L’Ue continua con la propaganda bellica.

 

L’Ue continua con la propaganda bellica.

 

 

 

I fatti contro la propaganda di Trump:

per l’Ue è l’ultima chance prima della fine.

Infosannio.com – (24 febbraio 2025) – Massimo Cacciari – La stampa.it – ci dice:

 

Parlare di deportazione dei palestinesi è follia e l’Europa non ha speso il meritato ribrezzo.

Per la pace in Ucraina siamo al punto di partenza anche se è tragico pensare alle vittime della guerra.

Negli ultimi anni si è tanto parlato di “post-verità”, intendendo una forma di linguaggio e di comunicazione o del tutto indifferente a ogni interna coerenza, o interessata soltanto all’esito pratico, alla utilità delle proprie affermazioni.

Temo siamo passati all’epoca della pura e semplice “anti-verità”.

 Verità, naturalmente, è termine difficile da definire, tuttavia esso ha avuto sempre a che fare con la volontà di raggiungere e mantenere un qualche rapporto con la realtà, di mettere alla luce i caratteri essenziali di quest’ultima, oltre le apparenze che sempre tendono a occultarla.

Possono certo darsi ben più nobili significati di verità, ma quando viene meno ogni ragionevole rapporto tra parole e fatti, quando la parola serve soltanto a manipolare l’immaginazione delle persone, allora entriamo in un’epoca in cui il discorso politico (la discussione che ha luogo nella “città”, a tutti i suoi livelli) entra esplicitamente in guerra con la verità, così come, si direbbe, l’Anti-Cristo apocalittico con il Cristo.

Per tanti versi il discorso politico (nel senso generale che gli abbiamo attribuito) può trasformarsi in mortale nemico della verità.

 Ciò può avvenire per pura ignoranza quando seguiamo gli eventi a rimorchio della semplice cronaca e delle grandi ondate della storia si coglie soltanto il loro rovesciarsi sulla spiaggia.

Non conoscendone le cause, risulterà impossibile anche governarne gli sviluppi.

 Più pericolosa è l’”anti-verità” quando il nostro dover-essere, i nostri desideri o le nostre attese trasfigurano la dura legge dei fatti.

 È l’”anti-verità” che portano con sé, in grande, le ideologie, e, in sedicesimo, le frasi demagogiche, le retoriche populistiche.

 Infine – e questo temo sia il caso dell’”anti-verità” oggi dominante – può accadere il degrado del discorso a puro strumento propagandistico, che si ritiene tanto più efficace quanto più “libero” da ogni seria interpretazione della realtà.

È questa l’”anti-verità” che essendo cosciente di sé può certo risultare anche la più efficace.

 

Impostazioni sulla privacy.

Quando Trump dà del dittatore a Zelensky siamo nel campo dell’ignoranza mescolata all’esigenza di fornire la più rozza giustificazione a un cambio di rotta politica.

Tutti coloro che hanno seguito dall’interno la tragedia ucraina (ultimo “Cassieri” nel suo bellissimo libro Ucraina e Russia) sanno benissimo quanto poco dittatore sia Zelensky, quanto condizionato fin dal primo giorno della sua presidenza, quando espresse l’intenzione di riprendere il filo degli accordi di Minsk, dai settori estremisti del nazionalismo ucraino.

Trump appare poi un rappresentante insuperabile dell’”anti-verità” parlando di deportazioni in massa dei palestinesi e di un uso economicamente profittevole delle spiagge di Gaza – indecente follia, su cui non mi pare che i leader europei abbiano speso le parole di ribrezzo che avrebbe meritato.

Quando invece si tracciano paragoni privi di ogni senso storico, analoghi a quelli che pure grandi filosofi hanno arrischiato tra le conquiste romane e terzo Reich, tra le mire imperiali di Putin e quelle hitleriane, siamo nel campo della consapevole propaganda da tempo di guerra.

E come tale forse perdonabile.

Faremmo torto all’intelligenza nostra e di altri se pensassimo realmente che la Russia attuale, irrevocabilmente non più zarista né sovietica, abbia l’intenzione di sferrare micidiali attacchi all’Occidente.

 

A stento la Russia oggi è in grado di conservare il proprio interno assetto federale. La via obbligata, nel contesto di una visione multilaterale dei rapporti tra grandi potenze, è dalla caduta del Muro una soltanto:

 il riconoscimento delle esigenze di sicurezza della Russia contestualmente al pieno riconoscimento da parte di quest’ultima dell’assoluta sovranità di tutte le realtà statuali nate dal collasso dell’Unione Sovietica, e dunque del fatto che esse sono libere di entrare in tutte le alleanze politiche e militari che vogliono.

Sono principi che dovrebbero entrare in uno storico e definitivo “Trattato di pace”, quello che è mancato alla caduta del Muro.

 

I veri Trattati di pace che hanno segnato la storia sono opera di realismo politico, vengono scritti quando i tromboni della propaganda tacciono, quando la verità-realtà dei rapporti di forza viene alla luce e da tutti i contendenti riconosciuta.

Credo che dopo centinaia di migliaia di morti sia giunto questo momento.

 Senza scomodare le Yalta, senza assurdi paralleli tra quell’evento, i suoi protagonisti e l’epoca attuale.

Allora si affermava la vittoria indiscussa di due Titani sullo sfondo dell’inarrestabile decadenza del grande impero britannico, oggi dobbiamo pensare a un equilibrio assai più complesso, tra tanti e diversi grandi spazi politici.

A meno che qualcuno non decida per una strategia egemonica globale, che può portare solo alla nuova Grande Guerra.

Non illudiamoci che l’equilibrio così realizzabile possa essere esente da tensioni di ogni tipo, da competizione tecnologica e militare e da conflitti locali.

 Basterebbe si sapesse che l’avversario non è “annullabile” né può esser vinto per interposta persona.

 

Cerchiamo, se ancora possibile dopo tante cieche chiamate alle armi, quel poco di verità che sta nell’aderire ai fatti.

 I fatti dicono che dobbiamo tornare agli obbiettivi già presenti nelle trattative di Minsk, “sponsorizzate” prima dell’invasione da tanti leader europei, mentre la guerra civile nel Donbass era in corso.

Non riconoscere l’appartenenza della Crimea alla Federazione russa o è ancora chiacchiera propagandistica o significa rischiare, prima o poi, la guerra-Guerra.

Altrettanto mettere in dubbio anche di striscio la piena sovranità ucraina.

Per il Donbass l’unica soluzione possibile è il modello della Provincia autonoma nell’ambito dello Stato ucraino, in base alla necessaria modifica della costituzione ucraina e a un referendum controllato da autorità terze.

È tragico pensare ai morti e alle distruzioni che è costato tornare al punto di partenza, ma è così:

continuare il conflitto, non arrestarlo subito sarebbe doppiamente colpevole:

non solo moltiplicherebbe le sofferenze del popolo ucraino, ma porterebbe al rafforzamento del regime putiniano.

 

Prenderà la parola l’Europa?

 Dirà come stanno le cose ai suoi cittadini?

Siederà insieme all’Ucraina al tavolo di pace con proprie autonome e realistiche proposte?

Appronterà una propria forza di interdizione e pace nelle zone di guerra, appena giunti finalmente a un armistizio?

 Saprà farsi finalmente valere come un alleato “dotato di logos”?

O continuerà ad agire da mera provincia, subordinata a strategie e interessi della capitale?

Vorrà smentire Trump & Co. che la trattano ormai come un fossile della storia?

 Si profila davvero per l’Europa l’ultima chance prima della definitiva sepoltura a mercato e euro (ammesso che almeno questi possano resistere al crollo di ogni capacità politica).

 

 

 

 

UE: Prepararsi a Guerre, Pandemie

 e Crisi Climatica.

Conoscenzealconfine.it – (26 Marzo 2025) – imolaoggi.it – Redazione – ci dice:

UE: dotarsi di scorte di acqua, medicine, batterie e cibo per sopravvivere per 72 ore senza aiuti esterni.

L’Europa deve prepararsi a possibili guerre, attacchi informatici, pandemie e agli effetti devastanti della crisi climatica, avverte la Commissione europea.

In un panorama geopolitico in subbuglio e in una corsa al riarmo di fronte alla minaccia russa, al timore di rimanere senza l’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti e al crescente numero di disastri naturali, Bruxelles chiede a tutte le famiglie europee di dotarsi di scorte di acqua, medicine, batterie e cibo per sopravvivere per 72 ore senza aiuti esterni in caso di crisi.

 Questa è una delle linee guida della strategia di preparazione dell’UE, che l’esecutivo dell’UE presenterà oggi.

Il giornale spagnolo ‘El Paìs‘ ha visionato la bozza della Strategia di Preparazione dell’Unione, in cui si esorteranno i cittadini dell’Ue ad avere riserve di acqua, medicine, batterie e cibo per sopravvivere 72 ore.

Ma il reato di procurato allarme esiste ancora?

(imolaoggi.it/2025/03/25/ue-prepararsi-a-guerre-pandemie-e-crisi-climatica/).

 

 

 

 

 

No, la Russia Non Vuole

Invadere l’Europa.

Conoscenzealconfine.it – (26 Marzo 2025) - Diego Fusaro – ci dice:

 

La Russia non vuole aggredire l’Europa.

È piuttosto l’Europa che sta cercando in tutti i modi, peraltro assai goffamente, di provocare la Russia e di portarla a un conflitto che essa non vuole affatto.

Vi è un quesito che credo andrebbe seriamente e onestamente posto, nel tempo del cogito interrotto in cui tutti calcolano e pochissimi ancora pensano.

 Si tratta di un quesito fondamentale, che, da solo, fa volare in frantumi la narrazione europeisticamente corretta del riarmo necessario dell’Europa:

riarmo necessario dell’Europa che, lo ricordiamo, dovrebbe costare ben 800 miliardi di euro, larga parte dei quali potrebbero essere prelevati direttamente dalle tasche dei cittadini europei, secondo quanto hanno lasciato intendere nemmeno troppo obliquamente sia la vestale del neoliberismo cosmopolita, Ursula von der Leyen, sia l’unto dei mercati, l’euroinomane di Bruxelles, Mario Draghi.

 

Voglio così formulare la questione in maniera icastica:

 se davvero, come ripetono i vessilliferi del pensiero unico politicamente e bellicamente corretto, Vladimir Putin vuole invadere l’Europa, perché non l’ha già fatto e lascia anzi il tempo agli europei di riarmarsi fino ai denti?

 Non occorre un dottorato in scienze strategiche a Harvard per capire che sarebbe davvero un pessimo stratega quello che attendesse il riarmo integrale del suo nemico per avviare un attacco bellico già deciso.

La verità, che gli araldi del pensiero unico si guardano bene dal dire, è che la Russia di Putin non ha alcun interesse ad aggredire l’Europa:

e ciò per più ragioni, anche storiche, considerato il fatto che la Russia è sempre stata aggredita dagli europei (con pessimi risultati sempre per questi ultimi) senza mai averli a propria volta aggrediti.

Soprattutto la Russia ha un territorio immenso, ricchissimo di risorse e dunque non ha davvero alcun interesse a prendersi l’Europa, che oltretutto in questa fase storica appare simile a un malato da cui è bene tenersi il più possibile a distanza (perfino Washington, con Trump, si sta notevolmente distanziando dal vecchio continente).

Alla luce di quanto detto, ne segue che in realtà la Russia non vuole aggredire l’Europa, che invece sta cercando in tutti i modi, peraltro assai goffamente, di provocare la Russia e di portarla a un conflitto che essa non vuole affatto.

È chiaro che se l’Europa continuerà a provocare indegnamente la Russia, come sta facendo, mediante il supporto a oltranza a Kiev e al guitto Zelensky (l’attore Nato, nemico del suo popolo e della pace), la possibilità dello scontro reale non è da escludere:

ma deve essere chiaro che lo scontro, se ci sarà, sarà responsabilità esclusiva dell’Europa e delle sue scellerate politiche belliciste, quali si sono ridicolmente manifestate nella demenziale “Piazza per l’Europa”, in cui si intonava” bella ciao” e intanto si inneggiava al riarmo dell’Europa, chiamando orwellianamente pace la guerra.

(Diego Fusaro).

(filosofico.net/diegofusaro/no-la-russia-non-vuole-invadere-leuropa/).

 

 

 

 

 

Sterminio di Massa.

Conoscenzealconfine.it – (25 Marzo 2025) – Redazione – ci dice:

Nel silenzio assordante dei media, l’ONU ha pubblicato un rapporto che documenta, con prove, testimonianze e filmati, la brutalità della guerra di Israele a Gaza.

 49 pagine di orrore. 49 pagine di crimini. 49 pagine che raccontano l’indicibile.

E non è un rapporto qualunque.

È un atto d’accusa preciso, diretto, che utilizza parole che fino a pochi mesi fa sembravano impronunciabili: genocidio, sterminio, stupri di guerra, tortura, fame usata come arma.

49 pagine in cui la Commissione ONU arriva a scrivere, senza mezzi termini, che “le autorità israeliane hanno distrutto in parte la capacità riproduttiva dei palestinesi a Gaza come gruppo, anche imponendo misure volte a prevenire le nascite, una delle categorie di atti genocidi nello “Statuto di Roma” e nella “Convenzione sul genocidio”.

49 pagine in cui si ricostruiscono una per una, con prove, documenti e testimonianze, le atrocità commesse, tra cui:

– uccisione deliberata di civili. Si fa l’esempio, tra gli altri, di Hala Abd Al-Ati, una donna anziana, colpita e uccisa mentre cercava di evacuare con la sua famiglia.

In un video visionato e verificato dalla Commissione ONU, si vede Al-Ati che tiene per mano il suo giovane nipote, che sventola una bandiera bianca.

 Quando raggiungono un incrocio, si sente uno sparo e lei cade a terra, eliminata da un cecchino israeliano senza motivo;

– attacchi diretti e intenzionali alle strutture sanitarie che offrono servizi di salute sessuale, riproduttiva e neonatale;

distruzione del centro “IVF al-Basma, la più grande clinica di fertilità di Gaza, chiaramente contrassegnato con il nome della clinica;

– attacchi ripetuti all’Ospedale al-Awda, il principale fornitore di cure sanitarie riproduttive nel nord di Gaza, nonostante le autorità israeliane fossero stati avvisati da “Medici Senza Frontiere” che si trattava di un ospedale funzionante;

– distruzione di intere sezioni neonatali, lasciando i neonati prematuri senza incubatrici funzionanti;

sospensione del rilascio di permessi per cercare cure mediche fuori da Gaza, con la conseguenza che diversi pazienti sono morti a causa della mancanza di trattamenti adeguati per il cancro, compresi quello ginecologici (ovarico, cervicale e al seno);

– uso della fame come metodo di guerra;

– riprese e fotografie di atti di violenza sessuale contro uomini e ragazzi durante gli arresti, comprese nudità forzata, percosse ai genitali e umiliazioni pubbliche;

– stupri e minacce di violenza sessuale, spesso inflitti come forma di tortura o punizione.

Si fa l’esempio, tra gli altri, di un detenuto maschio violentato da membri dell’esercito israeliano con un oggetto metallico, con gravissime lesioni interne.

 Lo stupro è stato filmato tra le risate dei soldati;

– torture nei confronti dei detenuti uomini, sottoposti a percosse mirate agli organi genitali e a minacce di castrazione;

– mancanza di indagini efficaci e protezione implicita delle autorità israeliane nei confronti dei soldati israeliani colpevoli di crimini;

– sterminio di massa.

Eppure, di tutto questo, si parla a malapena. Il silenzio non è mai neutrale. Il silenzio è complicità.

(altrarealta.blogspot.com/2025/03/sterminio-di-massa.html).

 

 

 

 

 

DIFESA EUROPEA, QUANDO SI

COMINCIA CON LA CULTURA E

SI FINISCE CON LA PROPAGANDA.

Nuovogiornalenazionale.com - Achille Nobiloni – (23 Marzo 2025) – ci dice:

 

 Ora è senz'altro vero che "conoscere il passato aiuta a capire il presente e preparare l'avvenire" (Einaudi? Tucidide? Ma anche basta con i discorsi infarciti di citazioni!) però è pur vero che il mondo non è più quello di una volta e la velocità con cui è cambiato e continua a cambiare, così come la portata di tale cambiamento, sono tali da far sì che non si possa continuare giudicare tutto con gli occhi rivolti unicamente al passato.

Eppure tanto nell'invasione russa dell'Ucraina quanto nella polemica seguita alle dichiarazioni della presidente Meloni sul Manifesto di Ventotene, sono stati tantissimi quelli che si sono tuffati a piè pari nella retorica della "storia che si ripete" tanto che uno degli argomenti più ricorrenti in oltre tre anni di dibattito è stato "l'accordo di Monaco del 1938!"

E, esempio questo recentissimo, le infelici dichiarazioni di Meloni sul Manifesto di Ventotene, che sono state ingigantite da centinaia di repliche tutte indignate in parlamento, in televisione, sui social, sui giornali (il Corriere della Sera ha dedicato loro addirittura le prime cinque pagine nell'edizione di giovedì 20) e tutte rivolte al passato trascurando il presente (l'Europa di oggi) e il futuro (l'Europa che vorremmo).

 

 Il Manifesto di Ventotene.

 Sarebbe stato forse sufficiente replicare in modo unitario e sintetico che ciò che era innovativo ed è importante in quel documento è l'idea di "una Europa libera e unita" mentre alcune affermazioni circa le modalità per il raggiungimento quell'obiettivo risentono ovviamente della situazione di allora:

mentre l'Europa era divisa dall'inizio della seconda guerra mondiale larga parte degli italiani, se non addirittura la maggioranza, era ancora favorevole al fascismo, regime dittatoriale che imponeva censura e repressione, e gli autori stessi di quel documento erano detenuti in un carcere di sicurezza e quindi estrapolare dal loro testo alcune frasi facendole oggi apparire ambigue è stato niente altro che una strumentalizzazione politica per distrarre l'opinione pubblica italiana ed estera dalle ambasce del governo in vista del Consiglio europeo e magari offrirgli anche un mezzo alibi per l'occasione.

Sbaglierò di certo ma ho l'impressione che a Meloni la manovra sia riuscita benissimo:

i suoi oppositori, anziché limitarsi a parlare della sostanza e del contesto storico in cui è nato il Manifesto, sono caduti nella trappola e sull'assunto che fatalmente "la storia si ripete" hanno dato vita a un polverone di botta e risposte sul fascismo e l'antifascismo che a conti fatti rischia di aver paradossalmente portato a Meloni più consenso di quanto volessero togliergliene.

In quanto al Manifesto di Ventotene in sé ho il timore che la radicalizzazione di questo scontro non gli abbia giovato affatto e chi prima lo conosceva solo di nome oggi possa guardarlo con lo stesso atteggiamento di chi dice: "Io non sono razzista ma...".

 

 L'invasione dell'Ucraina.

 

E che dire dell'invasione dell'Ucraina con tutto quel che è accaduto prima ("dati, causa e pretesto"... ops: citazione), quel che c'è ora (prevedibile e previsto fin dall'inizio) e quel che potrà avvenire un domani (in Ucraina e in tutta Europa a seconda delle scelte importanti sul futuro del mondo)?

Ripartiamo sempre dall'accordo di Monaco del 1938?

Ma lo vogliamo dire che:

● quell'accordo risale ormai a 87 anni fa; dopo di esso il mondo è cambiato profondamente e non è più quello quello di allora;

● quell'accordo fu firmato uno/due anni prima della seconda guerra mondiale che (sempre la seconda guerra mondiale) qualche cosetta avrà pur insegnato a tutti;

● quando fu firmato l'accordo in questione la bomba atomica ancora non era stata inventata, l'assetto geopolitico del mondo era assai diverso e le guerre si combattevano in tutt'altro modo rispetto a oggi;

● con la seconda guerra mondiale assetti e rapporti di forza sono totalmente cambiati;

● dopo la seconda guerra mondiale abbiamo avuto oltre quarant’anni di guerra fredda basata sulla deterrenza militare (o meglio... nucleare) verso la quale sarebbe totalmente folle tornare e invece è proprio quello che in molti vogliono fare;

● oggi le guerre (quelle dalle quali l'Umanità possa ancora sperare di uscire viva) non si combattono più con la forza delle armi tradizionali ma con quella della ricerca, delle innovazioni tecnologiche, degli accordi industriali e commerciali e tuttalpiù con l'intelligence, i satelliti, lo spionaggio o ancor più semplicemente bucando un gasdotto in mezzo al mare.

 

Lo vogliamo dire che a rigor di logica il “Manifesto di Ventotene” "per un'Europa libera e unita" su cui ci si sta accapigliando da due/tre giorni come tifosi a una partita di calcio dovrebbe considerarsi superato ed essere sostituito da un Manifesto "per un Mondo globale di collaborazione e pacifica convivenza" e invece i più colti di noi, quelli che hanno studiato tanto e letto tanti libri e con la foga di non dimenticarne alcuno corrono magari il rischio di perdere di vista l'attualità, stando con gli occhi sempre puntati sul passato, magari proprio su Monaco 1938, bramano il ripristino di una bella e duratura guerra fredda nuovamente basata sulla deterrenza militare all'interno della quale condurre non so bene quale tipo di vita rinchiusi nelle rispettive zone d'influenza sempre col dito sul grilletto?

Certamente pensare a un futuro di pace mondiale è pura immaginazione ma come diceva “Enrico Mattei” (non uno storico ma un uomo lungimirante e pratico... e per questo mi permetto di indulgere ancora in una citazione): "Il futuro appartiene a chi lo sa immaginare".

Se però tutto quel che oggi ci riesce di immaginare è una pace armata basata sulla deterrenza militare il futuro che ci aspetta (nel mio caso quello che aspetta i miei figli) è un futuro che certamente non mi piace!

A me già non piace il presente, in cui se provi a fare di questi discorsi: vieni trattato con sussiego, ti si dice che dovresti prenderti la briga di leggere qualche buon libro di storia o che il riarmo ci serve perché abbiamo i sommergibili russi fin quasi davanti al delta del Po, figurarsi quanto mi possa piacere un futuro a guardarsi in cagnesco dietro chissà quale nuova cortina, di ferro o d'acciaio che sia.

Tra l'altro, che io sappia, i sommergibili non sono mezzi da sbarco ma oggi come oggi trasportano missili equipaggiati con testate nucleari e contro quelle temo che sia l'Italia sia la UE possano assai poco... anche se la von der Leyen decidesse di vestirsi in mimetica e maglietta verde come Zelensky e le venisse garantito un terzo mandato!

A due anni di distanza, l'UE

continua a restare saldamente

al fianco dell'Ucraina.

Commission.europea.eu – (23-2-2024) – Direzione generale della commissione – ci dkce:

 

Il 24 febbraio 2022, le forze russe hanno dato inizio a un'invasione su vasta scala dell'Ucraina.

Di fronte a questa aggressione non provocata e ingiustificata, l'UE ha sempre sostenuto con fermezza l'Ucraina.

Negli ultimi due anni l'UE ha guidato gli sforzi internazionali volti a sostenere l'Ucraina nel breve e lungo termine e a chiamare la Russia a rispondere dei suoi crimini.

 Per aiutare l'Ucraina abbiamo:

fornito sostegno per un valore di oltre 88 miliardi di euro.

Questa cifra comprende circa 28 miliardi di euro per far fronte alle esigenze militari e di difesa sul campo.

Avviato un nuovo meccanismo di sostegno che fornirà fino a 50 miliardi di euro in prestiti e sovvenzioni, per aiutare a ricostruire il paese dopo la guerra e a realizzare riforme nel suo cammino verso l'adesione all'UE.

Dato il via libera all'avvio dei negoziati per l'adesione dell'Ucraina all'UE.

Applicato numerose sanzioni di ampia portata contro la Russia e i suoi sostenitori, compreso il 13° pacchetto, adottato il 23 febbraio 2024.

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen si è recata a Kiev il giorno dell'anniversario dell'inizio della guerra per rendere omaggio alla resistenza dell'Ucraina, che è un faro di speranza per chiunque ami la libertà, ovunque nel mondo.

Ha ricordato il fermo impegno dell'Europa a sostenere l'Ucraina per tutto il tempo necessario.

Ha reso omaggio agli ucraini che lottano per la sicurezza dell'intero continente. "Ecco perché tutta l'Unione europea vi sostiene.

Più che mai siamo fermamente al fianco dell'Ucraina, offrendo sostegno finanziario, economico, militare e soprattutto morale, fino a quando il vostro paese non sarà finalmente libero", ha dichiarato.

A Kiev, la presidente von der Leyen ha annunciato l'apertura di un nuovo ufficio per l'innovazione nel settore della difesa con l'obiettivo di intensificare e migliorare la cooperazione in materia di sicurezza tra l'UE e l'Ucraina.

Ha inoltre consegnato alle autorità nazionali ucraine 50 automobili fornite dall'UE che aiuteranno a svolgere le indagini e a perseguire i crimini di guerra nei territori sottratti all'occupazione e nelle zone adiacenti.

 

 

 

È stata l’Ue. Cosa dice la

disinfo di Putin sull’Ucraina.

 Formiche.net - Gabriele Carrer – (30-1-2025) – ci dice:

 

Ancora una volta il Cremlino cerca di diffondere narrazioni sulla pace per seminare divisioni nell’Occidente sulla presunta faglia “guerrafondai contro pacifisti”.

 Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha dato nuovo slancio. Cosa dice il report di “EUvsDisinfo”.

 

Con il terzo anno di invasione russa dell’Ucraina alle porte e il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il tema della pace è tornato al centro del dibattito internazionale.

Ed è tornato il concetto russo di “pace”, che suona come una resa ucraina.

 “EUvsDisinfo”, progetto della “Task Force East StratCom “del Servizio europeo per l’azione esterna, ha analizzato l’evoluzione delle campagne di disinformazione del Cremlino, che sfruttano proprio questo concetto di “pace” per sostenere gli obiettivi geopolitici russi in Ucraina e oltre.

 

Un’evoluzione costante della narrazione.

L’approccio del Cremlino alla pace si è trasformato nel corso della guerra.

Nei primi giorni dell’invasione, il concetto di pace era del tutto assente:

il tono era quello del trionfalismo.

Tuttavia, di fronte alla resistenza ucraina, Mosca ha iniziato a parlare di pace mentre continuava a bombardare i civili, ricorda l’analisi.

 Ben presto, però, il Cremlino ha elaborato le proprie “proposte di pace”, semplici operazioni di propaganda volte a mascherare le reali ambizioni imperialiste della Russia.

 Con il proseguire del conflitto, la strategia si è raffinata:

la guerra contro l’Ucraina è stata presentata come una lotta contro l’egemonia occidentale, un passo necessario per costruire un “nuovo ordine mondiale multipolare”.

Ma c’era un ostacolo a questa narrazione: l’Ucraina e i suoi alleati stavano già lavorando per una pace giusta e duratura, costruendo una rete di sostegno globale.

Di conseguenza, il Cremlino ha iniziato a screditare ogni iniziativa non basata sui suoi diktat imperialisti, presentando l’Occidente come un ostacolo alla pace.

 

Putin, il “negoziatore ragionevole.”

 

Oggi, con Trump tornato alla Casa Bianca, la pace è tornata un tema caldo per la propaganda russa.

Mosca cerca di dipingere il leader Vladimir Putin come un leader costruttivo e aperto al dialogo, un “bravo ragazzo” che chiede solo il riconoscimento delle “realtà attuali”.

In questo contesto, Putin ha persino cercato di adulare Trump, affermando che la guerra non sarebbe mai iniziata se l’ex presidente fosse stato rieletto nel 2020.

Tuttavia, questa affermazione appare quantomeno contraddittoria:

 il leader del Cremlino, noto per i suoi attacchi all’Occidente, avrebbe davvero delegato la politica estera russa a Washington?

Un’uscita poco credibile, scrivono gli analisti di “EUvsDisinfo”.

Tuttavia, nonostante queste ambiguità, la propaganda russa ha rapidamente modulato il tono, cercando di presentare la possibilità di un rapido negoziato con l’amministrazione Trump come una strada per porre fine alla guerra.

 

Delegittimare gli avversari.

 

Un altro elemento chiave della strategia del Cremlino è la sistematica delegittimazione degli interlocutori ucraini.

Mosca continua a dipingere il governo di Kyiv come un “regime nazista e terrorista” con cui è impossibile negoziare.

Il presidente Volodymyr Zelensky è da tempo il principale bersaglio di questa campagna di disinformazione:

 il Cremlino cerca di far passare l’idea che non sia il legittimo leader dell’Ucraina e che non abbia alcun ruolo nei futuri negoziati di pace.

Ma non è solo il governo ucraino a finire nel mirino: l’Unione europea stessa è sempre più nel mirino dalla propaganda russa, accusata di essere il principale ostacolo alla pace.

Se in passato il Cremlino parlava genericamente di un “Occidente collettivo” ostile, oggi l’Unione europea viene citata sempre più spesso come un nemico concreto della pacificazione, insieme alla Nato.

 

Dividere il fronte occidentale.

L’obiettivo principale di questa manipolazione è spezzare il sostegno internazionale all’Ucraina, creando divisioni tra gli alleati.

 Mosca punta a minare l’unità tra Unione europea e Stati Uniti, ma anche a seminare discordia tra gli Stati membri dell’Unione e all’interno delle singole nazioni, alimentando la contrapposizione tra “guerrafondai” e “pacifisti”.

Per fare ciò, i media filorussi dedicano innumerevoli ore a diffondere narrazioni su un’Europa indebolita, incapace di sostenere la pace e irrilevante per gli interessi americani.

Ma questa strategia rivela in realtà le debolezze stesse della Russia, osservano gli esperti:

il Cremlino, consapevole dei propri limiti, proietta le sue fragilità sugli avversari. Molte voci chiedono la pace, ma il Cremlino cerca di distorcerne il significato per rafforzare la sua posizione.

La strategia russa mira a creare condizioni negoziali che consolidino le conquiste territoriali ottenute con la forza, sancendo l’espansione imperiale di Mosca.

Le “realtà attuali”, per usare le parole di Putin, significano in realtà la sottomissione di milioni di ucraini a un regime di occupazione repressivo e autoritario.

Di fronte a questa prospettiva, è fondamentale non lasciarsi ingannare dalla propaganda russa e continuare a sostenere una pace giusta e duratura, che garantisca la libertà e l’indipendenza dell’Ucraina, avvertono in conclusioni gli analisti di “EUvsDisinfo”.

 

 

 

 

Commissione Ue: Von der Leyen,

“se l’Europa vuole evitare la guerra,

deve prepararsi alla guerra.”

 Agensir.it – (18 Marzo 2025) – Redazione – ci dice:

Discorso alla Royal Danish Military Academy.

Commissione Ue: Von der Leyen, fondi per industria bellica e riarmo.

 “La libertà non è un processo, è una lotta costante”

Un lungo discorso della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, alla Royal Danish Military Academy a Copenaghen, è stata oggi l’occasione per parlare di sicurezza e di difesa europea e per spiegare che “se l’Europa vuole evitare la guerra, deve prepararsi alla guerra”.

Proprio la Danimarca, infatti, è profondamente consapevole in tema di minacce, una delle quali è “la competizione per l’influenza nella regione artica, inclusa la Groenlandia”.

Rivolgendosi ai cittadini dell’isola e della Danimarca ha dichiarato: “L’Europa difenderà sempre la sovranità e l’integrità territoriale” e ha definito “vera leadership” la decisione del governo danese di aumentare la spesa per la difesa al 3% del Pil nei prossimi due anni.

Von der Leyen ha quindi spostato il discorso sul tema del “dividendo di pace”, secondo cui l’andamento della spesa per la difesa cresce in tempi di conflitto e cala in contesti di relativa pace:

 “Ciò ha portato a investimenti insufficienti nella difesa e, francamente, a un’eccessiva compiacenza”, ha sintetizzato Von der Leyen, con avversari che si sono nel frattempo ri-mobilitati e hanno sfidato “le regole che governano la sicurezza globale”.

Così oggi è tempo di porre fine al dividendo di pace perché “l’era delle sfere di influenza e della competizione di potere è tornata”.

E la Russia, determinata “a negare ad altri Paesi il diritto di scegliere la propria strada”, ora sta creando un’economia di guerra, con il 40% del bilancio federale, pari al 9% del Pil, per la difesa, per alimentare la guerra di aggressione in Ucraina, ma anche per prepararsi “al futuro confronto con le democrazie europee”.

 

 

Senza guerra la UE

perde ogni speranza.

 Contropiano.org - Dante Barontini – (14-2-2025) – ci dice:

 

Le trattative per arrivare alla pace in Ucraina non sono ancora iniziate e difficilmente lo saranno prima di qualche mese.

Ma si sa già chi esce triturato e annullato da questa eventualità:

 l’Unione Europea come istituzione e l’arco “liberal-democratico” come fronte politico.

Basta ascoltare i balbettii dei pochi “commissari europei” che si avventurano a fare dichiarazioni – mentre Ursula von der Leyen si è inabissata come Giorgia Meloni nei giorni del “caso Paragon” – per capire la portata dello shock subito.

Non è facile per nessuno stare tre anni in guerra (anche se soltanto sul piano finanziario e delle forniture di armi) e svegliarsi una mattina in un altro scenario che rende inutile – anzi stupidamente suicida – tutto quel che hai fatto.

Ma nel caso dei liberaldemocratici “europeisti” c’è pure l’aggravante del rifiuto della realtà.

Sia quella “nuova”, che pure era ampiamente prevedibile dopo le elezioni statunitensi di novembre, sia quella precedente, in cui la propaganda bellicista oscurava persino la comprensione piena di quanto avveniva – e a maggior ragione avviene ora – sul campo di battaglia.

Citeremo solo scampoli memorabili come “Putin ha il cancro ed è moribondo”, “i russi hanno finito le munizioni e combattono con le pale”, “non hanno più neanche i calzini”, “la controffensiva di primavera” e amenità del genere.

Comprensibile che la propaganda di guerra sia prodotta, meno spiegabile che i dirigenti europei abbiano creduto alle loro stesse menzogne.

Lo stato comatoso di questo schieramento è ben riassunto da “Raphaël Glucksmann”, eurodeputato francese teoricamente “socialista”, tra quelli che hanno salvato il governo “Bayrou£ dalla mozione di sfiducia presentata da La “France Insoumise”, intervistato oggi dalla testata capofila dei “disperati” in Italia: il Corriere della Sera.

«Per l’Ucraina e per l’Occidente è una catastrofe, perché a Trump interessano solo le terre rare dell’Ucraina ed è pronto a cedere alle richieste di Putin.

A Monaco il vicepresidente americano Vance incontrerà Zelensky, ma i giochi sono già fatti.

 La conferenza di Monaco ha la forza del simbolo: una resa, come nel 1938.

È la fine dell’Occidente per come lo conosciamo».

Neanche uno dei luoghi comuni della vecchia propaganda viene evitato da questo povero rimbambito ancor giovane:

 «Putin è incoraggiato ad andare avanti. […] Putin metterà alla prova direttamente le nostre difese nei prossimi anni».

 

Insomma, il vecchio “vuole arrivare fino a Lisbona” nonostante lo stesso Glucksmann confermi, subito dopo, l’altra vecchia bufala secondo cui «Putin non ha vinto sul campo di battaglia, nonostante le zone occupate e i pochi chilometri rosicchiati mese dopo mese. Da un punto di vista militare la situazione è ancora aperta».

Neanche si accorge di dire due cose opposte (“non sta vincendo neanche contro la sola Ucraina”, quindi è debolissimo, e “ci travolgerà tutti” perché è fortissimo).

Il tutto per arrivare al vero punto strategico: «se non facciamo qualcosa, non si fermerà».

E quel “qualcosa” è per un verso aumentare le spese militari, per l’altra spedire più armi a Kiev (ignorando il dato di fatto, ammesso anche dai capi dell’esercito, che a questo punto l’Ucraina è a corto soprattutto di uomini) perché la guerra continui come prima, anche senza contributo statunitense.

Tanta disperata spinta a “fare qualcosa” ha comunque una spiegazione:

i ventisette paesi della UE sono già ora molto divisi sulla guerra.

 Da una parte ci sono i neonazisti pazzi come i baltici e la Polonia (“che si stanno già preparando a una nuova guerra, sul suolo dell’Unione europea“), dalla parte opposta chi non può fare a meno del gas russo e quindi sta tirando un sospiro di sollievo (Slovacchia e Ungheria, peraltro con due governi politicamente opposti).

E in mezzo i paesi più importanti economicamente (Francia, Germania, Italia) che non sanno più cosa fare (ma per Glucksmann “non hanno fatto abbastanza” nel sostenere Kiev).

Un continente diviso, che già quando era formalmente “unito” veniva usato dagli Usa di Biden come scendiletto politico e hub logistico per gli aiuti all’Ucraina, nella nuova situazione non conta più assolutamente nulla.

Lo si è visto con l’ironica risposta di Peskov, portavoce di Putin, a chi gli chiedeva se la UE sarebbe stata coinvolta nelle trattative (“chiedete agli Stati Uniti”).

E ancora più nella sprezzante ma puntuale nota di “Anna Zakharova”, portavoce del ministro degli esteri “Lavrov”, in cui ricorda l’idiozia e la malafede dei principali leader europei ai tempi degli “accordi di Minsk” e che va riportata quasi per intero.

«Vorrei ricordarvi che sono stati i leader dell’UE – la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande – a dichiarare apertamente, non molto tempo fa, di non avere alcuna intenzione di attuare gli accordi di Minsk, sebbene in precedenza avessero assicurato al mondo il contrario.

Ora la loro posizione ufficiale è che gli accordi di Minsk erano un tentativo di riarmare Kiev e “darle tempo”.

In altre parole, hanno finto di lavorare in buona fede con l’Ucraina, ma in realtà erano impegnati in una pantomima maligna.

Il problema non è solo che hanno mentito, ormai tutti ci si sono abituati.

 Il problema è che hanno tradito gli interessi dell’Europa, e questo tradimento è una delle ragioni della tragedia.

Gli accordi di Minsk sono entrati a far parte del sistema di diritto internazionale grazie alla loro approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

 Ciò significa che erano soggetti a un’applicazione obbligatoria.

 

Sia Hollande che Merkel e, naturalmente, la leadership italiana, lo sapevano perfettamente allora e se ne rendono conto oggi.

Violando il diritto internazionale, cosa che ora ammettono apertamente, i cittadini dell’UE sono diventati complici principali della catastrofe che si è verificata in Ucraina e, come risultato delle loro azioni, hanno ottenuto un conflitto armato nel continente europeo.

Se le norme di Minsk fossero state rispettate, avrebbero salvato l’Ucraina e allo stesso tempo avrebbero alleviato l’attuale situazione poco invidiabile dei cittadini dell’UE, il cui benessere è stato significativamente ridotto a causa delle azioni errate e talvolta semplicemente criminali dei loro leader.»

Errori gravi di valutazione e inesistente credibilità politica, insomma, da parte dell’”Europa”.

 Nelle relazioni internazionali sono due cose che si pagano molto care, in genere.

Ma è inutile pretendere dai liberal-democratici, e dai loro media di riferimento, anche soltanto un briciolo di riflessione, ripensamento o – dio non voglia – “autocritica”.

Questi invasati senza più un progetto strategico (anche se molto malpensato, come abbiamo visto) non sano far altro che insistere.

Ma proprio insistendo su un obiettivo ormai impossibile – la “vittoria ucraina” e la disgregazione della Russia – preparano la propria disgregazione politica, peraltro apertamente perseguita anche da Trump a colpi di dazi.

 

Disgregazione che si sommerà in breve tempo al disastro economico (le sanzioni unilaterali hanno penalizzato quasi soltanto le aziende europee mentre la Russia ha trovato molti altri clienti per gas e petrolio), al costo abnorme delle forniture energetiche “alternative” a Mosca e quindi alla sofferenza sociale interna che – malauguratamente e per colpa degli stessi “liberaldemocratici” – va rivolgendosi all’estrema destra.

 

La via d’uscita “a sinistra” è naturalmente una pur complicata ripresa della conflittualità sociale supportata da una “visione del mondo” che mai come in questo momento offre la possibilità reale di abbandonare il cadente convoglio imperialista occidentale e trovare vie diverse per lo sviluppo.

Sia economico che, soprattutto, sociale.

 

 

 

Comunismo = Nazismo?

È pura propaganda Ue.

 

Infosannio.com – (9 febbraio 2025) – infosannio - Elena Basile – ilfattoquotidiano.it- ci dice:

Nel dibattito pubblico relativo alla politica internazionale regna la confusione, come se la logica avesse abbandonato il mondo e il linguaggio divenisse sempre più bivalente nell’accezione […]

 

Nel dibattito pubblico relativo alla politica internazionale regna la confusione, come se la logica avesse abbandonato il mondo e il linguaggio divenisse sempre più bivalente nell’accezione orwelliana.

Il principio di non contraddizione aristotelico è stato cancellato.

 Le posizioni politiche affermano A e il contrario di A.

 Gli esempi sono molteplici.

 Il Parlamento Ue, che non è un organo legislativo, obbedendo alle direttive di un esecutivo miope e asservito alle oligarchie, equipara i simboli nazisti alla falce e martello comunista.

Nella ricostruzione storica è sbagliato, come “Luciano Canfora” ci dimostra, mettere sullo stesso piano Hitler e Stalin, ma possiamo comprendere che i campi di concentramento nazisti siano simili nella violenza totalitaria ai gulag.

 Risulta tuttavia inquietante che non si faccia la differenza tra una ideologia nazista e razzista, basata sul disprezzo del debole e del malato, prona a giustificare il predominio di una “razza”, e il sogno comunista di un mondo senza classi e ingiustizie sociali.

Da un lato un mondo distopico e aberrante, dall’altro una utopia di stampo evangelico.

Non si nega che le due ideologie avevano in comune la mancanza della protezione dei diritti individuali, né si dimentica che le loro realizzazioni sono state una sconfitta per la storia democratica dell’umanità.

Il concreto agire si allontana sempre dai suoi archetipi:

 la Chiesa dai suoi precetti, gli Stati dalle Costituzioni.

Rimane inquietante che si sia voluto sporcare un simbolo – falce e martello – di lotta e liberazione degli oppressi, senza comprenderne il legame con le speranze umanistiche e assimilarlo all’infame nazismo, alla deviazione perversa del pensiero.

Le manifestazioni per una Palestina libera continuano a essere considerate “antisemitismo” dalla maggior parte della stampa.

 Esponenti della comunità ebraica rispolverano un vittimismo che apparirebbe un tantino anacronistico, soprattutto in relazione allo sterminio dei palestinesi, all’inferno calato su Gaza, all’esodo di 300 mila paria, uomini, donne, anziani, bambini, che marciano verso le loro case per trovare solo detriti.

Trump, incarnazione del fascismo postmoderno, non comprende come mai questi “matti” ritornino alle loro case e richiamino il diritto alla loro terra.

Basta costruire casette popolari, in un imprecisato altrove, per questo popolo miserabile e dimenticheranno Gaza, una striscia di terra col buon clima, davanti al mare e ai giacimenti di gas, che diverrà un’opportunità per le agenzie immobiliari statunitensi e israeliane.

 La pietas è scomparsa.

 Politica e media pagano il loro tributo alla lobby di Israele:

la cultura umanistica, una delle maggiori conquiste della civiltà occidentale, è cancellata.

Considerare il ripudio delle posizioni di alcune comunità ebraiche a difesa delle stragi dei palestinesi come “rigurgito antisemita” falsifica la realtà e la storia.

L’antisemitismo è odio per gli ebrei per quello che sono: religione, abitudini, tratti somatici, non per quello che fanno.

 È lecito per un ebreo odiare un nazista?

Sarà lecito per chi difende oggi le vittime provare sentimenti di ostilità nei confronti di chi (anche ebreo) sostiene i carnefici e non prende le dovute distanze dal massacro in corso.

Bisogna comprendere che gli ebrei di oggi sono i palestinesi.

Infine la peggiore ambiguità si riscontra in relazione all’Ue.

Coloro che hanno affossato il sogno europeo, tradendo gli ideali di pace e prosperità, difendendo un ordo-liberismo che ha divorato le ragioni del lavoro e ha acuito le asimmetrie tra Nord e Sud, sostenendo il mercato, l’unione monetaria ma non fiscale né politica o federale, oggi tornano alla ribalta, parlandoci di sovranazionalità e debito comune per una fantomatica difesa Ue, che non potrebbe non essere schiava di interessi geopolitici statunitensi, non europei, come la guerra in Ucraina ha dimostrato.

 

Elly Schlein afferma che per vincere il Pd dovrebbe puntare su una Europa sociale e con maggiori elementi di integrazione.

 Voto a maggioranza e difesa comune.

Nessuno le ha spiegato che nei trattati di Maastricht sono stati incorporati i principi del neoliberismo che afferma di voler combattere?

 In un’Europa scandinava, baltica e polacca, il voto a maggioranza faciliterebbe decisioni economiche a vantaggio delle oligarchie finanziarie e della costruzione con la difesa europea del braccio armato della Nato smantellando lo stato sociale.

La confusione purtroppo impera anche nell’area del dissenso in quanto la giusta critica all’Europa liberista e falsamente liberale odierna si trasforma in un anelito reazionario che mette da parte l’intero sogno europeo, il tentativo di superare le grette ottiche nazionalistiche in nome di un interesse generale, di un bene comune dei cittadini europei che condividono un destino comune.

 

 

 

I politici che non sanno

 che fare con la guerra.

 Infosannio.com – (27 marzo 2025)  -infosannio - Torquato Cardilli – ilfattoquotidiano.it – ci dice:

 

Nella storia dell’uomo si sono sempre contrapposte due figure professionali candidate alla guida del paese: il politico, abituato alla diplomazia e il militare, abituato alla guerra.

 L’azione dell’uno iniziava quando falliva quella dell’altro e viceversa.

 Spesso le due figure si sono sovrapposte nella stessa persona dotata di prudenza mista ad audacia, di saggezza mista a eroismo, di visione strategica mista a consapevolezza del pro e del contro di ogni decisione.

 

Figure come Washington, Napoleone, Eisenhower, De Gaulle, Rabin, Sadat hanno saputo cumulare all’esperienza militare quella politica, dimostrando che un militare può vestire con successo i panni del politico, mentre ogni tentativo di un politico di improvvisarsi stratega militare è stato votato alla catastrofe.

Ad esempio Hitler e Mussolini hanno giocato alla guerra con estremo cinismo, senza valutare le sofferenze che le loro sconsiderate decisioni di aggressione militare arrecavano.

Ogni guerra nasce dal desiderio di conseguire la vittoria nel farsi giustizia da sé per vendicare un torto subito o per conquiste o anche per prevenire attacchi nemici, ma quando l’esecuzione dell’estrema decisione politica non viene gestita da un militare professionista, che si muove solo sul piano della razionalità, della valutazione obiettiva delle forze, l’insuccesso è garantito.

Lo scopo del Comandante è quello di limitare le perdite e salvare la vita dei propri uomini, quello del politico è di appagare il proprio ego.

Stiamo assistendo da tre anni al susseguirsi di tragici errori politici con disastrose conseguenze, lo sterminio di soldati e di popolazioni civili in Ucraina (per non parlare dei massacri di Gaza).

Valenti generali del Pentagono, della Nato e del nostro Stato Maggiore hanno ritenuto che la guerra in Ucraina contro la Russia non potesse essere vinta solo sulla base della dichiarazione di volontà dei vari politici che sognano di ridurre la Russia in ginocchio.

Sono stati avvertiti in più di un’occasione, ma la politica, obnubilata dal desiderio di vincere a tutti i costi, per nascondere i fallimenti interni in tema economico e sociale, non ha voluto ascoltare, condannando decine di migliaia di soldati a morire, e il popolo a soffrire distruzioni, restrizioni, aumento di costi energetici e diminuzione dei servizi.

 I governanti europei si sono mostrati insensibili alla lettura dei bollettini della guerra.

Le informazioni che hanno voluto fossero diffuse, tutte improntate ad un ipocrita ottimismo, erano tese a nascondere ai loro popoli la verità per non ammettere di aver preso decisioni sbagliate.

 Non hanno avuto pietà per le migliaia di feriti e mutilati, per la generazione di piccoli resi prematuramente orfani, per il tracollo di ogni attività economica, industriale, finanziaria con riduzione allo stato di età della pietra dei pochi abitanti rimasti nell’area di guerra.

Si sono comportati da incoscienti:

rifiutando ogni tentativo diplomatico e, mentendo alla propria opinione pubblica, hanno continuato a insistere nell’inviare nuove armi super tecnologiche che allontanano la pace, accrescono il numero di morti e distruzioni, e ingrassano i fabbricanti di armi, mentre gli industriali famelici già si preparano, come avvoltoi, con missioni ricognitive a prenotarsi per la spartizione della ricca torta della ricostruzione.

La magnitudine delle spese militari è pari solo al cinismo dei governanti che preferiscono ridurre le provvidenze per i propri cittadini.

 La presidente della Ue, con la colpevole acquiescenza dei 27 governi, salvo l’Ungheria, ha approvato uno stanziamento di 800 miliardi di euro che finiranno inesorabilmente nei bilanci dell’industria bellica americana, francese, inglese e, quel che è ancor peggio, tedesca.

Quegli stessi politici di oggi incantano i loro popoli con il mantra di volere la pace facendo la guerra, ma non fanno nulla per raggiungerla.

 Dovrebbero, come ben sanno i generali, assaporare la misera condizione dei soldati al gelo, le privazioni, il terrore delle bombe dei missili, l’assenza di cibo e di acqua, la mancanza di un riparo e di un giaciglio prima di continuare a condannare a morte tanti innocenti (militari e civili).

 

Possibile che votino per la continuazione della guerra facendo passare l’idea che con quel voto rendono più vicina la pace?

La Ue della pace, della cooperazione, della integrazione non esiste più:

 è morta con il sostegno guerrafondaio a perdere dato all’Ucraina senza accendere il minimo barlume di azione diplomatica.

Il paradosso è che questa guerra è voluta da quelli che non esitano a utilizzare a sproposito la parola “pace” ma in realtà fanno di tutto per affossare i tentativi di Trump e Putin di arrivare a un accordo di pace.

Non sarebbe fuori luogo ricordare a Von der Leyen, Starmer, Macron, Scholz e Meloni alcuni passaggi della ninna nanna in romanesco, dedicata da “Trilussa” al bambino in piena guerra:

“… Ninna nanna, tu nun senti / li sospiri e li lamenti / de la gente che se scanna / per un matto che commanna…

…Ché quer covo d’assassini/ che c’insanguina la terra / sa benone che la guerra / è un gran giro de quatrini / che prepara le risorse / pe’ li ladri de le Borse…

Domani rivedremo li sovrani / che se scambieno la stima / boni amichi come prima…

E riuniti fra de loro / senza l’ombra d’un rimorso, / ce faranno un ber discorso / su la Pace e sul Lavoro / pe quer popolo cojone / risparmiato dar cannone!…”.

 

 

 

 

La fantasia al potere.

 

Infosannio.com – (27 marzo 2025) – infosannio - Andrea Zhok – ci dice:

 Alla “Commissione Europea “ci hanno spiegato che dobbiamo armarci fino ai denti perché incombe la minaccia di un’invasione da parte della prima o seconda potenza nucleare del pianeta.

Poi ci hanno raccomandato di tenere scorte necessarie per 72 ore (perché 72 e non 48 o 96? Boh.)

Fino a questo punto c’erano tutti gli elementi per credere che stessero prendendo maledettamente sul serio una minaccia che il buon senso comune reputa del tutto remota.

Ma poi, ecco che arriva un video.

Protagonista, da attrice consumata, la Commissaria Europea” Hadja Lahbib” (Commissaria specificamente per la parità, la preparazione e la gestione delle crisi, dunque non una che passava di là).

 

Il video è assolutamente sconcertante.

Il tono è lieve, salottiero, con un sottofondo da piano bar con aperitivo; si succedono umorismo e garbatezza; e si squaderna un incredibile pressapochismo in tutto ciò che viene detto (se qualcuno avesse la tentazione di prenderlo sul serio).

Infatti – esattamente come nel caso di minaccia bellica – se qualcuno volesse davvero “prepararsi a una crisi” deve prepararsi a una crisi specifica.

Viene meno il riscaldamento? L’elettricità? Il tetto sulla testa? C’è un’alluvione? Un terremoto? Un bombardamento? Una perdita di gas? Una contaminazione radioattiva? Sei vicino al mare o in montagna o in pianura? Devi poterti muovere a lungo o stare in un luogo? In un centro urbano o in una periferia agricola? Perché non una coperta termica? Perché non un binocolo? Perché non una corda? Perché non un asciugamano come nella Guida Galattica per Autostoppisti? Ecc. ecc.

Semplicemente NON ESISTE il “prepararsi ad una crisi” quale che sia.

 Devi sapere quale tipo di imprevisto, quale crisi.

E invece no, con quell’aria serena di chi casca sempre in piedi e può ironizzare su tutto, con il tono di simpatia paternalistica di chi si abbassa a spiegare alla mesta plebe alcune chicche da “survivalist” la nostra commissaria procede nella sua narrazione.

Ecco i documenti di identità, ecco l’accendino, ecco le carte da gioco per distrarsi. Quando ha estratto con aria maliziosa il suo “special friend” ci si aspettava, coerentemente con il contesto, che comparisse un dildo.

Il discorso sulla borsetta della resilienza si conclude con un momento di serietà, in cui ogni speranza che si trattasse di cabaret, svanisce:

“The EU is preparing its strategy to be sure that every citizen is safe in case of crisis. Be prepared, be safe.”

[L’UE sta preparando la sua strategia per garantire che ogni cittadino sia al sicuro in caso di crisi. Siate preparati, siate al sicuro.]

Ora, di fronte ad un video del genere fluttua l’eterna drammatica questione:

“Ci sono o ci fanno?”

Qualcuno potrebbe azzardare un’interpretazione machiavellica, pensando che un video del genere sia una semplice operazione di distrazione pubblica:

 ci fanno discutere di video demenziali mentre cose più importanti e drammatiche covano nelle segrete stanze.

Forse, ma improbabile.

I palazzi di Bruxelles, nonostante la trasparenza degli edifici, sono il luogo più opaco del mondo, e non c’è bisogno di ulteriori distrazioni che facciano da copertura.

 

No, credo che l’interpretazione possibile sia una sola, tragica: questa gente è davvero così completamente sprovveduta, vacua, impreparata come sembra; è così scollegata dalla realtà, da non percepire l’assurdità dei propri gesti. La sicurezza da ricchi che promana da ogni gesto è quella della “Contessa Serbelloni Mazzanti” -Vien dal Mare -che invita i ragionieri alla polentata.

E il problema, naturalmente, non sono i video involontariamente umoristici, ma lo sguardo che ci consentono di gettare su istituzioni da cui dipende il funzionamento delle nostre scuole o del servizio sanitario, da cui dipendono i rapporti internazionali, da cui dipendono occupazione o disoccupazione, da cui dipende la produzione industriale, da cui dipendono guerra e pace.

In questo momento, come un lampo che squarcia le tenebre notturne, per un istante si riesce a vedere cosa si agita dietro le quinte e si mettono in fila con coerenza i tappi di plastica che non si staccano, le politiche green di auto evirazione industriale, i contratti miliardari per la fornitura di 10 vaccini a testa fatti via sms (e distrattamente cancellati), e la sfida in leasing alla Russia (si finalizza nel 2030, intanto paghiamo le rate), ecc. ecc.

A morte il tedioso principio di realtà: finalmente la fantasia al potere.

Tanto il conto è a carico vostro.

 

 

 

C’eravamo tanto armati.

 

Infosannio.com – Toni Capuozzo – (27 marzo 2025) – infosannio – ci dice:

 Piaccia o non piaccia, Trump li ha fatti sedere su due tavoli separati, e si tratta. Dopo tre anni di guerra, la pace possibile – che non è quella giusta – è una lunga strada da percorrere.

 Il mondo è governato, alla fine, dalla legge del più forte, le guerre dal loro andamento sul campo.

L’Europa?

 Era parte in causa, e non siede al tavolo delle trattative, e un po’ vuole mettersi di traverso, e sogna una spedizione dei volenterosi che, se ci sarà, finirà nei paesi baltici.

Sa, l’Europa capeggiata dal paese che ne è uscito, che non può continuare la guerra da sola, con Zelensky ma senza l’America.

È stata pronta a morire fino all’ultimo ucraino, e stenta ad accettare che neanche gli ucraini sono pronti a morire fino all’ultimo.

Quel che può fare l’Europa è continuare una guerriglia di sanzioni e di propaganda bellicosa (che ogni tanto fa ridere amaramente, come il kit di sopravvivenza), e coltivare lo scontroso sentimento di chi va controcorrente:

USA e Russia, Cina e Brics sono alla ricerca di un nuovo equilibrio mondiale.

Che vede l’Europa ai margini:

 solo un buon mercato dove vendere, ma dal quale comprare di meno.

Una terra che era la madre della diplomazia e adesso si riarma.

Una spiaggia per le migrazioni, quella eterna emergenza sulla quale l’Europa della difesa comune non è mai stata capace di muoversi insieme.

 Che si abbia bisogno di nemici per unirci e definirci, quello è un brutto segnale.

Riarmo e sostegno all'Ucraina:

Orban contro tutti mentre

l'Ue cerca l'unità.

Europa.today – Alfonso Bianchi – (6-3-2025) – ci dice:

 

Al Consiglio europeo, a cui parteciperà anche Zelensky, l'ungherese minaccia di porre il veto sulle conclusioni che parlano di rispetto dell'integrità territoriale del Paese. Ma i leader del blocco hanno bisogno di mostrarsi compatti di fronte a Trump.

Sono presenti al Consiglio europeo,il Presidente Antonio Costa, e Volodymyr Zelesnky .

Il copione è sempre lo stesso, la trama non cambia.

 Al Consiglio europeo sarà di nuovo una battaglia tutti contro Viktor Orban.

O meglio, Viktor Orban contro tutti.

Mentre i 27 leader del blocco stanno cercando di trovare una strategia d'azione comune in un mondo in cui le relazioni transatlantiche, e di conseguenza l'architettura della sicurezza europea, stanno drammaticamente cambiando, il leader ungherese continua a volersi mettere di traverso.

Zelensky è presente alla riunione.

Quello di oggi (giovedì 6 marzo) è un Consiglio europeo speciale, convocato in fretta e furia dal presidente Antonio Costa per provare a mettere a punto una nuova strategia per continuare a difendere l'Ucraina anche in caso di disimpegno degli Stati Uniti.

 Per sostenere Volodymyr Zelensky, che parteciperà alla riunione di persona e non solo in videocollegamento come d'abitudine, nel raggiungimento di un accordo di pace che non sia deciso sopra la sua testa dal presidente statunitense Donald Trump e da quello russo Vladimir Putin.

 

Per far guadagnare anche all'Europa un posto al tavolo delle trattative, con la convinzione che la sicurezza dell'Ucraina è inscindibilmente legata a quella dell'intera Ue.

 Le prossime mosse degli europei saranno decisive.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato della necessità di "un incredibile risveglio" e il futuro cancelliere tedesco “Friedrich Merz” ha detto che l'Europa si trova "a cinque minuti dalla mezzanotte".

 

Armi a Kiev.

I temi sul tavolo saranno due:

 l'approvazione del piano per il riarmo dell'Europa, presentato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e la posizione comune da tenere sull'Ucraina.

I Ventisette vogliono ribadire la necessità di negoziati che portino a una pace che rispetti "l'indipendenza, la sovranità e l'integrità territoriale" dell'Ucraina, e il principio secondo cui "qualsiasi tregua o cessate il fuoco" possa "verificarsi solo come parte di un processo che porti a un accordo di pace complessivo".

O meglio, i Ventisei vogliono ribadirlo, perché Orban si oppone a queste formulazioni nel testo delle conclusioni, attualmente in fase di negoziazione, e minaccia di mettere il veto.

A Bruxelles è in corso una battaglia per dare il via libera all'invio di ulteriori aiuti militari all'Ucraina, ma l'ungherese vorrebbe chiudere i rubinetti, come ha fatto Trump congelando non solo le consegne di armi, ma addirittura anche l'invio di informazioni di intelligence.

I governi europei, invece, vorrebbero includere nel testo delle conclusioni del Consiglio europeo – che serve a dettare la linea delle future azioni del blocco – il via libera a un piano annunciato il mese scorso dall'Alto rappresentante per gli Affari esteri dell'Ue, “Kaja Kallas.”

Il piano prevede l'invio all'Ucraina di almeno 1,5 milioni di munizioni di artiglieria quest'anno, oltre ad altre attrezzature come sistemi di difesa aerea, missili e droni.

Quest'anno l'Europa fornirà all'Ucraina 30,6 miliardi di euro, con esborsi dallo Strumento per l'Ucraina, un meccanismo dell'Ue a sostegno di Kyiv, che dovrebbero raggiungere i 12,5 miliardi di euro, e ulteriori 18 miliardi di euro da prestiti del G7 nell'ambito della cosiddetta "iniziativa Era".

Il veto di Orban.

E gli europei sanno che bisogna fare di più, ora che gli Stati Uniti si sono tirati fuori.

 La bozza di testo in discussione sottolinea che l'Ue "continuerà a fornire all'Ucraina un sostegno finanziario regolare e prevedibile".

Ma tutte queste richieste potrebbero essere escluse dalle conclusioni se Orban resterà fermo sulle sue posizioni.

In passato ha già minacciato più volte di porre il veto alle conclusioni del Consiglio, salvo poi fare dietrofront all'ultimo secondo.

Costa e diversi altri leader stanno cercando di convincerlo, ma si paventa l'alternativa classica, già usata in passato proprio per aggirare il veto del magiaro: le conclusioni del presidente sostenute da 26 Stati membri.

 È una scappatoia che viene capita solo nella "bolla" di Bruxelles, ma il cui utilizzo ha un forte valore simbolico e politico:

significa che l'Ue non è capace di agire in maniera compatta, e in situazioni come queste è un vero disastro.

Riarmare l'Europa.

Più semplice sarà la discussione sul “ReArm Europe”, il piano di von der Leyen che promette fino a 800 miliardi di investimenti nelle armi nei prossimi anni.

 Ad Orban non piace particolarmente, ma neanche ha intenzione di mettere i bastoni tra le ruote ai suoi colleghi.

Si parlerà anche di un possibile contingente di pace in caso di accordo sulla fine del conflitto, composto dalla "coalizione dei volenterosi".

 Il tema non è in agenda, ma un alto funzionario europeo ha spiegato che "diversi Stati" hanno espresso il loro interesse a partecipare all'iniziativa, pur sottolineando che "la discussione sui dettagli è prematura".

Costa, poi, venerdì terrà una videoconferenza per fare il punto con i Paesi partner non Ue:

primo fra tutti il Regno Unito di” Keir Starmer,” poi anche Islanda, Norvegia e Turchia.

"Vogliamo mantenere con questi partner non Ue un collegamento di coordinamento su come andare avanti.

Quindi abbiamo scelto di fare questa videoconferenza per coordinarli e fare il punto, e anche per ascoltarli", ha spiegato un'altra fonte.

L'unità dell'Europa è sempre più importante.

Con o senza Orban.

Gli USA riusciranno a convincere

 l’Europa a rispettare la richiesta di

Putin di smettere di armare l’Ucraina?

Ambienteewb.org –(27/03/2025) - Andrew Korybko – ci dice:

(korybko.substack.com/p/the-us-will-struggle-to-get-europe).

 

La lettura ufficiale del Cremlino dell’ultima telefonata di Putin con Trump ha condiviso la richiesta di Putin che “una completa cessazione della fornitura a Kiev di aiuti militari e intelligence stranieri deve diventare la condizione chiave per prevenire un’escalation del conflitto e fare progressi verso la sua risoluzione”.

La sospensione temporanea di tale assistenza da parte di Trump dimostra che ha la volontà politica di chiuderla definitivamente se ottiene ciò che vuole dai negoziati con Putin, ma gli europei sono una storia diversa.

 

Il segretario di Stato “Marco Rubio” ha detto a Trump durante una riunione di gabinetto lunedì, prima della fine dei colloqui russo-statunitensi di 12 ore a Riyadh quel giorno, che “hai promosso nonostante gli impedimenti di altri paesi”, che era probabilmente un’allusione alla guerrafondaia degli europei.

 Anche se deliberatamente vago, potrebbe benissimo riferirsi ai piani dell’UE e del Regno Unito di continuare ad armare l’Ucraina nonostante la richiesta di Putin di cessare questa operazione come una delle sue condizioni più importanti per la pace.

 

Polonia, Romania e Mar Nero in ordine decrescente fungono da punti di ingresso per le armi straniere in Ucraina, su nessuna delle quali gli Stati Uniti hanno il pieno controllo.

Gestisce congiuntamente l’hub logistico di Rzeszow, nel sud-est della Polonia, attraverso il quale passa circa il 90-95% di tutte le armi destinate all’Ucraina, ma questa struttura può continuare a funzionare anche se gli Stati Uniti si ritirano.

 La situazione è simile con la “Moldavia” rumena, di recente costruzione, per facilitare la spedizione di armi dai porti greci all’Ucraina.

 

L’esercito americano gestisce congiuntamente solo strutture portuali locali ad Alexandroupolis, pur non avendo alcuna influenza diretta sull'”autostrada della Moldavia”, che possono continuare a funzionare senza di essa.

 Per quanto riguarda il Mar Nero, il nuovo accordo sul grano che gli Stati Uniti stanno negoziando con la Russia potrebbe portare a controlli internazionali sulle merci per individuare il traffico di armi o creare una copertura plausibile per questo commercio.

 In ogni caso, proprio come i due precedenti, il punto è che anche altri oltre agli Stati Uniti possono fare affidamento su questa strada.

 

È improbabile che Trump minacci sanzioni economiche contro gli alleati nominali della NATO, i cui paesi continuano ad armare l’Ucraina, anche se il suo pensiero decidesse di tagliarla fuori per sempre, come parte della serie di compromessi pragmatici che sta negoziando con la Russia per porre fine al conflitto in modo sostenibile.

 L’unico scenario in cui potrebbe radunare il Congresso per approvare un altro pacchetto di armi è se la Russia espandesse significativamente la sua campagna di terra oltre le regioni che rivendica come proprie, come è stato discusso qui.

Finché ciò non accadrà, gli aiuti degli Stati Uniti dell’era Biden si esauriranno presto e l’Ucraina sarà quindi interamente dipendente dagli aiuti europei, ma non è chiaro se questa drastica riduzione degli aiuti (tenendo presente anche le loro scorte già notevolmente esaurite) sarebbe sufficiente alla Russia per cessare le ostilità.

Putin potrebbe accettarlo come parte della serie di compromessi pragmatici che sta negoziando con Trump, o potrebbe ancora appoggiarsi alla sua controparte per esercitare maggiore pressione sugli europei affinché seguano le sue orme.

Le mani di Trump sarebbero legate nel secondo scenario, come è stato appena spiegato, ma potrebbe anche guidare dal fronte suggerendo che gli europei accumulino invece le attrezzature che vogliono inviare all’Ucraina in Polonia e Romania secondo i loro impegni di “garanzia di sicurezza” nei confronti di Kiev.

Questi si riferiscono ai patti bilaterali stipulati l’anno scorso, in base ai quali i principali paesi come il Regno Unito, la Francia, la Polonia, l’Italia e gli stessi Stati Uniti hanno sostanzialmente concordato di riprendere il loro attuale livello di sostegno all’Ucraina se le ostilità dovessero riesplodere.

Qualunque arma gli europei possano ancora inviare all’Ucraina non compenserebbe il taglio degli aiuti statunitensi, quindi trasferirebbero le loro attrezzature per essere distrutte senza altro scopo se non quello di ritardare l’inevitabile risoluzione politica del conflitto, a quel punto la Russia potrebbe persino guadagnare più terreno.

 Putin potrebbe ovviamente preferire che la NATO non accumuli nulla in prossimità dei confini dell’Ucraina per una rapida spedizione in caso di guerra continua, ma la Russia non può controllare ciò che fanno sul loro territorio.

Trump e la sua squadra farebbero quindi bene a trasmettere questi punti agli europei per facilitare il processo di pace ucraino.

 

 Putin potrebbe non accettare un cessate il fuoco o un armistizio finché gli europei continueranno ad armare l’Ucraina, il che sarebbe inutile da parte loro in ogni caso, mentre sprecherebbero solo le loro armi che altrimenti potrebbero essere utilizzate meglio se le ostilità riesplodessero e gli Stati Uniti ripristinassero così il loro precedente livello di sostegno all’Ucraina.

Questo compromesso proposto potrebbe portare a una svolta.

 

 

 

 

Il divorzio Tesoro-Bankitalia:

un colpo di Stato economico firmato

dal gruppo Bilderberg.

Lacrunadellago.net - Cesare Sacchetti – (27/03/2025) – ci dice:

 

Non sono in molti a sapere la storia di come l’Italia ha perduto il controllo della sua banca centrare, la celebre Banca d’Italia.

C’è stato un tempo in cui l’Italia non aveva nemmeno una banca centrale nel vero senso del termine, ed era questa l’epoca dello Stato unitario liberale che di italiano aveva molto poco e di massonico invece tutto.

La classe politica risorgimentale era difatti la perfetta espressione di quelle forze che accompagnarono tutto il processo risorgimentale.

 

C’erano latifondisti, banchieri e soprattutto massoni perché purtroppo il processo di unificazione non è stato fatto sulla base delle radici cattoliche e greco-romane del Paese, ma seguendo invece quelle della libera muratoria che non era composta da patrioti come si vuole far credere, bensì da uomini che avevano come principale obiettivo la distruzione della tanto odiata Chiesa romana.

In questa epoca, la banca d’Italia, nata nel 1893, non aveva nemmeno la facoltà esclusiva di stampare moneta tanto da doverla condividere con due banche private, quella di Sicilia e quella di Napoli.

Lo Stato liberale era pienamente in linea con gli interessi di quel ristretto ceto di possidenti e affaristi che in realtà avevano in mano le redini del potere economico, sempre ovviamente su mandato di Londra, la potenza che aveva voluto l’unità d’Italia già ai tempi del primo ministro e influente massone,” Lord Palmerston”.

Soltanto negli anni’20, dopo l’ascesa al potere del fascismo e dopo la presidenza di Benito Mussolini lo Stato inizia ad assumere quei caratteri che non lo rendono più uno svuotato simulacro giuridico, ma un’entità pienamente sovrana che presidia e difende la sovranità e l’interesse del suo Paese.

 

La prima importante riforma bancaria è quella del 1926 che stabilisce che deve essere solo e soltanto la banca d’Italia ad avere la facoltà di stampare moneta.

La banca centrale inizia ad essere veramente tale soltanto dal ventennio in poi e la sua definitiva trasformazione giuridica si completa attraverso la riforma della legge bancaria del 1936, la celebre legge Menichella, che oltre a marcare una netta separazione tra banche commerciali e banche di investimento, toglie ai privati la facoltà di avere in mano le azioni di Bankitalia.

 

L’economista Domenico Menichella.

Ogni quota passa nelle mani di istituti bancari e altri organismi economici di proprietà pubblica.

La Banca d’Italia è da quel momento in poi interamente nelle mani dello Stato e l’impianto economico disposto dal fascismo sarà preservato anche dopo l’avvento della repubblica di Cassibile e della Costituzione del’48, ed è grazie a questi capisaldi fondamentali che è stato possibile il cosiddetto miracolo economico dei successivi anni’60.

 

In quell’epoca, il Paese aveva acquisito una posizione pressoché invidiabile.

Il suo sistema bancario era tra i più stabili al mondo, la sua industria tra le più prospere grazie all’IRI fondata da Mussolini nel 1933, e il tasso di risparmio era il più alto al mondo assieme a quello del Giappone.

Semplicemente, tale ricchezza e tale prosperità era divenuta troppo “ingombrante” per quegli ambienti finanziari che volevano invece trasformare il giardino d’Europa in un incolto campo di erbacce.

Occorreva smantellare pezzo per pezzo tutto quel impianto. Occorreva spogliare a poco a poco tutto quell’immenso patrimonio per spartirselo meglio tra i vari falchi della finanza askenazita.

I nemici dell’Italia: i vari club del mondialismo.

Il Club di Roma fondato nel 1968 da Aurelio Peccei, dirigente FIAT e novello “Adam Weishaupt”, aveva già stabilito nelle sue riunioni che il Paese custode delle radici cattoliche e latine andava violentemente saccheggiato per portarlo verso la tanto agognata estinzione.

Sul finire degli anni’70, dopo l’operazione del sequestro di Aldo Moro, nella quale dal principio alla fine sono stati all’opera elementi dei servizi anglo-americani e i massoni della loggia P2, inizia l’assalto più violento all’Italia.

Si arriva al 1981.

Si diffondono rapidamente in Europa le idee del neoliberismo economico patrocinate in quel periodo da “Milton Friedman”, economista americano di origini ebraiche, che sosteneva che lo Stato mai doveva intervenire nei processi economici, ma dovesse lasciar fare tutto invece alla cosiddetta “mano invisibile” del libero mercato.

Il neoliberismo afferma che l’economia se lasciata operare da sé tornerebbe al suo stato di funzionamento “ideale” attraverso una fantomatica autoregolamentazione che in realtà mai è esistita e mai esisterà.

La “autoregolamentazione” si tramuta in realtà nel dominio assoluto e predatorio del capitale sulle masse e su intere nazioni.

 

“Friedman” parla difatti a nome di quei finanzieri di Wall Street che avevano tutto l’interesse ad inaugurare una selvaggia stagione di privatizzazioni il cui solo risultato sarebbe stato quello di trasferire un enorme ammasso di ricchezze dalle mani dello Stato, e quindi del pubblico, a favore di un manipolo di oligarchi, come purtroppo avvenne nei decenni successivi.

L’economista americano per salvaguardare meglio gli interessi delle élite del capitale aveva già fondato nel 1947 un” think tank” molto esclusivo, la” Mont Pelerin Society”, che si riunisce ogni due anni e che non rilascia pubbliche dichiarazioni, circostanza questa che lo rende più simile ad una sorta di società segreta che ad un gruppo di accademici.

Gli economisti della Mont Pelerin Society.

La Mont Pelerin vuole privatizzare l’economia e dentro di essa c’è un altro importante economista apologeta del libero mercato come “Friedrich Von Hayek”, maestro di “David Rockefeller”, membro di un’altra famiglia di finanzieri e industriali che aveva un interesse primario alla rimozione dello Stato nell’economia.

In Italia, gli anticorpi contro il neoliberismo sembrano ancora molto sani.

Il Paese che aveva concepito lo Stato imprenditore sulle orme della dottrina sociale della Chiesa sembrava respingere le “sirene” del libero mercato, fino a quando però la quinta colonna al suo interno non si adoperò per portare il cavallo di Troia dentro le viscere della nazione.

 

L’attacco alla Banca d’Italia e il gruppo Bilderberg.

L’attacco non poteva che partire proprio dall’istituto che Benito Mussolini aveva nazionalizzato nel 1936, ovvero la citata banca d’Italia.

A condurlo sono stati due personaggi fondamentali nell’assedio economico scatenato all’Italia e si tratta dell’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, e dell’ex governatore di palazzo Koch, Carlo Azeglio Ciampi.

L’anno è il 1981, ma per entrambe le figure si erano già dischiuse le porte del gotha del mondialismo.

 

Beniamino Andreatta era uno di quegli esponenti della DC di sinistra che se si potesse dare un punteggio nel computo dei danni procurati al Paese, avrebbe probabilmente il massimo dei voti.

Il ministro del Tesoro aveva già iniziato a sedere ai tavoli di uno dei più giri più influenti dell’apparato mondialista come il cosiddetto gruppo Bilderberg, fondato nel 1954 dal politico polacco “Jozef Retinger” e così chiamato perché la sua prima riunione ebbe luogo nell’albergo” Bilderberg di Osterbeek”, nei Paesi Bassi.

Jozef Retinger.

All’inizio si sa poco e nulla di questo gruppo che più che un think tank assomiglia ad una società segreta perché nei primi tempi le sue riunioni non sono nemmeno annunciate, né tantomeno sono oggetto di discussioni pubbliche le decisioni del club che vengono prese a porte chiuse senza nessuna legittimazione democratica di nessun tipo.

In questa società segreta di alto livello ci sono dentro tutti i politici e uomini d’affari più importanti del secolo scorso e di quelli di questo secolo, tra i quali si possono citare il sempre ubiquo Henry Kissinger, re Carlo d’Inghilterra, Gianni Agnelli, Pierre Trudeau, ex primo ministro canadese e padre di Justin, Paolo Gentiloni, David Rockefeller, Emmanuel Macron, Emma Bonino, Matteo Renzi, Tony Blair, Hillary e Bill Clinton e molti altri nomi pesanti della politica internazionale.

 

Il Bilderberg scrive le linee di politica estera da seguire per i vari Paesi membri.

È qui che si delineano le linee fondamentali dell’Unione europea che aveva già iniziato a fare i primi vagiti quando la “fondazione Rockefeller “aveva finanziato il movimento federalista europeo del massone “Altiero Spinelli,” del quale i media parlano così tanto in questi giorni, ma sul quale dicono tutto tranne le vere informazioni che il pubblico avrebbe bisogno di sapere.

Nel 1955, è proprio al Bilderberg che ha luogo una importante riunione nella quale si stabilisce che l’Europa avrebbe dovuto subire un processo di unificazione politica ed economica attraverso la creazione di un’unica entità statuale e di una moneta unica, ovvero il progetto già concepito negli anni precedenti dal padre putativo dell’Unione europea, il conte Kalergi.

 

Nel 1957, arriva il trattato di Roma e nei decenni successivi il processo di indebolimento delle sovranità nazionali va avanti ma un punto fondamentale di questa strategia della colonizzazione era sicuramente quello di togliere allo Stato la facoltà di controllare la propria banca centrale.

A questo pensano i citati Andreatta e Ciampi.

 Sono loro due, senza alcun mandato parlamentare, a scambiarsi un carteggio nel febbraio del 1981 attraverso il quale di fatto impediscono al Tesoro di controllare Banca d’Italia e ordinare a questa di comprare i titoli di Stato al tasso deciso dal governo.

Lo spartito che stavano suonando Andreatta e Ciampi non era altro che quello della “Mont Pelerin Society” di “Friedman”.

 

Si stava affermando, in altre parole, il principio della cosiddetta indipendenza delle banche centrali che toglie agli Stati la facoltà di poter ordinare alle prime di stampare moneta e di monetizzare il debito pubblico.

Gli effetti di tale scellerata separazione sono prevedibili.

Dopo aver tolto al Tesoro la possibilità di far comprare i titoli di Stato a Bankitalia al tasso di interesse stabilito dal primo, non è stato più il governo a decidere il prezzo dei titoli, ma il mercato.

I titoli per poter essere venduti alle aste sono stati piazzati a tassi enormemente più alti, e se il rapporto tra debito pubblico e PIL è salito oltre il 100%, non è avvenuto certo per la spesa pubblica della politica o per la corruzione, come vuole la vulgata di Travaglio e grillina, ma perché Andreatta e Ciampi hanno eseguito le linee guida del padre della “Chicago School”, il premio Nobel, “Milton Friedman”.

Il primo vero colpo al cuore del sistema economico italiano è stato certamente questo è impossibile non vedere come in esso abbia giocato un ruolo centrale il citato Bilderberg Group.

Se Andreatta era già divenuto un membro di questa esclusiva società segreta, Ciampi non tarderà a seguirlo quando sarà invitato nel 1987 alla riunione che si tenne a Cernobbio, a villa D’Este, nella quale c’erano il sempre presente Gianni Agnelli e il giovane Mario Monti, professore presso la Bocconi, e futuro presidente del Consiglio nel 2011 dopo che il presidente Napolitano tramite una manovra golpista aveva di fatto lavorato per la caduta dell’allora premier Berlusconi.

 

Le impronte del Bilderberg nell’omicidio dell’economia italiana sono praticamente ovunque.

Soltanto pochi anni dopo, nel famigerato 1992, Carlo Azeglio Ciampi, ancora una volta nelle vesti di governatore della banca d’Italia, mette in atto la più folle e distruttiva politica di difesa del cambio fisso della lira con lo SME, l’antenato dell’euro.

Gli speculatori internazionali capitanati da George Soros, presidente del “Quantum Fund”, non aspettavano altro per lanciare il loro attacco.

 

Sapevano già evidentemente in anticipo che il governatore Ciampi invece che lasciar svalutare la moneta avrebbe difeso il cambio fisso vendendo 48 miliardi di dollari di riserve di valuta estera pur di mantenere il rapporto di cambio della lira con lo SME.

Se Soros fece in quell’anno profitti da capogiro lo deve tutto a Ciampi che invece che essere messo sotto inchiesta dalla magistratura che accendeva i riflettori su tangenti migliaia di volte inferiori a quella rapina, veniva poi ricompensato negli anni successivi con la più alta carica dello Stato, la presidenza della Repubblica.

 

Al Quirinale si instaura così, dopo Francesco Cossiga, il primo presidente del gruppo Bilderberg che aveva prima spogliato il Tesoro della facoltà di controllare l’istituto bancario, e poi aveva dilapidato il patrimonio valutario di palazzo Koch per la gioia degli speculatori anglo-sionisti che ancora oggi lo ringraziamo e che erano stati informati in anticipo del comportamento di Ciampi, ma i togati come si è visto erano impegnati nella loro rivoluzione colorata per conto di Washington.

Il lavoro però non era ancora completato.

 Ciampi doveva portare a compimento la privatizzazione definitiva di Banca d’Italia e lo fa nel 1993, quando diviene presidente del Consiglio, dandosi il cambio con Giuliano Amato, già compartecipe dell’omicidio economico dell’Italia e famigerato autore del prelievo forzoso sui conti correnti.

L’ex governatore di Banca d’Italia vara subito la legge bancaria di quell’anno che mette fine all’impianto stabilito anni prima dal fascismo.

Le banche commerciali sono fuse con quelle di investimento, e l’annullamento della precedente linea di demarcazione ha messo i correntisti più soggetti alle pressioni della finanza che li ha indotti a fare scellerate speculazioni in borsa.

Il mercato prende il sopravvento, e la banca d’Italia allora nelle mani di banche ed enti pubblici passa nelle mani di istituti bancari privati e ancora oggi tale assetto è immutato.

La banca centrale italiana ancora oggi non è di proprietà dello Stato, ma dei mercati e appare risibile che sul suo sito palazzo Koch dica che Bankitalia è un” istituto di diritto pubblico” perché tale definizione è priva di valore se le “azioni dell’istituto sono nelle mani dei privati”.

 

A dare il definitivo colpo di grazia all’Italia è ancora una volta un uomo del gruppo Bilderberg come Romano Prodi che vanta almeno sei partecipazione all’esclusivo ritrovo di globalisti, senza contare che il “professore” faceva già parte del comitato direttivo nel 1981, un anno prima di diventare presidente dell’IRI e di tentare la svendita dello SME a favore dell’ingegner De Benedetti, operazione fortunatamente sventata dall’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi.

 

È Prodi nelle vesti di presidente del Consiglio a togliere definitivamente all’Italia la possibilità di avere una moneta attraverso l’ingresso nella gabbia dell’euro, per il quale l’uomo del Bilderberg verrà poi ricompensato con la presidenza della Commissione europea nel 1999.

La Banca d’Italia già privatizzata entra a far parte così di un sistema sovranazionale chiamato SEBC, nel quale la facoltà di stampare moneta è rimessa alla BCE, una banca “centrale” soltanto nel nome, in quanto essa non risponde in nessun modo ai governi europei, né tantomeno finanzia il loro deficit e garantisce il pagamento dei loro titoli di Stato.

La storia degli ultimi 50 anni è, come si può vedere, un doloroso percorso funestato di tradimenti e saccheggi selvaggi, e ognuno di questi è stato perpetrato da uomini fedeli al gruppo Bilderberg come Andreatta, Ciampi, Monti e Prodi.

La lezione che si può trarre da questa storia appare essere soltanto una.

 

La quinta colonna ha avuto la meglio perché le leve del sistema democratico liberale sono perfette per consentire ai vari circoli del potere transnazionale di prendere il controllo di un Paese.

L’Italia per tornare alla sua piena sovranità in futuro dovrà partire da questo.

Dovrà tenere a mente che “nulla salus” esiste nel liberalismo e nella sua protesi economica, il liberismo.

C’è solo malattia perpetua.

 

 

 

 

La casa di “Le Pen”:

gli immortali politici francesi.

Politico.eu – (26 – 3 – 2025) - Redazione - VICTOR GOURY-LAFFONT – ci dice:

Il futuro politico di Marine Le Pen potrebbe essere stroncato. Suo padre Jean-Marie è morto. Il loro movimento, tuttavia, è destinato a una lunga vita.

 

JEAN-MARIE LE PEN, IL FONDATORE INCENDIARIO del più grande partito di estrema destra francese, è stato sepolto l'11 gennaio in una giornata invernale insolitamente soleggiata nella lussuosa località turistica di La Trinité-sur-Mer, dove era nato nel 1928.

La giornata è iniziata con una cerimonia in una modesta chiesa costruita con il caratteristico granito bretone, dove la sicurezza ha dovuto respingere una manciata di skinhead che volevano intrufolarsi al funerale.

 Forse appropriatamente per un figlio di pescatori, si è conclusa con un drink in un modesto ristorante di pesce, decorato con dipinti di vita marina locale.

Il funerale è stato vistosamente sobrio per un uomo che ha trascorso la sua carriera politica come un uomo nero chiassoso e con la benda sull'occhio.

 Ex paracadutista nella guerra d'Algeria che ha minimizzato l'Olocausto, Le Pen ha contribuito a forgiare quello che sarebbe diventato, nella sua ultima incarnazione come Raggruppamento Nazionale, il partito populista e anti-immigrazione più potente d'Europa.

Sebbene molte persone si siano radunate attorno al cimitero per dare un'occhiata agli eventi, solo un paio di centinaia di persone a lui più vicine sono state invitate ufficialmente.

Tra i presenti c'erano familiari e alleati che lo avevano accompagnato nel corso della sua lunga carriera:

la figlia più giovane, Marine, che circa 15 anni fa aveva assunto la direzione di quello che allora era noto come Front National;

“Bruno Gollnisch,” l'uomo che aveva a lungo sperato di ereditare il partito ma che alla fine non era riuscito a competere con un membro della famiglia;

e Marion Maréchal, l'amata nipote la cui lealtà verso gli ideali del nonno alla fine la spinse a lasciare il partito che Marine aveva rinominato, ritenendo che il “Rassemblement National” fosse diventato troppo moderato.

I festeggiamenti avevano l'aria di un finale di serie, non troppo dissimile da "Succession" della HBO.

I media francesi potrebbero voler paragonare la dinastia Arnault che gestisce LVMH alla famiglia immaginaria Roy , ma sono i Le Pen a vantare la saga più complessa e ricca di drammi della Francia.

Ed è il loro impero familiare a rischio di crollare, con un outsider, il presidente del National Rally Jordan Bardella, 29 anni, che interviene per prendere le redini.

Anche se Marine non ha alcuna intenzione di farsi da parte volontariamente, problemi legali potrebbero costringerla a farlo. 

 

L'anno scorso lei e il Rassemblement National sono stati accusati di aver preso parte a un piano per appropriarsi indebitamente di milioni di euro di fondi del Parlamento europeo e i pubblici ministeri hanno chiesto che al leader di estrema destra venga immediatamente impedito di candidarsi a cariche pubbliche per i prossimi cinque anni, il che includerebbe le prossime elezioni presidenziali previste per il 2027, un voto che lei sa di avere la possibilità di vincere. 

Il verdetto sarà pronunciato lunedì e, se i giudici accetteranno di pronunciare subito la sentenza anziché attendere la conclusione del processo d'appello, potrebbe infrangersi il sogno di Le Pen di salire i gradini dell'Eliseo. 

Ma la storia dei Le Pen non è mai stata quella di un clan pronto ad accettare il collasso; è una storia di continua resurrezione.

Qualunque cosa accada, questo non sarà il capitolo finale, in particolare data la popolarità del suo partito e del movimento in generale.  

Per cinque decenni, la famiglia ha resistito a scandali nei media, battaglie perse in tribunale e sconfitte alle urne, solo per tornare più forte.

E anche se nessuno dei rampolli biondi di Jean-Marie arriva all'Eliseo, la missione ideologica dei Le Pen, ovvero rendere mainstream l'estrema destra in un paese ossessionato dalla sua storia di collaborazionismo nazista, è stata compiuta.

"C'è qualcosa di tragico nella storia di Marine Le Pen", ha detto uno degli alleati più stretti del leader dell'estrema destra, che, come altri citati in questo articolo, ha ottenuto l'anonimato per parlare apertamente dei Le Pen e del loro futuro.

"Ma nella dimensione tragica, c'è una benedizione costante.

Lei torna sempre".

 

Integrare l’estrema destra.

Due anni prima della nascita di Marine, Jean-Marie fondò il Fronte Nazionale insieme a un eterogeneo gruppo di disadattati politici e collaborazionisti nazisti.

Il partito fu un piccolo attore durante la prima corsa presidenziale di Jean-Marie nel 1974 e in varie elezioni locali che seguirono prima della sua svolta nelle elezioni europee del 1984, quando vinse l'11 percento dei voti generali.

 Due anni dopo, Jean-Marie e altri 34 membri del Fronte Nazionale furono eletti all'Assemblea Nazionale.

 

Jean-Marie ha inizialmente costruito il suo successo facendo appello agli elettori della classe alta prima di "prendere gradualmente piede tra i colletti blu", ha detto Nonna Mayer, una delle principali esperte accademiche dell'estrema destra francese.

 Ha alimentato con successo la xenofobia, in particolare contro gli immigrati dall'Africa, e ha cercato di capitalizzare la sofferenza di coloro che vivevano nelle ex regioni francesi del carbone e dell'acciaio spostandosi gradualmente verso il protezionismo, decenni prima che il “movimento MAGA” di Donald Trump impiegasse le stesse tattiche.

Nel 2002, raggiunse l'apice della sua carriera politica, sconvolgendo il paese con il ballottaggio contro “Jacques Chirac” alle elezioni presidenziali di quell'anno.

Alla fine, fu completamente annientato al secondo turno, con un margine dell'82,2 percento contro il 17,8 percento.

Quella performance rivelò un'importante verità: un Paese ossessionato dal suo collaborazionismo con i nazisti non avrebbe mai accettato un politico condannato per incitamento all'odio antisemita. 

“[Il nome Le Pen] evoca l’origine sulfurea di questo partito, con negazionisti dell’Olocausto, ex membri delle Waffen-SS e collaboratori del regime di Vichy”, ha detto Mayer.

La sera delle elezioni, pochi operatori del partito erano ansiosi di salire su un televisore e offrire un'analisi post-partita.

 Toccò a Marine, allora consigliere regionale trentaquattrenne, parlare a nome del partito e della famiglia. 

Fingendo confusione, chiese: “Stasera, sento tutti i politici dirci all’unanimità che, grazie a loro, la Repubblica, la libertà e la democrazia sono state salvate, ma salvate da cosa?” 

"La Repubblica, la libertà e la democrazia non hanno mai avuto nemici, almeno non nel nostro campo", ha affermato.

Quella comparsa fu ampiamente considerata il momento in cui divenne chiaro che Marine avrebbe preso il testimone da suo padre. 

Quando giunse il momento di svelare il suo successore poco meno di un decennio dopo, Jean-Marie annunciò con la sua voce tonante a una folla di partigiani che Marine era stata eletta a quella carica.

 Il nuovo volto dell'estrema destra salì sul palco, si inchinò teatralmente e abbracciò calorosamente il padre.

Eppure Marine si sarebbe imbarcata in una missione in contrasto con la personalità di agitatore di Jean-Marie, non tanto sulle posizioni del partito quanto su come comunicarle.

Con uno zelo e una spietatezza che avrebbero reso orgogliosa “Siobhan Roy”, di "Succession", Marine ha lottato per ripulire l'immagine del National Front e ammorbidirne i toni per rendere il partito e le sue politiche più graditi agli elettori tradizionali.

Quanto fosse disposta ad arrivare divenne chiaro nel 2015, quando l'allora ottantenne padre di Marine ripeté la sua affermazione secondo cui le camere a gas naziste utilizzate per commettere un genocidio contro milioni di ebrei erano state un semplice "dettaglio" nella storia della Seconda Guerra Mondiale. 

Marine non aveva rotto con Jean-Marie quando lui aveva fatto la stessa affermazione diverse volte prima.

 Ma questa volta, fu brutale.

Lo cacciò dal partito da lui fondato, lo rinnegò pubblicamente e, un paio di anni dopo, cambiò il nome del National Front in “National Rally “per eliminare ogni possibile sentore dell'odore di suo padre che potesse essere rimasto. 

 

La strategia di Marine ha dato i suoi frutti alle urne, mentre un'ondata di estrema destra si è progressivamente diffusa in Europa e le posizioni del suo partito in materia di immigrazione e sicurezza sono diventate sempre più diffuse in tutto il continente.

Nonostante sia il volto di quella che è stata a lungo una delle famiglie più vituperate di Francia, Marine è stata ad un passo dalla vittoria della presidenza, arrivando due volte al ballottaggio. 

In entrambe le occasioni ha perso contro il” presidente Emmanuel Macron”, ma ha dimostrato che gli elettori di tutto lo spettro politico non uniscono più le forze per impedire a Le Pen di arrivare al potere, come fecero quando Jean-Marie affrontò Jacques Chirac.

 

Marine ha ottenuto il 34 percento dei voti al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2017 e il 41,5 percento nel 2022, un notevole miglioramento rispetto ai risultati del padre.

 

Alcuni sondaggi d'opinione per le prossime elezioni presidenziali indicano che Marine arriverà prima e passerà il ballottaggio indipendentemente dagli altri candidati. In un sondaggio del rispettato sondaggista IFOP, si prevede che vincerà la presidenza.

Morte politica.

La strada di Marine Le Pen verso la presidenza sembrava spianata, finché a settembre due procuratori non si sono rivolti a un'aula di tribunale gremita sotto le luci fluorescenti del modernissimo tribunale di Parigi.

 

Gli avvocati dello Stato, “Louise Neyton” e “Nicolas Barret”, hanno affermato che il “Raggruppamento Nazionale” e la sua dirigenza hanno, dal 2004 al 2016, gestito un "sistema" in cui hanno sottratto illecitamente denaro dal Parlamento europeo destinato agli assistenti parlamentari europei e hanno utilizzato illecitamente quei fondi per pagare i dipendenti del partito che raramente o mai si occupavano di affari a Bruxelles o Strasburgo. 

 

Neyton e Barret hanno affermato che gli imputati hanno effettivamente trattato il Parlamento europeo come una “mucca da mungere”.

Il Parlamento stesso ha stimato di essere stato truffato per 4,5 milioni di euro.

Gli imputati hanno ripetutamente professato la loro innocenza e Marine Le Pen ha fatto in modo di essere presente in tribunale quasi ogni giorno del procedimento, mantenendo un atteggiamento freddo come prova della sua buona fede.

Ma la difesa del “National Rally”, per la maggior parte, si è schiantata e bruciata contro le prove convincenti presentate contro il partito.

Le prove includevano un messaggio di testo di uno degli imputati che chiedeva se poteva essere presentato al parlamentare europeo per cui presumibilmente stava lavorando, mesi dopo l'inizio del contratto.

 L'accusa ha anche rivelato che un altro imputato aveva scambiato un singolo messaggio di testo nel corso degli otto mesi in cui era stato sotto contratto con il suo presunto datore di lavoro.

Quando è arrivato il momento delle raccomandazioni sulla condanna, Le Pen si è seduta in prima fila, fissando direttamente e ascoltando diligentemente l'accusa. Dietro di lei c'erano i suoi 24 coimputati, tutti accusati di aver preso parte o di aver tratto beneficio dal piano, e uno stuolo di funzionari del partito e rappresentanti eletti che si erano radunati in aula in segno di solidarietà e lealtà verso il loro leader.

 

Le Pen alla fine perse la calma quando “Neyton” disse, in relazione a un contratto che non coinvolgeva Le Pen, che le prove erano scarse, ma che sarebbe stato "troppo doloroso" chiedere che le accuse venissero ritirate, a causa del suo forte presentimento.

Le Pen si alzò e urlò:

 "È la prima volta in vita mia che sento il pubblico ministero dire che non ho niente contro di loro, ma sarei troppo offesa per lasciarli andare".

Ma il dramma più drammatico doveva ancora venire. 

I due procuratori hanno chiesto a un giudice di emettere condanne che vanno da multe a gravi pene detentive.

 La punizione più severa è stata riservata a Le Pen, poiché i procuratori hanno sostenuto che aveva beneficiato del sistema come parlamentare europea e ne aveva supervisionato il funzionamento continuo durante i suoi primi anni alla guida del Raggruppamento Nazionale.

Hanno chiesto al giudice di darle cinque anni di prigione, tre dei quali sospesi, una multa di 300.000 € e un divieto di cinque anni di candidatura a cariche pubbliche.

“Barret e Neyton” hanno sostenuto che i crimini di Le Pen erano così gravi da meritare una sentenza con effetto immediato, che di fatto le impedirebbe di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2027, indipendentemente dalle sue prossime mosse legali.

In genere, in Francia, le sanzioni vengono ritardate fino all'esaurimento del processo di appello, il che può richiedere anni.

 

Uscendo dal tribunale dopo le raccomandazioni dell'accusa, Le Pen ha detto ai giornalisti che l'accusa aveva un solo obiettivo in mente:

 "l'esclusione di Marine Le Pen dalla vita politica", come ha detto la stessa Le Pen. Pochi giorni dopo, ha detto che i procuratori volevano la sua "morte politica".

Se la corte seguirà le raccomandazioni dell'accusa, Le Pen potrebbe provare a opporsi alla decisione dinnanzi a un tribunale superiore, ma dovrà attendere l'inizio del processo d'appello per contestare la pena per motivi costituzionali, ha affermato “Benjamin Morel”, professore di diritto costituzionale presso una delle principali facoltà di giurisprudenza francese. 

"Finché il processo d'appello non sarà stato superato, la situazione sarà estremamente complicata", ha affermato “Morel”.

I dirigenti del partito sono rimasti abbottonati su cosa potrebbe succedere al Rassemblement National se Marine Le Pen venisse messa da parte.

 

Nel corso di diverse conversazioni con POLITICO, molti degli alleati del candidato alla presidenza per tre volte hanno insistito sul fatto che la questione non viene discussa nelle riunioni interne al partito e che Le Pen sembra a suo agio.

Dopotutto, sostengono, impedire a Le Pen di candidarsi sarebbe uno scandalo democratico che i giudici non oserebbero istigare.

 E c'è un tacito accordo che se qualcosa dovesse impedire a Le Pen di candidarsi, “Bardella”, il presidente lealista del Raggruppamento Nazionale, è già in attesa dietro le quinte.

L'avvocato di Le Pen, “Rodolphe Bosselut”, ha dichiarato a POLITICO che la difesa non avrebbe rilasciato dichiarazioni né espresso pareri sul processo fino al verdetto, per "evitare l'impressione di interferenze e speculazioni".

 

Un futuro di estrema destra.

Secondo la maggior parte dei resoconti, Marine ha preso la morte del padre in modo particolarmente duro, nonostante il loro litigio molto pubblico.

 La rivista di gossip Paris Match ha pubblicato le fotografie di una Marine sconvolta a bordo di un aereo, in quello che è stato probabilmente il momento in cui ha saputo della morte di Jean-Marie. (Le immagini sono state ritirate poco dopo a causa delle reazioni negative del National Rally.)

Le persone più vicine a Marine affermano che, nonostante una vita di brutali battaglie politiche, problemi legali e tribolazioni personali, non era mai apparsa così triste come dopo la morte del padre.

Eppure, dopo un periodo di lutto, la sicurezza di Marine sembra incrollabile, e per una buona ragione.

Il “Rassemblement National” resta l'opposizione di destra più significativa in Francia.

Ha ottenuto il 31,4 percento dei voti alle elezioni europee dello scorso giugno, più del doppio del conteggio dei voti del secondo classificato, la coalizione Ensemble di Macron.

Durante le successive elezioni anticipate in Francia, il partito di Le Pen divenne il gruppo più numeroso all'interno dell'Assemblea nazionale.

Le posizioni assunte dall'estrema destra anni fa su questioni di immigrazione e guerra culturale stanno diventando sempre più mainstream.

Persino l'attuale Primo Ministro centrista francese “François Bayrou” ha utilizzato un tropo del Raduno Nazionale durato un decennio quando a gennaio ha detto che sembrava che alcune parti del paese fossero state "inondate" dagli immigrati.

 

Solo nei primi tre mesi di quest'anno, i legislatori francesi hanno avanzato misure che limitano la cittadinanza per diritto di nascita nella regione francese d'oltremare di Mayotte; vietano agli atleti di indossare l'hijab durante gli eventi sportivi; e impediscono agli immigrati clandestini in Francia di sposare cittadini francesi.

Tutte e tre hanno una possibilità realistica di diventare legge.

E con “Bardella”, il “Raggruppamento Nazionale “ha un leader telegenico, seppur raffinato, pronto a raccogliere il testimone dalla famiglia Le Pen. 

 

Se di tutto questo si sia parlato bevendo qualcosa in quella modesta baracca di pesce bretone rimarrà probabilmente un mistero per chi non era presente. 

Ma gli amici e la famiglia in quella notte invernale avrebbero offerto a un Marine addolorato un po' di consolazione sul futuro dei sogni di Le Pen.

Sarebbe stata un'opportunità per scambiarsi storie, versare lacrime e fare un brindisi.

 Jean-Marie potrebbe essere morto e i sogni di presidenza di Marine potrebbero essere sul punto di essere infranti, ma il movimento politico dei Le Pen sembra destinato a una robusta longevità.

 

 

 

 

La Polonia si prepara

alla guerra.

Politico.eu – (27-3- 2025) - Wojciech Kość – ci dice:

Varsavia sta già spendendo molto in difesa.

Ora ha bisogno di manodopera.

La Polonia è ora il maggiore spenditore di difesa della NATO con il 4,7 percento del PIL, ha l'esercito più grande dell'UE e sta spendendo miliardi in jet, razzi, carri armati, artiglieria e altro ancora.

VARSAVIA — Da quando la Polonia ha svelato il suo obiettivo di addestrare ogni maschio adulto alla guerra, essere titolare di un passaporto polacco ha assunto un carattere diverso.

Lo status di star di Hollywood non fa eccezione.

"Non c'è davvero nulla di cui aver paura!" ha stuzzicato il primo ministro polacco “Donald Tusk” l'attore statunitense “Jesse Eisenberg” in un video sui social media .

Il 41enne Eisenberg ha ottenuto la cittadinanza polacca all'inizio di questo mese per il suo ruolo in "A Real Pain", un dramma candidato all'Oscar su cugini ebrei separati che si riuniscono per un tour dell'Olocausto attraverso il paese.

Pochi giorni dopo che Eisenberg divenne cittadino, Tusk rivelò i piani per una radicale espansione militare.

 

"Ti daremo una formazione tale che il nuovo ruolo di James Bond? È tuo!" ha detto Tusk. Il PM polacco ha sottolineato che la formazione è volontaria.

La Polonia ha trascorso quasi due secoli come colonia di Mosca e conserva una profonda diffidenza nei confronti del paese.

L'invasione su vasta scala dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022 ha fatto salire alle stelle questa preoccupazione.

Varsavia è ora il maggiore spenditore della NATO per la difesa, con il 4,7% del PIL, ha l'esercito più grande dell'UE e spende miliardi di euro in jet, razzi, carri armati, artiglieria e altro ancora.

 

Ora lo Stato in prima linea sta preparando la sua popolazione alla guerra.

Se dovesse scoppiare un conflitto su vasta scala, la Polonia non avrebbe la profondità strategica di altri paesi europei, ha dichiarato a POLITICO il capo di Stato maggiore delle forze armate polacche, generale “Wiesław Kukuła”.

"Siamo vicini della Federazione Russa e del suo alleato, la Bielorussia, quindi non abbiamo un cuscinetto tra noi e loro e abbiamo solo un tempo limitato per prepararci e rispondere", ha affermato “Kukuła”.

 

Invece di affidarsi allo spazio per tenere a bada i russi, la Polonia sta pianificando di più che raddoppiare il suo esercito, portandolo a mezzo milione di soldati, e di addestrare milioni di riservisti, ha dichiarato Tusk al parlamento all'inizio di marzo.

"Entro la fine dell'anno vogliamo avere pronto un modello affinché ogni maschio adulto in Polonia sia addestrato per la guerra e affinché questa riserva sia adeguata a eventuali minacce", ha affermato Tusk in parlamento, aggiungendo che anche le donne possono arruolarsi.

Invece di affidarsi allo spazio per tenere a bada i russi, la Polonia sta pianificando di più che raddoppiare il suo esercito a mezzo milione di truppe e di addestrare milioni di riservisti.

La formazione sarà volontaria, ha affermato, per cercare di compensare le preoccupazioni relative a un ritorno alla politica di coscrizione obbligatoria, estremamente impopolare nel Paese e terminata nel 2008.

 

Per la Polonia, un paese ad alto reddito con alcuni dei tassi di crescita economica più elevati nell'UE, il passaggio alla prontezza al combattimento segnerà un cambiamento di mentalità e molti dei suoi cittadini sono ansiosi di iniziare.

"Voglio davvero sottopormi all'addestramento e, se necessario, spinto dall'odio per [il presidente russo Vladimir] Putin, voglio difendere la mia casa, sparargli e rendere la loro vita un inferno", ha detto Marek, un produttore mediatico trentasettenne di Varsavia, a cui è stato concesso il permesso di usare uno pseudonimo per parlare apertamente.

"Voglio difendere tutto ciò per cui ho lavorato, tutto ciò che ho costruito. In questo Paese mi sono guadagnato la mia casa, il mio posto, il mio spazio sicuro, e nessun bastardo russo me lo porterà via. Possono andare a farsi fottere da dove sono venuti."

Modalità operativa.

I dettagli sono ancora in fase di definizione da parte dell'esercito, che dovrebbe proporre un piano entro la fine di marzo, ha detto Kukuła.

 Il lavoro legislativo dovrebbe iniziare subito dopo.

Le autorità hanno in programma di lanciare programmi di addestramento militare a breve termine rivolti a civili senza esperienza pregressa, ha riferito il quotidiano Rzeczpospolita .

 Questi corsi accelerati, della durata di pochi giorni, introdurranno i partecipanti ai fondamenti della difesa civile, del primo soccorso e a determinate competenze militari.

 

Per coloro che hanno già ricevuto un addestramento militare, il governo offre corsi di aggiornamento mirati, pensati per affinare competenze specialistiche, tra cui l'uso delle armi da fuoco, la medicina di combattimento e la navigazione terrestre.

I civili che desiderano una preparazione più completa possono iscriversi a un programma di formazione della durata di un mese, disponibile sia in presenza che online.

 

"Il primo [obiettivo del programma di formazione] è migliorare la disponibilità e la qualità dei riservisti", ha detto Kukuła.

"Attualmente, l'esercito ha un gran numero di riservisti, ma la loro età media è già di circa 45 anni.

Se il conflitto e la pressione sulla Polonia persistono per un periodo prolungato, risorse di riservisti ben addestrati saranno essenziali per garantire che possano operare insieme ai soldati professionisti e alle Forze di difesa territoriale".

Il piano iniziale è di formare 100.000 persone entro la fine del 2026, ha affermato.

"Il secondo obiettivo è ancora più importante: dobbiamo preparare la società agli effetti di una crisi, anche se non tutti seguono un addestramento militare", ha affermato.

Ma il tempo potrebbe non essere dalla parte della Polonia, avvertono alcune alte personalità militari.

L'addestramento militare per adulti sembra essere solo una parte di un sistema più ampio che il governo Tusk sta cercando di costruire, aspettandosi il peggio dalla Russia.

"[I] russi stanno costruendo un esercito massiccio nelle retrovie.

Se non si raggiunge la pace e la divisione all'interno della NATO continua, la Russia attaccherà gli stati baltici", ha affermato l'ex vice capo dello Stato maggiore delle forze armate polacche, il generale “Leon Komornicki” .

 "Questo potrebbe accadere alla fine di quest'anno o all'inizio del prossimo. Un'invasione fa parte del loro piano".

 

“Jarosław Kraszewski”, ex comandante delle forze terrestri polacche per missili, razzi e artiglieria, ha dichiarato a “Radio Zet” che il piano di Tusk era un caso di " troppo poco e troppo tardi."

"Formare 100.000 persone all'anno? Troppo poche. Dovremmo riportare in auge la leva", ha detto il generale.

"Siamo passati a uno stile di vita consumistico, alle gioie della democrazia e a viaggiare per il mondo senza problemi, ma abbiamo dimenticato che ognuno di noi dovrebbe avere una conoscenza di base in questo ambito".

Mentalità di guerra.

I sondaggi suggeriscono che l'idea gode di un certo sostegno popolare, ma è tutt'altro che schiacciante.

Oltre la metà dei polacchi sostiene l'iniziativa, mentre il 39 percento ha dichiarato che sarebbe disposto a partecipare, secondo un sondaggio.

Un altro sondaggio ha rilevato che circa due terzi dei polacchi rimarrebbero nel paese se scoppiasse la guerra, mentre un terzo cercherebbe di fuggire.

"Se dovesse arrivare la guerra, cosa che considero improbabile ma non impossibile, allora, contrariamente a quanto afferma oggi “Donald Tusk”, la coscrizione verrebbe ripristinata e agli uomini, con poche eccezioni, verrebbe vietato di lasciare il Paese", ha affermato Patrycja Wieczorkiewicz, giornalista della pubblicazione di sinistra Krytyka Polityczna.

 

"Non riesco a immaginare di fuggire in una situazione del genere... lasciando indietro i miei amici, i miei colleghi e gli altri", ha affermato.

Ma ha detto che il suo movente non è il patriottismo.

 "Questa non sarebbe una lotta per la Polonia, ma contro un aggressore fascista-imperialista che uccide, stupra e tortura.

In base a quanto detto finora da Tusk, il programma sarà esteso, includendo corsi di guida di camion, quindi credo che ci sarà qualcosa di adatto anche a me", ha detto Wieczorkiewicz.

Ma non tutti sono disposti ad andare in guerra per difendere il Paese.

Un recente articolo del quotidiano Gazeta Wyborcza” ha citato i cittadini polacchi che dubitavano che il loro Paese avesse offerto loro abbastanza soldi da sentirsi obbligati a restituirli.

 

"Sono un patriota, amo il mio paese, ma questo non significa che devo morire per esso.

 Non sarei di alcuna utilità in una guerra, se non come carne da cannone", ha detto uno studente al giornale.

"Il mio attaccamento a questo paese è definito dalle tasse che pago e dal fatto che [esso] non mi offre alcuna reale possibilità di formare una famiglia in condizioni dignitose", ha detto lo studente, alludendo ai prezzi alle stelle delle case in Polonia e ai tassi dei mutui più alti d'Europa.

Il governo deve fare di più per garantire un interesse sufficiente nel programma, ha affermato l'esperto militare “Marek Kozubel”.

 

"Gli incentivi finanziari saranno cruciali, insieme a una campagna di marketing efficace che evidenzi i vantaggi dell'iscrizione a programmi di formazione. Questi dovrebbero includere competenze utili anche nella vita professionale, come conoscenze avanzate di meccanica o di funzionamento dei droni", ha affermato Kozubel.

La formazione cercherà di offrire ai polacchi competenze "utili sia in tempo di guerra che in tempo di pace, come la sicurezza informatica o la formazione medica", secondo Kukuła.

"Queste competenze potrebbero essere utili anche nel mercato del lavoro".

Gli incentivi presi in considerazione includono compensazioni finanziarie o agevolazioni fiscali per i partecipanti e i loro datori di lavoro, ha aggiunto il generale.

"Vogliamo che lo Stato polacco chiarisca che rispettiamo coloro che contribuiscono alla nostra difesa".

"Nessuno verrà respinto", ha detto il ministro della Difesa Władysław Kosiniak-Kamysz alla Radio polacca.

 "Non tutti diventeranno soldati, anche solo per via dell'età, ma potranno ricevere una formazione in difesa civile, pronto soccorso e risposta alle crisi".

L'addestramento militare per adulti sembra essere solo una parte di un sistema più ampio che il governo Tusk sta cercando di costruire, aspettandosi il peggio dalla Russia.

Un programma scolastico denominato “educazione con l’esercito” è in fase di ampliamento e le lezioni di ginnastica includeranno anche una componente di protezione civile, probabilmente a partire da settembre.

"Se siamo preparati, e se la Russia sa che lo siamo, questo sarà un deterrente significativo", ha detto Kukuła.

 "Secondo me, sarà abbastanza forte che la Russia, sapendolo, non inizierà nemmeno un conflitto".

 

 

 

 

 

Il ministro della Difesa tedesco segnala

 apertura alle forze di

peacekeeping in Ucraina.

Politico.eu – (27 marzo 2025) - Nette Nöstlinger – ci dice:

 

La decisione finale sull’invio di truppe tedesche dipenderà comunque da “molti parametri”, afferma Boris Pistorius a Berlino.

 

BERLINO — Il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius e il suo omologo estone, “Hanno Pevkur”, hanno manifestato la loro disponibilità a contribuire a garantire la pace in Ucraina con l'intervento militare sul campo, almeno in teoria.

"Non riesco a immaginare una situazione in cui la Germania non parteciperebbe a qualsiasi risultato dei negoziati per un cessate il fuoco o addirittura per una pace", ha detto “Pistorius” durante un evento organizzato congiuntamente da diversi organi di informazione giovedì a Berlino.

 

"Ma bisogna deciderlo quando sarà giunto il momento e dipende da molti parametri, come: quante truppe saranno comunque accettate nel cessate il fuoco? Quale potrebbe essere il mandato? Chi vi prenderà parte?

Non è niente di cui dovremmo discutere pubblicamente sui mercati prima ancora che sia chiaro se avremo un cessate il fuoco o meno", ha aggiunto.

I commenti di “Pistorius” sono arrivati ​​mentre i leader europei si incontravano a Parigi giovedì insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy per discutere di colloqui di cessate il fuoco e supporto militare a Kiev.

I leader avrebbero dovuto discutere di come rendere una proposta franco-britannica di schierare una "forza di rassicurazione" in Ucraina "più operativa e più concreta", ha affermato un funzionario della presidenza francese.

 

Martedì, Zelensky ha anche affermato che avrebbe fatto pressione sui partner per vedere “chi era pronto” a inviare soldati in Ucraina.

Il rappresentante estone “Pevkur” ha sottolineato l'importanza di chiarire il mandato in base al quale verranno dispiegate le truppe.

"Quando le nostre truppe saranno lì — truppe tedesche, truppe estoni, truppe francesi, truppe britanniche — allora quelle truppe saranno fisse lì e ci sarà la tentazione per la Russia di legarci lì e poi di metterci alla prova da qualche altra parte", ha detto” Pevkur”.

 Ci sono "così tante cose da discutere prima di dire, 'Sì, ci siamo', o 'Sì, sosterremo gli ucraini in questo modo'.

Ma di sicuro ne discuteremo molto seriamente".

 

La garanzia di sicurezza ideale per l'Ucraina sarebbe l'adesione alla NATO, ha aggiunto Pevkur.

Ma alla luce dei colloqui in corso tra Stati Uniti e Russia, l'adesione alla NATO sembra, per ora, improbabile, ha affermato Pistorius.

"Il presidente Trump ha tolto dal tavolo l'adesione dell'Ucraina alla NATO, senza alcuna pressione", ha detto Pistorius.

 "E quindi temo che l'adesione dell'Ucraina alla NATO sia fuori dal tavolo e spero che non ci rimanga, ma vedremo".

Entrambi gli uomini hanno sostenuto che una pace duratura per l'Ucraina è possibile solo se Kiev e i suoi alleati europei prendono parte ai negoziati di pace.

 

Pistorius, tuttavia, non è sembrato convinto che gli europei si sarebbero assicurati un posto al tavolo dei colloqui dell'amministrazione Trump, anche se le sue controparti francese e britannica cercano di ottenere tale ruolo dimostrando la volontà di inviare truppe di mantenimento della pace in caso di un accordo finale.

 

"Vediamo se hanno successo", ha detto Pistorius dell'approccio franco-britannico. "Lo spero, ma per il momento non ci credo. Non c'è alcun segnale visibile o di cui si possa sentire parlare a Washington che siano disposti a lasciarci sul tavolo. E temo che potrebbe rimanere così".

Ciò che resta poco chiaro è anche se Pistorius, uno dei politici più popolari in Germania, secondo i sondaggi, sarà ancora al comando tra un paio di settimane.

 Il suo partito di centro-sinistra “Social Democratic Party” (SPD) è attualmente impegnato in trattative di coalizione con i vincitori conservatori delle elezioni di febbraio del paese, e deve ancora essere deciso se manterrà il suo incarico di ministro della Difesa una volta che il nuovo governo sarà insediato.

Pistorius, tuttavia, ha chiarito ancora una volta di voler restare.

"Mi piacerebbe continuare il mio lavoro perché non è ancora finito", ha detto.

 

 

 

Alcuni nuovi racconti

dal “Lato Oscuro”.

Unz.com - Filippo Giraldi – ( 27 marzo 2025) – ci dice:

 

Continuano i pestaggi e gli arresti sia negli Stati Uniti che in Medio Oriente.

Il ciclo di notizie della scorsa settimana è stato dominato dai rapporti e dall'analisi della chat di gruppo di “Signal” che coinvolge alti funzionari della sicurezza nazionale che discutono aspetti dei recenti attacchi aerei che sono stati diretti contro gli Houthi nello Yemen.

Ci sono quattro domande fondamentali che vengono esaminate sia dai media che dai funzionari governativi eletti e nominati.

 Il primo è l'apparente ignoranza di ordinare l'attacco, dal momento che il panel sembrava non sapere molto sull'obiettivo o sul motivo per cui gli Stati Uniti stavano intensificando il conflitto.

In secondo luogo, c'è stata l'inclusione, forse accidentale, nella lista dei partecipanti di un giornalista che è strettamente legato all'Israele sionista, avendo prestato volontariamente servizio nell'esercito israeliano come guardia carceraria, dove potrebbe aver torturato i palestinesi, e che plausibilmente ha la doppia cittadinanza statunitense-israeliana.

 Il terzo è la sicurezza della “tecnologia Signal” stessa, che secondo quanto riferito è stata inizialmente creata per consentire tale condivisione di opinioni riservate online per scopi criminali, ma che potrebbe essere vulnerabile alla penetrazione da parte di qualsiasi servizio di intelligence straniero professionale, compresi quelli di Russia, Cina, Regno Unito e, naturalmente, Israele, che avrebbero avuto un serio interesse in ciò che Washington intendeva fare in Yemen.

 In quarto luogo, c'è la questione se Donald Trump fosse a conoscenza dell'incontro e abbia approvato ciò di cui si stava discutendo.

 

La mia esperienza personale di comunicazioni sicure che contengono riunioni risale a quasi cinquant'anni fa, quando quasi tutte le strutture legate alla sicurezza nazionale, comprese le ambasciate e le basi militari, avevano una cosiddetta "bolla" che era chiusa e sigillata elettronicamente per impedire la penetrazione esterna per sapere cosa veniva discusso e da chi.

Da allora, ci sono stati enormi progressi nella protezione delle comunicazioni, ma gli amici che sono ancora nella comunità dell'intelligence insistono sul fatto che ciò che viene protetto può essere reso vulnerabile dalle agenzie informatiche che esistono in vari paesi competitivi che spendono miliardi di dollari per fare proprio questo.

I partecipanti all'incontro di “Signal” si stanno ora affrettando a sostenere la loro tesi secondo cui non hanno fatto nulla di sbagliato, e il Segretario alla Difesa” Pete Hegseth” in particolare sostiene che la discussione non è stata classificata, anche se la questione riguardava l'intelligence sensibile riguardante i piani degli Stati Uniti per l'escalation di una guerra contro un paese con il quale non era tecnicamente in guerra.

I negazionisti hanno certamente torto nel sostenere questa tesi, o questo o sono stati incapaci di capire cosa c'era sul tavolo.

 La presenza di “£Jeffrey Goldberg “della rivista” The Atlantic” è più difficile da comprendere in quanto non è amico dell'amministrazione Trump, ma ora si sostiene che sia stata fatta distrattamente da “Michael Waltz”, il direttore della sicurezza nazionale che ha presieduto la riunione, o che sia stata causata da un attacco di confusione dovuto al fatto che il "Goldberg" che avrebbe dovuto essere invitato era qualcun altro.

 In ogni caso, “Jeffrey Goldberg” ha prima fatto emergere la storia dell'incontro con “Signal” e poi ha proseguito con una trascrizione completa.

È stata tutta una sorta di astuto stratagemma per spingere Trump a prendere la decisione di andare a tutto gas e attaccare l'Iran?

Non sarebbe al di sopra di Netanyahu organizzare qualcosa di così contorto e completamente malvagio e vedremo presto sull'Iran, ma certamente “Goldberg “avrebbe potuto essere lì solo a causa della manipolazione di una situazione in cui stava perseguendo un'agenda filo-israeliana.

“Waltz” si sta prendendo il merito dell'intoppo al momento, ma quella posizione potrebbe cambiare man mano che subisce maggiori pressioni per dimettersi.

 

In ogni caso, la” storia di Signal” sarà senza dubbio discussa e sia abbellita che liquidata nei prossimi giorni, ma una cosa che dimostra è la relativa mancanza di conoscenza che si presenta come incompetenza da parte del team di sicurezza nazionale di Trump.

 E anche il ruolo di Trump stesso sarà oggetto di accesi dibattiti, poiché ha svolto personalmente un ruolo chiave nel processo decisionale in politica estera, e se finora ha parlato solo per sostenere il lavoro dei suoi subordinati.

 

In realtà ci sono un paio di altre storie emerse la scorsa settimana che preferisco di gran lunga.

 La prima è la battaglia in corso per mettere a tacere, imprigionare e addirittura deportare chiunque critichi Israele o il comportamento del gruppo ebraico.

Questo è stato il lavoro numero uno per la lobby israeliana, che ha avuto un enorme successo sia sotto le amministrazioni di Joe Biden che di Donald Trump, tanto che il sentimento che Israele controlli l'America è cresciuto tra l'opinione pubblica statunitense a tal punto che emerge regolarmente.

 

Il Dipartimento di Giustizia avrebbe agito in base all'Ordine Esecutivo del Presidente Trump sulle “Misure Aggiuntive per Combattere l'Antisemitismo”, attraverso la formazione di una “Task Force multi-agenzia” per “Combattere l'Antisemitismo”.

La prima priorità della Task Force sarà quella di sradicare le molestie antisemite nelle scuole e nei campus universitari.

 Attualmente è in agguato, visitando quattro città (Chicago, New York, Los Angeles e Boston) dove indagherà su dieci università d'élite.

È stato suggerito che gli investigatori israeliani potrebbero benissimo far parte delle squadre che entreranno effettivamente nelle aule, nei dormitori e negli edifici amministrativi del campus, il tutto senza mandati di perquisizione o probabile causa.

E le università si sono sostanzialmente arrese sulla questione della libertà di parola, garantita dal “Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti” e considerata da molti come il "diritto" più vitale se le persone devono godere delle libertà fondamentali.

 

Un recente arresto di una studentessa straniera è avvenuto a “Somerville”, Massachusetts, martedì 25 marzo, quando la studentessa laureata turca “Rumeysa Ozturk” era in viaggio per incontrare degli amici a una cena” Iftar” per rompere il digiuno del Ramadan, ma non ce l'ha fatta.

 Invece, la trentenne è stata arrestata e trattenuta fisicamente da sei ufficiali dell'immigrazione armati in borghese vicino al suo appartamento, vicino al campus della “Tufts University” dove era una studentessa di dottorato.

 Le telecamere di sorveglianza mostrano come un ufficiale che indossava un cappello e una felpa con cappuccio le abbia afferrato le braccia, facendola urlare di paura mentre un altro le ha confiscato il cellulare.

 Gli ufficiali avrebbero mostrato i loro distintivi solo dopo che “Ozturk” è stata trattenuta con le mani ammanettate dietro la schiena.

Secondo l'università, era iscritta a un programma di dottorato presso la “Tufts University” con un visto F-1 valido, che consente agli studenti internazionali di proseguire gli studi accademici a tempo pieno, in cui era in regola.

Un portavoce del “Department of Homeland Security “(DHS) ha rilasciato una dichiarazione mercoledì affermando che “Ozturk "si è impegnata in attività a sostegno di Hamas, che si compiace di uccidere americani", ma non ha specificato quali fossero queste presunte attività.

 Infatti, gli amici riferiscono che “Ozturk” non è stata nemmeno attiva nelle dimostrazioni pro-palestinesi.

 Il portavoce del DHS ha comunque insistito e ha spiegato che "Un visto è un privilegio, non un diritto”.

Glorificare e sostenere i terroristi che uccidono americani è motivo per cui il rilascio del visto deve essere interrotto.

Questa è sicurezza di buon senso".

Tuttavia, non sono state presentate accuse effettive contro” Ozturk”, ma il Dipartimento di Stato ha indicato che il suo visto è stato interrotto e che è stata trasferita al “Central Louisiana Immigration and Customs Enforcement (ICE) Processing Center” a Basile, dove sono trattenuti anche altri studenti.

 

Si ritiene che il vero "crimine" di “Ozturk “sia consistito nell'aver co-scritto un editoriale del marzo 2024 sul giornale della scuola in cui criticava la risposta di “Tufts” al movimento filo-palestinese, chiedendo alla scuola di "riconoscere il genocidio palestinese" e sollecitando anche la dismissione di qualsiasi partecipazione in società e governo israeliani.

“ Ozturk” è stato, in una certa misura, una vittima della giustizia vigilante.

 La sua foto ei suoi dettagli appare su un sito web chiamato “Canary Mission”, gestito da un gruppo estremista ebraico che afferma di dedicarsi a documentare individui e organizzazioni "che promuovono l'odio per gli Stati Uniti, Israele e gli ebrei nei campus universitari nordamericani e oltre".

I funzionari della “Tufts University” hanno detto che la scuola non era a conoscenza dell'arresto e non ha collaborato con esso.

Diversi professori, parlando in via ufficiosa, sono rimasti scioccati e hanno descritto come molti nel campus hanno paura di ciò che verrà dopo.

Naturalmente, il presidente Trump non ha registrato alcuna lamentela per il trattamento riservato a “Ballal”.

Ciò che è accaduto al palestinese non è stato solo un incontro casuale.

Come co-regista di un film che documenta la pulizia etnica dei palestinesi e la violenta espansione degli insediamenti israeliani nella sua regione, ha utilizzato la sua piattaforma per parlare direttamente e senza scuse dell'apartheid e del furto israeliani.

“ Friends of Israel” vede chiaramente questo come una minaccia e sono riusciti a bloccare la proiezione del documentario negli Stati Uniti, dove non è stato possibile ottenere un distributore.

Prendere di mira “Ballal” fa parte di una strategia più ampia del governo israeliano e di gruppi come i coloni per mettere a tacere le figure culturali e i narratori della verità palestinesi, in particolare coloro che riescono a stabilire narrazioni di spicco in tutto il mondo.

Il messaggio di fondo è che se anche un regista pluripremiato non è immune alla violenza dello stato, allora i palestinesi dovrebbero giustamente camminare nella paura o andarsene.

La parte triste è che i media internazionali, che avrebbero dovuto riconoscere che qualcosa non andava quando palestinesi senza riconoscimenti e credenziali globali — studenti, contadini, madri, insegnanti — venivano arrestati, picchiati e torturati dalle forze israeliane ogni giorno, hanno ignorato la loro situazione.

Le loro storie non fanno notizia.

 I loro nomi sono raramente noti.

Nella morte, tutto ciò che diventano è un numero, come le decine di migliaia di persone che sono sepolte sotto le macerie a Gaza e che non saranno mai commemorate.

(Philip M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest, una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501(c)3).

 

 

 

 

L'America come Repubblica, non come Impero.

Il "Rumore e la Furia" dell'Europa

dopo le svolte sbalorditive

della politica statunitense.

Unz.com - Alastair Crooke – (26 febbraio 2025) – ci dice:

 

Trump non crede alla menzogna primaria intesa come collante che tiene insieme l'intera struttura geopolitica dell'UE.

I pezzi seguono uno schema ben preciso, uno schema pre-preparato.

 

Il Segretario alla Difesa “Hegseth” alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco ci ha dato quattro "no":

No all'Ucraina nella NATO; No al ritorno ai confini pre-2014; No ai "backstop" dei peacekeeper dell'"Articolo 5" e "No" alle truppe statunitensi in Ucraina.

 E in un ultimo svolazzo, ha aggiunto che le truppe statunitensi in Europa non sono "per sempre" - e ha persino messo un punto interrogativo sulla continuità della NATO.

 

Parlando in modo piuttosto semplice! Gli USA stanno chiaramente tagliando fuori dall'Ucraina. E intendono normalizzare le relazioni con la Russia.

Poi, il vicepresidente “Vance” ha lanciato il suo petardo tra le élite europee riunite. Ha detto che le élite si erano ritirate dai valori democratici "condivisi"; erano eccessivamente dipendenti dalla repressione e dalla censura dei loro popoli (tendenti a rinchiuderli); e, soprattutto, ha criticato aspramente il cordone sanitario europeo ("firewall") con cui i partiti europei al di fuori del centro-sinistra sono considerati politicamente non grati:

è una falsa "minaccia", ha suggerito. Di cosa siete davvero così spaventati? Avete così poca fiducia nella vostra "democrazia"?

 

Gli Stati Uniti, ha lasciato intendere, non sosterranno più l'Europa se continuerà a reprimere le circoscrizioni politiche, ad arrestare cittadini per reati di parola e, in particolare, ad annullare le elezioni, come è stato fatto di recente in “Romania.”. "Se ti candidi per paura dei tuoi stessi elettori", ha detto Vance, "non c'è nulla che l'America possa fare per te".

 

Ahi! Vance li aveva colpiti dove faceva più male.

 

È difficile dire cosa abbia specificamente innescato il crollo catatonico europeo: è stata la paura che Stati Uniti e Russia si unissero per formare un nesso di grande potenza, impedendo così all'Europa di scivolare nuovamente sulla scia della potenza americana, attraverso l'idea speciosa che ogni stato europeo debba avere un accesso eccezionale all'orecchio di Washington?

 

Oppure è stata la fine del culto Ucraina/Zelensky, che era così apprezzato tra l'élite europea come la "colla" attorno alla quale si poteva imporre una falsa unità e identità europea? Probabilmente entrambi hanno contribuito alla furia.

 

Che gli Stati Uniti abbandonassero sostanzialmente l'Europa alle proprie illusioni sarebbe un evento disastroso per la tecnocrazia di Bruxelles.

Molti potrebbero pigramente supporre che la coppia statunitense a Monaco sia stata solo un altro esempio della ben nota passione trumpiana per l'abbandono di iniziative "stravaganti" volte sia a scioccare che a rovesciare paradigmi congelati.

 I discorsi di Monaco hanno fatto esattamente questo, eh!

 Eppure questo non li rende accidentali; piuttosto parti che si inseriscono in un quadro più ampio.

È ormai chiaro che la” guerra lampo di Trump nello Stato amministrativo americano” non avrebbe potuto avere luogo senza un'attenta pianificazione e preparazione degli ultimi quattro anni.

 

La raffica di ordini esecutivi presidenziali di Trump all'inizio della sua presidenza non è stata capricciosa.

Il principale avvocato costituzionalista statunitense, “Jonathan Turley”, e altri avvocati affermano che gli ordini sono stati ben redatti dal punto di vista legale e con la chiara consapevolezza che ne sarebbero derivate delle sfide legali. Inoltre, il team di Trump accoglie con favore tali sfide.

Cosa sta succedendo?

 Il capo dell' “Office of Budget Management”(OBM), “Russ Vought”, recentemente confermato, afferma che il suo ufficio diventerà l'"interruttore on/off" per tutte le spese esecutive in base ai nuovi ordini esecutivi.

“Vought “chiama il vortice che ne è derivato l'applicazione del radicalismo costituzionale.

E Trump ha ora emesso l'ordine esecutivo che ripristina il primato dell'esecutivo come meccanismo di controllo del governo.

 

“Vaught”, che era in OBM in Trump 01, sta selezionando attentamente il terreno per una guerra finanziaria totale contro lo Stato Profondo.

 Si combatterà prima alla Corte Suprema – che il Trump Team si aspetta di vincere con fiducia (Trump ha la maggioranza conservatrice di 6-3).

 Il nuovo regime sarà poi applicato a tutte le agenzie e dipartimenti dello Stato. Aspettatevi urla di dolore.

 

Il punto qui è che lo Stato amministrativo – distante dal controllo esecutivo – si è assunto prerogative come l'immunità al licenziamento e l'autorità auto-assegnata di plasmare la politica – creando un sistema statale duale, gestito da tecnocrati non eletti, che, quando sono stati impiantati in dipartimenti come la Giustizia e il Pentagono, si sono evoluti nello” Stato Profondo americano”.

 

L'articolo due della Costituzione, tuttavia, dice molto schiettamente:

 il potere esecutivo deve essere conferito al Presidente degli Stati Uniti (senza se e senza ma).

Trump intende che la sua amministrazione recuperi il potere esecutivo perduto. Era, infatti, andata perduta molto tempo fa.

Trump sta rivendicando anche il diritto dell'Esecutivo di licenziare i "servitori dello Stato" e di "spegnere" le spese inutili a sua discrezione, come parte di un prerequisito esecutivo unitario.

 

Naturalmente, lo Stato amministrativo sta reagendo.

L'articolo di “Turley” è intitolato:

Stanno portando via tutto ciò che abbiamo:

democratici e sindacati lanciano una lotta esistenziale.

Il loro obiettivo è stato quello di paralizzare l'iniziativa di Trump attraverso l'uso di giudici politicizzati per emettere ordini di restrizione.

 Molti avvocati tradizionali ritengono che la pretesa dell'Esecutivo Unitario di Trump sia illegale.

La questione è se il Congresso può mettere in piedi Agenzie progettate per agire indipendentemente dal Presidente; e come si concilia questo con la separazione dei poteri e l'articolo due che conferisce il potere esecutivo incondizionato a un solo funzionario eletto: il presidente degli Stati Uniti.

 

Come hanno fatto i democratici a non vederlo arrivare?

 L'avvocato “Robert Barnes” afferma sostanzialmente che la "guerra lampo" era "eccezionalmente ben pianificata" e che era stata discussa nei circoli di Trump dalla fine del 2020.

Quest'ultimo team era emerso da un cambiamento generazionale e culturale negli Stati Uniti.

Quest'ultimo aveva dato origine a un'ala libertaria/populista con radici nella classe operaia che spesso aveva prestato servizio nell'esercito, ma era arrivata a disprezzare le bugie neo-con (specialmente quelle dell'11 settembre) che avevano portato a guerre infinite.

Erano più animati dal vecchio adagio di “John Adams” secondo cui "l'America non dovrebbe andare all'estero in cerca di mostri da uccidere".

In breve, non facevano parte del mondo WASP "anglo"; provenivano da una cultura diversa che richiamava il tema dell'America come Repubblica, non come Impero.

Questo è ciò che si vede con “Vance” e “Hegseth”: un ritorno al precetto repubblicano secondo cui gli USA non dovrebbero essere coinvolti nelle guerre europee.

 L'Ucraina non è la guerra dell'America.

 

Lo “Stato Profondo”, a quanto pare, non stava prestando attenzione a ciò che stava facendo un gruppo di anomalie "populiste", nascoste dalla rarefatta bottega della “Beltway”:

loro (i valori anomali) stavano pianificando un attacco concertato al rubinetto della spesa federale – identificato come il punto debole su cui potrebbe essere montato una sfida costituzionale che farebbe deragliare – nella sua interezza – le spese dello “Stato Profondo”.

 

Sembra che un aspetto della sorpresa sia stata la disciplina del “Trump Team”: "niente fughe di notizie".

E in secondo luogo, che coloro che sono coinvolti nella pianificazione non provengono dalla preminente “Anglo-sfera”, ma piuttosto da un filone della società che è stato offeso dalla guerra in Iraq e che incolpa l'"Anglo-sfera" per aver "rovinato" l'America.

Quindi il discorso di Vance a Monaco non è stato dirompente, solo per il gusto di esserlo;

stava, infatti, incoraggiando il pubblico a ricordare i primi valori repubblicani. Questo è ciò che si intende con la sua lamentela che l'Europa si era allontanata dai "nostri valori condivisi", ovvero i valori che animavano gli americani che cercavano di sfuggire alla tirannia, ai pregiudizi e alla corruzione del Vecchio Mondo.

“Vance” stava (abbastanza educatamente) rimproverando le élite europee per essere ricadute nei vecchi vizi europei.

Vance implicitamente stava anche suggerendo che i libertari conservatori europei avrebbero dovuto emulare Trump e agire per sbarazzarsi dei loro "Stati amministrativi" e recuperare il controllo sul potere esecutivo.

Abbattete i firewall, ha consigliato.

 

Perché?

Perché probabilmente vede lo “Stato Tecnocratico” di "Bruxelles" come niente altro che una propaggine pura dello “Stato Profondo Americano” - e quindi molto probabilmente cercherà di silurare e affondare l'iniziativa di Trump di normalizzare le relazioni con Mosca.

Se questi erano gli istinti di Vance, aveva ragione.

 Macron convocò quasi immediatamente una "riunione di emergenza" del "partito della guerra" a Parigi per valutare come frustrare l'iniziativa americana. Tuttavia fallì, precipitando, a quanto si dice, in litigi e acrimonia.

 

Emerse che l'Europa non poteva radunare una forza militare "di punta" superiore a 20.000-30.000 uomini.

 Scholtz si oppone in linea di principio al loro coinvolgimento;

La Polonia ha esitato come vicino stretto dell'Ucraina;

 e l'Italia è rimasta in silenzio.

Starmer, tuttavia, dopo Monaco, ha immediatamente telefonato a Zelensky per dire che la Gran Bretagna vedeva l'Ucraina su un percorso irrevocabile verso l'adesione alla NATO, contraddicendo così direttamente la politica degli Stati Uniti e senza alcun sostegno da parte di altri Stati.

 Trump non dimenticherà questo, né dimenticherà il precedente ruolo della Gran Bretagna nel sostenere l'insulto del “Russia gate” durante il suo primo mandato.

 

L'incontro ha tuttavia sottolineato le divisioni e l'impotenza dell'Europa. L'Europa è stata messa da parte e la loro autostima è gravemente ferita. Gli Stati Uniti in sostanza lascerebbero l'Europa alle loro illusioni, il che sarebbe disastroso per l'autocrazia di Bruxelles.

Eppure, molto più importante della maggior parte degli eventi degli ultimi giorni è stato quando Trump, parlando con “Fox News”, dopo aver partecipato a “Daytona”, ha respinto la bufala di Zelensky secondo cui la Russia voleva invadere i paesi della NATO.

 "Non sono d'accordo con questo; nemmeno un po'", ha ribattuto Trump.

Trump non crede alla menzogna primaria intesa come collante che tiene insieme l'intera struttura geopolitica dell'UE.

 Perché, senza la "minaccia russa"; senza che gli USA credano alla menzogna del perno globalista, non può esserci alcuna pretesa che l'Europa debba prepararsi alla guerra con la Russia.

 L'Europa alla fine dovrà arrivare a riconciliare il suo futuro come periferia dell'Eurasia.

 

 

 

 

L'intelligenza artificiale ci sta portando

il comunismo che Marx, Engels, Lenin,

 Mao e Pol Pot non sono stati

in grado di realizzare.

Unz.com - Paul Craig Roberts – (27 marzo 2025) – ci dice:

 

La rivoluzione digitale è uguale al comunismo.

Il podcast PCR con” Soren Korsgaard”.

Finalmente è arrivata l'uguaglianza.

(rumble.com/v6r8xiq-the-paul-craig-roberts-podcast-ai-and-the-digital-revolution-are-mankinds-d.html).

L'intelligenza artificiale potenzia notevolmente i truffatori e gli usi malevoli di Internet.

“Malware bytes “forniscono aggiornamenti sulle minacce più recenti. Eccone un paio:

I falsi siti Web “CAPTCHA “dirottano gli appunti per installare ladri di informazioni.

(malwarebytes.com/blog/news/2025/03/warning-over-free-online-file-converters-that-actually-install-malware?utm_source=itera ble&utm_medium=email&utm_campaign=b2c_pro_oth_20250324_marchweeklynewsletter_paid_v4_1_174250044006&utm_content=wolf_in_sheep_clothing).

 

(malwarebytes.com/blog/news/2025/03/android-devices-track-you-before-you-even-sign-in?utm_source=iterable&utm_m edium=email&utm_campaign=b2c_pro_oth_20250317_marchweeklynewsletter_v3_174193602475&utm_content=Android_figure_on_keyboard).

 

La rivoluzione digitale e l'intelligenza artificiale non sono solo la più grande minaccia possibile alla nostra privacy e sicurezza finanziaria, ma anche ai nostri valori, perché la rivoluzione digitale rende possibile il comunismo, il nostro probabile futuro.

Gli umani, come i Borg di Star Trek, non saranno più individui capaci di pensare. Faranno parte di un collettivo con una mente collettiva imposta dalle narrazioni ufficiali, con tutte le narrazioni non ufficiali censurate come disinformazione.

 

Già nelle università americane e nelle scuole pubbliche agli studenti viene insegnato che il rispetto delle narrazioni ufficiali viene premiato e che l'intelligenza è la capacità di ricordare e ripetere.

 Anche questo viene aggirato, perché gli studenti non conoscono più una materia o come usare la lingua per scrivere un tema.

L'intelligenza artificiale lo fa per loro, quindi in cosa consiste l'educazione moderna?

 Consiste nel saper usare l'intelligenza artificiale per risolvere problemi di matematica e fisica e scrivere i tuoi documenti di storia e inglese.

Non è necessario conoscere la fisica, la storia matematica o come usare la lingua. Non imparando mai queste abilità, l'istruzione produce cittadini non istruiti.

 

Sono proprio queste le persone che saranno rese inutili dall'IA.

 L'intelligenza artificiale ha un enorme vantaggio rispetto ai ricercatori e alla memoria e alla ripetizione.

 Medici, avvocati, ingegneri, architetti saranno necessari solo in piccolo numero per digitare nei computer i sintomi medici, i precedenti legali, i parametri architettonici dell'edificio ei parametri del problema ingegneristico.

 La capacità dell'intelligenza artificiale di riconoscere i modelli e di cercare rapidamente nelle banche dati elimina la maggior parte degli scopi delle classi professionali superiori.

 

Il processo della tecnologia che separa gli studenti dalle capacità di apprendimento è forse iniziato con le calcolatrici portatili, il che ha portato i bambini a smettere di imparare le tabelline.

 Con l'avvento delle tastiere dei computer, gli studenti hanno smesso di imparare a scrivere in corsivo.

 

Mentre l'intelligenza artificiale sostituisce le competenze umane, distrugge anche i lavori umani.

 Ciò che le persone, in particolare gli economisti libertari del libero mercato, non hanno capito è che, a differenza dei precedenti progressi tecnologici, l'intelligenza artificiale elimina la necessità degli esseri umani di svolgere lavori.

 L'intelligenza artificiale è un passo oltre l'offshoring.

 L'offshoring ha eliminato i lavori degli americani trasferendoli in Cina, altre parti dell'Asia e in Messico.

Ma gli esseri umani hanno comunque svolto i lavori.

 Le prestazioni umane non sono state eliminate, solo un cambiamento nella posizione delle prestazioni.

 

In passato, quando la tecnologia distruggeva i lavori domestici (come nel "putting out system") e li trasferiva nelle fabbriche, il progresso tecnologico non eliminava la necessità che gli esseri umani svolgessero i lavori.

Il sistema di fabbrica semplicemente riuniva i lavori sotto un unico tetto.

 

L'intelligenza artificiale è una forma di tecnologia totalmente diversa.

 Elimina la necessità delle persone.

 Quindi cosa fa l'umanità?

L'assenza di scopo è il motivo per cui “Bill Gates” e il “World Economic Forum” vogliono ridurre la popolazione mondiale.

 

In un precedente articolo, ho detto che io e un collega avremmo presentato un caso secondo cui l'intelligenza artificiale avrebbe liberato l'umanità assumendo lavori indesiderabili e tristi.

 Il mio collega lo crede sinceramente, ma io no.

Penso che l'intelligenza artificiale disconnette le persone l'una dall'altra e da sé stesse.

Lo considero non solo un inconveniente, ma l'epitome del male.

Ciononostante, cercherò di mantenere il mio impegno nel presentare un possibile ritratto positivo della rivoluzione digitale.

 Questo è il primo compito della mia vita in cui non ho fiducia.

 Se i lettori desiderano contribuire a formare un ritratto positivo dell'IA, sono lieto di sentirli.

 Ci sono aspetti positivi.

Ad esempio, le persone possono lavorare da casa e partecipare a riunioni e conferenze faccia a faccia senza spostarsi.

Ma anche gli aspetti positivi hanno dei costi.

Lavorare da casa è isolante, così come l'assenza di viaggi che riduce le esperienze. La vita in un mondo virtuale è davvero vita?

Il sistema di messa fuori servizio.

Alcune industrie che erano piccole all'inizio del Medioevo potrebbero fino a diventare piuttosto grandi e questa crescita influenzò i cambiamenti nell'organizzazione del lavoro.

 La più importante di quest'era l'industria dei tessuti di lana.

 

Per ragioni di costo e disponibilità, la lana è stata il materiale di base per l'abbigliamento nell'Europa occidentale fino all'inizio dei tempi moderni (le piantagioni di cotone statunitensi del XIX secolo nel sud hanno alterato la composizione dell'abbigliamento).

Il lino e la seta erano troppo costosi per qualsiasi uso su larga scala e il cotone veniva coltivato solo in piccoli volumi.

La produzione di stoffe di lana comportava diverse fasi che richiedevano molto tempo:

 la pulitura e la cardatura (raddrizzamento delle fibre arricciate e annodate tosate dalle pecore), la filatura delle fibre in filo, la tessitura del filo in stoffa, la tosatura di nodi e rugosità e la tintura.

 Tutti questi processi potevano essere eseguiti all'interno di una singola famiglia contadina, poiché richiedevano solo semplici apparati e abilità rudimentali. In genere, i bambini cardavano la lana, le donne azionavano l'arcolaio e gli uomini lavoravano le navette del telaio.

Il tessuto prodotto da tali strumenti rudimentali e da lavoratori relativamente non qualificati era grezzo ma utilizzabile.

Quelli al di sopra della classe contadina, tuttavia, desideravano abiti più comodi e attraenti che venivano prodotti da artigiani qualificati.

La conseguente domanda di tessuti migliori fece sì che l'industria superasse i mezzi di produzione delle famiglie contadine.

Fu istituita una nuova organizzazione del lavoro, chiamata "sistema di messa fuori", in cui un mercante di stoffe acquistava lana grezza, la "metteva fuori" per essere cardata, filata e tessuta in tessuto, e poi portava il tessuto attraverso i processi di finitura con l'aiuto di artigiani qualificati.

 Poiché i filatori e i tessitori rimanevano contadini, guadagnavano anche parte del loro sostentamento dai terreni su cui sorgevano le loro case, il che significava che agricoltura e industria venivano perseguite come una sorta di impresa integrata.

L'uomo poteva lavorare nei campi mentre sua moglie filava e in inverno l'uomo aiutava nella produzione tessile.

Al momento del raccolto ogni mano era fuori nei campi, lasciando temporaneamente inattivi i filatoi e i telai.

 

Il sistema di produzione differiva dalla produzione domestica contadina in quanto il commerciante di stoffa, o imprenditore, acquistava la lana grezza e possedeva il prodotto in tutte le fasi della sua preparazione (i lavoratori a domicilio possedevano ancora i propri filatoi, telai e altri strumenti).

Così, il contadino veniva a lavorare su materiali che non gli appartenevano.

 D'altra parte, il lavoro veniva svolto a casa (noto come sistema a domicilio o sistema domestico) piuttosto che in una fabbrica, e il lavoro procedeva al ritmo del lavoratore.

 Il mercante organizzava semplicemente il lavoro organizzando l'ordine e la sequenza dei vari processi tecnici, non supervisionava l'effettivo rendimento degli operai.

 Ciononostante, il mercante di stoffe che iniziò a produrre stoffe arrivato a controllare l'intero processo di produzione.

Questo rappresentò un passo verso il capitalismo industriale che emerse nel XIX secolo.

 

Il capitalismo industriale è il risultato delle recinzioni.

Prima delle recinzioni, la terra non era posseduta nel senso in cui lo è oggi.

I signori e i servi della gleba avevano diritti d'uso sulla terra.

 Nessuno lo possedeva.

 I signori avevano diritti d'uso sul lavoro dei servi della gleba, perché l'accordo originale che stabiliva il sistema feudale era che le persone libere diventavano servi della gleba in cambio della protezione dai predatori predoni Vichinghi, Saraceni, Unni.

 

Le crociate hanno fatto capire all'Europa e all'Inghilterra che c'erano deliziosi beni di consumo non disponibili in Occidente.

 Nacque la consapevolezza che se il maniero fosse stato organizzato per la produzione di colture da reddito, invece di essere mantenuto come strumento di autosufficienza, il denaro sarebbe stato disponibile per il commercio.

Questa realizzazione ha richiesto la fine di un'economia in cui i diritti d'uso determinavano i diritti di proprietà e, poiché la terra non era di proprietà, la terra non poteva essere venduta.

La trasformazione – le Enclosures – realizzata, secondo Karl Marx "con il fuoco e la spada", ha creato la proprietà privata della terra e un mercato del lavoro.

 I servi della gleba non erano più soggetti al governo del loro tempo, che possedeva parte del loro lavoro.

 I servi della gleba emersero come uomini liberi che possedevano il proprio lavoro (non c'era alcuna impostazione sul reddito) e lo vendevano nei mercati del lavoro.

 In questo modo le recinzioni creano un mercato del lavoro e la proprietà privata della proprietà.

 

 

 

 

In che modo la Cina sconvolgerà

l'industria dell'intelligenza artificiale.

 

Unz.com - Hua Bin – (22 marzo 2025) – ci dice:

La strategia cinese sull'intelligenza artificiale è la stessa per tutti i settori: vincere cambiando la propria economia.

Da quando ho pubblicato i saggi in tre parti sulle tendenze chiave dello sviluppo dell'IA in Cina, ho incontrato alcuni VC fortemente coinvolti negli investimenti nell'IA nel paese.

Dalle conversazioni, è emerso chiaramente uno schema della strategia delle aziende cinesi di intelligenza artificiale, che si è incastrato nelle mie previsioni.

In breve, gli attori dell'IA in Cina intendono avere successo allo stesso modo delle aziende cinesi di veicoli elettrici, fotovoltaici e biofarmaceutici, vincendo cambiando l'economia di queste aziende.

 In parole povere, intendono superare la concorrenza rendendo l'adozione dell'IA su larga scala e a basso costo, neutralizzando i rivali con un modello di business ad alto costo e ad alto margine.

 

Concorso.

Dal 2018, il governo degli Stati Uniti ha tentato di strangolare lo sviluppo dell'intelligenza artificiale in Cina attraverso il controllo delle esportazioni di chip e la negazione dell'accesso ai modelli di intelligenza artificiale più avanzati sviluppati negli Stati Uniti.

 Il lancio di “Deep Seek “ha rotto la morsa e ha dimostrato la resilienza e la capacità di innovazione della Cina.

 

Successivamente, il governo degli Stati Uniti ha iniziato a vietare “Deep Seek” nelle agenzie governative e “OpenAI “sta facendo pressioni per vietare “Deep Seek “in modo più ampio negli Stati Uniti.

 È concepibile che il regime degli Stati Uniti farà pressione sui suoi stati clienti per vietare anche “Deep Seek”, come ha fatto con “Huawei”.

È probabile che restrizioni simili impongano ad altre società cinesi di intelligenza artificiale.

La risposta delle aziende cinesi è interessante.

Dal lancio di “Deep Seek”, c'è una marea di modelli di intelligenza artificiale ad alte prestazioni in arrivo in Cina:

Qwen di Alibaba, Doubao di ByteDance, Hunyuan di Tencent, Ernie di Baidu.

A differenza dei loro concorrenti statunitensi, questi modelli di intelligenza artificiale sono” open source” e” gratuiti “, essenzialmente regalati a chiunque nel mondo per scaricarli, modificarli e integrarli.

 

Perché lo stanno facendo e qual è la strategia che c'è dietro?

 

Strategia di confronto.

Dal rilascio di “ChatGPT” nel novembre 2022, i giganti tecnologici statunitensi di OpenAI, Microsoft, Google e Meta hanno perseguito la stessa strategia:

 hanno accumulato i “chip AI” più avanzati di “Nvidia”, investito decine di miliardi in data center, sviluppato “LLM proprietari chiusi “e stanno addebitando elevati costi di abbonamento o di licenza per monetizzare i loro prodotti.

 

Queste aziende tecnologiche trattano l'intelligenza artificiale come una risorsa esclusiva, limitando l'accesso ai loro modelli più potenti dietro il “paywall”.

“OpenAI”, “Google Deep Mind e “Anthropic “limitano l'accesso completo ai loro modelli di intelligenza artificiale più avanzati, offrendoli attraverso abbonamenti a pagamento e offerte aziendali.

 Questi programmi di intelligenza artificiale hanno un valore di molti miliardi di dollari poiché gli investitori si aspettano rendimenti fuori misura.

Fondamentalmente, l'investimento in intelligenza artificiale delle aziende della “Silicon Valley” si basa su un modello di business ad alto costo e ad alto margine, protetto da un fossato di proprietà intellettuale.

Il modello di business è ulteriormente rafforzato dai requisiti di investimento proibitivi per l'elaborazione della grezza, accessibili solo ai giganti tecnologici più ricchi del mondo e in grado di prevenire qualsiasi concorrenza.

 

La strategia della Cina è l'effetto opposto.

 Negato l'accesso alle risorse di calcolo all'avanguardia, anche le più grandi aziende cinesi sono costrette a trovare soluzioni innovative per sviluppare modelli ad alte prestazioni senza i migliori chip.

Piuttosto che sul calcolo grezzo, le aziende cinesi si sono concentrate sull'ingegneria intelligente e sulle ottimizzazioni algoritmiche per sviluppare i loro modelli di intelligenza artificiale.

 

Quando i loro modelli iniziano a raggiungere la parità con i modelli statunitensi, hanno deciso di rendere “open source” il loro prodotto per mettere in comune le risorse di tutti gli sviluppatori e accelerare i miglioramenti.

Questo approccio presenta diversi vantaggi distinti:

– Bassa dipendenza dai chip AI più avanzati.

 

– Bassa necessità di capex.

– Decentralizzare lo sviluppo per sfruttare il pool globale di talenti dell'intelligenza artificiale.

– Consentire agli sviluppatori che hanno accesso ai migliori chip per contribuire al perfezionamento del modello.

– Iterazioni più veloci. L'intelligenza artificiale avanza attraverso l'iterazione. Ogni nuova versione si basa sulle precedenti, perfezionando i punti deboli, espandendo le capacità e migliorando l'efficienza.

 

Attraverso l'”open sourcing”, le aziende cinesi di intelligenza artificiale stanno creando un ecosistema in cui gli “sviluppatori globali” migliorano continuamente i loro modelli, senza sostenere tutti i costi di sviluppo.

Un simile approccio rimodellerà radicalmente l'economia dell'IA.

Se l'IA open source diventasse potente quanto i modelli statunitensi proprietari, la capacità di monetizzare i modelli fondamentali dell'IA verrebbe neutralizzata.

Perché pagare per modelli chiusi se esiste un'alternativa gratuita, aperta e altrettanto capace?

 

Rendendo gratuiti e abbondanti i modelli fondamentali di intelligenza artificiale, le aziende cinesi distruggeranno il modello di business a pagamento, costituito da sistemi chiusi e proprietari basati su enormi investimenti in conto capitale.

Come ulteriore vantaggio, una mossa del genere ridurrà la rilevanza del controllo dei chip e annullerà i vantaggi finanziari delle aziende statunitensi di intelligenza artificiale.

Naturalmente, il modello di IA open source gratuito non è un fine in sé.

 L'obiettivo finale dei player cinesi dell'IA è spostare l'IA dai modelli fondamentali alle applicazioni in cui la Cina ha vantaggi intrinseci: dati e mercato.

 La monetizzazione avverrà a livello di applicazione man mano che l'IA viene integrata nei settori e nei casi d'uso dei consumatori.

Invece di fare soldi con i modelli di IA, le aziende cinesi di IA genereranno entrate e profitti vendendo soluzioni di IA, costruendo IA incarnata e incorporando l'IA in beni e servizi di consumo.

Vasti bacini di profitto esistono in umanoidi, guida autonoma, infrastrutture intelligenti, applicazioni manifatturiere e sanitarie e altro ancora.

Il governo cinese sta già accelerando l'applicazione della tecnologia AI nelle aziende statali, dalle telecomunicazioni, alle banche, ai porti e all'energia, ai servizi pubblici come ospedali, scuole e uffici governativi.

Anche le aziende private cinesi nei settori automobilistico, elettronico, farmaceutico e dei beni di consumo stanno abbracciando l'AI.

Una volta raggiunta l'adozione di massa, l'AI sarà onnipresente ed economica.

Naturalmente, la natura open source dei modelli di intelligenza artificiale cinesi stimolerà la concorrenza di altri paesi, poiché tutti competono a un livello di gioco uniforme.

La scommessa della Cina è che, man mano che i modelli vengono perfezionati e aggiornati continuamente, tutti nell'ecosistema ne trarranno vantaggio.

È probabile che la Cina ne trarrà il massimo vantaggio, poiché ha il mercato più grande e la maggior parte dei dati, essenziali per sviluppare le migliori applicazioni della categoria.

Se la Cina ci riuscisse, il suo successo nell'intelligenza artificiale sarebbe un'altra vittoria, esemplificata più di recente dalla sua industria dei veicoli elettrici, vincendo la gara "cambiando corsia" e superando in astuzia la concorrenza.

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