L’Ue continua con la propaganda bellica.
L’Ue
continua con la propaganda bellica.
I
fatti contro la propaganda di Trump:
per
l’Ue è l’ultima chance prima della fine.
Infosannio.com
– (24 febbraio 2025) – Massimo Cacciari – La stampa.it – ci dice:
Parlare
di deportazione dei palestinesi è follia e l’Europa non ha speso il meritato
ribrezzo.
Per la
pace in Ucraina siamo al punto di partenza anche se è tragico pensare alle
vittime della guerra.
Negli
ultimi anni si è tanto parlato di “post-verità”, intendendo una forma di
linguaggio e di comunicazione o del tutto indifferente a ogni interna coerenza,
o interessata soltanto all’esito pratico, alla utilità delle proprie
affermazioni.
Temo
siamo passati all’epoca della pura e semplice “anti-verità”.
Verità, naturalmente, è termine difficile da
definire, tuttavia esso ha avuto sempre a che fare con la volontà di
raggiungere e mantenere un qualche rapporto con la realtà, di mettere alla luce
i caratteri essenziali di quest’ultima, oltre le apparenze che sempre tendono a
occultarla.
Possono
certo darsi ben più nobili significati di verità, ma quando viene meno ogni
ragionevole rapporto tra parole e fatti, quando la parola serve soltanto a
manipolare l’immaginazione delle persone, allora entriamo in un’epoca in cui il
discorso politico (la discussione che ha luogo nella “città”, a tutti i suoi
livelli) entra esplicitamente in guerra con la verità, così come, si direbbe, l’Anti-Cristo apocalittico con il
Cristo.
Per
tanti versi il discorso politico (nel senso generale che gli abbiamo
attribuito) può trasformarsi in mortale nemico della verità.
Ciò può avvenire per pura ignoranza quando
seguiamo gli eventi a rimorchio della semplice cronaca e delle grandi ondate
della storia si coglie soltanto il loro rovesciarsi sulla spiaggia.
Non
conoscendone le cause, risulterà impossibile anche governarne gli sviluppi.
Più pericolosa è l’”anti-verità” quando il
nostro dover-essere, i nostri desideri o le nostre attese trasfigurano la dura
legge dei fatti.
È l’”anti-verità” che portano con sé, in
grande, le ideologie, e, in sedicesimo, le frasi demagogiche, le retoriche
populistiche.
Infine – e questo temo sia il caso
dell’”anti-verità” oggi dominante – può accadere il degrado del discorso a puro
strumento propagandistico, che si ritiene tanto più efficace quanto più
“libero” da ogni seria interpretazione della realtà.
È
questa l’”anti-verità” che essendo cosciente di sé può certo risultare anche la
più efficace.
Impostazioni
sulla privacy.
Quando
Trump dà del dittatore a Zelensky siamo nel campo dell’ignoranza mescolata
all’esigenza di fornire la più rozza giustificazione a un cambio di rotta
politica.
Tutti
coloro che hanno seguito dall’interno la tragedia ucraina (ultimo “Cassieri”
nel suo bellissimo libro Ucraina e Russia) sanno benissimo quanto poco
dittatore sia Zelensky, quanto condizionato fin dal primo giorno della sua
presidenza, quando espresse l’intenzione di riprendere il filo degli accordi di
Minsk, dai settori estremisti del nazionalismo ucraino.
Trump
appare poi un rappresentante insuperabile dell’”anti-verità” parlando di
deportazioni in massa dei palestinesi e di un uso economicamente profittevole
delle spiagge di Gaza – indecente follia, su cui non mi pare che i leader
europei abbiano speso le parole di ribrezzo che avrebbe meritato.
Quando
invece si tracciano paragoni privi di ogni senso storico, analoghi a quelli che
pure grandi filosofi hanno arrischiato tra le conquiste romane e terzo Reich,
tra le mire imperiali di Putin e quelle hitleriane, siamo nel campo della
consapevole propaganda da tempo di guerra.
E come
tale forse perdonabile.
Faremmo
torto all’intelligenza nostra e di altri se pensassimo realmente che la Russia
attuale, irrevocabilmente non più zarista né sovietica, abbia l’intenzione di
sferrare micidiali attacchi all’Occidente.
A
stento la Russia oggi è in grado di conservare il proprio interno assetto
federale. La via obbligata, nel contesto di una visione multilaterale dei
rapporti tra grandi potenze, è dalla caduta del Muro una soltanto:
il riconoscimento delle esigenze di sicurezza
della Russia contestualmente al pieno riconoscimento da parte di quest’ultima
dell’assoluta sovranità di tutte le realtà statuali nate dal collasso
dell’Unione Sovietica, e dunque del fatto che esse sono libere di entrare in
tutte le alleanze politiche e militari che vogliono.
Sono
principi che dovrebbero entrare in uno storico e definitivo “Trattato di pace”,
quello che è mancato alla caduta del Muro.
I veri
Trattati di pace che hanno segnato la storia sono opera di realismo politico,
vengono scritti quando i tromboni della propaganda tacciono, quando la
verità-realtà dei rapporti di forza viene alla luce e da tutti i contendenti
riconosciuta.
Credo
che dopo centinaia di migliaia di morti sia giunto questo momento.
Senza scomodare le Yalta, senza assurdi
paralleli tra quell’evento, i suoi protagonisti e l’epoca attuale.
Allora
si affermava la vittoria indiscussa di due Titani sullo sfondo
dell’inarrestabile decadenza del grande impero britannico, oggi dobbiamo
pensare a un equilibrio assai più complesso, tra tanti e diversi grandi spazi
politici.
A meno
che qualcuno non decida per una strategia egemonica globale, che può portare
solo alla nuova Grande Guerra.
Non
illudiamoci che l’equilibrio così realizzabile possa essere esente da tensioni
di ogni tipo, da competizione tecnologica e militare e da conflitti locali.
Basterebbe si sapesse che l’avversario non è
“annullabile” né può esser vinto per interposta persona.
Cerchiamo,
se ancora possibile dopo tante cieche chiamate alle armi, quel poco di verità
che sta nell’aderire ai fatti.
I fatti dicono che dobbiamo tornare agli
obbiettivi già presenti nelle trattative di Minsk, “sponsorizzate” prima
dell’invasione da tanti leader europei, mentre la guerra civile nel Donbass era
in corso.
Non
riconoscere l’appartenenza della Crimea alla Federazione russa o è ancora
chiacchiera propagandistica o significa rischiare, prima o poi, la
guerra-Guerra.
Altrettanto
mettere in dubbio anche di striscio la piena sovranità ucraina.
Per il
Donbass l’unica soluzione possibile è il modello della Provincia autonoma
nell’ambito dello Stato ucraino, in base alla necessaria modifica della
costituzione ucraina e a un referendum controllato da autorità terze.
È
tragico pensare ai morti e alle distruzioni che è costato tornare al punto di
partenza, ma è così:
continuare
il conflitto, non arrestarlo subito sarebbe doppiamente colpevole:
non
solo moltiplicherebbe le sofferenze del popolo ucraino, ma porterebbe al
rafforzamento del regime putiniano.
Prenderà
la parola l’Europa?
Dirà come stanno le cose ai suoi cittadini?
Siederà
insieme all’Ucraina al tavolo di pace con proprie autonome e realistiche
proposte?
Appronterà
una propria forza di interdizione e pace nelle zone di guerra, appena giunti
finalmente a un armistizio?
Saprà farsi finalmente valere come un alleato
“dotato di logos”?
O
continuerà ad agire da mera provincia, subordinata a strategie e interessi
della capitale?
Vorrà
smentire Trump & Co. che la trattano ormai come un fossile della storia?
Si profila davvero per l’Europa l’ultima
chance prima della definitiva sepoltura a mercato e euro (ammesso che almeno
questi possano resistere al crollo di ogni capacità politica).
UE:
Prepararsi a Guerre, Pandemie
e Crisi Climatica.
Conoscenzealconfine.it
– (26 Marzo 2025) – imolaoggi.it – Redazione – ci dice:
UE:
dotarsi di scorte di acqua, medicine, batterie e cibo per sopravvivere per 72
ore senza aiuti esterni.
L’Europa
deve prepararsi a possibili guerre, attacchi informatici, pandemie e agli
effetti devastanti della crisi climatica, avverte la Commissione europea.
In un
panorama geopolitico in subbuglio e in una corsa al riarmo di fronte alla
minaccia russa, al timore di rimanere senza l’ombrello di sicurezza degli Stati
Uniti e al crescente numero di disastri naturali, Bruxelles chiede a tutte le
famiglie europee di dotarsi di scorte di acqua, medicine, batterie e cibo per
sopravvivere per 72 ore senza aiuti esterni in caso di crisi.
Questa è una delle linee guida della strategia
di preparazione dell’UE, che l’esecutivo dell’UE presenterà oggi.
Il
giornale spagnolo ‘El Paìs‘ ha visionato la bozza della Strategia di
Preparazione dell’Unione, in cui si esorteranno i cittadini dell’Ue ad avere
riserve di acqua, medicine, batterie e cibo per sopravvivere 72 ore.
Ma il
reato di procurato allarme esiste ancora?
(imolaoggi.it/2025/03/25/ue-prepararsi-a-guerre-pandemie-e-crisi-climatica/).
No, la
Russia Non Vuole
Invadere
l’Europa.
Conoscenzealconfine.it
– (26 Marzo 2025) - Diego Fusaro – ci dice:
La
Russia non vuole aggredire l’Europa.
È
piuttosto l’Europa che sta cercando in tutti i modi, peraltro assai goffamente,
di provocare la Russia e di portarla a un conflitto che essa non vuole affatto.
Vi è
un quesito che credo andrebbe seriamente e onestamente posto, nel tempo del
cogito interrotto in cui tutti calcolano e pochissimi ancora pensano.
Si tratta di un quesito fondamentale, che, da
solo, fa volare in frantumi la narrazione europeisticamente corretta del riarmo
necessario dell’Europa:
riarmo
necessario dell’Europa che, lo ricordiamo, dovrebbe costare ben 800 miliardi di
euro, larga parte dei quali potrebbero essere prelevati direttamente dalle
tasche dei cittadini europei, secondo quanto hanno lasciato intendere nemmeno
troppo obliquamente sia la vestale del neoliberismo cosmopolita, Ursula von der
Leyen, sia l’unto dei mercati, l’euroinomane di Bruxelles, Mario Draghi.
Voglio
così formulare la questione in maniera icastica:
se davvero, come ripetono i vessilliferi del pensiero
unico politicamente e bellicamente corretto, Vladimir Putin vuole invadere
l’Europa, perché non l’ha già fatto e lascia anzi il tempo agli europei di
riarmarsi fino ai denti?
Non occorre un dottorato in scienze
strategiche a Harvard per capire che sarebbe davvero un pessimo stratega quello
che attendesse il riarmo integrale del suo nemico per avviare un attacco
bellico già deciso.
La
verità, che gli araldi del pensiero unico si guardano bene dal dire, è che la
Russia di Putin non ha alcun interesse ad aggredire l’Europa:
e ciò
per più ragioni, anche storiche, considerato il fatto che la Russia è sempre
stata aggredita dagli europei (con pessimi risultati sempre per questi ultimi)
senza mai averli a propria volta aggrediti.
Soprattutto
la Russia ha un territorio immenso, ricchissimo di risorse e dunque non ha
davvero alcun interesse a prendersi l’Europa, che oltretutto in questa fase
storica appare simile a un malato da cui è bene tenersi il più possibile a
distanza (perfino
Washington, con Trump, si sta notevolmente distanziando dal vecchio
continente).
Alla
luce di quanto detto, ne segue che in realtà la Russia non vuole aggredire
l’Europa, che invece sta cercando in tutti i modi, peraltro assai goffamente,
di provocare la Russia e di portarla a un conflitto che essa non vuole affatto.
È
chiaro che se l’Europa continuerà a provocare indegnamente la Russia, come sta
facendo, mediante il supporto a oltranza a Kiev e al guitto Zelensky (l’attore
Nato, nemico del suo popolo e della pace), la possibilità dello scontro reale
non è da escludere:
ma
deve essere chiaro che lo scontro, se ci sarà, sarà responsabilità esclusiva
dell’Europa e delle sue scellerate politiche belliciste, quali si sono
ridicolmente manifestate nella demenziale “Piazza per l’Europa”, in cui si
intonava” bella ciao” e intanto si inneggiava al riarmo dell’Europa, chiamando
orwellianamente pace la guerra.
(Diego
Fusaro).
(filosofico.net/diegofusaro/no-la-russia-non-vuole-invadere-leuropa/).
Sterminio
di Massa.
Conoscenzealconfine.it
– (25 Marzo 2025) – Redazione – ci dice:
Nel
silenzio assordante dei media, l’ONU ha pubblicato un rapporto che documenta,
con prove, testimonianze e filmati, la brutalità della guerra di Israele a
Gaza.
49 pagine di orrore. 49 pagine di crimini. 49
pagine che raccontano l’indicibile.
E non
è un rapporto qualunque.
È un
atto d’accusa preciso, diretto, che utilizza parole che fino a pochi mesi fa
sembravano impronunciabili: genocidio, sterminio, stupri di guerra, tortura,
fame usata come arma.
49
pagine in cui la Commissione ONU arriva a scrivere, senza mezzi termini, che
“le autorità israeliane hanno distrutto in parte la capacità riproduttiva dei
palestinesi a Gaza come gruppo, anche imponendo misure volte a prevenire le
nascite, una delle categorie di atti genocidi nello “Statuto di Roma” e nella “Convenzione
sul genocidio”.
49
pagine in cui si ricostruiscono una per una, con prove, documenti e
testimonianze, le atrocità commesse, tra cui:
–
uccisione deliberata di civili. Si fa l’esempio, tra gli altri, di Hala Abd Al-Ati, una
donna anziana, colpita e uccisa mentre cercava di evacuare con la sua famiglia.
In un
video visionato e verificato dalla Commissione ONU, si vede Al-Ati che tiene
per mano il suo giovane nipote, che sventola una bandiera bianca.
Quando raggiungono un incrocio, si sente uno
sparo e lei cade a terra, eliminata da un cecchino israeliano senza motivo;
–
attacchi diretti e intenzionali alle strutture sanitarie che offrono servizi di salute
sessuale, riproduttiva e neonatale;
– distruzione del centro “IVF al-Basma, la più grande clinica di fertilità di
Gaza, chiaramente contrassegnato con il nome della clinica;
–
attacchi ripetuti all’Ospedale al-Awda, il principale fornitore di cure
sanitarie riproduttive nel nord di Gaza, nonostante le autorità israeliane
fossero stati avvisati da “Medici Senza Frontiere” che si trattava di un
ospedale funzionante;
–
distruzione di intere sezioni neonatali, lasciando i neonati prematuri senza
incubatrici funzionanti;
– sospensione del rilascio di permessi
per cercare cure mediche fuori da Gaza, con la conseguenza che diversi pazienti
sono morti a causa della mancanza di trattamenti adeguati per il cancro,
compresi quello ginecologici (ovarico, cervicale e al seno);
– uso
della fame come metodo di guerra;
–
riprese e fotografie di atti di violenza sessuale contro uomini e ragazzi
durante gli arresti, comprese nudità forzata, percosse ai genitali e
umiliazioni pubbliche;
–
stupri e minacce di violenza sessuale, spesso inflitti come forma di tortura o
punizione.
Si fa
l’esempio, tra gli altri, di un detenuto maschio violentato da membri
dell’esercito israeliano con un oggetto metallico, con gravissime lesioni
interne.
Lo stupro è stato filmato tra le risate dei
soldati;
–
torture nei confronti dei detenuti uomini, sottoposti a percosse mirate agli
organi genitali e a minacce di castrazione;
–
mancanza di indagini efficaci e protezione implicita delle autorità israeliane
nei confronti dei soldati israeliani colpevoli di crimini;
–
sterminio di massa.
Eppure,
di tutto questo, si parla a malapena. Il silenzio non è mai neutrale. Il
silenzio è complicità.
(altrarealta.blogspot.com/2025/03/sterminio-di-massa.html).
DIFESA
EUROPEA, QUANDO SI
COMINCIA
CON LA CULTURA E
SI
FINISCE CON LA PROPAGANDA.
Nuovogiornalenazionale.com
- Achille Nobiloni – (23 Marzo 2025) – ci dice:
Ora è senz'altro vero che "conoscere il passato
aiuta a capire il presente e preparare l'avvenire" (Einaudi? Tucidide? Ma
anche basta con i discorsi infarciti di citazioni!) però è pur vero che il
mondo non è più quello di una volta e la velocità con cui è cambiato e continua
a cambiare, così come la portata di tale cambiamento, sono tali da far sì che
non si possa continuare giudicare tutto con gli occhi rivolti unicamente al
passato.
Eppure
tanto nell'invasione russa dell'Ucraina quanto nella polemica seguita alle
dichiarazioni della presidente Meloni sul Manifesto di Ventotene, sono stati
tantissimi quelli che si sono tuffati a piè pari nella retorica della
"storia che si ripete" tanto che uno degli argomenti più ricorrenti
in oltre tre anni di dibattito è stato "l'accordo di Monaco del
1938!"
E,
esempio questo recentissimo, le infelici dichiarazioni di Meloni sul Manifesto
di Ventotene, che sono state ingigantite da centinaia di repliche tutte
indignate in parlamento, in televisione, sui social, sui giornali (il Corriere della Sera ha dedicato
loro addirittura le prime cinque pagine nell'edizione di giovedì 20) e tutte rivolte al passato
trascurando il presente (l'Europa di oggi) e il futuro (l'Europa che vorremmo).
Il Manifesto di Ventotene.
Sarebbe stato forse sufficiente replicare in modo
unitario e sintetico che ciò che era innovativo ed è importante in quel
documento è l'idea di "una Europa libera e unita" mentre alcune
affermazioni circa le modalità per il raggiungimento quell'obiettivo risentono
ovviamente della situazione di allora:
mentre
l'Europa era divisa dall'inizio della seconda guerra mondiale larga parte degli
italiani, se
non addirittura la maggioranza, era ancora favorevole al fascismo, regime
dittatoriale che imponeva censura e repressione, e gli autori stessi di quel
documento erano detenuti in un carcere di sicurezza e quindi estrapolare dal loro testo
alcune frasi facendole oggi apparire ambigue è stato niente altro che una
strumentalizzazione politica per distrarre l'opinione pubblica italiana ed
estera dalle ambasce del governo in vista del Consiglio europeo e magari
offrirgli anche un mezzo alibi per l'occasione.
Sbaglierò
di certo ma ho l'impressione che a Meloni la manovra sia riuscita benissimo:
i suoi
oppositori, anziché limitarsi a parlare della sostanza e del contesto storico
in cui è nato il Manifesto, sono caduti nella trappola e sull'assunto che
fatalmente "la storia si ripete" hanno dato vita a un polverone di
botta e risposte sul fascismo e l'antifascismo che a conti fatti rischia di
aver paradossalmente portato a Meloni più consenso di quanto volessero
togliergliene.
In
quanto al Manifesto di Ventotene in sé ho il timore che la radicalizzazione di
questo scontro non gli abbia giovato affatto e chi prima lo conosceva solo di
nome oggi possa guardarlo con lo stesso atteggiamento di chi dice: "Io non
sono razzista ma...".
L'invasione dell'Ucraina.
E che
dire dell'invasione dell'Ucraina con tutto quel che è accaduto prima
("dati, causa e pretesto"... ops: citazione), quel che c'è ora
(prevedibile e previsto fin dall'inizio) e quel che potrà avvenire un domani (in Ucraina e in tutta Europa a
seconda delle scelte importanti sul futuro del mondo)?
Ripartiamo
sempre dall'accordo di Monaco del 1938?
Ma lo
vogliamo dire che:
●
quell'accordo risale ormai a 87 anni fa; dopo di esso il mondo è cambiato
profondamente e non è più quello quello di allora;
●
quell'accordo fu firmato uno/due anni prima della seconda guerra mondiale che
(sempre la seconda guerra mondiale) qualche cosetta avrà pur insegnato a tutti;
●
quando fu firmato l'accordo in questione la bomba atomica ancora non era stata
inventata, l'assetto geopolitico del mondo era assai diverso e le guerre si
combattevano in tutt'altro modo rispetto a oggi;
● con
la seconda guerra mondiale assetti e rapporti di forza sono totalmente
cambiati;
● dopo
la seconda guerra mondiale abbiamo avuto oltre quarant’anni di guerra fredda
basata sulla deterrenza militare (o meglio... nucleare) verso la quale sarebbe
totalmente folle tornare e invece è proprio quello che in molti vogliono fare;
● oggi
le guerre (quelle dalle quali l'Umanità possa ancora sperare di uscire viva)
non si combattono più con la forza delle armi tradizionali ma con quella della
ricerca, delle innovazioni tecnologiche, degli accordi industriali e
commerciali e tuttalpiù con l'intelligence, i satelliti, lo spionaggio o ancor
più semplicemente bucando un gasdotto in mezzo al mare.
Lo
vogliamo dire che a rigor di logica il “Manifesto di Ventotene” "per
un'Europa libera e unita" su cui ci si sta accapigliando da due/tre giorni come
tifosi a una partita di calcio dovrebbe considerarsi superato ed essere
sostituito da un Manifesto "per un Mondo globale di collaborazione e pacifica
convivenza" e invece i più colti di noi, quelli che hanno studiato tanto e letto
tanti libri e con la foga di non dimenticarne alcuno corrono magari il rischio
di perdere di vista l'attualità, stando con gli occhi sempre puntati sul
passato, magari proprio su Monaco 1938, bramano il ripristino di una bella e
duratura guerra fredda nuovamente basata sulla deterrenza militare all'interno
della quale condurre non so bene quale tipo di vita rinchiusi nelle rispettive
zone d'influenza sempre col dito sul grilletto?
Certamente
pensare a un futuro di pace mondiale è pura immaginazione ma come diceva “Enrico
Mattei” (non uno storico ma un uomo lungimirante e pratico... e per questo mi
permetto di indulgere ancora in una citazione): "Il futuro appartiene a chi lo
sa immaginare".
Se
però tutto quel che oggi ci riesce di immaginare è una pace armata basata sulla
deterrenza militare il futuro che ci aspetta (nel mio caso quello che aspetta i
miei figli) è un futuro che certamente non mi piace!
A me
già non piace il presente, in cui se provi a fare di questi discorsi: vieni
trattato con sussiego, ti si dice che dovresti prenderti la briga di leggere
qualche buon libro di storia o che il riarmo ci serve perché abbiamo i
sommergibili russi fin quasi davanti al delta del Po, figurarsi quanto mi possa
piacere un futuro a guardarsi in cagnesco dietro chissà quale nuova cortina, di
ferro o d'acciaio che sia.
Tra
l'altro, che io sappia, i sommergibili non sono mezzi da sbarco ma oggi come
oggi trasportano missili equipaggiati con testate nucleari e contro quelle temo
che sia l'Italia sia la UE possano assai poco... anche se la von der Leyen
decidesse di vestirsi in mimetica e maglietta verde come Zelensky e le venisse
garantito un terzo mandato!
A due
anni di distanza, l'UE
continua
a restare saldamente
al
fianco dell'Ucraina.
Commission.europea.eu
– (23-2-2024) – Direzione generale della commissione – ci dkce:
Il 24
febbraio 2022, le forze russe hanno dato inizio a un'invasione su vasta scala
dell'Ucraina.
Di
fronte a questa aggressione non provocata e ingiustificata, l'UE ha sempre
sostenuto con fermezza l'Ucraina.
Negli
ultimi due anni l'UE ha guidato gli sforzi internazionali volti a sostenere
l'Ucraina nel breve e lungo termine e a chiamare la Russia a rispondere dei
suoi crimini.
Per aiutare l'Ucraina abbiamo:
fornito
sostegno per un valore di oltre 88 miliardi di euro.
Questa
cifra comprende circa 28 miliardi di euro per far fronte alle esigenze militari
e di difesa sul campo.
Avviato
un nuovo meccanismo di sostegno che fornirà fino a 50 miliardi di euro in
prestiti e sovvenzioni, per aiutare a ricostruire il paese dopo la guerra e a
realizzare riforme nel suo cammino verso l'adesione all'UE.
Dato
il via libera all'avvio dei negoziati per l'adesione dell'Ucraina all'UE.
Applicato
numerose sanzioni di ampia portata contro la Russia e i suoi sostenitori,
compreso il 13° pacchetto, adottato il 23 febbraio 2024.
La
presidente della Commissione Ursula von der Leyen si è recata a Kiev il giorno
dell'anniversario dell'inizio della guerra per rendere omaggio alla resistenza
dell'Ucraina, che è un faro di speranza per chiunque ami la libertà, ovunque
nel mondo.
Ha
ricordato il fermo impegno dell'Europa a sostenere l'Ucraina per tutto il tempo
necessario.
Ha
reso omaggio agli ucraini che lottano per la sicurezza dell'intero continente. "Ecco perché tutta l'Unione
europea vi sostiene.
Più
che mai siamo fermamente al fianco dell'Ucraina, offrendo sostegno finanziario,
economico, militare e soprattutto morale, fino a quando il vostro paese non
sarà finalmente libero", ha dichiarato.
A
Kiev, la presidente von der Leyen ha annunciato l'apertura di un nuovo ufficio
per l'innovazione nel settore della difesa con l'obiettivo di intensificare e
migliorare la cooperazione in materia di sicurezza tra l'UE e l'Ucraina.
Ha
inoltre consegnato alle autorità nazionali ucraine 50 automobili fornite
dall'UE che aiuteranno a svolgere le indagini e a perseguire i crimini di
guerra nei territori sottratti all'occupazione e nelle zone adiacenti.
È
stata l’Ue. Cosa dice la
disinfo
di Putin sull’Ucraina.
Formiche.net - Gabriele Carrer – (30-1-2025) – ci
dice:
Ancora
una volta il Cremlino cerca di diffondere narrazioni sulla pace per seminare
divisioni nell’Occidente sulla presunta faglia “guerrafondai contro pacifisti”.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha dato
nuovo slancio. Cosa dice il report di “EUvsDisinfo”.
Con il
terzo anno di invasione russa dell’Ucraina alle porte e il ritorno di Donald
Trump alla Casa Bianca, il tema della pace è tornato al centro del dibattito
internazionale.
Ed è
tornato il concetto russo di “pace”, che suona come una resa ucraina.
“EUvsDisinfo”, progetto della “Task Force East
StratCom “del Servizio europeo per l’azione esterna, ha analizzato l’evoluzione
delle campagne di disinformazione del Cremlino, che sfruttano proprio questo
concetto di “pace” per sostenere gli obiettivi geopolitici russi in Ucraina e
oltre.
Un’evoluzione
costante della narrazione.
L’approccio
del Cremlino alla pace si è trasformato nel corso della guerra.
Nei
primi giorni dell’invasione, il concetto di pace era del tutto assente:
il
tono era quello del trionfalismo.
Tuttavia,
di fronte alla resistenza ucraina, Mosca ha iniziato a parlare di pace mentre
continuava a bombardare i civili, ricorda l’analisi.
Ben presto, però, il Cremlino ha elaborato le
proprie “proposte di pace”, semplici operazioni di propaganda volte a
mascherare le reali ambizioni imperialiste della Russia.
Con il proseguire del conflitto, la strategia
si è raffinata:
la
guerra contro l’Ucraina è stata presentata come una lotta contro l’egemonia
occidentale, un passo necessario per costruire un “nuovo ordine mondiale
multipolare”.
Ma
c’era un ostacolo a questa narrazione: l’Ucraina e i suoi alleati stavano già
lavorando per una pace giusta e duratura, costruendo una rete di sostegno
globale.
Di
conseguenza, il Cremlino ha iniziato a screditare ogni iniziativa non basata
sui suoi diktat imperialisti, presentando l’Occidente come un ostacolo alla
pace.
Putin,
il “negoziatore ragionevole.”
Oggi,
con Trump tornato alla Casa Bianca, la pace è tornata un tema caldo per la
propaganda russa.
Mosca
cerca di dipingere il leader Vladimir Putin come un leader costruttivo e aperto
al dialogo, un “bravo ragazzo” che chiede solo il riconoscimento delle “realtà
attuali”.
In
questo contesto, Putin ha persino cercato di adulare Trump, affermando che la
guerra non sarebbe mai iniziata se l’ex presidente fosse stato rieletto nel
2020.
Tuttavia,
questa affermazione appare quantomeno contraddittoria:
il leader del Cremlino, noto per i suoi
attacchi all’Occidente, avrebbe davvero delegato la politica estera russa a
Washington?
Un’uscita
poco credibile, scrivono gli analisti di “EUvsDisinfo”.
Tuttavia,
nonostante queste ambiguità, la propaganda russa ha rapidamente modulato il
tono, cercando di presentare la possibilità di un rapido negoziato con
l’amministrazione Trump come una strada per porre fine alla guerra.
Delegittimare
gli avversari.
Un
altro elemento chiave della strategia del Cremlino è la sistematica
delegittimazione degli interlocutori ucraini.
Mosca
continua a dipingere il governo di Kyiv come un “regime nazista e terrorista”
con cui è impossibile negoziare.
Il
presidente Volodymyr Zelensky è da tempo il principale bersaglio di questa
campagna di disinformazione:
il Cremlino cerca di far passare l’idea che
non sia il legittimo leader dell’Ucraina e che non abbia alcun ruolo nei futuri
negoziati di pace.
Ma non
è solo il governo ucraino a finire nel mirino: l’Unione europea stessa è sempre
più nel mirino dalla propaganda russa, accusata di essere il principale
ostacolo alla pace.
Se in
passato il Cremlino parlava genericamente di un “Occidente collettivo” ostile,
oggi l’Unione europea viene citata sempre più spesso come un nemico concreto
della pacificazione, insieme alla Nato.
Dividere
il fronte occidentale.
L’obiettivo
principale di questa manipolazione è spezzare il sostegno internazionale
all’Ucraina, creando divisioni tra gli alleati.
Mosca punta a minare l’unità tra Unione
europea e Stati Uniti, ma anche a seminare discordia tra gli Stati membri
dell’Unione e all’interno delle singole nazioni, alimentando la
contrapposizione tra “guerrafondai” e “pacifisti”.
Per
fare ciò, i media filorussi dedicano innumerevoli ore a diffondere narrazioni
su un’Europa indebolita, incapace di sostenere la pace e irrilevante per gli
interessi americani.
Ma
questa strategia rivela in realtà le debolezze stesse della Russia, osservano
gli esperti:
il
Cremlino, consapevole dei propri limiti, proietta le sue fragilità sugli
avversari. Molte voci chiedono la pace, ma il Cremlino cerca di distorcerne il
significato per rafforzare la sua posizione.
La
strategia russa mira a creare condizioni negoziali che consolidino le conquiste
territoriali ottenute con la forza, sancendo l’espansione imperiale di Mosca.
Le
“realtà attuali”, per usare le parole di Putin, significano in realtà la
sottomissione di milioni di ucraini a un regime di occupazione repressivo e
autoritario.
Di
fronte a questa prospettiva, è fondamentale non lasciarsi ingannare dalla
propaganda russa e continuare a sostenere una pace giusta e duratura, che
garantisca la libertà e l’indipendenza dell’Ucraina, avvertono in conclusioni
gli analisti di “EUvsDisinfo”.
Commissione
Ue: Von
der Leyen,
“se
l’Europa vuole evitare la guerra,
deve
prepararsi alla guerra.”
Agensir.it – (18 Marzo 2025) – Redazione – ci
dice:
Discorso
alla Royal Danish Military Academy.
Commissione
Ue: Von der Leyen, fondi per industria bellica e riarmo.
“La libertà non è un processo, è una lotta
costante”
Un
lungo discorso della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, alla
Royal Danish Military Academy a Copenaghen, è stata oggi l’occasione per
parlare di sicurezza e di difesa europea e per spiegare che “se l’Europa vuole
evitare la guerra, deve prepararsi alla guerra”.
Proprio
la Danimarca, infatti, è profondamente consapevole in tema di minacce, una
delle quali è “la competizione per l’influenza nella regione artica, inclusa la
Groenlandia”.
Rivolgendosi
ai cittadini dell’isola e della Danimarca ha dichiarato: “L’Europa difenderà
sempre la sovranità e l’integrità territoriale” e ha definito “vera leadership”
la decisione del governo danese di aumentare la spesa per la difesa al 3% del
Pil nei prossimi due anni.
Von
der Leyen ha quindi spostato il discorso sul tema del “dividendo di pace”,
secondo cui l’andamento della spesa per la difesa cresce in tempi di conflitto
e cala in contesti di relativa pace:
“Ciò ha portato a investimenti insufficienti
nella difesa e, francamente, a un’eccessiva compiacenza”, ha sintetizzato Von
der Leyen, con avversari che si sono nel frattempo ri-mobilitati e hanno
sfidato “le regole che governano la sicurezza globale”.
Così
oggi è tempo di porre fine al dividendo di pace perché “l’era delle sfere di
influenza e della competizione di potere è tornata”.
E la
Russia, determinata “a negare ad altri Paesi il diritto di scegliere la propria
strada”, ora sta creando un’economia di guerra, con il 40% del bilancio
federale, pari al 9% del Pil, per la difesa, per alimentare la guerra di
aggressione in Ucraina, ma anche per prepararsi “al futuro confronto con le
democrazie europee”.
Senza
guerra la UE
perde
ogni speranza.
Contropiano.org - Dante Barontini – (14-2-2025) – ci
dice:
Le
trattative per arrivare alla pace in Ucraina non sono ancora iniziate e difficilmente lo saranno prima di
qualche mese.
Ma si
sa già chi esce triturato e annullato da questa eventualità:
l’Unione Europea come istituzione e l’arco
“liberal-democratico” come fronte politico.
Basta
ascoltare i balbettii dei pochi “commissari europei” che si avventurano a fare
dichiarazioni – mentre Ursula von der Leyen si è inabissata come Giorgia Meloni
nei giorni del “caso Paragon” – per capire la portata dello shock subito.
Non è
facile per nessuno stare tre anni in guerra (anche se soltanto sul piano
finanziario e delle forniture di armi) e svegliarsi una mattina in un altro
scenario che rende inutile – anzi stupidamente suicida – tutto quel che hai
fatto.
Ma nel
caso dei liberaldemocratici “europeisti” c’è pure l’aggravante del rifiuto
della realtà.
Sia
quella “nuova”, che pure era ampiamente prevedibile dopo le elezioni
statunitensi di novembre, sia quella precedente, in cui la propaganda
bellicista oscurava persino la comprensione piena di quanto avveniva – e a
maggior ragione avviene ora – sul campo di battaglia.
Citeremo
solo scampoli memorabili come “Putin ha il cancro ed è moribondo”, “i russi
hanno finito le munizioni e combattono con le pale”, “non hanno più neanche i
calzini”, “la controffensiva di primavera” e amenità del genere.
Comprensibile
che la propaganda di guerra sia prodotta, meno spiegabile che i dirigenti
europei abbiano creduto alle loro stesse menzogne.
Lo
stato comatoso di questo schieramento è ben riassunto da “Raphaël Glucksmann”,
eurodeputato francese teoricamente “socialista”, tra quelli che hanno salvato
il governo “Bayrou£ dalla mozione di sfiducia presentata da La “France
Insoumise”, intervistato oggi dalla testata capofila dei “disperati” in Italia:
il Corriere della Sera.
«Per
l’Ucraina e per l’Occidente è una catastrofe, perché a Trump interessano solo
le terre rare dell’Ucraina ed è pronto a cedere alle richieste di Putin.
A
Monaco il vicepresidente americano Vance incontrerà Zelensky, ma i giochi sono
già fatti.
La conferenza di Monaco ha la forza del
simbolo: una resa, come nel 1938.
È la
fine dell’Occidente per come lo conosciamo».
Neanche
uno dei luoghi comuni della vecchia propaganda viene evitato da questo povero
rimbambito ancor giovane:
«Putin è incoraggiato ad andare avanti. […]
Putin metterà alla prova direttamente le nostre difese nei prossimi anni».
Insomma,
il vecchio “vuole arrivare fino a Lisbona” nonostante lo stesso Glucksmann
confermi, subito dopo, l’altra vecchia bufala secondo cui «Putin non ha vinto
sul campo di battaglia, nonostante le zone occupate e i pochi chilometri
rosicchiati mese dopo mese. Da un punto di vista militare la situazione è
ancora aperta».
Neanche
si accorge di dire due cose opposte (“non sta vincendo neanche contro la sola
Ucraina”, quindi è debolissimo, e “ci travolgerà tutti” perché è fortissimo).
Il
tutto per arrivare al vero punto strategico: «se non facciamo qualcosa, non si
fermerà».
E quel
“qualcosa” è per un verso aumentare le spese militari, per l’altra spedire più
armi a Kiev (ignorando il dato di fatto, ammesso anche dai capi dell’esercito,
che a questo punto l’Ucraina è a corto soprattutto di uomini) perché la guerra
continui come prima, anche senza contributo statunitense.
Tanta
disperata spinta a “fare qualcosa” ha comunque una spiegazione:
i
ventisette paesi della UE sono già ora molto divisi sulla guerra.
Da una parte ci sono i neonazisti pazzi come i
baltici e la Polonia (“che si stanno già preparando a una nuova guerra, sul
suolo dell’Unione europea“), dalla parte opposta chi non può fare a meno del
gas russo e quindi sta tirando un sospiro di sollievo (Slovacchia e Ungheria,
peraltro con due governi politicamente opposti).
E in
mezzo i paesi più importanti economicamente (Francia, Germania, Italia) che non
sanno più cosa fare (ma per Glucksmann “non hanno fatto abbastanza” nel
sostenere Kiev).
Un
continente diviso, che già quando era formalmente “unito” veniva usato dagli
Usa di Biden come scendiletto politico e hub logistico per gli aiuti
all’Ucraina, nella nuova situazione non conta più assolutamente nulla.
Lo si
è visto con l’ironica risposta di Peskov, portavoce di Putin, a chi gli
chiedeva se la UE sarebbe stata coinvolta nelle trattative (“chiedete agli
Stati Uniti”).
E
ancora più nella sprezzante ma puntuale nota di “Anna Zakharova”, portavoce del
ministro degli esteri “Lavrov”, in cui ricorda l’idiozia e la malafede dei
principali leader europei ai tempi degli “accordi di Minsk” e che va riportata
quasi per intero.
«Vorrei
ricordarvi che sono stati i leader dell’UE – la cancelliera tedesca Angela
Merkel e il presidente francese Francois Hollande – a dichiarare apertamente,
non molto tempo fa, di non avere alcuna intenzione di attuare gli accordi di
Minsk, sebbene in precedenza avessero assicurato al mondo il contrario.
Ora la
loro posizione ufficiale è che gli accordi di Minsk erano un tentativo di
riarmare Kiev e “darle tempo”.
In
altre parole, hanno finto di lavorare in buona fede con l’Ucraina, ma in realtà
erano impegnati in una pantomima maligna.
Il
problema non è solo che hanno mentito, ormai tutti ci si sono abituati.
Il problema è che hanno tradito gli interessi
dell’Europa, e questo tradimento è una delle ragioni della tragedia.
Gli
accordi di Minsk sono entrati a far parte del sistema di diritto internazionale
grazie alla loro approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite.
Ciò significa che erano soggetti a
un’applicazione obbligatoria.
Sia
Hollande che Merkel e, naturalmente, la leadership italiana, lo sapevano
perfettamente allora e se ne rendono conto oggi.
Violando
il diritto internazionale, cosa che ora ammettono apertamente, i cittadini
dell’UE sono diventati complici principali della catastrofe che si è verificata
in Ucraina e, come risultato delle loro azioni, hanno ottenuto un conflitto
armato nel continente europeo.
Se le
norme di Minsk fossero state rispettate, avrebbero salvato l’Ucraina e allo
stesso tempo avrebbero alleviato l’attuale situazione poco invidiabile dei
cittadini dell’UE, il cui benessere è stato significativamente ridotto a causa
delle azioni errate e talvolta semplicemente criminali dei loro leader.»
Errori
gravi di valutazione e inesistente credibilità politica, insomma, da parte
dell’”Europa”.
Nelle relazioni internazionali sono due cose
che si pagano molto care, in genere.
Ma è
inutile pretendere dai liberal-democratici, e dai loro media di riferimento,
anche soltanto un briciolo di riflessione, ripensamento o – dio non voglia –
“autocritica”.
Questi
invasati senza più un progetto strategico (anche se molto malpensato, come
abbiamo visto) non sano far altro che insistere.
Ma
proprio insistendo su un obiettivo ormai impossibile – la “vittoria ucraina” e
la disgregazione della Russia – preparano la propria disgregazione politica,
peraltro apertamente perseguita anche da Trump a colpi di dazi.
Disgregazione
che si sommerà in breve tempo al disastro economico (le sanzioni unilaterali
hanno penalizzato quasi soltanto le aziende europee mentre la Russia ha trovato
molti altri clienti per gas e petrolio), al costo abnorme delle forniture
energetiche “alternative” a Mosca e quindi alla sofferenza sociale interna che
– malauguratamente e per colpa degli stessi “liberaldemocratici” – va
rivolgendosi all’estrema destra.
La via
d’uscita “a sinistra” è naturalmente una pur complicata ripresa della
conflittualità sociale supportata da una “visione del mondo” che mai come in
questo momento offre la possibilità reale di abbandonare il cadente convoglio
imperialista occidentale e trovare vie diverse per lo sviluppo.
Sia
economico che, soprattutto, sociale.
Comunismo
= Nazismo?
È pura
propaganda Ue.
Infosannio.com
– (9 febbraio 2025) – infosannio - Elena Basile – ilfattoquotidiano.it- ci
dice:
Nel
dibattito pubblico relativo alla politica internazionale regna la confusione,
come se la logica avesse abbandonato il mondo e il linguaggio divenisse sempre
più bivalente nell’accezione […]
Nel
dibattito pubblico relativo alla politica internazionale regna la confusione,
come se la logica avesse abbandonato il mondo e il linguaggio divenisse sempre
più bivalente nell’accezione orwelliana.
Il
principio di non contraddizione aristotelico è stato cancellato.
Le posizioni politiche affermano A e il
contrario di A.
Gli esempi sono molteplici.
Il Parlamento Ue, che non è un organo
legislativo, obbedendo alle direttive di un esecutivo miope e asservito alle
oligarchie, equipara i simboli nazisti alla falce e martello comunista.
Nella
ricostruzione storica è sbagliato, come “Luciano Canfora” ci dimostra, mettere
sullo stesso piano Hitler e Stalin, ma possiamo comprendere che i campi di
concentramento nazisti siano simili nella violenza totalitaria ai gulag.
Risulta tuttavia inquietante che non si faccia
la differenza tra una ideologia nazista e razzista, basata sul disprezzo del
debole e del malato, prona a giustificare il predominio di una “razza”, e il
sogno comunista di un mondo senza classi e ingiustizie sociali.
Da un
lato un mondo distopico e aberrante, dall’altro una utopia di stampo
evangelico.
Non si
nega che le due ideologie avevano in comune la mancanza della protezione dei
diritti individuali, né si dimentica che le loro realizzazioni sono state una
sconfitta per la storia democratica dell’umanità.
Il
concreto agire si allontana sempre dai suoi archetipi:
la Chiesa dai suoi precetti, gli Stati dalle
Costituzioni.
Rimane
inquietante che si sia voluto sporcare un simbolo – falce e martello – di lotta
e liberazione degli oppressi, senza comprenderne il legame con le speranze
umanistiche e assimilarlo all’infame nazismo, alla deviazione perversa del
pensiero.
Le
manifestazioni per una Palestina libera continuano a essere considerate “antisemitismo”
dalla maggior parte della stampa.
Esponenti della comunità ebraica rispolverano
un vittimismo che apparirebbe un tantino anacronistico, soprattutto in
relazione allo sterminio dei palestinesi, all’inferno calato su Gaza, all’esodo
di 300 mila paria, uomini, donne, anziani, bambini, che marciano verso le loro
case per trovare solo detriti.
Trump,
incarnazione del fascismo postmoderno, non comprende come mai questi “matti”
ritornino alle loro case e richiamino il diritto alla loro terra.
Basta
costruire casette popolari, in un imprecisato altrove, per questo popolo
miserabile e dimenticheranno Gaza, una striscia di terra col buon clima,
davanti al mare e ai giacimenti di gas, che diverrà un’opportunità per le
agenzie immobiliari statunitensi e israeliane.
La pietas è scomparsa.
Politica e media pagano il loro tributo alla
lobby di Israele:
la
cultura umanistica, una delle maggiori conquiste della civiltà occidentale, è
cancellata.
Considerare
il ripudio delle posizioni di alcune comunità ebraiche a difesa delle stragi
dei palestinesi come “rigurgito antisemita” falsifica la realtà e la storia.
L’antisemitismo
è odio per gli ebrei per quello che sono: religione, abitudini, tratti
somatici, non per quello che fanno.
È lecito per un ebreo odiare un nazista?
Sarà
lecito per chi difende oggi le vittime provare sentimenti di ostilità nei
confronti di chi (anche ebreo) sostiene i carnefici e non prende le dovute
distanze dal massacro in corso.
Bisogna
comprendere che gli ebrei di oggi sono i palestinesi.
Infine
la peggiore ambiguità si riscontra in relazione all’Ue.
Coloro
che hanno affossato il sogno europeo, tradendo gli ideali di pace e prosperità,
difendendo un ordo-liberismo che ha divorato le ragioni del lavoro e ha acuito
le asimmetrie tra Nord e Sud, sostenendo il mercato, l’unione monetaria ma non
fiscale né politica o federale, oggi tornano alla ribalta, parlandoci di
sovranazionalità e debito comune per una fantomatica difesa Ue, che non
potrebbe non essere schiava di interessi geopolitici statunitensi, non europei,
come la guerra in Ucraina ha dimostrato.
Elly
Schlein afferma che per vincere il Pd dovrebbe puntare su una Europa sociale e
con maggiori elementi di integrazione.
Voto a maggioranza e difesa comune.
Nessuno
le ha spiegato che nei trattati di Maastricht sono stati incorporati i principi
del neoliberismo che afferma di voler combattere?
In un’Europa scandinava, baltica e polacca, il
voto a maggioranza faciliterebbe decisioni economiche a vantaggio delle
oligarchie finanziarie e della costruzione con la difesa europea del braccio
armato della Nato smantellando lo stato sociale.
La
confusione purtroppo impera anche nell’area del dissenso in quanto la giusta
critica all’Europa liberista e falsamente liberale odierna si trasforma in un
anelito reazionario che mette da parte l’intero sogno europeo, il tentativo di
superare le grette ottiche nazionalistiche in nome di un interesse generale, di
un bene comune dei cittadini europei che condividono un destino comune.
I politici
che non sanno
che fare con la guerra.
Infosannio.com – (27 marzo 2025) -infosannio - Torquato Cardilli –
ilfattoquotidiano.it – ci dice:
Nella
storia dell’uomo si sono sempre contrapposte due figure professionali candidate
alla guida del paese: il politico, abituato alla diplomazia e il militare,
abituato alla guerra.
L’azione dell’uno iniziava quando falliva
quella dell’altro e viceversa.
Spesso le due figure si sono sovrapposte nella
stessa persona dotata di prudenza mista ad audacia, di saggezza mista a
eroismo, di visione strategica mista a consapevolezza del pro e del contro di
ogni decisione.
Figure
come Washington, Napoleone, Eisenhower, De Gaulle, Rabin, Sadat hanno saputo
cumulare all’esperienza militare quella politica, dimostrando che un militare
può vestire con successo i panni del politico, mentre ogni tentativo di un
politico di improvvisarsi stratega militare è stato votato alla catastrofe.
Ad
esempio Hitler e Mussolini hanno giocato alla guerra con estremo cinismo, senza
valutare le sofferenze che le loro sconsiderate decisioni di aggressione
militare arrecavano.
Ogni
guerra nasce dal desiderio di conseguire la vittoria nel farsi giustizia da sé
per vendicare un torto subito o per conquiste o anche per prevenire attacchi
nemici, ma quando l’esecuzione dell’estrema decisione politica non viene
gestita da un militare professionista, che si muove solo sul piano della
razionalità, della valutazione obiettiva delle forze, l’insuccesso è garantito.
Lo
scopo del Comandante è quello di limitare le perdite e salvare la vita dei
propri uomini, quello del politico è di appagare il proprio ego.
Stiamo
assistendo da tre anni al susseguirsi di tragici errori politici con disastrose
conseguenze, lo sterminio di soldati e di popolazioni civili in Ucraina (per
non parlare dei massacri di Gaza).
Valenti
generali del Pentagono, della Nato e del nostro Stato Maggiore hanno ritenuto
che la guerra in Ucraina contro la Russia non potesse essere vinta solo sulla
base della dichiarazione di volontà dei vari politici che sognano di ridurre la
Russia in ginocchio.
Sono
stati avvertiti in più di un’occasione, ma la politica, obnubilata dal
desiderio di vincere a tutti i costi, per nascondere i fallimenti interni in
tema economico e sociale, non ha voluto ascoltare, condannando decine di
migliaia di soldati a morire, e il popolo a soffrire distruzioni, restrizioni,
aumento di costi energetici e diminuzione dei servizi.
I governanti europei si sono mostrati
insensibili alla lettura dei bollettini della guerra.
Le
informazioni che hanno voluto fossero diffuse, tutte improntate ad un ipocrita
ottimismo, erano tese a nascondere ai loro popoli la verità per non ammettere
di aver preso decisioni sbagliate.
Non hanno avuto pietà per le migliaia di
feriti e mutilati, per la generazione di piccoli resi prematuramente orfani,
per il tracollo di ogni attività economica, industriale, finanziaria con
riduzione allo stato di età della pietra dei pochi abitanti rimasti nell’area
di guerra.
Si
sono comportati da incoscienti:
rifiutando
ogni tentativo diplomatico e, mentendo alla propria opinione pubblica, hanno
continuato a insistere nell’inviare nuove armi super tecnologiche che
allontanano la pace, accrescono il numero di morti e distruzioni, e ingrassano
i fabbricanti di armi, mentre gli industriali famelici già si preparano, come
avvoltoi, con missioni ricognitive a prenotarsi per la spartizione della ricca
torta della ricostruzione.
La
magnitudine delle spese militari è pari solo al cinismo dei governanti che
preferiscono ridurre le provvidenze per i propri cittadini.
La presidente della Ue, con la colpevole
acquiescenza dei 27 governi, salvo l’Ungheria, ha approvato uno stanziamento di
800 miliardi di euro che finiranno inesorabilmente nei bilanci dell’industria
bellica americana, francese, inglese e, quel che è ancor peggio, tedesca.
Quegli
stessi politici di oggi incantano i loro popoli con il mantra di volere la pace
facendo la guerra, ma non fanno nulla per raggiungerla.
Dovrebbero, come ben sanno i generali,
assaporare la misera condizione dei soldati al gelo, le privazioni, il terrore
delle bombe dei missili, l’assenza di cibo e di acqua, la mancanza di un riparo
e di un giaciglio prima di continuare a condannare a morte tanti innocenti
(militari e civili).
Possibile
che votino per la continuazione della guerra facendo passare l’idea che con
quel voto rendono più vicina la pace?
La Ue
della pace, della cooperazione, della integrazione non esiste più:
è morta con il sostegno guerrafondaio a
perdere dato all’Ucraina senza accendere il minimo barlume di azione
diplomatica.
Il
paradosso è che questa guerra è voluta da quelli che non esitano a utilizzare a
sproposito la parola “pace” ma in realtà fanno di tutto per affossare i
tentativi di Trump e Putin di arrivare a un accordo di pace.
Non
sarebbe fuori luogo ricordare a Von der Leyen, Starmer, Macron, Scholz e Meloni
alcuni passaggi della ninna nanna in romanesco, dedicata da “Trilussa” al
bambino in piena guerra:
“…
Ninna nanna, tu nun senti / li sospiri e li lamenti / de la gente che se scanna
/ per un matto che commanna…
…Ché
quer covo d’assassini/ che c’insanguina la terra / sa benone che la guerra / è
un gran giro de quatrini / che prepara le risorse / pe’ li ladri de le Borse…
Domani
rivedremo li sovrani / che se scambieno la stima / boni amichi come prima…
E
riuniti fra de loro / senza l’ombra d’un rimorso, / ce faranno un ber discorso
/ su la Pace e sul Lavoro / pe quer popolo cojone / risparmiato dar cannone!…”.
La
fantasia al potere.
Infosannio.com
– (27 marzo 2025) – infosannio - Andrea Zhok – ci dice:
Alla “Commissione Europea “ci hanno spiegato che
dobbiamo armarci fino ai denti perché incombe la minaccia di un’invasione da
parte della prima o seconda potenza nucleare del pianeta.
Poi ci
hanno raccomandato di tenere scorte necessarie per 72 ore (perché 72 e non 48 o
96? Boh.)
Fino a
questo punto c’erano tutti gli elementi per credere che stessero prendendo
maledettamente sul serio una minaccia che il buon senso comune reputa del tutto
remota.
Ma
poi, ecco che arriva un video.
Protagonista,
da attrice consumata, la Commissaria Europea” Hadja Lahbib” (Commissaria
specificamente per la parità, la preparazione e la gestione delle crisi, dunque
non una che passava di là).
Il
video è assolutamente sconcertante.
Il
tono è lieve, salottiero, con un sottofondo da piano bar con aperitivo; si
succedono umorismo e garbatezza; e si squaderna un incredibile pressapochismo
in tutto ciò che viene detto (se qualcuno avesse la tentazione di prenderlo sul serio).
Infatti
– esattamente come nel caso di minaccia bellica – se qualcuno volesse davvero
“prepararsi a una crisi” deve prepararsi a una crisi specifica.
Viene
meno il riscaldamento? L’elettricità? Il tetto sulla testa? C’è un’alluvione?
Un terremoto? Un bombardamento? Una perdita di gas? Una contaminazione
radioattiva? Sei vicino al mare o in montagna o in pianura? Devi poterti
muovere a lungo o stare in un luogo? In un centro urbano o in una periferia
agricola? Perché non una coperta termica? Perché non un binocolo? Perché non
una corda? Perché non un asciugamano come nella Guida Galattica per Autostoppisti?
Ecc. ecc.
Semplicemente
NON ESISTE il “prepararsi ad una crisi” quale che sia.
Devi sapere quale tipo di imprevisto, quale
crisi.
E
invece no, con quell’aria serena di chi casca sempre in piedi e può ironizzare
su tutto, con il tono di simpatia paternalistica di chi si abbassa a spiegare
alla mesta plebe alcune chicche da “survivalist” la nostra commissaria procede
nella sua narrazione.
Ecco i
documenti di identità, ecco l’accendino, ecco le carte da gioco per distrarsi.
Quando ha estratto con aria maliziosa il suo “special friend” ci si aspettava,
coerentemente con il contesto, che comparisse un dildo.
Il discorso
sulla borsetta della resilienza si conclude con un momento di serietà, in cui
ogni speranza che si trattasse di cabaret, svanisce:
“The
EU is preparing its strategy to be sure that every citizen is safe in case of
crisis. Be prepared, be safe.”
[L’UE
sta preparando la sua strategia per garantire che ogni cittadino sia al sicuro
in caso di crisi. Siate preparati, siate al sicuro.]
Ora,
di fronte ad un video del genere fluttua l’eterna drammatica questione:
“Ci
sono o ci fanno?”
Qualcuno
potrebbe azzardare un’interpretazione machiavellica, pensando che un video del
genere sia una semplice operazione di distrazione pubblica:
ci fanno discutere di video demenziali mentre
cose più importanti e drammatiche covano nelle segrete stanze.
Forse,
ma improbabile.
I
palazzi di Bruxelles, nonostante la trasparenza degli edifici, sono il luogo
più opaco del mondo, e non c’è bisogno di ulteriori distrazioni che facciano da
copertura.
No,
credo che l’interpretazione possibile sia una sola, tragica: questa gente è
davvero così completamente sprovveduta, vacua, impreparata come sembra; è così
scollegata dalla realtà, da non percepire l’assurdità dei propri gesti. La
sicurezza da ricchi che promana da ogni gesto è quella della “Contessa
Serbelloni Mazzanti” -Vien dal Mare -che invita i ragionieri alla polentata.
E il
problema, naturalmente, non sono i video involontariamente umoristici, ma lo sguardo che ci consentono di
gettare su istituzioni da cui dipende il funzionamento delle nostre scuole o
del servizio sanitario, da cui dipendono i rapporti internazionali, da cui
dipendono occupazione o disoccupazione, da cui dipende la produzione
industriale, da cui dipendono guerra e pace.
In
questo momento, come un lampo che squarcia le tenebre notturne, per un istante si riesce a vedere
cosa si agita dietro le quinte e si mettono in fila con coerenza i tappi di plastica che
non si staccano, le politiche green di auto evirazione industriale, i contratti miliardari per la
fornitura di 10 vaccini a testa fatti via sms (e distrattamente cancellati), e la sfida in leasing alla Russia (si finalizza nel 2030, intanto
paghiamo le rate), ecc. ecc.
A
morte il tedioso principio di realtà: finalmente la fantasia al potere.
Tanto
il conto è a carico vostro.
C’eravamo
tanto armati.
Infosannio.com
– Toni Capuozzo – (27 marzo 2025) – infosannio – ci dice:
Piaccia o non piaccia, Trump li ha fatti
sedere su due tavoli separati, e si tratta. Dopo tre anni di guerra, la pace
possibile – che non è quella giusta – è una lunga strada da percorrere.
Il mondo è governato, alla fine, dalla legge
del più forte, le guerre dal loro andamento sul campo.
L’Europa?
Era parte in causa, e non siede al tavolo
delle trattative, e un po’ vuole mettersi di traverso, e sogna una spedizione
dei volenterosi che, se ci sarà, finirà nei paesi baltici.
Sa,
l’Europa capeggiata dal paese che ne è uscito, che non può continuare la guerra
da sola, con Zelensky ma senza l’America.
È
stata pronta a morire fino all’ultimo ucraino, e stenta ad accettare che
neanche gli ucraini sono pronti a morire fino all’ultimo.
Quel
che può fare l’Europa è continuare una guerriglia di sanzioni e di propaganda
bellicosa (che ogni tanto fa ridere amaramente, come il kit di sopravvivenza),
e coltivare lo scontroso sentimento di chi va controcorrente:
USA e
Russia, Cina e Brics sono alla ricerca di un nuovo equilibrio mondiale.
Che
vede l’Europa ai margini:
solo un buon mercato dove vendere, ma dal
quale comprare di meno.
Una
terra che era la madre della diplomazia e adesso si riarma.
Una
spiaggia per le migrazioni, quella eterna emergenza sulla quale l’Europa della
difesa comune non è mai stata capace di muoversi insieme.
Che si abbia bisogno di nemici per unirci e
definirci, quello è un brutto segnale.
Riarmo
e sostegno all'Ucraina:
Orban
contro tutti mentre
l'Ue
cerca l'unità.
Europa.today
– Alfonso Bianchi – (6-3-2025) – ci dice:
Al
Consiglio europeo, a cui parteciperà anche Zelensky, l'ungherese minaccia di
porre il veto sulle conclusioni che parlano di rispetto dell'integrità
territoriale del Paese. Ma i leader del blocco hanno bisogno di mostrarsi
compatti di fronte a Trump.
Sono
presenti al Consiglio europeo,il Presidente Antonio Costa, e Volodymyr Zelesnky
.
Il
copione è sempre lo stesso, la trama non cambia.
Al Consiglio europeo sarà di nuovo una
battaglia tutti contro Viktor Orban.
O
meglio, Viktor Orban contro tutti.
Mentre
i 27 leader del blocco stanno cercando di trovare una strategia d'azione comune
in un mondo in cui le relazioni transatlantiche, e di conseguenza
l'architettura della sicurezza europea, stanno drammaticamente cambiando, il
leader ungherese continua a volersi mettere di traverso.
Zelensky
è presente alla riunione.
Quello
di oggi (giovedì 6 marzo) è un Consiglio europeo speciale, convocato in fretta
e furia dal presidente Antonio Costa per provare a mettere a punto una nuova
strategia per continuare a difendere l'Ucraina anche in caso di disimpegno
degli Stati Uniti.
Per sostenere Volodymyr Zelensky, che
parteciperà alla riunione di persona e non solo in videocollegamento come
d'abitudine, nel raggiungimento di un accordo di pace che non sia deciso sopra
la sua testa dal presidente statunitense Donald Trump e da quello russo
Vladimir Putin.
Per
far guadagnare anche all'Europa un posto al tavolo delle trattative, con la
convinzione che la sicurezza dell'Ucraina è inscindibilmente legata a quella
dell'intera Ue.
Le prossime mosse degli europei saranno
decisive.
Il
presidente francese Emmanuel Macron ha parlato della necessità di "un
incredibile risveglio" e il futuro cancelliere tedesco “Friedrich Merz” ha
detto che l'Europa si trova "a cinque minuti dalla mezzanotte".
Armi a
Kiev.
I temi
sul tavolo saranno due:
l'approvazione del piano per il riarmo
dell'Europa, presentato dalla presidente della Commissione, Ursula von der
Leyen, e la posizione comune da tenere sull'Ucraina.
I
Ventisette vogliono ribadire la necessità di negoziati che portino a una pace
che rispetti "l'indipendenza, la sovranità e l'integrità
territoriale" dell'Ucraina, e il principio secondo cui "qualsiasi
tregua o cessate il fuoco" possa "verificarsi solo come parte di un
processo che porti a un accordo di pace complessivo".
O
meglio, i Ventisei vogliono ribadirlo, perché Orban si oppone a queste
formulazioni nel testo delle conclusioni, attualmente in fase di negoziazione,
e minaccia di mettere il veto.
A
Bruxelles è in corso una battaglia per dare il via libera all'invio di
ulteriori aiuti militari all'Ucraina, ma l'ungherese vorrebbe chiudere i
rubinetti, come ha fatto Trump congelando non solo le consegne di armi, ma
addirittura anche l'invio di informazioni di intelligence.
I
governi europei, invece, vorrebbero includere nel testo delle conclusioni del
Consiglio europeo – che serve a dettare la linea delle future azioni del blocco
– il via libera a un piano annunciato il mese scorso dall'Alto rappresentante
per gli Affari esteri dell'Ue, “Kaja Kallas.”
Il
piano prevede l'invio all'Ucraina di almeno 1,5 milioni di munizioni di
artiglieria quest'anno, oltre ad altre attrezzature come sistemi di difesa
aerea, missili e droni.
Quest'anno
l'Europa fornirà all'Ucraina 30,6 miliardi di euro, con esborsi dallo Strumento
per l'Ucraina, un meccanismo dell'Ue a sostegno di Kyiv, che dovrebbero
raggiungere i 12,5 miliardi di euro, e ulteriori 18 miliardi di euro da
prestiti del G7 nell'ambito della cosiddetta "iniziativa Era".
Il
veto di Orban.
E gli
europei sanno che bisogna fare di più, ora che gli Stati Uniti si sono tirati
fuori.
La bozza di testo in discussione sottolinea
che l'Ue "continuerà a fornire all'Ucraina un sostegno finanziario
regolare e prevedibile".
Ma
tutte queste richieste potrebbero essere escluse dalle conclusioni se Orban
resterà fermo sulle sue posizioni.
In
passato ha già minacciato più volte di porre il veto alle conclusioni del
Consiglio, salvo poi fare dietrofront all'ultimo secondo.
Costa
e diversi altri leader stanno cercando di convincerlo, ma si paventa
l'alternativa classica, già usata in passato proprio per aggirare il veto del
magiaro: le conclusioni del presidente sostenute da 26 Stati membri.
È una scappatoia che viene capita solo nella
"bolla" di Bruxelles, ma il cui utilizzo ha un forte valore simbolico
e politico:
significa
che l'Ue non è capace di agire in maniera compatta, e in situazioni come queste
è un vero disastro.
Riarmare
l'Europa.
Più
semplice sarà la discussione sul “ReArm Europe”, il piano di von der Leyen che
promette fino a 800 miliardi di investimenti nelle armi nei prossimi anni.
Ad Orban non piace particolarmente, ma neanche
ha intenzione di mettere i bastoni tra le ruote ai suoi colleghi.
Si
parlerà anche di un possibile contingente di pace in caso di accordo sulla fine
del conflitto, composto dalla "coalizione dei volenterosi".
Il tema non è in agenda, ma un alto
funzionario europeo ha spiegato che "diversi Stati" hanno espresso il
loro interesse a partecipare all'iniziativa, pur sottolineando che "la
discussione sui dettagli è prematura".
Costa,
poi, venerdì terrà una videoconferenza per fare il punto con i Paesi partner
non Ue:
primo
fra tutti il Regno Unito di” Keir Starmer,” poi anche Islanda, Norvegia e
Turchia.
"Vogliamo
mantenere con questi partner non Ue un collegamento di coordinamento su come
andare avanti.
Quindi
abbiamo scelto di fare questa videoconferenza per coordinarli e fare il punto,
e anche per ascoltarli", ha spiegato un'altra fonte.
L'unità
dell'Europa è sempre più importante.
Con o
senza Orban.
Gli
USA riusciranno a convincere
l’Europa a rispettare la richiesta di
Putin
di smettere di armare l’Ucraina?
Ambienteewb.org
–(27/03/2025) - Andrew Korybko – ci dice:
(korybko.substack.com/p/the-us-will-struggle-to-get-europe).
La
lettura ufficiale del Cremlino dell’ultima telefonata di Putin con Trump ha
condiviso la richiesta di Putin che “una completa cessazione della fornitura a
Kiev di aiuti militari e intelligence stranieri deve diventare la condizione
chiave per prevenire un’escalation del conflitto e fare progressi verso la sua
risoluzione”.
La
sospensione temporanea di tale assistenza da parte di Trump dimostra che ha la
volontà politica di chiuderla definitivamente se ottiene ciò che vuole dai
negoziati con Putin, ma gli europei sono una storia diversa.
Il
segretario di Stato “Marco Rubio” ha detto a Trump durante una riunione di
gabinetto lunedì, prima della fine dei colloqui russo-statunitensi di 12 ore a
Riyadh quel giorno, che “hai promosso nonostante gli impedimenti di altri
paesi”, che era probabilmente un’allusione alla guerrafondaia degli europei.
Anche se deliberatamente vago, potrebbe
benissimo riferirsi ai piani dell’UE e del Regno Unito di continuare ad armare
l’Ucraina nonostante la richiesta di Putin di cessare questa operazione come
una delle sue condizioni più importanti per la pace.
Polonia,
Romania e Mar Nero in ordine decrescente fungono da punti di ingresso per le
armi straniere in Ucraina, su nessuna delle quali gli Stati Uniti hanno il
pieno controllo.
Gestisce
congiuntamente l’hub logistico di Rzeszow, nel sud-est della Polonia,
attraverso il quale passa circa il 90-95% di tutte le armi destinate
all’Ucraina, ma questa struttura può continuare a funzionare anche se gli Stati
Uniti si ritirano.
La situazione è simile con la “Moldavia”
rumena, di recente costruzione, per facilitare la spedizione di armi dai porti
greci all’Ucraina.
L’esercito
americano gestisce congiuntamente solo strutture portuali locali ad
Alexandroupolis, pur non avendo alcuna influenza diretta sull'”autostrada della
Moldavia”, che possono continuare a funzionare senza di essa.
Per quanto riguarda il Mar Nero, il nuovo
accordo sul grano che gli Stati Uniti stanno negoziando con la Russia potrebbe
portare a controlli internazionali sulle merci per individuare il traffico di
armi o creare una copertura plausibile per questo commercio.
In ogni caso, proprio come i due precedenti,
il punto è che anche altri oltre agli Stati Uniti possono fare affidamento su
questa strada.
È
improbabile che Trump minacci sanzioni economiche contro gli alleati nominali
della NATO, i cui paesi continuano ad armare l’Ucraina, anche se il suo
pensiero decidesse di tagliarla fuori per sempre, come parte della serie di
compromessi pragmatici che sta negoziando con la Russia per porre fine al
conflitto in modo sostenibile.
L’unico scenario in cui potrebbe radunare il
Congresso per approvare un altro pacchetto di armi è se la Russia espandesse
significativamente la sua campagna di terra oltre le regioni che rivendica come
proprie, come è stato discusso qui.
Finché
ciò non accadrà, gli aiuti degli Stati Uniti dell’era Biden si esauriranno
presto e l’Ucraina sarà quindi interamente dipendente dagli aiuti europei, ma
non è chiaro se questa drastica riduzione degli aiuti (tenendo presente anche
le loro scorte già notevolmente esaurite) sarebbe sufficiente alla Russia per
cessare le ostilità.
Putin
potrebbe accettarlo come parte della serie di compromessi pragmatici che sta
negoziando con Trump, o potrebbe ancora appoggiarsi alla sua controparte per
esercitare maggiore pressione sugli europei affinché seguano le sue orme.
Le
mani di Trump sarebbero legate nel secondo scenario, come è stato appena
spiegato, ma potrebbe anche guidare dal fronte suggerendo che gli europei
accumulino invece le attrezzature che vogliono inviare all’Ucraina in Polonia e
Romania secondo i loro impegni di “garanzia di sicurezza” nei confronti di
Kiev.
Questi
si riferiscono ai patti bilaterali stipulati l’anno scorso, in base ai quali i
principali paesi come il Regno Unito, la Francia, la Polonia, l’Italia e gli
stessi Stati Uniti hanno sostanzialmente concordato di riprendere il loro
attuale livello di sostegno all’Ucraina se le ostilità dovessero riesplodere.
Qualunque
arma gli europei possano ancora inviare all’Ucraina non compenserebbe il taglio
degli aiuti statunitensi, quindi trasferirebbero le loro attrezzature per
essere distrutte senza altro scopo se non quello di ritardare l’inevitabile
risoluzione politica del conflitto, a quel punto la Russia potrebbe persino
guadagnare più terreno.
Putin potrebbe ovviamente preferire che la
NATO non accumuli nulla in prossimità dei confini dell’Ucraina per una rapida
spedizione in caso di guerra continua, ma la Russia non può controllare ciò che
fanno sul loro territorio.
Trump
e la sua squadra farebbero quindi bene a trasmettere questi punti agli europei
per facilitare il processo di pace ucraino.
Putin potrebbe non accettare un cessate il
fuoco o un armistizio finché gli europei continueranno ad armare l’Ucraina, il
che sarebbe inutile da parte loro in ogni caso, mentre sprecherebbero solo le
loro armi che altrimenti potrebbero essere utilizzate meglio se le ostilità
riesplodessero e gli Stati Uniti ripristinassero così il loro precedente
livello di sostegno all’Ucraina.
Questo
compromesso proposto potrebbe portare a una svolta.
Il
divorzio Tesoro-Bankitalia:
un
colpo di Stato economico firmato
dal gruppo Bilderberg.
Lacrunadellago.net
- Cesare Sacchetti – (27/03/2025) – ci dice:
Non
sono in molti a sapere la storia di come l’Italia ha perduto il controllo della
sua banca centrare, la celebre Banca d’Italia.
C’è
stato un tempo in cui l’Italia non aveva nemmeno una banca centrale nel vero
senso del termine, ed era questa l’epoca dello Stato unitario liberale che di
italiano aveva molto poco e di massonico invece tutto.
La
classe politica risorgimentale era difatti la perfetta espressione di quelle
forze che accompagnarono tutto il processo risorgimentale.
C’erano
latifondisti, banchieri e soprattutto massoni perché purtroppo il processo di
unificazione non è stato fatto sulla base delle radici cattoliche e
greco-romane del Paese, ma seguendo invece quelle della libera muratoria che
non era composta da patrioti come si vuole far credere, bensì da uomini che
avevano come principale obiettivo la distruzione della tanto odiata Chiesa
romana.
In
questa epoca, la banca d’Italia, nata nel 1893, non aveva nemmeno la facoltà
esclusiva di stampare moneta tanto da doverla condividere con due banche
private, quella di Sicilia e quella di Napoli.
Lo
Stato liberale era pienamente in linea con gli interessi di quel ristretto ceto
di possidenti e affaristi che in realtà avevano in mano le redini del potere
economico, sempre ovviamente su mandato di Londra, la potenza che aveva voluto
l’unità d’Italia già ai tempi del primo ministro e influente massone,” Lord
Palmerston”.
Soltanto
negli anni’20, dopo l’ascesa al potere del fascismo e dopo la presidenza di
Benito Mussolini lo Stato inizia ad assumere quei caratteri che non lo rendono
più uno svuotato simulacro giuridico, ma un’entità pienamente sovrana che
presidia e difende la sovranità e l’interesse del suo Paese.
La
prima importante riforma bancaria è quella del 1926 che stabilisce che deve
essere solo e soltanto la banca d’Italia ad avere la facoltà di stampare moneta.
La
banca centrale inizia ad essere veramente tale soltanto dal ventennio in poi e
la sua definitiva trasformazione giuridica si completa attraverso la riforma
della legge bancaria del 1936, la celebre legge Menichella, che oltre a marcare una netta separazione tra banche
commerciali e banche di investimento, toglie ai privati la facoltà di avere in
mano le azioni di Bankitalia.
L’economista
Domenico Menichella.
Ogni
quota passa nelle mani di istituti bancari e altri organismi economici di
proprietà pubblica.
La
Banca d’Italia è da quel momento in poi interamente nelle mani dello Stato e
l’impianto economico disposto dal fascismo sarà preservato anche dopo l’avvento
della repubblica di Cassibile e della Costituzione del’48, ed è grazie a questi
capisaldi fondamentali che è stato possibile il cosiddetto miracolo economico
dei successivi anni’60.
In
quell’epoca, il Paese aveva acquisito una posizione pressoché invidiabile.
Il suo
sistema bancario era tra i più stabili al mondo, la sua industria tra le più
prospere grazie all’IRI fondata da Mussolini nel 1933, e il tasso di risparmio
era il più alto al mondo assieme a quello del Giappone.
Semplicemente,
tale ricchezza e tale prosperità era divenuta troppo “ingombrante” per quegli
ambienti finanziari che volevano invece trasformare il giardino d’Europa in un
incolto campo di erbacce.
Occorreva
smantellare pezzo per pezzo tutto quel impianto. Occorreva spogliare a poco a
poco tutto quell’immenso patrimonio per spartirselo meglio tra i vari falchi
della finanza askenazita.
I
nemici dell’Italia: i vari club del mondialismo.
Il
Club di Roma fondato nel 1968 da Aurelio Peccei, dirigente FIAT e novello “Adam
Weishaupt”, aveva già stabilito nelle sue riunioni che il Paese custode delle
radici cattoliche e latine andava violentemente saccheggiato per portarlo verso
la tanto agognata estinzione.
Sul
finire degli anni’70, dopo l’operazione del sequestro di Aldo Moro, nella quale
dal principio alla fine sono stati all’opera elementi dei servizi
anglo-americani e i massoni della loggia P2, inizia l’assalto più violento
all’Italia.
Si
arriva al 1981.
Si
diffondono rapidamente in Europa le idee del neoliberismo economico patrocinate
in quel periodo da “Milton Friedman”, economista americano di origini ebraiche,
che sosteneva che lo Stato mai doveva intervenire nei processi economici, ma
dovesse lasciar fare tutto invece alla cosiddetta “mano invisibile” del libero
mercato.
Il
neoliberismo afferma che l’economia se lasciata operare da sé tornerebbe al suo
stato di funzionamento “ideale” attraverso una fantomatica autoregolamentazione
che in realtà mai è esistita e mai esisterà.
La
“autoregolamentazione” si tramuta in realtà nel dominio assoluto e predatorio
del capitale sulle masse e su intere nazioni.
“Friedman”
parla difatti a nome di quei finanzieri di Wall Street che avevano tutto
l’interesse ad inaugurare una selvaggia stagione di privatizzazioni il cui solo
risultato sarebbe stato quello di trasferire un enorme ammasso di ricchezze
dalle mani dello Stato, e quindi del pubblico, a favore di un manipolo di
oligarchi, come purtroppo avvenne nei decenni successivi.
L’economista
americano per salvaguardare meglio gli interessi delle élite del capitale aveva
già fondato nel 1947 un” think tank” molto esclusivo, la” Mont Pelerin Society”,
che si riunisce ogni due anni e che non rilascia pubbliche dichiarazioni, circostanza questa che lo rende più
simile ad una sorta di società segreta che ad un gruppo di accademici.
Gli
economisti della Mont Pelerin Society.
La
Mont Pelerin vuole privatizzare l’economia e dentro di essa c’è un altro
importante economista apologeta del libero mercato come “Friedrich Von Hayek”,
maestro di “David Rockefeller”, membro di un’altra famiglia di finanzieri e
industriali che aveva un interesse primario alla rimozione dello Stato
nell’economia.
In
Italia, gli anticorpi contro il neoliberismo sembrano ancora molto sani.
Il
Paese che aveva concepito lo Stato imprenditore sulle orme della dottrina
sociale della Chiesa sembrava respingere le “sirene” del libero mercato, fino a
quando però la quinta colonna al suo interno non si adoperò per portare il
cavallo di Troia dentro le viscere della nazione.
L’attacco
alla Banca d’Italia e il gruppo Bilderberg.
L’attacco
non poteva che partire proprio dall’istituto che Benito Mussolini aveva
nazionalizzato nel 1936, ovvero la citata banca d’Italia.
A
condurlo sono stati due personaggi fondamentali nell’assedio economico
scatenato all’Italia e si tratta dell’allora ministro del Tesoro, Beniamino
Andreatta, e dell’ex governatore di palazzo Koch, Carlo Azeglio Ciampi.
L’anno
è il 1981, ma per entrambe le figure si erano già dischiuse le porte del gotha
del mondialismo.
Beniamino
Andreatta era uno di quegli esponenti della DC di sinistra che se si potesse dare
un punteggio nel computo dei danni procurati al Paese, avrebbe probabilmente il
massimo dei voti.
Il
ministro del Tesoro aveva già iniziato a sedere ai tavoli di uno dei più giri
più influenti dell’apparato mondialista come il cosiddetto gruppo Bilderberg,
fondato nel 1954 dal politico polacco “Jozef Retinger” e così chiamato perché
la sua prima riunione ebbe luogo nell’albergo” Bilderberg di Osterbeek”, nei
Paesi Bassi.
Jozef
Retinger.
All’inizio
si sa poco e nulla di questo gruppo che più che un think tank assomiglia ad una società segreta perché nei primi tempi le sue
riunioni non sono nemmeno annunciate, né tantomeno sono oggetto di discussioni
pubbliche le decisioni del club che vengono prese a porte chiuse senza nessuna
legittimazione democratica di nessun tipo.
In
questa società segreta di alto livello ci sono dentro tutti i politici e uomini
d’affari più importanti del secolo scorso e di quelli di questo secolo, tra i
quali si possono citare il sempre ubiquo Henry Kissinger, re Carlo
d’Inghilterra, Gianni Agnelli, Pierre Trudeau, ex primo ministro canadese e
padre di Justin, Paolo Gentiloni, David Rockefeller, Emmanuel Macron, Emma
Bonino, Matteo Renzi, Tony Blair, Hillary e Bill Clinton e molti altri nomi
pesanti della politica internazionale.
Il
Bilderberg scrive le linee di politica estera da seguire per i vari Paesi
membri.
È qui
che si delineano le linee fondamentali dell’Unione europea che aveva già iniziato a fare i primi vagiti quando
la “fondazione Rockefeller “aveva finanziato il movimento federalista europeo
del massone “Altiero Spinelli,” del quale i media parlano così tanto in questi
giorni, ma sul quale dicono tutto tranne le vere informazioni che il pubblico
avrebbe bisogno di sapere.
Nel
1955, è proprio al Bilderberg che ha luogo una importante riunione nella quale
si stabilisce che l’Europa avrebbe dovuto subire un processo di unificazione
politica ed economica attraverso la creazione di un’unica entità statuale e di
una moneta unica, ovvero il progetto già concepito negli anni precedenti dal
padre putativo dell’Unione europea, il conte Kalergi.
Nel
1957, arriva il trattato di Roma e nei decenni successivi il processo di
indebolimento delle sovranità nazionali va avanti ma un punto fondamentale di
questa strategia della colonizzazione era sicuramente quello di togliere allo
Stato la facoltà di controllare la propria banca centrale.
A
questo pensano i citati Andreatta e Ciampi.
Sono loro due, senza alcun mandato
parlamentare, a scambiarsi un carteggio nel febbraio del 1981 attraverso il
quale di fatto impediscono al Tesoro di controllare Banca d’Italia e ordinare a
questa di comprare i titoli di Stato al tasso deciso dal governo.
Lo
spartito che stavano suonando Andreatta e Ciampi non era altro che quello della
“Mont Pelerin Society” di “Friedman”.
Si
stava affermando, in altre parole, il principio della cosiddetta indipendenza
delle banche centrali che toglie agli Stati la facoltà di poter ordinare alle
prime di stampare moneta e di monetizzare il debito pubblico.
Gli
effetti di tale scellerata separazione sono prevedibili.
Dopo
aver tolto al Tesoro la possibilità di far comprare i titoli di Stato a
Bankitalia al tasso di interesse stabilito dal primo, non è stato più il
governo a decidere il prezzo dei titoli, ma il mercato.
I
titoli per poter essere venduti alle aste sono stati piazzati a tassi
enormemente più alti, e se il rapporto tra debito pubblico e PIL è salito oltre
il 100%, non è avvenuto certo per la spesa pubblica della politica o per la
corruzione, come vuole la vulgata di Travaglio e grillina, ma perché Andreatta
e Ciampi hanno eseguito le linee guida del padre della “Chicago School”, il
premio Nobel, “Milton Friedman”.
Il
primo vero colpo al cuore del sistema economico italiano è stato certamente
questo è impossibile non vedere come in esso abbia giocato un ruolo centrale il
citato Bilderberg Group.
Se
Andreatta era già divenuto un membro di questa esclusiva società segreta,
Ciampi non tarderà a seguirlo quando sarà invitato nel 1987 alla riunione che
si tenne a Cernobbio, a villa D’Este, nella quale c’erano il sempre presente
Gianni Agnelli e il giovane Mario Monti, professore presso la Bocconi, e futuro
presidente del Consiglio nel 2011 dopo che il presidente Napolitano tramite una
manovra golpista aveva di fatto lavorato per la caduta dell’allora premier
Berlusconi.
Le
impronte del Bilderberg nell’omicidio dell’economia italiana sono praticamente
ovunque.
Soltanto
pochi anni dopo, nel famigerato 1992, Carlo Azeglio Ciampi, ancora una volta
nelle vesti di governatore della banca d’Italia, mette in atto la più folle e
distruttiva politica di difesa del cambio fisso della lira con lo SME,
l’antenato dell’euro.
Gli
speculatori internazionali capitanati da George Soros, presidente del “Quantum
Fund”, non aspettavano altro per lanciare il loro attacco.
Sapevano
già evidentemente in anticipo che il governatore Ciampi invece che lasciar
svalutare la moneta avrebbe difeso il cambio fisso vendendo 48 miliardi di
dollari di riserve di valuta estera pur di mantenere il rapporto di cambio
della lira con lo SME.
Se
Soros fece in quell’anno profitti da capogiro lo deve tutto a Ciampi che invece
che essere messo sotto inchiesta dalla magistratura che accendeva i riflettori
su tangenti migliaia di volte inferiori a quella rapina, veniva poi ricompensato negli anni
successivi con la più alta carica dello Stato, la presidenza della Repubblica.
Al
Quirinale si instaura così, dopo Francesco Cossiga, il primo presidente del
gruppo Bilderberg che aveva prima spogliato il Tesoro della facoltà di
controllare l’istituto bancario, e poi aveva dilapidato il patrimonio valutario
di palazzo Koch per la gioia degli speculatori anglo-sionisti che ancora oggi
lo ringraziamo e che erano stati informati in anticipo del comportamento di
Ciampi, ma i togati come si è visto erano impegnati nella loro rivoluzione
colorata per conto di Washington.
Il
lavoro però non era ancora completato.
Ciampi doveva portare a compimento la privatizzazione
definitiva di Banca d’Italia e lo fa nel 1993, quando diviene presidente del
Consiglio, dandosi il cambio con Giuliano Amato, già compartecipe dell’omicidio
economico dell’Italia e famigerato autore del prelievo forzoso sui conti
correnti.
L’ex
governatore di Banca d’Italia vara subito la legge bancaria di quell’anno che
mette fine all’impianto stabilito anni prima dal fascismo.
Le
banche commerciali sono fuse con quelle di investimento, e l’annullamento della
precedente linea di demarcazione ha messo i correntisti più soggetti alle
pressioni della finanza che li ha indotti a fare scellerate speculazioni in
borsa.
Il
mercato prende il sopravvento, e la banca d’Italia allora nelle mani di banche
ed enti pubblici passa nelle mani di istituti bancari privati e ancora oggi
tale assetto è immutato.
La
banca centrale italiana ancora oggi non è di proprietà dello Stato, ma dei
mercati e appare risibile che sul suo sito palazzo Koch dica che Bankitalia è
un” istituto di diritto pubblico” perché tale definizione è priva di valore se
le “azioni dell’istituto sono nelle mani dei privati”.
A dare
il definitivo colpo di grazia all’Italia è ancora una volta un uomo del gruppo
Bilderberg come Romano Prodi che vanta almeno sei partecipazione all’esclusivo
ritrovo di globalisti, senza contare che il “professore” faceva già parte del
comitato direttivo nel 1981, un anno prima di diventare presidente dell’IRI e
di tentare la svendita dello SME a favore dell’ingegner De Benedetti,
operazione fortunatamente sventata dall’allora presidente del Consiglio,
Bettino Craxi.
È
Prodi nelle vesti di presidente del Consiglio a togliere definitivamente all’Italia
la possibilità di avere una moneta attraverso l’ingresso nella gabbia
dell’euro, per
il quale l’uomo del Bilderberg verrà poi ricompensato con la presidenza della
Commissione europea nel 1999.
La
Banca d’Italia già privatizzata entra a far parte così di un sistema
sovranazionale chiamato SEBC, nel quale la facoltà di stampare moneta è rimessa
alla BCE, una banca “centrale” soltanto nel nome, in quanto essa non risponde in
nessun modo ai governi europei, né tantomeno finanzia il loro deficit e
garantisce il pagamento dei loro titoli di Stato.
La
storia degli ultimi 50 anni è, come si può vedere, un doloroso percorso
funestato di tradimenti e saccheggi selvaggi, e ognuno di questi è stato
perpetrato da uomini fedeli al gruppo Bilderberg come Andreatta, Ciampi, Monti
e Prodi.
La
lezione che si può trarre da questa storia appare essere soltanto una.
La
quinta colonna ha avuto la meglio perché le leve del sistema democratico
liberale sono perfette per consentire ai vari circoli del potere transnazionale
di prendere il controllo di un Paese.
L’Italia
per tornare alla sua piena sovranità in futuro dovrà partire da questo.
Dovrà
tenere a mente che “nulla salus” esiste nel liberalismo e nella sua protesi
economica, il liberismo.
C’è
solo malattia perpetua.
La
casa di “Le Pen”:
gli
immortali politici francesi.
Politico.eu
– (26 – 3 – 2025) - Redazione - VICTOR GOURY-LAFFONT – ci dice:
Il
futuro politico di Marine Le Pen potrebbe essere stroncato. Suo padre
Jean-Marie è morto. Il loro movimento, tuttavia, è destinato a una lunga vita.
JEAN-MARIE
LE PEN, IL FONDATORE INCENDIARIO del più grande partito di estrema destra
francese, è stato sepolto l'11 gennaio in una giornata invernale insolitamente
soleggiata nella lussuosa località turistica di La Trinité-sur-Mer, dove era
nato nel 1928.
La
giornata è iniziata con una cerimonia in una modesta chiesa costruita con il
caratteristico granito bretone, dove la sicurezza ha dovuto respingere una
manciata di skinhead che volevano intrufolarsi al funerale.
Forse appropriatamente per un figlio di
pescatori, si è conclusa con un drink in un modesto ristorante di pesce,
decorato con dipinti di vita marina locale.
Il
funerale è stato vistosamente sobrio per un uomo che ha trascorso la sua
carriera politica come un uomo nero chiassoso e con la benda sull'occhio.
Ex paracadutista nella guerra d'Algeria che ha
minimizzato l'Olocausto, Le Pen ha contribuito a forgiare quello che sarebbe
diventato, nella sua ultima incarnazione come Raggruppamento Nazionale, il
partito populista e anti-immigrazione più potente d'Europa.
Sebbene
molte persone si siano radunate attorno al cimitero per dare un'occhiata agli
eventi, solo un paio di centinaia di persone a lui più vicine sono state
invitate ufficialmente.
Tra i
presenti c'erano familiari e alleati che lo avevano accompagnato nel corso
della sua lunga carriera:
la
figlia più giovane, Marine, che circa 15 anni fa aveva assunto la direzione di
quello che allora era noto come Front National;
“Bruno
Gollnisch,” l'uomo che aveva a lungo sperato di ereditare il partito ma che
alla fine non era riuscito a competere con un membro della famiglia;
e
Marion Maréchal, l'amata nipote la cui lealtà verso gli ideali del nonno alla
fine la spinse a lasciare il partito che Marine aveva rinominato, ritenendo che
il “Rassemblement National” fosse diventato troppo moderato.
I
festeggiamenti avevano l'aria di un finale di serie, non troppo dissimile da
"Succession" della HBO.
I
media francesi potrebbero voler paragonare la dinastia Arnault che gestisce
LVMH alla famiglia immaginaria Roy , ma sono i Le Pen a vantare la saga più
complessa e ricca di drammi della Francia.
Ed è
il loro impero familiare a rischio di crollare, con un outsider, il presidente
del National Rally Jordan Bardella, 29 anni, che interviene per prendere le
redini.
Anche
se Marine non ha alcuna intenzione di farsi da parte volontariamente, problemi
legali potrebbero costringerla a farlo.
L'anno
scorso lei e il Rassemblement National sono stati accusati di aver preso parte
a un piano per appropriarsi indebitamente di milioni di euro di fondi del
Parlamento europeo e i pubblici ministeri hanno chiesto che al leader di
estrema destra venga immediatamente impedito di candidarsi a cariche pubbliche
per i prossimi cinque anni, il che includerebbe le prossime elezioni
presidenziali previste per il 2027, un voto che lei sa di avere la possibilità
di vincere.
Il
verdetto sarà pronunciato lunedì e, se i giudici accetteranno di pronunciare
subito la sentenza anziché attendere la conclusione del processo d'appello,
potrebbe infrangersi il sogno di Le Pen di salire i gradini dell'Eliseo.
Ma la
storia dei Le Pen non è mai stata quella di un clan pronto ad accettare il
collasso; è una storia di continua resurrezione.
Qualunque
cosa accada, questo non sarà il capitolo finale, in particolare data la
popolarità del suo partito e del movimento in generale.
Per
cinque decenni, la famiglia ha resistito a scandali nei media, battaglie perse
in tribunale e sconfitte alle urne, solo per tornare più forte.
E
anche se nessuno dei rampolli biondi di Jean-Marie arriva all'Eliseo, la
missione ideologica dei Le Pen, ovvero rendere mainstream l'estrema destra in
un paese ossessionato dalla sua storia di collaborazionismo nazista, è stata
compiuta.
"C'è
qualcosa di tragico nella storia di Marine Le Pen", ha detto uno degli
alleati più stretti del leader dell'estrema destra, che, come altri citati in
questo articolo, ha ottenuto l'anonimato per parlare apertamente dei Le Pen e
del loro futuro.
"Ma
nella dimensione tragica, c'è una benedizione costante.
Lei
torna sempre".
Integrare
l’estrema destra.
Due
anni prima della nascita di Marine, Jean-Marie fondò il Fronte Nazionale
insieme a un eterogeneo gruppo di disadattati politici e collaborazionisti
nazisti.
Il
partito fu un piccolo attore durante la prima corsa presidenziale di Jean-Marie
nel 1974 e in varie elezioni locali che seguirono prima della sua svolta nelle
elezioni europee del 1984, quando vinse l'11 percento dei voti generali.
Due anni dopo, Jean-Marie e altri 34 membri
del Fronte Nazionale furono eletti all'Assemblea Nazionale.
Jean-Marie
ha inizialmente costruito il suo successo facendo appello agli elettori della
classe alta prima di "prendere gradualmente piede tra i colletti
blu", ha detto Nonna Mayer, una delle principali esperte accademiche
dell'estrema destra francese.
Ha alimentato con successo la xenofobia, in
particolare contro gli immigrati dall'Africa, e ha cercato di capitalizzare la
sofferenza di coloro che vivevano nelle ex regioni francesi del carbone e
dell'acciaio spostandosi gradualmente verso il protezionismo, decenni prima che
il “movimento MAGA” di Donald Trump impiegasse le stesse tattiche.
Nel
2002, raggiunse l'apice della sua carriera politica, sconvolgendo il paese con
il ballottaggio contro “Jacques Chirac” alle elezioni presidenziali di
quell'anno.
Alla
fine, fu completamente annientato al secondo turno, con un margine dell'82,2
percento contro il 17,8 percento.
Quella
performance rivelò un'importante verità: un Paese ossessionato dal suo
collaborazionismo con i nazisti non avrebbe mai accettato un politico
condannato per incitamento all'odio antisemita.
“[Il
nome Le Pen] evoca l’origine sulfurea di questo partito, con negazionisti
dell’Olocausto, ex membri delle Waffen-SS e collaboratori del regime di Vichy”,
ha detto Mayer.
La
sera delle elezioni, pochi operatori del partito erano ansiosi di salire su un
televisore e offrire un'analisi post-partita.
Toccò a Marine, allora consigliere regionale
trentaquattrenne, parlare a nome del partito e della famiglia.
Fingendo
confusione, chiese: “Stasera, sento tutti i politici dirci all’unanimità che,
grazie a loro, la Repubblica, la libertà e la democrazia sono state salvate, ma
salvate da cosa?”
"La
Repubblica, la libertà e la democrazia non hanno mai avuto nemici, almeno non
nel nostro campo", ha affermato.
Quella
comparsa fu ampiamente considerata il momento in cui divenne chiaro che Marine
avrebbe preso il testimone da suo padre.
Quando
giunse il momento di svelare il suo successore poco meno di un decennio dopo,
Jean-Marie annunciò con la sua voce tonante a una folla di partigiani che
Marine era stata eletta a quella carica.
Il nuovo volto dell'estrema destra salì sul
palco, si inchinò teatralmente e abbracciò calorosamente il padre.
Eppure
Marine si sarebbe imbarcata in una missione in contrasto con la personalità di
agitatore di Jean-Marie, non tanto sulle posizioni del partito quanto su come
comunicarle.
Con
uno zelo e una spietatezza che avrebbero reso orgogliosa “Siobhan Roy”, di
"Succession", Marine ha lottato per ripulire l'immagine del National
Front e ammorbidirne i toni per rendere il partito e le sue politiche più
graditi agli elettori tradizionali.
Quanto
fosse disposta ad arrivare divenne chiaro nel 2015, quando l'allora ottantenne
padre di Marine ripeté la sua affermazione secondo cui le camere a gas naziste
utilizzate per commettere un genocidio contro milioni di ebrei erano state un
semplice "dettaglio" nella storia della Seconda Guerra Mondiale.
Marine
non aveva rotto con Jean-Marie quando lui aveva fatto la stessa affermazione
diverse volte prima.
Ma questa volta, fu brutale.
Lo
cacciò dal partito da lui fondato, lo rinnegò pubblicamente e, un paio di anni
dopo, cambiò il nome del National Front in “National Rally “per eliminare ogni
possibile sentore dell'odore di suo padre che potesse essere rimasto.
La
strategia di Marine ha dato i suoi frutti alle urne, mentre un'ondata di
estrema destra si è progressivamente diffusa in Europa e le posizioni del suo
partito in materia di immigrazione e sicurezza sono diventate sempre più
diffuse in tutto il continente.
Nonostante
sia il volto di quella che è stata a lungo una delle famiglie più vituperate di
Francia, Marine è stata ad un passo dalla vittoria della presidenza, arrivando
due volte al ballottaggio.
In
entrambe le occasioni ha perso contro il” presidente Emmanuel Macron”, ma ha
dimostrato che gli elettori di tutto lo spettro politico non uniscono più le
forze per impedire a Le Pen di arrivare al potere, come fecero quando
Jean-Marie affrontò Jacques Chirac.
Marine
ha ottenuto il 34 percento dei voti al secondo turno delle elezioni
presidenziali del 2017 e il 41,5 percento nel 2022, un notevole miglioramento
rispetto ai risultati del padre.
Alcuni
sondaggi d'opinione per le prossime elezioni presidenziali indicano che Marine
arriverà prima e passerà il ballottaggio indipendentemente dagli altri
candidati. In un sondaggio del rispettato sondaggista IFOP, si prevede che
vincerà la presidenza.
Morte
politica.
La
strada di Marine Le Pen verso la presidenza sembrava spianata, finché a
settembre due procuratori non si sono rivolti a un'aula di tribunale gremita
sotto le luci fluorescenti del modernissimo tribunale di Parigi.
Gli
avvocati dello Stato, “Louise Neyton” e “Nicolas Barret”, hanno affermato che
il “Raggruppamento Nazionale” e la sua dirigenza hanno, dal 2004 al 2016,
gestito un "sistema" in cui hanno sottratto illecitamente denaro dal
Parlamento europeo destinato agli assistenti parlamentari europei e hanno
utilizzato illecitamente quei fondi per pagare i dipendenti del partito che
raramente o mai si occupavano di affari a Bruxelles o Strasburgo.
Neyton
e Barret hanno affermato che gli imputati hanno effettivamente trattato il
Parlamento europeo come una “mucca da mungere”.
Il
Parlamento stesso ha stimato di essere stato truffato per 4,5 milioni di euro.
Gli
imputati hanno ripetutamente professato la loro innocenza e Marine Le Pen ha
fatto in modo di essere presente in tribunale quasi ogni giorno del
procedimento, mantenendo un atteggiamento freddo come prova della sua buona
fede.
Ma la
difesa del “National Rally”, per la maggior parte, si è schiantata e bruciata
contro le prove convincenti presentate contro il partito.
Le
prove includevano un messaggio di testo di uno degli imputati che chiedeva se
poteva essere presentato al parlamentare europeo per cui presumibilmente stava
lavorando, mesi dopo l'inizio del contratto.
L'accusa ha anche rivelato che un altro
imputato aveva scambiato un singolo messaggio di testo nel corso degli otto
mesi in cui era stato sotto contratto con il suo presunto datore di lavoro.
Quando
è arrivato il momento delle raccomandazioni sulla condanna, Le Pen si è seduta
in prima fila, fissando direttamente e ascoltando diligentemente l'accusa.
Dietro di lei c'erano i suoi 24 coimputati, tutti accusati di aver preso parte
o di aver tratto beneficio dal piano, e uno stuolo di funzionari del partito e
rappresentanti eletti che si erano radunati in aula in segno di solidarietà e
lealtà verso il loro leader.
Le Pen
alla fine perse la calma quando “Neyton” disse, in relazione a un contratto che
non coinvolgeva Le Pen, che le prove erano scarse, ma che sarebbe stato
"troppo doloroso" chiedere che le accuse venissero ritirate, a causa
del suo forte presentimento.
Le Pen
si alzò e urlò:
"È la prima volta in vita mia che sento
il pubblico ministero dire che non ho niente contro di loro, ma sarei troppo
offesa per lasciarli andare".
Ma il
dramma più drammatico doveva ancora venire.
I due
procuratori hanno chiesto a un giudice di emettere condanne che vanno da multe
a gravi pene detentive.
La punizione più severa è stata riservata a Le
Pen, poiché i procuratori hanno sostenuto che aveva beneficiato del sistema
come parlamentare europea e ne aveva supervisionato il funzionamento continuo
durante i suoi primi anni alla guida del Raggruppamento Nazionale.
Hanno
chiesto al giudice di darle cinque anni di prigione, tre dei quali sospesi, una
multa di 300.000 € e un divieto di cinque anni di candidatura a cariche
pubbliche.
“Barret
e Neyton” hanno sostenuto che i crimini di Le Pen erano così gravi da meritare
una sentenza con effetto immediato, che di fatto le impedirebbe di candidarsi
alle elezioni presidenziali del 2027, indipendentemente dalle sue prossime
mosse legali.
In
genere, in Francia, le sanzioni vengono ritardate fino all'esaurimento del
processo di appello, il che può richiedere anni.
Uscendo
dal tribunale dopo le raccomandazioni dell'accusa, Le Pen ha detto ai
giornalisti che l'accusa aveva un solo obiettivo in mente:
"l'esclusione di Marine Le Pen dalla vita
politica", come ha detto la stessa Le Pen. Pochi giorni dopo, ha detto che
i procuratori volevano la sua "morte politica".
Se la
corte seguirà le raccomandazioni dell'accusa, Le Pen potrebbe provare a opporsi
alla decisione dinnanzi a un tribunale superiore, ma dovrà attendere l'inizio
del processo d'appello per contestare la pena per motivi costituzionali, ha
affermato “Benjamin Morel”, professore di diritto costituzionale presso una
delle principali facoltà di giurisprudenza francese.
"Finché
il processo d'appello non sarà stato superato, la situazione sarà estremamente
complicata", ha affermato “Morel”.
I
dirigenti del partito sono rimasti abbottonati su cosa potrebbe succedere al
Rassemblement National se Marine Le Pen venisse messa da parte.
Nel
corso di diverse conversazioni con POLITICO, molti degli alleati del candidato
alla presidenza per tre volte hanno insistito sul fatto che la questione non
viene discussa nelle riunioni interne al partito e che Le Pen sembra a suo
agio.
Dopotutto,
sostengono, impedire a Le Pen di candidarsi sarebbe uno scandalo democratico
che i giudici non oserebbero istigare.
E c'è un tacito accordo che se qualcosa
dovesse impedire a Le Pen di candidarsi, “Bardella”, il presidente lealista del
Raggruppamento Nazionale, è già in attesa dietro le quinte.
L'avvocato
di Le Pen, “Rodolphe Bosselut”, ha dichiarato a POLITICO che la difesa non
avrebbe rilasciato dichiarazioni né espresso pareri sul processo fino al
verdetto, per "evitare l'impressione di interferenze e speculazioni".
Un
futuro di estrema destra.
Secondo
la maggior parte dei resoconti, Marine ha preso la morte del padre in modo
particolarmente duro, nonostante il loro litigio molto pubblico.
La rivista di gossip Paris Match ha pubblicato le
fotografie di una Marine sconvolta a bordo di un aereo, in quello che è stato
probabilmente il momento in cui ha saputo della morte di Jean-Marie. (Le immagini sono state ritirate
poco dopo a causa delle reazioni negative del National Rally.)
Le
persone più vicine a Marine affermano che, nonostante una vita di brutali
battaglie politiche, problemi legali e tribolazioni personali, non era mai
apparsa così triste come dopo la morte del padre.
Eppure,
dopo un periodo di lutto, la sicurezza di Marine sembra incrollabile, e per una
buona ragione.
Il “Rassemblement
National” resta l'opposizione di destra più significativa in Francia.
Ha
ottenuto il 31,4 percento dei voti alle elezioni europee dello scorso giugno,
più del doppio del conteggio dei voti del secondo classificato, la coalizione
Ensemble di Macron.
Durante
le successive elezioni anticipate in Francia, il partito di Le Pen divenne il
gruppo più numeroso all'interno dell'Assemblea nazionale.
Le
posizioni assunte dall'estrema destra anni fa su questioni di immigrazione e
guerra culturale stanno diventando sempre più mainstream.
Persino
l'attuale Primo Ministro centrista francese “François Bayrou” ha utilizzato un
tropo del Raduno Nazionale durato un decennio quando a gennaio ha detto che
sembrava che alcune parti del paese fossero state "inondate" dagli
immigrati.
Solo
nei primi tre mesi di quest'anno, i legislatori francesi hanno avanzato misure
che limitano la cittadinanza per diritto di nascita nella regione francese
d'oltremare di Mayotte; vietano agli atleti di indossare l'hijab durante gli
eventi sportivi; e impediscono agli immigrati clandestini in Francia di sposare
cittadini francesi.
Tutte
e tre hanno una possibilità realistica di diventare legge.
E con “Bardella”,
il “Raggruppamento Nazionale “ha un leader telegenico, seppur raffinato, pronto
a raccogliere il testimone dalla famiglia Le Pen.
Se di
tutto questo si sia parlato bevendo qualcosa in quella modesta baracca di pesce
bretone rimarrà probabilmente un mistero per chi non era presente.
Ma gli
amici e la famiglia in quella notte invernale avrebbero offerto a un Marine
addolorato un po' di consolazione sul futuro dei sogni di Le Pen.
Sarebbe
stata un'opportunità per scambiarsi storie, versare lacrime e fare un brindisi.
Jean-Marie potrebbe essere morto e i sogni di
presidenza di Marine potrebbero essere sul punto di essere infranti, ma il
movimento politico dei Le Pen sembra destinato a una robusta longevità.
La
Polonia si prepara
alla
guerra.
Politico.eu
– (27-3- 2025) - Wojciech Kość – ci dice:
Varsavia
sta già spendendo molto in difesa.
Ora ha
bisogno di manodopera.
La
Polonia è ora il maggiore spenditore di difesa della NATO con il 4,7 percento
del PIL, ha l'esercito più grande dell'UE e sta spendendo miliardi in jet,
razzi, carri armati, artiglieria e altro ancora.
VARSAVIA
— Da quando la Polonia ha svelato il suo obiettivo di addestrare ogni maschio
adulto alla guerra, essere titolare di un passaporto polacco ha assunto un
carattere diverso.
Lo
status di star di Hollywood non fa eccezione.
"Non
c'è davvero nulla di cui aver paura!" ha stuzzicato il primo ministro
polacco “Donald Tusk” l'attore statunitense “Jesse Eisenberg” in un video sui
social media .
Il
41enne Eisenberg ha ottenuto la cittadinanza polacca all'inizio di questo mese
per il suo ruolo in "A Real Pain", un dramma candidato all'Oscar su
cugini ebrei separati che si riuniscono per un tour dell'Olocausto attraverso
il paese.
Pochi
giorni dopo che Eisenberg divenne cittadino, Tusk rivelò i piani per una
radicale espansione militare.
"Ti daremo una formazione tale che il
nuovo ruolo di James Bond? È tuo!" ha detto Tusk. Il PM polacco ha
sottolineato che la formazione è volontaria.
La
Polonia ha trascorso quasi due secoli come colonia di Mosca e conserva una
profonda diffidenza nei confronti del paese.
L'invasione
su vasta scala dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022 ha fatto salire alle
stelle questa preoccupazione.
Varsavia
è ora il maggiore spenditore della NATO per la difesa, con il 4,7% del PIL, ha
l'esercito più grande dell'UE e spende miliardi di euro in jet, razzi, carri
armati, artiglieria e altro ancora.
Ora lo
Stato in prima linea sta preparando la sua popolazione alla guerra.
Se
dovesse scoppiare un conflitto su vasta scala, la Polonia non avrebbe la
profondità strategica di altri paesi europei, ha dichiarato a POLITICO il capo
di Stato maggiore delle forze armate polacche, generale “Wiesław Kukuła”.
"Siamo vicini della Federazione Russa
e del suo alleato, la Bielorussia, quindi non abbiamo un cuscinetto tra noi e
loro e abbiamo solo un tempo limitato per prepararci e rispondere", ha affermato “Kukuła”.
Invece
di affidarsi allo spazio per tenere a bada i russi, la Polonia sta pianificando
di più che raddoppiare il suo esercito, portandolo a mezzo milione di soldati,
e di addestrare milioni di riservisti, ha dichiarato Tusk al parlamento
all'inizio di marzo.
"Entro
la fine dell'anno vogliamo avere pronto un modello affinché ogni maschio adulto
in Polonia sia addestrato per la guerra e affinché questa riserva sia adeguata a
eventuali minacce", ha affermato Tusk in parlamento, aggiungendo che anche
le donne possono arruolarsi.
Invece
di affidarsi allo spazio per tenere a bada i russi, la Polonia sta pianificando
di più che raddoppiare il suo esercito a mezzo milione di truppe e di
addestrare milioni di riservisti.
La
formazione sarà volontaria, ha affermato, per cercare di compensare le
preoccupazioni relative a un ritorno alla politica di coscrizione obbligatoria,
estremamente impopolare nel Paese e terminata nel 2008.
Per la
Polonia, un paese ad alto reddito con alcuni dei tassi di crescita economica
più elevati nell'UE, il passaggio alla prontezza al combattimento segnerà un
cambiamento di mentalità e molti dei suoi cittadini sono ansiosi di iniziare.
"Voglio
davvero sottopormi all'addestramento e, se necessario, spinto dall'odio per [il
presidente russo Vladimir] Putin, voglio difendere la mia casa, sparargli e
rendere la loro vita un inferno", ha detto Marek, un produttore mediatico
trentasettenne di Varsavia, a cui è stato concesso il permesso di usare uno
pseudonimo per parlare apertamente.
"Voglio
difendere tutto ciò per cui ho lavorato, tutto ciò che ho costruito. In questo
Paese mi sono guadagnato la mia casa, il mio posto, il mio spazio sicuro, e
nessun bastardo russo me lo porterà via. Possono andare a farsi fottere da dove
sono venuti."
Modalità
operativa.
I
dettagli sono ancora in fase di definizione da parte dell'esercito, che
dovrebbe proporre un piano entro la fine di marzo, ha detto Kukuła.
Il lavoro legislativo dovrebbe iniziare subito
dopo.
Le
autorità hanno in programma di lanciare programmi di addestramento militare a
breve termine rivolti a civili senza esperienza pregressa, ha riferito il
quotidiano Rzeczpospolita .
Questi corsi accelerati, della durata di pochi giorni,
introdurranno i partecipanti ai fondamenti della difesa civile, del primo
soccorso e a determinate competenze militari.
Per
coloro che hanno già ricevuto un addestramento militare, il governo offre corsi
di aggiornamento mirati, pensati per affinare competenze specialistiche, tra
cui l'uso delle armi da fuoco, la medicina di combattimento e la navigazione
terrestre.
I
civili che desiderano una preparazione più completa possono iscriversi a un
programma di formazione della durata di un mese, disponibile sia in presenza
che online.
"Il
primo [obiettivo del programma di formazione] è migliorare la disponibilità e
la qualità dei riservisti", ha detto Kukuła.
"Attualmente,
l'esercito ha un gran numero di riservisti, ma la loro età media è già di circa
45 anni.
Se il
conflitto e la pressione sulla Polonia persistono per un periodo prolungato,
risorse di riservisti ben addestrati saranno essenziali per garantire che
possano operare insieme ai soldati professionisti e alle Forze di difesa
territoriale".
Il
piano iniziale è di formare 100.000 persone entro la fine del 2026, ha
affermato.
"Il
secondo obiettivo è ancora più importante: dobbiamo preparare la società agli
effetti di una crisi, anche se non tutti seguono un addestramento
militare", ha affermato.
Ma il
tempo potrebbe non essere dalla parte della Polonia, avvertono alcune alte
personalità militari.
L'addestramento
militare per adulti sembra essere solo una parte di un sistema più ampio che il
governo Tusk sta cercando di costruire, aspettandosi il peggio dalla Russia.
"[I]
russi stanno costruendo un esercito massiccio nelle retrovie.
Se non
si raggiunge la pace e la divisione all'interno della NATO continua, la Russia
attaccherà gli stati baltici", ha affermato l'ex vice capo dello Stato
maggiore delle forze armate polacche, il generale “Leon Komornicki” .
"Questo potrebbe accadere alla fine di
quest'anno o all'inizio del prossimo. Un'invasione fa parte del loro piano".
“Jarosław
Kraszewski”, ex comandante delle forze terrestri polacche per missili, razzi e
artiglieria, ha dichiarato a “Radio Zet” che il piano di Tusk era un caso di
" troppo poco e troppo tardi."
"Formare
100.000 persone all'anno? Troppo poche. Dovremmo riportare in auge la
leva", ha detto il generale.
"Siamo
passati a uno stile di vita consumistico, alle gioie della democrazia e a
viaggiare per il mondo senza problemi, ma abbiamo dimenticato che ognuno di noi
dovrebbe avere una conoscenza di base in questo ambito".
Mentalità
di guerra.
I
sondaggi suggeriscono che l'idea gode di un certo sostegno popolare, ma è
tutt'altro che schiacciante.
Oltre
la metà dei polacchi sostiene l'iniziativa, mentre il 39 percento ha dichiarato
che sarebbe disposto a partecipare, secondo un sondaggio.
Un
altro sondaggio ha rilevato che circa due terzi dei polacchi rimarrebbero nel
paese se scoppiasse la guerra, mentre un terzo cercherebbe di fuggire.
"Se
dovesse arrivare la guerra, cosa che considero improbabile ma non impossibile,
allora, contrariamente a quanto afferma oggi “Donald Tusk”, la coscrizione
verrebbe ripristinata e agli uomini, con poche eccezioni, verrebbe vietato di
lasciare il Paese", ha affermato Patrycja Wieczorkiewicz, giornalista della
pubblicazione di sinistra Krytyka Polityczna.
"Non
riesco a immaginare di fuggire in una situazione del genere... lasciando
indietro i miei amici, i miei colleghi e gli altri", ha affermato.
Ma ha
detto che il suo movente non è il patriottismo.
"Questa non sarebbe una lotta per la
Polonia, ma contro un aggressore fascista-imperialista che uccide, stupra e
tortura.
In
base a quanto detto finora da Tusk, il programma sarà esteso, includendo corsi
di guida di camion, quindi credo che ci sarà qualcosa di adatto anche a
me", ha detto Wieczorkiewicz.
Ma non
tutti sono disposti ad andare in guerra per difendere il Paese.
Un
recente articolo del quotidiano Gazeta Wyborcza” ha citato i cittadini polacchi
che dubitavano che il loro Paese avesse offerto loro abbastanza soldi da
sentirsi obbligati a restituirli.
"Sono
un patriota, amo il mio paese, ma questo non significa che devo morire per
esso.
Non sarei di alcuna utilità in una guerra, se
non come carne da cannone", ha detto uno studente al giornale.
"Il
mio attaccamento a questo paese è definito dalle tasse che pago e dal fatto che
[esso] non mi offre alcuna reale possibilità di formare una famiglia in
condizioni dignitose", ha detto lo studente, alludendo ai prezzi alle
stelle delle case in Polonia e ai tassi dei mutui più alti d'Europa.
Il
governo deve fare di più per garantire un interesse sufficiente nel programma,
ha affermato l'esperto militare “Marek Kozubel”.
"Gli
incentivi finanziari saranno cruciali, insieme a una campagna di marketing
efficace che evidenzi i vantaggi dell'iscrizione a programmi di formazione.
Questi dovrebbero includere competenze utili anche nella vita professionale,
come conoscenze avanzate di meccanica o di funzionamento dei droni", ha
affermato Kozubel.
La
formazione cercherà di offrire ai polacchi competenze "utili sia in tempo
di guerra che in tempo di pace, come la sicurezza informatica o la formazione
medica", secondo Kukuła.
"Queste
competenze potrebbero essere utili anche nel mercato del lavoro".
Gli
incentivi presi in considerazione includono compensazioni finanziarie o
agevolazioni fiscali per i partecipanti e i loro datori di lavoro, ha aggiunto
il generale.
"Vogliamo
che lo Stato polacco chiarisca che rispettiamo coloro che contribuiscono alla
nostra difesa".
"Nessuno
verrà respinto", ha detto il ministro della Difesa Władysław
Kosiniak-Kamysz alla Radio polacca.
"Non tutti diventeranno soldati, anche
solo per via dell'età, ma potranno ricevere una formazione in difesa civile,
pronto soccorso e risposta alle crisi".
L'addestramento
militare per adulti sembra essere solo una parte di un sistema più ampio che il
governo Tusk sta cercando di costruire, aspettandosi il peggio dalla Russia.
Un
programma scolastico denominato “educazione con l’esercito” è in fase di
ampliamento e le lezioni di ginnastica includeranno anche una componente di
protezione civile, probabilmente a partire da settembre.
"Se siamo preparati, e se la Russia sa
che lo siamo, questo sarà un deterrente significativo", ha detto Kukuła.
"Secondo me, sarà abbastanza forte che la
Russia, sapendolo, non inizierà nemmeno un conflitto".
Il
ministro della Difesa tedesco segnala
apertura alle forze di
peacekeeping
in Ucraina.
Politico.eu
– (27 marzo 2025) - Nette Nöstlinger – ci dice:
La decisione
finale sull’invio di truppe tedesche dipenderà comunque da “molti parametri”,
afferma Boris Pistorius a Berlino.
BERLINO
— Il
ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius e il suo omologo estone, “Hanno
Pevkur”, hanno manifestato la loro disponibilità a contribuire a garantire la
pace in Ucraina con l'intervento militare sul campo, almeno in teoria.
"Non
riesco a immaginare una situazione in cui la Germania non parteciperebbe a
qualsiasi risultato dei negoziati per un cessate il fuoco o addirittura per una
pace", ha detto “Pistorius” durante un evento organizzato congiuntamente
da diversi organi di informazione giovedì a Berlino.
"Ma
bisogna deciderlo quando sarà giunto il momento e dipende da molti parametri,
come: quante truppe saranno comunque accettate nel cessate il fuoco? Quale
potrebbe essere il mandato? Chi vi prenderà parte?
Non è
niente di cui dovremmo discutere pubblicamente sui mercati prima ancora che sia
chiaro se avremo un cessate il fuoco o meno", ha aggiunto.
I
commenti di “Pistorius” sono arrivati mentre i leader europei si incontravano
a Parigi giovedì insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy per
discutere di colloqui di cessate il fuoco e supporto militare a Kiev.
I
leader avrebbero dovuto discutere di come rendere una proposta
franco-britannica di schierare una "forza di rassicurazione" in
Ucraina "più operativa e più concreta", ha affermato un funzionario
della presidenza francese.
Martedì,
Zelensky ha anche affermato che avrebbe fatto pressione sui partner per vedere
“chi era pronto” a inviare soldati in Ucraina.
Il
rappresentante estone “Pevkur” ha sottolineato l'importanza di chiarire il mandato
in base al quale verranno dispiegate le truppe.
"Quando
le nostre truppe saranno lì — truppe tedesche, truppe estoni, truppe francesi,
truppe britanniche — allora quelle truppe saranno fisse lì e ci sarà la
tentazione per la Russia di legarci lì e poi di metterci alla prova da qualche
altra parte", ha detto” Pevkur”.
Ci sono "così tante cose da discutere
prima di dire, 'Sì, ci siamo', o 'Sì, sosterremo gli ucraini in questo modo'.
Ma di
sicuro ne discuteremo molto seriamente".
La
garanzia di sicurezza ideale per l'Ucraina sarebbe l'adesione alla NATO, ha
aggiunto Pevkur.
Ma
alla luce dei colloqui in corso tra Stati Uniti e Russia, l'adesione alla NATO
sembra, per ora, improbabile, ha affermato Pistorius.
"Il
presidente Trump ha tolto dal tavolo l'adesione dell'Ucraina alla NATO, senza
alcuna pressione", ha detto Pistorius.
"E quindi temo che l'adesione
dell'Ucraina alla NATO sia fuori dal tavolo e spero che non ci rimanga, ma
vedremo".
Entrambi
gli uomini hanno sostenuto che una pace duratura per l'Ucraina è possibile solo
se Kiev e i suoi alleati europei prendono parte ai negoziati di pace.
Pistorius,
tuttavia, non è sembrato convinto che gli europei si sarebbero assicurati un
posto al tavolo dei colloqui dell'amministrazione Trump, anche se le sue
controparti francese e britannica cercano di ottenere tale ruolo dimostrando la
volontà di inviare truppe di mantenimento della pace in caso di un accordo
finale.
"Vediamo
se hanno successo", ha detto Pistorius dell'approccio franco-britannico.
"Lo spero, ma per il momento non ci credo. Non c'è alcun segnale visibile
o di cui si possa sentire parlare a Washington che siano disposti a lasciarci
sul tavolo. E temo che potrebbe rimanere così".
Ciò
che resta poco chiaro è anche se Pistorius, uno dei politici più popolari in
Germania, secondo i sondaggi, sarà ancora al comando tra un paio di settimane.
Il suo partito di centro-sinistra “Social
Democratic Party” (SPD) è attualmente impegnato in trattative di coalizione con
i vincitori conservatori delle elezioni di febbraio del paese, e deve ancora
essere deciso se manterrà il suo incarico di ministro della Difesa una volta
che il nuovo governo sarà insediato.
Pistorius,
tuttavia, ha chiarito ancora una volta di voler restare.
"Mi
piacerebbe continuare il mio lavoro perché non è ancora finito", ha detto.
Alcuni
nuovi racconti
dal “Lato
Oscuro”.
Unz.com
- Filippo Giraldi – ( 27 marzo 2025) – ci dice:
Continuano
i pestaggi e gli arresti sia negli Stati Uniti che in Medio Oriente.
Il
ciclo di notizie della scorsa settimana è stato dominato dai rapporti e
dall'analisi della chat di gruppo di “Signal” che coinvolge alti funzionari
della sicurezza nazionale che discutono aspetti dei recenti attacchi aerei che
sono stati diretti contro gli Houthi nello Yemen.
Ci
sono quattro domande fondamentali che vengono esaminate sia dai media che dai
funzionari governativi eletti e nominati.
Il primo è l'apparente ignoranza di ordinare
l'attacco, dal momento che il panel sembrava non sapere molto sull'obiettivo o
sul motivo per cui gli Stati Uniti stavano intensificando il conflitto.
In
secondo luogo, c'è stata l'inclusione, forse accidentale, nella lista dei
partecipanti di un giornalista che è strettamente legato all'Israele sionista,
avendo prestato volontariamente servizio nell'esercito israeliano come guardia
carceraria, dove potrebbe aver torturato i palestinesi, e che plausibilmente ha
la doppia cittadinanza statunitense-israeliana.
Il terzo è la sicurezza della “tecnologia
Signal” stessa, che secondo quanto riferito è stata inizialmente creata per
consentire tale condivisione di opinioni riservate online per scopi criminali,
ma che potrebbe essere vulnerabile alla penetrazione da parte di qualsiasi
servizio di intelligence straniero professionale, compresi quelli di Russia,
Cina, Regno Unito e, naturalmente, Israele, che avrebbero avuto un serio
interesse in ciò che Washington intendeva fare in Yemen.
In quarto luogo, c'è la questione se Donald
Trump fosse a conoscenza dell'incontro e abbia approvato ciò di cui si stava
discutendo.
La mia
esperienza personale di comunicazioni sicure che contengono riunioni risale a
quasi cinquant'anni fa, quando quasi tutte le strutture legate alla sicurezza
nazionale, comprese le ambasciate e le basi militari, avevano una cosiddetta
"bolla" che era chiusa e sigillata elettronicamente per impedire la
penetrazione esterna per sapere cosa veniva discusso e da chi.
Da
allora, ci sono stati enormi progressi nella protezione delle comunicazioni, ma
gli amici che sono ancora nella comunità dell'intelligence insistono sul fatto
che ciò che viene protetto può essere reso vulnerabile dalle agenzie informatiche
che esistono in vari paesi competitivi che spendono miliardi di dollari per
fare proprio questo.
I
partecipanti all'incontro di “Signal” si stanno ora affrettando a sostenere la
loro tesi secondo cui non hanno fatto nulla di sbagliato, e il Segretario alla
Difesa” Pete Hegseth” in particolare sostiene che la discussione non è stata
classificata, anche se la questione riguardava l'intelligence sensibile
riguardante i piani degli Stati Uniti per l'escalation di una guerra contro un
paese con il quale non era tecnicamente in guerra.
I
negazionisti hanno certamente torto nel sostenere questa tesi, o questo o sono
stati incapaci di capire cosa c'era sul tavolo.
La presenza di “£Jeffrey Goldberg “della
rivista” The Atlantic” è più difficile da comprendere in quanto non è amico
dell'amministrazione Trump, ma ora si sostiene che sia stata fatta
distrattamente da “Michael Waltz”, il direttore della sicurezza nazionale che
ha presieduto la riunione, o che sia stata causata da un attacco di confusione
dovuto al fatto che il "Goldberg" che avrebbe dovuto essere invitato
era qualcun altro.
In ogni caso, “Jeffrey Goldberg” ha prima
fatto emergere la storia dell'incontro con “Signal” e poi ha proseguito con una
trascrizione completa.
È
stata tutta una sorta di astuto stratagemma per spingere Trump a prendere la
decisione di andare a tutto gas e attaccare l'Iran?
Non
sarebbe al di sopra di Netanyahu organizzare qualcosa di così contorto e
completamente malvagio e vedremo presto sull'Iran, ma certamente “Goldberg
“avrebbe potuto essere lì solo a causa della manipolazione di una situazione in
cui stava perseguendo un'agenda filo-israeliana.
“Waltz”
si sta prendendo il merito dell'intoppo al momento, ma quella posizione
potrebbe cambiare man mano che subisce maggiori pressioni per dimettersi.
In
ogni caso, la” storia di Signal” sarà senza dubbio discussa e sia abbellita che
liquidata nei prossimi giorni, ma una cosa che dimostra è la relativa mancanza
di conoscenza che si presenta come incompetenza da parte del team di sicurezza
nazionale di Trump.
E anche il ruolo di Trump stesso sarà oggetto
di accesi dibattiti, poiché ha svolto personalmente un ruolo chiave nel
processo decisionale in politica estera, e se finora ha parlato solo per
sostenere il lavoro dei suoi subordinati.
In
realtà ci sono un paio di altre storie emerse la scorsa settimana che
preferisco di gran lunga.
La prima è la battaglia in corso per mettere a
tacere, imprigionare e addirittura deportare chiunque critichi Israele o il
comportamento del gruppo ebraico.
Questo
è stato il lavoro numero uno per la lobby israeliana, che ha avuto un enorme
successo sia sotto le amministrazioni di Joe Biden che di Donald Trump, tanto
che il sentimento che Israele controlli l'America è cresciuto tra l'opinione
pubblica statunitense a tal punto che emerge regolarmente.
Il
Dipartimento di Giustizia avrebbe agito in base all'Ordine Esecutivo del
Presidente Trump sulle “Misure Aggiuntive per Combattere l'Antisemitismo”,
attraverso la formazione di una “Task Force multi-agenzia” per “Combattere
l'Antisemitismo”.
La
prima priorità della Task Force sarà quella di sradicare le molestie antisemite
nelle scuole e nei campus universitari.
Attualmente è in agguato, visitando quattro
città (Chicago, New York, Los Angeles e Boston) dove indagherà su dieci
università d'élite.
È
stato suggerito che gli investigatori israeliani potrebbero benissimo far parte
delle squadre che entreranno effettivamente nelle aule, nei dormitori e negli
edifici amministrativi del campus, il tutto senza mandati di perquisizione o
probabile causa.
E le
università si sono sostanzialmente arrese sulla questione della libertà di
parola, garantita dal “Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”
e considerata da molti come il "diritto" più vitale se le persone
devono godere delle libertà fondamentali.
Un
recente arresto di una studentessa straniera è avvenuto a “Somerville”,
Massachusetts, martedì 25 marzo, quando la studentessa laureata turca “Rumeysa
Ozturk” era in viaggio per incontrare degli amici a una cena” Iftar” per
rompere il digiuno del Ramadan, ma non ce l'ha fatta.
Invece, la trentenne è stata arrestata e
trattenuta fisicamente da sei ufficiali dell'immigrazione armati in borghese
vicino al suo appartamento, vicino al campus della “Tufts University” dove era
una studentessa di dottorato.
Le telecamere di sorveglianza mostrano come un
ufficiale che indossava un cappello e una felpa con cappuccio le abbia
afferrato le braccia, facendola urlare di paura mentre un altro le ha
confiscato il cellulare.
Gli ufficiali avrebbero mostrato i loro
distintivi solo dopo che “Ozturk” è stata trattenuta con le mani ammanettate
dietro la schiena.
Secondo
l'università, era iscritta a un programma di dottorato presso la “Tufts
University” con un visto F-1 valido, che consente agli studenti internazionali
di proseguire gli studi accademici a tempo pieno, in cui era in regola.
Un
portavoce del “Department of Homeland Security “(DHS) ha rilasciato una
dichiarazione mercoledì affermando che “Ozturk "si è impegnata in attività
a sostegno di Hamas, che si compiace di uccidere americani", ma non ha
specificato quali fossero queste presunte attività.
Infatti, gli amici riferiscono che “Ozturk”
non è stata nemmeno attiva nelle dimostrazioni pro-palestinesi.
Il portavoce del DHS ha comunque insistito e
ha spiegato che "Un visto è un privilegio, non un diritto”.
Glorificare
e sostenere i terroristi che uccidono americani è motivo per cui il rilascio
del visto deve essere interrotto.
Questa
è sicurezza di buon senso".
Tuttavia,
non sono state presentate accuse effettive contro” Ozturk”, ma il Dipartimento
di Stato ha indicato che il suo visto è stato interrotto e che è stata
trasferita al “Central Louisiana Immigration and Customs Enforcement (ICE)
Processing Center” a Basile, dove sono trattenuti anche altri studenti.
Si
ritiene che il vero "crimine" di “Ozturk “sia consistito nell'aver
co-scritto un editoriale del marzo 2024 sul giornale della scuola in cui
criticava la risposta di “Tufts” al movimento filo-palestinese, chiedendo alla
scuola di "riconoscere il genocidio palestinese" e sollecitando anche
la dismissione di qualsiasi partecipazione in società e governo israeliani.
“
Ozturk” è stato, in una certa misura, una vittima della giustizia vigilante.
La sua foto ei suoi dettagli appare su un sito
web chiamato “Canary Mission”, gestito da un gruppo estremista ebraico che
afferma di dedicarsi a documentare individui e organizzazioni "che
promuovono l'odio per gli Stati Uniti, Israele e gli ebrei nei campus
universitari nordamericani e oltre".
I
funzionari della “Tufts University” hanno detto che la scuola non era a
conoscenza dell'arresto e non ha collaborato con esso.
Diversi
professori, parlando in via ufficiosa, sono rimasti scioccati e hanno descritto
come molti nel campus hanno paura di ciò che verrà dopo.
Naturalmente,
il presidente Trump non ha registrato alcuna lamentela per il trattamento
riservato a “Ballal”.
Ciò
che è accaduto al palestinese non è stato solo un incontro casuale.
Come
co-regista di un film che documenta la pulizia etnica dei palestinesi e la
violenta espansione degli insediamenti israeliani nella sua regione, ha
utilizzato la sua piattaforma per parlare direttamente e senza scuse
dell'apartheid e del furto israeliani.
“
Friends of Israel” vede chiaramente questo come una minaccia e sono riusciti a
bloccare la proiezione del documentario negli Stati Uniti, dove non è stato
possibile ottenere un distributore.
Prendere
di mira “Ballal” fa parte di una strategia più ampia del governo israeliano e
di gruppi come i coloni per mettere a tacere le figure culturali e i narratori
della verità palestinesi, in particolare coloro che riescono a stabilire
narrazioni di spicco in tutto il mondo.
Il
messaggio di fondo è che se anche un regista pluripremiato non è immune alla
violenza dello stato, allora i palestinesi dovrebbero giustamente camminare
nella paura o andarsene.
La
parte triste è che i media internazionali, che avrebbero dovuto riconoscere che
qualcosa non andava quando palestinesi senza riconoscimenti e credenziali
globali — studenti, contadini, madri, insegnanti — venivano arrestati,
picchiati e torturati dalle forze israeliane ogni giorno, hanno ignorato la
loro situazione.
Le
loro storie non fanno notizia.
I loro nomi sono raramente noti.
Nella
morte, tutto ciò che diventano è un numero, come le decine di migliaia di
persone che sono sepolte sotto le macerie a Gaza e che non saranno mai
commemorate.
(Philip
M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest,
una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501(c)3).
L'America
come Repubblica, non come Impero.
Il
"Rumore e la Furia" dell'Europa
dopo
le svolte sbalorditive
della
politica statunitense.
Unz.com
- Alastair Crooke – (26 febbraio 2025) – ci dice:
Trump
non crede alla menzogna primaria intesa come collante che tiene insieme
l'intera struttura geopolitica dell'UE.
I
pezzi seguono uno schema ben preciso, uno schema pre-preparato.
Il
Segretario alla Difesa “Hegseth” alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco ci
ha dato quattro "no":
No
all'Ucraina nella NATO; No al ritorno ai confini pre-2014; No ai "backstop"
dei peacekeeper dell'"Articolo 5" e "No" alle truppe
statunitensi in Ucraina.
E in un ultimo svolazzo, ha aggiunto che le
truppe statunitensi in Europa non sono "per sempre" - e ha persino
messo un punto interrogativo sulla continuità della NATO.
Parlando
in modo piuttosto semplice! Gli USA stanno chiaramente tagliando fuori
dall'Ucraina. E intendono normalizzare le relazioni con la Russia.
Poi,
il vicepresidente “Vance” ha lanciato il suo petardo tra le élite europee
riunite. Ha detto che le élite si erano ritirate dai valori democratici
"condivisi"; erano eccessivamente dipendenti dalla repressione e
dalla censura dei loro popoli (tendenti a rinchiuderli); e, soprattutto, ha
criticato aspramente il cordone sanitario europeo ("firewall") con
cui i partiti europei al di fuori del centro-sinistra sono considerati
politicamente non grati:
è una
falsa "minaccia", ha suggerito. Di cosa siete davvero così
spaventati? Avete così poca fiducia nella vostra "democrazia"?
Gli
Stati Uniti, ha lasciato intendere, non sosterranno più l'Europa se continuerà
a reprimere le circoscrizioni politiche, ad arrestare cittadini per reati di
parola e, in particolare, ad annullare le elezioni, come è stato fatto di
recente in “Romania.”. "Se ti candidi per paura dei tuoi stessi
elettori", ha detto Vance, "non c'è nulla che l'America possa fare
per te".
Ahi!
Vance li aveva colpiti dove faceva più male.
È
difficile dire cosa abbia specificamente innescato il crollo catatonico
europeo: è stata la paura che Stati Uniti e Russia si unissero per formare un
nesso di grande potenza, impedendo così all'Europa di scivolare nuovamente
sulla scia della potenza americana, attraverso l'idea speciosa che ogni stato
europeo debba avere un accesso eccezionale all'orecchio di Washington?
Oppure
è stata la fine del culto Ucraina/Zelensky, che era così apprezzato tra l'élite
europea come la "colla" attorno alla quale si poteva imporre una
falsa unità e identità europea? Probabilmente entrambi hanno contribuito alla
furia.
Che
gli Stati Uniti abbandonassero sostanzialmente l'Europa alle proprie illusioni
sarebbe un evento disastroso per la tecnocrazia di Bruxelles.
Molti
potrebbero pigramente supporre che la coppia statunitense a Monaco sia stata
solo un altro esempio della ben nota passione trumpiana per l'abbandono di
iniziative "stravaganti" volte sia a scioccare che a rovesciare
paradigmi congelati.
I discorsi di Monaco hanno fatto esattamente
questo, eh!
Eppure questo non li rende accidentali;
piuttosto parti che si inseriscono in un quadro più ampio.
È
ormai chiaro che la” guerra lampo di Trump nello Stato amministrativo americano”
non avrebbe potuto avere luogo senza un'attenta pianificazione e preparazione
degli ultimi quattro anni.
La
raffica di ordini esecutivi presidenziali di Trump all'inizio della sua
presidenza non è stata capricciosa.
Il
principale avvocato costituzionalista statunitense, “Jonathan Turley”, e altri
avvocati affermano che gli ordini sono stati ben redatti dal punto di vista
legale e con la chiara consapevolezza che ne sarebbero derivate delle sfide
legali. Inoltre, il team di Trump accoglie con favore tali sfide.
Cosa
sta succedendo?
Il capo dell' “Office of Budget Management”(OBM), “Russ
Vought”, recentemente confermato, afferma che il suo ufficio diventerà
l'"interruttore on/off" per tutte le spese esecutive in base ai nuovi
ordini esecutivi.
“Vought
“chiama il vortice che ne è derivato l'applicazione del radicalismo
costituzionale.
E
Trump ha ora emesso l'ordine esecutivo che ripristina il primato dell'esecutivo
come meccanismo di controllo del governo.
“Vaught”,
che era in OBM in Trump 01, sta selezionando attentamente il terreno per una
guerra finanziaria totale contro lo Stato Profondo.
Si combatterà prima alla Corte Suprema – che
il Trump Team si aspetta di vincere con fiducia (Trump ha la maggioranza
conservatrice di 6-3).
Il nuovo regime sarà poi applicato a tutte le
agenzie e dipartimenti dello Stato. Aspettatevi urla di dolore.
Il
punto qui è che lo Stato amministrativo – distante dal controllo esecutivo – si
è assunto prerogative come l'immunità al licenziamento e l'autorità
auto-assegnata di plasmare la politica – creando un sistema statale duale,
gestito da tecnocrati non eletti, che, quando sono stati impiantati in
dipartimenti come la Giustizia e il Pentagono, si sono evoluti nello” Stato
Profondo americano”.
L'articolo
due della Costituzione, tuttavia, dice molto schiettamente:
il potere esecutivo deve essere conferito al
Presidente degli Stati Uniti (senza se e senza ma).
Trump
intende che la sua amministrazione recuperi il potere esecutivo perduto. Era,
infatti, andata perduta molto tempo fa.
Trump
sta rivendicando anche il diritto dell'Esecutivo di licenziare i
"servitori dello Stato" e di "spegnere" le spese inutili a
sua discrezione, come parte di un prerequisito esecutivo unitario.
Naturalmente,
lo Stato amministrativo sta reagendo.
L'articolo
di “Turley” è intitolato:
Stanno
portando via tutto ciò che abbiamo:
democratici
e sindacati lanciano una lotta esistenziale.
Il
loro obiettivo è stato quello di paralizzare l'iniziativa di Trump attraverso
l'uso di giudici politicizzati per emettere ordini di restrizione.
Molti avvocati tradizionali ritengono che la
pretesa dell'Esecutivo Unitario di Trump sia illegale.
La
questione è se il Congresso può mettere in piedi Agenzie progettate per agire
indipendentemente dal Presidente; e come si concilia questo con la separazione
dei poteri e l'articolo due che conferisce il potere esecutivo incondizionato a
un solo funzionario eletto: il presidente degli Stati Uniti.
Come
hanno fatto i democratici a non vederlo arrivare?
L'avvocato “Robert Barnes” afferma
sostanzialmente che la "guerra lampo" era "eccezionalmente ben
pianificata" e che era stata discussa nei circoli di Trump dalla fine del
2020.
Quest'ultimo
team era emerso da un cambiamento generazionale e culturale negli Stati Uniti.
Quest'ultimo
aveva dato origine a un'ala libertaria/populista con radici nella classe
operaia che spesso aveva prestato servizio nell'esercito, ma era arrivata a
disprezzare le bugie neo-con (specialmente quelle dell'11 settembre) che
avevano portato a guerre infinite.
Erano
più animati dal vecchio adagio di “John Adams” secondo cui "l'America non
dovrebbe andare all'estero in cerca di mostri da uccidere".
In
breve, non facevano parte del mondo WASP "anglo"; provenivano da una
cultura diversa che richiamava il tema dell'America come Repubblica, non come
Impero.
Questo
è ciò che si vede con “Vance” e “Hegseth”: un ritorno al precetto repubblicano
secondo cui gli USA non dovrebbero essere coinvolti nelle guerre europee.
L'Ucraina non è la guerra dell'America.
Lo “Stato
Profondo”, a quanto pare, non stava prestando attenzione a ciò che stava
facendo un gruppo di anomalie "populiste", nascoste dalla rarefatta
bottega della “Beltway”:
loro
(i valori anomali) stavano pianificando un attacco concertato al rubinetto
della spesa federale – identificato come il punto debole su cui potrebbe essere
montato una sfida costituzionale che farebbe deragliare – nella sua interezza –
le spese dello “Stato Profondo”.
Sembra
che un aspetto della sorpresa sia stata la disciplina del “Trump Team”:
"niente fughe di notizie".
E in
secondo luogo, che coloro che sono coinvolti nella pianificazione non
provengono dalla preminente “Anglo-sfera”, ma piuttosto da un filone della
società che è stato offeso dalla guerra in Iraq e che incolpa
l'"Anglo-sfera" per aver "rovinato" l'America.
Quindi
il discorso di Vance a Monaco non è stato dirompente, solo per il gusto di
esserlo;
stava,
infatti, incoraggiando il pubblico a ricordare i primi valori repubblicani.
Questo è ciò che si intende con la sua lamentela che l'Europa si era
allontanata dai "nostri valori condivisi", ovvero i valori che
animavano gli americani che cercavano di sfuggire alla tirannia, ai pregiudizi
e alla corruzione del Vecchio Mondo.
“Vance”
stava (abbastanza educatamente) rimproverando le élite europee per essere
ricadute nei vecchi vizi europei.
Vance
implicitamente stava anche suggerendo che i libertari conservatori europei
avrebbero dovuto emulare Trump e agire per sbarazzarsi dei loro "Stati
amministrativi" e recuperare il controllo sul potere esecutivo.
Abbattete
i firewall, ha consigliato.
Perché?
Perché
probabilmente vede lo “Stato Tecnocratico” di "Bruxelles" come niente
altro che una propaggine pura dello “Stato Profondo Americano” - e quindi molto
probabilmente cercherà di silurare e affondare l'iniziativa di Trump di
normalizzare le relazioni con Mosca.
Se
questi erano gli istinti di Vance, aveva ragione.
Macron convocò quasi immediatamente una
"riunione di emergenza" del "partito della guerra" a Parigi
per valutare come frustrare l'iniziativa americana. Tuttavia fallì,
precipitando, a quanto si dice, in litigi e acrimonia.
Emerse
che l'Europa non poteva radunare una forza militare "di punta"
superiore a 20.000-30.000 uomini.
Scholtz si oppone in linea di principio al
loro coinvolgimento;
La
Polonia ha esitato come vicino stretto dell'Ucraina;
e l'Italia è rimasta in silenzio.
Starmer,
tuttavia, dopo Monaco, ha immediatamente telefonato a Zelensky per dire che la
Gran Bretagna vedeva l'Ucraina su un percorso irrevocabile verso l'adesione
alla NATO, contraddicendo così direttamente la politica degli Stati Uniti e
senza alcun sostegno da parte di altri Stati.
Trump non dimenticherà questo, né dimenticherà
il precedente ruolo della Gran Bretagna nel sostenere l'insulto del “Russia gate”
durante il suo primo mandato.
L'incontro
ha tuttavia sottolineato le divisioni e l'impotenza dell'Europa. L'Europa è
stata messa da parte e la loro autostima è gravemente ferita. Gli Stati Uniti
in sostanza lascerebbero l'Europa alle loro illusioni, il che sarebbe
disastroso per l'autocrazia di Bruxelles.
Eppure,
molto più importante della maggior parte degli eventi degli ultimi giorni è
stato quando Trump, parlando con “Fox News”, dopo aver partecipato a “Daytona”,
ha respinto la bufala di Zelensky secondo cui la Russia voleva invadere i paesi
della NATO.
"Non sono d'accordo con questo; nemmeno
un po'", ha ribattuto Trump.
Trump
non crede alla menzogna primaria intesa come collante che tiene insieme
l'intera struttura geopolitica dell'UE.
Perché, senza la "minaccia russa";
senza che gli USA credano alla menzogna del perno globalista, non può esserci
alcuna pretesa che l'Europa debba prepararsi alla guerra con la Russia.
L'Europa alla fine dovrà arrivare a
riconciliare il suo futuro come periferia dell'Eurasia.
L'intelligenza
artificiale ci sta portando
il
comunismo che Marx, Engels, Lenin,
Mao e Pol Pot non sono stati
in
grado di realizzare.
Unz.com
- Paul Craig Roberts – (27 marzo 2025) – ci dice:
La
rivoluzione digitale è uguale al comunismo.
Il
podcast PCR con” Soren Korsgaard”.
Finalmente
è arrivata l'uguaglianza.
(rumble.com/v6r8xiq-the-paul-craig-roberts-podcast-ai-and-the-digital-revolution-are-mankinds-d.html).
L'intelligenza
artificiale potenzia notevolmente i truffatori e gli usi malevoli di Internet.
“Malware
bytes “forniscono aggiornamenti sulle minacce più recenti. Eccone un paio:
I
falsi siti Web “CAPTCHA “dirottano gli appunti per installare ladri di
informazioni.
(malwarebytes.com/blog/news/2025/03/warning-over-free-online-file-converters-that-actually-install-malware?utm_source=itera
ble&utm_medium=email&utm_campaign=b2c_pro_oth_20250324_marchweeklynewsletter_paid_v4_1_174250044006&utm_content=wolf_in_sheep_clothing).
(malwarebytes.com/blog/news/2025/03/android-devices-track-you-before-you-even-sign-in?utm_source=iterable&utm_m
edium=email&utm_campaign=b2c_pro_oth_20250317_marchweeklynewsletter_v3_174193602475&utm_content=Android_figure_on_keyboard).
La
rivoluzione digitale e l'intelligenza artificiale non sono solo la più grande
minaccia possibile alla nostra privacy e sicurezza finanziaria, ma anche ai
nostri valori, perché la rivoluzione digitale rende possibile il comunismo, il
nostro probabile futuro.
Gli
umani, come i Borg di Star Trek, non saranno più individui capaci di pensare.
Faranno parte di un collettivo con una mente collettiva imposta dalle
narrazioni ufficiali, con tutte le narrazioni non ufficiali censurate come
disinformazione.
Già
nelle università americane e nelle scuole pubbliche agli studenti viene
insegnato che il rispetto delle narrazioni ufficiali viene premiato e che
l'intelligenza è la capacità di ricordare e ripetere.
Anche questo viene aggirato, perché gli
studenti non conoscono più una materia o come usare la lingua per scrivere un
tema.
L'intelligenza
artificiale lo fa per loro, quindi in cosa consiste l'educazione moderna?
Consiste nel saper usare l'intelligenza
artificiale per risolvere problemi di matematica e fisica e scrivere i tuoi
documenti di storia e inglese.
Non è
necessario conoscere la fisica, la storia matematica o come usare la lingua.
Non imparando mai queste abilità, l'istruzione produce cittadini non istruiti.
Sono
proprio queste le persone che saranno rese inutili dall'IA.
L'intelligenza artificiale ha un enorme
vantaggio rispetto ai ricercatori e alla memoria e alla ripetizione.
Medici, avvocati, ingegneri, architetti
saranno necessari solo in piccolo numero per digitare nei computer i sintomi
medici, i precedenti legali, i parametri architettonici dell'edificio ei
parametri del problema ingegneristico.
La capacità dell'intelligenza artificiale di
riconoscere i modelli e di cercare rapidamente nelle banche dati elimina la
maggior parte degli scopi delle classi professionali superiori.
Il
processo della tecnologia che separa gli studenti dalle capacità di
apprendimento è forse iniziato con le calcolatrici portatili, il che ha portato
i bambini a smettere di imparare le tabelline.
Con l'avvento delle tastiere dei computer, gli
studenti hanno smesso di imparare a scrivere in corsivo.
Mentre
l'intelligenza artificiale sostituisce le competenze umane, distrugge anche i
lavori umani.
Ciò che le persone, in particolare gli
economisti libertari del libero mercato, non hanno capito è che, a differenza
dei precedenti progressi tecnologici, l'intelligenza artificiale elimina la
necessità degli esseri umani di svolgere lavori.
L'intelligenza artificiale è un passo oltre
l'offshoring.
L'offshoring ha eliminato i lavori degli
americani trasferendoli in Cina, altre parti dell'Asia e in Messico.
Ma gli
esseri umani hanno comunque svolto i lavori.
Le prestazioni umane non sono state eliminate,
solo un cambiamento nella posizione delle prestazioni.
In
passato, quando la tecnologia distruggeva i lavori domestici (come nel
"putting out system") e li trasferiva nelle fabbriche, il progresso
tecnologico non eliminava la necessità che gli esseri umani svolgessero i
lavori.
Il
sistema di fabbrica semplicemente riuniva i lavori sotto un unico tetto.
L'intelligenza
artificiale è una forma di tecnologia totalmente diversa.
Elimina la necessità delle persone.
Quindi cosa fa l'umanità?
L'assenza
di scopo è il motivo per cui “Bill Gates” e il “World Economic Forum” vogliono
ridurre la popolazione mondiale.
In un
precedente articolo, ho detto che io e un collega avremmo presentato un caso
secondo cui l'intelligenza artificiale avrebbe liberato l'umanità assumendo
lavori indesiderabili e tristi.
Il mio collega lo crede sinceramente, ma io
no.
Penso
che l'intelligenza artificiale disconnette le persone l'una dall'altra e da sé
stesse.
Lo
considero non solo un inconveniente, ma l'epitome del male.
Ciononostante,
cercherò di mantenere il mio impegno nel presentare un possibile ritratto
positivo della rivoluzione digitale.
Questo è il primo compito della mia vita in
cui non ho fiducia.
Se i lettori desiderano contribuire a formare
un ritratto positivo dell'IA, sono lieto di sentirli.
Ci sono aspetti positivi.
Ad
esempio, le persone possono lavorare da casa e partecipare a riunioni e
conferenze faccia a faccia senza spostarsi.
Ma
anche gli aspetti positivi hanno dei costi.
Lavorare
da casa è isolante, così come l'assenza di viaggi che riduce le esperienze. La
vita in un mondo virtuale è davvero vita?
Il
sistema di messa fuori servizio.
Alcune
industrie che erano piccole all'inizio del Medioevo potrebbero fino a diventare
piuttosto grandi e questa crescita influenzò i cambiamenti nell'organizzazione
del lavoro.
La più importante di quest'era l'industria dei
tessuti di lana.
Per
ragioni di costo e disponibilità, la lana è stata il materiale di base per
l'abbigliamento nell'Europa occidentale fino all'inizio dei tempi moderni (le
piantagioni di cotone statunitensi del XIX secolo nel sud hanno alterato la
composizione dell'abbigliamento).
Il
lino e la seta erano troppo costosi per qualsiasi uso su larga scala e il
cotone veniva coltivato solo in piccoli volumi.
La
produzione di stoffe di lana comportava diverse fasi che richiedevano molto
tempo:
la pulitura e la cardatura (raddrizzamento
delle fibre arricciate e annodate tosate dalle pecore), la filatura delle fibre
in filo, la tessitura del filo in stoffa, la tosatura di nodi e rugosità e la
tintura.
Tutti questi processi potevano essere eseguiti
all'interno di una singola famiglia contadina, poiché richiedevano solo
semplici apparati e abilità rudimentali. In genere, i bambini cardavano la
lana, le donne azionavano l'arcolaio e gli uomini lavoravano le navette del
telaio.
Il
tessuto prodotto da tali strumenti rudimentali e da lavoratori relativamente
non qualificati era grezzo ma utilizzabile.
Quelli
al di sopra della classe contadina, tuttavia, desideravano abiti più comodi e
attraenti che venivano prodotti da artigiani qualificati.
La
conseguente domanda di tessuti migliori fece sì che l'industria superasse i
mezzi di produzione delle famiglie contadine.
Fu
istituita una nuova organizzazione del lavoro, chiamata "sistema di messa
fuori", in cui un mercante di stoffe acquistava lana grezza, la
"metteva fuori" per essere cardata, filata e tessuta in tessuto, e
poi portava il tessuto attraverso i processi di finitura con l'aiuto di
artigiani qualificati.
Poiché i filatori e i tessitori rimanevano
contadini, guadagnavano anche parte del loro sostentamento dai terreni su cui
sorgevano le loro case, il che significava che agricoltura e industria venivano
perseguite come una sorta di impresa integrata.
L'uomo
poteva lavorare nei campi mentre sua moglie filava e in inverno l'uomo aiutava
nella produzione tessile.
Al
momento del raccolto ogni mano era fuori nei campi, lasciando temporaneamente
inattivi i filatoi e i telai.
Il
sistema di produzione differiva dalla produzione domestica contadina in quanto
il commerciante di stoffa, o imprenditore, acquistava la lana grezza e
possedeva il prodotto in tutte le fasi della sua preparazione (i lavoratori a
domicilio possedevano ancora i propri filatoi, telai e altri strumenti).
Così,
il contadino veniva a lavorare su materiali che non gli appartenevano.
D'altra parte, il lavoro veniva svolto a casa
(noto come sistema a domicilio o sistema domestico) piuttosto che in una
fabbrica, e il lavoro procedeva al ritmo del lavoratore.
Il mercante organizzava semplicemente il
lavoro organizzando l'ordine e la sequenza dei vari processi tecnici, non
supervisionava l'effettivo rendimento degli operai.
Ciononostante, il mercante di stoffe che
iniziò a produrre stoffe arrivato a controllare l'intero processo di
produzione.
Questo
rappresentò un passo verso il capitalismo industriale che emerse nel XIX
secolo.
Il
capitalismo industriale è il risultato delle recinzioni.
Prima
delle recinzioni, la terra non era posseduta nel senso in cui lo è oggi.
I
signori e i servi della gleba avevano diritti d'uso sulla terra.
Nessuno lo possedeva.
I signori avevano diritti d'uso sul lavoro dei
servi della gleba, perché l'accordo originale che stabiliva il sistema feudale
era che le persone libere diventavano servi della gleba in cambio della
protezione dai predatori predoni Vichinghi, Saraceni, Unni.
Le
crociate hanno fatto capire all'Europa e all'Inghilterra che c'erano deliziosi
beni di consumo non disponibili in Occidente.
Nacque la consapevolezza che se il maniero
fosse stato organizzato per la produzione di colture da reddito, invece di
essere mantenuto come strumento di autosufficienza, il denaro sarebbe stato
disponibile per il commercio.
Questa
realizzazione ha richiesto la fine di un'economia in cui i diritti d'uso
determinavano i diritti di proprietà e, poiché la terra non era di proprietà,
la terra non poteva essere venduta.
La
trasformazione – le Enclosures – realizzata, secondo Karl Marx "con il
fuoco e la spada", ha creato la proprietà privata della terra e un mercato
del lavoro.
I servi della gleba non erano più soggetti al
governo del loro tempo, che possedeva parte del loro lavoro.
I servi della gleba emersero come uomini
liberi che possedevano il proprio lavoro (non c'era alcuna impostazione sul
reddito) e lo vendevano nei mercati del lavoro.
In questo modo le recinzioni creano un mercato
del lavoro e la proprietà privata della proprietà.
In che
modo la Cina sconvolgerà
l'industria
dell'intelligenza artificiale.
Unz.com
- Hua Bin – (22 marzo 2025) – ci dice:
La strategia
cinese sull'intelligenza artificiale è la stessa per tutti i settori: vincere
cambiando la propria economia.
Da
quando ho pubblicato i saggi in tre parti sulle tendenze chiave dello sviluppo
dell'IA in Cina, ho incontrato alcuni VC fortemente coinvolti negli
investimenti nell'IA nel paese.
Dalle
conversazioni, è emerso chiaramente uno schema della strategia delle aziende
cinesi di intelligenza artificiale, che si è incastrato nelle mie previsioni.
In
breve, gli attori dell'IA in Cina intendono avere successo allo stesso modo
delle aziende cinesi di veicoli elettrici, fotovoltaici e biofarmaceutici,
vincendo cambiando l'economia di queste aziende.
In parole povere, intendono superare la
concorrenza rendendo l'adozione dell'IA su larga scala e a basso costo,
neutralizzando i rivali con un modello di business ad alto costo e ad alto
margine.
Concorso.
Dal
2018, il governo degli Stati Uniti ha tentato di strangolare lo sviluppo
dell'intelligenza artificiale in Cina attraverso il controllo delle
esportazioni di chip e la negazione dell'accesso ai modelli di intelligenza
artificiale più avanzati sviluppati negli Stati Uniti.
Il lancio di “Deep Seek “ha rotto la morsa e
ha dimostrato la resilienza e la capacità di innovazione della Cina.
Successivamente,
il governo degli Stati Uniti ha iniziato a vietare “Deep Seek” nelle agenzie
governative e “OpenAI “sta facendo pressioni per vietare “Deep Seek “in modo
più ampio negli Stati Uniti.
È concepibile che il regime degli Stati Uniti
farà pressione sui suoi stati clienti per vietare anche “Deep Seek”, come ha
fatto con “Huawei”.
È
probabile che restrizioni simili impongano ad altre società cinesi di intelligenza
artificiale.
La
risposta delle aziende cinesi è interessante.
Dal
lancio di “Deep Seek”, c'è una marea di modelli di intelligenza artificiale ad
alte prestazioni in arrivo in Cina:
Qwen
di Alibaba, Doubao di ByteDance, Hunyuan di Tencent, Ernie di Baidu.
A
differenza dei loro concorrenti statunitensi, questi modelli di intelligenza
artificiale sono” open source” e” gratuiti “, essenzialmente regalati a
chiunque nel mondo per scaricarli, modificarli e integrarli.
Perché
lo stanno facendo e qual è la strategia che c'è dietro?
Strategia
di confronto.
Dal
rilascio di “ChatGPT” nel novembre 2022, i giganti tecnologici statunitensi di
OpenAI, Microsoft, Google e Meta hanno perseguito la stessa strategia:
hanno accumulato i “chip AI” più avanzati di “Nvidia”,
investito decine di miliardi in data center, sviluppato “LLM proprietari chiusi
“e stanno addebitando elevati costi di abbonamento o di licenza per monetizzare
i loro prodotti.
Queste
aziende tecnologiche trattano l'intelligenza artificiale come una risorsa
esclusiva, limitando l'accesso ai loro modelli più potenti dietro il “paywall”.
“OpenAI”,
“Google Deep Mind e “Anthropic “limitano l'accesso completo ai loro modelli di
intelligenza artificiale più avanzati, offrendoli attraverso abbonamenti a
pagamento e offerte aziendali.
Questi programmi di intelligenza artificiale
hanno un valore di molti miliardi di dollari poiché gli investitori si
aspettano rendimenti fuori misura.
Fondamentalmente,
l'investimento in intelligenza artificiale delle aziende della “Silicon Valley”
si basa su un modello di business ad alto costo e ad alto margine, protetto da
un fossato di proprietà intellettuale.
Il
modello di business è ulteriormente rafforzato dai requisiti di investimento
proibitivi per l'elaborazione della grezza, accessibili solo ai giganti
tecnologici più ricchi del mondo e in grado di prevenire qualsiasi concorrenza.
La
strategia della Cina è l'effetto opposto.
Negato l'accesso alle risorse di calcolo
all'avanguardia, anche le più grandi aziende cinesi sono costrette a trovare
soluzioni innovative per sviluppare modelli ad alte prestazioni senza i
migliori chip.
Piuttosto
che sul calcolo grezzo, le aziende cinesi si sono concentrate sull'ingegneria
intelligente e sulle ottimizzazioni algoritmiche per sviluppare i loro modelli
di intelligenza artificiale.
Quando
i loro modelli iniziano a raggiungere la parità con i modelli statunitensi,
hanno deciso di rendere “open source” il loro prodotto per mettere in comune le
risorse di tutti gli sviluppatori e accelerare i miglioramenti.
Questo
approccio presenta diversi vantaggi distinti:
–
Bassa dipendenza dai chip AI più avanzati.
–
Bassa necessità di capex.
–
Decentralizzare lo sviluppo per sfruttare il pool globale di talenti
dell'intelligenza artificiale.
–
Consentire agli sviluppatori che hanno accesso ai migliori chip per contribuire
al perfezionamento del modello.
–
Iterazioni più veloci. L'intelligenza artificiale avanza attraverso
l'iterazione. Ogni nuova versione si basa sulle precedenti, perfezionando i
punti deboli, espandendo le capacità e migliorando l'efficienza.
Attraverso
l'”open sourcing”, le aziende cinesi di intelligenza artificiale stanno creando
un ecosistema in cui gli “sviluppatori globali” migliorano continuamente i loro
modelli, senza sostenere tutti i costi di sviluppo.
Un
simile approccio rimodellerà radicalmente l'economia dell'IA.
Se
l'IA open source diventasse potente quanto i modelli statunitensi proprietari,
la capacità di monetizzare i modelli fondamentali dell'IA verrebbe
neutralizzata.
Perché
pagare per modelli chiusi se esiste un'alternativa gratuita, aperta e
altrettanto capace?
Rendendo
gratuiti e abbondanti i modelli fondamentali di intelligenza artificiale, le
aziende cinesi distruggeranno il modello di business a pagamento, costituito da
sistemi chiusi e proprietari basati su enormi investimenti in conto capitale.
Come
ulteriore vantaggio, una mossa del genere ridurrà la rilevanza del controllo
dei chip e annullerà i vantaggi finanziari delle aziende statunitensi di
intelligenza artificiale.
Naturalmente,
il modello di IA open source gratuito non è un fine in sé.
L'obiettivo finale dei player cinesi dell'IA è
spostare l'IA dai modelli fondamentali alle applicazioni in cui la Cina ha
vantaggi intrinseci: dati e mercato.
La monetizzazione avverrà a livello di
applicazione man mano che l'IA viene integrata nei settori e nei casi d'uso dei
consumatori.
Invece
di fare soldi con i modelli di IA, le aziende cinesi di IA genereranno entrate
e profitti vendendo soluzioni di IA, costruendo IA incarnata e incorporando
l'IA in beni e servizi di consumo.
Vasti
bacini di profitto esistono in umanoidi, guida autonoma, infrastrutture
intelligenti, applicazioni manifatturiere e sanitarie e altro ancora.
Il
governo cinese sta già accelerando l'applicazione della tecnologia AI nelle
aziende statali, dalle telecomunicazioni, alle banche, ai porti e all'energia,
ai servizi pubblici come ospedali, scuole e uffici governativi.
Anche
le aziende private cinesi nei settori automobilistico, elettronico,
farmaceutico e dei beni di consumo stanno abbracciando l'AI.
Una
volta raggiunta l'adozione di massa, l'AI sarà onnipresente ed economica.
Naturalmente,
la natura open source dei modelli di intelligenza artificiale cinesi stimolerà
la concorrenza di altri paesi, poiché tutti competono a un livello di gioco
uniforme.
La
scommessa della Cina è che, man mano che i modelli vengono perfezionati e
aggiornati continuamente, tutti nell'ecosistema ne trarranno vantaggio.
È
probabile che la Cina ne trarrà il massimo vantaggio, poiché ha il mercato più
grande e la maggior parte dei dati, essenziali per sviluppare le migliori
applicazioni della categoria.
Se la
Cina ci riuscisse, il suo successo nell'intelligenza artificiale sarebbe
un'altra vittoria, esemplificata più di recente dalla sua industria dei veicoli
elettrici, vincendo la gara "cambiando corsia" e superando in astuzia
la concorrenza.
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