Italia al centro.
Italia
al centro.
I
documenti declassificati dello Spygate:
l’Italia
al centro del complotto contro Trump.
Lacrunadellago.net
– Cesare Sacchetti – (12/04/2025) – ci dice.
Erano
attesi da diverso tempo, e alla fine sono arrivati.
Sono i
documenti declassificati dello “scandalo dello Spygate”, ovvero una fitta trama
di spionaggio internazionale tessuta contro il nemico comune dell’anglosfera:
Donald
Trump.
Sono i
tempi della prima campagna elettorale del candidato repubblicano che aveva già
all’inizio del 2016 sbaragliato i suoi concorrenti di partito alle primarie e
che si presentava a tutti gli effetti come l’uomo più temibile per Hillary
Clinton.
A
Washington, tutti volevano che vincesse l’ex segretario di Stato americano e
consorte dell’ex presidente Bill Clinton, già intimo sodale del pedofilo del
Mossad, Jeffrey Epstein, e frequentatore del gruppo Bilderberg che aveva deciso
la sua vittoria alla Casa Bianca almeno un anno prima della sua candidatura,
nel 1991.
Hillary
Clinton era il cavallo sul quale i vari esponenti della governance globale e
del blocco Euro-Atlantico puntavano per poter continuare ad esercitare il
controllo dell’impero americano, vero e proprio perno indispensabile per
l’intera anglosfera e l’Unione europea.
Nel
partito democratico americano si inizia a diffondere sempre di più il timore
che Donald Trump possa farcela e sconfiggere Hillary Clinton, e allora i dem
decidono che c’è bisogno di qualche polpetta avvelenata per fermare la corsa
del facoltoso imprenditore di New York.
C’è
bisogno di uno scandalo fabbricato a tavolino che possa screditare agli occhi
della opinione pubblica Trump, fino a raffigurarlo, falsamente, come un
traditore.
C’è
bisogno appunto dello “Spy gate” o del “Russia gate”, quella grottesca
montatura che ha cercato sin dal principio di rappresentare Donald Trump come
un agente sotto copertura di Vladimir Putin.
La
Clinton e la nascita del “dossier patacca” di “Steele”.
Hillary
decide così di rivolgersi ad una società privata di intelligence di Washington,
la “Fusion GPS”, che già in passato aveva svolto delle consulenze sia per il
partito democratico sia per la famigerata lobby dell’aborto, “Planned
Parenthood”, verso la quale affluiscono i finanziamenti delle più grosse
corporation dove si incontrano i soliti fondi di investimento “BlackRock e
Vanguard”, anch’essi nelle mani delle “grandi” famiglie del capitale americano
internazionale.
La
Clinton si rivolge ad “amici” perché vuole essere sicura che venga fuori
esattamente il risultato da lei desiderato, ovvero quello di screditare Trump
attraverso una falsa accusa di essere al soldo di un Paese straniero.
“Fusion
GPS” decide a sua volta di appaltare ad un esterno questa “opera” di macchina
del fango, e allora pensa “bene” di contattare una ex barba finta dei servizi
segreti britannici dell’MI6, quale “Christopher Steele”, all’epoca attivo
presso la” società di intelligence Orbit Business Intelligence”.
Christopher
Steele.
Steele
durante i suoi anni al servizio del MI6 dirigeva la sezione che si occupava
della Russia, un dipartimento molto particolare specializzato nella creazione dei
famigerati false flag, ovvero attentati di vario tipo eseguiti dall’intelligence
inglese per far ricadere la colpa invece sugli odiati russi.
L’ex
agente inglese è una delle figure chiave dell’intero scandalo dello Spy gate.
È lui
infatti a fabbricare il famigerato dossier contro Donald Trump, nel quale si
afferma che l’allora candidato dei repubblicani avrebbe anni prima avuto
rapporti con prostitute russe in un hotel di Mosca nella stessa camera
d’albergo dove avrebbe soggiornato “Barack Obama”.
Non
contento delle sue peripezie edonistiche, Trump avrebbe persino ordinato alle
donne di urinare sul letto dove avrebbe dormito qualche tempo prima” Barack
Obama” a dimostrazione di tutto il suo esaltato disprezzo verso il presidente
democratico e della presunta fedeltà di Donald Trump a Vladimir Putin.
A dare
questa “chicca” a Steele era stato un “analista” russo di nome” Igor Danchenko”,
e anche chi non era un addetto ai lavori poteva facilmente capire che questo
dossier fabbricato dall’ex agente del MI6 era chiaramente solo e soltanto una
patacca.
Igor
Danchenko.
Gli
uomini dell’FBI invece non solo non lo scartano immediatamente come avrebbero
dovuto fare, ma ascoltano attentamente “Steele” tanto da riceverlo in diverse
occasioni ufficiali nelle quali prendono nota delle sue “rivelazioni”.
Gli
incontri di Steele con l’FBI.
Tra i
numerosi incontri avuti dall”analista” britannico, ce n’è uno in particolare riportato
con dovizia di particolari nei file declassificati della inchiesta del Russia gate
ed è quello avvenuto il 18 settembre del 2017 a Londra.
Hillary
Clinton è stata già sconfitta, Donald Trump è già alla Casa Bianca, ma la
montatura del Russia gate è ancora vigorosa sui media mainstream americani che
cercano di preparare il terreno ad un “falso casus belli “per chiedere la messa
in stato di accusa contro il presidente degli Stati Uniti, e, al tempo stesso,
di ostacolare i rapporti tra Stati Uniti e Russia, da sempre lo scenario più
temuto da tutti i vari esponenti dei circoli mondialisti internazionali.
“Steele”
si vede in quell’occasione nel prestigioso “albergo di Grosvenor”, nel cuore di
Londra, con due uomini dell’FBI, dei quali si conosce soltanto l’identità di “Brian
Buten”, perché il nome dell’altro agente federale è stato coperto in nero nel
documento reso pubblico.
Steele
si presenta con un altro socio d’affari della sua “Orbit”, “Christopher Burrows”,
e i due sembrano subito molto preoccupati per come si è conclusa la loro
relazione con l’agenzia investigativa più importante degli Stati Uniti.
“Burrows”
in particolare prova a scusarsi con i due rappresentanti dell’FBI per aver
passato alla stampa durante la campagna elettorale per le presidenziali il “dossier
patacca di Steele”, ma il braccio destro di Steele non gira intorno alla
questione.
Gli ex
membri dell’intelligence britannica avevano due rapporti di lavoro.
Il
primo era
quello con il loro cliente, Hillary Clinton, che li aveva espressamente
ingaggiati per gettare fango su Donald Trump.
Il
secondo era
quello con l’FBI che aveva aperto l’inchiesta nota come “Crossfire Hurricane”
per indagare sulle fantomatiche collusioni di Trump con i russi, e già questo
fa capire quanto sia gravemente compromessa l’FBI in tale faccenda.
“Steele”
aveva un conflitto di interessi grosso come una casa, ma l’agenzia allora
diretta da “James Comey”, nominato da Barack Obama, nemmeno si pose il
problema.
Non
solo decise di dare credito alle “fonti farlocche russe” di Steele, ma gli
diede persino i soldi dei contribuenti americani per comprare queste “pregiate
informazioni” che l’uomo al servizio della Clinton passava all’agenzia
investigativa americana.
Che “Steele”
fosse legato da un rapporto d’affari con il partito democratico americano era
chiaro, ma che fosse al tempo stesso spinto ad agire per motivi politici contro
Donald Trump era altrettanto palese tanto che l’ex agente del MI6 nel corso
dell’incontro con “Buten” e il suo collega dichiara che il loro “nemico comune”
era Donald Trump che attraverso la sua presidenza avrebbe potuto mettere a
rischio la storica partnership tra il Regno Unito e gli Stati Uniti, e mettere
così fine al potere dell’anglosfera che è stato il caposaldo di tutto l”ordine”
partorito dalla seconda guerra mondiale.
Il
versante italiano dello “Spy gate”.
Se
c’era una chiara intenzione da parte dell’apparato britannico e dei suoi
servizi di screditare in ogni modo Trump e di rovesciare la sua presidenza, la
stessa intenzione sembrava esserci chiaramente a Roma, dove all’epoca dei fatti
c’erano i controversi governi di Matteo Renzi e Matteo Gentiloni.
Roma
appare un altro elemento chiave per dipanare la matassa di questa trama
eversiva, perché “Christopher Steele “era a strettissimo contatto con gli
uomini dell’FBI in servizio presso l’ambasciata americana di via Veneto.
Ogni
singolo depistaggio dell’uomo del MI6 veniva sempre indirizzato a Roma, il
quartier generale del complotto contro Trump, e questo spiega perché nella
documentazione sullo “Spy gate” si trovino moltissime schede compilate da uno
degli attaché diplomatici del bureau in Italia, “Michael J. Gaeta”, che
riferiva su tutte le “informazioni” che Steele gli passava.
Il
rapporto tra Steele e l’FBI era in realtà già iniziato nel 2013, ma dalla metà
del 2016 in poi tutte le relazioni si incentrano esclusivamente sulla presunta
corruttela della politica russa, assieme ai fantomatici rapporti che Trump
avrebbe avuto con il Cremlino.
Steele
passa a “Gaeta” anche l’informazione che l’ex avvocato di Trump, “Michael Cohen”,
finito poi dietro le sbarre, sarebbe il ponte di collegamento tra il presidente
americano e il Cremlino.
A
pagina 54 della documentazione declassificata, si afferma persino che il padre
della moglie russa di Cohen, “Yefin Shusterman”, sarebbe un altro dei punti di
contatto tra Trump e i russi, ma a parte le parentele della consorte dell’ex
avvocato di Trump, non viene offerto nulla per sostenere la presunta
“complicità” tra Trump e i russi.
Esiste
il rapporto dell’uomo del FBI a Roma sulle “fonti” di Steele.
A
pagina 56, le affermazioni si fanno ancora, se possibile, più inverosimili
quando Steele riferisce che Cohen avrebbe avuto a Praga un incontro nell’agosto
del 2016, 3 mesi prima delle presidenziali, con ufficiali del Cremlino, ma
l’avvocato caduto in disgrazia non si trovava nella Repubblica Ceca, ma negli
Stati Uniti, a Los Angeles.
“Christopher
Steele” continuava a passare all’FBI una serie di patacche una dopo l’altra, ma
da approfondire è il ruolo giocato dall’Italia, scelta come una delle centrali
per eseguire il complotto contro Trump.
Si è
visto infatti come Steele avesse come riferimento sempre l’ambasciata americana
a Via Veneto, ma prima ancora dell’ex agente del MI6, c’era stata una
collaborazione accertata tra la polizia postale italiana, rappresentata dalla
dirigente “Nunzia Ciardi”, e “Kieran Ramsey”, un altro rappresentante dell’FBI
a Roma, che aveva scritto una lettera alla Ciardi stessa nell’aprile del 2016
per ringraziarla della cooperazione fornita dalla Postale per aiutare gli
americani a localizzare i server utilizzati dall’ingegnere “Giulio Occhionero”.
Esiste
la lettera di Kieran Ramsey a Nunzia Ciardi.
“Occhionero”,
all’epoca, almeno per l’opinione pubblica, era un perfetto sconosciuto e
diventerà famoso, suo malgrado, quando la procura di Roma emetterà ad ottobre
del 2016 un mandato di arresto nei suoi confronti con l’accusa di spionaggio ai
danni di diverse personalità di spicco delle istituzioni italiane.
L’FBI
si stava però già interessando a lui ad aprile per una faccenda totalmente
diversa, e che probabilmente è la chiave per comprendere perché “Occhionero” è
finito nella bufera giudiziaria.
L’ingegnere
sostiene infatti di essersi trovato al centro di una macchinazione ordita
proprio dalla “Polizia postale italiana” e della sua “divisione informatica”,
la “CNAIPC”, che avrebbe volontariamente hackerato i server della sua società
negli Stati Uniti.
Secondo
“Occhionero”, le autorità italiane avrebbero fatto tale operazione per piantare
sui suoi server le “famose email di Hillary Clinton”, e accusare così Trump,
ancora una volta, di “collusione” con i russi, dati gli stretti rapporti
dell’ingegnere con il partito repubblicano americano.
Si è
così agito evidentemente su due fronti.
“Steele
“che ufficiosamente per conto dei servizi britannici fabbricava le sue false
informazioni ai danni di Trump, e in Italia i servizi di intelligence italiani
che si mettevano a disposizione dell’amministrazione Obama per attuare la
stessa operazione di diffamazione ai danni del presidente Trump attraverso un
altro versante.
In
altre parole, lo “Spy gate” è la storia di una stretta “liaison” eversiva tra i
servizi inglesi e italiani che su diretto impulso dell’Obama e dell’FBI
avrebbero appunto lavorato fianco a fianco per screditare Trump e accusarlo di
tradimento nei confronti degli Stati Uniti.
“Papadopoulos”
e le accuse contro” Renzi”.
Un
altro dei personaggi coinvolti in questa rete internazionale eversiva, l’ex
collaboratore della campagna di Trump, “George Papadopoulos”, è stato ancora
più esplicito al riguardo.
Ad
aiutare Barack Obama nel suo piano per sbarrare la strada della Casa Bianca a
Trump, sarebbe stato l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, già molto
vicino agli ambienti del partito democratico americano ai tempi della sua
improvvisa comparsa sulla scena politica nazionale che risale al suo periodo da
sindaco di Firenze, nel 2009.
I
rapporti tra Renzi e lo stato profondo americano in quegli anni appaiono già
molto stretti tanto che si ventilava la possibilità di un incontro tra lui e
Bill Clinton nel 2012, anche se poi l’ufficio stampa di Renzi negò che i due si
fossero visti.
Nel PD
in quegli anni infuriava la guerra aperta per la leadership del partito e gli
ambienti angloamericani che sostengono Renzi avrebbero gradito molto un cambio
della guardia, necessario non tanto in termini di fedeltà a Washington dei
dirigenti piddini come D’Alema e Bersani, ma più che altro perché serviva
l’immagine di un giovane esordiente e non troppo “compromesso” con il passato
per proseguire sull’agenda dell’austerità voluta da Bruxelles e sulla politica
delle migrazioni illegali incontrollate che Renzi ha permesso in cambio di una
misera elemosina sul deficit.
“Renzi
ha fame di potere” ed è appoggiato talmente tanto dall’anglosfera e da Israele tramite il
suo uomo di collegamento con lo stato ebraico, “Marco Carrai”, ex console
onorario di Israele, che riesce a salire a palazzo Chigi nel 2014 senza nemmeno
aver vinto alcuna elezione.
Ad
essere spodestato fu “Enrico Letta”, uomo anch’egli del Bilderberg, ma il
rottamatore della Leopolda allora aveva, come detto, l’appoggio unanime di
tutte le alte sfere.
Nel
2016 però la sua stella sembra in declino.
Ci sono divisioni all’interno dell’apparato
della sinistra progressista italiana che lo ha voluto lì, e il suo referendum
costituzionale non è gradito a vari personaggi di riferimento
dell’establishment italiano, su tutti l’ingegner De Benedetti che lo voleva già
fuori nel 2016.
Il
presidente del Consiglio così si guarda intorno in cerca di aiuto, e si dirige
ancora una volta a Washington, proprio quando Barack Obama aveva ordinato
all’FBI di avviare l’inchiesta “Crossfire Hurricane” contro Trump.
A
fornire il pretesto agli agenti federali per aprire il fascicolo contro Trump
era stato soltanto pochi mesi prima proprio “Papadopoulos” che avrebbe
incautamente rivelato ad un diplomatico australiano vicino ai Clinton, “Alexander
Downer,” che l’enigmatico professore maltese della “Link Campus di Roma”, “Joseph
Mifsud”, era in grado di consegnargli le ormai leggendarie email di Hillary
Clinton.
“Mifsud”
ovviamente non aveva nulla in mano.
Aveva soltanto gettato un’appetitosa esca
all’ingenuo Papadopoulos fingendosi come un amico della campagna Trump, quando
in realtà era vicino, come” Downer”, ai “Clinton” e agli ambienti dei servizi
italiani e anglo-americani che volevano a tutti i costi incastrare Trump.
La
macchina della sovversione era in quell’estate già in moto, e “Renzi” proprio
nel mezzo della sua campagna per il referendum costituzionale decide di andare
ad ottobre alla “Casa Bianca”, dove viene ricevuto da “Obama”.
L’accoglienza
di Obama a Matteo Renzi.
Lì,
secondo Papadopoulos, Renzi avrebbe dato rassicurazioni ad Obama sulla sua
disponibilità a coinvolgere i servizi segreti italiani nel piano contro Donald
Trump.
Nonostante
gli sforzi massicci dell’FBI e dei servizi italiani e inglesi, la bolla del
Russia gate si sgonfia definitivamente nel 2018, e a distanza di 7 anni,
vengono pubblicati altri documenti che confermano come questi apparati abbiano
fabbricato una campagna di bugie contro il presidente degli Stati Uniti.
Soltanto
un anno dopo, nell’agosto del 2019, giunge a Roma il procuratore speciale
nominato da Trump, “John Durham,” per fare luce sul caso e sul coinvolgimento
dei “governi Renzi e Gentiloni”, anche se “Conte”, allora presidente del
Consiglio, negherà il tutto per non attirarsi addosso le accuse dell’ex
rottamatore, che puntualmente gli sono arrivate ugualmente.
Se da
un lato però “Conte “fingeva di voler aiutare Trump nella sua inchiesta,
dall’altro, secondo quanto riportato dal giornalista “Paul Sperry”, si
premurava di passare una falsa accusa di reati finanziari contro il presidente
americano.
Esiste
il tweet di Paul Sperry.
“Conte”
alla fine, al netto di qualche timida giravolta, si sarebbe attenuto alla
consegna trasmessa a tutti gli uomini della politica italiana.
Il
nemico da abbattere ad ogni costo era “Donald Trump”.
Era ed
è lui l’uomo che ha reciso il cordone ombelicale che legava la politica
italiana a Washington, e questo spiega perché in ogni trama contro il
presidente, si incontrino puntualmente i disgraziati e indegni politici della
Seconda Repubblica, disposti a tutto pur di salvare il proprio orticello.
Trump
però appare avere la memoria di un elefante. Non dimentica nulla.
La
dimostrazione è data dal fatto che sta ordinando di far uscire altri documenti
declassificati sul tentativo di colpo di Stato ai suoi danni.
“Non
si invidiano di certo le varie comparse della politica italiana che si sono
impegnate in questa guerra contro Trump”.
Il
presidente degli Stati Uniti appare determinato come non mai, e non sembra
intenzionato a fare prigionieri.
IPCEI
Nucleare: l’Italia al centro
di
progetti strategici europei sulle
tecnologie
nucleari innovative.
Mase.gov.it
– Redazione Comunicati – (10-04 – 2025) – ci dice:
Sostegno
all’iniziativa, si entra nella fase di design dei progetti.
Roma,
10 aprile - Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, “Gilberto
Pichetto Fratin”, e il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, “Adolfo Urso”,
accolgono con grande soddisfazione la comunicazione della Commissione Europea
relativa all’approvazione di un nuovo IPCEI (Important Project of Common European
Interest)
dedicato alle tecnologie nucleari innovative.
L’approvazione
dell’IPCEI nucleare, che entrerà già da oggi nella fase di design dei progetti,
rappresenta un riconoscimento del valore strategico del nucleare a livello
europeo.
L’Italia
ha fornito il proprio pieno sostegno all’iniziativa, sottoscrivendo la
“endorsement letter “sul nucleare, insieme ad altri 12 Paesi europei, a
conferma della vitalità di una filiera industriale nazionale che, insieme alla
ricerca e all'accademia, è rimasta attiva e competitiva negli ultimi
quarant’anni, nonostante l’assenza di produzione di energia da fonte nucleare
sul territorio nazionale.
Questo
importante risultato è frutto di un intenso lavoro di collaborazione tra il
“MASE” e il “MIMIT”, con il determinante supporto dalla Piattaforma Nazionale
per un Nucleare Sostenibile” (PNNS), istituita presso il “MASE”, che ha
pubblicato lo scorso 4 aprile i risultati di un anno di intenso lavoro
collaborativo tra i più importanti stakeholder nazionale sul nucleare.
I due
ministeri evidenziano che, per la prima volta dall’istituzione degli IPCEI,
all’Italia è stato riconosciuto il “ruolo di penholder “(coordinatore) a
livello europeo, in particolare per le tecnologie di fusione nucleare.
Il
nostro Paese ha però dato un contributo ugualmente determinante a livello
europeo nell’ambito delle tecnologie di fissione nucleare e delle applicazioni
mediche delle tecnologie nucleari.
La
fase di design dei progetti apre ora un percorso che richiederà un ulteriore e
significativo impegno da parte dei ministeri coinvolti, in stretta sinergia con
l’intero sistema industriale, accademico e della ricerca italiano.
Nel
momento in cui il Parlamento si appresta a confrontarsi sulla legge delega in
materia di energia nucleare sostenibile, questo IPCEI rappresenta uno strumento
fondamentale per sostenere una filiera nazionale che opera da decenni ai più
alti livelli europei e internazionali, sia nel campo della fissione nucleare
che della fusione.
Al
centro del problema.
Rivistailmulino.it
- Paolo Pombeni – (18 dicembre 2024) – Politica – ci dice:
La
questione di fondo è dove vada cercato il centro, se nei partiti esistenti o
promuovendo la formazione di un nuovo soggetto che da questi si differenzi.
C’è un
gran discutere sul problema del rilancio in politica di un “centro” che alcuni
ritengono possa essere un elemento equilibratore, forse anche riformista
dinamico; cosa che altri, più o meno in maniera interessata, negano
risolutamente
Certo, l’etichetta è abbastanza ambigua, per
non dire equivoca: alternativa alle radicalizzazioni di destra e di sinistra
per moderarle dall’interno, o autonoma proposta che trascende la dinamica
conservazione/progresso?
La
questione di fondo è dove vada cercato questo “centro”, se nei partiti
esistenti o promuovendo la formazione di un nuovo soggetto che da questi si
differenzi.
Se
volessimo riproporre un po’ di storia politica potremmo ricordare due panorami.
Il primo è quello che a metà Ottocento
suggeriva, in alternativa alla secca divisione destra/sinistra, lo svilupparsi
di una componente moderata che potesse consentire un dialogo fra i rispettivi
centri, fino al punto di promuovere in casi particolari una loro alleanza per
porre un argine comune agli estremismi di destra e di sinistra.
Quando
una tale proposta venne teorizzata, come “congiunzione dei centri” (in
Francia), o come “trasformazione dei partiti” (in Italia), venne etichettata
come “opportunismo” o come “trasformismo”, termini che sono rimasti con valenza
negativa nel linguaggio politico. Quando venne praticata negando che venisse
accettata, ha costruito occasioni di consenso allargato e di sviluppo.
Il
secondo scenario è quello che vede sulla scena, ma stiamo parlando del Secondo
dopoguerra, partiti di massa che vogliono caratterizzarsi come di centro e che
in quanto tali conquistano la guida politica del loro Paese.
È il
caso notissimo della Dc in Italia, ma anche quello della “Cdu” in Germania.
Il primo dissoltosi dopo quasi un
cinquantennio anche sotto la spinta di una critica diffusa proprio a questa sua
natura peculiare (sebbene la causa principale fosse il contemporaneo venir meno
di un particolare contesto sociale e di una classe politica capace di adeguarsi
a questo cambiamento), il secondo in astratto ancora centrale nella politica
tedesca, ma avendo subìto una profonda trasformazione che qui non è possibile
analizzare.
Il
centro come alternativa alle radicalizzazioni di destra e di sinistra per
moderarle dall’interno, o autonoma proposta che trascende la dinamica
conservazione/progresso?
Torniamo
su questi temi perché si è riacceso il dibattito sulla mancanza o meno, e sulla
possibile presenza/creazione, di un “centro” come elemento necessario per
rinvigorire una politica italiana che a molti appare immiserita, stretta com’è
fra scontri legati da un lato alla dimensione politicante e dall’altro al
prevalere di dibattiti culturali (?) dominati dalle contrapposizioni di maniera
che ripropongono vecchie idolatrie novecentesche.
Ci si
potrebbe chiedere, per rimanere al quadro che abbiamo delineato in apertura, se
e quanto esistano correnti centriste all’interno dei partiti attualmente
presenti nel nostro contesto politico.
Ovviamente,
essendo il termine, come già abbiamo detto, ambiguo, consideriamo ascrivibili a
questo quadro quelle componenti che, più o meno decisamente, dichiarano di
contrapporsi alla radicalizzazione a cui si ispirano molti partiti politici.
È il
caso, nell’ambito della coalizione di destra-centro, attualmente al governo, di
Forza Italia e di Noi moderati.
Sebbene siano due formazioni che sono piuttosto
incerte nel denunciare le derive radicali dei loro alleati, si può rilevare che
puntano ad allargare lo spazio del loro consenso elettorale proprio
presentandosi come elementi che quelle derive tengono a freno.
La
situazione è più difficile da analizzare nell’ambito della sinistra-centro che
si colloca all’opposizione.
La
presenza di due piccole formazioni che si definiscono di centro, Italia Viva e
Azione, entrambe partiti personali, è penalizzata dal loro marginale successo a
livello elettorale.
Il problema si pone in termini particolari per quanto
riguarda il Partito democratico
Nato in teoria per far convergere in uno
stesso contenitore tradizioni riformiste diverse che si riallacciavano a
precedenti filoni (comunista, democristiano, laico-liberale), ha sempre dovuto
fare i conti con le ambiguità che il termine riformismo ha conosciuto nella
storia delle nostre culture politiche:
la svalutazione come versione ammorbidita e
tentennante delle proposte di riforma radicale.
Questa
situazione del Pd è in un certo senso esplosa con l’arrivo alla segreteria di
Elly Schlein sulla spinta di un moto radical-movimentista in buona parte
esterno ai quadri esistenti e la conseguente prevalenza nella comunicazione
pubblica e nella gestione di quel partito di un approccio che tendeva a
marginalizzare le componenti in senso lato riformiste.
Nel
complesso la situazione delle componenti centriste nei partiti che dominano
l’attuale quadro della politica-politicante non è tale da dare il tono
all’andamento attuale del confronto che rimane dominato dalla ricerca di un
bipolarismo fortemente radicalizzato (non tutti i bipolarismi sono così) per
uscire dal quale si invoca da più parti la costruzione di un “partito di
centro” capace di evitare ciò che viene considerato come una deriva assai poco
favorevole a un qualche tipo di idem sentire de repubblica necessario in tempi
di complessa transizione storica.
Non
sembra alle viste che le componenti centriste all’interno dei partiti possano
guadagnare un potere di indirizzo, sia per la debolezza della loro
progettualità culturale, sia per le dinamiche imposte dall’attuale sistema
elettorale.
In
astratto si potrebbe anche pensare che le componenti centriste o riformiste
all’interno dei partiti possano guadagnare un potere di indirizzo, ma in
concreto ciò non sembra alle viste, sia per la debolezza della loro
progettualità culturale, sia per le dinamiche imposte dall’attuale sistema
elettorale:
due
elementi che concorrono a tenere ancorato il quadro alla esasperazione dello
scontro sull’asse destra/sinistra, quadro ben supportato da tutto un contesto
di “influencer” che in esso hanno fatto confortevoli nidi.
Al
momento, almeno in una parte non piccola dell’opinione pubblica che partecipa
alla vita politico-culturale, si pone così la questione concreta di come si
possa arrivare alla creazione di una formazione di centro in grado di operare
con una certa efficacia nel contesto attuale. Prevalentemente il tema è affrontato
chiedendosi chi possa assumersi il ruolo di “federatore” dell’area che non si
sente rappresentata dai partiti strutturati come governo o come opposizione.
Le
osservazioni che mi pare possibile avanzare riguardo a questo fenomeno sono le
seguenti.
La prima è che sia difficile partire dalla
ricerca di un federatore, per la semplice ragione che mancano i soggetti
federabili.
Il
rinvio che si fa all’esperienza dell’Ulivo di Romano Prodi è inpropria, almeno
da un punto di vista.
La riuscita della candidatura di Prodi alla
guida della coalizione è dubbio sarebbe riuscita se il Pds guidato da D’Alema
non avesse appoggiato la tesi del “papa straniero” (secondo le interpretazioni
maligne pensava di poterlo condizionare).
Solo
molto più tardi ci fu la piena legittimazione di Prodi con le primarie.
Nel
caso di cui oggi si discute non riesco a vedere soggetti già presenti che siano
disponibili a farsi federare da un papa più o meno straniero e un ennesimo
cartello-ammucchiata elettorale non ha chance di successo.
Bisognerebbe
immaginare la presenza di un personaggio fortemente carismatico di suo, il che
significa capace di generare “sequela” attorno alla sua figura. In ogni caso
andrebbe ricordato che i movimenti che nascono attorno a figure carismatiche
impiegano tempi lunghi a espandersi e a conquistare il peso specifico che ne fa
attori di rilievo. Ora, a prescindere dal fatto che i carismatici non si
inventano a tavolino o dalle cattedre, mediatiche e non (rileggersi Max Weber),
non sembra ci siano i tempi per affrontare la classica “traversata del deserto”
(quando la fece De Gaulle, che pure di carisma ne aveva, durò un buon
decennio…).
Altra
cosa è la ricerca di un ipotetico federatore del centro da incoronare per
superare l'impostazione per cui a essere candidato premier della
sinistra-centro non debba più essere la/il leader del partito elettoralmente
più consistente (leggi: Elly Schlein) aprendo invece la via a primarie di
coalizione in cui più d'uno potrebbe introdurre la mobilitazione del proprio
cosiddetto “popolo” (a cominciare da Conte). Sarebbe però un giochetto da
politica politicante con scarso respiro.
Chi
seriamente vuol misurarsi nella costruzione del nuovo partito di centro deve
dunque muoversi a partire da una enclave già esistente, sufficientemente
individuabile e strutturata.
Per questa ragione torna in campo l’ipotesi
che questa possa essere il mondo cattolico.
È
ragionevole riconoscere che in quest’ambito sia presente, per certi versi
sopravvissuta, una classe dirigente, e che la Chiesa abbia mantenuto un suo
circuito che ne fa ancora un’agenzia sociale, per quanto assai ridimensionata.
Ciò che a me pare dubbio è che intorno a
questa ci sia oggi una enclave sociale abbastanza omogenea da essere
mobilitabile in quanto tale e perciò in grado di fornire a dei gruppi dirigenti
quello zoccolo forte intorno al quale raccogliere poi le membra disperse di
quell’opinione pubblica che si sta staccando dall’età delle utopie.
Il
mondo cattolico è tutt’altro che un monolite, ma soprattutto al momento, a mio
modesto giudizio, non dispone di una cultura omogeneizzante.
Basterebbe
ricordare le molte tensioni impolitiche (mi si consenta la franchezza) che
circolano in materia di pacifismo e organizzazione della difesa militare, di
interpretazione dei fenomeni migratori, di connessioni con l’ambientalismo, di
rapporto con le trasformazioni economiche e relativi impatti sociali.
Ci
sono problemi strutturali con cui ci si dovrebbe confrontare, a partire dal
fatto che esistono tensioni, positive, fra l’etica della carità e l’etica della
responsabilità collettiva in capo alle istituzioni: ed è solo il più banale
degli esempi.
Non
credo che ci siano disponibilità a conferire alle strutture ecclesiastiche
compiti di direzione dell’evoluzione politica:
vescovi e clero è bene continuino nei loro
compiti religiosi e pastorali senza tornare a operazioni di direzione politica
che in una società secolarizzata non sarebbero accettate neppure da gran parte
dei cattolici.
Mi
sembra di poter concludere che la costruzione di una presenza riformista, che
solo per pigrizia mentale si può definire di centro nel senso moderato del
termine, vada innanzitutto costruita come una forte operazione culturale.
Se non
disponiamo di una cultura che possa creare consenso intorno a un modo di
interpretare la transizione che viviamo collocandosi fuori dagli schemi dei
massimalismi radicaloidi di destra e/o di sinistra, non si consolida il terreno
su cui far approdare una parte consistente dell’opinione pubblica e di
conseguenza della classe politica.
Che
questa nasca all’interno dei partiti oggi sulla scena, oppure sia espressione
di nuove forme di aggregazione presenti nella dinamica sociale, oppure, cosa
più normale, che scaturisca dalla dialettica fra le due componenti lo deciderà
lo svilupparsi degli eventi.
Se le classi dirigenti e pensanti (i due aspetti non
sempre convivono) lavorassero per far maturare l’humus riformatore che ci
manca, si potrebbe sperare con fondamento che possano arrivare anche i leader
necessari, federatori o innovatori che siano.
Quando
la marea si ritira,
sappiamo
chi sta nuotando nudo.
Unz.com
- Hua Bin – (14 aprile 2025) – ci dice:
Re
Trump è l'imperatore senza vestiti.
Quando
ho scritto il mio ultimo saggio La strategia della Cina per sconfiggere gli
Stati Uniti mandandoli in bancarotta (huabinoliver.substack.com/p/china-s-strategy-to-defeat-the-us)
poco prima
del "giorno della liberazione" di Trump, ho pensato che avrei fatto
un follow-up nel giro di un mese, dopo che le acque si saranno un po' calmate.
Le
cose si sono mosse lungo la traiettoria come previsto, ma a un ritmo molto più
veloce di quanto mi aspettassi.
Con
l'annuncio di venerdì scorso che Trump sta esentando gli smartphone, i chip, i
computer e l'elettronica prodotti in Cina dalla tariffa del 125%
"reciproca (una farsa completa)", che rappresenta circa un quarto
delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti, re Trump ha sostanzialmente
piegato le ginocchia e ha capitolato. Comunque “Karoline Leavitt” la giri,
Trump non si è limitato a battere ciglio, ha schivato.
Anthony
Blinken aveva ragione.
Nelle
relazioni internazionali, o sei a tavola o sei nel menu.
Abbiamo
scoperto che il pollo Trump è nel menu insieme al pollo alla Kiev.
Ho
commentato nell'ultimo saggio che la politica commerciale di Trump è stata come
puntare una pistola alla sua tempia per minacciare il mondo.
Non
sapevo che si sarebbe messo un rasoio sulla gola con l'altra mano e avrebbe
anche mangiato del veleno per topi.
In
genere traevo conclusioni dopo "lascia che il proiettile voli un po' più a
lungo". Tuttavia, alcune cose sono già chiare dal 2 aprile 2025, Giornata
degli sciocchi. Possiamo anticipare ciò che probabilmente accadrà nei prossimi
mesi e anni.
In
questo saggio, condividerò le mie previsioni.
Mi
concentrerò sul quadro più ampio e sconsiglio di non essere prigioniero dei
titoli quotidiani (anche di ora in ora) che sicuramente arriveranno dai media
saturati.
In un
saggio di follow-up che sarà pubblicato in seguito, condividerò le lezioni
apprese dagli eventi della scorsa settimana: così tanti miti sono stati
infranti e così tante verità nude sono venute fuori quando le maree si sono
ritirate.
Ecco
le mie previsioni principali:
Trump
ha perso e otterrà poche concessioni dalla Cina.
Togliendo
via tutta la teatralità delle ultime 2 settimane, è chiaro che l'obiettivo
principale della guerra tariffaria a tutto campo di Trump è la Cina.
Purtroppo
per lui, come ha detto a Zelensky, questa volta lo stesso Trump non ha carte.
La
guerra commerciale avviene a due livelli: economico e politico.
A
livello economico, gli Stati Uniti sono il terzo mercato per le esportazioni
cinesi dopo l'ASEAN e l'UE, con il 12,5% (440 miliardi di dollari su 3,5
trilioni di dollari), in calo rispetto al 20% del 2018.
Le esportazioni statunitensi di 440 miliardi
di dollari rappresentano il 2,3% del PIL cinese (19 trilioni di dollari).
Il
commercio della Cina con gli Stati Uniti si è ridotto dal 2018.
Il suo commercio con il resto del mondo (la
Russia e il sud del mondo in generale) è cresciuto rapidamente.
Gli
Stati Uniti non sono già un mercato così importante per i prodotti cinesi.
Ad
esempio, la Cina non esporta alcun veicolo elettrico negli Stati Uniti (tariffa
del 100% grazie a Biden) ed è ancora il primo esportatore di veicoli elettrici
al mondo.
Anche
se il commercio con gli Stati Uniti va a zero, la Cina può compensare le
esportazioni statunitensi perse consumando di più a livello interno e vendendo
di più al resto del mondo.
Il
governo cinese dispone di numerosi strumenti fiscali e monetari per stimolare i
consumi a livello nazionale.
Ci sono 3 trilioni di dollari di riserve
estere (compresi i 760 miliardi di dollari del tesoro degli Stati Uniti) e 13
trilioni di dollari di risparmi interni.
Il solo surplus commerciale della Cina è stato
di 1 trilione di dollari nel 2024.
Molti
di questi fondi possono essere utilizzati per compensare l'impatto negativo di
una guerra commerciale con gli Stati Uniti.
Scavando
un po' più a fondo, il 90% delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti è
costituito da prodotti tecnologici, macchinari, prodotti farmaceutici,
batterie, prodotti per l'energia verde e minerali critici.
Solo
il 10% è costituito da prodotti a basso valore aggiunto come scarpe,
abbigliamento, giocattoli e mobili.
Il
30-40% delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti va nel processo di
produzione negli Stati Uniti come parti e componenti.
Data
la posizione della Cina nella catena di approvvigionamento globale, le imprese
e i consumatori statunitensi troveranno molto difficile sostituire
economicamente i prodotti cinesi, direttamente o indirettamente nel commercio
con altri paesi.
Altrimenti,
le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sarebbero diventate molto più
basse dopo la prima guerra commerciale di Trump del 2018.
D'altra
parte, il 70% delle importazioni cinesi dagli Stati Uniti è costituito da
prodotti agricoli ed energetici che possono essere sostituiti con altri
fornitori in Brasile, Russia e altrove.
Entro
il 2022, gli Stati Uniti si sono affidati alla Cina per 532 categorie di
prodotti chiave, quasi quattro volte il livello del 2000, mentre la dipendenza
della Cina dai prodotti statunitensi è stata dimezzata nello stesso periodo.
Gli Stati Uniti si affidano quasi
esclusivamente alla Cina per le terre rare per la produzione di alta tecnologia
e per gli API (ingredienti farmaceutici attivi) per la produzione di farmaci.
Il 95% degli antibiotici utilizzati negli Stati Uniti è prodotto in Cina.
Se
tagliate fuori, le industrie tecnologiche e farmaceutiche statunitensi ne
soffriranno.
La più grande dipendenza della Cina dagli
Stati Uniti erano i semiconduttori, ma il commercio è già stato interrotto
dall'embargo sui chip di Biden.
In
breve, la Cina ha semplicemente una dipendenza commerciale molto più bassa
dagli Stati Uniti rispetto al contrario.
A
livello di quadro generale, la Cina si trova in cima alla catena di
approvvigionamento globale (come produttore) e gli Stati Uniti sono in fondo
alla classifica (come consumatori).
La Cina può causare altrettanto, se non di
più, dolore alle imprese e alle famiglie statunitensi.
Inoltre,
sul fronte finanziario, la Cina può infliggere enormi sconvolgimenti
all'economia statunitense se decide di scaricare le riserve del Tesoro degli
Stati Uniti, facendo aumentare i costi di finanziamento per tutti negli Stati
Uniti.
Questo potrebbe infliggere un duro colpo agli
Stati Uniti, poiché il paese è fortemente indebitato a tutti i livelli, dal
governo, alle imprese, alle famiglie.
La Cina finora si è astenuta dall'esercitare
questa opzione nucleare, ma certamente è sul tavolo se la guerra economica si
intensifica.
A
livello politico, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è diventata una
gara di determinazione nazionale.
Fa parte del confronto USA-Cina a tutto
spettro.
“Xi” ha un sostegno interno quasi universale
per resistere a Trump, la cui guerra commerciale contro la Cina si è
trasformata in un appello alla mobilitazione.
La totale mancanza di rispetto di Trump per i
partner commerciali degli Stati Uniti ("baciarmi il culo") che sono
pronti a negoziare (come il Vietnam e il Giappone) serve solo a respingere i
cinesi e a rendere estremamente sgradevoli le concessioni.
D'altro
canto, il caos nei mercati finanziari statunitensi (azioni, obbligazioni,
valute) e la prospettiva di un'inflazione galoppante stanno portando a un
diffuso risentimento per le sofferenze autoinflitte da Trump da parte dei
miliardari e della classe operaia.
Anche gli irriducibili del MAGA sono
preoccupati per l'impatto sui loro portafogli. Re Trump non ha né il capitale
politico né la grinta personale per rimanere saldo.
Mentre
Trump si vanta di altre nazioni che "mi baciano il culo", “Xi” si sta
sculacciando il culo con i pantaloni abbassati di fronte al mondo.
Mentre
Trump ha pateticamente proclamato "Xi è il mio buon amico", l'affetto
non è mai ricambiato e trattato con completo disprezzo da Pechino.
Xi non ha nemmeno menzionato il nome di Trump
in pubblico dal 2 aprile.
Poiché
l'obiettivo più importante della guerra commerciale è quello di danneggiare la
Cina, la dura posizione della Cina ha reso l'intera politica tariffaria di
Trump irrilevante e il bersaglio di un brutto scherzo.
Trump
otterrà alcune concessioni limitate dai paesi deboli e dagli stati vassalli e
dichiarerà una grande vittoria.
Come
ha detto crudamente Trump, molti paesi si sono messi in contatto per
"baciarmi il culo... per favore, signore, per favore".
Senza dubbio sta facendo cazzate con i numeri:
erano "più di 50 paesi", "70
paesi" e poi "più di 75 paesi" da un portavoce all'altro.
Eppure,
paesi come il Vietnam, il Giappone, la Corea del Sud, l'India, il Canada, il
Messico, ecc. sì inchineranno alla sua coercizione a vari livelli.
Offriranno
di abbassare le tariffe, prometteranno di acquistare più beni statunitensi e
forse investiranno nella produzione statunitense o acquisteranno più debito
statunitense.
Il
ricatto di Trump estrarrà la sua libbra di carne dalle vittime deboli.
Tuttavia,
avrebbe potuto facilmente ottenere quegli accordi attraverso negoziati
bilaterali (dal momento che molti sono stati vassalli con poca influenza) e
senza umiliare questi partner commerciali.
Invece ha scelto di far incazzare tutti, anche
quelli che lo prendono a calci in culo non amano essere chiamati in questo
modo...
La
traiettoria economica degli Stati Uniti non cambierà.
Con o
senza i dazi "reciproci", gli Stati Uniti non reindustrializzeranno e
non riporteranno i posti di lavoro nel settore manifatturiero in modo
significativo, in tempi brevi.
Questo
perché la politica tariffaria non affronterà la vera causa principale dei
problemi economici degli Stati Uniti di oggi.
La
deindustrializzazione è il risultato di decenni di finanziarizzazione,
esternalizzazione guidata dal profitto, infrastrutture interne e istruzione
scadenti, regolamentazione eccessiva e pratiche economiche neoliberiste
incentrate sugli azionisti a breve termine.
Le
trasformazioni tecnologiche come l'intelligenza artificiale e l'automazione
erodono ulteriormente qualsiasi prospettiva di riportare i posti di lavoro nel
settore manifatturiero.
Gli
Stati Uniti di oggi sono un'economia ad alto costo.
Le sue
infrastrutture, dalle strade, ai ponti, ai porti, alle ferrovie, sono
fatiscenti e non sono in grado di sostenere la produzione industriale su larga
scala.
La sua
forza lavoro è scarsamente qualificata e non addestrata per eseguire produzioni
high-tech di fascia alta.
I
baristi di caffè Starbucks e i flipper di hamburger di McDonald's non producono
automaticamente la meccanica della batteria.
E non
ci saranno "milioni e milioni" di lavoratori americani che metteranno
minuscole viti sugli iPhone, come “Lutnick” ha pontificato in modo molto utile.
La sua
classe manageriale è trainata dagli utili trimestrali e respinta dagli
investimenti a lungo termine e dall'assunzione di rischi.
La sua
élite dominante è composta da finanzieri e avvocati, non da ingegneri:
non sanno come costruire fabbriche, sviluppare
la catena di approvvigionamento, progettare e produrre cose e gestire una forza
lavoro.
Dopotutto,
è molto più facile fare soldi in borsa o come teste parlanti in TV o come
influencer online.
È più
facile studiare marketing o legge che fisica e ingegneria.
Il duro lavoro di fare le cose non è più nel
DNA degli Stati Uniti.
I
costi della reindustrializzazione sono semplicemente troppo alti, nell'ordine
dei molti trilioni, al di là di un paese con già 36 trilioni di dollari di
debito nazionale (senza contare i molti altri trilioni di debiti delle imprese e delle
famiglie).
I
tradizionali beni rifugio come il tesoro e la valuta degli Stati Uniti
crolleranno – la de-dollarizzazione accelererà.
Nonostante
abbia minacciato a gran voce qualsiasi paese di de-dollarizzare durante la sua
campagna elettorale ("Metterò dazi al 100% su chiunque non voglia usare il
dollaro USA"), Trump ha consegnato il regalo più grande ai sostenitori
della de-dollarizzazione.
Essendo
una valuta fiat, l'intero valore del dollaro USA risiede nella credibilità
dell'emittente: il governo degli Stati Uniti.
Trump, l'agente del caos con i suoi sbalzi
d'umore, le sue divagazioni incoerenti, il suo processo decisionale irrazionale
e la totale mancanza di buon senso economico, è riuscito a fare l'impossibile:
far crollare allo stesso tempo le azioni, le obbligazioni e la valuta degli
Stati Uniti!
Il
risultato delle sue folli mosse è un aumento dei costi di finanziamento, una
riduzione degli investimenti, un'inflazione più elevata, un tenore di vita più
basso e un esodo accelerato dal dollaro USA non solo da parte dei nemici degli
Stati Uniti, ma anche dei suoi "amici".
“Xi” e
“Putin” non possono fare nulla di tutto questo.
Solo
Re Trump può farcela, trasformando gli Stati Uniti in uno stato canaglia
terrorista economico!
La
rivalità degli Stati Uniti con la Cina sarà ulteriormente militarizzata e una
guerra calda è più probabile che mai.
Dopo
essere caduti a terra con la guerra commerciale e la guerra tecnologica con la
Cina, gli Stati Uniti si prepareranno ulteriormente per una resa dei conti
militare.
Sta già aumentando la spesa militare a uno
storico trilione di dollari (secondo il profuso ringraziamento di “Hegseth”,
Mr. Presidente “X” post).
La
gente dice che Trump è un presidente di pace e non gli piacciono le guerre.
Non ho mai comprato la schifezza per un
secondo.
Se
avete imparato qualcosa su di lui, dal suo comportamento pubblico agli scaffali
di libri pubblicati da persone che hanno interagito con lui, dovreste sapere
che Donald Trump non ha alcuna bussola morale, è un imbroglione e un bullo
bellicoso in tutto e per tutto.
Non è
un pacificatore.
Le sue
azioni in Yemen e le minacce contro l'Iran ne sono la prova evidente.
È una
conclusione ormai scontata:
la priorità numero uno del regime degli Stati
Uniti è indebolire e distruggere la Cina con ogni mezzo disponibile.
L'unica ragione per cui non è scoppiata una
guerra calda è perché le probabilità sono contro l'esercito americano e il
regime degli Stati Uniti nutre ancora l'illusione di sconfiggere la Cina
economicamente e tecnologicamente.
Tuttavia, poiché l'ascesa della Cina diventa
inarrestabile e tutte le sue carte vengono distribuite e fallite, gli Stati
Uniti ricorreranno alla forza.
Come
per la guerra commerciale e la guerra tecnologica, la Cina si è preparata da
tempo per un'eventuale resa dei conti nel Pacifico occidentale.
Che si tratti di una guerra calda a Taiwan o
nel Mar Cinese Meridionale, che si tratti di una guerra per procura o diretta,
la Cina combatterà fino alla fine e vincerà.
(huabinoliver.substack.com/p/comparing-war-readiness-between-china).
La
corsa è iniziata: gli Stati Uniti imploderanno e andranno in bancarotta per
primi o scoppierà una guerra calda tra Stati Uniti e Cina?
Come
esposto nel mio saggio precedente, la strategia della Cina per sconfiggere gli
Stati Uniti è quella di costringerli alla bancarotta prima che scoppi una
guerra calda, proprio come la strategia degli Stati Uniti che ha sconfitto
l'URSS.
La
guerra tariffaria di Trump e il bilancio del Pentagono hanno accelerato il
ritmo – gli Stati Uniti stanno affrontando un costo di finanziamento più
elevato (quindi pagamenti di interessi) e una maggiore spesa militare allo
stesso tempo – le due maggiori spese per il governo degli Stati Uniti.
Si può anche contare sul fatto che Trump segua
il “piano neocon Project 2025” per tagliare le tasse ai suoi ricchi donatori.
Ridurre
i ricavi e aumentare i costi è un modo infallibile per andare in bancarotta,
qualcosa in cui Donald Trump ha molta esperienza.
Dopotutto, questo è un ragazzo che è andato in
rovina 6 volte e in qualche modo è riuscito a mandare in bancarotta i casinò!
Mentre
la Cina persegue la strategia dell'arte della guerra di “Sun Tzu per vincere
senza combattere”, Trump persegue la sua scoreggia dell'accordo per bluffare e
truffare.
Come
ho detto l'ultima volta, Trump è il miglior agente non pagato per la Cina
(orgogliosamente) comunista.
Trump
ha utilizzato i "poteri di emergenza"
per
imporre le sue tariffe.
Dovremmo
preoccuparci?
Unz.com
- Mike Whitney – (13 aprile 2025) – ci dice:
Trump
non ha completamente usurpato i poteri dittatoriali per imporre le sue tariffe.
Tuttavia, le sue azioni, in particolare l'uso
dell'”International Emergency Economic Powers Act” (IEEPA) e di altri poteri di
emergenza, hanno sollevato preoccupazioni significative tra i critici, gli
studiosi di diritto e alcuni membri del Congresso sul fatto che sta spingendo i
confini dell'autorità esecutiva in modi che potrebbero essere visti come
autoritari o dittatoriali. (Grok).
Incontra
il nuovo capo, come il vecchio capo.
Abbiamo
appena appreso che la persona più potente del mondo, Donald Trump, ha un capo:
il mercato obbligazionario.
Potrebbe
non essere riconosciuto a se stesso, ma il tumulto finanziario globale che ha
causato. lo ha rinchiuso in una prigione fiscale. ...
È
totalmente legato alla buona volontà degli investitori obbligazionari.
Ha
anche consegnato una pistola carica al suo presunto nemico, la Cina, e al suo
presunto alleato Giappone.
Le pistole cariche che hanno sono le... più di un
trilione di dollari di titoli del Tesoro USA e la Cina non molto meno.
Se
dovessero vendere quelle obbligazioni, o anche se scegliessero di non
rifinanziare le obbligazioni in scadenza, potrebbe essere un disastro per
Trump. Perché potrebbe causare un'altra impennata potenzialmente paralizzante
dei rendimenti obbligazionari.
Ecco
la misura della debacle di Trump.
Potrebbe aver cestinato il più importante
vantaggio finanziario competitivo dell'America, vale a dire che gli investitori
hanno tradizionalmente acquistato il dollaro e i Treasury statunitensi in un
momento di incertezza economica e politica. Non più, perché lui stesso è
diventato la fonte dell'incertezza economica e dell'ansia del mondo.
Quindi, come ho detto, ora è in una prigione
fiscale.
E se gli investitori obbligazionari, tra cui
Giappone e Cina, lo vedranno imporre dazi o tagliare le tasse in modi che non
gli piacciono,...
Hanno
i mezzi e il potere per fermarlo. (Robert Peston@Peston).
Perché
i mercati hanno reagito in modo così irregolare all'annuncio di Trump del
"Giorno della Liberazione"?
Gli
investitori non amano l'incertezza.
L'incertezza genera paura, la paura genera
panico e il panico genera crolli dei mercati.
L'improvvisa imposizione di dazi doganali
ingenti da parte di Trump ha scatenato il timore che cambiamenti radicali nel
commercio globale avrebbero prodotto un'inflazione più elevata, una crescita
più lenta, interruzioni delle linee di approvvigionamento e un'escalation dei
conflitti con i partner commerciali americani.
Questi sono i risultati attesi che hanno messo
in agitazione gli investitori e fatto crollare i mercati.
Trump
ha cercato di placare i timori degli investitori presentando i dazi come parte
essenziale della sua politica "America First".
Sta
cercando di convincere i suoi sostenitori che questi nuovi dazi
"libereranno" i lavoratori americani da quelle che Trump definisce
"pratiche commerciali sleali".
(In un
discorso, Trump ha paragonato i dazi a una dichiarazione di indipendenza
economica , tracciando parallelismi con altre pietre miliari storiche degli
Stati Uniti).
Cosa
possiamo estrapolare da questo?
Innanzitutto,
che (nella mente di Trump) gli Stati Uniti sono stati vittime di abusi da parte
di alleati e rivali.
Come
ha detto Trump: "Ci stanno derubando".
Questa è la mentalità di base che alimenta la
filosofia del "Giorno della Liberazione" di Trump, una filosofia
secondo cui il resto del mondo dovrebbe essere punito per il deficit generato
dall'eccessivo consumo americano e per il suo oceano di perdite da 36 trilioni
di dollari.
La colpa è di tutti gli altri, non nostra.
E
soprattutto è colpa della Cina, perché la Cina ha aperto il suo paese alle
voraci multinazionali americane che hanno trasferito le loro industrie per
approfittare della manodopera a basso costo cinese.
Secondo
Trump, anche la Cina dovrebbe essere incolpata per questo.
Il
problema con la politica economica "America First" è che anche gli
altri Paesi difenderanno i propri interessi economici.
Quindi, se qualcuno come Trump cercasse di
abolire arbitrariamente l'attuale sistema di commercio internazionale e imporre
la propria versione, incontrerebbe una dura opposizione (come ha fatto).
Ciononostante,
l'annuncio di Trump ha avuto un effetto disastroso sul sistema finanziario
globale, innescando una fuga convulsa dai titoli del Tesoro statunitensi.
Questo, a sua volta, ha spinto molti analisti a ipotizzare che la guerra
commerciale di Trump cambierà radicalmente il modo in cui vengono gestiti gli
scambi commerciali internazionali.
Ciò, naturalmente, ha suscitato ulteriori
allarmi, facendo salire a nuovi massimi l'ansia degli investitori.
Il
Ministro degli Esteri di Singapore, “Vivian Balakrishnan”, ha riassunto la
situazione in questo modo:
Questa
è la fine di un'era... L'architetto, il pianificatore generale, lo sviluppatore
del sistema di integrazione economica basato su regole ha deciso che ora è
necessario impegnarsi in una demolizione su vasta scala dello stesso sistema
che ha creato.
Ha
ragione, vero?
L'era dei mercati integrati in un sistema
globalizzato è finita.
Il mondo viene nuovamente diviso in blocchi in
guerra da un'amministrazione convinta che il Paese che indebita e consuma più
di qualsiasi altro nella storia dell'umanità venga ingiustamente sfruttato dai
lavoratori sottopagati di tutto il pianeta.
L'idea
è ridicola.
Per
comprendere appieno fino a che punto la teoria di fondo di Trump dipenda dalla
convinzione che "ci stanno derubando", abbiamo estratto questo breve
estratto da un post di “Arnaud Bertrand” che commenta un discorso del
presidente del “Council of Economic Advisers” di Trump, “Steve Miran”:
Il
nocciolo della tesi di Miran è quello di riposizionare lo status di valuta di
riserva globale del dollaro non come un privilegio esorbitante... ma come in
qualche modo un "peso" che il resto del mondo deve compensare per il
peso che gli Stati Uniti sopportano.
Come
spiega Miran, avere il dollaro come valuta di riserva "ha causato
persistenti distorsioni valutarie e ha contribuito, insieme alle ingiuste
barriere commerciali di altri paesi, a deficit commerciali insostenibili"
che "hanno decimato il nostro settore manifatturiero".
Quindi,
vuole rinunciare allo status di valuta di riserva del dollaro, giusto?
Sbagliato.
Vuole
avere entrambe le cose.
Afferma che "il dominio finanziario
dell'America non può essere dato per scontato; e l'amministrazione Trump è
determinata a preservarlo", ma questo stesso dominio finanziario "ha
un costo" e "altre nazioni" devono pagarlo...
Fermiamoci
un attimo a riflettere sulla pura follia di tutto questo:
gli Stati Uniti stanno letteralmente
suggerendo ai paesi di inviare assegni al Tesoro come tributo per il
"privilegio" di mantenere il dollaro come valuta di riserva globale,
quando è proprio questo status di riserva del dollaro a essere il fondamento
del potere statunitense.
(Arnaud
Bertrand).
Ma che
diavolo?
Quindi
“Miran” pensa che il consumo eccessivo e la spesa in deficit siano così
indispensabili per il sistema economico globale, che altri paesi dovrebbero
pagare gli Stati Uniti per continuare con il loro spudorato sfruttamento?
In
effetti, questa è la sua posizione.
E questa convinzione non si limita a “Miran”.
Anzi,
è proprio questo il cardine ideologico su cui si fonda la filosofia commerciale
di Trump. "Noi spenderemo; voi pagherete. Noi prenderemo; voi darete. Noi
governeremo, voi seguirete".
Capito
il concetto?
Ah, e
per aggiungere la beffa al danno, ci consideriamo anche noi le
"vittime" di questa relazione.
("Ci stanno fregando").
È
sconcertante.
L'approccio
frammentato di Trump al commercio internazionale è la prova di questa arroganza
senza limiti.
E questa sembra essere la forza trainante del
"Liberation Day", l'immutabile convinzione che il resto del mondo
esista solo per servire gli interessi degli Stati Uniti.
Mi
sbaglio?
Non mi
sbaglio.
Basta
guardare i mercati. Gli investitori votano con i piedi.
Si
stanno dirigendo verso le uscite.
Il
loro panico è un referendum sulle politiche commerciali di Trump.
Non si
tratta di una "crisi finanziaria".
Si
tratta di una "corsa ai dazi sugli asset rischiosi statunitensi"
attribuibile a un solo uomo: Donald Trump.
Nessun
altro ha causato questo.
Il
programma economico distintivo di Trump (i dazi reciproci) si basa sull'errata
convinzione che il resto del mondo debba fungere da bancomat personale per gli
Stati Uniti.
Ma gli
investitori non condividono questa convinzione; pensano che i dazi
innescheranno una svendita di asset finanziari statunitensi e faranno crollare
il mercato.
Ed è
ciò che ci sta dicendo anche il crollo del mercato dei titoli del Tesoro.
Questo è tratto da un articolo di “Politico”:
Il
forte sell-off dei titoli di debito pubblico che sostengono il sistema
finanziario globale ha spinto il presidente Donald Trump a sospendere per 90
giorni i suoi piani per imporre dazi punitivi a dozzine di partner commerciali.
Gli
investitori spesso trattano i titoli di Stato come un rifugio durante i periodi
di stress del mercato.
Ora, è
accaduto il contrario.
Gli
hedge fund e altri investitori hanno scaricato i titoli del Tesoro anche se le
azioni sono crollate, spingendo verso l'alto i rendimenti che vengono
utilizzati per confrontare tutto, dai tassi ipotecari ai prestiti aziendali.
La
pausa di 90 giorni ha fatto poco per placare i timori del mercato. …
Se l'incertezza della politica commerciale
continua a scuotere gli investitori obbligazionari e a far salire i costi di
finanziamento, Trump si troverebbe di fronte a un mix letale di alti tassi di
interesse, riscatto elevato e crescita economica lenta o addirittura negativa.
Al
momento, c'è poca chiarezza su quanto il nervosismo del mercato obbligazionario
sia causato dalle turbolenze generali del mercato – alcuni investitori stanno
vendendo titoli del Tesoro perché hanno bisogno di liquidità – o se possa
segnalare qualcosa di più inquietante, come una minore fiducia negli asset
statunitensi con Trump che sta sovvertendo l'ordine economico globale...
Il
fatto che il dollaro e i titoli del Tesoro stiano affondando, mentre le azioni
crollano, riflette interrogativi più ampi su "chi finanzierà i deficit
continui. Da dove arriveranno i capitali per sostenere gli asset statunitensi
in generale?".
Mal di movimento del mercato obbligazionario
nell'economia di Trump, “Politico”.
La
situazione è disastrosa, ed è per questo che Trump ha gettato la spugna e ha
rimosso i dazi su 90 paesi, esclusa la Cina.
Il suo piano di usare i dazi come mezzo per
infliggere danni ai partner commerciali è stato vanificato da un'inaspettata
fuga dal debito statunitense, che non aveva previsto.
Non è
esagerato affermare che il mercato dei titoli del Tesoro statunitensi è il
pilastro su cui poggia il capitalismo di stampo occidentale e che qualsiasi
crepa in queste fondamenta rischia di avere un impatto catastrofico
sull'economia mondiale.
Ecco
perché Trump ha ceduto rapidamente e ha allentato la politica monetaria nei
confronti di tutti tranne che della Cina.
Per
quanto riguarda la Cina, il Paese è ora di fatto sotto embargo statunitense,
imposto senza autorizzazione del Congresso e in chiara violazione delle norme
dell'OMC.
Ecco
un breve commento di “Grok”:
L'OMC
definisce un quadro normativo per il commercio internazionale (che include) il
divieto di barriere commerciali arbitrarie o ingiustificate... (i dazi) non
possono essere utilizzati per discriminare ingiustamente tra i partner
commerciali.
I dazi
di Trump violano le norme dell'OMC... in quanto sembrano violare gli impegni
NPF, di non discriminazione e di vincolo tariffario senza una chiara
giustificazione ai sensi delle eccezioni dell'OMC.
(I dazi) mancano inoltre di una
giustificazione sufficiente ai sensi delle eccezioni per la sicurezza nazionale
e sono considerati discriminatori e protezionistici. (Grok).
Vale
anche la pena notare che ai Paesi a cui Trump ha imposto dazi viene chiesto di
allinearsi agli obiettivi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Si
tratta di una questione che i media non hanno trattato in dettaglio, ma
l'implicazione è che l'amministrazione stia usando la coercizione economica per
arruolare una coalizione anti-Cina che si unirà agli Stati Uniti nei suoi
sforzi per sanzionare, isolare e accerchiare la “RPC”.
Inoltre,
"Trump ha invocato l'”International Emergency Economic Powers Act” (IEEPA)
per giustificare i suoi dazi, compresi quelli annunciati nell'ambito della sua
politica del "Giorno della Liberazione" e di azioni precedenti.
Secondo “Grok”:
Un
foglio informativo della Casa Bianca del 2 aprile 2025 afferma che Trump ha
dichiarato lo stato di emergenza nazionale a causa delle "pratiche
economiche e commerciali estere" che creano una minaccia alla sicurezza
nazionale ed economica degli Stati Uniti, e menziona l'uso dell'”IEEPA” per
imporre "tariffe reattive" per affrontare questa emergenza...
L'”IEEPA”,
promulgato nel 1977, consente al presidente di dichiarare lo stato di emergenza
nazionale in risposta a una "minaccia insolita e straordinaria" alla
sicurezza nazionale, alla politica estera o all'economia che ha origine al di
fuori degli Stati Uniti.
Una
volta dichiarata l'emergenza, il presidente può bloccare le transazioni,
regolamentare le importazioni/esportazioni e adottare altre misure economiche.
...Conclusione.
Sì,
Trump ha invocato l'”IEEEPA” per giustificare i suoi dazi, inclusi quelli
derivanti dall'annuncio del “Giorno della Liberazione” del 2 aprile 2025 e
dalle azioni precedenti del febbraio 2025.
Ha dichiarato l'emergenza nazionale ai sensi
dell'”IEEEPA” imponendo sia il dazio di base del 10% su tutte le importazioni
sia i dazi reciproci più elevati, inquadrando i deficit commerciali e le
questioni correlate come minacce alla sicurezza economica e nazionale degli
Stati Uniti.
(Grok)
Trump
ha utilizzato l'”International Emergency Economic Powers Act” (IEEPA) per
evitare di ottenere l'approvazione del Congresso per la sua politica
commerciale?
Sì,
Trump ha utilizzato l”'International Emergency Economic Powers Ac”t (IEEPA) per
evitare la necessità dell'approvazione del Congresso per i suoi dazi, inclusi
quelli del Liberation Day e le precedenti azioni del 2025.
Dichiarando emergenze nazionali legate a
deficit commerciali, traffico di droga e migrazione, rivendica l'autorità
unilaterale ai sensi dell'IEEPA per imporre dazi senza il consenso legislativo,
sfruttando gli ampi poteri di emergenza della legge.
Domanda:
Il
Congresso ha l'autorità legale per supervisionare l'imposizione delle tariffe?
Sì, il
Congresso ha il diritto legale di supervisionare l'imposizione di tariffe
doganali ai sensi della Costituzione e della legge federale (Articolo I,
Sezione 8), in quanto detiene l'autorità suprema per regolamentare il commercio
estero e imporre dazi. Tuttavia, l'uso da parte di Trump dell'IEEPA per
dichiarare emergenze nazionali gli consente di aggirare temporaneamente questa
supervisione, affidandosi ad ampi poteri esecutivi che non richiedono
l'approvazione del Congresso.
Ultima
domanda per “Grok”:
come
chiamiamo un leader politico che usurpa la legittima autorità costituzionale
del Congresso e si attribuisce tutto il potere statale?
Un
leader politico che usurpa la legittima autorità costituzionale del Congresso e
si attribuisce tutto il potere statale viene comunemente definito autocrate,
dittatore o, in casi estremi, tiranno...
Per
Trump in particolare, le etichette dipendono dalla prospettiva:
i
critici vedono il suo utilizzo dell'IEEPA come autoritario, mentre i
sostenitori lo vedono come una leadership audace.
La
colpa è tanto del Congresso quanto di Trump ma, da qualunque punto di vista la
si guardi, ci troviamo in acque inesplorate.
In
definitiva, non sono stati il comunismo
o il
capitalismo, ma la supremazia ebraica
a
minare il nazionalismo occidentale.
Unz.com
- Jung-Freud – (7 aprile 2025) – ci dice:
È un
enorme errore confondere la "wokeness" inventata dagli
ebrei-capitalisti con il comunismo e scommettere il futuro su un'alleanza con
la destra ebraica decidendo di degradare tutte le “identità goy” verso la
“schiavitù di Sion”.
L'espiazione
per aver aiutato il genocidio tedesco degli ebrei sta aiutando il genocidio
ebraico dei palestinesi.
La lezione della Seconda Guerra Mondiale non è
che nessun popolo ha il diritto di fare un genocidio su un altro popolo, ma che
le vite degli ebrei sono così preziosi che è un crimine uccidere gli ebrei, ma non è un crimine per gli ebrei
uccidere i “goyim”.
Si
potrebbe fare un caso teorico del marxismo o del comunismo come opposti al
nazionalismo.
Dopo
tutto, il marxismo si è sviluppato come un movimento internazionale che
collegava i "lavoratori di tutto il mondo" contro i loro oppressori,
vale a dire che se i capitalisti esercitavano la loro influenza su scala
globale, allora anche i lavoratori dovevano pensare al di là dei
"meschini" interessi nazionali.
In
teoria, tutto questo era vero.
Ma
nella pratica storica, il comunismo non era necessariamente antinazionalista.
Soprattutto
in seguito all'insistenza di “Josef Stalin” sullo sviluppo del "socialismo
in un solo paese" in opposizione al piano di “Lev Trotsky” per la
rivoluzione mondiale (che in realtà si concentrava sulla Germania come motore
principale della rivoluzione socialista), il comunismo prese ad assumere un
carattere nazionalista.
Naturalmente,
data la composizione multietnica, multireligiosa e multiculturale dell'Unione
Sovietica (essenzialmente un'erede dell'Impero russo), varie nazioni venivano
periodicamente soppresse o brutalizzate al servizio dell'ideologia o degli
interessi geopolitici sovietici.
Certo,
la prima Unione Sovietica non era una continuazione del dominio russo o
dell'egemonia sui gruppi non russi, ma più simile a una vendetta non russa
sulla Russia, soprattutto perché i leader principali erano per lo più
costituiti da minoranze etniche;
consideravano
il sistema pr -sovietico come quello dello sciovinismo della Grande Russia,
anche se, a dire il vero, la dinastia regnante dei Romanov e molti membri dell'élite
non erano di etnia russa.
L'identità
etnica e il patrimonio culturale sopravvissero, anzi prosperarono, sotto il
comunismo per due ragioni fondamentali.
La prima era il pragmatismo, poiché il programma
radicale di cancellare tutte le differenze etniche e culturali al fine di
creare l'Uomo Nuovo era un compito arduo per un esperimento politico nascente.
Si
riteneva più vantaggioso appellarsi alle varie comunità etniche con la promessa
del comunismo come loro protettore e garante piuttosto che abolizionista,
ovvero, pur insistendo sulla giustizia socioeconomica e sull'egualitarismo, il
comunismo non avrebbe violato la ricchezza delle diverse culture.
Inoltre,
sebbene l'iniziativa sovietica avesse spesso decretato gli spostamenti di massa
delle popolazioni per realizzare progetti industriali, la libera circolazione
basata sull'iniziativa individuale, una caratteristica comune dell'esperienza
americana, fu limitata, il che significava che la maggior parte delle
popolazioni etniche rimase più o meno nei territori dei propri antenati.
Inoltre,
la relativa soppressione della cultura popolare (nel senso consumistico
occidentale) ha fatto sì che la cultura e il patrimonio folkloristico
giocassero un ruolo di primo piano nel definire il senso di identità e di
appartenenza, mentre l'elevazione e la diffusione pervasiva della cultura pop
hanno portato a una rapida omogeneizzazione negli Stati Uniti, così come
nell'Europa occidentale.
Per il
bene della stabilità sociale, i comunisti consideravano la cultura
folkloristica e il patrimonio etnico meno minacciosi della cultura popolare,
inscindibile dalla logica del capitalismo.
Pertanto,
se la cultura capitalista cercava di far sì che tutti, negli Stati Uniti e in
Europa (e nel mondo intero), si ispirassero a idoli di tendenza come “Elvis
Presley”, i “Beatles” e “007, il comunismo ha posto maggiore enfasi sulle
culture radicate nella tradizione e nel folklore.
Un
grosso problema con l'attuale discussione sulla politica e sugli affari
mondiali è l'assoluta diagnosi errata degli eventi e delle loro conseguenze.
Gran parte di questo sembra intenzionale,
principalmente per paura del Potere Ebraico (e dei suoi commissari cornuti),
anche se, a dire il vero, molte persone sembrano davvero ingoiare la linea
ufficiale o approvata.
Prendiamo
ad esempio il caso dell'Ungheria.
Viktor Orban vorrebbe farci credere che il complotto
globalista di Soros per sovvertire la nazionalità, la cultura e l'eredità
ungherese sia in qualche modo legato al passato comunista del suo paese.
In
altre parole, le forze "woke" delle frontiere aperte, dell'ideologia
anti-bianca, della virulenza anti-cristiana e del “globo homo” sono
semplicemente reiterazioni del comunismo.
Contro questa minaccia "di
sinistra", gli ungheresi devono essere risoluti nel ricordare i giorni bui
del governo della sinistra radicale e fare causa comune con i sionisti e la
destra europea (e il MAGA) per resistere e infine prevalere.
Ma ha
davvero senso?
Sebbene
ci fossero molti aspetti sbagliati nel comunismo, ha mai rappresentato una
minaccia esistenziale per la nazionalità, l'identità e la cultura ungherese?
Il
comunismo ha cercato di spalancare i confini dell'Ungheria a ondate infinite di
stranieri, soprattutto non europei?
Ha
promosso degenerazioni culturali come la celebrazione della sodomia e altre
perversioni quasi sessuali?
Gli
ungheresi venivano forse indotti a vergognarsi di essere ungheresi?
Agli
ungheresi veniva negata la loro storia o il loro patrimonio culturale?
Ora,
il potere della Chiesa era certamente represso in Ungheria, ma gli ungheresi
avevano il diritto di praticare il culto a livello personale.
Come
minimo, nessuno avrebbe mai preso in considerazione l'idea di addobbare le
chiese con simboli di degenerazione sessuale, un fenomeno che ha travolto
l'Occidente capitalista, dove le chiese con simboli di "wokeness",
solitamente negro latria o globo homo, sono una vista comune.
Mentre
il comunismo in Ungheria era economicamente restrittivo e repressivo
dell'impresa privata, in nessuna forma tentò di cancellare la nazione ungherese
– il suo popolo, la sua cultura e la sua storia – e di sostituirla con orde di
stranieri.
E anche se gli ebrei erano, come nell'Unione
Sovietica, prominenti nelle prime fasi del regime comunista, il governo in
seguito fu in gran parte uno degli stati ungheresi governati da “ungheresi
etnici”.
Vale
anche la pena sottolineare che l'Unione Sovietica ha permesso, persino
incoraggiato, una sorta di nazionalismo vassallo, cioè il nazionalismo
ungherese non è stato un problema finché è rimasto fedele al blocco sovietico.
Anche se il nazionalismo vassallo non era la
forma più preferibile di nazionalismo, che idealmente avrebbe dovuto essere
sovrano, consentiva comunque il patriottismo e la conservazione nazionale,
anche se all'interno del quadro più ampio dell'impero.
A differenza del Giappone, che sosteneva il
regime fantoccio in Manciuria per permettere ai giapponesi di colonizzare e
prendere il sopravvento, i sovietici non avevano alcun piano di colonizzare e
prendere il controllo dei loro vassalli del blocco orientale.
L'URSS tollerava il nazionalismo in quelle
nazioni finché non era antisovietico.
La
dominazione sovietica era in parte ideologica ma anche geopolitica, poiché i
sovietici (o i russi) temevano, correttamente come si è scoperto nella realtà
post-Guerra Fredda, che la perdita di uno dei loro vassalli dell'Europa
orientale non fosse tanto un segnale di indipendenza nazionale quanto un'altra
pedina per l'Occidente anti-sovietico (o anti-russo).
In effetti, i russi lo scoprirono all'indomani
della Guerra Fredda, quando l'Unione Sovietica, in uno stato di rapida
dissoluzione, scelse di lasciare che i suoi ex alleati dell'Europa orientale
andassero per la loro strada.
Semmai,
i russi sono andati ancora oltre e hanno presieduto alla disgregazione
dell'Unione Sovietica, con ogni ex repubblica sovietica che sceglieva il
proprio sistema di governo e l'agenda nazionale.
Ma ciò
che seguì non fu tanto l'ascesa di nuovi nazionalismi, quanto l'espansione
dell'Impero d'Occidente guidata dagli Stati Uniti, controllati dagli ebrei.
Data
la difficile situazione delle nazioni dell'Europa orientale e delle ex
repubbliche sovietiche, le loro élite furono più che disposte a sacrificare la
sovranità nazionale per unirsi al campo occidentale con il suo ricco bagaglio
di ricchezze.
Così,
la NATO si espanse verso est e gli Stati Uniti fecero breccia nelle varie
repubbliche che circondavano la Russia, ormai in declino.
Inoltre,
l'agenda occidentale in quelle regioni non era quella di rafforzare l'identità
nazionale e il patriottismo, un senso di liberazione dopo decenni di
repressione comunista e dominazione sovietica, ma di trasformarle in satrapie
del globalismo, dove l'identità nazionale e la sicurezza nazionale sarebbero
state sacrificate sull'altare del culto ebraico (sionismo e olocausto), del
globo homo e della negro latria.
In
ogni ex nazione ed ex repubblica sovietica, la stessa triade globalista di
ebrei, omosessuali e neri veniva promossa a scapito dell'identità nazionale,
della cultura e del patrimonio culturale, lo stesso copione con cui il potere
ebraico aveva profondamente trasformato i paesi dell'Occidente capitalista.
Anche
quando l'Occidente incoraggiava il nazionalismo, si trattava di solito di
opportunismo più che di idealismo, uno stratagemma per alimentare il settarismo
e indebolire i legami, così da frammentare uno stato consolidato in parti più
piccole, più facilmente assimilabili al Nuovo Ordine Mondiale.
La tragedia jugoslava, per esempio.
E l'Ucraina, naturalmente.
Il
capitalismo era il vero nemico del nazionalismo?
Sebbene
il capitalismo contribuisse maggiormente a erodere nazionalismo e
tradizionalismo con la sua enfasi su individualismo, consumismo, edonismo,
dinamismo e moderazione, non ne fu il fattore essenziale.
Prima
della conquista ebraica dell'Anglosfera (e quindi dell'intero Occidente), gli
Stati Uniti capitalisti, sotto il dominio angloamericano, avevano anche
consentito una sorta di nazionalismo vassallo alle loro nazioni satellite o
clienti.
Pur
dovendo rimanere sotto l'egemonia americana, ciascuna poteva enfatizzare la
propria forma di nazionalismo entro tali limiti.
Il
loro senso di patriottismo, il patrimonio culturale e l'autoconservazione
etnica non venivano messi in discussione.
Diventavano
problematiche solo se osavano liberarsi dall'egemonia americana, soprattutto
con l'obiettivo di unirsi al campo comunista per ragioni ideologiche o
geopolitiche.
Altrimenti,
gli Stati Uniti non si allarmavano per l'orgoglio giapponese in Giappone, per
l'orgoglio italiano in Italia, per l'orgoglio messicano in Messico, per
l'orgoglio greco in Grecia, per l'orgoglio turco in Turchia, e così via.
Mentre
gli internazionalisti americani desideravano che altri paesi adottassero il
sistema americano e l'insieme di principi universali fondamentali fondati sulla
civiltà occidentale, non avevano alcun obiettivo ambizioso di imporre la Grande
Sostituzione ai paesi vassalli, degradandone la cultura con la negro latria e
il globo homo, o minacciandoli di distruzione per non essersi inchinati ai
sionisti con sufficiente deferenza.
In
effetti, se il capitalismo è così dannoso per il nazionalismo e l'identità
etnica, perché l'Occidente capitalista è così zelante nel sostenere l'identità
ebraica e l'iniziativa sionista?
Se il
capitalismo è intrinsecamente antinazionalista, dovrebbe essere contrario
all'idea di patria ebraica tanto quanto all'idea di patria britannica,
francese, polacca o ungherese.
Prima
della presa del potere da parte degli ebrei, non ricordo che le élite americane
dicessero ai loro vassalli, come il Giappone, di accogliere orde di stranieri
come "Nuovi Giapponesi" e promuovessero la Grande sostituzione come
la cosa più grande dai tempi del sushi a fette.
E per
la maggior parte della storia della Germania Ovest dopo la seconda guerra
mondiale, la cittadinanza era ancora basata sul sangue, cioè le persone di
origine germanica in terre non tedesche potevano fare domanda per stabilizzarsi
in Germania, e gli Stati Uniti non avevano problemi con questo.
E
anche se gli Stati Uniti hanno dovuto sfruttare al meglio la loro diversità di
razze e gruppi etnici, il mantra "La diversità è la nostra forza" non
esisteva quasi mai prima di poco tempo.
C'era
un'immigrazione non bianca nell'Europa occidentale negli anni del dopoguerra,
ma le ragioni erano razionali o morali, sia per compensare un'acuta carenza di
manodopera nella ricostruzione delle economie distrutte dalla guerra, sia per
fornire rifugio ai collaboratori che affrontavano il pericolo, persino la
morte, nelle loro nazioni appena emergenti (o ex colonie liberate).
Era la cosa giusta per i francesi accettare
quegli algerini che avevano servito il sistema coloniale e avevano degli
obiettivi sulle spalle.
L'immigrazione limitata di non bianchi
all'epoca aveva qualche ragione convincente, e pochi sostenevano che
l'immigrazione per il bene dell'immigrazione fosse una buona idea semplicemente
sulla base della "diversità muh" o della negralistia.
Ma
sempre di più, guidati dagli Stati Uniti di ascesa ebraica, c'era l'idea che
l'immigrazione di massa in sé e per sé fosse una grande idea, che il culto
della diversità fosse sacrosanto e che la bianchezza fosse intrinsecamente
problematica, cioè che le società che erano per lo più bianche e omogenee erano
in qualche modo malate o patologiche e dovevano essere curate dalla malattia
con la panacea dell'immigrazione di massa non bianca.
Col
tempo, l'idea divenne il nuovo modello dell'anglosfera egemonica (dove la
lingua era l'inglese ma la paternità era ebraica), e poi, gli Stati Uniti
iniziarono a farla pressione su tutti i loro stati vassalli, ad esempio quelli
come Rahm Emanuel in Giappone che spingevano per una maggiore immigrazione, la
celebrazione della diversità, la negro latria e il globo homo.
Le pressioni sono state maggiori sull'Europa,
con qualsiasi nazione che desideri l'autoconservazione etichettata come
"estrema destra", "suprematista bianca" o
"neonazista".
L'etichetta di "estrema destra" che
un tempo veniva applicata agli “skinhead”, ai “neonazisti” e simili è ora
impressa sul desiderio moderato di sopravvivenza etnica, conservazione
culturale e sicurezza delle frontiere.
Alla
fine, il più grande nemico del nazionalismo “goy “non era né il comunismo né il capitalismo, ma la supremazia
ebraica, e questo è dovuto a una certa mentalità che è pervasiva sia tra gli
ebrei religiosi che tra quelli laici, vale a dire che, indipendentemente dai
loro atteggiamenti sulle questioni spirituali, essi condividono l'etnocentrismo
dell'identità ebraica.
L'ebraicità
è diversa dalla maggior parte delle identità etniche e delle grandi religioni
nella sua fusione di identità e santità.
Essere
tedeschi, italiani, francesi, turchi o messicani è semplicemente una questione
etnica.
Mentre
qualsiasi etnia può essere sciovinista – "Noi italiani siamo i migliori
del mondo!" la supremazia non è
intrinseca alla maggior parte delle identità.
Essere birmani o bulgari significa
semplicemente essere di origine birmana o bulgara.
Per
quanto riguarda le due più grandi religioni del mondo, il cristianesimo e
l'islam, l'adesione o la devozione è definita dal credo, dalla fede o dal credo
piuttosto che dall'identità.
Non si
è cristiani di sangue semplicemente perché i propri genitori sono cristiani. Lo
stesso vale per la fede islamica.
Mentre
i genitori musulmani possono crescere i loro figli per essere buoni musulmani,
uno non è musulmano per nascita.
Bisogna
crescere adottando e praticando la fede.
Non
esiste sangue cristiano o sangue musulmano, ma solo lo spirito cristiano o lo
spirito musulmano che si adotta come proprio.
Al
contrario, l'ebraicità dice che gli ebrei sono nati con sangue sacro, cioè il
semplice fatto di essere nati ebrei rende un membro dello speciale
"Eletto" dell'Unico Vero Dio.
Ciò significa che un ebreo è semplicemente
nato superiore ai “goyim”.
Anche
senza alcuno sforzo per essere una persona pia o un cittadino decente, gli
ebrei hanno cosmicamente diritto alla superiorità semplicemente sulla base
dell'ascendenza.
Questo
suggerisce perché gli ebrei laici, nonostante tutto il loro liberalismo o
razionalismo professato, tendono a condividere gli atteggiamenti suprematisti
degli ebrei religiosi.
Anche
senza l'elemento spirituale, c'è la persistente sensazione che l'ebraicità sia
speciale solo sulla base dell'identità (poiché gli ebrei per migliaia di
anni si sono aggrappati alla convinzione che la loro identità fosse sinonimo di
santità).
“Suprematista
ebreo” si vanta del complotto per de- razzinare tutte le nazioni “goy”.
Si
potrebbe dire che ci fosse un mito simile al centro dello Sebbene qualsiasi identità possa
essere influenzata da atteggiamenti suprematisti, il suprematismo è insito
nella torta dell'ebraismo, concepito come un tribalismo spirituale.
Shintoismo
che, soprattutto nella sua moderna versione politicizzata, postulava che la
razza giapponese-Yamato fosse speciale perché condivideva lo stesso sangue con
l'imperatore divino (considerato un dio vivente), ma presentava anche
differenze fondamentali.
A
differenza degli ebrei che insistevano sul fatto che il loro Dio fosse l'unico
Dio, i giapponesi non facevano alcuna affermazione del genere.
Piuttosto,
i giapponesi credevano di essere tutt'uno con gli unici del Giappone, un
riconoscimento del fatto che altri popoli e culture hanno i propri dei, spiriti
e cosmologie.
"Noi abbiamo i nostri dei, e voi avete i
vostri dei" non è arrogante quanto l'affermazione ebraica di "C'è un
solo vero Dio, e Lui ci ha scelti, e tutti i vostri dei sono falsi".
Inoltre,
mentre i giapponesi erano confinati al Giappone in un isolamento storico, la
diaspora ebraica significava che i” goyim” in vari luoghi dovevano confrontarsi
con una tribù che si considerava la Tribù, l'unica identità speciale e degna
scelta da Dio, il cui corollario era che i gentili esistono principalmente per servire e
placare gli ebrei il cui sangue è sacro solo per nascita.
Inoltre,
il Giappone perse la Seconda Guerra Mondiale, nota anche come Guerra del
Pacifico, e il loro divino imperatore-dio fu costretto a ricoprire il ruolo di
una figura laica e cerimoniale comica, qualcosa di simile a un Charlie Chaplin
asiatico.
Così,
il legame spirituale tra il popolo giapponese e la divinità (personificata dall'Imperatore) andò perduto per sempre.
Al
contrario, il culto dell'Olocausto che è emerso dalle ceneri della seconda
guerra mondiale ha elevato gli ebrei ancora più in alto.
Se,
prima della Shoah, il senso ebraico di esagerata autostima (quasi al limite
della megalomania) era contenuto all'interno della comunità ebraica, la
consacrazione di quella tragedia nella narrazione finale (sui santi ebrei
uccisi in massa dal Diavolo incarnato nella forma di Adolf Hitler e dei
nazisti) ha universalizzato la santità ebraica agli occhi dei” goy” di tutto il
mondo.
L'Olocausto ha evangelizzato che gli ebrei o
gli ebrei sono morti per i peccati dei “goyim” posseduti dallo spirito malvagio
dell'"antisemitismo".
Per
molti “goyim”, gli ebrei maltrattati che sopravvissero alla seconda guerra
mondiale sembravano un innocuo cucciolo di tigre affamato che aveva bisogno di
cura e affetto speciali.
Non
avevano idea che sarebbe diventato un predatore all'apice, la tigre famelica,
con l'appetito di divorare il mondo.
“Stew
Peters “denuncia l'idolatria di Donald Trump, il” Shill di Sion”.
Quando
personaggi come Viktor Orbán si scagliano contro il globalismo, il progetto
europeo o la "wokeness" come affini al comunismo o all'Impero
sovietico, sono sinceri (e stupidi) o stanno giocando a una versione
sgangherata di scacchi in 4D, basata sul presupposto che il potere ebraico sia
così schiacciante da non poter essere nominato, pur essendo il principale
colpevole che affligge l'Occidente (e anche il resto del mondo)?
Ma in
realtà, cosa c'entrava il comunismo con il capitalismo oligarchico, il
fondamento economico del globalismo, con personaggi come” George Soros” e “Blackrock”,
gestiti dagli ebrei, che giocavano con il mondo?
L'Unione
Sovietica e il comunismo possono essere stati culturalmente repressivi
(soprattutto nell'ambito della cultura pop e del modernismo d'avanguardia), ma
quando mai hanno promosso degenerazione, decadenza e perversione sessuale,
soprattutto come base di un nuovo tipo di quasi-spiritualità?
Il
comunismo deve rispondere dei suoi numerosi crimini, ma adorare l'ano di “Harvey
Milk” non era uno di questi.
E,
sebbene il comunismo simpatizzasse con il Terzo Mondo nella sua lotta per
liberarsi dall'egemonia imperialista occidentale, quando mai ha esaltato un
singolo gruppo etnico o una singola razza, ebrei, neri o qualsiasi altra, come
meritevole di maggiore affetto, anzi di adulazione?
Non
ricordo città comuniste afflitte da rivolte in onore di una particolare razza.
Le rivolte del BLM erano più simili a pogrom
pre-rivoluzionari.
Non ricordo che l'Unione Sovietica incitasse
le masse a ribellarsi per particolare deferenza a una particolare razza o
gruppo etnico.
Lo
stalinismo prendeva ufficialmente di mira certe classi per la distruzione, ma
non si trattava di favoritismi etnici.
La
destra politica accusa spesso la "wokeness" dell'agenda radicale
dell'egualitarismo, ma da quando la "wokeness" esprime uguale
simpatia per tutti i gruppi?
Semmai,
si è fissata sull'elevare i neri e gli omosessuali, entrambi appositamente
selezionati dagli ebrei, al di sopra di tutti gli altri, e sulla soppressione
della simpatia per le vittime del sionismo e del suprematismo ebraico.
Coloro che equiparano le proteste
pro-palestinesi alla "wokeness" stanno confondendo la correlazione
con la causalità.
Se è
vero che una discreta quantità di simpatizzanti pro-palestinesi sono stati
coinvolti nella politica "woke", la loro nuova passione è in realtà
un caso di fuga dalla riserva o piantagione "woke", qualcosa di
imprevisto e indesiderato dagli oligarchi e dai commissari ebrei che hanno
finanziato e modellato la "wokeness" e le sue varianti principalmente
per umiliare e soggiogare i bianchi in una modalità di espiazione moralmente
inferiore per i “goy” bianchi.
Tutto
si riduce a "È un bene per gli ebrei?"
Considerato
come il presunto "progressista" Bill Ackman si sia trasformato da un
giorno all'altro in “Bill Eichmann” nel suo sostegno al "letteralmente
Hitler" Donald Trump, nella speranza che il GOP sostenga più ciecamente il
"genocidio di Gaza".
Per
fortuna, alcuni idioti del movimento "woke" hanno finalmente fatto 2
più 2 e si sono resi conto che il Potere Ebraico è il più grande suprematismo,
anzi uno immerso nella modalità genocida della supremazia razziale.
E
hanno pagato un prezzo per averlo notato.
Personaggi
come “Greta Thunberg”, un tempo una causa celebre nei circoli
"progressisti" dominati dagli ebrei, sono diventati improvvisamente
persona-non-grata nei media globalisti.
Mentre
l'attuale UE ha alcune somiglianze con la vecchia Unione Sovietica, le
differenze sono più nette.
L'Unione Sovietica riguardava principalmente
il mantenimento dei suoi cittadini all'interno e all'esterno degli stranieri.
In effetti, il fatto che si sia frammentato in
varie repubbliche dopo il crollo suggerisce che il comunismo non era stato una
minaccia esistenziale per le nazionalità, che erano state economicamente
soppresse ma non negate etnicamente o culturalmente.
Se
l'Unione Sovietica fosse stata decisa a cancellare tutte le nazionalità,
nazioni come la Lituania, l'Estonia, la Lettonia, la Georgia, il Kazakistan,
l'Armenia, l'Uzbekistan e così via non sarebbero potute sorgere dalle ceneri
del regime comunista.
Era
ancora più vero con il blocco orientale, con nazioni come la Polonia, la
Bulgaria, l'Ungheria, la Romania e la Cecoslovacchia che emergevano in
condizioni nazionali incontaminate.
Mentre
il comunismo li ha trattenuti economicamente e tecnologicamente, non ha posto
alcuna minaccia alla loro integrità e identità nazionale.
I
sovietici insistevano sul fatto che i loro nazionalismi fossero subordinati a
Mosca, ma non li invalidavano come standard organizzativo e definitivo.
L'idea
sovietica dell'internazionalismo e dell'ideologia della fratellanza dell'uomo
significava cameratismo tra le nazioni comuniste, non una dissoluzione dei
confini e la decostruzione della cultura e del patrimonio, il tipo di agenda
che ha guadagnato terreno in Occidente, specialmente sotto l'influenza ebraica (che tuttavia ha protetto ed escluso
l'identità ebraica e gli interessi sionisti da un simile scrutinio, ridicolo e
negazione).
Il
comunismo europeo è stato un fallimento economico, ma non un attacco
all'orgoglio nazionale e alla salute.
Sotto
il comunismo, non c'era il culto della vergogna ungherese o della colpa
polacca.
Dato
che molte nazioni del blocco orientale erano state alleate della Germania
nazionalsocialista e avevano partecipazione all'invasione dell'Unione
Sovietica, si potrebbe pensare che i comunisti avrebbero incolpato tutte le
loro popolazioni per aver collaborato con i malvagi nazisti.
Ma
anche se i nazisti e gli elementi collaborazionisti sono stati diffamati nella
narrazione ufficiale, le nazioni nel loro insieme sono state risparmiate da
accuse e abusi indiscriminati, in netto contrasto con il culto della colpa
progettato dagli ebrei in Occidente per cui tutti i tedeschi per tutta
l'eternità sono stati ritenuti colpevoli dell'Olocausto e tutti gli europei
sono stati gravati dalla colpa della collaborazione.
E
seguiti da inglesi e americani che sono stati anche accusati collettivamente di
non aver fatto abbastanza per salvare gli ebrei.
E poi,
tutti gli americani bianchi erano gravati dal senso di colpa per la questione
nera, anche i bianchi che arrivarono come immigrati DOPO la Guerra Civile.
Tutto
questo è piuttosto comico o tragicomico dal momento che l'influenza ebraica ha
assicurato che i russi non sarebbero stati i benvenuti al 70° anniversario
della liberazione di Auschwitz.
Immaginatelo.
Gli
ebrei che se la prendevano con gli europei (e anche con gli americani) per non
aver fatto abbastanza per salvare gli ebrei dai nazisti stanno ora lavorando
con i nazisti in Ucraina e bandendo la nazione che ha fatto di più per
sconfiggere la Germania nazista da una commemorazione dell'Olocausto.
Tale
viltà non fa altro che conferire legittimità all'antisemitismo.
Il
nazionalismo andava bene nel mondo comunista finché non era sciovinista, mentre
in Occidente (sotto il crescente controllo ebraico) qualsiasi espressione di
patriottismo” goy” e desiderio di autoconservazione veniva contestata come
"estrema", "odiosa", "suprematista bianca",
"di estrema destra" e/o "neonazista".
Allo
stesso modo, il semplice sentimento di "Va bene essere bianchi" è
considerato "suprematista bianco", mentre, naturalmente, l'inadeguata
deferenza verso lo stato genocida di Israele è "antisemitismo."
È un caso di "Testa vinco io, croce perdi
tu".
Ora,
perché a un gruppo ostile dovrebbe essere affidato il destino del vostro popolo
quando nega al vostro popolo il suo nazionalismo, insistendo nel frattempo su
di esso per sostenere il suo tipo estremo di nazionalismo-imperialismo
suprematista-sciovinista?
Una
spiegazione è che le élite del vostro popolo sono vermi cornuti che vendono i
loro corpi e le loro anime alla miglior offerta, e gli ebrei hanno il maggior
numero di "benjamin".
Un'altra
spiegazione è che sono veri aderenti a una visione del mondo suprematista
razziale, anche se eleva un altro gruppo come i legittimi padroni del mondo.
Che si
tratti dei battitori della “Bibbia di Scofield” che devono gli ebrei come la
razza prescelta superiore o dei cultisti del “QI” del processo “Scopes HDB” che
utilizzano gli ebrei come la razza geniale superiore, lo spirito animatore
della visione del mondo americana è che gli ebrei sono la razza padrona con il
diritto divino di fare ciò che vogliono, mentre il resto dell'umanità, gli
umili “goyim”, possono solo aspirare a ottenere l'approvazione o ingraziarsi i
favori degli “Ebrei Terribili”.
Come
appaiono i “goy bianchi” ai suprematisti sionisti. È anche il modo in cui si
comportano i “goyim bianchi”.
Come
cani che servono un padrone.
Questa
marcescenza non si limita agli evangelici e agli HDB-isti, poiché persino i
membri della destra europea, come” Viktor Orbán” e “Marine Le Pen”, sono sempre
adulatori degli ebrei.
Se
nove ebrei su dieci sputano loro addosso, si prostreranno comunque davanti
all'unico ebreo che stringe loro la mano (anche se solo per un vantaggio
ebraico).
La
lealtà verso Israele è come un'assicurazione per i “goyim” odiati dagli ebrei.
Persino la Russia mantiene buoni rapporti con Israele,
il paese che ha contribuito maggiormente a indebolire il tentativo russo di
sostenere il regime di Assad in Siria.
Gli
ebrei sono considerati così sacri che se l'Occidente guidato dagli ebrei prende
di mira la vostra nazione e la vostra cultura per distruggerla, la vostra
ultima speranza è appellarvi a Israele e a gente come Netanyahu nella speranza
che la vostra fazione non venga diffamata come "antisemita".
"Ehi,
come possiamo essere "antisemiti" quando sosteniamo il
sionismo?"
Ma non
importa che Netanyahu e il Likud collaborino con l'ebraismo mondiale
"liberale" per diffondere l'influenza suprematista ebraica.
Non
importa che ciò che gli ebrei hanno fatto ai palestinesi sia solo un preludio
alla loro guerra di annientamento di tutte le “nazionalità goy”.
L'idea
che l'unico modo per opporsi a Soros sia abbracciare Netanyahu è l'illusione
più stupida del mondo.
Il
cornuto di Putin con Israele ha impedito il disastro in Ucraina?
Il
fatto che Orban abbia tradito Netanyahu fornisce alla sua nazione un po' di
sollievo dalle infinite invettive dell'UE controllata dagli ebrei?
L'impegno di “Le Pen” per il sionismo l'ha
risparmiata dalla legge diretta dai suoi nemici che prendono i loro ordini di
marcia dall'ebraismo mondiale?
Se
davvero l'estrema destra israeliana è in contrasto con gli ebrei
presumibilmente "liberali" e "di sinistra" che
costituiscono la maggior parte dell'ebraismo mondiale (come la destra europea
si autoassicura), perché il potere concentrato delle élite ebraiche in
Occidente è volto a garantire che i “goyim” di ogni tipo (soprattutto i
bianchi) sostengano incondizionatamente Israele e il “suo progetto di Grande
Israele” o Yinonismo?
“George
Soros “potrebbe non essere amico intimo di Netanyahu, ma è un eroe per la
stragrande maggioranza degli ebrei "liberali", che non sono meno
coinvolti nel progetto sionista di quanto lo siano i neoconservatori.
Qual è
esattamente la differenza tra “Tony Blinken” e” Stephen Miller “sul conflitto
israelo-palestinese?
La
cosa più necessaria è una rivalutazione delle spiegazioni ideologiche
prevalenti a destra sulle fonti dei guai che affliggono l'Occidente.
L'uso
improprio della terminologia ideologica e la confusione tra ciò che costituisce
la sinistra e la destra ha portato molte persone a fare false supposizioni sul
passato e sul presente.
Il comunismo era una camicia di forza
economica ma, almeno nell'Europa orientale, non rappresentava una minaccia per
il patriottismo, la sicurezza delle frontiere e la conservazione culturale.
Semmai,
il comunismo ha fatto di più per salvaguardare i pilastri dell'unità nazionale
e della sopravvivenza di quanto abbia fatto l'Occidente capitalista.
In
ogni caso, non è stato il capitalismo in sé, ma la dominazione ebraica
attraverso il successo capitalistico che ha portato all'attacco all'identità
bianca, all'etnia europea, alla cultura occidentale e ai valori che
garantiscono una società sana con la determinazione a sopravvivere e respingere
le minacce.
Una
cosa è certa: dobbiamo rivalutare le correnti più profonde della storia dopo la
seconda guerra mondiale.
Durante la Guerra Fredda, la paura era
l'invasione dell'impero sovietico verso l'Europa occidentale, e la NATO era
giustificata da motivi di difesa contro l'aggressione comunista.
L'idea
era che l'Occidente fosse tollerante e liberale, permettendo differenze di
credo e valori, mentre l'Est comunista era dogmaticamente impegnato nella
rivoluzione mondiale basata su un'ideologia radicale.
Così,
la Guerra Fredda non è stata vista come l'Occidente di destra contro l'Est di
sinistra, ma come l'Occidente non ideologico (che ammetteva la sinistra e la
destra e tutto il resto) contro l'Est di sinistra che non tollerava alcun
dissenso ideologico.
Contro
tale virulenza, i paesi "liberi" e "liberali" dovettero
coalizzarsi contro l'URSS che avrebbe potuto usare l'Europa orientale come
trampolino di lancio per la conquista.
Naturalmente,
i sovietici vedevano le cose in modo diverso.
Dopo le devastazioni della Seconda Guerra
Mondiale, il cui peso ricadde sull'URSS, gli stati cuscinetto contro
l'Occidente con la sua eredità di imperialismo e dominio sembravano essenziali,
soprattutto perché gli Stati Uniti, il nuovo egemone, erano armati con armi
nucleari che potevano devastare la Russia in modi che i tedeschi non avrebbero
mai potuto fare con tutti i loro armamenti avanzati.
Dal
punto di vista russo, l'Europa orientale era un muro difensivo e un terreno di
preparazione per la battaglia.
Ironia
della sorte, nonostante il carattere apertamente ideologico (o rivoluzionario)
del sistema sovietico, la sua visione della Guerra Fredda era molto più
realistica e pragmatica, più incentrata sulla sicurezza nazionale che su una
battaglia di idee.
Dopotutto, nonostante la sua presa sull'Europa
orientale, la potenza egemonica americana era situata nel cuore dell'Europa
(Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia), con la Turchia come parte della
NATO.
Mentre
i sovietici non avevano praticamente alcuna presenza nelle Americhe, gli
americani erano ben posizionati a breve distanza dalla Russia.
C'è
stato il caso di Cuba (e della crisi dei missili), e la drastica reazione
dell'America dimostra che, di fronte a una minaccia "esistenziale",
le sue paure non erano molto diverse da quelle della Russia.
È
diventata meno una questione di ideologia e più di fredde realtà di sicurezza
nazionale.
Poiché
la Guerra Fredda è stata spiegata e giustificata su basi ideologiche –
l'Occidente non ha alcun problema con i russi di per sé, ma solo con la loro
ideologia radicale e aggressiva di tirannia comunista –, il risultato logico
della fine della Guerra Fredda avrebbe dovuto essere lo scioglimento della
NATO.
Che bisogno c'era di più di una tale
organizzazione quando l'Unione Sovietica non c'era più, e le varie repubbliche
che emersero dalla sua disgregazione abbandonarono il marxismo-leninismo.
In
effetti, dato il fervore ideologico della Guerra Fredda, sembra che gli stessi
russi abbiano accettato l'idea che la linea di demarcazione cruciale tra
Occidente e Est fosse l'ideologia, non la politica di potenza:
farla finita con l'ideologia radicale del
comunismo, e non ci dovrebbe essere più inimicizia tra Occidente e Est.
Sicuramente,
alcuni sovietici dissentivano e consideravano l'aspetto ideologico della Guerra
Fredda come fumo negli occhi manipolati dall'Occidente al nascondere una
divisione più profonda, basata sulla politica di potenza, sul dominio del mondo
e sulla mentalità imperialista.
In
altre parole, l'abbandono da parte della Russia della sua ideologia aggressiva
non negherebbe i conflitti più profondi basati sulla geopolitica, e l'Occidente
sfrutterebbe la debolezza dell'Oriente per invadere la sua sovranità.
Quelle
voci si sono dimostrate corrette come la Fine della Storia (come la definì
Francis Fukuyama, una grande battaglia di idee), molto lontana per disinnescare
le tensioni tra Occidente e Est, non ha fatto altro che intensificarle, con la
NATO che non solo ha continuato ad esistere, ma si è espansa verso Est e ha
istituito sempre più basi militari contro la Russia (e ha rinnegato gli accordi
di disarmo).
Certo,
è possibile che la fine della Guerra Fredda avrebbe potuto facilitare una nuova
era di pace e comprensione se non fosse stato per l'ascesa ebraica, poiché gli
ebrei, più di ogni altro gruppo in Occidente, erano più decisi a circondare,
indebolire e distruggere la Russia come civiltà sovrana.
Comunque
sia, l'abbandono dell'ideologia da parte dell'Est ha portato a un conflitto
ancora peggiore, che non poteva essere risolto con un dibattito intellettuale o
morale.
Semmai, l'Occidente ha inventato nuove (e
fasulle) giustificazioni ideologiche per il conflitto:
"Occidente liberal-democratico basato sul
governo" contro "Est autoritario autocratico".
Nel
complesso, la nuova divisione riguardava meno l'ideologia che l'idolatria, una
delle maggiori lamentele era che la Russia preferiva la croce cristiana alla
bandiera della sodomia e alle” Pussy Riot”.
Il protrarsi delle tensioni con la Russia
suggeriva un conflitto più profondo che era stato offuscato durante la Guerra
Fredda, con tutti i discorsi su capitalismo contro comunismo o democrazia
contro totalitarismo che distoglievano l'attenzione da altri fattori.
C'era
stata una dinamica simile nella breve Pace Fredda tra la Germania
nazionalsocialista e l'Unione Sovietica.
Se la
Guerra Fredda ha velato le questioni geopolitiche con il pretesto delle
differenze ideologiche, la Pace Fredda ha de-enfatizzato le differenze
ideologiche nell'interesse di una geopolitica reciprocamente vantaggiosa, che
tuttavia si è rivelata troppo fragile per frenare le ambizioni egemoniche più
profonde di entrambe le parti, in particolare i tedeschi e il piano Lebensraum.
I
tedeschi, come gli ebrei, guardavano alla Russia come a un'ingiustizia
geopolitica, cioè a un popolo inferiore, stupido, barbaro, infantile e servile
come gli slavi che non avrebbero dovuto diritto avere a tutta quella terra e
alle sue risorse. Gli "ariani" lo volevano durante la seconda guerra
mondiale, e gli ebrei lo vogliono ora.
Le
crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina indicano anche che l'ideologia conta
molto meno nella prospettiva americana.
Sono lontani i giorni della Cina maoista che
cercava di esportare il suo marchio di rivoluzione nel Terzo Mondo.
La
Cina ha adottato l'economia di mercato e le relazioni amichevoli con
l'Occidente sulla base del rispetto reciproco, ma gli Stati Uniti continuano ad
aumentare le tensioni che hanno poco a che fare con l'ideologia.
Certo,
alcuni negli Stati Uniti, come “Steve Bannon” e “Tom Cotton,” cercano di
riaccendere l'animus ideologico insistendo costantemente sul "PCC"
per insinuare che la Cina è governata da un gruppo di comunisti tirannici
ancora dediti al maoismo.
Per
questi tipi, i palestinesi sono semplicemente "Hamas" e la Cina è
semplicemente "PCC" o "Chicom".
Dato
che la Cina ha rinunciato alla rivoluzione marxista e vuole la pace e il
commercio con il mondo, la crescente ostilità americana tradisce il gioco, cioè
l'ideologia è stata secondaria rispetto all'egemonia dell'Occidente, in
particolare degli Stati Uniti, e in particolare degli Stati Uniti gestiti dagli ebrei
che, nella
dinamica inversa degli europei e degli anglosassoni che si sono ritirati
dall'impero, cercano di mantenere e persino espandere il dominio globale alla
maniera di “Michael Ledeen”:
"Ogni
dieci anni o giù di lì, gli Stati Uniti hanno bisogno di prendere un piccolo
paese schifoso e gettarlo contro il muro, solo per mostrare al mondo che
facciamo sul serio".
Mentre
gli ebrei governano gli Stati Uniti, l'imperialismo americano è ora
un'espressione del suprematismo ebraico, e non sappiamo per certo se le cose
sarebbero potute andare diversamente se gli anglo-americani (o WASP) avrebbero
mantenuto il potere e potenza.
Una
cosa è certa:
mentre
paesi come la Russia, la Cina e l'Iran seguono i loro interessi nazionali, gli
Stati Uniti, pur essendo il paese più potente del mondo, non lo fanno, dato che
il 98% della popolazione, i “goyim”, prendono ordini di marcia dal 2% che è
ebreo.
Gli Stati Uniti riguardano l'interesse nazionale tanto
quanto l'India coloniale lo era sotto il dominio britannico, cioè proprio come
prima della sua indipendenza gli interessi "nazionali" indiani erano
sempre subordinati agli interessi imperiali britannici, gli interessi americani sono sempre
subordinati agli interessi globali ebraici, la differenza è che, mentre gli
inglesi si assicuravano che tutti capissero che erano al potere, Gli ebrei
hanno mantenuto la facciata degli Stati Uniti ancora guidati da cristiani
bianchi per lo più gentili che, in realtà, sono ancora più servili agli
interessi della supremazia ebraica di quanto gli indù e i musulmani in India lo
siano mai stati agli interessi imperialisti britannici.
C'è
chi va a caccia di nuovi spazi
per i data center nel sud Italia.
Wired.it
– Simona Buscaglia – (16-04 -2025) – ci dice:
Mediterranea
è pronta a scommettere 150 milioni nel Meridione per la costruzione di centri
di elaborazione dati. I suoi piani per l'Italia,
Data
center nel sud Italia c'è chi va a caccia di spazi.
Più
data center nel Sud Italia.
Se la
concentrazione di data center in Italia al momento vede la Lombardia,
soprattutto il Milanese davanti a tutti, si è aperta la caccia ai cosiddetti
“oceani blu”, aree dove la concorrenza è meno forte e dove potenzialmente le
opportunità non sono state ancora scandagliate.
A
spiegarlo, nella cornice della nuova sede italiana, è “Emmanuel Becker”, ad di
Mediterranea, azienda che costruisce data center regionali in città
digitalmente strategiche del sud Europa, e che ha intenzione di investire 250
milioni di euro in Italia nei prossimi due anni (100 nel Centro-Nord Italia e
150 anche al Sud).
“Pensiamo
che l'Italia non sia fatta solo da due città, Milano e Roma", ha detto.
"Vogliamo
dare la possibilità a tutti di avere accesso al digitale.
Questo è un paese che ha una grossa fetta di
Pil legato alla produzione, che lavora molto sull'export e che ha bisogno di
avere dei collegamenti privilegiati con i suoi mercati.
Si
tratta di attività produttive che non sono solo a Milano ma su tutto il
territorio nazionale”.
Così
il primo investimento nel nostro paese è stato l'acquisizione a Roma, nel
Tecnopolo Tiburtino, di Cloud Europe, un data center green di livello “Tier IV”,
progettato per operare a basso impatto ambientale e alimentato da energia
rinnovabile.
Un
data center “Tier IV” risponde a criteri particolarmente rigidi in termini di
sicurezza.
I
lavori di riqualificazione, per un investimento complessivo di 80 milioni di
euro, saranno ultimati nel 2025.
“Anche
nei progetti sui prossimi investimenti italiani sui quali stiamo lavorando, non
consumiamo altro suolo ma interveniamo sull'esistente, creando un beneficio per
la comunità, per diventare anche un importante volano per l'economia di quel
territorio” precisa “Alessandro Mussari”, “senior principal di Dws
infrastructure investments”, che gestisce il fondo istituzionale” Peif III “(Pan-European
infrastructure III) che sta dietro all'azienda.
Data
center su tutto il territorio italiano?
“Attualmente
in Italia ci sono tanti Ced (Centri di elaborazione dei dati, ndr), spesso di
proprietà di un'impresa, presenti nei suoi spazi per gestire la sua informatica.
Strutture, però, di fatto isolate e spesso non
efficienti a livello energetico – aggiunge Becker –.
Noi
vogliamo aiutare questi “Ced” a riconcentrarsi su dei centri nodali regionali
forti, efficienti e sicuri, creando degli ecosistemi dove sarà possibile anche
collegarsi tra loro”.
“Mimit”,
un anno di “Licei del Made
in Italy”: le competenze per
il
futuro delle eccellenze italiane.
Mimiyt.gov.it
– (15 Aprile 2025) – Redazione – ci dice:
Urso:
"formazione e sviluppo delle competenze fondamentali per consolidare il
saper fare italiano".
Il
bilancio e i risultati raggiunti, le prospettive e l'evoluzione dei percorsi
formativi a un anno dalla partenza dei Licei del Made in Italy.
Questo
il tema al centro dell'evento che si è tenuto a Palazzo Piacentini, nell’ambito
delle celebrazioni della “Giornata Nazionale del Made in Italy 2025”, istituita
dalla legge quadro n. 206 del 2023.
All'incontro
hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, sen.” Adolfo
Urso”, il ministro dell’Istruzione e del Merito, “Giuseppe Valditara”, il
sottosegretario di Stato “Paola Frassinetti “e il presidente della “Fondazione
Imprese e Competenze per il Made in Italy”, “Gianni Brugnoli”.
"Identità
e innovazione sono i binari su cui corre il treno del Made in Italy, marchio di
qualità ed eccellenza riconosciuto nel mondo.
Formazione
e sviluppo delle competenze giocano un ruolo fondamentale nel rafforzare il
saper fare italiano e nel preparare le nuove generazioni ad affrontare le sfide
globali.
L’apprezzamento crescente per i Licei del Made
in Italy conferma l’interesse verso un’educazione pragmatica, capace di
valorizzare le eccellenze e offrire reali prospettive professionali e
formative", ha dichiarato il ministro Urso.
Nello
specifico, i “Licei del Made in Italy” - che quest’anno, secondo i dati del
“MIM”, hanno registrato un incremento delle iscrizioni del 22% rispetto
all’anno scolastico precedente - offrono un percorso formativo completo che
integra le “discipline umanistiche e STEM” con quelle economiche e giuridiche.
L'obiettivo è quello di formare una
generazione di professionisti in grado di apprendere tecniche e strategie per
sostenere il Made in Italy, dalle realtà locali fino ai mercati globali.
Durante
l'evento, a supporto di questo percorso formativo, è stata ricordata anche la
nascita, a partire dal 10 aprile, della “Fondazione Imprese e Competenze”.
L'ente si propone di promuovere il Made in Italy attraverso la formazione e il
collegamento diretto con il mondo produttivo, con l'obiettivo di diventare un
alleato fondamentale per il” Liceo del Made in Italy”, in grado di ampliare
l'offerta formativa in sintonia con le caratteristiche specifiche dei vari
settori produttivi e delle realtà territoriali.
Dazi:
Orsini, Ue deve correre e
mettere industria al centro,
Mercosur
va approvato.
Borsaitaliana.it
– (16-04 – 2025) – Radiocor – Redazione – ci dice:
'Non
ci serve solo la prognosi ma la cura e serve subito' (Il Sole 24 Ore Radiocor) –
Roma,
16 apr - 'Noi dobbiamo essere pronti e prepararci a trovare nuovi mercati. Per
questo noi siamo stati a Bruxelles la settimana scorsa, dove abbiamo chiesto di
fare presto sull'accordo del Mercosur.
Non
possiamo pensare che il voto vada alla fine dell'anno, all'inizio dell'anno
prossimo. In un momento come questo serve correre, serve urgenza'.
Lo ha detto il presidente di Confindustria, “Emanuele
Orsini”, a margine
degli Stati generali di Federturismo.
'Se il presidente degli Stati Uniti con delle
ordinanze riesce a costruire e cambiare le politiche economiche in un giorno,
noi non possiamo neanche pensare di non fare un accordo in otto mesi quindi per
noi serve correre un po' di piu'', ha aggiunto Orsini, specificando che
l'Europa deve 'essere piu' competitiva per togliere quella parte di costi' che
frenano le imprese.
'E per fare questo serve fare cose in Italia e
serve fare cose ovviamente a livello europeo e a Bruxelles', ha continuato
Orsini, indicando che in Italia c' è da risolvere 'il tema del costo
dell'energia e la burocrazia.
Sappiamo
tutti che la burocrazia in Italia costa 80 miliardi e dall'altro punto, dal
lato europeo, si deve correre'.
Infatti, ha proseguito Orsini, 'oggi non
possiamo più pensare che noi ci siamo sempre messi nella parte dell'essere
virtuosi, perché' sapete quanto l'industria italiana e europea è vicina
all'ambiente, l'abbiamo dimostrato con i dati, non serve neanche più che
continuiamo a raccontarlo, perche' dopo sembra che ci vogliamo autocelebrare,
ma non è questo il nostro tema, ma il vero tema è riuscire comunque a
sospendere quelle norme che ci ingessano e quando invece altri continenti fanno
correre l'impresa', facendo l'esempio delle norme sulle 'emissioni del Co2, la
speculazione sul costo del gas'.
Quindi,
ha concluso Orsini, 'noi abbiamo bisogno di avere un'Europa che metta al centro
l'industria, ma sia concreta e attuativa.
Ci fa
piacere che si prenda atto in questi documenti di quali siano i problemi, però
a noi non serve solo la prognosi, a noi serve la cura e la cura serve subito'.
IPCEI
Nucleare: l’Italia al centro
di
progetti strategici europei
sulle tecnologie nucleari innovative
Ilnautilus.it - Redazione –(11 Aprile 2025) –R
redazione - Gilberto Pichetto Fratin – ci dice:
Sostegno
all’iniziativa, si entra nella fase di design dei progetti.
Roma.
Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto
Fratin, e il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, accolgono
con grande soddisfazione la comunicazione della Commissione Europea relativa
all’approvazione di un nuovo IPCEI (Important Project of Common European
Interest) dedicato alle tecnologie nucleari innovative.
L’approvazione
dell’IPCEI nucleare, che entrerà già da oggi nella fase di design dei progetti,
rappresenta un riconoscimento del valore strategico del nucleare a livello
europeo.
L’Italia
ha fornito il proprio pieno sostegno all’iniziativa, sottoscrivendo la
endorsement letter sul nucleare, insieme ad altri 12 Paesi europei, a conferma
della vitalità di una filiera industriale nazionale che, insieme alla ricerca e
all’Accademia, è rimasta attiva e competitiva negli ultimi quarant’anni,
nonostante l’assenza di produzione di energia da fonte nucleare sul territorio
nazionale.
Questo
importante risultato è frutto di un intenso lavoro di collaborazione tra il
MASE e il MIMIT, con il determinante supporto dalla Piattaforma Nazionale per
un Nucleare Sostenibile (PNNS), istituita presso il MASE, che ha pubblicato lo
scorso 4 aprile i risultati di un anno di intenso lavoro collaborativo tra i
più importanti stakeholder nazionale sul nucleare.
I due
Ministeri evidenziano che, per la prima volta dall’istituzione degli IPCEI,
all’Italia è stato riconosciuto il ruolo di penholder (coordinatore) a livello
europeo, in particolare per le tecnologie di fusione nucleare.
Il
nostro Paese ha però dato un contributo ugualmente determinante a livello
europeo nell’ambito delle tecnologie di fissione nucleare e delle applicazioni
mediche delle tecnologie nucleari.
La
fase di design dei progetti apre ora un percorso che richiederà un ulteriore e
significativo impegno da parte dei Ministeri coinvolti, in stretta sinergia con
l’intero sistema industriale, accademico e della ricerca italiano.
Nel
momento in cui il Parlamento si appresta a confrontarsi sulla legge delega in
materia di energia nucleare sostenibile, questo IPCEI rappresenta uno strumento
fondamentale per sostenere una filiera nazionale che opera da decenni ai più
alti livelli europei e internazionali, sia nel campo della fissione nucleare
che della fusione.
C’è
solo un partito di centro, Forza Italia.
Ma si
deve allargare…
Formiche.net
- Giorgio Merlo - (21/07/2024) – ci dice:
Una
sfida, quella di Forza Italia, che non riguarda solo il futuro di quel partito
ma la stessa prospettiva della politica di centro nel nostro paese. Un
obiettivo utile per la qualità della nostra democrazia.
La riflessione di Giorgio Merlo.
Il
fallimento politico ed elettorale, per certi aspetti clamoroso, del cosiddetto
Terzo Polo ha definitivamente lasciato aperto e contendibile il campo del
Centro nel nostro paese.
Un
campo che, come tutti sanno, resta decisivo nonché indispensabile per il buon
funzionamento del nostro sistema politico.
Insomma,
senza il Centro un paese come l’Italia sbanda e per una ragione di fondo. E
cioè, non si può governare l’Italia con la deriva e la prassi degli “opposti
estremismi”.
E con
una permanente e strutturale radicalizzazione del confronto politico.
Ora, proprio l’ultima ed ennesima piroetta del
capo di Italia Viva “Matteo Renzi” che ha siglato un accordo politico con la
sinistra radicale e massimalista della “Schlein”, con la sinistra populista e
demagogica dei 5 stelle e con la sinistra estremista e fondamentalista del trio
“Fratoianni-Bonelli-Salis”, ha segnato anche platealmente la necessità di
ripartire con una vera ricostruzione di un Centro riformista, democratico, di
governo e innovativo.
Un
Centro che, com’è ormai evidente a tutti, non può certo riconoscersi nel
partito personale di Renzi e neanche nell’altro partito personale di Calenda.
E
questo non solo perché si tratta di una alleanza chiaramente di sinistra dove,
di fatto, il ruolo dei partitini centristi sarebbe simile a quello dei “partiti
contadini” di comunista memoria, ma per la semplice ragione che nell’attuale
scenario politico italiano c’è, oggi, un solo partito che può ambire ad
occupare quello spazio.
E quel
partito si chiama Forza Italia.
Perché
si tratta di un partito dichiaratamente centrista, moderato e riformista;
perché è un partito che non si vergogna di costruire un orizzonte centrista e,
soprattutto, perché è un partito che individua nel Centro la prospettiva
politica più calzante per il nostro paese.
Ma
tutto ciò è possibile solo se Forza Italia si allarga.
Un
allargamento politico, culturale e sociale nei confronti di tutte quelle
tendenze, sensibilità e culture che sono riconducibili all’universo centrista e
riformista nel nostro paese.
Un allargamento che si rende possibile se quel
partito recupera e fa proprio sino in fondo un approccio inclusivo.
Ovvero
un partito autenticamente plurale, democratico al suo interno e capace di
rappresentare un elettorato che semplicemente non si reca più alle urne perché
non esiste una offerta politica adeguata e pertinente.
Un
elettorato che, tra l’altro, nella storia democratica del nostro paese è sempre
esistito e che nel passato votava e si riconosceva in quei partiti che facevano
del Centro e della politica di centro la loro ragion d’essere.
Nulla a che vedere, quindi, con i “partiti
contadini”, con i grigi ed insignificanti cartelli elettorali e con tutti quei
tentativi che fanno del Centro solo un espediente strumentale per raggiungere
un piccolo potere personale per sé e per i propri cari.
Una
sfida, quella di Forza Italia, che non riguarda solo il futuro di quel partito
ma la stessa prospettiva della politica di centro nel nostro paese.
Un obiettivo utile per la qualità della nostra
democrazia, per la credibilità delle nostre istituzioni e, soprattutto, per
l’efficacia e l’efficienza dell’azione di governo.
Orsini:
“lanceremo Piano su export”,
per
Italia 80 miliardi in più.
Ilsole24ore.com
– Redazione Roma – (15 aprile 2025) – ci dice:
Lo ha
detto il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, intervenendo alla
settima edizione del “Sustainable Economy Forum”, organizzato dall’associazione
di Viale dell’Astronomia e dalla Comunità San Patrignano.
I
punti chiave.
Orsini:
parlare di dazi per noi è un problema.
Ue
trovi subito nuovi mercati, rimandare è follia.
Serve
piano industriale italiano ed europeo.
Come
Italia sul fronte dell’export «abbiamo la capacità e la possibilità di crescere
e, per questo, il 27 maggio presenteremo una piattaforma, durante la nostra
assemblea a Bologna, dove al centro metteremo un piano» dedicato alle
esportazioni, visto che «abbiamo la capacità di raggiungere nuovi mercati
nell’immediato per ulteriori 80 miliardi».
Così
il presidente di Confindustria, “Emanuele Orsini”, intervenendo alla settima
edizione del “Sustainable Economy Forum”, organizzato dall’associazione di
Viale dell’Astronomia e dalla Comunità San Patrignano.
Orsini:
parlare di dazi per noi è un problema.
Le
sfide, prosegue, «sono tante, sia all’interno dell’Italia che in Europa» ma «il
problema più importante in questo momento è l’incertezza, servono idee chiare».
Da
questo punto di vista, anche l’Unione europea «deve prendere coraggio perché
noi crediamo nell’Europa» affinché «capisca che in passato sono state fatte
scelte dure verso l’industria, mentre oggi dobbiamo rimetterla al centro».
Di certo, «in un mondo interconnesso come il
nostro, oggi parlare di dazi e di chiusure per noi è un problema».
Davanti
al tema dei dazi, «serve che l’Europa sia rapida.
Non è
possibile che, se qualche mercato si chiude, noi non ne apriamo altri» ha
aggiunto Orsini.
Per
questo è necessario che l’Ue «agisca in maniera rapida».
Tra gli esempi, «ci sembra una follia che il
voto sul Mercosur» possa essere a fine 2025, o ulteriormente slittare, perché
«se si chiude qualche mercato dobbiamo aprirne altri».
Serve
piano industriale italiano ed europeo.
Per
affrontare la difficile congiuntura economica «serve avere una visione: quello
che stiamo chiedendo al governo oggi è di avere un piano industriale del Paese,
da trasmettere poi in un piano industriale europeo».
È
questa la richiesta avanzata dal presidente di Confindustria.
Solo
in questo modo «riusciamo a costruire e dare coraggio ai nostri imprenditori
che sono pronti a investire».
Per
Orsini, però, dobbiamo avere «la voglia e la capacità di dimostrare ai nostri
imprenditori e ai Paesi che comunque l’industria torna al centro, penso ai temi
dell’Ets, delle emissioni di carbonio, che è un tema che sta colpendo
l’acciaio, sta colpendo la ceramica, sta colpendo ovviamente i trasporti anche
marittimi».
«Ovvio
che in tutto questo Confindustria farà la sua parte, ma noi abbiamo bisogno di
tutti per portare avanti le nostre necessità e le necessità dell’impresa».
L'etica
del lavoro può tornare?
Theburrningplatform.com
– (15 aprile 2025) - Jeffrey A. Tucker tramite The Epoch Times – ci dice:
Sono
entusiasta come chiunque altro della prospettiva di un ritorno della produzione
americana.
Ma ci
sono enormi barriere, tra cui le metriche di redditività della contabilità.
Avrà senso da un punto di vista economico?
Senza questo tassello, i desideri politici e la determinazione nazionale non
saranno sufficienti.
Un
operaio aziona una grande macchina sospesa su una puleggia in uno stabilimento
industriale in mezzo a fasci di luce, intorno al 1950.
Gli
Stati Uniti hanno esternalizzato grandi quantità della loro potenza
manifatturiera, un tempo potente, in Cina, in Messico e altrove.
Per
decenni è sembrato reciprocamente vantaggioso, fino a quando non abbiamo preso
atto di quanto sia strano che l'America debba avere così poche industrie che
può chiamare proprie.
Esistono
diversi modi per affrontare questo problema.
Ma la portata non è ampiamente compresa.
I differenziali salariali tra gli Stati Uniti
e gli altri paesi sono giganteschi e non facilmente superabili.
Anche
altri differenziali dei costi di produzione contano, così come il valore
problematico del dollaro.
Il suo status di valuta di riserva mondiale
cementa la logica economica delle importazioni rispetto alle esportazioni.
Ci
sono altre questioni, tra cui qualcosa di più fondamentale: l'etica del lavoro
americana.
Questo è un problema culturale che emerge da
decenni di soldi facili e da una perdita di spinta imprenditoriale.
Un
breve aneddoto di ieri.
Mi
sono messo in fila al supermercato dietro una persona con un enorme cesto pieno
di generi alimentari ma erano disposti in modo strano.
Quando
li ha messi sul nastro per il checkout, ha iniziato a utilizzare i separatori,
non in base al tipo di prodotto ma su altre basi.
L'ho
osservata attentamente mentre metteva i sacchetti di carta in ogni pila.
Dopo che la prima tranche è andata a buon
fine, ha tirato fuori una carta e ha pagato.
Lei lo ripeté. Poi l'ho capito.
Stava facendo acquisti per “Instacart,” non
solo per una persona ma per ben cinque famiglie.
Ho
decodificato il suo processo.
Quando
è entrata nel negozio, aveva una lista enorme e mentre attraversava ogni
corridoio, aveva tirato fuori la spesa per ogni cliente, separandola
accuratamente e mantenendo quella separazione attraverso il checkout, il
pagamento, l'imbustamento e infine il trasporto.
La
possibilità di errori deve essere enorme in questo tipo di operazione.
Un errore e il cliente si lamenterebbe
sicuramente.
Ero un
po' sbalordito dall'impresa ingegneristica che si stava svolgendo davanti ai
miei occhi.
Ho chiesto cosa stesse succedendo e lei ha
detto che lo stava facendo, ma non ha detto molto di più.
Il suo inglese era stentato, quindi c'erano
difficoltà linguistiche.
Ancora più importante, era semplicemente
troppo occupata per chiacchierare con un tizio in piedi a chiedere un articolo.
Mentre
ci pensavo, la guardavo lavorare con un certo grado di stupore.
È
stato meraviglioso.
Sulla
base delle sue competenze linguistiche, è molto probabile che sia un'immigrata
recente, probabilmente senza un'istruzione "superiore" ma con alcune
abilità pazzesche.
Come
ha fatto a diventare così brava in questo?
La
ripetizione e il miglioramento che ne deriva.
È da lì che viene l'abilità. Perché lo
ripeteva così spesso?
Perché
doveva farlo per guadagnare soldi.
Il
bisogno crea la disciplina e la disciplina favorisce l'abilità.
Un
rapido esempio.
Supponiamo che tu porti a casa quattro
sgabelli da bar girevoli dal negozio di casa, ma devono essere assemblati.
Il
primo è un pasticcio con viti e confusione e potresti doverlo rifare una o
anche due volte, mentre ti destreggi tra le istruzioni.
È
terribile.
Il secondo è migliore. Quando arrivi al
quarto, stai assemblando lo sgabello in una frazione del tempo.
Potresti
pensare: "Wow, sono così bravo in questo che potrei fare un affare per
assemblare questi".
Ma è
solo un'abilità che ora possiedi.
Lo guadagni in un paio d'ore intense, ma ora
ce l'hai.
Questo è il modo in cui la concentrazione, la
disciplina, la motivazione, lo scopo e l'esperienza alimentano competenze e
valore sul posto di lavoro.
“Tim
Cook” di Apple ha chiarito che il vero motivo per cui gli iPhone e gli altri
prodotti Apple sono prodotti in Cina piuttosto che negli Stati Uniti non sono i
salari.
È abilità tecnica e precisione.
Questi prodotti richiedono estrema disciplina,
conoscenza e profonda esperienza. Il numero di lavoratori che possono farlo in
Cina è elevato; negli Stati Uniti è minuscolo.
Penso
a tutti i "colletti bianchi" che ho conosciuto che farebbero saltare
una guarnizione mentale se mai gli venisse chiesto di fare qualcosa di così
lontanamente complicato.
Dimentica
di assemblare un iPhone.
Non potevano fare la spesa per cinque famiglie
contemporaneamente, imbustare la spesa e consegnarla.
È
un'abilità che è fuori portata e sarebbero infastiditi dalla domanda.
Probabilmente si lamenterebbero con le risorse umane e preparerebbero una
causa.
Avrebbero incasinato il primo ordine, avuto a
che fare con clienti arrabbiati e un capo officioso, e avrebbero preso il
flacone della pillola o la soda al THC per far sparire il dolore.
A
questo punto della storia, non sono sicuro che la classe professionale negli
Stati Uniti sia all'altezza di questo tipo di produttività.
La
realtà tabù del periodo di lockdown è che la maggior parte delle persone si è
davvero goduta due anni di vita lussuosa e ha solo fatto finta di lavorare.
Quel
periodo ha anche distrutto la spinta di molti, rovinando un'intera generazione
di lavoratori d'élite a pensare che fare soldi sia facile e senza sforzo.
SIETE
DAVVERO PREPARATI PER QUELLO CHE STA ARRIVANDO?
Per 25
anni di tassi di interesse artificialmente bassi – in particolare dal 2008 – la
Fed ha coltivato la sensazione che l'intero sistema sia basato su una sorta di
illusione.
Certo,
alcune persone sono ricche e altre sono povere, ma la differenza non ha nulla a
che fare con il lavoro che fanno.
È tutta una questione di nascita, classe,
credenziali e fortuna dell'attrazione demografica.
Questa
è una percezione tragica, completamente incoerente con l'ethos tradizionale
americano del duro lavoro e della mobilità di classe.
Una
caratteristica dell'agenda di Trump è quella di riconquistare e ricostruire
quell'idea con un cambiamento nelle strutture economiche, compresa la
deregolamentazione e i tagli fiscali.
I dazi
fanno parte di questo, spinti sul presupposto che gli americani abbiano la roba
necessaria per fare di nuovo le cose.
Una
presunzione alla base di questa politica è che gli investitori, gli
imprenditori, i costruttori di imprese e i lavoratori americani si butteranno a
capofitto e faranno cose meravigliose, godendo della protezione che le tariffe
forniscono contro la concorrenza straniera.
Anche se ciò dovesse accadere, è un grande se,
gli americani sono davvero pronti ad andarci?
L'esternalizzazione
di così tanta produzione è andata avanti per la maggior parte degli ultimi 50
anni.
Le
azioni di questo acquirente di “Instacart”, impegnato in un enorme atto di
abilità manageriale, sottolineano il punto.
Per
generazioni, ci è stato detto che l'intelligenza e l'abilità sono distribuite
in modo sproporzionato nei livelli superiori della struttura di classe degli
Stati Uniti.
Personalmente,
non ci credo.
È più probabile il contrario: le persone che
lottano per vivere, facendo due o tre lavori per pagare le bollette, hanno più
competenze della maggior parte delle persone nel terzo superiore della
distribuzione del reddito che non hanno mai dovuto preoccuparsi di pagare le
bollette.
Parla
con qualsiasi persona seria in qualsiasi azienda di medie dimensioni oggi e ti
racconteranno delle loro lotte.
I regolamenti e le tasse sono fastidiosi, ma
sono i problemi quotidiani del lavoro che inibiscono davvero le loro operazioni
e il loro progresso.
È estremamente difficile trovare lavoratori
che facciano ciò che dovrebbero fare in modo tempestivo, con attenzione ai
dettagli e senza costanti mani e lodi.
Questo
declino dell'etica del lavoro americana risale in parte alle istituzioni
educative, ma anche al fatto che la maggior parte dei giovani nella metà più
alta dei percettori di reddito non ha mai lavorato un giorno nella loro vita
fino a quando non hanno guadagnato le loro credenziali.
Non
hanno idea di cosa significhi abbracciare un lavoro duro e perseverare fino a
quando non hanno finito.
Si risentono delle strutture autoritarie sul
posto di lavoro e tentano di ingannare il sistema nello stesso modo in cui
hanno giocato con la scuola per più di 16 anni.
Una
cosa è sviluppare competenze per la sopravvivenza in classe e una cosa
radicalmente diversa è avere competenze per un nuovo mondo della produzione.
Le
lezioni di negozio nelle scuole superiori sono per lo più scomparse (solo il 6%
degli studenti le frequenta contro il 20% negli anni '80) e due terzi degli
adolescenti evitano completamente il lavoro remunerativo, semplicemente perché
non è necessario.
Sono
passate generazioni da quando la maggior parte delle persone non conosceva
nulla della vita agricola, per non parlare della vita in fabbrica.
Trump
sta cercando di risolvere un problema vecchio di mezzo secolo in quattro anni.
Si
tratta di una sfida seria e non posso dire di essere ottimista.
Detto questo, ora ci sono opportunità reali
per persone come l'acquirente di cui ho parlato sopra, persone che lavorano
sodo, lavorano bene, si attengono al compito e sono grate per le loro
opportunità.
Purtroppo, questi tratti sfuggono in gran
parte ai laureati delle istituzioni educative più prestigiose della nostra
nazione.
CULTURA
FILOSOFIA.
«TEMPUS
FUGIT.»
Inchiostronero.it
- Redazione Inchiostro nero - (16-04 – 2025) - Il Simplicissimus – ci dice:
Dall’oblio
del presente eterno al ritorno del tempo: fragili come foglie, riscopriamo la
storia.
Tempus
fugit, il tempo fugge — ma per anni abbiamo vissuto come se non esistesse.
Sospesi nell’eterno presente del neoliberismo,
immersi in un flusso anestetizzato di merci, trend e appagamenti immediati,
abbiamo smarrito il senso della storia, della memoria, perfino del futuro.
In questo scenario, la poesia di Ungaretti
torna a parlarci con forza: “Si sta come d’autunno…”, non più solo i soldati in
trincea, ma noi tutti, foglie ingiallite in equilibrio precario, nell’attesa
della folata.
Questo
pezzo riflette sul ritorno del tempo come dimensione storica e umana, dopo
decenni di ibernazione culturale.
Un
invito a riaprire l’orizzonte, a riconoscere la fragilità e la profondità
dell’essere, fuori dal ciclo compulsivo del consumo e dell’oblio. (f.d.b.)
“Si sta come d’autunno…” Sì, tutti
stiamo come foglie ingiallite, precariamente attaccate all’albero in attesa
della folata che ci farà cadere ed è questa, forse, la ragione della fortuna
che ha avuto questa poesia fulminante nell’era della memoria da pesci rossi.
Lo possiamo percepire meglio ora che la storia e anche
le nostre stesse storie sono uscite dall’ibernazione neoliberista, dall’eterno
presente che esso ci propone, dall’assenza di memoria e dunque di futuro in cui
eravamo immersi come se la vita fosse strisciare carte di credito per ottenere
dosi di dopamina, inseguire tendenze che svaniscono da un giorno all’altro e
misurare le nostre vite in clip virali ed “esperienze” fugaci.
Tutto è stato travolto e macinato dentro
questo mulino dove futilità ed emergenze create ad arte hanno dato vita a un
flusso circolare e occluso, come certe perturbazioni che non se ne vogliono
andare.
Proprio
tutto, dalla letteratura alla politica:
il
tempo, con il suo faticoso lavorio e gli orizzonti sono stati messi da parte,
sono stati esclusi come parte fondamentale dell’equazione umana.
Si
capisce perciò che alcuni rifiutino di essere scongelati, ci stanno troppo bene
nelle loro vaschette da freezer, nelle loro piccole o grandi rendite di
posizione, nella loro tranquillità mentale e perciò arrivano a puntare su una
guerra infinita che, oltre a favorire speculazioni economiche e ogni tipo di
attentato a quel po’ di democrazia che resta, sia pure solo nelle forme,
sconfessi il significato storico dello scontro in Ucraina, ovvero la sconfitta
di un sistema.
Temono
che ciò riavvii la cognizione del tempo e la consapevolezza del passaggio a un
nuovo paradigma.
È lo
scontro fra i due terzi di umanità che guardano al futuro e un terzo che
ritiene di aver raggiunto l’unico futuro possibile.
E
tuttavia la precarietà, l’assenza di una visione temporale di lungo periodo è
quanto mai evidente proprio in questi giorni:
di
fronte a problemi epocali si procede di giorno in giorno come se fossimo
dipendenti dal momento, come se tutto fosse ridotto a un evento, dazi messi
oggi e tolti il giorno dopo, minacce all’Iran e poi colloqui, tregua a Gaza e
poi bombe, tamburi di guerra europei che poi si risolvono in nulla.
Questa
tattica che assume aspetti grotteschi con Trump è in realtà operante già da
decenni e riflette l’incapacità di andare oltre gli schemi già prefabbricati e
l’ideologia della fine della storia.
Abbiamo
barattato la dignità della pazienza per il caos del presente che non passa.
Questa non è solo una crisi finanziaria, una crisi umanitaria, una crisi
politica, una crisi militare, è in primo luogo una carestia mentale.
Abbiamo dimenticato come piantare semi che
impiegano decenni a crescere, anzi non sappiamo nemmeno cosa siano, abbiamo
dimenticato come costruire un mondo per bambini che non incontreremo mai:
il
culto della gratificazione istantanea ha assassinato ogni visione.
Scorriamo,
spendiamo, corriamo – e ci ritroviamo con portafogli vuoti, relazioni vuote e
nazioni che boccheggiano.
Ciò
che è importante è essere qualcosa come individui, anzi assolutizzare
l’individualità come se incarnassimo un Io fichtiano atomizzato, ma non essere
nulla come comunità perché questa ci limiterebbe.
Una
donna spagnola è stata condannata per aver detto che la Spagna è cristiana,
come se questo fosse un crimine di odio verso i non cristiani.
Il
resto del pianeta ride:
sarebbe
come condannare un abitante di Casablanca se dicesse che il Marocco è
mussulmano.
E ho
fatto un esempio di un Paese che ospita centinaia di migliaia di europei,
soprattutto pensionati che si sottraggono alla povertà con questa emigrazione
forzata verso posti dove la vita costa di meno.
La
maggior parte dei nostri antenati ha agito e vissuto per cose che non avrebbero
visto:
l’obolo
per cattedrali in cui solo i nipoti avrebbero messo piede, strade che solo i
figli avrebbero percorso, viaggi perigliosi per un futuro tutto da immaginare,
mentre noi siamo schiavi dell’immediato e perciò essenzialmente irresponsabili
e allo stesso tempo impolitici, visto che la politica è l’arte di agire nel
presente per preparare il futuro.
Certo
si vive solo una volta, ma questo non significa pensare che dopo di noi il
mondo non esisterà più o come correlato oggettivo che spesso si riscontra nei
più giovani, che non c’è stato nulla prima.
Da ragazzo scrissi un saggetto di qualche
pagina per inseguire le ragioni della poca fortuna che il grande romanzo ha
avuto in Italia e lo trovai nel limitato sentimento del tempo che si ha
paradossalmente in uno dei Paesi più ricchi di storia del mondo:
il grande romanzo ha bisogno di un ampio
respiro temporale, anche solo come scenario.
Non so
se avessi ragione, ma in ogni caso non avevo la più pallida idea di essere un
profeta.
Che
avrei visto il mondo a tre dimensioni in cui vivevo trasformarsi in una platea
dove solo la banalità del momento ha posto e dove si recita a soggetto senza
che i personaggi abbiano bisogno di un autore.
Ignari
che l’attimo può essere colto davvero solo se è circondato da esperienza e
speranze.
La
carbon tax marittima globale
scatena
il dibattito sulla libertà
economica
e l'ambizione climatica.
Naturalnews.com – (15/04/2025) - Willow Tohi –
ci dice:
L'IMO
ha introdotto una tassa sul carbonio sulle emissioni marittime, fissata a
100-380 per tonnellata per le navi che superano le soglie (introdotta
gradualmente entro il 2027).
Le
entrate (11-13 miliardi di dollari all'anno) finanzieranno la tecnologia di
spedizione verde e aiuteranno i paesi in via di sviluppo, anche se i critici le
definiscono insufficienti.
La
misura ha diviso le nazioni:
63 (UE, Cina, Sudafrica) l'hanno sostenuta; 16
(Arabia Saudita, Russia) si sono opposti; e 25 (isole del Pacifico, altre) si
sono astenuti, citando i deboli tagli alle emissioni e l'esclusione dai
negoziati.
Gli
stati vulnerabili hanno lamentato la sua inadeguata protezione del clima.
Gli
Stati Uniti hanno respinto la tassa come "ingiusta", avvertendo di
misure di ritorsione.
I critici hanno sostenuto che grava sulle
catene di approvvigionamento, aumenta i costi dei consumatori e invade la
sovranità nazionale, favorendo i mandati unilaterali rispetto a quelli
internazionali.
Alcune
ONG hanno elogiato la tassa come un progresso, ma hanno chiesto standard più
severi sui carburanti, mentre altre (ad esempio, Opportunity Green) l'hanno
definita una scappatoia "pay-to-pollute".
Gli
obiettivi di emissione dell'IMO sono inferiori agli obiettivi dell'Accordo di
Parigi (10% contro tagli del 30% entro il 2030).
La
tassa riflette la crescente azione per il clima, ma deve affrontare lo
scetticismo sull'efficacia e sull'impatto economico.
Con l'adozione definitiva nel 2025,
persisteranno le tensioni tra gli obiettivi di decarbonizzazione, i mercati
dell'energia e le catene di approvvigionamento globali.
L'”Organizzazione
marittima internazionale” (IMO) ha approvato la prima carbon tax globale al
mondo sulle emissioni marittime, suddividendo le nazioni lungo linee economiche
e climatiche.
La misura, che impone tariffe fino a 380
dollari per tonnellata di emissioni in eccesso, ha suscitato l'immediata
opposizione dell'amministrazione statunitense e l'esame dei critici che
sostengono che manchi di incisività.
Finalizzato
venerdì a Londra, l'accordo impone alle navi che superano le soglie di
emissione di pagare 100 per tonnellata metrica per le emissioni in eccesso
incrementali e 380 per le porzioni più intensive a partire dal 2027.
Le entrate, previste tra gli 11 e i 13
miliardi all'anno, sono destinate alle tecnologie di spedizione ecologiche e
all'aiuto ai paesi in via di sviluppo nella transizione verso combustibili a
basse emissioni di carbonio.
Tuttavia,
il patto esclude un uso più ampio dei finanziamenti per il clima, un
compromesso che ha sfidato le richieste delle nazioni insulari e di altri stati
vulnerabili.
Gli
Stati Uniti, assenti dai negoziati, hanno respinto l'accordo come
"palesemente ingiusto" e hanno minacciato misure di ritorsione contro
le tasse sulle navi americane.
"Questo
accordo grava ingiustamente sui cittadini e sulle imprese americane senza
affrontare la radice della sfida climatica", si legge in una lettera
dell'amministrazione Trump che delinea le potenziali contromisure.
Lo
stallo geopolitico riflette il cambiamento delle priorità energetiche.
Il
voto dell'IMO rifletteva forti divisioni.
Sessantatré nazioni, tra cui l'UE, la Cina e
il Sudafrica, hanno sostenuto la tassa, mentre 16 – guidate da esportatori di
petrolio come l'Arabia Saudita e la Russia – l'hanno respinta.
Venticinque
nazioni, compresi gli stati insulari del Pacifico, si sono astenuti, citando
tagli inadeguati alle emissioni e l'esclusione dai negoziati.
Il
ministro dei trasporti di Tuvalu, Simon Kofe, ha lamentato la
"debolezza" dell'accordo, sostenendo che non è riuscito a proteggere
le nazioni vulnerabili al clima dall'innalzamento dei mari e dalle tempeste.
Nel frattempo, il ministro delle Seychelles “Antony
Derjacques” ha criticato le nazioni più ricche per aver bloccato le proposte di
reindirizzare le entrate fiscali verso l'adattamento climatico, affermando:
"Come
possiamo chiedere al nostro popolo di accettare un accordo che ignora le loro
sofferenze?"
Eppure
i giganti globali dello shipping e le industrie cantieristiche erano cautamente
ottimisti.
Il compromesso negoziato dalla Norvegia ha
messo insieme meccanismi di scambio di imposte e crediti, con l'obiettivo di
bilanciare gli oneri dei costi.
Il segretario generale dell'IMO,” Arsenio
Dominguez”, ha definito il patto come un progresso, affermando:
"Questo
consenso riflette un percorso per modernizzare il trasporto marittimo
affrontando gli imperativi climatici".
I
sostenitori della libertà energetica mettono in guardia contro la soppressione
del mercato.
Gli
analisti conservatori e i sostenitori della libertà energetica hanno avvertito
che la tassa rischia di soffocare il commercio e di allocare male le risorse.
"Questo approccio dall'alto verso il
basso mette sotto pressione le aziende senza fornire benefici ambientali
misurabili", ha affermato l'analista politico “Mark Distler “dell'Energy
Independence Project.
"I
costi elevati graveranno sulle già fragili catene di approvvigionamento
globali, danneggiando i consumatori e arricchendo le autorità di
regolamentazione".
I
critici hanno sottolineato che la quota di emissioni del 3% del trasporto
marittimo lo rende una piccola fetta del totale globale.
"Perché gravare solo su questo settore
quando il carbone, il petrolio e altre industrie dominano le emissioni?",
si è chiesto” Distler”.
Altri
hanno notato che le soglie di riduzione graduale della tassa potrebbero
consentire di continuare a fare affidamento su combustibili fossili come il “GNL”,
che gli ambientalisti etichettano come "carburante ponte" con
benefici netti discutibili.
L'opposizione
statunitense sottolinea un più ampio scetticismo nei confronti dei mandati
internazionali.
"Le decisioni sulla regolamentazione
economica appartengono alle nazioni sovrane, non alle piccole burocrazie delle
Nazioni Unite", ha sostenuto la negoziatrice statunitense “Jessica Winslow”,
aggiungendo:
"La decarbonizzazione forzata danneggia i
lavoratori dei settori diesel e marittimo, per non parlare delle famiglie che
devono affrontare prezzi più elevati per i beni importati".
Gli
ambientalisti si dividono sulla sostenibilità dell'accordo "storico".
Gli
ambientalisti hanno offerto reazioni contrastanti.
“
Natacha Stamatiou” dell'”Environmental Defense Fund” ha elogiato la tassa come
punto di partenza, ma ha sollecitato standard più severi per i carburanti.
Nel
frattempo, “Opportunity Green”, con sede nel Regno Unito, lo ha definito
"un fallimento per i paesi vulnerabili al clima", sostenendo che i
livelli delle tariffe potrebbero consentire alle aziende di "pagare per
inquinare" piuttosto che innovare.
Il
legame dell'IMO con l'obiettivo di 1,5°C dell'Accordo di Parigi ha
ulteriormente agitato gli attivisti.
Una road map dell'IMO per il 2023 mirava a
ridurre le emissioni del 30% entro il 2030, ma gli obiettivi attuali
fornirebbero solo il 10%.
"Questa
tassa è un ostacolo, non un punto di svolta", ha detto l'inviato del
Pacifico” Albon Ishoda”.
Un
percorso diviso in avanti.
La
storica tassa sul carbonio segnala un'azione globale per il clima, ma la sua
efficacia rimane incerta.
(La
tassa sulla Co2 è una colossale truffa che tutti i “veri scienziati del clima”
la deridono. N.D.R.)
Per i
critici, rappresenta un eccesso in un'arena geopolitica già tesa dalla domanda
di energia.
Mentre il Segretario Generale “Dominguez” ha
sollecitato un dialogo più ampio, il passaggio degli Stati Uniti a misure
unilaterali suggerisce futuri attriti.
Con
l'adozione definitiva delle regole dell'IMO nell'ottobre 2025, la lotta per la
libertà economica contro l'ambizione climatica promette di intensificarsi,
dagli hub di spedizione a Singapore ai corridoi della catena di
approvvigionamento in Ohio.
Per ora, i mari, come la politica, rimangono
turbolenti.
(YourNews.com
- EnviroNewNigeria.com - APNews.com).
Quindi,
se Elon Musk comprasse Planned
Parenthood,
i democratici brucerebbero
tutte
le cliniche abortive?
Naturalnews.com – (15/04/2025) - S.D. Wells – ci dice: .
Cospirazione
per i vaccini e l'autismo – Si sostiene che il programma di vaccinazione
ampliato del CDC causi l'autismo (ora 1 bambino su 50), con accuse che Big
Pharma e le agenzie governative sopprimono la verità.
RFK Jr. ha promesso di denunciarlo presto.
Planned
Parenthood come strumento eugenetico – L'organizzazione è accusata di prendere
di mira le comunità nere attraverso l'aborto e di fungere da "macchina del
genocidio" nell'ambito di un'agenda di spopolamento.
I democratici sostengono l'infanticidio mentre
coprono il ruolo di Planned Parenthood nella pulizia etnica.
Elon
Musk compra Planned Parenthood?
Uno scenario ipotetico suggerisce che Musk potrebbe
smascherare l'ipocrisia:
se
acquisisse l'organizzazione, la sinistra potrebbe protestare violentemente
(come con i concessionari di veicoli elettrici), rivelando la loro vera agenda.
Prossima
strategia per combattere lo spopolamento.
La
soluzione proposta è la chiusura sia dei mandati vaccinali che di Planned
Parenthood per "sradicare i vettori di spopolamento", con le prossime
rivelazioni di RFK Jr. come passo chiave.
La
maggior parte degli americani non ha idea che i vaccini e Planned Parenthood
siano vettori primari per il controllo della popolazione e le macchine del
genocidio di "pulizia etnica".
I
vaccini causano l'autismo, che distrugge la vita dei bambini che probabilmente
non metteranno mai su una famiglia propria e che avranno bisogno di costose
cure croniche per tutta la vita.
Anche
l'ex capo del CDC, il famoso scienziato Dr. William Thompson, ha denunciato i
vaccini MMR che contribuiscono all'autismo, specialmente tra i giovani ragazzi
neri di età inferiore ai tre anni.
Tutto
questo è stato coperto dalla FDA e dal CDC.
Inoltre, Planned Parenthood, se l'avete
notato, ha centri principalmente nelle città metropolitane degli Stati Uniti
dove ci sono prevalentemente demografie nere in modo che le donne nere vi
entrino e abortiscano.
Capito?
Quindi,
dal momento che i democratici sostengono il comunismo in America, e tutti
soffrono della sindrome da squilibrio di Trump, sarebbero così pazzi da
bruciare tutti i centri di Planned Parenthood se Elon Musk li comprasse, come
stanno facendo con i centri di vendita di veicoli elettrici ora, anche se
affermano di essere "all in" per salvare la terra dal riscaldamento
globale causato dai veicoli a gas?
Finora,
Trump e Musk hanno completamente superato in astuzia la folle sinistra e
l'hanno aiutata ad alimentare la propria scomparsa e caduta.
È tempo di sradicare tutti i vettori dello
spopolamento, compresi i vaccini e Planned Parenthood.
Qual è
la prossima strategia per raggiungere questo obiettivo?
RFK
Jr. dice al presidente Trump che il mondo conoscerà la causa della massiccia
esplosione dell'autismo entro settembre.
Il
mondo sembra non sapere cosa causa l'autismo.
La
medicina occidentale finge di non avere idea che i vaccini siano i principali
colpevoli, quando le neurotossine e gli agenti cancerogeni noti vengono
iniettati nei neonati e mandano il loro sistema nervoso centrale in una spirale
discendente, il loro sistema immunitario in uno shock massiccio e depositano
veleni di metalli pesanti nel loro piccolo cervello in via di sviluppo Oh, cosa potrebbe essere? Non deve
essere così.
I vaccini sono sempre sicuri al 95% ed
efficaci al 95%, giusto?
Beh,
se è così, l'altro 5% si ammala di autismo, Covid e SIDS, perché a partire da
ora, 1 bambino su 50 a cui vengono iniettati questi vaccini mortali è mutilato
per la vita o morto.
Per
fortuna, Robert F. Kennedy Jr. lo sa.
Sta promettendo a Trump che svelerà la verità
sui vaccini sporchi e lo farà sapere al mondo, ma sa che deve avere le prove
supportate dalla scienza per dimostrarlo, e fino ad ora, il Complesso
Industriale dei Vaccini ha seppellito tali verità e ricerche.
Censurato
tutto.
L'ha
definito "anti-scienza" e "anti-vax" per denunciare questi
pericoli del programma di vaccinazione infantile raccomandato dal CDC.
Forse
Elon Musk dovrebbe comprare tutti i centri di Planned Parenthood in modo che i
Democratici li bombardino, e poi potrebbe chiuderli tutti, dal momento che in
realtà non si tratta di aiutare nessuno a pianificare la genitorialità, ma al contrario si tratta di
sterminare i bambini nel grembo materno prima che abbiano una possibilità di
vita.
Poi,
se questo non funziona, la polizia Vax arriva e inietta ai sopravvissuti 70 vaccini
mortali nei loro primi anni di vita in modo che non possano mai condurre una
vita normale e sana con abbastanza intelligenza da avere pensieri indipendenti e
critici che li aiutino a votare per i propri diritti di libertà medica e
sanitaria.
(Pandemia.notizie
- NaturalNews.com)
(Vaccines.news
ai tuoi siti Web indipendenti preferiti per aggiornamenti su vaccini sporchi
come l'MMR e l'mRNA che causano l'autismo e la sindrome Long-Vax.).
Il
gigante degli hedge fund avverte
della
crisi finanziaria globale tra le
turbolenze tariffarie statunitensi
e i rischi del debito.
Naturalnews.com – (16/04/2025) - Willow Tohi –
ci dice:
“Ray
Dalio”, fondatore di” Bridgewater Associates”, avverte che gli Stati Uniti si
stanno avvicinando a un collasso economico di gran lunga peggiore di una tipica
recessione a causa di tariffe aggressive, debito record, divisioni politiche e
tensioni geopolitiche, potenzialmente superiore alla crisi del 2008.
“Dalio”
paragona la situazione attuale alle turbolenze economiche degli anni '30 e '70,
evidenziando come le tariffe protezionistiche, l'aumento del debito e le
mutevoli dinamiche di potere globali (in particolare le tensioni tra Stati
Uniti e Cina) abbiano storicamente portato a crisi come la Grande Depressione e
il crollo monetario del 1971.
I dazi
di Trump, che vanno dal 10% al 145%, stanno sconvolgendo il commercio globale,
mettendo a dura prova le industrie (semiconduttori, auto, tecnologia) e
intensificando i conflitti con alleati e rivali come la Cina.
Dalio paragona questo a "lanciare sassi
nel sistema di produzione", rischiando il collasso della catena di
approvvigionamento.
Il
debito federale degli Stati Uniti che supera i 36 trilioni di dollari minaccia
la stabilità fiscale.
“Dalio”
sostiene che i deficit incontrollati potrebbero innescare un "ciclo di
deflazione del debito", in cui il calo dei prezzi degli asset peggiora le
recessioni economiche.
Goldman
Sachs aumenta le probabilità di recessione al 45% entro un anno a causa dei
dazi e dell'erosione della fiducia.
“Dalio”
esorta il Congresso a contenere i deficit, stabilizzare le politiche tariffarie
e riformare la strategia monetaria.
Tuttavia,
lo stallo politico e le politiche commerciali incoerenti della Casa Bianca
minano le soluzioni. Senza un'azione rapida, gli Stati Uniti rischiano un
collasso sistemico simile a disastri economici storici.
L'investitore
miliardario “Ray Dalio”, fondatore di Bridgewater Associates, ha lanciato
l'allarme sul fatto che gli Stati Uniti siano sull'orlo di un collasso
economico di gran lunga peggiore di una tipica recessione.
In un'apparizione a “Meet the Press “della NBC
il 13 aprile 2025, Dalio ha avvertito che le politiche tariffarie aggressive
del presidente Donald Trump, insieme al debito federale record, all'escalation
delle tensioni geopolitiche e alle divisioni politiche interne, potrebbero
innescare un collasso sistemico dell'ordine finanziario globale.
Facendo
eco ai parallelismi con gli anni '30 e '70, Dalio ha sottolineato la fragilità
del ruolo del dollaro USA come valuta di riserva globale e ha avvertito che
senza un'azione rapida e strategica, il paese si trova ad affrontare una crisi
più profonda del crollo finanziario del 2008.
Precedenti
storici e rischi attuali.
Gli
avvertimenti di Dalio hanno fatto paragoni diretti con momenti cruciali della
storia economica, tra cui la Grande Depressione e lo shock di Nixon del 1971.
Ha sottolineato come le tariffe
protezionistiche, il debito espansivo e le rivalità geopolitiche negli anni '30
abbiano alimentato le turbolenze economiche, scrivendo:
"Questi
tempi sono molto simili agli anni '30. Se si prendono i dazi, il debito, una
potenza in ascesa che sfida la potenza esistente, questi cambiamenti negli
ordini sono molto, molto dirompenti".
La
crisi attuale, ha detto, dipende dall'uso "dirompente" dei dazi da
parte del presidente Trump come arma commerciale.
La Casa Bianca ha imposto una tariffa di base
del 10% su tutte le importazioni e ha imposto dazi "reciproci" fino
al 50% su dozzine di paesi, compresi alleati come l'UE e il Canada.
La Cina, bersagliata con i tassi più alti
(145% sulle importazioni), ha reagito con le proprie sanzioni, destabilizzando
le catene di approvvigionamento globali.
Turbolenze
tariffarie e ricadute geopolitiche.
Dalio
ha descritto la strategia tariffaria di Trump come simile a "lanciare
pietre nel sistema produttivo", avvertendo che le misure hanno già
iniziato a soffocare l'efficienza del commercio globale.
I
settori dei semiconduttori, dell’automotive e della tecnologia devono ora
affrontare costi di input elevati, mentre a settori come smartphone e pannelli
solari sono state concesse esenzioni di breve durata, per poi affrontare una
nuova incertezza quando il segretario al Commercio” Howard Lutnick” ha
avvertito che le tariffe potrebbero tornare in due mesi.
Dal
punto di vista geopolitico, le politiche hanno approfondito le fratture tra gli
Stati Uniti e i loro partner commerciali.
Dalio
ha osservato che, storicamente, tali cambiamenti nelle dinamiche di potere
globale – dal declino della Gran Bretagna all'ascesa della Cina – hanno spesso
preceduto guerre o collasso valutario.
"L'escalation del conflitto potrebbe
essere come il collasso del sistema monetario nel 1971", ha detto,
riferendosi alla brusca fine del gold standard da parte di Nixon e al caos
inflazionistico che ne è seguito.
La
crisi del debito incombe sulla politica fiscale degli Stati Uniti.
Al
centro delle preoccupazioni di Dalio c'è il debito federale degli Stati Uniti,
che ora supera i 36 trilioni di dollari.
Sostiene
che questo livello di indebitamento, guidato dai pacchetti di stimolo e dalla
spesa fiscale, metterà a dura prova la capacità del governo di stabilizzare i
mercati durante una recessione.
"Se
non riduciamo il deficit di bilancio al 3% del PIL, ci troveremo di fronte a un
problema di domanda e offerta per il debito", ha detto Dalio, esortando il
Congresso a impegnarsi nella disciplina fiscale.
La
recente valutazione di Goldman Sachs sottolinea le sue preoccupazioni, elevando
il rischio di recessione negli Stati Uniti al 45% entro 12 mesi a causa
dell'inflazione guidata dai dazi e dell'erosione della fiducia dei consumatori.
Gli analisti avvertono che una recessione
potrebbe trasformarsi in un "ciclo di deflazione del debito", in cui
il calo dei prezzi degli asset costringe a liquidazioni di massa, soffocando
ulteriormente l'attività economica.
Richieste
di azione del Congresso.
Dalio
ha proposto una soluzione su più fronti: contenere il deficit di bilancio,
negoziare i dazi "in modo stabile" e ripensare la politica monetaria.
Ha
sottolineato che il tempo stringe:
"Il
modo in cui questi fattori vengono gestiti ora potrebbe produrre qualcosa di
peggio di una recessione, o potrebbe essere gestito bene".
Tuttavia,
lo stallo politico e i messaggi incoerenti della Casa Bianca sui dazi
complicano il percorso da seguire.
Mentre
il team di Trump insiste sul fatto che i dazi sono strumenti per
"ri-localizzare" la produzione, le modifiche alle esenzioni e ai dazi
hanno spaventato gli investitori.
"La
mancanza di chiarezza è stata dannosa", ha detto” Felix Stellmaszek “del “Boston
Consulting Group”, osservando che le aziende ora presumono attriti commerciali
prolungati.
Crollo
imminente?
Gli
avvertimenti di Dalio sottolineano un crescente consenso tra gli economisti:
le
politiche statunitensi stanno spingendo l'economia verso un bivio.
Senza
una gestione fiscale disciplinata e negoziati commerciali strategici, i rischi
di una recessione prolungata o, peggio, di un collasso monetario, aumentano.
Gli
echi della storia – dai dazi “Smoot-Hawley” allo shock economico di Nixon –
servono come cupi promemoria dei pericoli di sottovalutare la fragilità
sistemica.
Per
ora, il mondo sta a guardare per vedere se i politici sceglieranno la stabilità
piuttosto che la convenienza, o se l'economia statunitense cadrà negli abissi
previsti da Dalio.
Mentre
i mercati inciampano e la fiducia nel dollaro vacilla, il costo dell'inazione
potrebbe essere la prossima grande resa dei conti economica della civiltà.
(RT.com
-- Independent.co.uk -- Fiance.yahoo.com).
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