La rivoluzione contro le macchine AI.

 

La rivoluzione contro le macchine AI.

 

 

 

I robot umanoidi entreranno

presto nelle nostre case.

Linkiesta.it - Danilo Broggi – (12 aprile 2025) – ci dice:

 

Le aziende automobilistiche e i colossi dell’IA si stanno alleando per costruire macchine capaci di percepire, decidere e agire come esseri umani.

Si chiama sovrapposizione tecnologica, ed è quanto sta succedendo nel mondo dell’innovazione, in particolare nella robotica.

 Grandi sistemi di «Linguaggio naturale» (Nlp) sempre più potenti, sensori ottici di incredibile capacità, batterie di ultima generazione, micro-elettromeccanica ancor più sofisticata, microchip super performanti, algoritmi di auto-apprendimento maggiormente potenziati e altre diavolerie tecnologiche stanno dando vita alla «rivoluzione robotica», la prossima rivoluzione industriale che, così come oggi, non possiamo fare a meno dello smartphone – che nel 1990 non esisteva – domani o al massimo dopodomani non potremo più vivere senza l’ausilio dei robot umanoidi cognitivi.

Non è un caso che le industrie automobilistiche (le prime a utilizzare forme di automazione nelle loro industrie e ad attraversare la sovrapposizione tecnologica soprattutto per risolvere le difficili tematiche dei sistemi driver-less), stanno collaborando con altre aziende high-tech per costruire robot umanoidi che potranno svolgere compiti sempre più vicini ai bisogni delle persone (domestici, infermieri, poliziotti di quartiere, badanti, ecc.).

BMW, Mercedes-Benz, Tesla, Toyota, Hyundai, Honda o le cinesi Xiaomi, BYD e Xiaopeng Motors, solo per citarne alcune, hanno investito comprando o facendo partnership con aziende di robotica.

Le tecnologie avanzate per la percezione e l’interazione ambientale (sistemi Lidar e di visione di profondità 3D), la sensoristica e gli algoritmi per guidare i movimenti delle auto senza autista, vengono ora riutilizzate per il funzionamento dei robot.

 

Il robot “Iron di Xiaopeng” utilizza gli stessi algoritmi di pianificazione del percorso e di riconoscimento degli oggetti dei suoi veicoli elettrici, consentendo una navigazione precisa negli ambienti di una fabbrica.

Così come la tecnologia delle batterie di alimentazione e sistemi di ricarica.

 Ma il salto in avanti lo hanno fatto i produttori di microchip, e i creatori di Intelligenza Artificiale.

Come “Gemini Robotics” (Google), che fonde la potenza dei grandi modelli linguistici con il ragionamento spaziale, o come “Figure”, startup americana specializzata nello sviluppo di robot umanoidi fondata solo tre anni fa e valutata, al momento, 2,6 miliardi di dollari con finanziatori del calibro di “Jeff Bezos”, “Microsoft”, “Nvidia e OpenAI”, che ha presentato” “Helix, un modello generalista di “Visione-Linguaggio-Azione” (Vla) che permette ai robot di unificare ciò che sentono, vedono e fanno.

O come la stessa Nvidia, il colosso dei microchip che ha recentemente presentato “GR00T N1”, un «modello di fondazione mondiale» in grado di facilitare l’apprendimento automatico dei robot umanoidi che ha imparato da venti milioni di ore di video, come guardare YouTube senza sosta «da quando Roma era in guerra con Cartagine».

La stessa Nvidia, lo scorso ottobre, ha dichiarato che la prossima ondata di intelligenza artificiale sarà l’”IA fisica”, una svolta destinata a ridefinire il modo in cui i robot imparano.

 

Due tendenze stanno convergendo da direzioni opposte: le aziende di robotica stanno sempre più sfruttando l’IA e i giganti dell’IA stanno ora costruendo robot.

OpenAI, dopo aver chiuso il settore di robotica nel 2021, si è rimessa in moto da qualche mese portando importanti manager al suo interno, come” Caitlin Kalinowski” (ex Meta e Apple), che lo scorso gennaio è entrata a far parte di “OpenAI” per guidare lo sviluppo di robot umanoidi.

 «Nel mio nuovo ruolo, inizialmente mi concentrerò sul lavoro di robotica e sulle partnership di OpenAI per aiutare a portare l’IA nel mondo fisico e sbloccarne i benefici per l’umanità», ha scritto “Kalinowski” in un suo post.

 

L’addestramento dei robot umanoidi è il punto su cui si concentra l’attenzione di tante industrie mondiali e questo spiega la presenza e gli investimenti delle grandi aziende di “AI”.

Addestramento che, grazie ai grandi sistemi di apprendimento (Very Large-scale AI) e ad algoritmi sofisticati per l’apprendimento auto-supervisionato (SSL), sta imprimendo all’industria robotica un decisivo balzo in avanti.

 

Secondo l”’International Federation of Robotics” (Ifr), che ogni anno si occupa di realizzare un “World Robotics Report”, nel prossimo futuro la domanda di robot sarà spinta da diversi fattori, un potente mix composto da innovazioni tecnologiche, da una serie di dinamiche di mercato e dall’ampliamento dei campi di applicazione.

“Morgan Stanley”, nel suo rapporto “Humanoids: Investment Implications of Embodied AI” dello scorso giugno, stima che il numero di robot umanoidi statunitensi potrebbe raggiungere i sessantatré milioni di unità entro il 2050.

 

La Cina non sta a guardare.

 Secondo le statistiche dell’”Industrial Research Institute” di Shenzhen, a giugno 2024 c’erano circa 160 produttori di robot umanoidi in tutto il mondo, di cui più di sessanta in Cina, più di trenta negli Stati Uniti e circa 40 in Europa.

 

Secondo “Morgan Stanley”, sostanziosi sussidi governativi e il controllo del sessantatré per cento delle aziende chiave nella catena di approvvigionamento globale per i componenti umanoidi-robot – in particolare nelle parti dell’attuatore e nella lavorazione delle terre rare – consente ai produttori cinesi di produrre robot umanoidi a prezzi inferiori rispetto ai concorrenti internazionali (la variante dazi vedremo cosa porterà).

Pechino sta sponsorizzando il settore, al punto di organizzare la prima (mezza) maratona per robot umanoidi (venti iscritti al momento) che si terrà da qui a poco, il 13 aprile.

Ma anche nel vecchio continente si moltiplicano gli sforzi, e non solo quelli delle case automobilistiche.

“Neura Robotics”, azienda tedesca specializzata in robotica umanoide e cognitiva, che in collaborazione con “Nvidia” ha realizzato il suo robot umanoide “NEURA-4NE-1”, è dotato di tecnologia cognitiva proprietaria che gli consente di «comprendere» il comportamento umano e interagire con le persone.

 O come “ROBE”E, il primo – e finora unico – robot umanoide cognitivo certificato italiano, progettato per uso industriale, in particolare in compiti pericolosi, rendendolo un prodotto di riferimento per l’”Industria 5.0”.

 

Secondo i professori “Angelo Cangelosi” (docente di Machine Learning e Robotica all’Università di Manchester e co-direttore del Manchester Centre for Robotics and AI) e Minoru Asada (professore di Adaptive Machine Systems all’Università di Osaka) e autori del libro “Cognitive Robotics” (maggio 2022), questo campo combina intuizioni e metodi dell’intelligenza artificiale (AI), della scienza cognitiva e della biologia con la robotica.

È un nuovo approccio alla costruzione di robot intelligenti, traendo ispirazione da come i sistemi cognitivi naturali – degli esseri umani, degli animali e nei sistemi biologici – sviluppano l’intelligenza.

 L’approccio sfrutta le intricate interazioni tra corpo, cervello, ambiente fisico e ambiente sociale.

 Obiettivo della robotica cognitiva è creare robot in grado di percepire, ragionare e agire in modi che imiti da vicino l’intelligenza umana e animale.

Sovrapposizione e interazione di diversi ambiti di competenza e tecnologie avanzate che, unite e sapientemente combinate, generano ulteriori e assai veloci passi in avanti nell’innovazione tecnologica.

“Werner Heisenberg”, premio Nobel per la Fisica nel 1932 per la creazione della meccanica quantistica, aveva ragione:

 «La scienza è radicata nella conversazione». E non solo la scienza, aggiungerei.

 

 

 

 

I nuovi luddisti, che si scagliano

contro l’uso dell’Intelligenza Artificiale.

Domusweb.it – (3-5-2024) - Fabrizio Urettini e Francesco Magnocavallo – ci dicono:

 

La tensione culturale fra uomo e macchina nell’era della AI è un dato di fatto.

 Ma forse c’è una soluzione, attraverso la riscoperta di un’identità critica che ripesca nel passato tra “Arts and crafts” e “Frank Lloyd Wright”.

 

Recentemente, “Mit. Technology Review”, prima delle riviste tecnologiche americane nata al prestigioso ateneo di Cambridge, ha pubblicato una” graphic novel” sul Luddismo.

 Intitolata Cosa possono insegnarci i Luddisti sulla resistenza al nostro futuro automatizzato, la storia ripercorre due secoli di innovazione industriale, vista nel lato oscuro dell’impatto sulla diseguaglianza sociale.

In primis sulla classe operaia e poi sulle tante minoranze intersezionali che pagano già oggi un costo più alto del normale per l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Donne, piccoli gruppi linguistici, persone non eurocentriche e bianche.

 Il riferimento dell’oggi è chiaro: il mondo dominato dall’Intelligenza Artificiale.

 

 Il Luddismo rappresenta oggi la ricerca di un'identità romantica, alternativa al razionalismo quantitativo tipico dell'ambiente digitale.

Per quanto divulgato con una narrazione spesso favolistica e dolcificata, il cortocircuito culturale provocato dalla AI è diventato pressante e ineludibile. Proviamo a capire perché la più importante rivista al mondo di tecnologia, edita dall'istituzione simbolo per eccellenza della rivoluzione industriale americana, sposa la rivolta romantica e folk dell'eroe bandito “Ned Lud”.

 

Cosa possono insegnarci i Luddisti sulla resistenza al nostro futuro automatizzato, “Mite Technology Review”

Il Rinascimento del Luddismo: una rivisitazione americana.

I Luddisti, operai della prima rivoluzione industriale inglese, formavano un’organizzazione clandestina di resistenza all’automazione industriale, spesso con forme di violenza materiale e simbolica contro macchine e padroni.

Negli Stati Uniti, si parla di Luddismo contro la rivoluzione digitale fin dal 1984, quando il grande scrittore postmoderno “Thomas Pynchon” si chiedeva sul “New York Times” se fosse corretto sposarne la causa, davanti all'esplosione del personal computing.

Di recente, se ne parla di nuovo per il volume del giornalista tecnologico “Brian Merchant Blood” in “the Machine”, che esplora le origini della ribellione antitecnologica emersa nella coscienza collettiva a cavallo della pandemia.

 Il Luddismo rappresenta oggi la ricerca di un'identità romantica, alternativa al razionalismo quantitativo tipico dell'ambiente digitale.

 Ma il termine, in questa nuova accezione, si è caricato di una connotazione dispregiativa e di una polarizzazione tipica delle culture war americane.

 

Luddista è chi si permette di criticare il capitalismo ultratecnologico, o viceversa chi ne è orgoglioso e aspira a una vita meno numerica e più autentica.

 Nel 1829, il filosofo e storico “Carlyle “aveva già definito questo dualismo fondamentale:

“L’uomo sta diventando sempre più meccanico nella testa e nel cuore, così come nella manualità”.

 

(Brian Merchant, Blood in the Machine: “The Origins of the Rebellion Against Big Tech”),

Critiche al capitalismo tecnologico:

il Luddismo come controcultura.

La ribellione luddista andava di pari passo con la maturazione di una coscienza di classe del nuovo operaio.

 Anche in questo senso, il ripescaggio dell'idea Luddista è molto attuale negli Stati Uniti di oggi, dove le associazioni sindacali nel digitale sono un fenomeno attuale in grande crescita.

Negli anni scorsi lo scrittore americano “Richard Conniff”, sullo “Smithsonian Magazine”, si chiedeva:

È ancora possibile un Luddismo oggi?”

La titolarità dei mezzi di produzione, obiettivo dei Luddisti, sarà accessibile grazie a sistemi di intelligenza artificiale open source o la concentrazione industriale lo impedirà?

 

Come tanti altri aspetti cruciali del cambiamento portato dalla AI, non possiamo indovinarlo con precisione oggi.

Instabilità e disordini sociali sono uno dei fenomeni preventivati da chi si occupa di scenari sociopolitici.

Altrettanto vero che la resistenza allo strapotere algoritmico potrebbe assumere logiche organizzative più da rave party che da partito.

 Gli attacchi recenti ai robot da strada somigliano alle forme di sabotaggio mediatico viste sul web nei primi anni 2000.

 

Il futuro del lavoro e la resistenza al dominio algoritmico.

Assisteremo invece a un “quiet quitting” diffuso, con forme di astensionismo digitale più passivo e non conflittuale?

 O ancora a un ritorno all'analogico artigianale?

Quest'ultima possibilità ci porterebbe ad ampliare i riferimenti con il movimento inglese dello “Arts and Crafts” di William Morris.

 Di questo è interessante rielaborare l'integrazione di estetica, tecnica produttiva e riforma sociale: “Arts and Crafts” significava anche recuperare un'organizzazione sostanzialmente più umana.

 

“William Morris”.

Identità nuove ci serviranno tanto in questi prossimi anni di cambiamento, per poter contestualizzare la “AI” ed evitare di ripetere approcci che la storia ha già dimostrato limitati o fallimentari.

Così come una maggiore consapevolezza dell'aspetto sociotecnico della AI:

 quando cambia il lavoro, come cambia il prodotto e cosa cambia per chi esegue materialmente il lavoro?

E quali sono gli effetti collaterali sul sistema sociale allargato, oggi normati dal recente” AI Act” europeo?

 

Dal “Werkbund” al design moderno: tra innovazione e umanesimo.

È proprio da una chiave di lettura europea ci sembra di poter allargare il dibattito americano sul Luddismo, per elaborare scenari e analisi critiche necessari ad affrontare il profondo cambiamento di oggi.

Basti pensare alle identità della disconnessione, del Luddismo come rifiuto dell’intermediazione algoritmica, del fatto a mano come valore di autenticità. Tutto molto coerente con la filosofia del movimento inglese “Arts and Crafts” di fine Ottocento, con una rivalutazione idealizzata dell’artigianato che arrivava fino ai riferimenti medievali.

“ Wright” vedeva nella tecnologia un vero fattore abilitante della democrazia, in una luce che oggi definiremmo “tecno-utopistica” perché priva di qualsiasi giudizio sulla diseguaglianza.

Negli Stati Uniti,” Frank Lloyd Wright” riprendeva dallo “Arts and Crafts” l'etica della riforma sociale, che il design stesso contribuiva a rendere concreta.

Ma il superamento degli inglesi stava, da un lato, nel rappresentare la Natura come una forza vitale primigenia, capace di dare stabilità all'uomo in un mondo sempre più complesso e tecnologico.

Dall’altro, nell’idea che solo la fusione di Arte e Scienza avrebbe permesso all'umanità di raccogliere gli immensi frutti del progresso industriale.

La sua celebre conferenza “The Art and Craft of the Machine”, tenuta proprio alla “Arts and Crafts Society “di Chicago nel 1901, conteneva un passaggio spietato nella sua sintesi:

“L'eco è sempre un fenomeno decadente.”

Il puro e semplice ritorno all'artigianato non poteva che essere qualcosa di retrogrado e sterile, finendo per avere addirittura un effetto elitario sui consumi.

(“Frank Lloyd Wright”, Robie House, 1909.)

“Wright” vedeva nella tecnologia un vero fattore abilitante della democrazia, in una luce che oggi definiremmo “tecno-utopistica” perché priva di qualsiasi giudizio sulla diseguaglianza insita nell’automazione e sui tanti lati oscuri che una divulgazione giornalistica un po’ superficiale tende a non tenere come temi chiavi per l’intervento pubblico di sistema.

Se Frank Lloyd Wright superava così il dogma Arts and Crafts, nel suo tentativo di far lavorare insieme artisti e industriali, allora forse possiamo riportare la sua esperienza in Europa con un riferimento al” Deutscher Werkbund”.

Nato come associazione tra designer e produttori, il movimento fu il tentativo della Germania di inizio secolo di creare un sistema di pensiero capace di fare arte con il prodotto industriale, per competere con le realtà industriali dei paesi di lingua inglese.

Se il creatore, come oggi, rischiava l’esclusione dal sistema produttivo, allora la risposta non stava in un movimento di protesta ma nel reintegrare una connessione forte tra umanista e tecnologo, riportando il pensiero creativo dentro all’impresa e ai suoi nuovi processi produttivi.

Una risposta più integrata e funzionale all'industrializzazione è davvero utile, se la tecnologia ci richiede di ripensare la direzione creativa del progetto, cogliendo gli aspetti positivi della macchina senza perdere quelli necessari dell'essere umano. Qui era nata in sostanza la figura dell’industrial designer come la conosciamo oggi, ovvero come rafforzamento della cultura del design capace di dare evidenza ai nuovi problemi del progetto mantenendo allo stesso tempo un senso di unità rispetto alle forti contraddizioni del Ventesimo Secolo.

Un'identità pragmatica e creativa, priva dei tratti di pessimismo, fuga “rétro”, disimpegno e proiezione che rischiano di portarci a subire passivamente il prossimo passaggio al capitalismo esponenziale.

 

 

 

Siena Trasformata in un Campo

di Battaglia da Orde di

Extracomunitari Violenti.

Conoscenzealconfine.it – (17 Aprile 2025) – Giovanni832 – La Verità rende liberi – ci dice:

 

A Siena dopo i sanguinosi scontri di Via Pianigiani, un nuovo episodio ha sconvolto la tranquillità di Piazza delle Poste.

Un gruppo di giovani senesi è stato perfino inseguito da questi delinquenti armati di machete, pronti a fare una strage.

È questa l’Italia che vogliamo?

Una nazione dove gli immigrati importano violenza e paura, mentre i cittadini sono lasciati soli a difendersi da un’invasione che ci sta distruggendo?

I fatti parlano chiaro e fanno gelare il sangue.

 Una rissa violentissima ha coinvolto un centinaio di giovani stranieri in Piazza delle Poste, una delle zone più amate e frequentate di Siena.

Bastoni, coltelli, spranghe:

sembrava di essere tornati al Far West, con feriti sparsi a terra, ambulanze che correvano a sirene spiegate e passanti terrorizzati che cercavano riparo.

Le forze dell’ordine sono intervenute rapidamente, ma non è bastato a fermare il caos.

Molti dei violenti sono sfuggiti e si sono diretti verso la Fortezza, pronti a continuare la loro guerra.

E qui la situazione è degenerata ulteriormente.

 

Alcuni coraggiosi ragazzi senesi, spinti dall’amore per la loro città ma forse anche da un pizzico di incoscienza, hanno deciso di seguire i fuggitivi per documentare il disastro e aiutare la polizia.

 La loro testimonianza è agghiacciante:

“C’erano almeno 20 persone armate di machete, chiavi inglesi e bastoni, tutti tirati fuori dai cespugli circostanti.

Abbiamo chiamato le forze dell’ordine e, mentre le aspettavamo, ci siamo divisi per scattare qualche foto da mandargli.

Proprio in quel momento, uno di loro ha iniziato a inseguirci con un machete in mano! “

Un machete, in pieno centro a Siena!

 È un’immagine che fa rabbrividire, un incubo che non avremmo mai pensato di vedere nella nostra città, simbolo di eleganza e tradizione. (voxnews.org/2025/04/13/siena-extracomunitari-armati-di-machete-e-bastoni-inseguono-italiani-per-sgozzarli/).

Quanto accaduto a Siena — città-simbolo dell’eredità culturale europea, della cristianità artistica e della civiltà comunale — non è un caso isolato, né un semplice episodio di cronaca nera.

 È la manifestazione violenta di una strategia lucida e sistematica: la distruzione del corpo vivo della nazione attraverso l’invasione demografica mascherata da accoglienza.

 Non si tratta di immigrazione, ma di una colonizzazione eterodiretta, alimentata da élite sovranazionali e realizzata con la complicità di apparati interni ormai compromessi.

 

A invadere le nostre città non sono famiglie bisognose, non sono profughi di guerra, ma moltitudini di giovani maschi in età militare, spesso reclutati nelle carceri, che si muovono come cellule dormienti in attesa di detonare.

 Portano con sé non solo disagio sociale, ma aggressività strutturale, tribalismo, e un odio palese per la civiltà che li ospita.

I machete in Piazza delle Poste non sono un’anomalia: sono il segnale rituale della rottura del patto sociale.

Tutto questo avviene non con la cosiddetta “sinistra” al potere, ma sotto il governo Meloni della cosiddetta “destra”, la quale si rivela in tutta la sua ambiguità.

 Destra e sinistra non esistono più come polarità ideologiche, ma come ingranaggi intercambiabili dello stesso meccanismo di dissoluzione, quello del potere transnazionale, tecnocratico e apolide che mira a spazzare via ogni radice culturale, ogni identità, ogni sovranità.

 

L’invasione è stata pianificata.

È il cavallo di Troia della nuova guerra ibrida, in cui il nemico non si presenta con uniformi, ma con lo status giuridico di “migrante”.

 Lo scopo è trasformare il popolo in una massa disorientata, priva di punti di riferimento, impaurita e ricattabile.

Siena, come molte altre città italiane, è ormai una zona rossa, un laboratorio sociale dove si sperimenta la sostituzione etnica controllata e l’instaurazione del caos permanente.

Nel silenzio colpevole dei media e con il beneplacito di istituzioni che hanno tradito la loro vocazione costituzionale, l’Italia viene progressivamente svuotata del suo popolo, della sua cultura e della sua sicurezza.

 Non è solo una crisi migratoria: è una strategia di occupazione antropologica e simbolica.

Serve un risveglio collettivo.

 Serve chiamare le cose con il loro nome: invasione, occupazione, tradimento.

 E serve agire.

Non con slogan vuoti o proclami elettorali, ma con misure radicali:

chiusura dei flussi, rimpatri immediati, bonifica dei centri urbani, eliminazione delle ONG parassitarie, e soprattutto epurazione delle istituzioni infedeli.

Se non fermiamo ora questa deriva, non sarà solo Siena a cadere.

 Sarà l’intero corpo della nazione, disarmato e tradito, a sprofondare nell’anarchia indotta che precede ogni forma di tirannia tecnocratica.

 

Svegliati, Italia. O tra pochi anni, di italiano, non rimarrà che il nome sulle mappe.

(voxnews.org/2025/04/13/siena-extracomunitari-armati-di-machete-e-bastoni-inseguono-italiani-per-sgozzarli/)

(t.me/Giovanni832) - (la Verità rende liberi).

 

 

 

 

 

Arriva il Supersiero “Kostaive”

con Tecnologia saRNA…

Ancora più Pericoloso!

Conoscenzealconfine.it – (16 Aprile 2025) - Max Del Papa – ci dice:

 

Dicevano: la strage globale del vaccino Covid è almeno servita ad aprirci gli occhi. Invece arriva un siero ancor più letale, e lo impongono con la forza del destino.

Come prima:

si lancia sul mercato un vaccino dagli effetti non testati ma sicuramente micidiali, capace di restare nell’organismo a vita e di essere a sua volta contagioso.

 Gli esperti lanciano l’allarme che nessuno raccoglie.

 

La pandemia più orrenda della modernità segue alcuni indirizzi precisi:

 lo sfoltimento della popolazione su scala globale, l’arricchimento dei soliti con in mano la finanza farmaceutica, bellica o energetica, il carrierismo di virologi penosi, quasi sempre, ma non sempre, raccattati dalla sinistra.

Gente che non si sa a quale titolo goda di impunità risultando libera di insultare, di diffamare anche dopo che è emersa tutta la loro inconsistenza scientifica, inversamente proporzionale alla vanità effimera, all’ambizione di potere, ai conflitti d’interessi.

 Protetti dalle provocazioni del Capo dello Stato che li copre di riconoscimenti pretestuosi.

È incredibile la cadenza quotidiana dei morti, la casistica inarginabile così come è incredibile la rassegnazione con cui le vittime vengono accolte:

 ogni giorno personaggi in vista, giornalisti, artisti si arrendono, ogni giorno qualcuno piange qualche altro ci sono fiction i cui protagonisti, misteriosamente, cadono uno dopo l’altro a distanza di pochi mesi o pochi giorni:

adesso che diranno quei parenti i quali mi chiamano inviperiti, coprendomi di insulti e di minacce siccome denuncio la letalità vaccinale, e “la verità la stabilisco io”?

 

No, non la decidono loro ma la realtà dei fatti e i fatti dicono che tutti questi poveretti erano orgogliosamente e ripetutamente vaccinati.

 Ma non serve se perfino le vittime o chi per loro indulgono nell’esercizio manzoniano del “troncare e sopire” che alimenta il fatalismo.

Quelli che trovano sempre un motivo per sperare, convinti che almeno questa strage infinita, orripilante fosse servita ad aprirci gli occhi, debbono prendere atto che è servita a tutt’altro, a indurre rassegnazione, sottomissione.

E ad alimentare nuove e certissime e più dilaganti stragi.

 

Quando è stato chiaro e ammesso dai responsabili che questi sieri mai debitamente sperimentati ingeneravano ogni forma di degenerazione, la comunicazione propagandistica controllata dalla finanza farmaceutica, ha reagito nell’unico modo possibile:

 diffondendo il messaggio delirante per cui di simili intrugli ce ne volevano ancora di più e più potenti, più devastanti, più micidiali.

Detto fatto:

il tempo di metterlo a punto e arriva un super-siero “Kostaive” che replica la sequenza genetica, permane a vita e moltiplica la sua azione sviluppando vescicole cellulari che rinnovano il meccanismo vaccinale.

Ne deriva, a detta di alcuni esperti, la concreta possibilità per non dire certezza di una moria cellulare che, per farla breve, è il meccanismo che innesca il cancro.

 

Ancora una volta non risulta una adeguata sperimentazione, et pour cause:

 se li sperimentano, se constatano i danni certissimi, poi non possono metterli in commercio.

 Invece anche questo super vaccino a nuova tecnologia “saRNA” è stato immediatamente lanciato sul mercato prescindendo da qualsiasi verifica e la grancassa pubblicitaria, alimentata dalla strage precedente, provvede a renderlo indispensabile.

Dal governo italiano che istituisce le sue commissioni fumogene, neppure un fiato, in Parlamento non se ne parla, la linea politica è la stessa adottata per ogni cosa, andar d’accordo con tutti, non smuovere le acque, non disturbare in alcun modo i cosiddetti poteri forti.

Insomma durare, fin che si può, in attesa di trasformarsi in mercanti sulla scia dei D’Alema e dei Renzi.

Da mesi chi scrive segnala la tendenza, perversa, demoniaca, a vaccinare i sani per poterli ammalare e per poterli curare in un circolo infernale che si conclude con la totale distruzione dell’organismo;

ci ho fatto sopra dei libri, ovviamente da quasi nessuno trattati, ma la faccenda era chiara solo a volerla vedere.

 Il risultato è che l’umanità fila allegramente verso la sua autodistruzione multipla, dalle logiche guerresche a quelle sanitarie.

 

Gli allarmi di questi esperti, subito coperti di insulti e di provocazioni dai virologi parassitari, sono agghiaccianti:

“Non ci troviamo in un situazione emergenziale, eppure è stato dato l’ok alla commercializzazione di un siero di cui si conoscono poco gli effetti avversi”.

Esattamente quello che era successo l’altra volta, debitamente ammesso dalla “Janine Small” di Pfizer:

 “Col vaccino Covid abbiamo lanciato in volo un aereo non ancora finito di costruire, non ci siamo mai preoccupati degli effetti negativi perché non ci interessava, sapevamo che non immunizzava ma la torta era troppo grossa per perdere tempo”.

 

Queste cose la” Small” le ha ammesse, ridendo, davanti al Parlamento Europeo, davanti a quella UE la cui capa, “Ursula von der Leyen”, famosa per le sue disinvolture affaristiche in Germania, aveva negoziato decine di milioni di dosi per un giro miliardario e il cui marito, “Heiko von der Leyen”, nel “board di Pfizer”, medico e direttore scientifico della “società biotech statunitense Orgenesis”, specializzata in terapie cellulari e geniche e in prima linea nella realizzazione dei vaccini anti-Covid a Rna, figura in una Fondazione creata dall’Università di Padova attiva nella ricerca vaccinale.

E poi ci si stupisce se nessuno paga salvo le vittime e se le nefandezze della farmacopea finanziaria invece di venire punite crescono indisturbate?

In Italia, dove abbiamo regalato un asilo sicuro e un paio di laboratori da “stranamore “al principale responsabile di questa carneficina immane, l’Anthony Fauci attualmente perseguito per strage da 11 procuratori negli Stati Uniti?

 

No, non c’è nessun Dio vendicatore…

 C’è solo una certezza: viviamo in un tempo mostruoso, in un Pandemonio dove le vittime sono abbastanza stupide da ringraziare i carnefici, dove chi resta si adegua tra lusinghe e minacce, dove gli spacciatori di vaccini vengono assorbiti dalla politica di potere, dove chi più opera il male trionfa, e il male si moltiplica come le vescichette piene di genoma cancerogeno del nuovo e già leggendario vaccino a “saRNA”, che si prepara a completare il lavoro sterminando quel che resta di una umanità già marcita.

(Max Del Papa.)

(ilgiornaleditalia.it/news/salute/698605/dicevano-la-strage-globale-del-vaccino-covid-e-almeno-servita-ad-aprirci-gli-occhi-invece-arriva-un-siero-ancor-piu-letale-e-lo-impongono-con-la-forza-del-destino.html).

 

 

 

Dazi, vittoria di Meloni nell'incontro

con Trump. Raggiunto l'obiettivo

di aprire un canale con l'Ue.

msn.com – Affaritaliani.it - Alberto Maggi – (17-04 -2025) – ci dice:

 

E ora l'Italia ha un credito da spendere a Bruxelles.

Dazi, vittoria di Meloni nell'incontro con Trump. Raggiunto l'obiettivo di aprire un canale con l'Ue.

Trump, ricordando come nello Studio Ovale della Casa Bianca prese letteralmente a schiaffi (verbali) Zelensky, ha invece elogiato con parole mai sentite prima dal tycoon la presidente del Consiglio.

"L'accordo con l'Unione europea si farà al 100%".

 Era la frase che tutti si aspettavano e che Donald Trump ha pronunciato durante l'incontro con Giorgia Meloni, sia a Palazzo Chigi sia a Bruxelles.

 A denti stretti e a microfono spento, anche esponenti delle opposizioni parlano di "vittoria" della premier.

 La leader di Fratelli d'Italia, persona "eccezionale" secondo il tycoon, è riuscita dove aveva fallito il commissario europeo al Commercio “Maroš Šefčovič”.

 

Trump, ricordando come nello Studio Ovale della Casa Bianca prese letteralmente a schiaffi (verbali) Zelensky, ha invece elogiato con parole mai sentite prima dal tycoon la presidente del Consiglio.

 "Meloni ha fatto un ottimo lavoro, è una persona speciale, rispettata da tutti.

 A differenza di altri (stoccata a Macron e a Sanchez).

 

La premier ha raggiunto il suo principale obiettivo:

l'incontro tra Trump e Ursula von der Leyen, in strettissimo contatto con Meloni fino a poche ore prima del faccia a faccia alla Casa Bianca, si terrà a Roma.

E questa è la vittoria della presidente del Consiglio decisamente più netta e non affatto scontata alla vigilia.

 Certo, poi bisognerà vedere che tipo di intesa si troverà sui dazi e sui vari settori, ma al momento l'obiettivo di riallacciare e riavvicinare Stati Uniti e Unione europea è stato raggiunto.

 

Meloni, in caso di irrigidimento da parte di Trump, sarebbe stata pronta a trattare solo come rappresentante dell'Italia e non come membro dell'Ue, ma non è stato necessario.

 Era l'estrema ratio.

Ora bisognerà vedere le reazioni di Emmanuel Macron, duro con il tycoon nei giorni scorsi, e di Pedro Sanchez, che è appena stato a Pechino per una visita ufficiale.

Il presidente Usa chiede infatti all'Europa di fare fronte comune per affrontare la Cina, ma allo stesso tempo il capo dell'Amministrazione a stelle e strisce ha anche affermato che con Pechino si troverà un accordo.

E questo rende il lavoro della premier più semplice.

 Meloni ha goduto e gode del pieno sostegno del Partito Popolare Europeo, in particolare di “Manfred Weber” (legatissimo al vicepremier, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia Antonio Tajani), che è anche il partito della presidente della Commissione von der Leyen.

 La missione di Meloni a Washington è stata quindi decisamente positiva e accresce il peso politico dell'Italia a Bruxelles e nelle cancellerie del Vecchio Continente.

Un credito da spendere ad esempio per ottenere che l'incremento delle spese militari (Meloni ha assicurato a Trump che l'Italia arriverà al 2% del Pil) siano scorporate dal Patto di Stabilità.

Una boccata di ossigeno per i conti pubblici italiani.

Sul tavolo anche l'acquisto da parte dell'Italia di maggiore gas liquido americano. È chiaro che siamo solo all'inizio e non c'è nulla da festeggiare.

 

La tempesta dazi non è ancora finita e la trattativa sarà lunga e complessa perché Trump ha chiaramente detto che gli States sono stati "imbrogliati" da quasi tutti i Paesi, riferendosi probabilmente allo squilibrio della bilancia commerciale in particolare per quanto ci riguarda tra Usa e Ue.

 Ma come la premier ha spiegato al tycoon un accordo conviene a tutti e i dazi e contro-dazi, il famoso bazooka di Bruxelles, danneggerebbero tutti, europei e americani.

 

Meloni ha vinto la sua scommessa di aprire un canale con la Casa Bianca, ora toccherà all'Ue non rovinare tutto e trovare compattezza.

 E certamente il governo italiano e la premier continueranno a giocare un ruolo di primissimo piano.

 E Trump non aveva alcuna intenzione di mettere in difficoltà la presidente del Consiglio, non certo perché donna e per una questione di galateo, ma per un fatto prettamente economico e commerciale, oltre che politico.

 Il tycoon, infatti, è un businessman e sa bene che, ciò che conta davvero, sono gli affari.

 

 

 

 

I democratici si schiereranno sempre

contro la gente normale – sempre.

Theburningplatform.com - Guest Post di Kurt Schlichter - Redazione - ci dice:

 

Voglio che pensiate attentamente e vediate se riuscite a trovare un singolo problema su cui l'establishment di sinistra si schiera a favore degli americani normali.

Unico.

 Solo una volta in cui danno la priorità agli interessi delle persone normali rispetto alle richieste di strambi, perdenti, mutazioni, alieni illegali, pinkos, pervertiti e vegani.

Aspetterò.

E quando tornerai da me, il sole si sarà spento e il “Saturday Night Live”” sarà di nuovo divertente.

Molte persone hanno osservato che Trump è sempre dalla parte dell'80 nelle questioni 80/20;

Ciò che sorprende è quanto la sinistra sia ansiosa di andare all-in sui 20.

C'è qualcosa nella sinistra che la costringe, anche contro il buon senso politico, a schierarsi sempre dalla parte dei cattivi.

Il popolo americano si è espresso abbastanza chiaramente contro questa stranezza, ma questo non lo fermerà.

Ogni volta che devono scegliere tra ragazze adolescenti americane normali e decenti e uomini strani a cui piace esporsi allo stesso con il pretesto di essere donne a loro volta, la sinistra sostiene i brividi.

Ogni singola volta. E non poco.

È un sacramento pagano per loro che un tizio di nome “Phil” possa fingere di essere “Phyllis” ed entrare in uno spogliatoio femminile con l'intera banda che si dondola.

La sinistra potrebbe scegliere di stare dalla parte degli americani normali che preferirebbero non essere stuprati e/o uccisi da immigrati illegali che non dovrebbero essere qui in primo luogo.

 Ma l'establishment di sinistra sostiene gli immigrati illegali che non dovrebbero essere qui in primo luogo, fino al punto di volerli reimportare negli Stati Uniti quando finalmente ci sbarazzeremo di loro.

Pensateci:

non solo non vogliono che queste persone se ne vadano, ma vogliono che le riportiamo indietro.

 Inoltre, sotto Biden, li stavano letteralmente facendo votare nel paese.

 Ancora una volta, gli americani normali hanno detto chiaramente che preferirebbero che gli immigrati illegali che non dovrebbero essere qui in primo luogo non dovessero essere qui, ma no.

La sinistra dell'establishment deve schierarsi dalla parte dei membri delle gang del Terzo Mondo e contro i cittadini americani che questi mostri tormentano.

“Survival Seed Vault “e varietà di semi cimelio,

Naturalmente, la sinistra ha sempre amato i criminali.

Non è mai colpa del ladro di merda o dell'assassino psicopatico.

 Quando ti opponi ai ladri nostrani che saccheggiano e saccheggiano, sei tu ad essere troppo attaccato alla tua proprietà per cui hai effettivamente lavorato e troppo attaccato al tuo corpo che è in realtà tuo.

 Non vedono l'ora di contribuire alla campagna” Go Fund Me” dell'assassino.

 

Si schierano sempre dalla parte di coloro che ci vogliono male, sia qui che all'estero.

 Vogliono attivamente che il difensore dell'Occidente Israele perda anche dopo che Hamas ha ucciso gli americani e tiene ancora in ostaggio uno di noi.

Kamala Harris non avrebbe scelto la scelta più intelligente (l'ebreo Josh Shapiro) rispetto alla debole, nevrotica e mediocrità post-cristiana “Femmy Le StolenValor” perché non voleva alienarsi i sostenitori attivi di Hamas che costituiscono una parte sostanziale della coalizione democratica.

Guardate cosa sta succedendo in El Salvador.

Un tempo aveva il più alto tasso di omicidi al mondo.

Erano persone normali che venivano massacrate dai membri delle gang.

 E poi è arrivato il loro nuovo presidente, ha preso tutti i membri della banda, li ha rinchiusi in una prigione gigante, e il tasso di omicidi è sceso di circa il 90%.

Questa è la vita delle persone normali che vengono salvate.

 Si tratta di innumerevoli rapine, stupri e omicidi che non vengono commessi su cittadini innocenti.

E sapete cosa vuole la sinistra?

Vuole che quei criminali tornino di nuovo in strada.

Preferirebbe che le persone normali venissero massacrate piuttosto che avere un esempio di ciò che può accadere se avessimo semplicemente la volontà di agire.

 

Abbiamo visto la stessa cosa anche con il confine.

 Ci è stato detto dalla sinistra – e da collaboratori senza spina dorsale come “James Lankford” – che eravamo impotenti e che avevamo bisogno di un sacco di nuove leggi per chiudere il confine.

 Le leggi che hanno offerto avrebbero, di fatto, aperto il confine per sempre. Donald Trump è arrivato e ha semplicemente chiuso il confine.

 Ora è chiuso.

 La crisi dell'immigrazione, in termini di afflusso di contadini del Terzo Mondo, è finita.

Naturalmente, la sinistra dell'establishment sta ora facendo tutto il possibile per impedire a Trump di invertire il flusso di contadini del Terzo Mondo.

Che ne dite dei simpatizzanti del terrorismo che vengono nel nostro paese con un visto e sostengono concetti come lo sradicamento della civiltà occidentale?

 Ci si potrebbe aspettare che la sinistra dell'establishment non voglia essere sradicata, ma sembra pensare che otterrà un'eccezione e che saremo solo noi persone normali ad essere sradicati.

Politicamente, come ci si schiera con le persone che annunciano letteralmente di voler uccidere tutti i propri connazionali?

 Guardi, non sono un esperto di politica, ma penso che sia una strategia sbagliata. L'enorme indice di gradimento del 27% dei Dem supporta la mia tesi.

Le emorroidi sono più alte.

 

Naturalmente, nulla di tutto questo si basa sulla strategia.

Non si basa nemmeno sull'ideologia.

In realtà è una strana religione per mediocrità deboli, nevrotiche, post-cristiane che, in passato, sarebbero state eliminate attraverso il principio della sopravvivenza del più adatto.

Questo è il loro culto e noi siamo i loro sacrifici.

Prendete la bufala del cambiamento climatico, per favore.

Il loro dogma comanda che la nostra prosperità debba essere sacrificata sull'altare di Gaia, la dea del tempo arrabbiata.

La vita dei normali deve essere resa sempre peggiore per espiare il nostro peccato originale di non essere deboli, nevrotici, mediocrità post-cristiane, sia attraverso la DEI che con i soffioni a basso flusso.

Non possiamo avere carne, non possiamo avere camion, non possiamo avere bambini e ora non possiamo nemmeno avere cani.

 

Beh, dovrai strappare il mio mix di “corgi e golden retriever” dalle mie mani fredde e morte.

Ma, naturalmente, questo non accadrà.

 Non possono fare leva su nulla. Queste persone non possono combatterci. Non hanno pistole, e non hanno forza nella parte superiore del corpo, e certamente non hanno il testosterone per venire contro di noi.

 Non possono costringerci a fare nulla.

Ma possono tentare di intimidirci, intimidirci e tormentarci fino alla sottomissione. Questa è la loro strategia.

Vogliono realizzare questa mostruosa utopia e intendono tormentarci per farci permettere che ciò accada.

 

Ma possiamo dire "No".

 

Questo è il motivo per cui Trump li inorridisce così tanto.

 Lui risponde: "No".

Non gli importa quello che pensano, e non farà quello che dicono.

Non è un editorialista della “National Review” che ci chiede di onorare le norme e i guardrail morti che i nostri nemici hanno demolito.

 Non si arrenderà di fronte alle loro incessanti lamentele sui social media.

Non si sente in colpa per aver protetto gli interessi delle persone normali.

 In realtà, difende attivamente e aggressivamente gli interessi della gente normale, il che fa impazzire l'establishment di sinistra.

Ricorda, non possono costringerci a fare nulla.

Possono solo convincerci a sottometterci, e né Trump né quelli di noi che lo sostengono permettono che ciò accada.

 

Ecco perché stanno impazzendo in questo momento.

 Stanno perdendo, e lo sanno.

 

Quindi stanno raddoppiando.

 Siate pronti.

Tutto ciò che dicono è una bugia e una truffa.

Come direbbe” Elizabeth Warren”, parlano con lingue biforcute.

Ecco perché, a differenza dei “Fredocon”, devi essere pronto a rifiutare qualsiasi argomento che fanno.

Ciò include le loro argomentazioni procedurali in malafede in cui sostengono che dobbiamo dare un giusto processo ai mostri – perché qualsiasi giusto processo che diamo loro non sarà mai sufficiente e deve essere allungato all'infinito in modo da significare effettivamente che non possiamo fare nulla per risolvere il problema.

Allo stesso modo, dobbiamo respingere le loro false argomentazioni sostanziali secondo cui qualsiasi cosa scegliamo di fare per rispondere ai loro attacchi politici e culturali è moralmente sbagliata e oltre il limite.

Ancora una volta, lo scopo è quello di convincerci che siamo impotenti di fronte al loro assalto.

Devi capire che ti odiano.

Devi capire che vogliono solo ciò che è peggio per te.

 Devi capire che ogni singola volta si schiereranno dalla parte dell'indecenza, della perversione e dell'omicidio – letteralmente – contro di te e la tua famiglia.

Ecco perché dovete essere pronti a governarvi di conseguenza in questo paradigma, invece di chiudere gli occhi e coprirvi le orecchie e fingere davvero, davvero che tutto vada bene.

Non lo è.

Non c'è compromesso possibile con queste persone.

Devono essere sconfitti in modo completo e dettagliato, e l'unico modo per farlo è con il tipo di fredda spietatezza che gli uomini seri dimostrano quando sono seri nello schiacciare i loro nemici.

Non è il momento di vacillare.

 Non è il momento di piagnucolare.

 Non è il momento di appellarsi a norme che non esistono come scusa per evitare di fare il duro lavoro di vincere.

Mettitelo in testa. Capiscilo. Accettatelo.

Agisci di conseguenza.

 

 

L'Europa e l'arrivo sotto

falsa bandiera.

Theburningplatform.com - Guest Post di Martin Armstrong – (18 – 04 – 2025) – ci dice:

 

Geert Wilders (nato nel 1963) è un politico olandese che ha guidato il Partito per la Libertà (PVV) nei Paesi Bassi.

 L'ondata nazionalista in Europa sta ora sollevandosi contro la morsa globalista sull'Europa.

In ogni nazione europea, c'è una rivolta di buon senso della maggioranza silenziosa.

 Il vecchio regime si sta sgretolando, quindi si sono rivolti ai neoconservatori per mantenere il potere.

Sono preoccupato che stiano diventando disperati e che, Macron, Tusk, fino a Merz, non ammetteranno MAI un errore, quindi per mantenere il controllo, intendono spingere l'Europa nella Terza Guerra Mondiale.

 

Merkel_Minsk_Buy_Time_to .

Preparati per la verruca Putin non è stupido.

 Se fossi in lui, non accetterei in alcun modo la pace in Ucraina perché l'Europa sta redigendo la costruzione di un esercito e questa sarà solo Minsk 2.0 come l'Europa ha fatto prima di accettare la pace solo per dare all'Ucraina il tempo di costruire un esercito per invadere e indebolire la Russia in modo che la NATO possa invadere e conquistare la Russia, tutto per saccheggiare il paese nel sogno di Macron di resuscitare l'Europa come l'Impero Romano e governare il mondo ancora una volta.

La struttura fallimentare dell'Eurozona si sta sgretolando.

Sono sull'orlo di un default del debito sovrano, che si sviluppa quando non è possibile vendere nuovo debito per ripagare il vecchio.

 Quando si predica la guerra all'infinito in tutti i media e i talk show in Europa, bisogna essere pazzi per comprare il debito europeo.

Hanno bisogno della guerra, o l'Eurozona si disgregherà.

A loro non importa nulla dell'Europa o dei popoli, tanto meno del mondo.

 Si tratta di una spinta grezza per rimanere rilevanti e mantenere il potere.

Capo di Stato dell'Accordo di Minsk.

L'accordo di Minsk: quando l'Europa mentiva e negoziava in malafede.

Putin non ha alcun desiderio per la Terza Guerra Mondiale.

 Ha posto così tante linee rosse, e l'Europa le ha superate tutte nella speranza che rispondesse e attaccasse qualsiasi cosa nella NATO in modo da poter affermare che lui è l'aggressore.

Temo che l'Europa metterà in scena una “FALSE FLAG” e bombarderà persino il proprio popolo per incolpare Putin, proprio come la CIA ha proposto di uccidere gli americani per incolpare Cuba per giustificare un'invasione nel “Progetto North woods”.

Il presidente Kennedy respinse il loro piano e respinse il Vietnam – così uccisero Kennedy e il giorno dopo, Johnson approvò il Vietnam.

 Per nascondere ciò che queste persone fanno, chiamano tutto ciò che li espone una teoria del complotto.

 

 

 

 

La Corte Suprema del Regno Unito

 stabilisce che la definizione legale

 di donna è biologica.

Theburningplatform.com - Guest Post di Paul Craig Roberts – Redazione – (18-04-2025) – ci dice:

 

La Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che nella legge britannica i termini "donna" e "sesso" sono termini biologici e non includono gli uomini che si identificano come "transgender".

La Corte ha stabilito che le persone con "certificati di riconoscimento transgender", qualunque cosa sia, sono escluse dagli spazi biologici monosessuali.

Ci sono aspetti interessanti di questo caso che meritano un commento.

 Il caso è stato presentato da gruppi scozzesi per i diritti delle donne contro l'imposizione da parte del governo scozzese di uomini che si dichiarano donne negli spazi biologici delle donne.

 Che ne è stato degli scozzesi che hanno messo al potere un governo squilibrato e folle che costringe le donne biologiche ad accettare gli uomini nei loro spazi privati semplicemente perché l'uomo squilibrato si dichiara una donna?

Come ha fatto la Scozia ad avere un governo squilibrato che in passato sarebbe stato appeso ai lampioni più vicini, se non tirato fuori e squartato nella pubblica piazza?

 Cosa è andato storto con il popolo scozzese che non è in grado di fare scelte intelligenti e morali su coloro che ha il potere di governarlo?

 

Assistiamo a un simile collasso dei popoli storici in Irlanda, dove il popolo irlandese ha messo al potere un governo che costringe i cittadini di etnia irlandese, che riescono a malapena a mettere il cibo in tavola, a sostenere massicci afflussi di immigrati invasori del terzo mondo che stanno distruggendo totalmente il carattere e la qualità della vita irlandese.

 Che cosa è andato storto nel popolo irlandese per aver messo al potere un governo determinato a distruggerlo?

Un altro aspetto interessante è che l'alleanza LGBT+ si sta sciogliendo.

Le lesbiche scozzesi si sono schierate dalla parte dei gruppi per i diritti delle donne contro i presunti "transgender".

Un portavoce lesbico ha detto che le lesbiche sono stanche di essere chiamate "bigotte di estrema destra" per aver rifiutato di accettare uomini nei gruppi lesbici.

 

La Corte Suprema del Regno Unito ha dichiarato che i "certificati di riconoscimento transgender" sono legalmente privi di significato.

Che cos'è esattamente, o era, un "certificato di riconoscimento transgender"?

È stato un tentativo di usare un pezzo di carta per dare autorità e realtà a un nuovo sesso autoproclamato che non esiste in natura, o se esiste solo come una strana anomalia.

Ciò che il "movimento transgender" è, o era, in realtà è un'espansione della "marcia attraverso le istituzioni" marxista culturale.

Un altro significato normale è distrutto: sesso.

Con la distruzione del maschio/femmina, il caos viene introdotto nelle corsie ospedaliere, nei centri di crisi per stupro, negli spogliatoi, nelle squadre sportive.

 

Ciò che è straordinario è il numero di funzionari governativi occidentali a tutti i livelli che hanno sostenuto fanaticamente il "movimento transgender".

 Ad esempio, in Virginia l'amministrazione di una scuola pubblica ha coperto lo stupro di una giovane ragazza in una zona doccia / bagno femminile della scuola da parte di un uomo a cui era stato permesso l'accesso perché si era dichiarato una femmina.

 I corrotti amministratori scolastici erano così impegnati per i "diritti dei transgender" che hanno coperto uno stupro e cercato di distruggere il padre che si era lamentato dello stupro di suo figlio.

Questo dimostra quanto sia profonda la presa del male sulla civiltà occidentale.

 Quando gli amministratori liberali della scuola pubblica in America sono così corrotti da aiutare e favorire lo stupro delle ragazze nelle loro scuole, e coprirlo, sappiamo che la nostra società è finitamente malata.

Trump può rinnovare un paese così malato e depredato?

 

 

Il prezzo sociale della corsa

agli armamenti in Italia.

Cmedonchisciotte.org – (18 aprile 2025) - Redazione CDC - Orazio Di Mauro, lacittafutura.it – ci dice:

Come il riarmo sottrae risorse a welfare e sanità, aumenta le disuguaglianze sociali e indebolisce la trasparenza democratica nelle scelte politiche ed economiche.

 

La classe dirigente europea ha dato una risposta scomposta e insensata alle azioni politiche e diplomatiche dell’amministrazione Trump per una tregua in Ucraina e al possibile ritiro delle forze statunitensi dall’Europa.

 Per la prima volta l’UE, compresi i cosiddetti paesi frugali che si sono sempre opposti a spese sociali e di welfare, ha deciso all’unanimità di fare una spesa a debito di 800 miliardi per le armi.

 La Germania, sempre pronta a limitare la spesa a debito, in questo caso ha annunciato un piano di 1000 miliardi di euro per il rinnovamento delle forze armate, mentre la Francia e la Polonia hanno investito massicciamente in artiglieria, carri armati, e sistemi missilistici.

 L’Italia non ha annunciato un piano di riarmo ma si è impegnata ad aumentare la spesa militare fino al 2% del PIL, in linea con gli obiettivi NATO.

Questo aumento previsto di spesa militare non chiude la porta, ma la spalanca, a un possibile riarmo italiano.

Nessun Paese ha fatto passi per la costruzione di un esercito europeo, ipotizzando un suo riarmo massiccio che, ovviamente, al di là degli slogan sull’autonomia strategica dagli Stati Uniti, è solo un libro dei sogni in quanto mancano le basi politiche, industriali, sociali e culturali per un simile esercito.

 Quindi cercare di costruirlo artificiosamente, per reagire alle sfide globali, crea più instabilità e divisione che sicurezza, nel vecchio continente.

 

L’Italia è, tra i paesi europei, quello con il debito pubblico più alto, con una crescita economica bassa e un welfare debole.

Riarmarsi comprometterebbe la sua economia, la cui produzione industriale decresce da due anni.

Se l’idea di una società più militarizzata prevalesse su investimenti sul sociale e sulla previdenza e l’assistenza sanitaria, si aprirebbe una spaccatura tra classi sociali meno abbienti subalterne alle élite politico, industriali e militari.

 Le classi sociali, ridotte a una esistenza difficile, toglierebbero il consenso alla politica del governo con imprevedibili, ma disastrosi eventi.

Se l’Italia iniziasse un riarmo dovrebbe iniziare una riconversione industriale, dando priorità ai settori strategici militari;

tagliare o rallentare la spesa sociale, per finanziare la produzione di sistemi d’arma; 

questo comporterebbe la crescita dell’inflazione, dovuta all’aumento della domanda pubblica di beni e materiali tecnici che diminuirebbero rispetto a prima del riarmo.

Si avrebbe una ristrutturazione del lavoro, con l’occupazione trainata dalla spesa per armamenti, ma potenzialmente a discapito di altri settori, dei servizi, della cultura e del commercio.

Le ipotesi di riconversione delle fabbriche civili (come l’auto motive, elettrodomestici, meccanica leggera) alla produzione bellica sono decisamente ottimistiche;

 infatti trasformare impianti che producono automobili, pompe idrauliche o tecnologie ambientali in stabilimenti per produrre carri armati, missili e droni non è un processo neutro.

 Non solo non risolve il problema della disoccupazione strutturale, ma rischia di abbandonare l’innovazione sostenibile e la coesione sociale in nome di una produttività bellica che dipenderebbe da crisi internazionali e cicli geopolitici ipotetici.

Questa militarizzazione dell’economia sposterebbe il punto centrale delle decisioni politiche fuori dal controllo democratico.

Le priorità del paese non saranno più scandite dal fabbisogno sociale o ecologico, ma da obiettivi strategici poco comprensibili alla massa della popolazione, definiti da accordi politici-militari e, specialmente, dalle pressioni dell’industria militare che, come sempre avviene, prende il comando dei centri decisori per volgerli a suo interesse.

Le generazioni giovani sempre più precarizzate vedrebbero ridotte le proprie opportunità in nome della sicurezza nazionale.

Per meglio comprendere i danni economici e sociali di un “riarmo” italiano prenderò in esame un’arma modernissima di costruzione italiana considerata il fiore all’occhiello dell’industria domestica, il cacciacarri Centauro II MGS 120/105, nuovo veicolo blindato ruotato da combattimento dell’esercito italiano.

 Prodotto in Italia dal consorzio Iveco-Oto Melara, composto dalla IVECO nello stabilimento Bolzano e negli stabilimenti a Brescia e Suzzara e dalla Leonardo – OTO Melara con stabilimenti alla Spezia e Brescia.

Il Centauro II è stato progettato per l’Esercito Italiano che ne ha commissionati circa 150 unità, di cui 10 già consegnate al 2023.

Un contratto successivo ne ha previsti 96 unità a cui si sono aggiunti altri 50 veicoli, a fronte di una produzione attuale di circa 12-18 veicoli all’anno.

 Questa produzione limitata procede con gradualità; i

l Centauro II ha una certa priorità ma non è prodotto in grandi volumi come la Panda.

Le problematiche della spesa pubblica e il bilancio della Difesa ne hanno frenato la produzione, ma in un paese lanciato a un riarmo a tutti i costi che prevedesse un aumento sostanziale della produzione i costi lieviterebbero senza limiti.

 

Ad oggi il costo industriale base è di 5.500.000 € a cui si deve aggiungere il costo dei Sistemi elettronici avanzati, che ammontano a non meno di 500.000 €, il cannone da 120mm e la torretta, per una spesa non meno di 1.000.000 €, e infine il costo della logistica, dei test e delle certificazioni, ovvero circa 400.000 €, per un costo totale di 7,5 milioni di euro.

 In una prospettiva di aumento e riconversione delle fabbriche da civili a militari e con l’aumento del 50% della produttività annuale passeremo a un sovraccarico industriale (turni extra, supply chain, logistica) di 1.000.000 € per unità a cui bisognerà aggiungere i costi di riconversione di impianti e l’ammortamento delle spese fisse, ripartiti per unità di 400.000 €.

 Per un totale di circa 8.000.000 €.

Per cui il piano di riarmo non sarà per nulla una scelta indolore.

 Bisogna ricordare che il ritorno, in vari modi, di un’economia di guerra rappresenta non solo una trasformazione strutturale della produzione industriale ma anche un gigantesco ridimensionamento delle priorità politiche, sociali ed economiche che, lungi dall’essere neutro, si tradurrebbe in una enorme sottrazione di risorse, materiali e beni destinati alla vita civile e al vivere quotidiano dei cittadini.

La riconversione industriale impoverirebbe la produzione civile.

La produzione militare ha proprie esigenze peculiari che prevedono forti richieste di acciaio speciale, microelettronica avanzata, veicoli, carburanti, sistemi di comunicazione e sensori sofisticati.

Tutti prodotti che utilizzano gli stessi materiali di molti comparti produttivi civili: auto, elettrodomestici, macchine agricole, tecnologie mediche, edilizia, trasporti pubblici.

La decurtazione dalla filiera civile di queste merci causerebbe ritardi nelle consegne, scarsità e aumento dei prezzi.

 

La riconversione anche parziale di stabilimenti come quelli di Iveco (veicoli commerciali) o Leonardo (elettronica civile e difesa) per produrre blindati, radar e missili, porterebbe alla riduzione e/o alla sospensione della produzione di mezzi pubblici, veicoli industriali, treni e autobus e perfino di macchine per uso privato. Ciò impatterebbe sull’intera catena della logistica dei trasporti e consegne e sull’agricoltura, compromettendo il tenore di vita quotidiana delle famiglie italiane.

Un considerevole aumento del bilancio militare drenerebbe fondi da sanità, scuola, infrastrutture e servizi sociali.

L’aumento della domanda di acciaio, rame, semiconduttori e carburante per sostenere il comparto difesa farebbe salire i costi dei beni civili, con rischi di forme di razionamento di fatto:

 i prodotti rimarrebbero disponibili, ma non per tutti, a causa dei prezzi crescenti.

L’economia di guerra se crea lavoro non garantisce occupazione stabile né salari crescenti.

I contratti militari sono periodici e subordinati alla volontà politica.

La manodopera richiesta se è altamente specializzata, non è però agevolmente flessibile per il suo utilizzo nel settore civile.

In ultimo ma non meno importante è quanta democrazia rimarrebbe da questo passaggio a un’economia strutturalmente militarizzata.

 Ben poco dell’equilibrio democratico sopravviverebbe, le decisioni industriali ed economiche diverrebbero subalterne a logiche strategiche e militari, spesso opache e non trasparenti e, soprattutto, non sindacabili.

 Questo indebolirebbe la sovranità popolare sulle priorità della spesa pubblica e accentuerebbe il potere delle grandi industrie legate alla difesa, a scapito della società civile.

(Orazio Di Mauro, lacittafutura.it).

(Francesco Vignarca, Disarmo o barbarie?, DeriveApprodi, 2023).

 

 

 

MENZOGNE DI GUERRA.

Comedonchisciotte.org – (18 Aprile 2025) - Redazione CDC - Filippo Dellepiane, sollevazione.it – ci dice:

 

È da domenica che la grancassa mediatica spinge sul nuovo, presunto, terribile efferato crimine della Russia a Sumy.

Proprio mentre si inizia a parlare di colloqui di pace, guarda caso non si fa altro che cercare pretesti ed eventi che rallentino, sabotino, gli eventuali negoziati.

 Sarà una coincidenza?

 

Che gli errori in guerra esistano è evidente, così come i crimini.

È naturale sia così, assisteremo sempre a scene di violenza, a volte ingiustificate, nei teatri bellici.

Tuttavia, non si può negare che l’operazione russa in Ucraina sia largamente combattuta sui campi di battaglia e faccia “poche” vittime fra la popolazione:

in ormai 3 anni di guerra i civili caduti ammontano, secondo “UN human rights office”, OHCHR, tra febbraio 2022 e il 31 dicembre 2024, a 12.456 .

Un numero veramente basso, soprattutto alla luce sia dell’intensità delle guerre moderne, sia del potenziale distruttivo dell’esercito russo.

Il doppio standard e la follia occidentale si registrano, però, guardando i giornali anche nel nostro paese:

 “Repubblica” apriva ieri il suo quotidiano con la scritta “Mosca fa strage di civili”, mentre relegava in basso la notizia “Gaza city”, raid israeliano sull’ultimo ospedale, come se non fosse in corso ormai da quasi 2 anni un genocidio che rischia di cancellare dalla faccia della Terra il popolo “Gazawi”.

 

Non bastasse questo, vi è una considerazione metodologica da fare:

i nostri giornali hanno dato immediatamente per certa la notizia, riprendendola e sfruttandola per la loro propaganda guerrafondaia, contravvenendo alle norme deontologiche minime del giornalismo.

Se Trump, infatti, si è limitato a parlare di un errore, tanto per il sottile non sono andati i vertici europei, fra cui il suo pseudo ministro degli esteri, “Kallas,” la quale ha oggi rincarato la dose dichiarando che “vogliamo che nessun Paese candidato all’ingresso in Ue partecipi agli eventi del 9 maggio a Mosca”, giorno in cui la Russia celebra la vittoria contro il nazismo.

 

Subito Zelensky ha ripreso l’antifona di come non sia possibile fidarsi della Russia, di come quest’ultima violi il cessate il fuoco sulle infrastrutture civili e che la guerra debba continuare.

Sappiamo, però, che non è il primo caso sospetto di crimini che l’esercito russo avrebbe presuntamente compiuto in territorio ucraino, che viene utilizzato e ripreso da Kiev e l’Occidente.

 

Ricorderemo tutti, per esempio, il caso di “Bucha”, di cui si è parlato anche su questo sito, ma ne esistono altri che sono stati definitivamente desuntati.

Un esempio, è l’incidente del missile russo finito in territorio polacco nel novembre del 2022:

si scoprì, poi, che era invece un S-300 dell’antiaerea ucraina.

 Tuttavia, per alcune ore Zelensky rischiò di trascinare l’intera Nato ancora di più nel conflitto ucraino, chiedendo venisse attivato l’articolo 5 del Patto Atlantico.

 

Più di recente, è ormai celebre il caso del mercato di “Kostiantynivka” nel settembre del 2023:

 attribuito ai Russi, in realtà la strage era ancora una volta imputabile ad un missile lanciato per errore dagli Ucraini.

È chiaro che tutto ciò faccia parte di una strategia di guerra ibrida:

segnalavamo fin dalla scorsa estate che, a partire dal fallimento della strategia ucraina della controffensiva di giugno-luglio 2023 in poi, sarebbero diventati più frequenti questi casi sospetti.

 

Il terrorismo dell’indignazione, la mostrificazione del nemico e la sua hitlerizzazione, cerca di colpire nella sensibilità delle persone, portandole a sviluppare un sentimento di sgomento e repulsione.

Chi di fronte a scene di massacri di civili non si troverebbe disgustato da esse?

La strage di Gaza è un esempio di scuola, che ha portato alla mobilitazione di buona parte della nostra società.

Si spererebbe, perciò, di replicare la stessa reazione anche riguardo l’Ucraina, peccato che la situazione è completamente diversa, come abbiamo di recente dimostrato.

Non ultimo, anche in questo caso i dubbi si sprecano su ciò che è realmente accaduto.

 Di certo sappiamo che nemmeno da parte ucraina la cosa è così chiara.

 

Se l’intelligence ucraina, che fa capo a “Budanov “(uno dei più oltranzisti, di cui avevamo già parlato in precedenza), ha attribuito l’attacco a due brigate russe, la 112ª e la 448ª, ciò che è interessante segnalare è come” Artem Semenikhin”, sindaco della città di “Konotop”, nell’Oblast’ di Sumy, abbia accusato il governatore regionale “Volodymyr Artiukh “di aver organizzato una premiazione della 117ª Brigata a “Sumy”, proprio la Domenica delle Palme, nella via più affollata della città.

 

Secondo” Semenikhin”, l’evento comportava dei rischi per i civili e infatti la Russia ha replicato, dichiarando che l’Ucraina fa uso di scudi umani (non sarebbe il primo caso, anche a Mariupol accadde, ne parlò persino la tv italiana).

 

Infine, il “Kyiv Indipendent”, sebbene dica di non poter confermare la fonte, afferma che 2 soldati hanno dichiarato che effettivamente si trovavano lì, insieme a molti altri, per una cerimonia militare di premiazione, ricalcando così la posizione russa che accusa gli Ucraini di organizzare tali eventi all’interno di città popolose.

 Sono solo i Russi a pensarlo?

In realtà no, ecco cosa dice una deputata ucraina, celebre per le sue intemerate contro tutto e tutti, “Maryana Bezuhla”:

 

“La Russia ha bombardato il centro di Sumy la domenica delle Palme. Un appello a Syrsky e separatamente al comandante del Dipartimento di difesa territoriale: non radunare personale militare per i premi, soprattutto nelle città civili – ancora una volta, i russi avevano informazioni sul raduno (…) Nessuno è stato punito per i casi precedenti.

Ad esempio, dopo la tragedia della cerimonia di premiazione della 128a Brigata, nessuno è stato ancora incriminato per alcun reato, poiché il generale di brigata “Lysyuk “è l’uomo migliore del generale “Zubanych” (…)

 Signor Presidente, le va bene?

 Stai zitto e tieni la bocca chiusa?”

 

Da altre immagini apparse su “X”, pare evidente che l’evento fosse di natura militare, probabilmente all’interno dell’Università (secondo i Russi questo dato è certo, ma alcune immagini sembrerebbero confermare questa ipotesi).

Nel frattempo, Zelensky ha licenziato il capo dell’amministrazione militare di Sumy, colpevole di aver fornito un ” pretesto “ai russi di colpire.

 

Insomma, potremmo andare avanti ore e analizzare, vagliare altri casi, sia da una parte, sia dall’altra.

 Ciò che è importante segnalare, è il doppiopesismo occidentale e la strumentalizzazione dei fatti di guerra più angoscianti, che comunque coinvolgono i civili in questa guerra molto meno che a” Gaza”, perché non sia possibile arrivare a una soluzione negoziale.

Dal loro punto di vista, tutto fa brodo perché non si arrivi a una soluzione al conflitto.

D’altronde, la guerra è sempre, anzitutto, guerra di propaganda:

per dirla con Napoleone, “temo tre giornali più di centomila baionette”.

(Filippo Dellepiane, sollevazione.it).

 (sollevazione.it/2025/04/menzogne-di-guerra-di-filippo-dellepiane.html).

 

 

 

 

 

Il ritorno dei magnati senza scrupoli.

Comedonchisciotte.org – (17 Aprile 2025) – Markus - Michael Hudson- democracycollaborative.org – ci dice:

 

La visione distorta di Donald Trump della storia tariffaria americana.

Tesi principale.

 

Michael Hudson critica la politica tariffaria di Donald Trump, sostenendo che non mira a reindustrializzare gli Stati Uniti, ma a tagliare le tasse per i ricchi, sostituendo l’imposta sul reddito con tariffe doganali.

Presentata come un ritorno alla grandezza industriale dell’America del XIX secolo, questa politica distorce la storia economica statunitense ed è un’estensione del neoliberismo.

Lungi dal promuovere l’industria, le tariffe di Trump aggraveranno la deindustrializzazione, l’inflazione e la polarizzazione della ricchezza, ignorando le cause strutturali del declino industriale americano.

La narrazione distorta di Trump.

Trump ammira l’Età Dorata (Gilded Age) per l’assenza di un’imposta progressiva sul reddito e il finanziamento del governo tramite tariffe.

Tuttavia, il successo industriale di quel periodo non derivava solo dalle tariffe, ma dal “Sistema Americano” di “Henry Clay”, che combinava tariffe protettive, investimenti pubblici in infrastrutture e regolamentazione per minimizzare le rendite monopolistiche.

Le tariffe finanziavano servizi pubblici (trasporti, istruzione) che riducevano il costo della vita, aumentando la produttività del lavoro secondo la dottrina dell’Economia degli Alti Salari.

Trump, invece, propone tariffe per sostituire le imposte sul reddito, favorendo i ricchi e privatizzando le infrastrutture, senza affrontare l’alto costo della vita e l’indebitamento che ostacolano l’industria americana.

Il decollo industriale americano.

Il successo industriale degli Stati Uniti post-Guerra Civile si basava su un’economia mista pubblico-privata, opposta alle teorie del libero mercato.

 Le tariffe proteggevano l’industria, ma erano secondarie rispetto agli investimenti pubblici in infrastrutture, considerate un “quarto fattore di produzione” (Simon Patten).

 Fornendo servizi di base (trasporti, comunicazioni) a prezzi bassi, il governo riduceva i costi per il settore privato.

La regolamentazione impediva rendite monopolistiche, mentre il sistema bancario nazionale finanziava la crescita industriale, superando la dipendenza dall’oro.

La politica fiscale tassava la rendita economica (rendite fondiarie, monopolistiche, finanziarie), considerata un reddito non guadagnato, lasciando il lavoro e l’industria esenti.

L’imposta sul reddito del 1913 colpiva solo il 2% più ricco, gravando su rendite finanziarie e immobiliari.

La finanziarizzazione neoliberista.

Dagli anni ’80, il neoliberismo ha invertito queste dinamiche.

L’aumento dei costi di abitazioni, sanità e istruzione ha schiacciato il reddito dei lavoratori, mentre il debito privato (mutui, prestiti studenteschi, carte di credito) è esploso.

 Il costo delle case assorbe il 43% del reddito familiare, rispetto al 25% standard, e il debito sanitario causa bancarotte.

 Ciò rende il lavoro americano non competitivo globalmente, poiché i salari devono coprire oneri crescenti.

 Le aziende usano i profitti per ripagare debiti o distribuire dividendi, non per investire in innovazione.

 La privatizzazione di monopoli naturali (trasporti, comunicazioni) ha aumentato i costi, e la deregolamentazione ha favorito il settore finanziario, che presta per acquisire beni esistenti (immobili, aziende), gonfiando i prezzi e caricando l’economia di debiti.

L’onere fiscale si è spostato dal capitale al lavoro, favorendo plusvalenze finanziarie rispetto ai profitti industriali, polarizzando la ricchezza: il 10% più ricco prospera, il 90% si impoverisce.

Il confronto con la Cina.

La Cina, al contrario, segue un modello simile a quello americano del XIX secolo, sovvenzionando bisogni di base (istruzione, sanità, trasporti) e mantenendo il settore bancario pubblico per finanziare l’industria a basso costo.

Ciò consente salari più alti senza compromettere la competitività, grazie a un basso costo della vita.

La Cina contrasta l’accumulo di fortune private che influenzano la politica, evitando la finanziarizzazione.

Questo attivismo statale, criticato dagli Stati Uniti come “autocrazia”, ha impedito l’emergere di un’oligarchia rentier, mantenendo l’economia produttiva.

L’Età Dorata e il piano di Trump.

Trump idealizza l’Età Dorata per la ricchezza dei “baroni rapinatori”, ignorando che derivava da monopoli non regolamentati e rendite non tassate, non da una strategia industriale.

 La legislazione antitrust e l’imposta sul reddito del 1913 contrastarono queste distorsioni.

Trump propone tariffe pagate dai consumatori per detassare i ricchi, ma ciò non affronta le cause della deindustrializzazione (costo della vita, debito) e aggraverà l’inflazione e i licenziamenti.

 La sua politica protegge un’industria obsoleta e finanziarizzata, non promuove la reindustrializzazione.

Effetti economici delle tariffe.

Le tariffe di Trump, annunciate il 3 aprile, interromperanno il commercio, causando licenziamenti e inflazione.

 L’incertezza dei negoziati bilaterali ha spinto Cina e altri Paesi a ridurre le esportazioni di materie prime e componenti essenziali per l’industria americana.

Le aziende straniere evitano di investire negli Stati Uniti per timore di imposizioni future.

 Le tariffe aumentano il costo della vita, rendendo il lavoro americano ancora meno competitivo, senza risolvere l’indebitamento e i costi elevati di abitazioni e sanità.

Senza liberare l’economia dalla rendita rentier, la reindustrializzazione è impossibile e l’economia rischia la depressione.

Implicazioni geopolitiche.

La strategia di Trump isola gli Stati Uniti, accelerando la de-dollarizzazione e spingendo Paesi asiatici e latinoamericani a creare mercati commerciali alternativi.

Questo segna un passo verso l’auto-isolamento economico dell’America, che perde competitività.

Hudson paragona Trump a Creso, il re lidio che distrusse il proprio impero per arroganza.

 Le tariffe minano la fiducia nel dollaro e interrompono le catene di approvvigionamento, danneggiando l’industria statunitense.

Conclusione.

Hudson contrappone il programma industriale del XIX secolo (investimenti pubblici, regolamentazione, tariffe protettive) al neoliberismo di Trump (privatizzazioni, deregolamentazione, tagli fiscali per i ricchi).

 Le tariffe, senza una strategia per ridurre i costi della vita e la rendita, proteggeranno un’industria finanziarizzata, portando a una depressione per il 90% della popolazione.

Il programma di Trump, pur motivato dal desiderio di reindustrializzare, fallirà, aggravando la polarizzazione economica e geopolitica.

 

Articolo originale.

 

La politica tariffaria di Donald Trump ha gettato i mercati in subbuglio sia tra i suoi alleati che tra i suoi nemici.

Questa anarchia riflette il fatto che il suo obiettivo principale non era una vera e propria politica tariffaria, ma semplicemente tagliare le imposte sul reddito dei ricchi, sostituendole con le tariffe come principale fonte di entrate statali.

L’ottenimento di concessioni economiche da altri Paesi è una parte della sua giustificazione per questo cambiamento fiscale, in quanto offre un vantaggio nazionalistico per gli Stati Uniti.

La sua storia di copertura, e forse anche la sua convinzione, è che le tariffe da sole sarebbero in grado di rilanciare l’industria americana.

Ma non ha alcun piano per affrontare i problemi che hanno causato la deindustrializzazione dell’America.

Non c’è nessun riconoscimento di ciò che aveva consentito il successo del programma industriale originale degli Stati Uniti e della maggior parte delle altre nazioni.

 

Quel programma si basava su infrastrutture pubbliche, investimenti industriali privati in crescita, salari protetti da tariffe e una forte regolamentazione governativa.

La politica “taglia e brucia” di Trump è l’opposto:

 ridimensionare il governo, indebolire la regolamentazione pubblica e svendere le infrastrutture pubbliche per contribuire a pagare i tagli alle imposte sul reddito della sua classe dirigente.

Questo non è altro che il programma neoliberista sotto un’altra veste.

 Trump lo presenta come un sostegno all’industria, non come la sua antitesi.

La sua mossa non è affatto un piano industriale, ma un gioco di potere per ottenere concessioni economiche da altri Paesi, riducendo al contempo le tasse sui redditi dei più ricchi.

 Il risultato immediato saranno licenziamenti, chiusura di aziende e inflazione dei prezzi al consumo.

 

Introduzione.

 

Il notevole decollo industriale dell’America dalla fine della Guerra Civile allo scoppio della Prima Guerra Mondiale ha sempre messo in imbarazzo gli economisti del libero mercato.

 Il successo degli Stati Uniti era il risultato di politiche esattamente opposte a quelle sostenute dall’odierna ortodossia economica.

 Il contrasto non è solo quello tra tariffe protezionistiche e libero scambio.

Gli Stati Uniti avevano creato un’economia mista pubblico-privata in cui gli investimenti in infrastrutture pubbliche erano intesi come “quarto fattore di produzione”, non per essere gestiti come un’azienda a scopo di lucro, ma per fornire servizi di base a prezzi minimi in modo da sovvenzionare il costo della vita e dell’attività del settore privato.

 

La logica alla base di queste politiche era stata formulata già negli anni Venti del XIX secolo nel “Sistema Americano “di “Henry Clay”, che prevedeva tariffe protettive, miglioramenti interni (investimenti pubblici nei trasporti e in altre infrastrutture di base) e banche nazionali volte a finanziare lo sviluppo industriale.

Per guidare l’industrializzazione della nazione era nata emersa una “Scuola Americana di Economia Politica “basata sulla dottrina dell’”Economia degli Alti Salari”, volta a promuovere la produttività del lavoro attraverso l’innalzamento del tenore di vita e programmi pubblici di sussidio e sostegno.

 

Queste non sono le politiche consigliate dai Repubblicani e dai Democratici di oggi. Se la Reaganomics, il Thatcherismo e i ragazzi del libero mercato di Chicago avessero guidato la politica economica americana alla fine del XIX secolo, gli Stati Uniti non avrebbero raggiunto il loro dominio industriale.

 Non sorprende quindi che la logica protezionistica e degli investimenti pubblici che aveva guidato l’industrializzazione americana sia stata cancellata dalla storia degli Stati Uniti.

Non ha alcun ruolo nella falsa narrativa di “Donald Trump” volta a promuovere l’abolizione delle imposte progressive sul reddito, il ridimensionamento del governo e la privatizzazione dei suoi beni.

 

Ciò che Trump ammira della politica industriale americana del XIX secolo è l’assenza di un’imposta progressiva sul reddito e il finanziamento del governo principalmente attraverso le entrate tariffarie.

Questo gli ha fatto venire l’idea di sostituire la tassazione progressiva sul reddito che ricade sulla sua classe di donatori – l’1% che non pagava alcuna imposta sul reddito prima della sua entrata in vigore nel 1913 – con tariffe che ricadano solo sui consumatori (cioè sul lavoro).

 Davvero una nuova età dell’oro!

 

Nel guardare con favore all’assenza di una tassazione progressiva del reddito all’epoca del suo eroe, “William McKinley” (eletto presidente nel 1896 e nel 1900), Trump ammira l’eccesso economico e la disuguaglianza dell’Età Dorata.

 Tale disuguaglianza è stata ampiamente criticata come distorsione dell’efficienza economica e del progresso sociale.

Per contrastare la ricerca di ricchezza corrosiva e vistosa che causava la distorsione, nel 1890 il Congresso aveva approvato la legge “Sherman Anti-Trust”, “Teddy Roosevelt” aveva proseguito con lo smantellamento dei monopoli ed era stata approvata un’imposta sul reddito assai progressiva che ricadeva quasi interamente sui redditi finanziari e immobiliari dei rentier e sulle rendite di monopolio.

 

Trump sta quindi promuovendo una narrazione semplicistica e del tutto falsa di ciò che aveva reso così di successo la politica di industrializzazione dell’America del XIX secolo.

 Per lui, ciò che è grande è la parte “dorata” della “Gilded Age”, non il suo decollo industriale e socialdemocratico guidato dallo Stato.

La sua panacea è che le tariffe sostituiscano le imposte sul reddito, insieme alla privatizzazione di ciò che resta delle funzioni del governo.

La riduzione della tassazione e la regolamentazione da parte del governo darebbe a una nuova serie di magnati senza scrupolo la possibilità di arricchirsi ulteriormente e abbasserebbe il deficit di bilancio vendendo ciò che rimane dei beni dello Stato, dalle terre dei parchi nazionali al servizio postale e ai laboratori di ricerca.

Le politiche chiave che hanno portato al decollo industriale dell’America.

 

Le tariffe doganali da sole non erano state sufficienti a creare il decollo industriale dell’America, né quello della Germania e di altre nazioni che cercavano di sostituire e superare il monopolio industriale e finanziario della Gran Bretagna.

 La chiave era stata l’utilizzo delle entrate tariffarie per sovvenzionare gli investimenti pubblici, in combinazione con il potere normativo e soprattutto la politica fiscale, per ristrutturare l’economia su molti fronti e plasmare l’organizzazione lavoro e del capitale.

L’obiettivo principale era quello di aumentare la produttività del lavoro.

 Ciò richiedeva una forza lavoro sempre più qualificata, che necessitava di un aumento del tenore di vita, dell’istruzione, di condizioni di lavoro sane, della protezione dei consumatori e di una regolamentazione che assicurasse alimenti sicuri.

La dottrina dell’economia degli alti salari riconosceva che una manodopera ben istruita, sana e ben nutrita poteva essere più competitiva della “manodopera sottopagata”.

 

Il problema è che i datori di lavoro hanno sempre cercato di aumentare i loro profitti lottando contro la richiesta di salari più alti da parte dei lavoratori.

 Il decollo industriale dell’America aveva risolto questo problema riconoscendo che il tenore di vita dei lavoratori è il risultato non solo dei livelli salariali, ma anche del costo della vita.

Nella misura in cui gli investimenti pubblici finanziati dalle entrate tariffarie potevano pagare il costo della fornitura dei bisogni di base, il tenore di vita e la produttività del lavoro potevano aumentare senza che gli industriali subissero un calo dei profitti.

 

I principali bisogni fondamentali erano l’istruzione gratuita, il sostegno alla sanità pubblica e i servizi sociali affini.

 Erano stati fatti anche investimenti pubblici in infrastrutture di trasporto (canali e ferrovie), comunicazioni e altri servizi di base, i cosiddetti monopoli naturali, per evitare che si trasformassero in feudi privati con rendite monopolistiche a spese dell’economia in generale.

“Simon Patten”, il primo professore americano di economia presso la sua prima scuola di economia (la” Wharton School” dell’Università della Pennsylvania), aveva definito gli investimenti pubblici in infrastrutture un “quarto fattore di produzione.”  

A differenza del capitale privato, l’obiettivo non era quello di realizzare un profitto, né tanto meno di massimizzare i prezzi al massimo sopportabile dal mercato.

Lo scopo era quello di fornire servizi pubblici a tariffa agevolata o addirittura gratuitamente.

 

A differenza della tradizione europea, gli Stati Uniti avevano lasciato molti servizi di base in mani private, ma li avevano regolamentati per evitare l’estrazione di rendite monopolistiche.

 Gli imprenditori sostenevano questa economia mista pubblico-privata, ritenendo che sovvenzionasse un’economia a basso costo, aumentando così il suo (e il loro) vantaggio competitivo nell’economia internazionale.

 

Il servizio pubblico più importante, ma anche il più difficile da introdurre, era il sistema monetario e finanziario necessario per fornire credito sufficiente a finanziare la crescita industriale della nazione.

La creazione di credito cartaceo privato e/o pubblico richiedeva la sostituzione della stretta dipendenza dall’oro come moneta.

 L’oro era rimasto a lungo la base per il pagamento dei dazi doganali al Tesoro, che lo sottraeva all’economia generale, limitandone la disponibilità per il finanziamento dell’industria.

 Gli industriali sostenevano la necessità di abbandonare l’eccessiva dipendenza dall’oro con la creazione di un sistema bancario nazionale che fornisse una sovrastruttura di credito cartaceo per finanziare la crescita industriale.

 

L’economia politica classica vedeva nella politica fiscale la leva più importante per orientare l’allocazione delle risorse e del credito verso l’industria.

Il suo principale obiettivo politico era quello di minimizzare la rendita economica (l’eccesso dei prezzi di mercato rispetto al valore intrinseco dei costi) liberando i mercati dal reddito dei rentier sotto forma di rendita fondiaria, rendita monopolistica, interessi e commissioni finanziarie.

Da “Adam Smith” a “David Ricardo”, da “John Stuart Mill” a “Marx” e ad altri socialisti, la teoria classica del valore definiva tale rendita economica come un reddito non guadagnato, estratto senza contribuire alla produzione e quindi un prelievo non necessario sulla struttura dei costi e dei prezzi dell’economia.

Le tasse sui profitti industriali e sui salari del lavoro si aggiungevano al costo di produzione e quindi dovevano essere evitate, mentre la rendita fondiaria, la rendita monopolistica e i guadagni finanziari dovevano essere tassati, oppure la terra, i monopoli e il credito potevano essere semplicemente nazionalizzati e resi di pubblico dominio per abbassare i costi di accesso ai beni immobili e ai servizi monopolistici e ridurre gli oneri finanziari.

 

Queste politiche basate sulla distinzione classica tra costo-valore intrinseco e prezzo di mercato sono ciò che aveva reso il capitalismo industriale così rivoluzionario.

La liberazione delle economie dal reddito da rendita attraverso la tassazione della rendita economica mirava a ridurre al minimo il costo della vita e degli affari, oltre a minimizzare il dominio politico di un’élite di potere finanziario e padronale.

Quando, nel 1913, gli Stati Uniti avevano imposto la prima tassa progressiva sul reddito, solo il 2% degli americani aveva un reddito abbastanza alto da richiedere una dichiarazione dei redditi.

 La stragrande maggioranza dell’imposta del 1913 ricadeva sulle rendite degli interessi finanziari e immobiliari e sulle rendite di monopolio dei trust organizzati dal sistema bancario.

 

Come la politica neoliberista dell’America ha invertito la sua precedente dinamica industriale.

 

Dal decollo del periodo neoliberista negli anni ’80, il reddito disponibile della manodopera statunitense è stato schiacciato dagli alti costi dei bisogni primari, mentre il costo della vita l’ha estromessa dai mercati mondiali.

Questa non è la stessa cosa di un’economia ad alti salari.

 Si tratta di un rastrellamento dei salari per pagare le varie forme di rendita economica che hanno proliferato e distrutto la struttura dei costi dell’America, un tempo competitiva.

I 331.000 dollari che sono la produzione economica odierna per una famiglia di quattro persone non vengono spesi principalmente per i prodotti o i servizi prodotti dai salariati.

Sono perlopiù assorbiti dal settore finanziario, assicurativo e immobiliare (FIRE) e dai monopoli al vertice della piramide economica.

 

Il peso dei debiti accumulati dal settore privato (aziende e individui) sta causando due problemi principali:

1. I salari non migliorano il loro tenore di vita dei lavoratori, perché una grossa fetta del denaro guadagnato viene usata per pagare debiti (come mutui, prestiti o carte di credito) invece di essere spesa per beni, servizi o risparmi.

2. I profitti delle aziende non vengono reinvestiti in cose concrete, come nuove fabbriche, macchinari, ricerca o innovazione. Invece, le aziende usano i loro guadagni per ripagare debiti o per altre spese finanziarie, rallentando il progresso industriale.

Inflazionato dal credito bancario e dall’aumento del rapporto debito/reddito, per gli acquirenti statunitensi il costo indicativo della casa è salito al 43% del loro reddito, ben oltre il 25% standard di un tempo.

La” Federal Housing Authority” assicura i mutui per garantire che le banche che seguono questa linea guida non perdano denaro, anche se gli arretrati e le inadempienze stanno raggiungendo i massimi storici.

 I tassi di proprietà delle case erano scesi da oltre il 69% nel 2005 a meno del 63% nell’ondata di pignoramenti di “Obama” dopo la crisi dei mutui spazzatura del 2008.

 Gli affitti e i prezzi delle case sono aumentati costantemente (soprattutto durante il periodo in cui la Federal Reserve ha mantenuto i tassi d’interesse deliberatamente bassi per gonfiare i prezzi degli asset a sostegno del settore finanziario, e mentre il capitale privato acquistava case che i salariati non potevano permettersi), rendendo l’abitazione di gran lunga l’onere maggiore sul reddito da lavoro dipendente.

 

Stanno esplodendo anche i debiti studenteschi arretrati, contratti per laurearsi e ottenere un lavoro più remunerativo, e, in molti casi, per i debiti fatti per acquistare l’auto, necessaria per raggiungere il posto di lavoro.

A questo si aggiunge il debito con le carte di credito che si accumula solo per far quadrare i conti.

La disastrosa assicurazione medica privatizzata assorbe oggi il 18% del PIL degli Stati Uniti, eppure il debito sanitario è diventato una delle principali cause di bancarotta personale.

Tutto questo non è altro che l’inverso di quanto previsto dalla politica originaria dell’Economia degli Alti Salari per l’industria americana.

Questa finanziarizzazione neoliberale – la proliferazione degli oneri da rendita, l’inflazione dei costi degli alloggi e della sanità e la necessità di vivere a credito al di là dei propri guadagni – ha due effetti.

 Il più evidente è che la maggior parte delle famiglie americane dal 2008 non riesce ad aumentare i propri risparmi e vive di stipendio in stipendio.

Il secondo effetto è che, con i datori di lavoro obbligati a pagare la loro forza lavoro abbastanza da sostenere questi oneri, il salario di sussistenza per il lavoro americano è salito così tanto al di sopra di quello di ogni altra economia nazionale che non c’è modo che l’industria americana possa competere con quella dei Paesi stranieri.

 

La privatizzazione e la deregolamentazione dell’economia statunitense hanno obbligato i datori di lavoro e i lavoratori a sostenere i costi di rendita, tra cui l’aumento dei prezzi degli alloggi e l’incremento del debito, che sono parte integrante delle attuali politiche neoliberiste.

 La perdita di competitività industriale che ne deriva è il principale ostacolo alla sua reindustrializzazione.

Dopotutto, sono stati proprio questi oneri da rendita a deindustrializzare l’economia, rendendola meno competitiva sui mercati mondiali e stimolando la delocalizzazione dell’industria, aumentando i costi dei bisogni primari e delle attività commerciali.

Il pagamento di tali tariffe restringe anche il mercato interno, riducendo la capacità della manodopera di acquistare ciò che produce.

La politica tariffaria di Trump non fa nulla per affrontare questi problemi, ma li aggraverà accelerando l’inflazione dei prezzi.

 

È improbabile che la situazione cambi a breve termine, perché i beneficiari delle attuali politiche neoliberiste – i destinatari di questi oneri di rendita che gravano sull’economia statunitense – sono diventati la classe politica dei donatori miliardari.

 Per aumentare e rendere irreversibili le sue rendite e i suoi guadagni di capitale, questa oligarchia risorgente sta facendo pressione per privatizzare e svendere ulteriormente il settore pubblico, invece di fornire servizi sovvenzionati per soddisfare a costi minimi le esigenze di base dell’economia.

 I più grandi servizi pubblici che sono stati privatizzati sono monopoli naturali – ed è per questo che, in primo luogo, erano stati mantenuti di dominio pubblico (proprio, per evitare l’estrazione di rendite monopolistiche).

 

La pretesa è che la proprietà privata alla ricerca di profitti sia un incentivo ad aumentare l’efficienza.

La realtà è che i prezzi di quelli che prima erano servizi pubblici vengono aumentati in base a ciò che il mercato può sopportare per i trasporti, le comunicazioni e altri settori privatizzati.

Si attende con ansia il destino delle Poste americane che il Congresso sta cercando di privatizzare.

Né l’aumento della produzione né la riduzione dei suoi costi sono l’obiettivo dell’odierna vendita di beni pubblici.

La prospettiva di possedere un monopolio privatizzato in grado di estrarre una rendita monopolistica ha portato i manager finanziari a prendere in prestito il denaro per acquistare queste aziende, aggiungendo il pagamento del debito alla loro struttura dei costi.

 I manager iniziano poi a vendere i beni immobili delle aziende per ottenere rapidamente denaro contante che trasformano in dividendi speciali, riaffittando le proprietà di cui hanno bisogno per operare.

Il risultato è un monopolio ad alto costo, fortemente indebitato e con profitti in calo.

Questo è il modello neoliberale, dalla privatizzazione della” Thames Water” in Inghilterra alla finanziarizzazione privata di ex aziende industriali come la “General Electric e la Boeing”.

 

A differenza del decollo del capitalismo industriale del XIX secolo, l’obiettivo dei privatizzatori nell’attuale epoca post-industriale del capitalismo finanziario da rendita è quello di realizzare plusvalenze sui titoli delle imprese (un tempo pubbliche) che sono state privatizzate, finanziarizzate e deregolamentate.

 Un obiettivo finanziario simile viene perseguito nell’arena privata, dove la politica è quella di sostituire la spinta agli utili aziendali con la realizzazione di plusvalenze azionarie, obbligazioni e immobili.

La grande maggioranza delle azioni e delle obbligazioni è di proprietà del 10% più ricco, non del 90% che sta sotto.

Mentre la ricchezza finanziaria del 10% è aumentata, il reddito personale disponibile della maggioranza (dopo aver pagato le tasse sulla rendita) si è ridotto

. Con l’attuale capitalismo finanziario, l’economia va contemporaneamente in due direzioni:

verso il basso per il settore della produzione di beni industriali, verso l’alto per i crediti finanziari e di altro tipo sul lavoro e sul capitale di questo settore.

 

L’economia mista pubblico-privato che in passato aveva fatto crescere l’industria americana riducendo al minimo il costo della vita e del lavoro è stata invertita da quello che è il gruppo elettorale più influente di Trump (e anche dei Democratici, a dire il vero):

l’1% più ricco, che continua a far marciare le sue truppe sotto la bandiera libertaria del Thatcherismo, della Reaganomics e degli ideologi antigovernativi di Chicago (cioè antioperai).

 Essi accusano le imposte progressive sul reddito e sul patrimonio, gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche e il ruolo regolatorio del governo per prevenire comportamenti economici predatori e la polarizzazione, di essere intrusioni nel “libero mercato”.

 

La domanda, ovviamente, è: “libero per chi”?

Quello che intendono è un mercato libero per i ricchi di estrarre rendite economiche.

 Ignorano sia la necessità di tassare o minimizzare in altro modo la rendita economica per raggiungere la competitività industriale, sia il fatto che tagliare le tasse sul reddito dei ricchi – e poi insistere sul pareggio del bilancio pubblico come quello di una famiglia che deve evitare di indebitarsi ancora di più – affama l’economia perché le sottrae il potere d’acquisto del pubblico.

Senza una spesa pubblica netta, l’economia è costretta a rivolgersi alle banche per ottenere finanziamenti, i cui prestiti a interesse crescono esponenzialmente, escludendo la spesa per beni e servizi reali.

 Ciò intensifica la compressione dei salari descritta in precedenza e la dinamica della deindustrializzazione.

 

Un effetto fatale di tutti questi cambiamenti è stato che il capitalismo, invece di industrializzare il sistema bancario e finanziario come ci si aspettava nel XIX secolo, ha finanziato l’industria.

 Il settore finanziario non ha destinato il proprio credito al finanziamento di nuovi mezzi di produzione, ma all’acquisizione di beni già esistenti, soprattutto immobili e aziende esistenti.

In questo modo, i beni vengono caricati di debiti e si gonfiano i guadagni in conto capitale, poiché il settore finanziario presta denaro per far salire i prezzi dei beni.

 

Questo aumento della ricchezza finanziarizzata si aggiunge alle spese generali dell’economia non solo sotto forma di debito, ma anche sotto forma di prezzi di acquisto più alti (gonfiati dal credito bancario) per gli immobili e le imprese industriali e di altro tipo.

Coerentemente con il suo piano aziendale di realizzare guadagni in conto capitale, il settore finanziario ha cercato di non tassare tali guadagni.

Ha anche assunto la guida nel sollecitare tagli alle imposte sugli immobili, in modo da lasciare che una parte maggiore del valore crescente delle abitazioni e degli edifici per uffici – la loro rendita di posizione – venisse data in pegno alle banche, invece di servire come base imponibile principale per i sistemi fiscali locali e nazionali, come richiesto dagli economisti classici per tutto il diciannovesimo secolo.

 

Il risultato è stato il passaggio da una tassazione progressiva a una regressiva.

I redditi da capitale e le plusvalenze finanziate dal debito non sono stati tassati e l’onere fiscale è stato spostato sul lavoro e sull’industria.

 È questo spostamento fiscale che ha incoraggiato i manager finanziari delle imprese a sostituire la ricerca di profitti aziendali con la realizzazione di plusvalenze, come descritto in precedenza.

 

Quella che prometteva di essere un’armonia di interessi per tutte le classi – raggiungibile aumentando la propria ricchezza attraverso l’indebitamento e l’aumento dei prezzi delle case e degli altri beni immobili, delle azioni e delle obbligazioni – si è trasformata in una guerra di classe.

 Ora è molto più della guerra di classe del XIX secolo del capitale industriale contro il lavoro.

 La forma postmoderna di guerra di classe è quella del capitale finanziario contro il lavoro e l’industria.

 I datori di lavoro sfruttano ancora il lavoro cercando di ottenere profitti pagando il lavoro meno del prezzo del prodotto finito.

Ma il lavoro è sempre più sfruttato dal debito: il debito ipotecario (con il credito “facile” che alimenta l’inflazione del costo degli alloggi), il debito studentesco, il debito automobilistico e il debito delle carte di credito, necessario per far fronte al costo della vita.

 

Il fatto di dover pagare questi debiti aumenta il costo del lavoro per i datori di lavoro industriali, limitando la loro capacità di realizzare profitti.

 E (come indicato in precedenza) è proprio questo sfruttamento dell’industria (e di fatto dell’intera economia) da parte del capitale finanziario e di altri rentiers che ha stimolato la delocalizzazione dell’industria e la deindustrializzazione degli Stati Uniti e delle altre economie occidentali che hanno seguito lo stesso percorso politico.

 

In netto contrasto con la deindustrializzazione occidentale è il decollo industriale della Cina.

Oggi il tenore di vita in Cina è, per gran parte della popolazione, praticamente pari a quello degli Stati Uniti.

Questo è il risultato della politica del governo cinese di fornire sostegno pubblico ai datori di lavoro industriali, sovvenzionando i bisogni di base (ad esempio, l’istruzione e l’assistenza medica) e i trasporti pubblici ad alta velocità, le metropolitane locali e altri mezzi di trasporto, le comunicazioni ad alta tecnologia e altri beni di consumo, insieme ai sistemi di pagamento.

L’aspetto più importante è che la Cina ha mantenuto il settore bancario e la creazione di credito nel dominio pubblico come servizio di pubblica utilità.

 Questa è la politica chiave che le ha permesso di evitare la finanziarizzazione che ha deindustrializzato gli Stati Uniti e le altre economie occidentali.

La grande ironia è che la politica industriale cinese è notevolmente simile a quella del decollo industriale americano del XIX secolo.

 Il governo cinese, come appena detto, ha finanziato le infrastrutture di base e le ha mantenute di dominio pubblico, fornendo i suoi servizi a prezzi bassi per mantenere la struttura dei costi dell’economia il più bassa possibile.

 L’aumento dei salari e del tenore di vita in Cina ha trovato la sua controparte nell’aumento della produttività del lavoro.

 

In Cina ci sono miliardari, ma non sono visti come eroi e modelli di come l’economia in generale dovrebbe cercare di svilupparsi.

L’accumulo di grandi fortune, come quelle che hanno caratterizzato l’Occidente e creato la sua classe politica dei donatori, è stato contrastato da sanzioni politiche e morali contro l’uso della ricchezza personale per ottenere il controllo della politica economica pubblica.

 

Questo attivismo governativo cinese che la retorica statunitense denuncia come “autocrazia” è riuscito a fare ciò che le democrazie occidentali non hanno fatto: impedire l’emergere di un’oligarchia rentier finanziarizzata che usa la sua ricchezza per comprare il controllo del governo e si impadronisce dell’economia privatizzando le funzioni governative e promuovendo i propri guadagni indebitando il resto dell’economia con sé stessa e smantellando la politica di regolamentazione pubblica.

Che cos’era l’Età Dorata che Trump spera di far risorgere?

Trump e i Repubblicani hanno posto un obiettivo politico al di sopra di tutti gli altri:

tagliare le tasse, soprattutto la tassazione progressiva che ricade principalmente sui redditi più alti e sulla ricchezza personale.

 Sembra che, a un certo punto, Trump abbia chiesto a qualche economista se esistesse un modo alternativo per i governi di finanziarsi.

Qualcuno deve averlo informato che, dall’indipendenza americana fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, la forma di gran lunga dominante di entrate governative è stata quella delle entrate doganali derivanti dalle tariffe.

 

È facile capire la lampadina che si è accesa nel cervello di Trump.

Le tariffe non ricadono sulla sua classe di miliardari immobiliari, finanziari e monopolisti, ma principalmente sul lavoro (e anche sull’industria, per l’importazione di materie prime e parti necessarie).

 

Il 3 aprile, nel presentare le sue enormi e inedite tariffe, Trump ha promesso che i dazi, da soli, avrebbero reindustrializzato l’America, creando una barriera protettiva e consentendo al Congresso di ridurre le tasse sugli americani più ricchi, che, a quanto pare, saranno così incentivati a “ricostruire” l’industria americana.

È come se dare più ricchezza ai manager finanziari che hanno deindustrializzato l’economia americana permettesse in qualche modo di ripetere il decollo industriale che aveva raggiunto il suo apice negli anni Novanta del XIX secolo sotto “William McKinley”.

 

Ciò che la narrazione di Trump tralascia è che [all’epoca di McKinley] le tariffe erano solo il prerequisito per il sostentamento dell’industria da parte del governo in un’economia mista pubblica/privata in cui il governo modellava i mercati in modo da minimizzare il costo della vita e delle attività.

Questo sostegno pubblico è ciò che aveva dato all’America del XIX secolo il suo vantaggio competitivo a livello internazionale.

Ma, dato che l’obiettivo economico principale di Trump è quello di non tassare sé stesso e il suo elettorato politico più influente, ciò che lo attrae di più è semplicemente il fatto che il governo non aveva ancora un’imposta sul reddito.

 

Ciò che attrae Trump è anche la grande ricchezza di una classe di baroni rapinatori, nei cui ranghi può facilmente immaginarsi come in un romanzo storico.

 Ma questa auto-indulgente coscienza di classe non vede come le proprie spinte al reddito e alla ricchezza predatoria distruggano l’economia circostante, mentre fantastica che i baroni rapinatori abbiano fatto fortuna essendo i grandi organizzatori e motori dell’industria.

Non sa che la “Gilded Age” non era nata come parte della strategia industriale di successo dell’America, ma perché non erano stati ancora regolamentati i monopoli e tassati i redditi dei rentier.

 Le grandi fortune erano state rese possibili dalla mancata regolamentazione dei monopoli e dalla mancata tassazione della rendita economica.

La Storia delle grandi fortune americane di “Gustavus Myers” racconta la storia di come i monopoli ferroviari e immobiliari fossero stati creati a spese dell’economia in generale.

 

La legislazione antitrust americana era stata promulgata per affrontare questo problema e l’imposta sul reddito originale del 1913 si applicava solo al 2% più ricco della popolazione.

Come già detto, essa gravava principalmente sulla ricchezza finanziaria e immobiliare e sui monopoli – interessi finanziari, rendita fondiaria e rendita monopolistica – e non sul lavoro o sulla maggior parte delle imprese.

Al contrario, il piano di Trump prevede di sostituire la tassazione delle classi più ricche di rentier con tariffe pagate principalmente dai consumatori americani.

Per condividere la sua convinzione che la prosperità nazionale possa essere raggiunta attraverso il favoritismo fiscale per la sua classe di donatori, detassando i loro redditi da capitale, [dal suo punto di vista] è necessario bloccare la consapevolezza che una tale politica fiscale impedirà la reindustrializzazione dell’America che egli afferma di volere.

 

L’economia statunitense non può reindustrializzarsi senza essere liberata dal reddito da capitale.

 

Gli effetti più immediati della politica tariffaria di Trump saranno la disoccupazione come risultato dell’interruzione del commercio (oltre alla disoccupazione derivante dai tagli del suo DOGE all’occupazione pubblica) e l’aumento dei prezzi al consumo per una forza lavoro già schiacciata dagli oneri finanziari, assicurativi e immobiliari che deve sostenere come prima voce di spesa del reddito salariale.

Gli arretrati sui mutui ipotecari, sui prestiti auto e sulle carte di credito sono già a livelli storicamente elevati, e più della metà degli americani non ha alcun risparmio netto – e dichiara ai sondaggisti di non essere in grado di far fronte a un’emergenza che richieda una spesa immediata di 400 dollari.

Non è possibile che il reddito personale disponibile aumenti in queste circostanze. E non c’è modo che la produzione americana possa evitare di essere interrotta dalle perturbazioni commerciali e dai licenziamenti che saranno causati dalle enormi barriere tariffarie minacciate da Trump, almeno fino alla conclusione dei suoi negoziati Paese per Paese per strappare concessioni economiche in cambio del ripristino di un accesso più normale al mercato americano.

Anche se Trump ha annunciato una pausa di 90 giorni durante la quale le tariffe saranno ridotte al 10% per i Paesi che hanno manifestato la volontà di negoziare in tal senso, ha aumentato le tariffe sulle importazioni cinesi al 145%.

 

Cina e altri Paesi e aziende straniere hanno già smesso di esportare materie prime e componenti necessari all’industria americana.

 Per molte aziende sarà troppo rischioso riprendere gli scambi fino a quando l’incertezza che circonda questi negoziati politici non sarà risolta.

 Si può prevedere che alcuni Paesi utilizzeranno questo periodo di transizione per trovare alternative al mercato statunitense (compresa la produzione per il mercato interno).

 

Per quanto riguarda la speranza di Trump di persuadere le aziende straniere a trasferire le loro fabbriche negli Stati Uniti, queste aziende rischiano, come investitori stranieri, di avere una spada di Damocle sulle loro teste.

A tempo debito Trump potrebbe semplicemente insistere affinché vendano la loro affiliata americana agli investitori nazionali statunitensi, come aveva chiesto alla Cina di fare con TikTok.

Il problema più importante, ovviamente, è che l’aumento dell’indebitamento dell’economia americana, i costi dell’assicurazione sanitaria e delle abitazioni hanno già fatto uscire la manodopera statunitense e i prodotti che essa produce dai mercati mondiali.

La politica tariffaria di Trump non risolverà questo problema.

Anzi, le sue tariffe, aumentando i prezzi al consumo, aggraveranno il problema aumentando ulteriormente il costo della vita e quindi il costo del lavoro americano.

 

Invece di sostenere la ricrescita dell’industria statunitense, i dazi e le altre politiche fiscali di Trump avranno l’effetto di proteggere e sovvenzionare l’obsolescenza e la deindustrializzazione finanziarizzata.

Senza ristrutturare l’economia rentier finanziarizzata per riportarla verso il piano aziendale originale del capitalismo industriale con mercati liberati dalla rendita rentier, come sostenuto dagli economisti classici e dalle loro distinzioni tra valore e prezzo, e quindi tra rendita e profitto industriale, il suo programma non riuscirà a reindustrializzare l’America.

Anzi, rischia di spingere l’economia statunitense verso la depressione, e questo per il 90% della popolazione.

 

Ci troviamo quindi di fronte a due filosofie economiche opposte.

Da un lato c’è il programma industriale originale che avevano seguito gli Stati Uniti e la maggior parte delle altre nazioni di successo.

Si tratta del classico programma basato su investimenti pubblici in infrastrutture e su una forte regolamentazione governativa, con salari in crescita protetti da tariffe che fornivano al pubblico entrate e opportunità di profitto per creare fabbriche e impiegare manodopera.

Trump non ha intenzione di ricreare un’economia di questo tipo.

Al contrario, sostiene la filosofia economica opposta:

ridimensionamento del governo, indebolimento della regolamentazione pubblica, privatizzazione delle infrastrutture pubbliche e abolizione delle imposte progressive sul reddito.

Questo è il programma neoliberale che ha aumentato la struttura dei costi dell’industria e ha polarizzato la ricchezza e il reddito tra creditori e debitori. Donald Trump travisa questo programma come un sostegno all’industria, non come la sua antitesi.

 

L’imposizione di tariffe, pur continuando il programma neoliberista, non farà altro che proteggere la senilità sotto forma di produzione industriale gravata da costi elevati per la manodopera a causa dell’aumento dei prezzi degli alloggi, delle assicurazioni mediche, dell’istruzione e dei servizi pubblici privatizzati che un tempo fornivano le necessità di base per le comunicazioni, i trasporti e altri bisogni primari a prezzi sovvenzionati invece che a rendite monopolistiche finanziarizzate.

 Sarà una falsa età d’oro.

 

Sebbene Trump possa essere sincero nel voler reindustrializzare l’America, il suo obiettivo principale è quello di tagliare le tasse alla sua classe di donatori, immaginando che i proventi delle tariffe possano essere sufficienti per questo.

 Ma gran parte del commercio si è già fermato.

 Nel momento in cui riprenderà un commercio più normale e si genereranno entrate tariffarie, si verificheranno licenziamenti diffusi, che porteranno la manodopera colpita a cadere ulteriormente in arretrati di debito, con l’economia americana in una posizione ancora peggiore per reindustrializzarsi.

 

La dimensione geopolitica.

Le trattative di Trump, Paese per Paese, per estorcere concessioni economiche in cambio del ripristino del loro accesso al mercato americano, porteranno senza dubbio alcuni Paesi a cedere a questa tattica coercitiva.

 In effetti, Trump ha annunciato che oltre 75 Paesi hanno contattato il governo americano per negoziare.

Ma alcuni Paesi asiatici e latinoamericani stanno già cercando un’alternativa all’arma della dipendenza commerciale degli Stati Uniti di estorcere concessioni. Questi Paesi stanno discutendo le possibilità di unirsi per creare un mercato commerciale reciproco con regole meno anarchiche.

 

Il risultato sarebbe che la politica di Trump diventerebbe l’ennesimo passo nella marcia della Guerra Fredda dell’America per isolarsi dalle relazioni commerciali e di investimento con il resto del mondo, potenzialmente anche con alcuni dei suoi satelliti europei.

Gli Stati Uniti rischiano di essere ricacciati su quello che per lungo tempo era stato considerato il loro più forte vantaggio economico: la capacità di essere autosufficienti in cibo, materie prime e lavoro.

Ma si sono già deindustrializzati e hanno poco da offrire agli altri Paesi, se non la promessa di non danneggiarli, di non interrompere il loro commercio e di non imporre loro sanzioni se accettano di lasciare che gli Stati Uniti siano i principali beneficiari della loro crescita economica.

 

L’arroganza dei leader nazionali che cercano di estendere il loro impero è antica, così come la loro nemesi, che di solito si rivela essere loro stessi.

Al suo secondo insediamento, Trump ha promesso una nuova età dell’oro.

 Erodoto (Storia, libro 1.53) racconta la storia di Creso, re della Lidia intorno al 585-546 a.C. in quella che oggi è la Turchia occidentale e la sponda ionica del Mediterraneo.

Creso conquistò Efeso, Mileto e i vicini regni di lingua greca, ottenendo tributi e bottini che lo resero uno dei sovrani più ricchi del suo tempo, famoso soprattutto per le sue monete d’oro.

 Ma queste vittorie e queste ricchezze lo portarono all’arroganza e alla superbia.

Creso volse lo sguardo verso est, con l’ambizione di conquistare la Persia, governata da Ciro il Grande.

 

Avendo donato al cosmopolita tempio di Delfi della regione ingenti quantità d’oro e d’argento, Creso chiese al suo oracolo se sarebbe riuscito nella conquista che aveva progettato.

La sacerdotessa della Pizia rispose: “Se vai in guerra contro la Persia, distruggerai un grande impero”.

 

Verso il 547 a.C. Creso partì ottimisticamente all’attacco della Persia Marciando verso est, attaccò la Frigia, Stato vassallo della Persia.

 Ciro organizzò un’operazione militare speciale per respingere Creso, sconfiggendo l’esercito di Creso, catturandolo e cogliendo l’occasione per impadronirsi dell’oro della Lidia e introdurre la propria moneta d’oro persiana.

Quindi Creso distrusse davvero un grande impero, ma era il suo.

 

Arriviamo a oggi.

Come Creso che sperava di ottenere le ricchezze di altri Paesi per la sua moneta d’oro, Trump spera che la sua aggressione commerciale globale possa permettere all’America di estorcere le ricchezze di altre nazioni e rafforzare il ruolo del dollaro come valuta di riserva contro le mosse difensive straniere, come la de-dollarizzazione e la creazione di piani alternativi per la conduzione del commercio internazionale e la detenzione di riserve estere.

Ma la posizione aggressiva di Trump ha ulteriormente minato la fiducia nel dollaro all’estero e sta causando gravi interruzioni nella catena di approvvigionamento dell’industria statunitense, bloccando la produzione e provocando licenziamenti in patria.

 

Gli investitori avevano sperato in un ritorno alla normalità quando il “Dow Jones Industrial Average” si era impennato dopo la sospensione dei dazi da parte di Trump, per poi crollare quando era apparso chiaro che avrebbe continuato a tassare tutti i Paesi al 10% (e la Cina a un proibitivo 145%).

Ora sta diventando evidente che la sua radicale interruzione del commercio non può essere invertita.

 

I dazi annunciati da Trump il 3 aprile, seguiti dalla dichiarazione che si trattava semplicemente della sua richiesta massima, da negoziare su base bilaterale Paese per Paese per ottenere concessioni economiche e politiche (soggette a ulteriori modifiche a discrezione di Trump), hanno sostituito l’idea tradizionale di un insieme di regole coerenti e vincolanti per tutti i Paesi.

 La sua richiesta che gli Stati Uniti siano “i vincitori” in ogni transazione ha cambiato il modo in cui il resto del mondo vede le relazioni economiche con gli Stati Uniti.

Sta emergendo una logica geopolitica completamente diversa che vorrebbe creare un nuovo ordine economico internazionale.

La Cina ha risposto con tariffe e controlli sulle esportazioni, mentre il suo commercio con gli Stati Uniti è congelato, potenzialmente paralizzato.

 Sembra improbabile che la Cina rimuova i controlli sulle esportazioni di molti prodotti essenziali per le catene di approvvigionamento statunitensi.

Altri Paesi sono alla ricerca di alternative alla loro dipendenza commerciale dagli Stati Uniti e si sta negoziando un riordino dell’economia globale, che comprende anche politiche difensive di de-dollarizzazione.

 Trump ha fatto un passo da gigante verso la distruzione di quello che era un grande impero.

 

Riferimenti.

 I tre fattori di produzione abituali sono il lavoro, il capitale e la terra. Ma questi fattori sono meglio considerati in termini di classi di percettori di reddito. I capitalisti e i lavoratori svolgono un ruolo produttivo, ma i proprietari terrieri ricevono un affitto senza produrre un servizio produttivo, poiché l’affitto della loro terra è un reddito non guadagnato che fanno “mentre dormono”.

 

 In contrasto con il sistema britannico di credito commerciale a breve termine e di un mercato azionario mirato a realizzare guadagni rapidi a spese del resto dell’economia, la Germania è andata oltre gli Stati Uniti nel creare una simbiosi tra governo, industria pesante e banche. I suoi economisti chiamarono la logica su cui si basava la teoria statale del denaro. Ne fornisco i dettagli in Killing the Host (2015, capitolo 7).

 

 La deindustrializzazione dell’America è stata anche facilitata dalla politica statunitense (iniziata sotto Jimmy Carter e accelerata sotto Bill Clinton) che ha promosso la delocalizzazione della produzione industriale in Messico, Cina, Vietnam e altri Paesi con livelli salariali più bassi. Le politiche anti-immigrati di Trump, che fanno leva sul nativo americano, sono un riflesso del successo di questa politica deliberata degli Stati Uniti nella deindustrializzazione dell’America.

Vale la pena notare che le sue politiche migratorie sono l’opposto di quelle del decollo industriale dell’America, che incoraggiavano l’immigrazione come fonte di lavoro – non solo manodopera qualificata in fuga dalle società oppressive dell’Europa, ma anche manodopera a basso salario per lavorare nell’industria edile (per gli uomini) e tessile (per le donne).

Ma oggi, essendosi trasferita direttamente nei Paesi da cui provenivano in precedenza gli immigrati che svolgevano lavori industriali negli Stati Uniti, l’industria americana non ha più bisogno di importare manodopera negli Stati Uniti.

 

La Casa Bianca ha sottolineato che la nuova tariffa di Trump del 125% sulla Cina si aggiunge alle tariffe IEEPA (International Emergency Economic Powers Act) del 20% già in vigore, rendendo la tariffa sulle importazioni cinesi un livello impagabile del 145%.

(Michael Hudson).

(democracycollaborative.org).

(democracycollaborative.org/whatwethink/return-of-the-robber-barons).

 

 

 

 

“Contante = Libertà” – Funziona sempre.

Successo della campagna che si sta

diffondendo in tutta Italia.

Comedonchisciotte.org - Patrizia Pisino – (18 Aprile 2025) – ci dice:

Un'importante iniziativa sull'uso del denaro contante.

Si sente parlare continuamente di italiani inattivi e facilmente manovrabili dal sistema, che seguono senza uno spirito critico le scelte sconsiderate messe in atto in questi ultimi anni e che portano alla spersonalizzazione di tutti noi come esseri senzienti e con libertà di scelta.

 

Gli attuali partiti sono lontani dalle esigenze del popolo italiano, considerando solo le opportunità che portano a loro stessi dei vantaggi; per questo motivo il sistema della delega, basata sull’attuale sistema – cosiddetto – democratico, non funziona.

Siamo noi in prima persona che dobbiamo cambiare e diventare attori protagonisti del nostro presente, se vogliamo realizzare un futuro migliore e minare le basi di questo sistema oligarchico.

Questo sistema ci vuole sottomettere cambiando le nostre abitudini.

Quale metodo migliore se non quello conosciuto “della rana bollita” di “Noale?

Ci sembra di avere piena libertà di scelta, ma le alternative non ci sono: siamo solo delle cavie nel laboratorio del potere.

 

Come uscirne e difendersi?

 

Ci sono ancora persone con capacità critiche e costruttive, tanto da trovare delle soluzioni che possono contrastare questo sistema, seminando sul territorio delle perle di saggezza che, come piccoli semi, stanno germogliando.

 

Il Comitato Pensiero Critico ed il gruppo Resistere X Esistere #ionondimentico, hanno dato vita alla campagna “Contante = Libertà”, rivolta ai commercianti delle nostre città. 

Questa iniziativa vuole sensibilizzare i clienti delle piccole attività commerciali sull’importanza dell’uso del contante.

Sembra ormai diventata una moda pagare anche le piccole spese con lo smartphone o con lo smartwatch.

 Così sembriamo più tecnologici!

E allora se ci chiederanno di mettere un microchip sottocutaneo prospettando la facilità dei pagamenti, chi potrà resistere a tale lusinga?

Per arginare questa pericolosa deriva disumanizzante, esiste e compare l’adesivo giallo che ci mette in allarme.

La proposta dei comitati promotori è semplice:

 i commercianti che aderiscono possono apporre nella propria attività questo adesivo ricordando che il contante è uno strumento di pagamento importante e versatile che ha diversi vantaggi.

Ne elenchiamo alcuni:

– la Privacy. In quanto non lascia traccia digitale e non può essere rintracciato.

– l’ Inclusività. Perché permette di risparmiare e acquistare a chi non ha accesso a strumenti digitali o a un conto corrente.

– la Sicurezza. Contrariamente a quel che ci dicono, si è dimostrato sicuro contro frodi, falsificazioni e ciber- criminalità.

– il Risparmio: infatti, si ha sempre sotto controllo il denaro senza rischio di insolvenza che può verificarsi con il pagamento elettronico, quando con estrema facilità, strisciamo una carta senza sapere quanti soldi abbiamo ancora sul conto.

– la Velocità: i pagamenti sono effettuati in tempo reale.

– la Tracciabilità delle spese evitando di eccedere.

– l’Accessibilità.

Questa caratteristica è fondamentale in quanto non richiede accesso a dispositivi, connessione internet o rete elettrica;

le aziende fanno affidamento su una connessione Internet stabile per completare i pagamenti utilizzando carte di credito o di debito.

Non è raro che la connessione fallisca e quindi il cliente debba trovare un altro mezzo di pagamento.

Se poi consideriamo che i pagamenti elettronici richiedono una commissione per il servizio, l’uso del contante semplifica e fa risparmiare.

Viviamo in una società sempre più disconnessa dalla realtà:

contrastare la valuta digitale è un nostro dovere ed un nostro diritto:

non diamo la possibilità ai governanti di controllare l’uso del denaro, ricordiamo cosa è successo in Canada, quando nel 2022 il Premier Trudeau ha bloccato i conti correnti dei “No vax”.

 

Come individui, dovremmo avere il diritto di spendere, risparmiare e conservare i nostri soldi come meglio desideriamo.

Dato di non poco conto, è anche il fatto che il contante diventa una fonte di stabilità durante i periodi di disastro, consentendo alle economie di continuare a vivere, persino durante blackout come interruzioni di corrente e guasti alle telecomunicazioni.

Se questa semplice iniziativa si sta diffondendo in varie città d’Italia, portando una ventata di speranza, significa che una forza per resistere a tali ingerenze va via via attivandosi, diventando sempre più forte.

 

I negozianti che desiderano sostenere questa iniziativa possono scrivere alla mail del Comitato (comitatonop@gmail.com) o collegarsi all’apposita pagina Telegram (t.me/contanteugualeliberta) per entrare a far parte di questa rete e ricordare ai propri clienti che il contante, da sempre, è l’unico strumento di libertà nei pagamenti.

(Patrizia Pisino per ComeDonChisciotte.org).

 

 

 

 

«L’ABOLIZIONE DI UN ENTE INUTILE: IL PADRE.»

Inchiostronero.it - Marcello Veneziani – (17 – 04 – 2025) – ci dice:

 

Padri licenziati per legge: il nuovo welfare identitario.

Il padre è diventato un ente inutile, e ora si tenta di sancirlo per legge.

In un’epoca dominata dal femminismo ideologico, dalla fluidità identitaria e dalla maternità surrogata, arriva in Senato la proposta finale:

abolire il cognome paterno, simbolo ultimo di una paternità già svuotata.

 A firmarla è “Dario Franceschini”, ex democristiano e progressista doc, che maschera l’operazione come un “risarcimento storico” per le diseguaglianze di genere.

Ma dietro l’apparente semplificazione burocratica si intravede un progetto più ampio:

 smantellare l’archetipo del padre, figura portante della cultura, della famiglia e dell’identità.

 Un’analisi tagliente di Marcello Veneziani sull’ultima frontiera del politicamente corretto. (f.d.b.)

 

Padre, sei licenziato.

Dopo tanto femminismo, fluidità, utero in affitto, giunge finalmente il tentativo finale di abolire il padre a norma di legge.

 La proposta avanzata in Senato è di Dario Franceschini, influente padrino del Partito Democratico.

Come è entrato Franceschini in maternità?

Con questo ragionamento: dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre stabiliamo con una nuova legge prenderanno solo il cognome della madre (che poi proviene da suo padre).

Ciò servirà, a suo dire, a sgombrare il campo dai tanti problemi che ha innescato il doppio cognome, o la scelta tra i due.

È una cosa semplice, dice il senatore venuto dalla Dc e dalla Margherita (senza capperi), ma è anche “un risarcimento per un’ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle diseguaglianze di genere”.

 

Chissà se il Pd, in sigla Padri defunti, accoglierà in toto la proposta di Franceschini ma è in sintonia col nuovo corso di “Elly Schlein”, di cui Franceschini è stato massimo sponsor.

Un’altra battaglia civile di cui si avvertiva fortemente l’urgenza…

Ma torniamo alla realtà.

 I padri già patiscono una specie di sparizione progressiva: contano sempre meno, anche se pagano sempre più in caso di separazione e divorzio, e quando non sono emarginati, si defilano per conto loro, si danno alla latitanza, si riducono ogni giorno di più a figuranti, o quantomeno personaggi secondari e comparse in quel circoletto antiquato, un tempo denominato famiglia.

Una legge, per ora virtuale, li esonererà definitivamente dal loro ruolo e dalla loro responsabilità;

li cancellerà, come si usa ormai da tempo in vari ambiti, grazie alla “cancel culture”.

La società senza padre, prefigurata nel Sessantotto, prende finalmente corpo (mutilato).

 

La famiglia tradizionale aveva un punto di equilibrio che per molti secoli e nella gran parte dei casi ha retto all’urto della vita:

la figura paterna non era ridotta a quella dell’inseminatore occasionale o peggio del flacone anonimo ma era chiamata anche dando il patronimico alla responsabilità giuridica e nominale di assumersi un compito reale riguardo alla famiglia.

 La figura materna era già insostituibile secondo natura, nella realtà delle cose; dalla madre si nasce, la madre allatta e nutre, il rapporto con lei è decisivo;

 e poi, come dicevano gli antichi, “mater sempre certa est”.

Del resto, il cambiamento sociale dei tempi aveva già riconosciuto alla donna ruoli, diritti e doveri, responsabilità e opportunità pari a quelle del coniuge. Ora si vorrebbe sconfiggere l’ormai defunto patriarcato rifondando il matriarcato, che apparteneva a epoche e società ancora più arcaiche.

Ma il vero problema è che si tende a far sparire l’idea, il corpo, il legame di quell’entità chiamata famiglia, fondata sul due più, una coppia più i suoi figli, e un tempo anche i nonni e tutto il parentado.

 Dare alla donna, oltre la naturale maternità, anche il ruolo di portatrice esclusiva del cognome, significa di fatto disfare la coppia e regredire al singolo:

 la donna sola, a parte la collaborazione tecnica e forse affettiva del maschio, si gestisce non solo l’utero ma anche il figlio.

E decide da sola, come del resto decreta anche la legge sull’aborto, non solo se tenersi o meno il bambino ma anche il suo cognome.

 La donna con diritto di vita o di morte sui figli;

l’uomo è solo uno spettatore (pagante), che può essere al più riconosciuto in “concorso esterno” di associazione parentale.

Gruppo di famiglia difficilmente eliminabile.

 

«FRANCESCHINI, MINISTRO DI OGNI BENE».

Lo spirito della proposta del resto è trasparente, e Franceschini lo spiega candidamente;

 attribuendo alla madre anche la responsabilità di trasmettere il cognome si risarcisce la donna dal danno antico di essere stata madre e per molto tempo sotto il regime maschile della patria potestà.

 Un chiaro incitamento alla paternità irresponsabile e volatile.

Che ben si combina con la tendenza di molte donne, tra le poche che aspirano alla maternità, a far tutto da sole, a volere un figlio più che una famiglia, un loro discendente più che un marito.

Datemi un seme e al resto ci penso io.

Un modo sicuramente in linea con l’inseminazione artificiale e col desiderio di avere figli solo per propria soddisfazione di single.

Che a proporlo sia poi un cattolico, che viene dalla vecchia mamma Dc, che sulla difesa della famiglia fondava la sua ragione sociale e il suo consenso, la dice lunga: se lo avesse proposto una leader femminista o un lgbtq+ sarebbe stato comprensibile;

ma che lo faccia Fra’ Dario da Ferrara mi pare davvero una conferma che Babilonia è ormai la nostra città.

 

Intendiamoci, non è una mostruosità, in altri paesi accade, e in fondo piuttosto che ritenere il figlio una specie di prodotto solidale della collettività, della tecnologia, fino al sogno del figlio auto creato, vero self made man, almeno qui avremmo una madre.

 Ma si sta lavorando alacremente per la distruzione finale della famiglia, in un momento difficile e delicato per le coppie e per le famiglie, assestando un colpo letale, che sta tra il colpo di grazia e il calcio dell’asino al leone morente. Prendendo lo spunto da residui tossici di maschilismo e di gallismo, o casi limite di violenze, abusi e femminicidio, si può decretare la morte della famiglia?

Si può cioè nel nome di chi maltratta la partner, penalizzare l’intera società e la stragrande maggioranza delle coppie in cui non c’è prevaricazione di uno sull’altra?

Presumo che la legge non sarà approvata.

Ma, visti alcuni precedenti non sarei tanto sicuro…

(Marcello Veneziani – La Verità).

 

 

 

 

«NON CREDERE, NON OBBEDIRE, NON COMBATTERE.»

Inchiostronero.it - Redazione Inchiostronero – (17 -04 -2025) – ci dice:

 

Il Simplicissimus.

Siamo tutti coscritti, ma nessuno ci ha chiesto il permesso.

Mentre ci rassicurano che la leva obbligatoria non tornerà, il discorso pubblico comincia a preparare il terreno per un’eventuale mobilitazione.

 Dietro l’apparente prudenza istituzionale, si cela una strategia ben più ampia:

 una coscrizione invisibile, economica e culturale, che non passa dalle armi, ma dalle banche, dai media e dai trattati commerciali.

Il riarmo europeo si rivela il volto finanziario di un progetto che, più che difendere, punta a drenare risorse dai ceti medi e bassi per alimentare nuovi cicli di speculazione.

 In questo gioco pericoloso, l’Europa cede la propria sovranità industriale e strategica agli Stati Uniti, accettando un ruolo subalterno e accontentandosi di armi costose e gas scadente.

 Questo pezzo riflette su cosa significhi oggi non credere, non obbedire, non combattere:

non una fuga, ma una forma di resistenza attiva davanti alla grande mistificazione della “difesa comune”. (f.d.b.)

 

In questi giorni ci hanno fatto sapere che, sì, il servizio militare non è più obbligatorio, ma che la leva è ancora in vigore e che in casi eccezionali potrebbe essere ripristinata.

 Addirittura, qualcuno ha calcolato il numero dei possibili coscritti in alcune città, cercando di dare una qualche concretezza a questo delirio del riarmo europeo che in sostanza non è altro che un pretesto per prendere 800 miliardi a prestito e creare una nuova bolla di finanziarizzazione.

Paradossalmente, siamo tutti coscritti.

Non in un esercito tradizionale, ma in un’operazione finanziaria che trasferisce ricchezza dai ceti medi e bassi verso i padroni del denaro.

 Il tutto corre sui binari del globalismo, mentre da un’altra serva a nascondere il declino industriale dell’Europa, privata delle risorse energetiche e minerarie russe.

E infine ci caccia dentro una più profonda subalternità agli Usa visto che questi pretendono che la Ue compri non solo armi americane, peraltro rivelatesi tutt’altro che magiche, ma anche energia ad altissimo costo e scarsa qualità dagli Stati Uniti e rinunci alla Cina e ai mercati asiatici.

Questa è la capitolazione, la resa senza condizioni a cui si appresta la Meloni

: non facciamoci illusioni, gli amici degli Stati Uniti fanno spesso una fine peggiore dei nemici.

 

«FASCISMO 2.0 – GLOBALISMO E TEMI DI INTERESSE».

Che l’idea di riarmo sia un ballon d’essai non ci sono dubbi perché la sola idea di portare guerra alla Russia è priva di qualsiasi senso.

 Da 80 anni i Paesi europei hanno rinunciato di fatto alla difesa, con la sola eccezione della Francia di de Gaulle e solo un pazzo furioso può pensare che in un anno, ma forse anche meno, visto come si mettono le cose in Ucraina, i Paesi della Ue possano pensare di sfidare quello che oggi è l’esercito più forte del mondo, non foss’altro perché dei due milioni e passa di uomini da cui è formato, almeno la metà ha fatto qualche mese al fronte, acquisendo esperienza di guerra sul campo e non nelle accademie.

La produzione di armi russa è molte volte superiore a quella europea e americana, lo stesso generale Cavoli (nomen omen), comandante della Nato, ha ammesso che la capacità produttiva della Russia nel campo dei mezzi corazzati supera 30 a 1 quella degli Usa.

Per non parlare dell’artiglieria e delle sue munizioni o dei missili ipersonici che l’Occidente non possiede e dai quali non può difendersi.

Per giunta non ci sono scorte perché tutto o quasi è stato mandato al regime di Kiev, non ci sono comandi unificati e persino, Dio non voglia, la capacità nucleare è affidata a mezzi antiquati o addirittura, come nel caso dell’Inghilterra, direttamente gestiti dagli Usa.

 Peraltro i tentativi di modernizzazione si sono risolti con disastri.

 Ci vorrebbero almeno dai 15 ai 20 anni per essere effettivamente pronti alla guerra, mentre basta un attimo per diventare convinti guerrafondai.

 

Ora immaginate quello che porta le pizze e che non ha mai visto un’arma in vita sua se non al cinema, preso, istruito per un mese e portato al fronte:

può fare paura a gente che sa come si combatte, ha armi migliori e per giunta lo fa per il proprio Paese e non in nome di élite sovranazionali?

 Lo stesso vale per il ragionier Rossi, lo studente Bianchi, lo youtuber Verdi ai quali era stato promesso che l’Europa significava pace e prosperità, anche se quest’ultima era ormai una promessa mancata.

Un esercito non si improvvisa e finora tutte le forze armate delle nazioni europee sono state concepite come collaterali a quelle americane, non come sistemi di difesa in grado di funzionare autonomamente.

I piccoli eserciti professionali che abbiamo sono stati concepiti per dare una mano agli Usa nelle loro facili avventure coloniali ed è molto probabile che in caso di una guerra vera anche molti riservisti si tirino indietro come del resto sta accadendo in Francia.

E come sta accadendo anche in America.

 Per non parlare dei tempi che occorrerebbero per ricostruire un’industria bellica all’altezza della sfida e delle tecnologie necessarie.

«FIGHETTI DI TUTTA ITALIA UNITEVI PER LA GUERRA!»

Tutto questo è ancora più delirante perché il solo modo di pensare a un’autonomia europea prevederebbe l’esatto contrario di quanto si sta facendo, ovvero un’apertura verso il mondo Brics e la cessazione dell’assurda conflittualità ad oltranza per portare avanti una guerra già persa.

In realtà questo è l’ennesimo espediente retorico per nascondere una nuova e più integrale servitù nei confronti degli Usa e delle sue oligarchie finanziarie, comprese le succursali europee.

 Tutto questo è assolutamente evidente a tutti salvo agli ipocriti che ora manifestano per l’Europa, sottintendendo ma nascondendo la prosecuzione della guerra e un ingaggio più diretto nel conflitto o nel grande affare del riarmo.

Contro questo rigurgito di fascismo reale bisognerebbe ribaltare i vecchi slogan: non credere, non obbedire, non combattere.

(Redazione).

 

 

 

 

Trump mette a tacere un ordine

 mondiale colpito, ma c'è

 un'opportunità in mezzo al tumulto.

 Unz.com - Alastair Crooke – (16 aprile 2025) – ci dice:

 

Le azioni di Trump non sono state né "impulsive del momento", né stravaganti. La "soluzione tariffaria" era stata preparata in anticipo dal suo team nel corso degli anni.

Lo "shock" di Trump – il suo "decentramento" dell'America dal fungere da perno verso l'"ordine" del dopoguerra attraverso il dollaro – ha innescato una profonda spaccatura tra coloro che hanno ottenuto enormi benefici dallo status quo, da un lato;

 e dall'altro, la fazione MAGA che è arrivata a considerare lo status quo come ostile – persino una minaccia esistenziale – per gli interessi degli Stati Uniti.

 Le parti sono cadute in un'aspra polarizzazione accusatoria.

 

È una delle ironie del momento che il presidente Trump e i repubblicani di destra abbiano insistito nel denunciare – come una "maledizione delle risorse" – i benefici dello status di valuta di riserva che ha precisamente portato agli Stati Uniti l'ondata di risparmio globale in entrata che ha permesso agli Stati Uniti di godere del privilegio unico di stampare denaro, senza conseguenze negative:

Fino ad ora! I livelli di debito finalmente contano, a quanto pare, anche per il Leviatano.

Il vicepresidente Vance ora paragona la valuta di riserva a un "parassita" che ha mangiato la sostanza del suo "ospite" – l'economia degli Stati Uniti – forzando un dollaro sopravvalutato.

 

Giusto per essere chiari, il presidente Trump credeva che non ci fosse scelta:

o poteva capovolgere il paradigma esistente, al costo di un notevole dolore per molti di coloro che dipendevano dal sistema finanziarizzato, o poteva permettere che gli eventi si dirigessero verso un inevitabile collasso economico degli Stati Uniti.

Anche coloro che hanno compreso il dilemma che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare, sono rimasti in qualche modo scioccati dalla sua sfacciataggine egoistica con cui si limita a "tassare il mondo".

 

Le azioni di Trump (come molti sostengono) non sono state né "impulsive del momento", né stravaganti.

La "soluzione tariffaria" era stata preparata in anticipo dal suo team negli ultimi anni e costituiva parte integrante di un quadro più complesso, che integrava la riduzione del debito e gli effetti delle entrate dei dazi, con un programma per costringere il rimpatrio dell'industria manifatturiera scomparsa in America.

 

Quella di Trump è una scommessa che può, o non può, avere successo:

 rischia una crisi finanziaria più grande, poiché i mercati finanziari sono eccessivamente indebitati e fragili.

Ma ciò che è chiaro è che il decentramento dell'America che seguirà alle sue rozze minacce e all'umiliazione dei leader mondiali, alla fine causerà una contro-reazione sia per le relazioni con gli Stati Uniti, sia per la volontà globale di continuare a detenere beni statunitensi (come i titoli del Tesoro statunitensi).

 La sfida della Cina a Trump darà un "tono", anche a coloro che non hanno il "peso" della Cina.

 

Perché allora Trump dovrebbe correre un rischio del genere?

 Perché, dietro le azioni sfrontate di Trump, osserva “Simplicio”, si nasconde una dura realtà che molti sostenitori del MAGA devono affrontare:

"Rimane indiscutibile che la forza lavoro americana sia stata sventrata dalla triplice minaccia della migrazione di massa;

l'anomia generale dei lavoratori come conseguenza del decadimento culturale e, in particolare, dell'alienazione di massa e della privazione dei diritti degli uomini di mentalità conservatrice.

Questi sono stati i fattori che hanno fortemente contribuito all'attuale crisi di dubbio sulla capacità della 'produzione americana' di tornare a una parvenza della sua gloria precedente, non importa quanto grande sia l'ascia che Trump prenderà contro l''Ordine Mondiale' colpito".

 

Trump sta organizzando una rivoluzione per invertire questa realtà – la fine dell'anomia americana – riportando (spera Trump) l'industria statunitense.

C'è una corrente dell'opinione pubblica occidentale – "non limitata agli intellettuali", né ai soli americani – che si dispera della "mancanza di volontà" del proprio paese, o della sua incapacità di fare ciò che deve essere fatto, della sua inettitudine e della sua "crisi di competenza".

Queste persone bramano una leadership ritenuta più dura e decisiva, un desiderio di potere illimitato e di spietatezza.

 

Un sostenitore di Trump di alto rango lo dice in modo piuttosto brutale:

"Ora siamo a un punto di svolta molto importante.

 Se vogliamo affrontare "Il Grande Brutto" con la Cina, non possiamo permetterci lealtà divise...

 È tempo di diventare cattivi, brutalmente, duramente cattivi. Le sensibilità delicate devono essere eliminate come una piuma in un uragano".

Non sorprende che, nel contesto generale del nichilismo occidentale, possa prendere piede una mentalità che ammira il potere e le spietate soluzioni tecnocratiche – quasi la spietatezza fine a se stessa – possa prendere piede. Prendete nota: ci aspetta un futuro turbolento.

Il disfacimento economico dell'Occidente è stato reso più complicato dalle dichiarazioni spesso contraddittorie di Trump.

Potrebbe far parte del suo repertorio;

Eppure, ciononostante, la casualità evoca il pensiero che nulla è degno di fiducia; Nulla è costante.

È stato riferito da "addetti ai lavori della Casa Bianca" che Trump ha perso ogni inibizione quando si tratta di azioni audaci:

 "È al culmine di non fregarsene più", ha detto al “Washington Post” un funzionario della Casa Bianca che ha familiarità con il pensiero di Trump:

"Cattive notizie? Non gliene frega nulla. Farà quello che sta per fare. Farà quello che ha promesso di fare durante la campagna elettorale".

 

Quando una parte della popolazione di un paese si dispera per la "mancanza di volontà" o l'incapacità del proprio paese di "fare ciò che deve essere fatto", sostiene Aureliano, inizia, di tanto in tanto, a identificarsi emotivamente con "un altro paese", ritenuto più duro e decisivo.

. In questo particolare momento, "il mantello" di essere "una sorta di supereroe nietzschiano – al di là delle considerazioni sul bene e sul male"... "è atterrato su Israele" – almeno per una parte influente dei politici statunitensi ed europei. Aureliano continua:

"Israele, la cui combinazione di una società superficialmente di tipo occidentale con audacia, spietatezza e totale disprezzo per il diritto internazionale e la vita umana, è stata eccitante per molti ed è diventata un modello da emulare.

Il sostegno occidentale a Israele a Gaza ha molto più senso quando ci si rende conto che i politici occidentali, e parte della classe intellettuale, ammirano segretamente la spietatezza e la brutalità della guerra di Israele".

Eppure, nonostante la rottura e il dolore causati dalla "svolta" degli Stati Uniti, rappresenta comunque un'enorme opportunità – un'opportunità per passare a un paradigma sociale alternativo al di là del finanziario neoliberista.

Questo è stato escluso, fino ad ora, dall'insistenza dell'élite sul TINA (non c'è alternativa).

 Ora la porta è aperta una fessura.

“Karl Polyani”, nel suo “Grande Trasformazione “(pubblicato circa 80 anni fa), sosteneva che le massicce trasformazioni economiche e sociali di cui era stato testimone durante la sua vita – la fine del secolo di "pace relativa" in Europa dal 1815 al 1914, e la successiva discesa nel tumulto economico, nel fascismo e nella guerra, che era ancora in corso al momento della pubblicazione del libro – avevano avuto un solo Causa generale:

Prima del XIX secolo, insisteva Polyani”, il "modo di essere" umano (l'economia come componente organica della società) era sempre stato "incorporato" nella società e subordinato alla politica locale, ai costumi, alla religione e alle relazioni sociali; cioè subordinata a una cultura di civiltà.

 La vita non era trattata come separata; non ridotta a particolari distinti, ma vista come parti di un tutto organico, cioè della Vita stessa.

 

Il nichilismo post-moderno (che è sfociato nel neoliberismo sregolato degli anni '80) ha capovolto questa logica.

 In quanto tale, costituiva una rottura ontologica con gran parte della storia.

 Non solo separava artificialmente il "modo di essere" "economico" da quello politico ed etico, ma l'economia aperta e del libero scambio (nella sua formulazione di Adam Smith) richiedeva la subordinazione della società alla logica astratta del mercato autoregolato.

Per “Polanyi”, questo "significava niente di meno che la gestione della comunità come aggiunta al mercato", e niente di più.

La risposta – chiaramente – era quella di rendere la società di nuovo la parte dominante di una comunità distintamente umana;

cioè che le viene dato il suo significato attraverso una cultura viva.

In questo senso, Polanyi ha anche sottolineato il carattere territoriale della sovranità – lo stato-nazione come pre-condizione sovrana per l'esercizio della politica democratica.

 

Polanyi avrebbe sostenuto che, in assenza di un ritorno alla vita stessa come perno centrale della politica, una violenta reazione era inevitabile.

È un tale contraccolpo quello che stiamo vedendo oggi?

 

In occasione di una conferenza di industriali e imprenditori russi, il 18 marzo 2025, Putin ha fatto riferimento proprio a una soluzione alternativa di "economia nazionale" per la Russia.

Putin ha evidenziato sia l'assedio imposto allo Stato, sia ha esposto la risposta russa, un modello che probabilmente sarà adottato da gran parte del mondo.

Si tratta di un modo di pensare economico già praticato dalla Cina, che aveva anticipato il blitz tariffario di Trump.

 

Il discorso di Putin – metaforicamente parlando – costituisce la controparte finanziaria del suo discorso del 2007 al Forum sulla sicurezza di Monaco, in cui ha accettato la sfida militare posta dalla "NATO collettiva".

Il mese scorso, tuttavia, è andato oltre:

 Putin ha dichiarato chiaramente che la Russia aveva accettato la sfida posta dall'ordine finanziario anglosassone dell'"economia aperta".

Il discorso di Putin non è stato in un certo senso nulla di veramente nuovo: è stato il passaggio dal modello di "economia aperta" all'"economia nazionale".

 

La "National Economics School" (del diciannovesimo secolo) sosteneva che l'analisi di “Adam Smith”, che era fortemente focalizzata sull'individualismo e sul cosmopolitismo, trascurava il ruolo cruciale dell'economia nazionale.

Il risultato di un libero scambio generale non sarebbe una repubblica universale, ma, al contrario, una sottomissione universale delle nazioni meno progredite da parte delle potenze manifatturiere e commerciali predominanti.

Coloro che sostenevano un'economia nazionale contrastavano l'economia aperta di Smith sostenendo una "economia chiusa" per consentire alle industrie nascenti di crescere e diventare competitive sulla scena globale.

 

"Non fatevi illusioni: non c'è nulla al di là di questa realtà", ha avvertito Putin agli industriali russi riuniti nel marzo 2025. "Mettete da parte le illusioni", ha detto ai delegati:

"Le sanzioni e le restrizioni sono la realtà di oggi, insieme a una nuova spirale di rivalità economica già scatenata".

 

"Le sanzioni non sono né temporanee né misure mirate;

Costituiscono un meccanismo di pressione sistemica e strategica contro la nostra nazione. Indipendentemente dagli sviluppi globali o dai cambiamenti nell'ordine internazionale, i nostri concorrenti cercheranno continuamente di limitare la Russia e di diminuire le sue capacità economiche e tecnologiche".

 

"Non si deve sperare in una completa libertà di commercio, di pagamento e di trasferimento di capitali.

 Non bisogna contare sui meccanismi occidentali per proteggere i diritti degli investitori e degli imprenditori...

Non sto parlando di alcun sistema legale, semplicemente non esistono!

Esistono lì solo per sé stessi!

Questo è il trucco. Capisci?"

 

Le nostre sfide [russe] esistono, 'sì', ha detto Putin;

"ma anche i loro sono abbondanti. Il dominio occidentale sta scivolando via. Nuovi centri di crescita globale sono al centro dell'attenzione".

Queste sfide non sono il "problema"; sono l'opportunità, ha sostenuto Putin: daremo priorità alla produzione nazionale e allo sviluppo delle industrie tecnologiche.

 Il vecchio modello è finito.

 La produzione di petrolio e gas sarà semplicemente l'aggiunta di un'"economia reale" autosufficiente in gran parte circolante internamente, con l'energia che non sarà più il suo motore.

 Siamo aperti agli investimenti occidentali – ma solo alle nostre condizioni – e il piccolo settore "aperto" della nostra economia reale, altrimenti chiusa e auto-circolante, continuerà ovviamente a commerciare con i nostri partner BRICS.

 

La Russia sta tornando al modello dell'economia nazionale, ha lasciato intendere Putin.

"Questo ci rende resistenti alle sanzioni e ai dazi".

"La Russia è anche resistente agli incentivi, essendo autosufficiente in termini di energia e materie prime", ha detto Putin.

 Un chiaro paradigma economico alternativo di fronte a un ordine mondiale in disfacimento.

 

 

 

 

La soppressione del cristianesimo

nel suo luogo di nascita.

Unz.com - Filippo Giraldi – (18 aprile 2025) – ci dice:

 

Israele non è amico di Gesù.

La mia riscrittura della famosa citazione di Lord Palmerston riguardo agli "interessi" per farla riflettere la realtà di Israele e dei suoi potenti amici sarebbe più o meno questa:

"Dico che è una politica ristretta supporre che Israele deve essere indicatore come l'eterno alleato o l'amico perpetuo degli Stati Uniti e dei valori occidentali illuminati.

 Per sua natura, Israele non ha alleati eterni.

 I suoi interessi sono davvero perpetui, ma si concentrano sul suo successo nel ritrarsi aggressivamente sempre come la vittima, portando avanti anche i propri interessi tribali".

Ammetto che tendo a pensare spesso al nemico che noi della tradizione cristiana occidentale abbiamo nutrito nel nostro petto per decenni in uno spirito di tolleranza, una vipera che si propone solo di corromperci e poi distruggerci, che si manifesta in particolare in questo periodo dell'anno, in cui la vita e la morte di Gesù Cristo dovrebbero essere giustamente celebrate.

Ahimè, nell'Israele di oggi ciò che è veramente notevole è l'aperta soppressione da parte del governo dell'identità e del culto cristiano, senza alcuna lamentela proveniente da Washington o dalle altre nazioni nominalmente cristiane d'Europa.

 

In effetti, il cristianesimo in Medio Oriente sta generalmente morendo a causa della pressione esercitata da Israele per rendere la vita e la pratica religiosa palestinese il più difficile possibile, così come di questioni regionali più ampie, tra cui le punizioni israeliane e statunitensi e la sostituzione di regimi in luoghi come la Siria e il Libano, che fino a poco tempo fa ospitavano consistenti minoranze cristiane. I cristiani, in generale, trovano più facile emigrare in paesi più amichevoli in tutto il mondo rispetto ai musulmani locali, poiché spesso hanno una famiglia all'estero per aiutare nel processo.

 

L'emarginazione dei cristiani in Israele, recentemente guidata dalla legislazione sull'apartheid e dalla dichiarazione parlamentare di Israele come Stato ebraico, è in corso da molto tempo, ma quest'anno è particolarmente grave sia per Natale che per Pasqua, con il rifiuto da parte delle autorità israeliane di consentire raduni per le funzioni religiose e altre celebrazioni.

 Solo 6.000 "lasciapassare" di sicurezza sono stati rilasciati dagli israeliani ai cristiani palestinesi della Cisgiordania per celebrare la Domenica delle Palme e la Pasqua a Gerusalemme quest'anno, a differenza del passato, quando ci sarebbero stati 50.000 partecipanti.

Di conseguenza, molte celebrazioni e le consuete sfilate sono state cancellate.

Padre Ibrahim Faltas OFM, Vicario della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, ha descritto come "Nonostante diversi incontri di alto livello, non siamo stati in grado di ottenere più permessi", ricordando che i cristiani della Cisgiordania affrontano molte restrizioni alla loro libertà di movimento durante l'anno e aspettano il periodo pasquale per recarsi a Gerusalemme per pregare nei Luoghi Santi.

 Inoltre, antiche chiese di Gaza sono state bombardate e distrutte nel corso dell'ultimo anno, probabilmente deliberatamente, creando un senso di depressione tra i fedeli che sono anche molto consapevoli del fatto che i loro compagni palestinesi, molti dei quali cristiani, vengono massacrati dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF).

Il 13 aprile, domenica delle Palme, un attacco aereo di prima mattina ha distrutto i reparti ambulatoriali e il laboratorio dell'ospedale arabo Al-Ahli a Gaza, gestito dalla chiesa anglicana.

 I detriti dell'attacco aereo hanno raggiunto la vicina chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, che si stava preparando per la celebrazione della Domenica delle Palme, insieme ai resti senzatetto della comunità locale che risiedeva nel complesso della chiesa.

L'incidente ha acuito la disperazione dell'intera comunità cristiana.

Il capo di un'agenzia umanitaria cattolica ha descritto come "i cristiani stanno soffocando e sono intrappolati nei loro stessi governatorati (provincia) e nelle loro città, impossibilitati a viaggiare liberamente senza essere molestati perché hanno bisogno di permessi speciali...".

Questo, nonostante il fatto che non ci siano mai state violenze o disordini politici associati al movimento dei pellegrini, quindi è ampiamente considerato poco più che una pura molestia da parte delle autorità israeliane.

 

A dire il vero, la comunità cristiana e i leader religiosi erano a conoscenza di ciò che stava accadendo esattamente e hanno protestato con quelle che sembrerebbero essere le autorità governative israeliane competenti, ma generalmente senza alcun risultato.

La loro causa sarebbe aiutata se le nazioni a maggioranza cristiana come gli Stati Uniti e l'Europa facessero pressione su Israele per un trattamento equo per i cristiani, ma in genere tacciono a causa della loro corruzione e intimidazione da parte delle varie manifestazioni della lobby israeliana attiva nei loro paesi.

Allo stesso modo, i media di quei paesi sono molto attenti a ciò che stampano o dicono su Israele o sugli ebrei, poiché tali critiche sono un crimine in molte giurisdizioni, qualcosa che sta diventando sempre più il caso negli Stati Uniti e legato alle deportazioni prive di provare di coloro che si oppongono a ciò che sta accadendo a Gaza.

Il rapporto annuale del “Rossing Center “, un'organizzazione con sede a Gerusalemme dedicata alla convivenza interreligiosa, ha documentato 111 casi di molestie e violenze contro la comunità cristiana in Israele ea Gerusalemme Est nel 2024.

 Il rapporto ha rivelato un clima di ostilità che, secondo una delle autrici dello studio,” Federica Sasso”, rappresenta solo "la punta dell'iceberg di un fenomeno molto più ampio".

Dei 111 casi di aggressione segnalati, 47 erano aggressioni fisiche principalmente attraverso "sputi", un comportamento che si è evoluto da atti sottili a esibizioni apertamente aggressive.

In diverse aree, soprattutto nella Città Vecchia di Gerusalemme, sacerdoti, suore, frati e monaci "essendo facilmente identificabili sono esposti a questi attacchi su base giornaliera" con solo rari interventi da parte delle autorità israeliane.

 

Diversi anni fa, il capo della Chiesa cattolica romana in Israele,” Pierbattista Pizzaballa”, ha affermato che i cristiani hanno affrontato sfide difficili , in particolare dalla formazione dell'ultimo governo di estrema destra di Netanyahu nel dicembre 2022.

Secondo” Pizzaballa”, il suo governo ha incoraggiato gli attivisti religiosi ultranazionalisti, molti dei quali sono coloni armati, e alcuni dei quali hanno molestato membri maschili e femminili del clero e vandalizzato proprietà religiose. Pizzaballa ha osservato come "La frequenza di questi attacchi, le aggressioni, è diventata qualcosa di nuovo.

Queste persone si sentono protette... l'atmosfera culturale e politica può ora giustificare, o tollerare, azioni contro i cristiani".

 

Un collega, “Francesco Patton”, Custode di Terra Santa, ha spiegato che "siamo inorriditi e feriti a seguito dei numerosi episodi di violenza e odio che si sono verificati di recente contro la comunità cattolica in Israele".

Ha descritto la profanazione di un cimitero luterano, il vandalismo di una sala di preghiera maronita, la minzione nei luoghi sacri, la distruzione di immagini sacre e l'irrorazione di "morte ai cristiani" sulle proprietà della chiesa, tutte avvenute poco dopo l'insediamento del nuovo governo Netanyahu.

Ha anche notato "la responsabilità dei leader, di coloro che hanno il potere", aggiungendo che la polizia israeliana ha sistematicamente omesso di indagare su tali incidenti dopo che le chiese li hanno denunciati.

 

Determinare se le accuse di aumento della violenza e dei crimini d'odio diretti contro i cristiani fossero vere, il 26 giugno esimo Il giornale israeliano di orientamento liberale Haaretz ha inviato uno dei suoi giornalisti vestito da prete nel centro di Gerusalemme.

Nel giro di cinque minuti, il giornalista “Yossi Eli "è stato deriso e sputato, anche da un bambino e da un soldato... Poco dopo un uomo lo schernì in ebraico, dicendo: 'Perdonami, padre, perché ho peccato'. Poi un bambino di 8 anni gli ha sputato addosso, così come un altro quando soldato un gruppo di truppe è passato più tardi".

 

Alla luce di ciò che sta accadendo sul campo, l'”American-Arab Anti-Discrimination Committee” (ADC) ha chiesto un'indagine sul ruolo che i coloni Israele-statunitensi con doppia nazionalità stanno attualmente svolgendo nella recente ondata di violenze dirette contro le città e i villaggi palestinesi, cristiani e musulmani.

 Il direttore esecutivo dell'ADC, Abed Ayoub, ha dichiarato che "abbiamo forti ragioni per credere che i cittadini americani siano tra i principali responsabili dei più recenti attacchi brutali e violenti".

Dal 21 giugno San, bande armate di coloni israeliani hanno terrorizzato i villaggi palestinesi in Cisgiordania quasi quotidianamente.

Hanno distrutto case, veicoli bruciati e ucciso almeno un palestinese.

 Per decenni i cittadini statunitensi si sono trasferiti negli insediamenti israeliani, che usano come basi per impegnarsi regolarmente in violenze contro i palestinesi, il tutto impunemente, poiché la polizia e l'esercito israeliano non forniscono protezione agli arabi e invece spesso proteggono i coloni.

Molti di questi cittadini statunitensi approfittano anche delle leggi fiscali americane sulla beneficenza e senza scopo di lucro per finanziare gli insediamenti illegali e iniziare la violenza contro i palestinesi.

 

In un altro grave incidente, decine di estremisti israeliani, principalmente ebrei ortodossi, hanno interrotto un evento di preghiera cristiana per i pellegrini vicino al Muro Occidentale.

Il vicesindaco di Gerusalemme,” Aryeh King”, e il rabbino “Avi Thau” hanno guidato i manifestanti.

Denunciando i cristiani come "missionari" che cercavano di convertire gli ebrei, gli estremisti sputavano e maledicevano i pellegrini, molti dei quali, ironicamente, erano cristiani evangelici degli Stati Uniti fortemente filo-israeliani.

Il vicesindaco King ha detto che i cristiani dovrebbero godere della libertà di culto "solo all'interno delle loro chiese".

 

Secondo “Protecting Holy Land Christians” , un'organizzazione fondata da gruppi cristiani per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle minacce alla loro religione, ci sono stati altri resoconti di come i cristiani siano stati sottoposti a crescenti persecuzioni.

Un recente rapporto descrive in dettaglio come i palestinesi siano stati presi di mira da quello che viene chiamato colonialismo di insediamento, che è una serie di misure volte a distruggere le loro comunità e cacciarle dalle loro terre.

 Identifica sette politiche che Israele usa contro i palestinesi in tutta la Palestina mandataria (Palestina del 1948, Gaza, Cisgiordania compresa Gerusalemme Est) e anche per punire coloro che sono in esilio:

"negazione della residenza; confisca dei terreni e diniego d'uso; pianificazione discriminatoria; negazione dell'accesso alle risorse e ai servizi naturali; imposizione di un regime di autorizzazione; frammentazione, segregazione e isolamento; negazione dei risarcimenti; e la soppressione della resistenza".

Il rapporto conclude che "Sia che queste politiche siano considerate separatamente o prese insieme, equivalgono a trasferimenti forzati di popolazione, una grave violazione del diritto internazionale umanitario (DIU)".

 

Recentemente, queste misure essenzialmente di genocidio hanno incluso anche il furto totale dei loro edifici storici e dei terreni da parte del governo e la negazione di altri diritti, tra cui il crescente rifiuto di consentire raduni di fedeli nelle chiese esistenti durante le principali festività come Natale e Pasqua.

 Ci sono stati anche molti attacchi fisici contro singoli cristiani da parte di ebrei estremisti, così come la profanazione di siti religiosi cristiani e la distruzione o la deturpazione di reliquie e statue cristiane.

 Una conferenza tenutasi a Gerusalemme nel giugno 2023 per affrontare la questione dell'aumento della violenza contro i cristiani ha attirato un certo numero di diplomatici, studiosi e rappresentanti di gruppi religiosi, ma è stata boicottata dal ministero degli Esteri israeliano.

 Anche l'ambasciata degli Stati Uniti non ha inviato un rappresentante o un osservatore, indicando chiaramente che non era interessata alla situazione dei cristiani in Israele, o meglio che non voleva nemmeno ammettere che c'era un problema.

È interessante notare che il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale “Itamar Ben-Gvir”, un estremista di destra e leader del movimento dei coloni, sta per arrivare a Washington e riceverà un trattamento da tappeto rosso dai soliti sospetti.

 Ha espresso apertamente il suo desiderio di allontanare tutti i palestinesi, cristiani e musulmani, dalla Palestina storica ed è stato a favore di una legislazione che rende perfettamente legale e senza conseguenze per qualsiasi soldato, poliziotto o colono armato, uccidere un palestinese.

Il viaggio includerà soste in Florida e Washington, DC, dove ha avuto un programma di incontro con funzionari statunitensi, influencer conservatori e leader della comunità ebraica.

 L'incontro di più alto profilo nel suo programma è con il Segretario alla Sicurezza Nazionale” Kristi Noem”.

“Ben Gvir”, che gestisce il sistema carcerario israeliano, ha sostenuto una soluzione semplice per trattare con i detenuti indesiderati nel suo paese.

"E' un peccato che negli ultimi giorni mi sia dovuto occupare del fatto che i prigionieri palestinesi devono ricevere cesti di frutta", ha detto l'anno scorso.

"Dovrebbero essere uccisi con un colpo alla testa".

L'autodefinitosi sionista “Joe Biden” aveva effettivamente bloccato il suo ingresso negli Stati Uniti come "troppo estremista" ma, come abbiamo visto, Donald Trump non è così meticoloso.

 

Quindi il gioco è fatto.

Il governo israeliano di Netanyahu non è molto interessato ai diritti umani per chiunque non sia un ebreo conservatore o ortodosso.

 È, infatti, essenzialmente ostile a tutti i palestinesi e agli stranieri, siano essi musulmani, cristiani o anche irreligiosi.

Denigrano regolarmente queste persone come quelle che i tedeschi negli anni '30 avrebbero definito "untermenschen", che significa subumani, una parola allora usata per descrivere gli ebrei, abbastanza ironicamente.

Che gli Stati Uniti ignorano tutti i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani di Israele è vergognoso, ma è normale che gli ebrei americani che sono sostenitori di Israele abbiano corrotto e preso il controllo del processo politico.

 E non pensate nemmeno per un secondo che ai leader israeliani importi qualcosa degli Stati Uniti e del loro popolo, la maggior parte del quale è almeno nominalmente cristiano.

Ricordate per un momento come l'ex primo ministro “Ariel Sharon “si riferì agli americani in una discussione con il ministro degli Esteri “Shimon Peres”:

"Ogni volta che facciamo qualcosa, mi dite che gli americani faranno questo e faranno quello.

Voglio dirvi una cosa molto chiara, non preoccupatevi della pressione americana su Israele.

Noi, il popolo ebraico, controlliamo l'America, e gli americani lo sanno".

E più recentemente Netanyahu ha detto:

"L'America è una cosa che si può muovere molto facilmente, che si può muovere nella giusta direzione".

Questo è ciò che pensiamo veramente di noi.

(Philip M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest, una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501(c)3).

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