stati membri per la donazione all’Ucraina. La capacità produttiva stimata dell’industria ucraina della difesa raggiungerà circa 35 miliardi di euro nel 2025. A tale scopo, l’Ucraina potrebbe utilizzare il prestito dell’UE che fa parte dell’iniziativa di accelerazione straordinaria delle entrate (ERA) guidata dal G7. La Commissione adotterà tutte le misure necessarie per anticipare il finanziamento attraverso questo strumento, così come nell’ambito dello Strumento per l’Ucraina, per massimizzare il margine di manovra macroeconomico dell’Ucraina. La prealimentazione del SER consentirà all’Ucraina di incrementare la spesa per il fabbisogno militare e di dare priorità agli acquisti nelle industrie della difesa ucraine ed europee. Inoltre, il nuovo strumento SAFE (Security Action for Europe) consentirebbe all’industria della difesa ucraina di partecipare ad appalti collaborativi al pari dell’industria dell’UE.

È necessaria una maggiore mobilità militare per garantire una più agevole assistenza militare. I corridoi di mobilità militare dell’UE dovrebbero estendersi all’Ucraina, migliorando l’interoperabilità e fungendo da ulteriore garanzia di sicurezza per scoraggiare future aggressioni.

Un maggiore accesso ai beni e ai servizi spaziali dell’UE potrebbe essere un fattore chiave per migliorare le capacità di difesa dell’Ucraina. L’UE dovrebbe dare seguito alla richiesta dell’Ucraina di partecipare al programma spaziale dell’UE, compreso l’accesso ai servizi governativi basati sullo spazio nel campo del posizionamento, della navigazione e del cronometraggio, delle comunicazioni e dell’osservazione della Terra. L’UE dovrebbe inoltre finanziare l’accesso dell’Ucraina ai servizi che di fornitori commerciali con sede nell’UE, comprese le start-up e le scale-up, a sostegno e su richiesta delle Forze armate ucraine. Ciò aiuterà l’Ucraina a migliorare la propria resilienza diversificando le fonti di servizi spaziali. Inoltre, l’UE e i suoi Stati membri dovrebbero cooperare strettamente con l’Ucraina per proteggere gli asset strategici (come, per esempio, le minacce informatiche che colpiscono l’Ucraina) ) e invitare l’Ucraina a partecipare al Centro di analisi di informazioni di sicurezza nel settore spaziale. (ISAC) dell’UE.

La “EU Military Staff Clearing House Cell” (Cellula di compensazione dello Stato Maggiore dell’UE)

 

contribuisce già al coordinamento del sostegno militare degli Stati membri all’Ucraina, in collaborazione con il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina e con l’assistenza e l’addestramento alla sicurezza della NATO per l’Ucraina. Per rafforzare questo lavoro e potenziarlo con una maggiore cooperazione industriale tra l’EDTIB (base industriale e tecnologica di difesa europea) e l’industria ucraina della difesa, l’UE proporrà all’Ucraina di istituire una Task Force trasversale.

 

b. Associare l’Ucraina alle iniziative dell’UE per lo sviluppo delle capacità di difesa e l’integrazione delle rispettive industrie della difesa.

 

Gli ultimi tre anni hanno stimolato l’Ucraina a sviluppare rapidamente la propria capacità militare. Oggi l’Ucraina utilizza l’esperienza acquisita in prima linea per adattare e aggiornare continuamente gli equipaggiamenti, al punto da diventare il principale laboratorio mondiale di innovazione tecnologica e di difesa. Una più stretta cooperazione tra le industrie della difesa ucraine ed europee consentirà un trasferimento di conoscenze di prima mano su come utilizzare al meglio l’innovazione per raggiungere la superiorità militare sul campo di battaglia, anche per quanto riguarda il rapido aumento della produzione e l’aggiornamento delle capacità esistenti.

 

L’EDTIB rimane comunque all’avanguardia nello sviluppo di sistemi e tecnologie di difesa su larga scala più avanzati. L’integrazione dell’industria ucraina della difesa nell’EDTIB la aiuterà a crescere, a modernizzarsi, a consolidarsi e a fornire prodotti di difesa efficienti dal punto di vista dei costi al mercato globale.

 

La rapida adozione del progetto di regolamento EDIP è quindi una priorità assoluta. Una volta approvato, aprirà la strada all’integrazione dell’Ucraina nel mercato europeo delle attrezzature per la difesa attraverso un apposito strumento di sostegno all’Ucraina (USI) e aprendo le attività del programma alla partecipazione dell’Ucraina – coerentemente con quanto ora proposto per SAFE, secondo le diverse modalità di tale strumento. In questo contesto, l’Ufficio per l’innovazione della difesa dell’UE a Kiev potrebbe essere potenziato per espandere la collaborazione industriale nel settore della difesa, consentendo all’UE di sostenere e trarre profitto dall’esperienza bellica dell’Ucraina e di incentivare ulteriormente gli investimenti diretti delle imprese dell’UE nel mercato industriale della difesa ucraino. Inoltre, la Commissione e l’Alto rappresentante raccomandano agli Stati membri di incaricare l’EDA di espandere la partecipazione dell’Ucraina alle sue attività, compreso l’Hub per l’innovazione della difesa dell’UE. Dovrebbe essere incoraggiata anche la partecipazione ucraina ai progetti PESCO e alle opportunità di collaborazione derivanti dalla Coordinated Annual Review on Defence (CARD).

 

L’interazione e la cooperazione tra UE, Stati membri e Ucraina che ne deriverebbe, consentirebbe all’Ucraina di trasferire all’UE alcune delle sue esperienze di guerra ad alta intensità. Gli insegnamenti tratti potrebbero a loro volta informare e sostenere l’identificazione delle future esigenze di difesa degli Stati membri.

 

6.  UN’INDUSTRIA DELLA DIFESA FORTE E INNOVATIVA IN EUROPA

Il settore industriale europeo della difesa è un prerequisito indispensabile per la messa a punto di una difesa e deterrenza credibile. Diverse aziende europee del settore sono competitive a livello globale, ma la base industriale della difesa dell’UE presenta ancora debolezze strutturali. Attualmente, l’industria europea della difesa non è in grado di produrre sistemi ed equipaggiamenti di difesa nelle quantità e con la velocità necessarie agli stati membri. Il settore rimane troppo frammentato, con operatori nazionali dominanti che si rivolgono per lo più ai mercati nazionali. Inoltre, ha sofferto di una carenza di investimenti ed è dunque necessario aumentare gli investimenti e l’approvvigionamento provenienti dal settore industriale dell’UE. Per aiutare l’industria della difesa a superare queste debolezze, il processo di revisione della direttiva UE sugli appalti per la difesa e la sicurezza sensibile, previsto per il 2026, terrà conto della raccomandazione del Competitiveness Compass di introdurre una preferenza europea.

 

Investire nella prontezza della difesa europea non solo ci garantisce la pace di domani, in più favorisce la nostra ambizione a rendere il settore manifatturiero europeo competitivo. Le catene del valore o le capacità produttive esistenti nelle nostre industrie tradizionali (automobilistica, siderurgica, dell’alluminio o chimica) possono trovare nuove opportunità nel reimpiego e nell’approvvigionamento di una crescente industriale della difesa, mentre i nuovi ecosistemi e le catene del valore per le tecnologie d’avanguardia – come l’IA o l’elettronica avanzata – possono alimentare applicazioni sia civili che militari.

 

Attraverso politiche mirate, l’UE dovrebbe sostenere l’industria europea della difesa in sei direzioni strategiche: a) sostenere, rafforzare e promuovere le capacità industriali in tutta l’UE; b) garantire l’approvvigionamento di elementi critici per l’industria e ridurre le dipendenze; c) costruire un vero e proprio mercato europeo delle attrezzature per la difesa; d) semplificare le norme esistenti e ridurre la burocrazia; e) potenziare la ricerca e lo sviluppo per promuovere l’innovazione; e f) mantenere, attrarre e sviluppare i talenti, migliorando le capacità e le competenze nel settore della difesa.

 

La domanda aggregata per incrementare la capacità di produzione industriale della difesa

 

Un massiccio aumento della capacità produttiva dell’industria europea della difesa è un prerequisito per consentire agli Stati membri di acquisire le capacità critiche che attualmente mancano. Oltre a risolvere i problemi della catena di approvvigionamento e i colli di bottiglia logistici, l’aumento delle capacità produttive dipende dal fatto che le aziende abbiano un flusso costante di ordini solidi e pluriennali per orientare gli investimenti in linee di produzione aggiuntive.

 

Gli ordini a lungo termine sono il modo migliore per aumentare la prevedibilità dell’andamento dell’industria europea della difesa e fornire i necessari segnali di investimento a lungo termine, come dimostrato dal programma EDIRPA (European defence industry reinforcement through common procurement act). Per sostenere questa esigenza, l’UE può, da un lato, promuovere un’aggregazione più sistematica della domanda degli Stati membri, nel quadro dell’EDA, per preparare e strutturare appalti congiunti su larga scala e basati su contratti pluriennali sostenuti da strumenti UE. Dall’altro lato, la Commissione e l’EDA possono, in collaborazione con gli Stati membri, rafforzare il dialogo con l’industria per fornire loro prevedibilità e anticipare meglio le loro esigenze aggregate, il che consentirebbe a ciascun attore industriale di impegnarsi nella pianificazione della produzione che contribuirebbe a soddisfare tali esigenze complessive. Questa condivisione dinamica delle informazioni sulla domanda futura e sull’aumento della produzione consentirebbe all’UE di adattare meglio le misure di sostegno, per incentivare gli acquisti collaborativi e l’aumento della produzione industriale.

 

Inoltre, la disponibilità di equipaggiamenti di difesa europei in tempo e in quantità è il prerequisito per una maggiore sicurezza, una maggiore autonomia e competitività della base industriale della difesa europea. In linea con la proposta EDIP, l’UE intende lanciare un progetto pilota per istituire gradualmente un meccanismo europeo di vendita militare al fine di aumentare la disponibilità e i tempi di consegna dei prodotti per la difesa provenienti dall’Europa.

 

Ridurre le dipendenze e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento

 

Anche il rafforzamento della resilienza delle catene di valore della difesa dell’UE è fondamentale per la prontezza nella difesa. La Commissione ha istituito l’Osservatorio delle tecnologie fondamentali per lo spazio e per le catene di valore della difesa per acquisire la conoscenza delle rispettive criticità e monitorarle sistematicamente, nonché per sviluppare le relative road map tecnologiche.

 

Nel settore della difesa, l’accesso dell’industria ai fattori di produzione più rilevanti è un fattore chiave. Quando il mercato europeo si basa solo su uno o pochi fornitori di beni, servizi o altri input fondamentali, le politiche e gli investimenti dell’UE dovrebbero rafforzare la sicurezza economica europea riducendo al minimo il potenziale di coercizione economica e di militarizzazione delle dipendenze. Pertanto, attraverso il dialogo strategico con l’industria europea della difesa, la Commissione, sostenuta dall’EDA, mirerà a identificare chiaramente le materie prime e i componenti chiave (come per esempio i chip) più critici e le possibili misure per garantire una diversificazione delle fonti di approvvigionamento con il sostegno dell’UE.

 

Parallelamente, la prevista creazione di una piattaforma per l’acquisto congiunto di materie prime fondamentali contribuirà a garantire forniture sicure ed efficienti in termini di costi. L’UE sosterrà inoltre lo sviluppo di alternative nazionali per le tecnologie, i componenti e i processi che ha bisogno di controllare (per esempio, attraverso progetti EDF o quadri a duplice uso). Se necessario, potrebbe cercare di attuare e promuovere trasferimenti di tecnologia, al fine di trarre vantaggio da tecnologie all’avanguardia e dalla ricerca più avanzata, e avviare uno sforzo a lungo termine per affrontare la questione delle restrizioni imposte alle tecnologie dei Paesi terzi.

 

Creare un vero e proprio mercato europeo delle attrezzature per la difesa, semplificando e armonizzando le norme

 

Come dimostrato dalla relazione Letta, la necessità di un mercato europeo di equipaggiamenti per la difesa si è fatta molto più forte e urgente. Rispetto a un decennio fa, gli Stati membri acquistano fino a quattro volte più equipaggiamenti, spesso da fornitori extra-UE. Tuttavia, nessun mercato nazionale europeo della difesa ha le dimensioni necessarie per aumentare sufficientemente l’industria europea della difesa.

 

Gli Stati membri devono poter fare pieno affidamento sull’EDTIB e sulle catene di approvvigionamento della difesa europea, soprattutto in tempi di crisi e di conflitto. Ciò significa garantire l’accesso ai prodotti per la difesa, ai componenti e ai pezzi di ricambio attraverso un completo regime di sicurezza degli approvvigionamenti .

 

Un mercato delle attrezzature per la difesa veramente funzionante a livello europeo sarebbe uno dei più grandi mercati nazionali della difesa al mondo. Tale mercato contribuirebbe a raggiungere obiettivi chiave quali la competitività globale, la prontezza e una maggiore dimensione industriale. Le imprese EDTIB potrebbero avere un’impronta industriale più ampia nel settore della difesa in tutta l’UE, anche negli Stati membri più vicini alle minacce più pressanti per la sicurezza. Inoltre, aumenterebbe le opportunità di mercato tra gli Stati membri attraverso collaborazioni industriali transfrontaliere, fusioni e acquisizioni o start-up, stimolando così un maggior numero di prodotti per la difesa realizzati nell’UE.

 

La semplificazione e l’armonizzazione normativa devono concentrarsi sulle norme e le procedure per gli appalti della difesa, i trasferimenti intra-UE di prodotti per la difesa, il riconoscimento reciproco delle autorizzazioni nazionali di certificazione e la concessione di permessi. Inoltre, è necessario rivedere l’impatto delle politiche e dei regolamenti dell’UE, non specifici per la difesa, sull’industria della difesa.

 

Trasformare la difesa attraverso un’innovazione dirompente

 

Il potenziale di alcune tecnologie ideate per una superiorità difensiva rappresenta una leva importante che deve essere urgentemente rafforzata a livello europeo. Le nuove tecnologie stanno cambiando radicalmente la natura della guerra in diversi settori. L’intelligenza artificiale, il cloud computing e il quantum computing, la connettività avanzata e sicura, i sistemi autonomi e le fonti energetiche alternative hanno infatti la capacità di sconvolgere e trasformare gli approcci tradizionali alla guerra. Le innovazioni nella tecnologia dei droni stanno già decidendo i prossimi campi di battaglia e il ruolo della robotica è destinato a crescere, con i veicoli terrestri autonomi che assumono un ruolo di primo piano nelle prime operazioni di combattimento. Queste macchine, capaci di ricognizione, assalti diretti e supporto logistico, stanno già avendo un impatto. I robot militari dotati di intelligenza artificiale sono ancora nelle prime fasi di sviluppo e l’Europa ha ampie possibilità di eccellere nelle armi robotiche e nel software necessario per alimentarle. Tuttavia, la finestra di opportunità è molto ristretta, poiché i concorrenti e i rivali strategici stanno investendo pesantemente in questi settori, così come in nuovi segmenti tecnologicamente complessi come i missili ipersonici, le armi a energia diretta, la guerra nei fondali marini e nello spazio.

 

Gli Stati membri hanno bisogno che l’industria europea della difesa sia in grado di progettare, sviluppare, produrre e fornire questi prodotti e tecnologie più velocemente e su scala. Nel contesto di un sostanziale aumento della spesa per la difesa, è necessario investire una quota maggiore nella ricerca e nello sviluppo e nella tecnologia della difesa, concentrando gli sforzi e le risorse su progetti europei comuni. L’UE dovrebbe sostenere lo sviluppo di processi industriali nuovi e innovativi, come la progettazione e la produzione distribuita, la produzione additiva e l’uso dell’intelligenza artificiale. A tal fine, si potrebbe sfruttare il programma di innovazione della difesa dell’UE (EUDIS) e l’Hub for European Defence Innovation (HEDI). Ad esempio, EUDIS, sviluppato nell’ambito del FES con un budget di 2 miliardi di euro, propone servizi di supporto all’innovazione per singole entità, anche attraverso l’incontro con investitori, partner e utenti finali, e sostiene la sperimentazione e la validazione di prodotti e tecnologie innovative. Con maggiori finanziamenti, l’EDA potrebbe utilizzare HEDI per condurre campagne di sperimentazione simultanee per promuovere rapidamente le soluzioni più innovative e integrarle nelle capacità esistenti o nuove attraverso cicli di sviluppo accelerati. Parallelamente, la Commissione finanzia il Defence Equity Facility del FEI, che sostiene fondi di venture capital e private equity che investono in aziende europee che sviluppano tecnologie di difesa innovative con potenziale di doppio utilizzo.

 

Nel regno della deep tech, la distinzione tra civile e difesa è sfumata. Di conseguenza, le startup civili innovative e i risultati della R&I possono svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo di soluzioni all’avanguardia che possono potenziare in modo significativo le capacità militari e migliorare la prontezza operativa. Sebbene l’Europa sia una potenza tecnologica, ciò non si traduce ancora nella capacità di sfruttare appieno il potenziale della tecnologia per ottenere una superiorità militare. È quindi urgente che l’UE mobiliti la sua capacità di innovazione complessiva e indirizzi investimenti significativi per recuperare il vantaggio ed evitare la dipendenza tecnologica.

 

L’UE presenterà una tabella di marcia tecnologica europea per gli armamenti, facendo leva sugli investimenti in capacità tecnologiche avanzate a doppio uso a livello UE, nazionale e privato. In una prima fase l’UE si concentrerà sull’IA e sulla quantistica. La Commissione garantirà inoltre che il Consiglio europeo per l’innovazione e il previsto fondo TechEU Scale-up investano in tecnologie a duplice uso.

 

Le PMI svolgono un ruolo sempre più importante come fornitori agili di tecnologie e innovazioni dirompenti nella comunità della difesa. La Commissione si è quindi attivata per sostenere un contributo più attivo delle PMI alla R&I dell’UE nel settore della difesa, in particolare fornendo bandi FES dedicati alle PMI e incoraggiando la loro partecipazione a tutti gli altri progetti. La cooperazione transfrontaliera che coinvolge le PMI è uno dei criteri di assegnazione del programma FES e si applicano bonus finanziari in base al livello di coinvolgimento delle PMI nelle azioni di sviluppo. Negli inviti a presentare proposte del FES 2023, la partecipazione delle PMI ha rappresentato circa il 50% del numero totale di entità, richiedendo il 30% dell’importo totale delle sovvenzioni richieste. Per il periodo 2023-2027 si stima che il FES dovrebbe finanziare le PMI con un massimo di 840 milioni di euro. Inoltre, l’EDIP prevede creazione di un Fondo per l’accelerazione della trasformazione della catena di approvvigionamento della difesa (FAST). Questo nuovo strumento finanziario potrebbe generare un multiplo del budget assegnato all’iniziativa da EDIP in prestiti o investimenti azionari.

 

L’UE deve mobilitare la sua capacità di innovazione complessiva e indirizzare investimenti significativi per riguadagnare il suo vantaggio, evitare di diventare sempre più tecnologicamente dipendente e raccogliere i benefici delle ricadute in altri settori dell’economia. L’Europa è già sede di alcuni nuovi attori tecnologici innovativi nel settore della difesa. Per accelerare l’emergere di operatori europei nel settore della tecnologia della difesa, il contesto normativo deve essere più favorevole all’assunzione di rischi. La Commissione intensificherà il dialogo con i nuovi operatori della difesa e con gli investitori privati per proporre misure di semplificazione normativa e una maggiore disponibilità di capitale di rischio e di opportunità commerciali.

 

Competenze e talenti per innovare

 

Per colmare le lacune di competenza è necessario coprire l’intero ciclo di sviluppo delle capacità nel settore della difesa, dalla ricerca all’acquisizione, al funzionamento e alla manutenzione. Il successo di questo approccio si basa sulla disponibilità di competenze tecnologiche e di talenti innovativi all’interno dell’industria della difesa, compresi gli attori della catena di fornitura, dalle PMI alle imprese capocommessa. Sebbene il settore europeo della difesa disponga di personale qualificato e specializzato, un’espansione industriale della difesa su larga scala richiederà all’industria di attrarre, formare, impiegare, aggiornare e riqualificare un numero molto maggiore di talenti, dai tecnici agli ingegneri e agli esperti specializzati. L’Unione delle competenze prevede una garanzia di competenze per i lavoratori dei settori in fase di ristrutturazione o a rischio di disoccupazione, affinché abbiano l’opportunità di sviluppare le loro carriere in altri settori, compreso quello della difesa. Le competenze STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) avanzate sono essenziali per sviluppare le capacità di prossima generazione, come sottolineato anche dall’Unione delle competenze, in particolare nel settore della sicurezza e della difesa.

 

La rapida e complessa evoluzione delle tecnologie sta creando opportunità per nuovi tipi di lavoro e richiede un rinnovamento delle competenze. I dipendenti dell’industria della difesa dovranno elaborare, sfruttare e diffondere efficacemente i dati e sfruttare le nuove tecnologie in nuove aree di capacità come i sistemi autonomi, i sistemi di sicurezza informatica, i sistemi informativi intelligenti o i sistemi informatici ad alte prestazioni. L’industria europea della difesa dovrà competere con altri settori per ottenere competenze simili e, allo stesso tempo, la sua espansione creerà opportunità di riqualificazione/aumento delle competenze per i posti di lavoro in esubero di altri settori industriali.

 

7.  AUMENTO DELLA SPESA PER LA DIFESA

La spesa per la difesa degli Stati membri è cresciuta di oltre il 31% dal 2021, raggiungendo l’1,9% del PIL complessivo dell’UE o 326 miliardi di euro nel 2024. In particolare, gli investimenti per la difesa hanno raggiunto la cifra senza precedenti di 102 miliardi di euro nel 2024, quasi raddoppiando l’importo speso nel 2021. Tuttavia, a livello aggregato, la spesa europea per la difesa rimane di gran lunga inferiore a quella degli Stati Uniti e, cosa ancora più preoccupante, a quella della Russia o della Cina. La ricostruzione della difesa europea richiederà investimenti massicci  – pubblici e privati – per un periodo prolungato.

 

Con il piano ReArm Europe, la Commissione ha individuato cinque pilastri per incrementare in modo urgente e significativo la spesa europea per la difesa.

 

I 5 pilastri contribuiranno ad affrontare i bisogni più immediati e a mitigare le conseguenze dei mancati investimenti del passato.

 

1. Un nuovo strumento finanziario dedicato per sostenere gli investimenti degli Stati membri nel settore della difesa

 

Data l’urgenza, la Commissione propone un nuovo regolamento UE ai sensi dell’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea per fornire agli Stati membri prestiti sostenuti dal bilancio comunitario. Con un importo massimo di 150 miliardi di euro, lo strumento Sicurezza e azione per l’Europa (SAFE) sosterrà con forza un aumento significativo degli investimenti degli Stati membri nelle capacità di difesa dell’Europa, ora e nel corso di questo decennio.

 

SAFE sosterrà l’industria europea della difesa attraverso appalti comuni che coinvolgeranno almeno due Paesi, di cui uno sarà uno Stato membro che riceve assistenza finanziaria SAFE e l’altro potrà essere un altro Stato membro, uno Stato EFTA, un membro del SEE o l’Ucraina. Questi appalti comuni riguarderanno le capacità e i fattori abilitanti prioritari individuati dal Consiglio europeo straordinario del 6 marzo 2025. Le capacità più semplici e urgenti, come le munizioni o la mobilità militare, sarebbero soggette a condizioni di ammissibilità simili a quelle del programma EDIRPA. I sistemi più complessi e ad alta tecnologia, come l’intelligenza artificiale o la difesa aerea, sarebbero soggetti a condizioni più severe, ispirate alle discussioni legislative sull’EDIP, alla luce dei maggiori requisiti di autonomia strategica.

 

Gli stanziamenti sono disponibili per tutti gli Stati membri. Saranno basati sulla domanda e sui piani industriali di difesa nazionali. Una volta approvati i rispettivi piani e firmato l’accordo di prestito, sarà disponibile il prefinanziamento.

 

Lo strumento include disposizioni per incentivare e facilitare ulteriormente gli appalti comuni, come la possibilità di aprire gli accordi quadro e i contratti esistenti a nuovi partner e l’esenzione dall’IVA per gli acquisti finanziati da SAFE. Promuove inoltre l’uso di standard comuni.

 

Le entità e i prodotti di altri Paesi partner possono essere ammessi agli appalti comuni previo accordo con l’Unione sulle condizioni finanziarie e sulla sicurezza dell’approvvigionamento.

 

2. L’attivazione coordinata della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita

 

La comunicazione della Commissione intitolata “Accogliere l’aumento della spesa per la difesa nell’ambito del Patto di stabilità e crescita” propone l’attivazione coordinata della clausola di salvaguardia nazionale da parte di tutti gli Stati membri per sbloccare una maggiore flessibilità per l’aumento della spesa per la difesa.

 

La flessibilità consentirà una deviazione dal percorso di spesa concordato equivalente all’aumento della spesa per la difesa (compresi gli investimenti e la spesa corrente) dal 2021. Si considera un periodo di quattro anni (prorogabile). Grazie a questa flessibilità, gli Stati membri potrebbero mobilitare spese aggiuntive per la difesa fino all’1,5% del PIL. Sulla base delle proiezioni di un’adozione graduale, gli investimenti per la difesa potrebbero raggiungere almeno 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, comprese le spese finanziate dai 150 miliardi di euro del SAFE, che saranno automaticamente ammissibili in base alle clausole di salvaguardia nazionali.

 

3. Rendere più flessibili gli strumenti UE esistenti per consentire maggiori investimenti nel settore della difesa

 

Nel breve periodo, l’UE può fare di più con il proprio bilancio per sostenere l’urgente necessità di aumentare gli investimenti europei nella difesa.

 

La politica di coesione contribuisce già alle capacità di difesa e sicurezza. Finanzia investimenti del settore a che contribuiscono allo sviluppo regionale, in quanto le industrie della difesa spesso creano ecosistemi industriali e di ricerca e sviluppo a beneficio delle regioni e delle comunità locali.

 

Le autorità nazionali, regionali e locali possono volontariamente utilizzare la revisione intermedia delle politiche di coesione per destinare i fondi dei loro programmi attuali alle priorità emergenti, compreso il rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza.

 

Nel contesto della revisione intermedia dei programmi 2021-2027, la Commissione proporrà la prossima settimana un pacchetto di misure per fornire flessibilità e incentivi in tal senso.

 

Lo sviluppo di un’industria europea della difesa forte e resistente sosterrà la competitività europea e promuoverà lo sviluppo regionale e la crescita economica.

 

4. Contributi della Banca europea per gli investimenti

 

La Banca europea per gli investimenti ha un ruolo chiaro e decisivo da svolgere nel finanziamento della difesa europea. Il Piano d’azione per la sicurezza e la difesa del Gruppo BEI è stato un primo passo importante e la sua attuazione dovrebbe essere accelerata.

 

Inoltre, essa intende introdurre modifiche per ampliare ulteriormente la portata dei suoi finanziamenti nel settore della difesa. Raddoppierà gli investimenti annuali, portandoli a 2 miliardi di euro, per finanziare progetti come droni, spazio, sicurezza informatica, tecnologie quantistiche, strutture militari e protezione civile. Propone un ulteriore adeguamento dei criteri di ammissibilità del Gruppo, per garantire che le attività escluse siano definite con maggiore precisione e abbiano una portata il più possibile limitata, al fine di allinearsi alle nuove priorità politiche dell’UE. Infine, proporrà una revisione del suo quadro operativo e sostituirà l’iniziativa strategica di sicurezza europea ad hoc con un obiettivo di politica pubblica trasversale dedicato a contribuire alla pace e alla sicurezza dell’Europa, con una dotazione finanziaria e di capitale ambiziosa. Si tratta di ulteriori passi nella giusta direzione.

 

5. Mobilitazione di capitale privato

 

L’aumento degli investimenti pubblici nella difesa è indispensabile, ma non sarà sufficiente. Le aziende europee, comprese le Piccole e Medie Imprese e le Mid-Cap, devono avere un migliore accesso al capitale, compresi gli strumenti di garanzia per la riduzione del rischio degli investimenti, per portare le loro soluzioni su scala industriale e per guidare la crescita industriale di cui l’Europa ha bisogno.

 

Il settore finanziario mostra un crescente interesse per il settore. Tuttavia, esso rimane un mercato poco servito a causa dei limiti delle politiche di investimento delle istituzioni finanziarie pubbliche e private. L’accesso ai finanziamenti rimane una delle principali preoccupazioni per il 44% delle PMI della difesa, una percentuale molto più alta rispetto a quella delle PMI civili. Esse hanno meno opportunità rispetto agli Stati Uniti o al Regno Unito, e gli investitori statunitensi rappresentano il 60% del totale.

 

L’Unione del Risparmio e degli Investimenti dovrebbe contribuire a convogliare ulteriori investimenti privati verso le priorità dell’UE, compreso il settore della difesa. Da sola potrebbe attirare centinaia di miliardi di investimenti aggiuntivi all’anno nell’economia europea, rafforzandone la competitività. A tal fine, la Commissione sta presentando una comunicazione sull’Unione del risparmio e degli investimenti.

 

Il regolamento dell’UE sulle comunicazioni in materia di finanza sostenibile (SFDR) non impedisce il finanziamento del settore della difesa. Tuttavia, sia quest’ultimo che il settore finanziario che quello potrebbero trarre beneficio da ulteriori chiarimenti sull’applicazione del SFDR. La Commissione fornirà i chiarimenti necessari nel contesto della sua revisione, riguardo al rapporto tra la difesa e gli obiettivi di investimento del quadro di sostenibilità.

 

6. Prevedibilità finanziaria

 

La Commissione continuerà a esplorare ulteriori fonti di finanziamento per la difesa a livello UE e ulteriori elementi e opzioni per incrementarlo in modo sostanziale e rafforzare l’EDTIB.

 

Se la domanda da parte degli Stati membri di finanziamenti basati su prestiti sostenuti dal bilancio dell’UE nell’ambito di SAFE dovesse essere superiore all’offerta, la Commissione continuerà a esplorare strumenti innovativi, ad esempio legati al Meccanismo europeo di stabilità (MES).

 

Data l’urgenza e la priorità per l’Europa di ricostruire la propria difesa, sostenuta da una base industriale competitiva, il prossimo QFP dovrebbe fornire un quadro completo e solido in suo sostegno.

 

Dovrebbe sostenere maggiori e migliori investimenti collaborativi, dalla ricerca allo sviluppo di sistemi complessi, passando per la commercializzazione e gli appalti, al fine di aumentare la sovranità tecnologica dell’Europa.

 

8.   MAGGIORE SICUREZZA ATTRAVERSO LE PARTNERSHIP

Le sfide alla sicurezza hanno spesso implicazioni globali e richiedono una cooperazione internazionale. La guerra su larga scala della Russia contro l’Ucraina ha un impatto su vasta scala oltre l’Europa. Le minacce ibride e gli attacchi informatici non conoscono confini. E nemmeno la sicurezza nello spazio o in mare. L’UE deve quindi collaborare strettamente con le organizzazioni internazionali e i Paesi partner per affrontare efficacemente queste minacce.

 

La cooperazione con i partner è fondamentale anche per affrontare le sfide della difesa europea e della sua industria, anche per diversificare i fornitori e ridurre le dipendenze. Gli ampi partenariati dell’UE in materia di pace, sicurezza e difesa sono una fonte fondamentale di forza e resilienza. L’Unione rimane pienamente impegnata a promuovere la cooperazione internazionale e a rafforzare un multilateralismo efficace a tutti i livelli. Espanderemo e perfezioneremo ulteriormente i nostri partenariati su misura con partner bilaterali, regionali e multilaterali in tutto il mondo, in modo reciprocamente vantaggioso, per affrontare un’ampia gamma di sfide di sicurezza, anche nel campo dello sviluppo delle capacità e dell’innovazione.

 

L’UE promuoverà un’architettura aperta combinata con una geometria variabile che consenta la partecipazione di partner che condividono le stesse idee a progetti e iniziative di cooperazione nel settore della difesa, come i progetti PESCO, che saranno incoraggiati caso per caso. Ciò contribuirà a ridurre l’eccessiva dipendenza dovuta al fatto di affidarsi solo a uno o pochi fornitori di beni, servizi o altri input fondamentali, a rafforzare la sicurezza economica europea e a sviluppare e promuovere le capacità di difesa europee e la competitività del mercato UE delle attrezzature di difesa.

 

La NATO rimane la pietra miliare della difesa collettiva dei suoi membri in Europa. La cooperazione UE-NATO è un pilastro indispensabile per lo sviluppo della dimensione di sicurezza e difesa dell’Unione. Gli strumenti unici di potere normativo e finanziario dell’UE aiutano i 23 Stati membri dell’Alleanza Atlantica a raggiungere i loro obiettivi di capacità.

 

Un forte legame transatlantico rimane fondamentale per la difesa dell’Europa. Gli Stati Uniti chiedono che l’Europa si assuma maggiori responsabilità per la propria difesa. Questi sforzi devono continuare a basarsi sulla profonda ed estesa catena di approvvigionamento transatlantica, che dovrebbe essere reciprocamente vantaggiosa. Il dialogo bilaterale sulla sicurezza e la difesa possono essere potenziati per rafforzare ulteriormente la cooperazione in settori quali la cibernetica, la sicurezza marittima e lo spazio, discutere le questioni relative agli appalti e affrontare qualsiasi altra questione di interesse reciproco.

 

Il Regno Unito è un alleato europeo essenziale con il quale la cooperazione in materia di sicurezza e difesa dovrebbe essere rafforzata nel reciproco interesse, a partire da un potenziale partenariato in materia di sicurezza e difesa. Partendo dalla serie di solidi accordi esistenti, la cooperazione bilaterale in materia di sicurezza e difesa può espandersi, spaziando dalla gestione delle crisi esterne alle politiche industriali di difesa.

 

La Norvegia è un partner a pieno titolo nei programmi di difesa dell’UE attraverso il suo contributo al bilancio dell’Unione. Il partenariato per la sicurezza e la difesa, lanciato di recente, fornisce un quadro politico completo e strutturato per rafforzare ulteriormente il dialogo e la cooperazione.

 

La nostra cooperazione con il Canada si è intensificata e dovrebbe essere ulteriormente migliorata, anche per rafforzare la sicurezza transatlantica. Il dialogo bilaterale in materia di sicurezza e difesa e l’imminente partenariato in materia di sicurezza e difesa costituiscono la base per una maggiore cooperazione in materia di sicurezza e difesa, anche per quanto riguarda le rispettive iniziative volte a promuovere la produzione dell’industria del settore.

 

L’UE dovrebbe continuare a impegnarsi e a cooperare in modo reciprocamente vantaggioso nel campo della sicurezza e della difesa con tutti i Paesi europei, dell’allargamento e limitrofi che la pensano allo stesso modo (tra cui Albania, Islanda, Montenegro, Moldavia, Macedonia del Nord e Svizzera) per promuovere la pace, la sicurezza e la stabilità nel nostro continente e oltre.

 

La Turchia è un Paese candidato all’adesione all’UE e un partner di lunga data nel campo della politica di sicurezza e di difesa comune. L’Unione continuerà a impegnarsi in modo costruttivo per sviluppare un partenariato reciprocamente vantaggioso in tutti i settori di interesse comune, sulla base di un impegno paritario da parte della Turchia ad avanzare su un percorso di cooperazione su tutte le questioni importanti per l’UE, in linea con le conclusioni del Consiglio europeo dell’aprile 2024.

 

L’Unione dovrebbe inoltre esplorare le opportunità di cooperazione industriale nel settore della difesa con i partner dell’Indo-Pacifico, in particolare con il Giappone e la Repubblica di Corea, con cui sono stati conclusi partenariati di sicurezza e difesa lo scorso novembre, nonché con l’Australia e la Nuova Zelanda.

 

La cooperazione in materia di sicurezza e difesa con l’India si è sviluppata negli ultimi anni, anche attraverso regolari consultazioni in materia di sicurezza e difesa. L’UE e l’India esploreranno ulteriormente un partenariato sul tema. L’Ue mantiene il suo impegno a sostenere la pace e la sicurezza nella regione dell’Indo-Pacifico, compresa la sicurezza marittima, affrontando le minacce alla sicurezza tradizionali e non tradizionali, salvaguardando le vie di comunicazione marittime e sostenendo la libertà di navigazione.

 

9.   LA VIA DA SEGUIRE PER LA DIFESA EUROPEA

Il contesto geopolitico e il panorama delle minacce in Europa stanno cambiando radicalmente e a una velocità senza precedenti. Dal Vertice di Versailles del marzo 2022, gli Stati membri hanno concordato sulla necessità di assumersi una maggiore responsabilità in materia di difesa. Sono già stati compiuti diversi passi verso una più intensa cooperazione nel settore. Tuttavia, l’aggravarsi delle minacce incombenti sull’Europa richiede che l’UE sia ferma, unita e agisca con decisione, ambizione e rapidità.

 

Il presente Libro bianco definisce un piano completo per riarmare l’Europa e costruire la sua difesa per affrontare queste minacce, con azioni immediate:

 

Gli Stati membri sono invitati a richiedere l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale entro la fine di aprile.

Il Consiglio è invitato ad adottare con urgenza la proposta di regolamento sulla sicurezza e l’azione per l’Europa (SAFE).

I colegislatori sono invitati ad adottare il Programma industriale europeo per la difesa (EDIP) prima dell’estate, compreso lo Strumento di sostegno all’Ucraina (USI).

I colegislatori sono invitati a considerare con priorità le modifiche al Fondo europeo di sviluppo regionale che saranno proposte entro la fine di marzo 2025. A seguito della revisione intermedia delle politiche di coesione, le autorità nazionali, regionali e locali potranno stanziare volontariamente fondi nell’ambito dei loro programmi attuali per le priorità emergenti, tra cui il rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza.

Gli Stati membri sono invitati a intensificare rapidamente gli acquisti collaborativi nel settore della difesa, in linea con l’obiettivo di almeno il 40% proposto dalla Strategia europea per l’industria della difesa (EDIS), anche sotto l’egida dello strumento SAFE.

Gli Stati membri sono invitati a concordare rapidamente una nuova ambiziosa iniziativa di sostegno militare all’Ucraina, che comprenda munizioni per l’artiglieria, difesa aerea e “addestramento ed equipaggiamento”.

La Commissione promuoverà l’integrazione dell’industria ucraina della difesa nel mercato unico, sosterrà l’estensione dei corridoi di mobilità militare in Ucraina e studierà l’accesso dell’Ucraina ai servizi governativi spaziali dell’UE.

La Commissione invita il Consiglio dei governatori della Banca europea per gli investimenti a rafforzare con urgenza il sostegno all’industria europea della difesa, in particolare restringendo ulteriormente l’elenco delle attività escluse e aumentando il volume dei finanziamenti disponibili.

La Commissione avvierà immediatamente un dialogo strategico con l’industria della difesa, ricorrendo anche all’esperienza dell’EDA o dello Stato Maggiore dell’UE, a seconda dei casi.

La Commissione presenterà, entro giugno 2025, una proposta di semplificazione Omnibus della Difesa.

Nel 2025 l’UE presenterà una tabella di marcia europea per gli investimenti in capacità tecnologiche avanzate a duplice uso.

La Commissione e l’AR adotteranno, entro la fine del 2025, una comunicazione congiunta sulla mobilità militare, accompagnata dalle necessarie proposte legislative.

L’UE è e rimane un progetto di pace. Deve essere in grado di proteggere i suoi cittadini, di difendere i suoi interessi e i valori che rappresenta. L’Ucraina merita un sostegno militare continuo per difendersi dall’aggressione militari e per garantire che possa difendersi in futuro. Un aumento degli investimenti nella difesa avrebbe effetti positivi in tutta l’economia, contribuendo alla competitività, alla creazione di posti di lavoro e all’innovazione in molti settori, dall’aeronautica alla costruzione navale, dall’acciaio allo spazio, dai trasporti all’intelligenza artificiale. Se sfruttato correttamente, questo potrebbe portare a un importante salto di qualità nella resilienza europea in un mondo in cui le minacce proliferano.

 

L’Europa deve fare scelte coraggiose e costruire un’Unione di Difesa che garantisca la pace nel nostro continente attraverso l’unità e la forza. Lo deve agli alleati della NATO, all’Ucraina e soprattutto a se stessa, ai cittadini europei e ai valori che rappresenta. L’UE e i suoi Stati membri devono essere all’altezza di questa sfida storica.

Di questi e altri temi legati alla Difesa si parlerà il 15 aprile a Roma nell’evento della serie “Connact” “Difesa comune europea: finanziamenti e integrazione industriale “.

Nel Libro Bianco Ue sulla difesa

acquisto di armi al 65%

Made in Europe.

Ilsole24ore.com – (20 marzo 2025) – Beda Romano – ci dice:

 

Saranno esclusi dagli appalti Paesi terzi che non siano candidati o associati alla Ue o ancora legati all’Unione da accordi di sicurezza, come (almeno per ora) Regno Unito e Stati Uniti. È inoltre essenziale che i Paesi membri abbiano il controllo totale dello strumento.

 

BRUXELLES – La Commissione europea ha presentato ufficialmente un atteso Libro Bianco dedicato alla difesa e fondato più sulle misure per facilitare il riarmo europeo che sulla sfida del coordinamento militare.

 Il desiderio dell’esecutivo comunitario è doppio: promuovere l’acquisto di armi e rafforzare l’industria della difesa, in particolare europea. Il tema della pianificazione militare è lasciato alla collaborazione tra i paesi membri, dentro o fuori l’ambito della Nato.

«L’ordine mondiale sta subendo cambiamenti di portata mai vista dal 1945», ha detto alla stampa l’Alta Rappresentante “Kaja Kallas”, riferendosi al disimpegno americano dal continente europeo e alla perdurante guerra in Ucraina.

Ha aggiunto il commissario alla difesa “Andrius Kubelius”: «450 milioni di cittadini europei non dovrebbero dipendere da 340 milioni di americani per difendersi da 140 milioni di russi, che non possono sconfiggere 38 milioni di ucraini».

La Commissione intende promuovere appalti in comune per l’acquisto di armi la cui origine è almeno per il 65% di origine europea.

 Nel caso le armi provenissero in parte da Paesi terzi, ha precisato un funzionario comunitario, è essenziale che i Paesi membri abbiano il controllo totale dello strumento.

Agli appalti potranno partecipare Paesi terzi che siano candidati o associati alla Ue o ancora legati ad essa con accordi di sicurezza (per ora sono esclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito).

 

In alcuni Paesi, come la Germania e l’Italia, preoccupano i limiti all’acquisto di armi non europee, tenuto conto dei numerosi contratti di collaborazione con il Regno Unito o gli Stati Uniti.

Il commissario “Kubilius” ha voluto essere rassicurante: «Nessuno è escluso. C’è bisogno però di un accordo bilaterale». L’Alta Rappresentante Kallas ha annunciato che una intesa con Londra è attualmente oggetto di negoziato e potrebbe essere finalizzata in maggio.

 

Sul fronte finanziario, Bruxelles conferma la proposta (nota con l’acronimo SAFE) di nuovo debito europeo per 150 miliardi di euro da distribuire ai paesi che lo vorranno sotto forma di prestiti (con una maturità di 45 anni).

Il denaro dovrà essere utilizzato per finanziare l’acquisto di particolari armi, quelle più sofisticate.

Nuovi margini giungeranno dalla “Banca europea degli investimenti”, che potrà aiutare lo sviluppo di beni a doppio uso, civile e militare.

 

A questo si aggiunge la possibilità per i Paesi membri di deviare dai piani di deficit pubblico per un ammontare annuo dell’1,5% del PIL (incluso l’eventuale prestito SAFE).

 La spesa dovrà essere dedicata agli investimenti in difesa, ha spiegato il commissario agli affari economici” Valdis Dombrovskis”.

 Verrà utilizzata una definizione di difesa relativamente ampia, che comprende anche la spesa in personale o la costruzione di fabbriche per la produzione di munizioni.

 

Ha precisato l’ex premier lettone, parlando ad alcuni giornali europei, tra cui Il Sole 24 Ore:

«Suggeriamo ai Paesi di adottare questa possibilità in modo coordinato, anche per evitare stigma».

Bruxelles si rende conto che la misura potrebbe creare nuove divergenze tra i Ventisette, tanto più che stima un possibile esborso totale di 650 miliardi di euro.

«Monitoreremo la spesa secondo le regole esistenti», ha aggiunto il commissario, notando che la possibilità dello sforamento sarà limitata a quattro anni.

 

A proposito di ulteriori opzioni di finanziamento, nel Libro Bianco si legge: «Se la domanda (…) di finanziamenti basati sui prestiti sostenuti dal bilancio europeo nell’ambito di SAFE dovesse essere superiore all’offerta, la Commissione continuerà a esplorare strumenti innovativi, ad esempio in relazione al Meccanismo europeo di stabilità». C’è di più: la Commissione europea, sempre secondo la relazione, «potrebbe anche agire come centrale d’acquisto per conto degli Stati membri».

Concludendo, e tralasciando per un attimo i dubbi sulla strategia del riarmo, il Libro Bianco identifica le carenze e suggerisce i percorsi per rafforzare la difesa europea.

 L’uso del programma SAFE prevede la presentazione di piani militari e un prefinanziamento pari al 15% del prestito.

Ma Bruxelles non interviene né sull’acquisto del tipo di materiale né tanto meno sulla pianificazione militare.

In questo senso, per ora, la nuova dottrina di difesa presentata ieri rimane monca.

 

 

 

“Essere pronti al peggio”: l’Ue approva

 il suo libro bianco per la difesa.

Eunews.it – Emanuele Bonini – (19 marzo 2025) – ci dice:

Il collegio dei commissari licenzia la versione definitiva del documento, accompagnato dalla comunicazione che chiarisce come usare il patto di stabilità per favorire il settore.

Bruxelles – L’impianto di base non cambia, così come invariate sono anche le soluzioni finanziarie.

Soprattutto, resta immutato il senso di urgenza ed “essere pronti al peggio”.

Il libro bianco per il futuro della difesa, nella sua versione definitiva che sarà discusso dai capi di Stato e di governo nell’Ue nel vertice di questa settimana (20-21 marzo) mantiene l’impianto originario e apre alla possibilità di lavorare assieme ai partner non Ue, il che si traduce nella possibilità di appalti congiunti con la Norvegia e più cooperazione con Regno Unito, Canada, Giappone, India e Corea del sud.

 

Ora si tratta di attuare, attuare e attuare, perché non fermeremo [il presidente russo] Putin leggendo questo libro bianco”, sottolinea il commissario per la Difesa, “Andrius Kubilius”, il quale tiene a sottolineare che “non si tratta solo di forza militare, ma della nostra prontezza, autonomia strategica e del futuro dell’Europa come attore globale “.

Però c’è una volontà di potenza mista a paura a guidare l’azione a dodici stelle.

 Si teme che la Russia di Putin “potrebbe testare la nostra capacità di risposta militare da qui a cinque anni”, ammettono in Commissione, ed è per questo che come Ue “dobbiamo ripristinare deterrente credibile”.

Il libro bianco per la difesa risponde a questo.

L’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, “Kaja Kallas”, invita ad attenersi al piano messo a punto dal collegio dei commissari perché, sottolinea, “dobbiamo essere preparati al peggio “, e perché “siamo sempre più forti insieme”, anche “nel difendere un mondo in cui la forza non fa il diritto”.

A proposito:

Kubilius e Kallas, lituano il primo ed estone la seconda, rappresentano Paesi Ue che annunciano l’intenzione – assieme a Lettonia e Polonia – di fare carta straccia del trattato che proibisce l’utilizzo di mine anti-uomo.

Sempre in nome della sicurezza e della difesa anti-russa.

È l’Ue dei valori non assoluti ma piegabili alle logiche dell’era storica. Del resto, come ripetuto dalla presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, l’Ue “deve prepararsi alla guerra”.

 Il libro bianco della difesa è inteso anche a questo.

L’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, e il commissario per la Difesa, Andrius Kubilius sono decisi.

Munizioni, droni, intelligenza artificiale: dove comprare.

Nel libro bianco sul futuro della difesa, che la Commissione presenta assieme alla versione consolidata del piano ‘RearmEU’, si conferma la lista delle carenze su cui lavorare con senso di urgenza e priorità.

Progetti comuni su cui si ravvede la necessità di lavorare includono sistemi di difesa aerea e missilistica, droni e sistemi anti-droni, sistemi avanzati di artiglieria (inclusi missili ad alta precisione e a lungo raggio), munizioni, sistemi informativi e intelligenza artificiale, capacità di combattimento terrestre, marittimo e aereo. E’ in tutto questo che gli Stati membri dovrebbero darsi da fare, con la Commissione che si offre per agire da cabina di regia.

 

Obiettivo industriale: comprare europeo.

In questo lavorio il principio di base è la “preferenza europea”, un modo per dire che bisogna puntare su produzione e acquisto di apparecchiature, prodotti e tecnologie ‘made in Ue’.

Un modo di fare che si dovrebbe basare su tre principi: cercare una soluzione europea; negoziare con produttori e fornitori europei riduzione di prezzi e tempi di consegna, “possibilmente con il sostegno Ue”; qualora una soluzione europea non fosse disponibile ai prezzi o alle tempistiche richiesti, gli Stati membri dovrebbero rivolgersi insieme a fornitori di Paesi terzi chiedendo pieno controllo del processo.

 

Sostegno Ue tramite bilancio comune e semplificazione normativa.

A livello finanziario il libro bianco della Commissione non contiene novità rispetto alle impostazioni manifestate fin qui. Resta fermo l‘impegno a fornire prestiti agli Stati membri per 150 miliardi di euro attraverso fondi da reperire sui mercati e garantiti dal bilancio dell’Unione europea.

 A questo si aggiungono otto miliardi per le attività di ricerca e sviluppo attraverso il Fondo europeo per la difesa, e i 300 milioni di euro messi a disposizioni dal programma” Edirpa” per gli appalti congiunti, con cui mobilitare fino a 11 miliardi di euro in investimenti aggiuntivi.

 

È solo l’inizio di un processo che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, intende portare avanti sin da subito.

Annuncia nel libro bianco l’intenzione di avviare “immediatamente” un dialogo strategico con l’industria del settore della difesa, e di produrre per il comparto una proposta di semplificazione normativa “entro giugno 2025” attraverso un nuovo pacchetto omnibus.

 Ancora, “azioni correttive appropriate” verranno prese per risolvere il problema della mobilità militare e rimuovere così “gli ostacoli allo spostamento di truppe ed equipaggiamento” che ancora permangono.

 

Conti pubblici, i limiti al patto di stabilità.

Resta ferma l’intenzione di sospendere per quattro anni il patto di stabilità interno, non il patto Ue, per permettere agli Stati membri di accrescere gli investimenti nel settore della difesa. La comunicazione in materia specifica non solo la durata massima, a partire dal 2025 e quindi ammissibile fino a tutto il 2028, ma anche quanta flessibilità viene data. Si prende come riferimento il 2021, anno in cui la spesa militare dei singoli Stati era più bassa degli ultimi anni. Da quel valore di riferimento a ogni Paesi membri verrà concesso di spendere fino all’1,5 per cento di Pil in più all’anno e sforare il tetto del 3 per cento nel tetto deficit/Pil senza che la Commissione proponga l’avvio per deficit eccessivo. Se si spende di più si applicheranno invece le regole senza alcuna eccezione. Ciò al fine di garantire che i disavanzi restino comunque sotto controllo e sostenibili.

 

La strategia dell’Ue “stimolerà anche la crescita economica, guiderà l’innovazione e creerà posti di lavoro, garantendo al contempo la sostenibilità fiscale”, evidenzia il commissario per l’Economia, Valdis Dombrovskis. Anche se, ammettono a Bruxelles, al momento non è possibile parlare di ritorni economici. “Non abbiamo stime sull’impatto di crescita dagli investimenti per la difesa”, ammettono fonti. Si può solo dire che “da ogni euro speso genereremo molti più euro”. Quanti, si capirà in seguito.

 

Integrazione industriale dell’Ucraina e sostegno militare.

Resta fermo l’obiettivo strategico per il futuro della difesa riguarda l’integrazione dell’Ucraina all’Ue dal punto di vista industriale. Viene sottolinea la necessità di fare entrare il Paese candidato nel mercato settoriale a dodici stelle, “favorire investimenti diretti nell’industria della difesa ucraina”, garantendo al contempo “accesso ai servizi satellitari”, a partire da quelli forniti da Isac, il centro di condivisione dati e informazioni.

 

Oltre a questi si rinnova l’invito a fornire sostegno militare immediato per le necessità di breve periodo. Qui si insiste sulla necessità di fornire difesa aerea (missili ad alta precisione e droni), e si corregge al rialzo l’impegno per la fornitura di proiettili di largo calibro nel corso del 2025, adesso fissato a due milioni di pezzi anziché 1,5 milioni. Inoltre, si insiste sulle missioni di addestramento delle forze armate ucraine.

 

Di questi e altri temi legati alla Difesa si parlerà il 15 aprile a Roma nell’evento della serie Connact “Difesa comune europea: finanziamenti e integrazione industriale “.

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