La rivoluzione contro le macchine AI.
La
rivoluzione contro le macchine AI.
I
robot umanoidi entreranno
presto
nelle nostre case.
Linkiesta.it
- Danilo Broggi – (12 aprile 2025) – ci dice:
Le
aziende automobilistiche e i colossi dell’IA si stanno alleando per costruire
macchine capaci di percepire, decidere e agire come esseri umani.
Si
chiama sovrapposizione tecnologica, ed è quanto sta succedendo nel mondo
dell’innovazione, in particolare nella robotica.
Grandi sistemi di «Linguaggio naturale» (Nlp)
sempre più potenti, sensori ottici di incredibile capacità, batterie di ultima
generazione, micro-elettromeccanica ancor più sofisticata, microchip super
performanti, algoritmi di auto-apprendimento maggiormente potenziati e altre
diavolerie tecnologiche stanno dando vita alla «rivoluzione robotica», la
prossima rivoluzione industriale che, così come oggi, non possiamo fare a meno
dello smartphone – che nel 1990 non esisteva – domani o al massimo dopodomani
non potremo più vivere senza l’ausilio dei robot umanoidi cognitivi.
Non è
un caso che le industrie automobilistiche (le prime a utilizzare forme di
automazione nelle loro industrie e ad attraversare la sovrapposizione
tecnologica soprattutto per risolvere le difficili tematiche dei sistemi
driver-less), stanno collaborando con altre aziende high-tech per costruire robot
umanoidi che potranno svolgere compiti sempre più vicini ai bisogni delle
persone (domestici,
infermieri, poliziotti di quartiere, badanti, ecc.).
BMW,
Mercedes-Benz, Tesla, Toyota, Hyundai, Honda o le cinesi Xiaomi, BYD e Xiaopeng
Motors, solo per citarne alcune, hanno investito comprando o facendo
partnership con aziende di robotica.
Le
tecnologie avanzate per la percezione e l’interazione ambientale (sistemi Lidar e di visione di
profondità 3D), la sensoristica e gli algoritmi per guidare i movimenti delle auto
senza autista, vengono ora riutilizzate per il funzionamento dei robot.
Il
robot “Iron di Xiaopeng” utilizza gli stessi algoritmi di pianificazione del
percorso e di riconoscimento degli oggetti dei suoi veicoli elettrici,
consentendo una navigazione precisa negli ambienti di una fabbrica.
Così
come la tecnologia delle batterie di alimentazione e sistemi di ricarica.
Ma il salto in avanti lo hanno fatto i
produttori di microchip, e i creatori di Intelligenza Artificiale.
Come
“Gemini Robotics” (Google), che fonde la potenza dei grandi modelli linguistici
con il ragionamento spaziale, o come “Figure”, startup americana specializzata
nello sviluppo di robot umanoidi fondata solo tre anni fa e valutata, al
momento, 2,6 miliardi di dollari con finanziatori del calibro di “Jeff Bezos”,
“Microsoft”, “Nvidia e OpenAI”, che ha presentato” “Helix, un modello
generalista di “Visione-Linguaggio-Azione” (Vla) che permette ai robot di
unificare ciò che sentono, vedono e fanno.
O come
la stessa Nvidia, il colosso dei microchip che ha recentemente presentato
“GR00T N1”, un «modello di fondazione mondiale» in grado di facilitare
l’apprendimento automatico dei robot umanoidi che ha imparato da venti milioni
di ore di video, come guardare YouTube senza sosta «da quando Roma era in
guerra con Cartagine».
La
stessa Nvidia, lo scorso ottobre, ha dichiarato che la prossima ondata di
intelligenza artificiale sarà l’”IA fisica”, una svolta destinata a ridefinire
il modo in cui i robot imparano.
Due
tendenze stanno convergendo da direzioni opposte: le aziende di robotica stanno
sempre più sfruttando l’IA e i giganti dell’IA stanno ora costruendo robot.
OpenAI,
dopo aver chiuso il settore di robotica nel 2021, si è rimessa in moto da
qualche mese portando importanti manager al suo interno, come” Caitlin
Kalinowski” (ex Meta e Apple), che lo scorso gennaio è entrata a far parte di “OpenAI”
per guidare lo sviluppo di robot umanoidi.
«Nel mio nuovo ruolo, inizialmente mi
concentrerò sul lavoro di robotica e sulle partnership di OpenAI per aiutare a
portare l’IA nel mondo fisico e sbloccarne i benefici per l’umanità», ha
scritto “Kalinowski” in un suo post.
L’addestramento
dei robot umanoidi è il punto su cui si concentra l’attenzione di tante
industrie mondiali e questo spiega la presenza e gli investimenti delle grandi
aziende di “AI”.
Addestramento
che, grazie ai grandi sistemi di apprendimento (Very Large-scale AI) e ad
algoritmi sofisticati per l’apprendimento auto-supervisionato (SSL), sta
imprimendo all’industria robotica un decisivo balzo in avanti.
Secondo
l”’International Federation of Robotics” (Ifr), che ogni anno si occupa di
realizzare un “World Robotics Report”, nel prossimo futuro la domanda di robot
sarà spinta da diversi fattori, un potente mix composto da innovazioni
tecnologiche, da una serie di dinamiche di mercato e dall’ampliamento dei campi
di applicazione.
“Morgan
Stanley”, nel suo rapporto “Humanoids: Investment Implications of Embodied AI”
dello scorso giugno, stima che il numero di robot umanoidi statunitensi
potrebbe raggiungere i sessantatré milioni di unità entro il 2050.
La
Cina non sta a guardare.
Secondo le statistiche dell’”Industrial
Research Institute” di Shenzhen, a giugno 2024 c’erano circa 160 produttori di
robot umanoidi in tutto il mondo, di cui più di sessanta in Cina, più di trenta
negli Stati Uniti e circa 40 in Europa.
Secondo
“Morgan Stanley”, sostanziosi sussidi governativi e il controllo del
sessantatré per cento delle aziende chiave nella catena di approvvigionamento
globale per i componenti umanoidi-robot – in particolare nelle parti
dell’attuatore e nella lavorazione delle terre rare – consente ai produttori
cinesi di produrre robot umanoidi a prezzi inferiori rispetto ai concorrenti
internazionali (la variante dazi vedremo cosa porterà).
Pechino
sta sponsorizzando il settore, al punto di organizzare la prima (mezza)
maratona per robot umanoidi (venti iscritti al momento) che si terrà da qui a
poco, il 13 aprile.
Ma
anche nel vecchio continente si moltiplicano gli sforzi, e non solo quelli
delle case automobilistiche.
“Neura
Robotics”, azienda tedesca specializzata in robotica umanoide e cognitiva, che
in collaborazione con “Nvidia” ha realizzato il suo robot umanoide “NEURA-4NE-1”,
è dotato di tecnologia cognitiva proprietaria che gli consente di «comprendere»
il comportamento umano e interagire con le persone.
O come “ROBE”E, il primo – e finora unico –
robot umanoide cognitivo certificato italiano, progettato per uso industriale,
in particolare in compiti pericolosi, rendendolo un prodotto di riferimento per
l’”Industria 5.0”.
Secondo
i professori “Angelo Cangelosi” (docente di Machine Learning e Robotica
all’Università di Manchester e co-direttore del Manchester Centre for Robotics
and AI) e Minoru Asada (professore di Adaptive Machine Systems all’Università
di Osaka) e autori del libro “Cognitive Robotics” (maggio 2022), questo campo
combina intuizioni e metodi dell’intelligenza artificiale (AI), della scienza
cognitiva e della biologia con la robotica.
È un
nuovo approccio alla costruzione di robot intelligenti, traendo ispirazione da
come i sistemi cognitivi naturali – degli esseri umani, degli animali e nei
sistemi biologici – sviluppano l’intelligenza.
L’approccio sfrutta le intricate interazioni
tra corpo, cervello, ambiente fisico e ambiente sociale.
Obiettivo della robotica cognitiva è creare
robot in grado di percepire, ragionare e agire in modi che imiti da vicino
l’intelligenza umana e animale.
Sovrapposizione
e interazione di diversi ambiti di competenza e tecnologie avanzate che, unite
e sapientemente combinate, generano ulteriori e assai veloci passi in avanti
nell’innovazione tecnologica.
“Werner
Heisenberg”, premio Nobel per la Fisica nel 1932 per la creazione della
meccanica quantistica, aveva ragione:
«La scienza è radicata nella conversazione». E
non solo la scienza, aggiungerei.
I
nuovi luddisti, che si scagliano
contro
l’uso dell’Intelligenza Artificiale.
Domusweb.it
– (3-5-2024) - Fabrizio Urettini e Francesco Magnocavallo – ci dicono:
La
tensione culturale fra uomo e macchina nell’era della AI è un dato di fatto.
Ma forse c’è una soluzione, attraverso la
riscoperta di un’identità critica che ripesca nel passato tra “Arts and crafts”
e “Frank Lloyd Wright”.
Recentemente,
“Mit. Technology Review”, prima delle riviste tecnologiche americane nata al
prestigioso ateneo di Cambridge, ha pubblicato una” graphic novel” sul Luddismo.
Intitolata Cosa possono insegnarci i Luddisti
sulla resistenza al nostro futuro automatizzato, la storia ripercorre due
secoli di innovazione industriale, vista nel lato oscuro dell’impatto sulla
diseguaglianza sociale.
In
primis sulla classe operaia e poi sulle tante minoranze intersezionali che
pagano già oggi un costo più alto del normale per l’arrivo dell’intelligenza
artificiale. Donne, piccoli gruppi linguistici, persone non eurocentriche e
bianche.
Il riferimento dell’oggi è chiaro: il mondo dominato dall’Intelligenza
Artificiale.
Il Luddismo rappresenta oggi la ricerca di
un'identità romantica, alternativa al razionalismo quantitativo tipico
dell'ambiente digitale.
Per
quanto divulgato con una narrazione spesso favolistica e dolcificata, il
cortocircuito culturale provocato dalla AI è diventato pressante e ineludibile.
Proviamo a capire perché la più importante rivista al mondo di tecnologia,
edita dall'istituzione simbolo per eccellenza della rivoluzione industriale
americana, sposa la rivolta romantica e folk dell'eroe bandito “Ned Lud”.
Cosa
possono insegnarci i Luddisti sulla resistenza al nostro futuro automatizzato, “Mite
Technology Review”
Il
Rinascimento del Luddismo: una rivisitazione americana.
I
Luddisti, operai della prima rivoluzione industriale inglese, formavano
un’organizzazione clandestina di resistenza all’automazione industriale, spesso
con forme di violenza materiale e simbolica contro macchine e padroni.
Negli
Stati Uniti, si parla di Luddismo contro la rivoluzione digitale fin dal 1984,
quando il grande scrittore postmoderno “Thomas Pynchon” si chiedeva sul “New
York Times” se fosse corretto sposarne la causa, davanti all'esplosione del
personal computing.
Di
recente, se ne parla di nuovo per il volume del giornalista tecnologico “Brian
Merchant Blood” in “the Machine”, che esplora le origini della ribellione
antitecnologica emersa nella coscienza collettiva a cavallo della pandemia.
Il Luddismo rappresenta oggi la ricerca di
un'identità romantica, alternativa al razionalismo quantitativo tipico
dell'ambiente digitale.
Ma il termine, in questa nuova accezione, si è
caricato di una connotazione dispregiativa e di una polarizzazione tipica delle
culture
war americane.
Luddista
è chi si permette di criticare il capitalismo ultratecnologico, o viceversa chi
ne è orgoglioso e aspira a una vita meno numerica e più autentica.
Nel 1829, il filosofo e storico “Carlyle “aveva
già definito questo dualismo fondamentale:
“L’uomo
sta diventando sempre più meccanico nella testa e nel cuore, così come nella
manualità”.
(Brian
Merchant, Blood in the Machine: “The Origins of the Rebellion Against Big Tech”),
Critiche
al capitalismo tecnologico:
il
Luddismo come controcultura.
La
ribellione luddista andava di pari passo con la maturazione di una coscienza di
classe del nuovo operaio.
Anche in questo senso, il ripescaggio
dell'idea Luddista è molto attuale negli Stati Uniti di oggi, dove le
associazioni sindacali nel digitale sono un fenomeno attuale in grande
crescita.
Negli
anni scorsi lo scrittore americano “Richard Conniff”, sullo “Smithsonian
Magazine”, si chiedeva:
“È ancora possibile un Luddismo oggi?”
La
titolarità dei mezzi di produzione, obiettivo dei Luddisti, sarà accessibile
grazie a sistemi di intelligenza artificiale open source o la concentrazione
industriale lo impedirà?
Come
tanti altri aspetti cruciali del cambiamento portato dalla AI, non possiamo
indovinarlo con precisione oggi.
Instabilità
e disordini sociali sono uno dei fenomeni preventivati da chi si occupa di
scenari sociopolitici.
Altrettanto
vero che la resistenza allo strapotere algoritmico potrebbe assumere logiche
organizzative più da rave party che da partito.
Gli attacchi recenti ai robot da strada
somigliano alle forme di sabotaggio mediatico viste sul web nei primi anni
2000.
Il
futuro del lavoro e la resistenza al dominio algoritmico.
Assisteremo
invece a un “quiet quitting” diffuso, con forme di astensionismo digitale più
passivo e non conflittuale?
O ancora a un ritorno all'analogico
artigianale?
Quest'ultima
possibilità ci porterebbe ad ampliare i riferimenti con il movimento inglese
dello “Arts and Crafts” di William Morris.
Di questo è interessante rielaborare
l'integrazione di estetica, tecnica produttiva e riforma sociale: “Arts and Crafts” significava anche
recuperare un'organizzazione sostanzialmente più umana.
“William
Morris”.
Identità
nuove ci serviranno tanto in questi prossimi anni di cambiamento, per poter
contestualizzare la “AI” ed evitare di ripetere approcci che la storia ha già
dimostrato limitati o fallimentari.
Così
come una maggiore consapevolezza dell'aspetto sociotecnico della AI:
quando cambia il lavoro, come cambia il
prodotto e cosa cambia per chi esegue materialmente il lavoro?
E
quali sono gli effetti collaterali sul sistema sociale allargato, oggi normati
dal recente” AI Act” europeo?
Dal “Werkbund”
al design moderno: tra innovazione e umanesimo.
È
proprio da una chiave di lettura europea ci sembra di poter allargare il
dibattito americano sul Luddismo, per elaborare scenari e analisi critiche
necessari ad affrontare il profondo cambiamento di oggi.
Basti
pensare alle identità della disconnessione, del Luddismo come rifiuto
dell’intermediazione algoritmica, del fatto a mano come valore di autenticità.
Tutto molto coerente con la filosofia del movimento inglese “Arts and Crafts”
di fine Ottocento, con una rivalutazione idealizzata dell’artigianato che
arrivava fino ai riferimenti medievali.
“
Wright” vedeva nella tecnologia un vero fattore abilitante della democrazia, in
una luce che oggi definiremmo “tecno-utopistica” perché priva di qualsiasi
giudizio sulla diseguaglianza.
Negli
Stati Uniti,” Frank Lloyd Wright” riprendeva dallo “Arts and Crafts” l'etica
della riforma sociale, che il design stesso contribuiva a rendere concreta.
Ma il
superamento degli inglesi stava, da un lato, nel rappresentare la Natura come
una forza vitale primigenia, capace di dare stabilità all'uomo in un mondo
sempre più complesso e tecnologico.
Dall’altro,
nell’idea che solo la fusione di Arte e Scienza avrebbe permesso all'umanità di
raccogliere gli immensi frutti del progresso industriale.
La sua
celebre conferenza “The Art and Craft of the Machine”, tenuta proprio alla “Arts and
Crafts Society “di Chicago nel 1901, conteneva un passaggio spietato nella sua
sintesi:
“L'eco
è sempre un fenomeno decadente.”
Il
puro e semplice ritorno all'artigianato non poteva che essere qualcosa di
retrogrado e sterile, finendo per avere addirittura un effetto elitario sui
consumi.
(“Frank
Lloyd Wright”, Robie House, 1909.)
“Wright”
vedeva nella tecnologia un vero fattore abilitante della democrazia, in una
luce che oggi definiremmo “tecno-utopistica” perché priva di qualsiasi giudizio
sulla diseguaglianza insita nell’automazione e sui tanti lati oscuri che una
divulgazione giornalistica un po’ superficiale tende a non tenere come temi
chiavi per l’intervento pubblico di sistema.
Se
Frank Lloyd Wright superava così il dogma Arts and Crafts, nel suo tentativo di
far lavorare insieme artisti e industriali, allora forse possiamo riportare la
sua esperienza in Europa con un riferimento al” Deutscher Werkbund”.
Nato
come associazione tra designer e produttori, il movimento fu il tentativo della
Germania di inizio secolo di creare un sistema di pensiero capace di fare arte
con il prodotto industriale, per competere con le realtà industriali dei paesi
di lingua inglese.
Se il
creatore, come oggi, rischiava l’esclusione dal sistema produttivo, allora la
risposta non stava in un movimento di protesta ma nel reintegrare una
connessione forte tra umanista e tecnologo, riportando il pensiero creativo
dentro all’impresa e ai suoi nuovi processi produttivi.
Una
risposta più integrata e funzionale all'industrializzazione è davvero utile, se
la tecnologia ci richiede di ripensare la direzione creativa del progetto,
cogliendo gli aspetti positivi della macchina senza perdere quelli necessari
dell'essere umano. Qui era nata in sostanza la figura dell’industrial designer
come la conosciamo oggi, ovvero come rafforzamento della cultura del design
capace di dare evidenza ai nuovi problemi del progetto mantenendo allo stesso
tempo un senso di unità rispetto alle forti contraddizioni del Ventesimo
Secolo.
Un'identità
pragmatica e creativa, priva dei tratti di pessimismo, fuga “rétro”, disimpegno
e proiezione che rischiano di portarci a subire passivamente il prossimo
passaggio al capitalismo esponenziale.
Siena
Trasformata in un Campo
di
Battaglia da Orde di
Extracomunitari
Violenti.
Conoscenzealconfine.it
– (17 Aprile 2025) – Giovanni832 – La Verità rende liberi – ci dice:
A
Siena dopo i sanguinosi scontri di Via Pianigiani, un nuovo episodio ha
sconvolto la tranquillità di Piazza delle Poste.
Un
gruppo di giovani senesi è stato perfino inseguito da questi delinquenti armati
di machete, pronti a fare una strage.
È
questa l’Italia che vogliamo?
Una
nazione dove gli immigrati importano violenza e paura, mentre i cittadini sono
lasciati soli a difendersi da un’invasione che ci sta distruggendo?
I
fatti parlano chiaro e fanno gelare il sangue.
Una rissa violentissima ha coinvolto un
centinaio di giovani stranieri in Piazza delle Poste, una delle zone più amate
e frequentate di Siena.
Bastoni,
coltelli, spranghe:
sembrava
di essere tornati al Far West, con feriti sparsi a terra, ambulanze che
correvano a sirene spiegate e passanti terrorizzati che cercavano riparo.
Le
forze dell’ordine sono intervenute rapidamente, ma non è bastato a fermare il
caos.
Molti
dei violenti sono sfuggiti e si sono diretti verso la Fortezza, pronti a
continuare la loro guerra.
E qui
la situazione è degenerata ulteriormente.
Alcuni
coraggiosi ragazzi senesi, spinti dall’amore per la loro città ma forse anche
da un pizzico di incoscienza, hanno deciso di seguire i fuggitivi per
documentare il disastro e aiutare la polizia.
La loro testimonianza è agghiacciante:
“C’erano
almeno 20 persone armate di machete, chiavi inglesi e bastoni, tutti tirati
fuori dai cespugli circostanti.
Abbiamo
chiamato le forze dell’ordine e, mentre le aspettavamo, ci siamo divisi per
scattare qualche foto da mandargli.
Proprio
in quel momento, uno di loro ha iniziato a inseguirci con un machete in mano! “
Un
machete, in pieno centro a Siena!
È un’immagine che fa rabbrividire, un incubo
che non avremmo mai pensato di vedere nella nostra città, simbolo di eleganza e
tradizione.
(voxnews.org/2025/04/13/siena-extracomunitari-armati-di-machete-e-bastoni-inseguono-italiani-per-sgozzarli/).
Quanto
accaduto a Siena — città-simbolo dell’eredità culturale europea, della
cristianità artistica e della civiltà comunale — non è un caso isolato, né un
semplice episodio di cronaca nera.
È la manifestazione violenta di una strategia
lucida e sistematica: la distruzione del corpo vivo della nazione attraverso l’invasione demografica
mascherata da accoglienza.
Non si tratta di immigrazione, ma di una
colonizzazione eterodiretta, alimentata da élite sovranazionali e realizzata
con la complicità di apparati interni ormai compromessi.
A
invadere le nostre città non sono famiglie bisognose, non sono profughi di
guerra, ma moltitudini di giovani maschi in età militare, spesso reclutati
nelle carceri, che si muovono come cellule dormienti in attesa di detonare.
Portano con sé non solo disagio sociale, ma
aggressività strutturale, tribalismo, e un odio palese per la civiltà che li
ospita.
I
machete in Piazza delle Poste non sono un’anomalia: sono il segnale rituale
della rottura del patto sociale.
Tutto
questo avviene non con la cosiddetta “sinistra” al potere, ma sotto il governo
Meloni della cosiddetta “destra”, la quale si rivela in tutta la sua ambiguità.
Destra e sinistra non esistono più come
polarità ideologiche, ma come ingranaggi intercambiabili dello stesso
meccanismo di dissoluzione, quello del potere transnazionale, tecnocratico e
apolide che mira a spazzare via ogni radice culturale, ogni identità, ogni
sovranità.
L’invasione
è stata pianificata.
È il
cavallo di Troia della nuova guerra ibrida, in cui il nemico non si presenta
con uniformi, ma con lo status giuridico di “migrante”.
Lo scopo è trasformare il popolo in una massa
disorientata, priva di punti di riferimento, impaurita e ricattabile.
Siena,
come molte altre città italiane, è ormai una zona rossa, un laboratorio sociale
dove si sperimenta la sostituzione etnica controllata e l’instaurazione del
caos permanente.
Nel
silenzio colpevole dei media e con il beneplacito di istituzioni che hanno
tradito la loro vocazione costituzionale, l’Italia viene progressivamente
svuotata del suo popolo, della sua cultura e della sua sicurezza.
Non è solo una crisi migratoria: è una
strategia di occupazione antropologica e simbolica.
Serve
un risveglio collettivo.
Serve chiamare le cose con il loro nome:
invasione, occupazione, tradimento.
E serve agire.
Non
con slogan vuoti o proclami elettorali, ma con misure radicali:
chiusura
dei flussi, rimpatri immediati, bonifica dei centri urbani, eliminazione delle
ONG parassitarie, e soprattutto epurazione delle istituzioni infedeli.
Se non
fermiamo ora questa deriva, non sarà solo Siena a cadere.
Sarà l’intero corpo della nazione, disarmato e
tradito, a sprofondare nell’anarchia indotta che precede ogni forma di tirannia
tecnocratica.
Svegliati,
Italia. O tra pochi anni, di italiano, non rimarrà che il nome sulle mappe.
(voxnews.org/2025/04/13/siena-extracomunitari-armati-di-machete-e-bastoni-inseguono-italiani-per-sgozzarli/)
(t.me/Giovanni832)
- (la Verità rende liberi).
Arriva
il Supersiero “Kostaive”
con
Tecnologia saRNA…
Ancora
più Pericoloso!
Conoscenzealconfine.it
– (16 Aprile 2025) - Max Del Papa – ci dice:
Dicevano:
la strage globale del vaccino Covid è almeno servita ad aprirci gli occhi.
Invece arriva un siero ancor più letale, e lo impongono con la forza del
destino.
Come
prima:
si
lancia sul mercato un vaccino dagli effetti non testati ma sicuramente
micidiali, capace di restare nell’organismo a vita e di essere a sua volta
contagioso.
Gli esperti lanciano l’allarme che nessuno
raccoglie.
La
pandemia più orrenda della modernità segue alcuni indirizzi precisi:
lo sfoltimento della popolazione su scala
globale, l’arricchimento dei soliti con in mano la finanza farmaceutica,
bellica o energetica, il carrierismo di virologi penosi, quasi sempre, ma non
sempre, raccattati dalla sinistra.
Gente
che non si sa a quale titolo goda di impunità risultando libera di insultare,
di diffamare anche dopo che è emersa tutta la loro inconsistenza scientifica,
inversamente proporzionale alla vanità effimera, all’ambizione di potere, ai
conflitti d’interessi.
Protetti dalle provocazioni del Capo dello
Stato che li copre di riconoscimenti pretestuosi.
È
incredibile la cadenza quotidiana dei morti, la casistica inarginabile così
come è incredibile la rassegnazione con cui le vittime vengono accolte:
ogni giorno personaggi in vista, giornalisti,
artisti si arrendono, ogni giorno qualcuno piange qualche altro ci sono fiction
i cui protagonisti, misteriosamente, cadono uno dopo l’altro a distanza di
pochi mesi o pochi giorni:
adesso
che diranno quei parenti i quali mi chiamano inviperiti, coprendomi di insulti
e di minacce siccome denuncio la letalità vaccinale, e “la verità la stabilisco
io”?
No,
non la decidono loro ma la realtà dei fatti e i fatti dicono che tutti questi
poveretti erano orgogliosamente e ripetutamente vaccinati.
Ma non serve se perfino le vittime o chi per
loro indulgono nell’esercizio manzoniano del “troncare e sopire” che alimenta
il fatalismo.
Quelli
che trovano sempre un motivo per sperare, convinti che almeno questa strage
infinita, orripilante fosse servita ad aprirci gli occhi, debbono prendere atto
che è servita a tutt’altro, a indurre rassegnazione, sottomissione.
E ad
alimentare nuove e certissime e più dilaganti stragi.
Quando
è stato chiaro e ammesso dai responsabili che questi sieri mai debitamente
sperimentati ingeneravano ogni forma di degenerazione, la comunicazione
propagandistica controllata dalla finanza farmaceutica, ha reagito nell’unico
modo possibile:
diffondendo il messaggio delirante per cui di
simili intrugli ce ne volevano ancora di più e più potenti, più devastanti, più
micidiali.
Detto
fatto:
il
tempo di metterlo a punto e arriva un super-siero “Kostaive” che replica la
sequenza genetica, permane a vita e moltiplica la sua azione sviluppando
vescicole cellulari che rinnovano il meccanismo vaccinale.
Ne
deriva, a detta di alcuni esperti, la concreta possibilità per non dire
certezza di una moria cellulare che, per farla breve, è il meccanismo che
innesca il cancro.
Ancora
una volta non risulta una adeguata sperimentazione, et pour cause:
se li sperimentano, se constatano i danni
certissimi, poi non possono metterli in commercio.
Invece anche questo super vaccino a nuova
tecnologia “saRNA” è stato immediatamente lanciato sul mercato prescindendo da
qualsiasi verifica e la grancassa pubblicitaria, alimentata dalla strage
precedente, provvede a renderlo indispensabile.
Dal
governo italiano che istituisce le sue commissioni fumogene, neppure un fiato,
in Parlamento non se ne parla, la linea politica è la stessa adottata per ogni
cosa, andar d’accordo con tutti, non smuovere le acque, non disturbare in alcun
modo i cosiddetti poteri forti.
Insomma
durare, fin che si può, in attesa di trasformarsi in mercanti sulla scia dei
D’Alema e dei Renzi.
Da
mesi chi scrive segnala la tendenza, perversa, demoniaca, a vaccinare i sani
per poterli ammalare e per poterli curare in un circolo infernale che si
conclude con la totale distruzione dell’organismo;
ci ho
fatto sopra dei libri, ovviamente da quasi nessuno trattati, ma la faccenda era
chiara solo a volerla vedere.
Il risultato è che l’umanità fila allegramente
verso la sua autodistruzione multipla, dalle logiche guerresche a quelle
sanitarie.
Gli
allarmi di questi esperti, subito coperti di insulti e di provocazioni dai
virologi parassitari, sono agghiaccianti:
“Non
ci troviamo in un situazione emergenziale, eppure è stato dato l’ok alla
commercializzazione di un siero di cui si conoscono poco gli effetti avversi”.
Esattamente
quello che era successo l’altra volta, debitamente ammesso dalla “Janine Small”
di Pfizer:
“Col vaccino Covid abbiamo lanciato in volo un
aereo non ancora finito di costruire, non ci siamo mai preoccupati degli
effetti negativi perché non ci interessava, sapevamo che non immunizzava ma la
torta era troppo grossa per perdere tempo”.
Queste
cose la” Small” le ha ammesse, ridendo, davanti al Parlamento Europeo, davanti
a quella UE la cui capa, “Ursula von der Leyen”, famosa per le sue disinvolture
affaristiche in Germania, aveva negoziato decine di milioni di dosi per un giro
miliardario e il cui marito, “Heiko von der Leyen”, nel “board di Pfizer”,
medico e direttore scientifico della “società biotech statunitense Orgenesis”,
specializzata in terapie cellulari e geniche e in prima linea nella
realizzazione dei vaccini anti-Covid a Rna, figura in una Fondazione creata
dall’Università di Padova attiva nella ricerca vaccinale.
E poi
ci si stupisce se nessuno paga salvo le vittime e se le nefandezze della
farmacopea finanziaria invece di venire punite crescono indisturbate?
In
Italia, dove abbiamo regalato un asilo sicuro e un paio di laboratori da
“stranamore “al principale responsabile di questa carneficina immane, l’Anthony
Fauci attualmente perseguito per strage da 11 procuratori negli Stati Uniti?
No,
non c’è nessun Dio vendicatore…
C’è solo una certezza: viviamo in un tempo
mostruoso, in un Pandemonio dove le vittime sono abbastanza stupide da
ringraziare i carnefici, dove chi resta si adegua tra lusinghe e minacce, dove
gli spacciatori di vaccini vengono assorbiti dalla politica di potere, dove chi
più opera il male trionfa, e il male si moltiplica come le vescichette piene di
genoma cancerogeno del nuovo e già leggendario vaccino a “saRNA”, che si
prepara a completare il lavoro sterminando quel che resta di una umanità già
marcita.
(Max
Del Papa.)
(ilgiornaleditalia.it/news/salute/698605/dicevano-la-strage-globale-del-vaccino-covid-e-almeno-servita-ad-aprirci-gli-occhi-invece-arriva-un-siero-ancor-piu-letale-e-lo-impongono-con-la-forza-del-destino.html).
Dazi,
vittoria di Meloni nell'incontro
con
Trump. Raggiunto
l'obiettivo
di
aprire un canale con l'Ue.
msn.com
– Affaritaliani.it - Alberto Maggi – (17-04 -2025) – ci dice:
E ora
l'Italia ha un credito da spendere a Bruxelles.
Dazi,
vittoria di Meloni nell'incontro con Trump. Raggiunto l'obiettivo di aprire un
canale con l'Ue.
Trump,
ricordando come nello Studio Ovale della Casa Bianca prese letteralmente a
schiaffi (verbali) Zelensky, ha invece elogiato con parole mai sentite prima
dal tycoon la presidente del Consiglio.
"L'accordo
con l'Unione europea si farà al 100%".
Era la frase che tutti si aspettavano e che
Donald Trump ha pronunciato durante l'incontro con Giorgia Meloni, sia a
Palazzo Chigi sia a Bruxelles.
A denti stretti e a microfono spento, anche
esponenti delle opposizioni parlano di "vittoria" della premier.
La leader di Fratelli d'Italia, persona
"eccezionale" secondo il tycoon, è riuscita dove aveva fallito il
commissario europeo al Commercio “Maroš Šefčovič”.
Trump,
ricordando come nello Studio Ovale della Casa Bianca prese letteralmente a
schiaffi (verbali) Zelensky, ha invece elogiato con parole mai sentite prima
dal tycoon la presidente del Consiglio.
"Meloni ha fatto un ottimo lavoro, è una
persona speciale, rispettata da tutti.
A differenza di altri (stoccata a Macron e a
Sanchez).
La
premier ha raggiunto il suo principale obiettivo:
l'incontro
tra Trump e Ursula von der Leyen, in strettissimo contatto con Meloni fino a
poche ore prima del faccia a faccia alla Casa Bianca, si terrà a Roma.
E
questa è la vittoria della presidente del Consiglio decisamente più netta e non
affatto scontata alla vigilia.
Certo, poi bisognerà vedere che tipo di intesa
si troverà sui dazi e sui vari settori, ma al momento l'obiettivo di
riallacciare e riavvicinare Stati Uniti e Unione europea è stato raggiunto.
Meloni,
in caso di irrigidimento da parte di Trump, sarebbe stata pronta a trattare
solo come rappresentante dell'Italia e non come membro dell'Ue, ma non è stato
necessario.
Era l'estrema ratio.
Ora
bisognerà vedere le reazioni di Emmanuel Macron, duro con il tycoon nei giorni
scorsi, e di Pedro Sanchez, che è appena stato a Pechino per una visita
ufficiale.
Il
presidente Usa chiede infatti all'Europa di fare fronte comune per affrontare
la Cina, ma allo stesso tempo il capo dell'Amministrazione a stelle e strisce
ha anche affermato che con Pechino si troverà un accordo.
E
questo rende il lavoro della premier più semplice.
Meloni ha goduto e gode del pieno sostegno del
Partito Popolare Europeo, in particolare di “Manfred Weber” (legatissimo al
vicepremier, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia Antonio
Tajani), che è anche il partito della presidente della Commissione von der
Leyen.
La missione di Meloni a Washington è stata
quindi decisamente positiva e accresce il peso politico dell'Italia a Bruxelles
e nelle cancellerie del Vecchio Continente.
Un
credito da spendere ad esempio per ottenere che l'incremento delle spese
militari (Meloni ha assicurato a Trump che l'Italia arriverà al 2% del Pil)
siano scorporate dal Patto di Stabilità.
Una
boccata di ossigeno per i conti pubblici italiani.
Sul
tavolo anche l'acquisto da parte dell'Italia di maggiore gas liquido americano.
È chiaro che siamo solo all'inizio e non c'è nulla da festeggiare.
La
tempesta dazi non è ancora finita e la trattativa sarà lunga e complessa perché
Trump ha chiaramente detto che gli States sono stati "imbrogliati" da
quasi tutti i Paesi, riferendosi probabilmente allo squilibrio della bilancia commerciale
in particolare per quanto ci riguarda tra Usa e Ue.
Ma come la premier ha spiegato al tycoon un
accordo conviene a tutti e i dazi e contro-dazi, il famoso bazooka di
Bruxelles, danneggerebbero tutti, europei e americani.
Meloni
ha vinto la sua scommessa di aprire un canale con la Casa Bianca, ora toccherà
all'Ue non rovinare tutto e trovare compattezza.
E certamente il governo italiano e la premier
continueranno a giocare un ruolo di primissimo piano.
E Trump non aveva alcuna intenzione di mettere
in difficoltà la presidente del Consiglio, non certo perché donna e per una
questione di galateo, ma per un fatto prettamente economico e commerciale,
oltre che politico.
Il tycoon, infatti, è un businessman e sa bene
che, ciò che conta davvero, sono gli affari.
I
democratici si schiereranno sempre
contro
la gente normale – sempre.
Theburningplatform.com
- Guest Post di Kurt Schlichter - Redazione - ci dice:
Voglio
che pensiate attentamente e vediate se riuscite a trovare un singolo problema
su cui l'establishment di sinistra si schiera a favore degli americani normali.
Unico.
Solo una volta in cui danno la priorità agli
interessi delle persone normali rispetto alle richieste di strambi, perdenti,
mutazioni, alieni illegali, pinkos, pervertiti e vegani.
Aspetterò.
E
quando tornerai da me, il sole si sarà spento e il “Saturday Night Live”” sarà
di nuovo divertente.
Molte
persone hanno osservato che Trump è sempre dalla parte dell'80 nelle questioni
80/20;
Ciò
che sorprende è quanto la sinistra sia ansiosa di andare all-in sui 20.
C'è
qualcosa nella sinistra che la costringe, anche contro il buon senso politico,
a schierarsi sempre dalla parte dei cattivi.
Il
popolo americano si è espresso abbastanza chiaramente contro questa stranezza,
ma questo non lo fermerà.
Ogni
volta che devono scegliere tra ragazze adolescenti americane normali e decenti e uomini strani a cui piace
esporsi allo stesso con il pretesto di essere donne a loro volta, la sinistra
sostiene i brividi.
Ogni
singola volta. E non poco.
È un
sacramento pagano per loro che un tizio di nome “Phil” possa fingere di essere
“Phyllis” ed entrare in uno spogliatoio femminile con l'intera banda che si
dondola.
La
sinistra potrebbe scegliere di stare dalla parte degli americani normali che
preferirebbero non essere stuprati e/o uccisi da immigrati illegali che non
dovrebbero essere qui in primo luogo.
Ma l'establishment di sinistra sostiene gli
immigrati illegali che non dovrebbero essere qui in primo luogo, fino al punto
di volerli reimportare negli Stati Uniti quando finalmente ci sbarazzeremo di
loro.
Pensateci:
non
solo non vogliono che queste persone se ne vadano, ma vogliono che le
riportiamo indietro.
Inoltre, sotto Biden, li stavano letteralmente
facendo votare nel paese.
Ancora una volta, gli americani normali hanno
detto chiaramente che preferirebbero che gli immigrati illegali che non
dovrebbero essere qui in primo luogo non dovessero essere qui, ma no.
La
sinistra dell'establishment deve schierarsi dalla parte dei membri delle gang
del Terzo Mondo e contro i cittadini americani che questi mostri tormentano.
“Survival
Seed Vault “e varietà di semi cimelio,
Naturalmente,
la sinistra ha sempre amato i criminali.
Non è
mai colpa del ladro di merda o dell'assassino psicopatico.
Quando ti opponi ai ladri nostrani che
saccheggiano e saccheggiano, sei tu ad essere troppo attaccato alla tua
proprietà per cui hai effettivamente lavorato e troppo attaccato al tuo corpo
che è in realtà tuo.
Non vedono l'ora di contribuire alla campagna”
Go Fund Me” dell'assassino.
Si
schierano sempre dalla parte di coloro che ci vogliono male, sia qui che all'estero.
Vogliono attivamente che il difensore
dell'Occidente Israele perda anche dopo che Hamas ha ucciso gli americani e
tiene ancora in ostaggio uno di noi.
Kamala
Harris non avrebbe scelto la scelta più intelligente (l'ebreo Josh Shapiro)
rispetto alla debole, nevrotica e mediocrità post-cristiana “Femmy Le
StolenValor” perché non voleva alienarsi i sostenitori attivi di Hamas che
costituiscono una parte sostanziale della coalizione democratica.
Guardate
cosa sta succedendo in El Salvador.
Un
tempo aveva il più alto tasso di omicidi al mondo.
Erano
persone normali che venivano massacrate dai membri delle gang.
E poi è arrivato il loro nuovo presidente, ha
preso tutti i membri della banda, li ha rinchiusi in una prigione gigante, e il
tasso di omicidi è sceso di circa il 90%.
Questa
è la vita delle persone normali che vengono salvate.
Si tratta di innumerevoli rapine, stupri e
omicidi che non vengono commessi su cittadini innocenti.
E
sapete cosa vuole la sinistra?
Vuole
che quei criminali tornino di nuovo in strada.
Preferirebbe
che le persone normali venissero massacrate piuttosto che avere un esempio di
ciò che può accadere se avessimo semplicemente la volontà di agire.
Abbiamo
visto la stessa cosa anche con il confine.
Ci è stato detto dalla sinistra – e da
collaboratori senza spina dorsale come “James Lankford” – che eravamo impotenti
e che avevamo bisogno di un sacco di nuove leggi per chiudere il confine.
Le leggi che hanno offerto avrebbero, di
fatto, aperto il confine per sempre. Donald Trump è arrivato e ha semplicemente
chiuso il confine.
Ora è chiuso.
La crisi dell'immigrazione, in termini di
afflusso di contadini del Terzo Mondo, è finita.
Naturalmente,
la sinistra dell'establishment sta ora facendo tutto il possibile per impedire
a Trump di invertire il flusso di contadini del Terzo Mondo.
Che ne
dite dei simpatizzanti del terrorismo che vengono nel nostro paese con un visto
e sostengono concetti come lo sradicamento della civiltà occidentale?
Ci si potrebbe aspettare che la sinistra
dell'establishment non voglia essere sradicata, ma sembra pensare che otterrà
un'eccezione e che saremo solo noi persone normali ad essere sradicati.
Politicamente,
come ci si schiera con le persone che annunciano letteralmente di voler
uccidere tutti i propri connazionali?
Guardi, non sono un esperto di politica, ma
penso che sia una strategia sbagliata. L'enorme indice di gradimento del 27%
dei Dem supporta la mia tesi.
Le
emorroidi sono più alte.
Naturalmente,
nulla di tutto questo si basa sulla strategia.
Non si
basa nemmeno sull'ideologia.
In
realtà è una strana religione per mediocrità deboli, nevrotiche, post-cristiane
che, in passato, sarebbero state eliminate attraverso il principio della
sopravvivenza del più adatto.
Questo
è il loro culto e noi siamo i loro sacrifici.
Prendete
la bufala del cambiamento climatico, per favore.
Il
loro dogma comanda che la nostra prosperità debba essere sacrificata
sull'altare di Gaia, la dea del tempo arrabbiata.
La
vita dei normali deve essere resa sempre peggiore per espiare il nostro peccato
originale di non essere deboli, nevrotici, mediocrità post-cristiane, sia
attraverso la DEI che con i soffioni a basso flusso.
Non
possiamo avere carne, non possiamo avere camion, non possiamo avere bambini e
ora non possiamo nemmeno avere cani.
Beh,
dovrai strappare il mio mix di “corgi e golden retriever” dalle mie mani fredde
e morte.
Ma,
naturalmente, questo non accadrà.
Non possono fare leva su nulla. Queste persone
non possono combatterci. Non hanno pistole, e non hanno forza nella parte
superiore del corpo, e certamente non hanno il testosterone per venire contro
di noi.
Non possono costringerci a fare nulla.
Ma
possono tentare di intimidirci, intimidirci e tormentarci fino alla
sottomissione. Questa è la loro strategia.
Vogliono
realizzare questa mostruosa utopia e intendono tormentarci per farci permettere
che ciò accada.
Ma
possiamo dire "No".
Questo
è il motivo per cui Trump li inorridisce così tanto.
Lui risponde: "No".
Non
gli importa quello che pensano, e non farà quello che dicono.
Non è
un editorialista della “National Review” che ci chiede di onorare le norme e i
guardrail morti che i nostri nemici hanno demolito.
Non si arrenderà di fronte alle loro
incessanti lamentele sui social media.
Non si
sente in colpa per aver protetto gli interessi delle persone normali.
In realtà, difende attivamente e
aggressivamente gli interessi della gente normale, il che fa impazzire
l'establishment di sinistra.
Ricorda,
non possono costringerci a fare nulla.
Possono
solo convincerci a sottometterci, e né Trump né quelli di noi che lo sostengono
permettono che ciò accada.
Ecco
perché stanno impazzendo in questo momento.
Stanno perdendo, e lo sanno.
Quindi
stanno raddoppiando.
Siate pronti.
Tutto
ciò che dicono è una bugia e una truffa.
Come
direbbe” Elizabeth Warren”, parlano con lingue biforcute.
Ecco
perché, a differenza dei “Fredocon”, devi essere pronto a rifiutare qualsiasi
argomento che fanno.
Ciò
include le loro argomentazioni procedurali in malafede in cui sostengono che
dobbiamo dare un giusto processo ai mostri – perché qualsiasi giusto processo
che diamo loro non sarà mai sufficiente e deve essere allungato all'infinito in
modo da significare effettivamente che non possiamo fare nulla per risolvere il
problema.
Allo
stesso modo, dobbiamo respingere le loro false argomentazioni sostanziali
secondo cui qualsiasi cosa scegliamo di fare per rispondere ai loro attacchi
politici e culturali è moralmente sbagliata e oltre il limite.
Ancora
una volta, lo scopo è quello di convincerci che siamo impotenti di fronte al
loro assalto.
Devi
capire che ti odiano.
Devi
capire che vogliono solo ciò che è peggio per te.
Devi capire che ogni singola volta si
schiereranno dalla parte dell'indecenza, della perversione e dell'omicidio –
letteralmente – contro di te e la tua famiglia.
Ecco
perché dovete essere pronti a governarvi di conseguenza in questo paradigma,
invece di chiudere gli occhi e coprirvi le orecchie e fingere davvero, davvero
che tutto vada bene.
Non lo
è.
Non
c'è compromesso possibile con queste persone.
Devono
essere sconfitti in modo completo e dettagliato, e l'unico modo per farlo è con
il tipo di fredda spietatezza che gli uomini seri dimostrano quando sono seri
nello schiacciare i loro nemici.
Non è
il momento di vacillare.
Non è il momento di piagnucolare.
Non è il momento di appellarsi a norme che non
esistono come scusa per evitare di fare il duro lavoro di vincere.
Mettitelo
in testa. Capiscilo. Accettatelo.
Agisci
di conseguenza.
L'Europa
e l'arrivo sotto
falsa
bandiera.
Theburningplatform.com
- Guest Post di Martin Armstrong – (18 – 04 – 2025) – ci dice:
Geert
Wilders (nato nel 1963) è un politico olandese che ha guidato il Partito per la
Libertà (PVV) nei Paesi Bassi.
L'ondata nazionalista in Europa sta ora
sollevandosi contro la morsa globalista sull'Europa.
In
ogni nazione europea, c'è una rivolta di buon senso della maggioranza
silenziosa.
Il vecchio regime si sta sgretolando, quindi
si sono rivolti ai neoconservatori per mantenere il potere.
Sono
preoccupato che stiano diventando disperati e che, Macron, Tusk, fino a Merz,
non ammetteranno MAI un errore, quindi per mantenere il controllo, intendono
spingere l'Europa nella Terza Guerra Mondiale.
Merkel_Minsk_Buy_Time_to
.
Preparati
per la verruca Putin non è stupido.
Se fossi in lui, non accetterei in alcun modo
la pace in Ucraina perché l'Europa sta redigendo la costruzione di un esercito
e questa sarà solo Minsk 2.0 come l'Europa ha fatto prima di accettare la pace
solo per dare all'Ucraina il tempo di costruire un esercito per invadere e
indebolire la Russia in modo che la NATO possa invadere e conquistare la
Russia, tutto per saccheggiare il paese nel sogno di Macron di resuscitare
l'Europa come l'Impero Romano e governare il mondo ancora una volta.
La
struttura fallimentare dell'Eurozona si sta sgretolando.
Sono
sull'orlo di un default del debito sovrano, che si sviluppa quando non è
possibile vendere nuovo debito per ripagare il vecchio.
Quando si predica la guerra all'infinito in
tutti i media e i talk show in Europa, bisogna essere pazzi per comprare il
debito europeo.
Hanno
bisogno della guerra, o l'Eurozona si disgregherà.
A loro
non importa nulla dell'Europa o dei popoli, tanto meno del mondo.
Si tratta di una spinta grezza per rimanere
rilevanti e mantenere il potere.
Capo
di Stato dell'Accordo di Minsk.
L'accordo
di Minsk: quando l'Europa mentiva e negoziava in malafede.
Putin
non ha alcun desiderio per la Terza Guerra Mondiale.
Ha posto così tante linee rosse, e l'Europa le
ha superate tutte nella speranza che rispondesse e attaccasse qualsiasi cosa
nella NATO in modo da poter affermare che lui è l'aggressore.
Temo
che l'Europa metterà in scena una “FALSE FLAG” e bombarderà persino il proprio
popolo per incolpare Putin, proprio come la CIA ha proposto di uccidere gli
americani per incolpare Cuba per giustificare un'invasione nel “Progetto North
woods”.
Il
presidente Kennedy respinse il loro piano e respinse il Vietnam – così uccisero
Kennedy e il giorno dopo, Johnson approvò il Vietnam.
Per nascondere ciò che queste persone fanno,
chiamano tutto ciò che li espone una teoria del complotto.
La
Corte Suprema del Regno Unito
stabilisce che la definizione legale
di donna è biologica.
Theburningplatform.com
- Guest Post di Paul Craig Roberts – Redazione – (18-04-2025) – ci dice:
La
Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che nella legge britannica i termini
"donna" e "sesso" sono termini biologici e non includono
gli uomini che si identificano come "transgender".
La
Corte ha stabilito che le persone con "certificati di riconoscimento
transgender", qualunque cosa sia, sono escluse dagli spazi biologici
monosessuali.
Ci
sono aspetti interessanti di questo caso che meritano un commento.
Il caso è stato presentato da gruppi scozzesi
per i diritti delle donne contro l'imposizione da parte del governo scozzese di
uomini che si dichiarano donne negli spazi biologici delle donne.
Che ne è stato degli scozzesi che hanno messo
al potere un governo squilibrato e folle che costringe le donne biologiche ad
accettare gli uomini nei loro spazi privati semplicemente perché l'uomo
squilibrato si dichiara una donna?
Come
ha fatto la Scozia ad avere un governo squilibrato che in passato sarebbe stato
appeso ai lampioni più vicini, se non tirato fuori e squartato nella pubblica
piazza?
Cosa è andato storto con il popolo scozzese
che non è in grado di fare scelte intelligenti e morali su coloro che ha il
potere di governarlo?
Assistiamo
a un simile collasso dei popoli storici in Irlanda, dove il popolo irlandese ha
messo al potere un governo che costringe i cittadini di etnia irlandese, che
riescono a malapena a mettere il cibo in tavola, a sostenere massicci afflussi
di immigrati invasori del terzo mondo che stanno distruggendo totalmente il
carattere e la qualità della vita irlandese.
Che cosa è andato storto nel popolo irlandese
per aver messo al potere un governo determinato a distruggerlo?
Un
altro aspetto interessante è che l'alleanza LGBT+ si sta sciogliendo.
Le
lesbiche scozzesi si sono schierate dalla parte dei gruppi per i diritti delle
donne contro i presunti "transgender".
Un
portavoce lesbico ha detto che le lesbiche sono stanche di essere chiamate
"bigotte di estrema destra" per aver rifiutato di accettare uomini
nei gruppi lesbici.
La
Corte Suprema del Regno Unito ha dichiarato che i "certificati di
riconoscimento transgender" sono legalmente privi di significato.
Che
cos'è esattamente, o era, un "certificato di riconoscimento
transgender"?
È
stato un tentativo di usare un pezzo di carta per dare autorità e realtà a un
nuovo sesso autoproclamato che non esiste in natura, o se esiste solo come una
strana anomalia.
Ciò
che il "movimento transgender" è, o era, in realtà è un'espansione
della "marcia attraverso le istituzioni" marxista culturale.
Un
altro significato normale è distrutto: sesso.
Con la
distruzione del maschio/femmina, il caos viene introdotto nelle corsie
ospedaliere, nei centri di crisi per stupro, negli spogliatoi, nelle squadre
sportive.
Ciò
che è straordinario è il numero di funzionari governativi occidentali a tutti i
livelli che hanno sostenuto fanaticamente il "movimento transgender".
Ad esempio, in Virginia l'amministrazione di
una scuola pubblica ha coperto lo stupro di una giovane ragazza in una zona
doccia / bagno femminile della scuola da parte di un uomo a cui era stato
permesso l'accesso perché si era dichiarato una femmina.
I corrotti amministratori scolastici erano
così impegnati per i "diritti dei transgender" che hanno coperto uno
stupro e cercato di distruggere il padre che si era lamentato dello stupro di
suo figlio.
Questo
dimostra quanto sia profonda la presa del male sulla civiltà occidentale.
Quando gli amministratori liberali della
scuola pubblica in America sono così corrotti da aiutare e favorire lo stupro
delle ragazze nelle loro scuole, e coprirlo, sappiamo che la nostra società è
finitamente malata.
Trump
può rinnovare un paese così malato e depredato?
Il
prezzo sociale della corsa
agli
armamenti in Italia.
Cmedonchisciotte.org
– (18 aprile 2025) - Redazione CDC - Orazio Di Mauro, lacittafutura.it – ci
dice:
Come
il riarmo sottrae risorse a welfare e sanità, aumenta le disuguaglianze sociali
e indebolisce la trasparenza democratica nelle scelte politiche ed economiche.
La
classe dirigente europea ha dato una risposta scomposta e insensata alle azioni
politiche e diplomatiche dell’amministrazione Trump per una tregua in Ucraina e
al possibile ritiro delle forze statunitensi dall’Europa.
Per la prima volta l’UE, compresi i cosiddetti
paesi frugali che si sono sempre opposti a spese sociali e di welfare, ha
deciso all’unanimità di fare una spesa a debito di 800 miliardi per le armi.
La Germania, sempre pronta a limitare la spesa
a debito, in questo caso ha annunciato un piano di 1000 miliardi di euro per il
rinnovamento delle forze armate, mentre la Francia e la Polonia hanno investito
massicciamente in artiglieria, carri armati, e sistemi missilistici.
L’Italia non ha annunciato un piano di riarmo
ma si è impegnata ad aumentare la spesa militare fino al 2% del PIL, in linea
con gli obiettivi NATO.
Questo
aumento previsto di spesa militare non chiude la porta, ma la spalanca, a un
possibile riarmo italiano.
Nessun
Paese ha fatto passi per la costruzione di un esercito europeo, ipotizzando un
suo riarmo massiccio che, ovviamente, al di là degli slogan sull’autonomia
strategica dagli Stati Uniti, è solo un libro dei sogni in quanto mancano le
basi politiche, industriali, sociali e culturali per un simile esercito.
Quindi cercare di costruirlo artificiosamente,
per reagire alle sfide globali, crea più instabilità e divisione che sicurezza,
nel vecchio continente.
L’Italia
è, tra i paesi europei, quello con il debito pubblico più alto, con una
crescita economica bassa e un welfare debole.
Riarmarsi
comprometterebbe la sua economia, la cui produzione industriale decresce da due
anni.
Se
l’idea di una società più militarizzata prevalesse su investimenti sul sociale
e sulla previdenza e l’assistenza sanitaria, si aprirebbe una spaccatura tra
classi sociali meno abbienti subalterne alle élite politico, industriali e
militari.
Le classi sociali, ridotte a una esistenza
difficile, toglierebbero il consenso alla politica del governo con
imprevedibili, ma disastrosi eventi.
Se
l’Italia iniziasse un riarmo dovrebbe iniziare una riconversione industriale,
dando priorità ai settori strategici militari;
tagliare
o rallentare la spesa sociale, per finanziare la produzione di sistemi
d’arma;
questo
comporterebbe la crescita dell’inflazione, dovuta all’aumento della domanda
pubblica di beni e materiali tecnici che diminuirebbero rispetto a prima del
riarmo.
Si
avrebbe una ristrutturazione del lavoro, con l’occupazione trainata dalla spesa
per armamenti, ma potenzialmente a discapito di altri settori, dei servizi,
della cultura e del commercio.
Le
ipotesi di riconversione delle fabbriche civili (come l’auto motive,
elettrodomestici, meccanica leggera) alla produzione bellica sono decisamente
ottimistiche;
infatti trasformare impianti che producono
automobili, pompe idrauliche o tecnologie ambientali in stabilimenti per
produrre carri armati, missili e droni non è un processo neutro.
Non solo non risolve il problema della
disoccupazione strutturale, ma rischia di abbandonare l’innovazione sostenibile
e la coesione sociale in nome di una produttività bellica che dipenderebbe da
crisi internazionali e cicli geopolitici ipotetici.
Questa
militarizzazione dell’economia sposterebbe il punto centrale delle decisioni
politiche fuori dal controllo democratico.
Le
priorità del paese non saranno più scandite dal fabbisogno sociale o ecologico,
ma da obiettivi strategici poco comprensibili alla massa della popolazione,
definiti da accordi politici-militari e, specialmente, dalle pressioni
dell’industria militare che, come sempre avviene, prende il comando dei centri
decisori per volgerli a suo interesse.
Le
generazioni giovani sempre più precarizzate vedrebbero ridotte le proprie
opportunità in nome della sicurezza nazionale.
Per
meglio comprendere i danni economici e sociali di un “riarmo” italiano prenderò
in esame un’arma modernissima di costruzione italiana considerata il fiore
all’occhiello dell’industria domestica, il cacciacarri Centauro II MGS 120/105,
nuovo veicolo blindato ruotato da combattimento dell’esercito italiano.
Prodotto in Italia dal consorzio Iveco-Oto
Melara, composto dalla IVECO nello stabilimento Bolzano e negli stabilimenti a
Brescia e Suzzara e dalla Leonardo – OTO Melara con stabilimenti alla Spezia e
Brescia.
Il
Centauro II è stato progettato per l’Esercito Italiano che ne ha commissionati
circa 150 unità, di cui 10 già consegnate al 2023.
Un
contratto successivo ne ha previsti 96 unità a cui si sono aggiunti altri 50
veicoli, a fronte di una produzione attuale di circa 12-18 veicoli all’anno.
Questa produzione limitata procede con
gradualità; i
l
Centauro II ha una certa priorità ma non è prodotto in grandi volumi come la
Panda.
Le
problematiche della spesa pubblica e il bilancio della Difesa ne hanno frenato
la produzione, ma in un paese lanciato a un riarmo a tutti i costi che
prevedesse un aumento sostanziale della produzione i costi lieviterebbero senza
limiti.
Ad
oggi il costo industriale base è di 5.500.000 € a cui si deve aggiungere il
costo dei Sistemi elettronici avanzati, che ammontano a non meno di 500.000 €,
il cannone da 120mm e la torretta, per una spesa non meno di 1.000.000 €, e
infine il costo della logistica, dei test e delle certificazioni, ovvero circa
400.000 €, per un costo totale di 7,5 milioni di euro.
In una prospettiva di aumento e riconversione
delle fabbriche da civili a militari e con l’aumento del 50% della produttività
annuale passeremo a un sovraccarico industriale (turni extra, supply chain,
logistica) di 1.000.000 € per unità a cui bisognerà aggiungere i costi di
riconversione di impianti e l’ammortamento delle spese fisse, ripartiti per
unità di 400.000 €.
Per un totale di circa 8.000.000 €.
Per
cui il piano di riarmo non sarà per nulla una scelta indolore.
Bisogna ricordare che il ritorno, in vari
modi, di un’economia di guerra rappresenta non solo una trasformazione
strutturale della produzione industriale ma anche un gigantesco
ridimensionamento delle priorità politiche, sociali ed economiche che, lungi
dall’essere neutro, si tradurrebbe in una enorme sottrazione di risorse,
materiali e beni destinati alla vita civile e al vivere quotidiano dei
cittadini.
La
riconversione industriale impoverirebbe la produzione civile.
La
produzione militare ha proprie esigenze peculiari che prevedono forti richieste
di acciaio speciale, microelettronica avanzata, veicoli, carburanti, sistemi di
comunicazione e sensori sofisticati.
Tutti
prodotti che utilizzano gli stessi materiali di molti comparti produttivi
civili: auto, elettrodomestici, macchine agricole, tecnologie mediche,
edilizia, trasporti pubblici.
La
decurtazione dalla filiera civile di queste merci causerebbe ritardi nelle
consegne, scarsità e aumento dei prezzi.
La
riconversione anche parziale di stabilimenti come quelli di Iveco (veicoli
commerciali) o Leonardo (elettronica civile e difesa) per produrre blindati,
radar e missili, porterebbe alla riduzione e/o alla sospensione della
produzione di mezzi pubblici, veicoli industriali, treni e autobus e perfino di
macchine per uso privato. Ciò impatterebbe sull’intera catena della logistica
dei trasporti e consegne e sull’agricoltura, compromettendo il tenore di vita
quotidiana delle famiglie italiane.
Un
considerevole aumento del bilancio militare drenerebbe fondi da sanità, scuola,
infrastrutture e servizi sociali.
L’aumento
della domanda di acciaio, rame, semiconduttori e carburante per sostenere il
comparto difesa farebbe salire i costi dei beni civili, con rischi di forme di
razionamento di fatto:
i prodotti rimarrebbero disponibili, ma non
per tutti, a causa dei prezzi crescenti.
L’economia
di guerra se crea lavoro non garantisce occupazione stabile né salari
crescenti.
I
contratti militari sono periodici e subordinati alla volontà politica.
La
manodopera richiesta se è altamente specializzata, non è però agevolmente
flessibile per il suo utilizzo nel settore civile.
In
ultimo ma non meno importante è quanta democrazia rimarrebbe da questo
passaggio a un’economia strutturalmente militarizzata.
Ben poco dell’equilibrio democratico
sopravviverebbe, le decisioni industriali ed economiche diverrebbero subalterne
a logiche strategiche e militari, spesso opache e non trasparenti e,
soprattutto, non sindacabili.
Questo indebolirebbe la sovranità popolare
sulle priorità della spesa pubblica e accentuerebbe il potere delle grandi
industrie legate alla difesa, a scapito della società civile.
(Orazio
Di Mauro, lacittafutura.it).
(Francesco
Vignarca, Disarmo o barbarie?, DeriveApprodi, 2023).
MENZOGNE
DI GUERRA.
Comedonchisciotte.org
– (18 Aprile 2025) - Redazione CDC - Filippo Dellepiane, sollevazione.it – ci
dice:
È da
domenica che la grancassa mediatica spinge sul nuovo, presunto, terribile
efferato crimine della Russia a Sumy.
Proprio
mentre si inizia a parlare di colloqui di pace, guarda caso non si fa altro che
cercare pretesti ed eventi che rallentino, sabotino, gli eventuali negoziati.
Sarà una coincidenza?
Che
gli errori in guerra esistano è evidente, così come i crimini.
È
naturale sia così, assisteremo sempre a scene di violenza, a volte
ingiustificate, nei teatri bellici.
Tuttavia,
non si può negare che l’operazione russa in Ucraina sia largamente combattuta
sui campi di battaglia e faccia “poche” vittime fra la popolazione:
in
ormai 3 anni di guerra i civili caduti ammontano, secondo “UN human rights
office”, OHCHR, tra febbraio 2022 e il 31 dicembre 2024, a 12.456 .
Un
numero veramente basso, soprattutto alla luce sia dell’intensità delle guerre
moderne, sia del potenziale distruttivo dell’esercito russo.
Il
doppio standard e la follia occidentale si registrano, però, guardando i
giornali anche nel nostro paese:
“Repubblica” apriva ieri il suo quotidiano con
la scritta “Mosca fa strage di civili”, mentre relegava in basso la notizia
“Gaza city”, raid israeliano sull’ultimo ospedale, come se non fosse in corso
ormai da quasi 2 anni un genocidio che rischia di cancellare dalla faccia della
Terra il popolo “Gazawi”.
Non
bastasse questo, vi è una considerazione metodologica da fare:
i
nostri giornali hanno dato immediatamente per certa la notizia, riprendendola e
sfruttandola per la loro propaganda guerrafondaia, contravvenendo alle norme
deontologiche minime del giornalismo.
Se
Trump, infatti, si è limitato a parlare di un errore, tanto per il sottile non
sono andati i vertici europei, fra cui il suo pseudo ministro degli esteri,
“Kallas,” la quale ha oggi rincarato la dose dichiarando che “vogliamo che
nessun Paese candidato all’ingresso in Ue partecipi agli eventi del 9 maggio a
Mosca”, giorno in cui la Russia celebra la vittoria contro il nazismo.
Subito
Zelensky ha ripreso l’antifona di come non sia possibile fidarsi della Russia,
di come quest’ultima violi il cessate il fuoco sulle infrastrutture civili e
che la guerra debba continuare.
Sappiamo,
però, che non è il primo caso sospetto di crimini che l’esercito russo avrebbe
presuntamente compiuto in territorio ucraino, che viene utilizzato e ripreso da
Kiev e l’Occidente.
Ricorderemo
tutti, per esempio, il caso di “Bucha”, di cui si è parlato anche su questo
sito, ma ne esistono altri che sono stati definitivamente desuntati.
Un
esempio, è l’incidente del missile russo finito in territorio polacco nel
novembre del 2022:
si
scoprì, poi, che era invece un S-300 dell’antiaerea ucraina.
Tuttavia, per alcune ore Zelensky rischiò di
trascinare l’intera Nato ancora di più nel conflitto ucraino, chiedendo venisse
attivato l’articolo 5 del Patto Atlantico.
Più di
recente, è ormai celebre il caso del mercato di “Kostiantynivka” nel settembre
del 2023:
attribuito ai Russi, in realtà la strage era
ancora una volta imputabile ad un missile lanciato per errore dagli Ucraini.
È
chiaro che tutto ciò faccia parte di una strategia di guerra ibrida:
segnalavamo
fin dalla scorsa estate che, a partire dal fallimento della strategia ucraina
della controffensiva di giugno-luglio 2023 in poi, sarebbero diventati più
frequenti questi casi sospetti.
Il
terrorismo dell’indignazione, la mostrificazione del nemico e la sua
hitlerizzazione, cerca di colpire nella sensibilità delle persone, portandole a
sviluppare un sentimento di sgomento e repulsione.
Chi di
fronte a scene di massacri di civili non si troverebbe disgustato da esse?
La
strage di Gaza è un esempio di scuola, che ha portato alla mobilitazione di
buona parte della nostra società.
Si
spererebbe, perciò, di replicare la stessa reazione anche riguardo l’Ucraina,
peccato che la situazione è completamente diversa, come abbiamo di recente
dimostrato.
Non
ultimo, anche in questo caso i dubbi si sprecano su ciò che è realmente
accaduto.
Di certo sappiamo che nemmeno da parte ucraina
la cosa è così chiara.
Se
l’intelligence ucraina, che fa capo a “Budanov “(uno dei più oltranzisti, di
cui avevamo già parlato in precedenza), ha attribuito l’attacco a due brigate
russe, la 112ª e la 448ª, ciò che è interessante segnalare è come” Artem
Semenikhin”, sindaco della città di “Konotop”, nell’Oblast’ di Sumy, abbia
accusato il governatore regionale “Volodymyr Artiukh “di aver organizzato una
premiazione della 117ª Brigata a “Sumy”, proprio la Domenica delle Palme, nella
via più affollata della città.
Secondo”
Semenikhin”, l’evento comportava dei rischi per i civili e infatti la Russia ha
replicato, dichiarando che l’Ucraina fa uso di scudi umani (non sarebbe il primo caso, anche a
Mariupol accadde, ne parlò persino la tv italiana).
Infine,
il “Kyiv Indipendent”, sebbene dica di non poter confermare la fonte, afferma
che 2 soldati hanno dichiarato che effettivamente si trovavano lì, insieme a
molti altri, per una cerimonia militare di premiazione, ricalcando così la
posizione russa che accusa gli Ucraini di organizzare tali eventi all’interno
di città popolose.
Sono solo i Russi a pensarlo?
In
realtà no, ecco cosa dice una deputata ucraina, celebre per le sue intemerate
contro tutto e tutti, “Maryana Bezuhla”:
“La
Russia ha bombardato il centro di Sumy la domenica delle Palme. Un appello a
Syrsky e separatamente al comandante del Dipartimento di difesa territoriale:
non radunare personale militare per i premi, soprattutto nelle città civili –
ancora una volta, i russi avevano informazioni sul raduno (…) Nessuno è stato
punito per i casi precedenti.
Ad
esempio, dopo la tragedia della cerimonia di premiazione della 128a Brigata,
nessuno è stato ancora incriminato per alcun reato, poiché il generale di
brigata “Lysyuk “è l’uomo migliore del generale “Zubanych” (…)
Signor Presidente, le va bene?
Stai zitto e tieni la bocca chiusa?”
Da
altre immagini apparse su “X”, pare evidente che l’evento fosse di natura
militare, probabilmente all’interno dell’Università (secondo i Russi questo dato è certo,
ma alcune immagini sembrerebbero confermare questa ipotesi).
Nel
frattempo, Zelensky ha licenziato il capo dell’amministrazione militare di
Sumy, colpevole di aver fornito un ” pretesto “ai russi di colpire.
Insomma,
potremmo andare avanti ore e analizzare, vagliare altri casi, sia da una parte,
sia dall’altra.
Ciò che è importante segnalare, è il
doppiopesismo occidentale e la strumentalizzazione dei fatti di guerra più
angoscianti, che comunque coinvolgono i civili in questa guerra molto meno che
a” Gaza”, perché non sia possibile arrivare a una soluzione negoziale.
Dal
loro punto di vista, tutto fa brodo perché non si arrivi a una soluzione al
conflitto.
D’altronde,
la guerra è sempre, anzitutto, guerra di propaganda:
per
dirla con Napoleone, “temo tre giornali più di centomila baionette”.
(Filippo
Dellepiane, sollevazione.it).
(sollevazione.it/2025/04/menzogne-di-guerra-di-filippo-dellepiane.html).
Il
ritorno dei magnati senza scrupoli.
Comedonchisciotte.org
– (17 Aprile 2025) – Markus - Michael Hudson- democracycollaborative.org – ci
dice:
La
visione distorta di Donald Trump della storia tariffaria americana.
Tesi
principale.
Michael
Hudson critica la politica tariffaria di Donald Trump, sostenendo che non mira
a reindustrializzare gli Stati Uniti, ma a tagliare le tasse per i ricchi,
sostituendo l’imposta sul reddito con tariffe doganali.
Presentata
come un ritorno alla grandezza industriale dell’America del XIX secolo, questa
politica distorce la storia economica statunitense ed è un’estensione del
neoliberismo.
Lungi
dal promuovere l’industria, le tariffe di Trump aggraveranno la
deindustrializzazione, l’inflazione e la polarizzazione della ricchezza,
ignorando le cause strutturali del declino industriale americano.
La
narrazione distorta di Trump.
Trump
ammira l’Età Dorata (Gilded Age) per l’assenza di un’imposta progressiva sul
reddito e il finanziamento del governo tramite tariffe.
Tuttavia,
il successo industriale di quel periodo non derivava solo dalle tariffe, ma dal
“Sistema Americano” di “Henry Clay”, che combinava tariffe protettive,
investimenti pubblici in infrastrutture e regolamentazione per minimizzare le
rendite monopolistiche.
Le
tariffe finanziavano servizi pubblici (trasporti, istruzione) che riducevano il
costo della vita, aumentando la produttività del lavoro secondo la dottrina
dell’Economia degli Alti Salari.
Trump,
invece, propone tariffe per sostituire le imposte sul reddito, favorendo i
ricchi e privatizzando le infrastrutture, senza affrontare l’alto costo della
vita e l’indebitamento che ostacolano l’industria americana.
Il
decollo industriale americano.
Il
successo industriale degli Stati Uniti post-Guerra Civile si basava su
un’economia mista pubblico-privata, opposta alle teorie del libero mercato.
Le tariffe proteggevano l’industria, ma erano
secondarie rispetto agli investimenti pubblici in infrastrutture, considerate
un “quarto fattore di produzione” (Simon Patten).
Fornendo servizi di base (trasporti,
comunicazioni) a prezzi bassi, il governo riduceva i costi per il settore
privato.
La
regolamentazione impediva rendite monopolistiche, mentre il sistema bancario
nazionale finanziava la crescita industriale, superando la dipendenza dall’oro.
La
politica fiscale tassava la rendita economica (rendite fondiarie,
monopolistiche, finanziarie), considerata un reddito non guadagnato, lasciando
il lavoro e l’industria esenti.
L’imposta
sul reddito del 1913 colpiva solo il 2% più ricco, gravando su rendite
finanziarie e immobiliari.
La
finanziarizzazione neoliberista.
Dagli
anni ’80, il neoliberismo ha invertito queste dinamiche.
L’aumento
dei costi di abitazioni, sanità e istruzione ha schiacciato il reddito dei
lavoratori, mentre il debito privato (mutui, prestiti studenteschi, carte di credito)
è esploso.
Il costo delle case assorbe il 43% del reddito
familiare, rispetto al 25% standard, e il debito sanitario causa bancarotte.
Ciò rende il lavoro americano non competitivo
globalmente, poiché i salari devono coprire oneri crescenti.
Le aziende usano i profitti per ripagare
debiti o distribuire dividendi, non per investire in innovazione.
La privatizzazione di monopoli naturali
(trasporti, comunicazioni) ha aumentato i costi, e la deregolamentazione ha
favorito il settore finanziario, che presta per acquisire beni esistenti
(immobili, aziende), gonfiando i prezzi e caricando l’economia di debiti.
L’onere
fiscale si è spostato dal capitale al lavoro, favorendo plusvalenze finanziarie
rispetto ai profitti industriali, polarizzando la ricchezza: il 10% più ricco
prospera, il 90% si impoverisce.
Il
confronto con la Cina.
La
Cina, al contrario, segue un modello simile a quello americano del XIX secolo,
sovvenzionando bisogni di base (istruzione, sanità, trasporti) e mantenendo il
settore bancario pubblico per finanziare l’industria a basso costo.
Ciò
consente salari più alti senza compromettere la competitività, grazie a un
basso costo della vita.
La
Cina contrasta l’accumulo di fortune private che influenzano la politica,
evitando la finanziarizzazione.
Questo
attivismo statale, criticato dagli Stati Uniti come “autocrazia”, ha impedito
l’emergere di un’oligarchia rentier, mantenendo l’economia produttiva.
L’Età
Dorata e il piano di Trump.
Trump
idealizza l’Età Dorata per la ricchezza dei “baroni rapinatori”, ignorando che
derivava da monopoli non regolamentati e rendite non tassate, non da una
strategia industriale.
La legislazione antitrust e l’imposta sul
reddito del 1913 contrastarono queste distorsioni.
Trump
propone tariffe pagate dai consumatori per detassare i ricchi, ma ciò non
affronta le cause della deindustrializzazione (costo della vita, debito) e
aggraverà l’inflazione e i licenziamenti.
La sua politica protegge un’industria obsoleta
e finanziarizzata, non promuove la reindustrializzazione.
Effetti
economici delle tariffe.
Le
tariffe di Trump, annunciate il 3 aprile, interromperanno il commercio,
causando licenziamenti e inflazione.
L’incertezza dei negoziati bilaterali ha
spinto Cina e altri Paesi a ridurre le esportazioni di materie prime e
componenti essenziali per l’industria americana.
Le
aziende straniere evitano di investire negli Stati Uniti per timore di
imposizioni future.
Le tariffe aumentano il costo della vita,
rendendo il lavoro americano ancora meno competitivo, senza risolvere
l’indebitamento e i costi elevati di abitazioni e sanità.
Senza
liberare l’economia dalla rendita rentier, la reindustrializzazione è
impossibile e l’economia rischia la depressione.
Implicazioni
geopolitiche.
La
strategia di Trump isola gli Stati Uniti, accelerando la de-dollarizzazione e
spingendo Paesi asiatici e latinoamericani a creare mercati commerciali
alternativi.
Questo
segna un passo verso l’auto-isolamento economico dell’America, che perde
competitività.
Hudson
paragona Trump a Creso, il re lidio che distrusse il proprio impero per
arroganza.
Le tariffe minano la fiducia nel dollaro e
interrompono le catene di approvvigionamento, danneggiando l’industria
statunitense.
Conclusione.
Hudson
contrappone il programma industriale del XIX secolo (investimenti pubblici,
regolamentazione, tariffe protettive) al neoliberismo di Trump
(privatizzazioni, deregolamentazione, tagli fiscali per i ricchi).
Le tariffe, senza una strategia per ridurre i
costi della vita e la rendita, proteggeranno un’industria finanziarizzata,
portando a una depressione per il 90% della popolazione.
Il
programma di Trump, pur motivato dal desiderio di reindustrializzare, fallirà,
aggravando la polarizzazione economica e geopolitica.
Articolo
originale.
La
politica tariffaria di Donald Trump ha gettato i mercati in subbuglio sia tra i
suoi alleati che tra i suoi nemici.
Questa
anarchia riflette il fatto che il suo obiettivo principale non era una vera e
propria politica tariffaria, ma semplicemente tagliare le imposte sul reddito
dei ricchi, sostituendole con le tariffe come principale fonte di entrate
statali.
L’ottenimento
di concessioni economiche da altri Paesi è una parte della sua giustificazione
per questo cambiamento fiscale, in quanto offre un vantaggio nazionalistico per
gli Stati Uniti.
La sua
storia di copertura, e forse anche la sua convinzione, è che le tariffe da sole
sarebbero in grado di rilanciare l’industria americana.
Ma non
ha alcun piano per affrontare i problemi che hanno causato la
deindustrializzazione dell’America.
Non
c’è nessun riconoscimento di ciò che aveva consentito il successo del programma
industriale originale degli Stati Uniti e della maggior parte delle altre
nazioni.
Quel
programma si basava su infrastrutture pubbliche, investimenti industriali
privati in crescita, salari protetti da tariffe e una forte regolamentazione
governativa.
La
politica “taglia e brucia” di Trump è l’opposto:
ridimensionare il governo, indebolire la
regolamentazione pubblica e svendere le infrastrutture pubbliche per
contribuire a pagare i tagli alle imposte sul reddito della sua classe
dirigente.
Questo
non è altro che il programma neoliberista sotto un’altra veste.
Trump lo presenta come un sostegno
all’industria, non come la sua antitesi.
La sua
mossa non è affatto un piano industriale, ma un gioco di potere per ottenere
concessioni economiche da altri Paesi, riducendo al contempo le tasse sui
redditi dei più ricchi.
Il risultato immediato saranno licenziamenti,
chiusura di aziende e inflazione dei prezzi al consumo.
Introduzione.
Il
notevole decollo industriale dell’America dalla fine della Guerra Civile allo
scoppio della Prima Guerra Mondiale ha sempre messo in imbarazzo gli economisti
del libero mercato.
Il successo degli Stati Uniti era il risultato
di politiche esattamente opposte a quelle sostenute dall’odierna ortodossia
economica.
Il contrasto non è solo quello tra tariffe
protezionistiche e libero scambio.
Gli
Stati Uniti avevano creato un’economia mista pubblico-privata in cui gli
investimenti in infrastrutture pubbliche erano intesi come “quarto fattore di
produzione”, non per essere gestiti come un’azienda a scopo di lucro, ma per
fornire servizi di base a prezzi minimi in modo da sovvenzionare il costo della
vita e dell’attività del settore privato.
La
logica alla base di queste politiche era stata formulata già negli anni Venti
del XIX secolo nel “Sistema Americano “di “Henry Clay”, che prevedeva tariffe
protettive, miglioramenti interni (investimenti pubblici nei trasporti e in
altre infrastrutture di base) e banche nazionali volte a finanziare lo sviluppo
industriale.
Per
guidare l’industrializzazione della nazione era nata emersa una “Scuola
Americana di Economia Politica “basata sulla dottrina dell’”Economia degli Alti
Salari”, volta a promuovere la produttività del lavoro attraverso
l’innalzamento del tenore di vita e programmi pubblici di sussidio e sostegno.
Queste
non sono le politiche consigliate dai Repubblicani e dai Democratici di oggi.
Se la Reaganomics, il Thatcherismo e i ragazzi del libero mercato di Chicago
avessero guidato la politica economica americana alla fine del XIX secolo, gli
Stati Uniti non avrebbero raggiunto il loro dominio industriale.
Non sorprende quindi che la logica
protezionistica e degli investimenti pubblici che aveva guidato
l’industrializzazione americana sia stata cancellata dalla storia degli Stati
Uniti.
Non ha
alcun ruolo nella falsa narrativa di “Donald Trump” volta a promuovere
l’abolizione delle imposte progressive sul reddito, il ridimensionamento del
governo e la privatizzazione dei suoi beni.
Ciò
che Trump ammira della politica industriale americana del XIX secolo è
l’assenza di un’imposta progressiva sul reddito e il finanziamento del governo
principalmente attraverso le entrate tariffarie.
Questo
gli ha fatto venire l’idea di sostituire la tassazione progressiva sul reddito
che ricade sulla sua classe di donatori – l’1% che non pagava alcuna imposta
sul reddito prima della sua entrata in vigore nel 1913 – con tariffe che
ricadano solo sui consumatori (cioè sul lavoro).
Davvero una nuova età dell’oro!
Nel
guardare con favore all’assenza di una tassazione progressiva del reddito
all’epoca del suo eroe, “William McKinley” (eletto presidente nel 1896 e nel
1900), Trump ammira l’eccesso economico e la disuguaglianza dell’Età Dorata.
Tale disuguaglianza è stata ampiamente
criticata come distorsione dell’efficienza economica e del progresso sociale.
Per
contrastare la ricerca di ricchezza corrosiva e vistosa che causava la
distorsione, nel 1890 il Congresso aveva approvato la legge “Sherman Anti-Trust”,
“Teddy Roosevelt” aveva proseguito con lo smantellamento dei monopoli ed era
stata approvata un’imposta sul reddito assai progressiva che ricadeva quasi
interamente sui redditi finanziari e immobiliari dei rentier e sulle rendite di
monopolio.
Trump
sta quindi promuovendo una narrazione semplicistica e del tutto falsa di ciò
che aveva reso così di successo la politica di industrializzazione dell’America
del XIX secolo.
Per lui, ciò che è grande è la parte “dorata”
della “Gilded Age”, non il suo decollo industriale e socialdemocratico guidato
dallo Stato.
La sua
panacea è che le tariffe sostituiscano le imposte sul reddito, insieme alla
privatizzazione di ciò che resta delle funzioni del governo.
La
riduzione della tassazione e la regolamentazione da parte del governo darebbe a
una nuova serie di magnati senza scrupolo la possibilità di arricchirsi
ulteriormente e abbasserebbe il deficit di bilancio vendendo ciò che rimane dei
beni dello Stato, dalle terre dei parchi nazionali al servizio postale e ai
laboratori di ricerca.
Le
politiche chiave che hanno portato al decollo industriale dell’America.
Le
tariffe doganali da sole non erano state sufficienti a creare il decollo
industriale dell’America, né quello della Germania e di altre nazioni che
cercavano di sostituire e superare il monopolio industriale e finanziario della
Gran Bretagna.
La chiave era stata l’utilizzo delle entrate
tariffarie per sovvenzionare gli investimenti pubblici, in combinazione con il
potere normativo e soprattutto la politica fiscale, per ristrutturare
l’economia su molti fronti e plasmare l’organizzazione lavoro e del capitale.
L’obiettivo
principale era quello di aumentare la produttività del lavoro.
Ciò richiedeva una forza lavoro sempre più
qualificata, che necessitava di un aumento del tenore di vita, dell’istruzione,
di condizioni di lavoro sane, della protezione dei consumatori e di una
regolamentazione che assicurasse alimenti sicuri.
La
dottrina dell’economia degli alti salari riconosceva che una manodopera ben
istruita, sana e ben nutrita poteva essere più competitiva della “manodopera
sottopagata”.
Il
problema è che i datori di lavoro hanno sempre cercato di aumentare i loro
profitti lottando contro la richiesta di salari più alti da parte dei
lavoratori.
Il decollo industriale dell’America aveva
risolto questo problema riconoscendo che il tenore di vita dei lavoratori è il
risultato non solo dei livelli salariali, ma anche del costo della vita.
Nella
misura in cui gli investimenti pubblici finanziati dalle entrate tariffarie
potevano pagare il costo della fornitura dei bisogni di base, il tenore di vita
e la produttività del lavoro potevano aumentare senza che gli industriali
subissero un calo dei profitti.
I
principali bisogni fondamentali erano l’istruzione gratuita, il sostegno alla
sanità pubblica e i servizi sociali affini.
Erano stati fatti anche investimenti pubblici
in infrastrutture di trasporto (canali e ferrovie), comunicazioni e altri
servizi di base, i cosiddetti monopoli naturali, per evitare che si
trasformassero in feudi privati con rendite monopolistiche a spese
dell’economia in generale.
“Simon
Patten”, il primo professore americano di economia presso la sua prima scuola
di economia (la” Wharton School” dell’Università della Pennsylvania), aveva
definito gli investimenti pubblici in infrastrutture un “quarto fattore di
produzione.”
A
differenza del capitale privato, l’obiettivo non era quello di realizzare un
profitto, né tanto meno di massimizzare i prezzi al massimo sopportabile dal
mercato.
Lo
scopo era quello di fornire servizi pubblici a tariffa agevolata o addirittura
gratuitamente.
A
differenza della tradizione europea, gli Stati Uniti avevano lasciato molti
servizi di base in mani private, ma li avevano regolamentati per evitare
l’estrazione di rendite monopolistiche.
Gli imprenditori sostenevano questa economia
mista pubblico-privata, ritenendo che sovvenzionasse un’economia a basso costo,
aumentando così il suo (e il loro) vantaggio competitivo nell’economia
internazionale.
Il
servizio pubblico più importante, ma anche il più difficile da introdurre, era
il sistema monetario e finanziario necessario per fornire credito sufficiente a
finanziare la crescita industriale della nazione.
La
creazione di credito cartaceo privato e/o pubblico richiedeva la sostituzione
della stretta dipendenza dall’oro come moneta.
L’oro era rimasto a lungo la base per il
pagamento dei dazi doganali al Tesoro, che lo sottraeva all’economia generale,
limitandone la disponibilità per il finanziamento dell’industria.
Gli industriali sostenevano la necessità di
abbandonare l’eccessiva dipendenza dall’oro con la creazione di un sistema
bancario nazionale che fornisse una sovrastruttura di credito cartaceo per
finanziare la crescita industriale.
L’economia
politica classica vedeva nella politica fiscale la leva più importante per
orientare l’allocazione delle risorse e del credito verso l’industria.
Il suo
principale obiettivo politico era quello di minimizzare la rendita economica
(l’eccesso dei prezzi di mercato rispetto al valore intrinseco dei costi)
liberando i mercati dal reddito dei rentier sotto forma di rendita fondiaria,
rendita monopolistica, interessi e commissioni finanziarie.
Da “Adam
Smith” a “David Ricardo”, da “John Stuart Mill” a “Marx” e ad altri socialisti,
la teoria classica del valore definiva tale rendita economica come un reddito
non guadagnato, estratto senza contribuire alla produzione e quindi un prelievo
non necessario sulla struttura dei costi e dei prezzi dell’economia.
Le
tasse sui profitti industriali e sui salari del lavoro si aggiungevano al costo
di produzione e quindi dovevano essere evitate, mentre la rendita fondiaria, la
rendita monopolistica e i guadagni finanziari dovevano essere tassati, oppure
la terra, i monopoli e il credito potevano essere semplicemente nazionalizzati
e resi di pubblico dominio per abbassare i costi di accesso ai beni immobili e
ai servizi monopolistici e ridurre gli oneri finanziari.
Queste
politiche basate sulla distinzione classica tra costo-valore intrinseco e
prezzo di mercato sono ciò che aveva reso il capitalismo industriale così
rivoluzionario.
La
liberazione delle economie dal reddito da rendita attraverso la tassazione
della rendita economica mirava a ridurre al minimo il costo della vita e degli
affari, oltre a minimizzare il dominio politico di un’élite di potere
finanziario e padronale.
Quando,
nel 1913, gli Stati Uniti avevano imposto la prima tassa progressiva sul
reddito, solo il 2% degli americani aveva un reddito abbastanza alto da
richiedere una dichiarazione dei redditi.
La stragrande maggioranza dell’imposta del
1913 ricadeva sulle rendite degli interessi finanziari e immobiliari e sulle
rendite di monopolio dei trust organizzati dal sistema bancario.
Come
la politica neoliberista dell’America ha invertito la sua precedente dinamica
industriale.
Dal
decollo del periodo neoliberista negli anni ’80, il reddito disponibile della
manodopera statunitense è stato schiacciato dagli alti costi dei bisogni
primari, mentre il costo della vita l’ha estromessa dai mercati mondiali.
Questa
non è la stessa cosa di un’economia ad alti salari.
Si tratta di un rastrellamento dei salari per
pagare le varie forme di rendita economica che hanno proliferato e distrutto la
struttura dei costi dell’America, un tempo competitiva.
I
331.000 dollari che sono la produzione economica odierna per una famiglia di
quattro persone non vengono spesi principalmente per i prodotti o i servizi
prodotti dai salariati.
Sono
perlopiù assorbiti dal settore finanziario, assicurativo e immobiliare (FIRE) e
dai monopoli al vertice della piramide economica.
Il
peso dei debiti accumulati dal settore privato (aziende e individui) sta
causando due problemi principali:
1. I
salari non migliorano il loro tenore di vita dei lavoratori, perché una grossa
fetta del denaro guadagnato viene usata per pagare debiti (come mutui, prestiti
o carte di credito) invece di essere spesa per beni, servizi o risparmi.
2. I
profitti delle aziende non vengono reinvestiti in cose concrete, come nuove
fabbriche, macchinari, ricerca o innovazione. Invece, le aziende usano i loro
guadagni per ripagare debiti o per altre spese finanziarie, rallentando il
progresso industriale.
Inflazionato
dal credito bancario e dall’aumento del rapporto debito/reddito, per gli
acquirenti statunitensi il costo indicativo della casa è salito al 43% del loro
reddito, ben oltre il 25% standard di un tempo.
La”
Federal Housing Authority” assicura i mutui per garantire che le banche che
seguono questa linea guida non perdano denaro, anche se gli arretrati e le
inadempienze stanno raggiungendo i massimi storici.
I tassi di proprietà delle case erano scesi da
oltre il 69% nel 2005 a meno del 63% nell’ondata di pignoramenti di “Obama”
dopo la crisi dei mutui spazzatura del 2008.
Gli affitti e i prezzi delle case sono
aumentati costantemente (soprattutto durante il periodo in cui la Federal
Reserve ha mantenuto i tassi d’interesse deliberatamente bassi per gonfiare i
prezzi degli asset a sostegno del settore finanziario, e mentre il capitale
privato acquistava case che i salariati non potevano permettersi), rendendo
l’abitazione di gran lunga l’onere maggiore sul reddito da lavoro dipendente.
Stanno
esplodendo anche i debiti studenteschi arretrati, contratti per laurearsi e
ottenere un lavoro più remunerativo, e, in molti casi, per i debiti fatti per
acquistare l’auto, necessaria per raggiungere il posto di lavoro.
A
questo si aggiunge il debito con le carte di credito che si accumula solo per
far quadrare i conti.
La
disastrosa assicurazione medica privatizzata assorbe oggi il 18% del PIL degli
Stati Uniti, eppure il debito sanitario è diventato una delle principali cause
di bancarotta personale.
Tutto
questo non è altro che l’inverso di quanto previsto dalla politica originaria
dell’Economia degli Alti Salari per l’industria americana.
Questa
finanziarizzazione neoliberale – la proliferazione degli oneri da rendita,
l’inflazione dei costi degli alloggi e della sanità e la necessità di vivere a
credito al di là dei propri guadagni – ha due effetti.
Il più evidente è che la maggior parte delle
famiglie americane dal 2008 non riesce ad aumentare i propri risparmi e vive di
stipendio in stipendio.
Il
secondo effetto è che, con i datori di lavoro obbligati a pagare la loro forza
lavoro abbastanza da sostenere questi oneri, il salario di sussistenza per il
lavoro americano è salito così tanto al di sopra di quello di ogni altra
economia nazionale che non c’è modo che l’industria americana possa competere
con quella dei Paesi stranieri.
La
privatizzazione e la deregolamentazione dell’economia statunitense hanno
obbligato i datori di lavoro e i lavoratori a sostenere i costi di rendita, tra
cui l’aumento dei prezzi degli alloggi e l’incremento del debito, che sono
parte integrante delle attuali politiche neoliberiste.
La perdita di competitività industriale che ne
deriva è il principale ostacolo alla sua reindustrializzazione.
Dopotutto,
sono stati proprio questi oneri da rendita a deindustrializzare l’economia,
rendendola meno competitiva sui mercati mondiali e stimolando la
delocalizzazione dell’industria, aumentando i costi dei bisogni primari e delle
attività commerciali.
Il
pagamento di tali tariffe restringe anche il mercato interno, riducendo la
capacità della manodopera di acquistare ciò che produce.
La
politica tariffaria di Trump non fa nulla per affrontare questi problemi, ma li
aggraverà accelerando l’inflazione dei prezzi.
È
improbabile che la situazione cambi a breve termine, perché i beneficiari delle
attuali politiche neoliberiste – i destinatari di questi oneri di rendita che
gravano sull’economia statunitense – sono diventati la classe politica dei
donatori miliardari.
Per aumentare e rendere irreversibili le sue
rendite e i suoi guadagni di capitale, questa oligarchia risorgente sta facendo
pressione per privatizzare e svendere ulteriormente il settore pubblico, invece
di fornire servizi sovvenzionati per soddisfare a costi minimi le esigenze di
base dell’economia.
I più grandi servizi pubblici che sono stati
privatizzati sono monopoli naturali – ed è per questo che, in primo luogo,
erano stati mantenuti di dominio pubblico (proprio, per evitare l’estrazione di
rendite monopolistiche).
La
pretesa è che la proprietà privata alla ricerca di profitti sia un incentivo ad
aumentare l’efficienza.
La
realtà è che i prezzi di quelli che prima erano servizi pubblici vengono
aumentati in base a ciò che il mercato può sopportare per i trasporti, le
comunicazioni e altri settori privatizzati.
Si
attende con ansia il destino delle Poste americane che il Congresso sta
cercando di privatizzare.
Né
l’aumento della produzione né la riduzione dei suoi costi sono l’obiettivo
dell’odierna vendita di beni pubblici.
La
prospettiva di possedere un monopolio privatizzato in grado di estrarre una
rendita monopolistica ha portato i manager finanziari a prendere in prestito il
denaro per acquistare queste aziende, aggiungendo il pagamento del debito alla
loro struttura dei costi.
I manager iniziano poi a vendere i beni
immobili delle aziende per ottenere rapidamente denaro contante che trasformano
in dividendi speciali, riaffittando le proprietà di cui hanno bisogno per
operare.
Il
risultato è un monopolio ad alto costo, fortemente indebitato e con profitti in
calo.
Questo
è il modello neoliberale, dalla privatizzazione della” Thames Water” in
Inghilterra alla finanziarizzazione privata di ex aziende industriali come la “General
Electric e la Boeing”.
A
differenza del decollo del capitalismo industriale del XIX secolo, l’obiettivo
dei privatizzatori nell’attuale epoca post-industriale del capitalismo
finanziario da rendita è quello di realizzare plusvalenze sui titoli delle
imprese (un tempo pubbliche) che sono state privatizzate, finanziarizzate e
deregolamentate.
Un obiettivo finanziario simile viene
perseguito nell’arena privata, dove la politica è quella di sostituire la
spinta agli utili aziendali con la realizzazione di plusvalenze azionarie,
obbligazioni e immobili.
La
grande maggioranza delle azioni e delle obbligazioni è di proprietà del 10% più
ricco, non del 90% che sta sotto.
Mentre
la ricchezza finanziaria del 10% è aumentata, il reddito personale disponibile
della maggioranza (dopo aver pagato le tasse sulla rendita) si è ridotto
. Con
l’attuale capitalismo finanziario, l’economia va contemporaneamente in due
direzioni:
verso
il basso per il settore della produzione di beni industriali, verso l’alto per
i crediti finanziari e di altro tipo sul lavoro e sul capitale di questo
settore.
L’economia
mista pubblico-privato che in passato aveva fatto crescere l’industria
americana riducendo al minimo il costo della vita e del lavoro è stata
invertita da quello che è il gruppo elettorale più influente di Trump (e anche
dei Democratici, a dire il vero):
l’1%
più ricco, che continua a far marciare le sue truppe sotto la bandiera
libertaria del Thatcherismo, della Reaganomics e degli ideologi antigovernativi
di Chicago (cioè antioperai).
Essi accusano le imposte progressive sul
reddito e sul patrimonio, gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche e il
ruolo regolatorio del governo per prevenire comportamenti economici predatori e
la polarizzazione, di essere intrusioni nel “libero mercato”.
La
domanda, ovviamente, è: “libero per chi”?
Quello
che intendono è un mercato libero per i ricchi di estrarre rendite economiche.
Ignorano sia la necessità di tassare o
minimizzare in altro modo la rendita economica per raggiungere la competitività
industriale, sia il fatto che tagliare le tasse sul reddito dei ricchi – e poi
insistere sul pareggio del bilancio pubblico come quello di una famiglia che
deve evitare di indebitarsi ancora di più – affama l’economia perché le sottrae
il potere d’acquisto del pubblico.
Senza
una spesa pubblica netta, l’economia è costretta a rivolgersi alle banche per
ottenere finanziamenti, i cui prestiti a interesse crescono esponenzialmente,
escludendo la spesa per beni e servizi reali.
Ciò intensifica la compressione dei salari
descritta in precedenza e la dinamica della deindustrializzazione.
Un
effetto fatale di tutti questi cambiamenti è stato che il capitalismo, invece
di industrializzare il sistema bancario e finanziario come ci si aspettava nel
XIX secolo, ha finanziato l’industria.
Il settore finanziario non ha destinato il
proprio credito al finanziamento di nuovi mezzi di produzione, ma
all’acquisizione di beni già esistenti, soprattutto immobili e aziende
esistenti.
In
questo modo, i beni vengono caricati di debiti e si gonfiano i guadagni in
conto capitale, poiché il settore finanziario presta denaro per far salire i
prezzi dei beni.
Questo
aumento della ricchezza finanziarizzata si aggiunge alle spese generali
dell’economia non solo sotto forma di debito, ma anche sotto forma di prezzi di
acquisto più alti (gonfiati dal credito bancario) per gli immobili e le imprese
industriali e di altro tipo.
Coerentemente
con il suo piano aziendale di realizzare guadagni in conto capitale, il settore
finanziario ha cercato di non tassare tali guadagni.
Ha
anche assunto la guida nel sollecitare tagli alle imposte sugli immobili, in
modo da lasciare che una parte maggiore del valore crescente delle abitazioni e
degli edifici per uffici – la loro rendita di posizione – venisse data in pegno
alle banche, invece di servire come base imponibile principale per i sistemi
fiscali locali e nazionali, come richiesto dagli economisti classici per tutto
il diciannovesimo secolo.
Il
risultato è stato il passaggio da una tassazione progressiva a una regressiva.
I
redditi da capitale e le plusvalenze finanziate dal debito non sono stati
tassati e l’onere fiscale è stato spostato sul lavoro e sull’industria.
È questo spostamento fiscale che ha
incoraggiato i manager finanziari delle imprese a sostituire la ricerca di
profitti aziendali con la realizzazione di plusvalenze, come descritto in
precedenza.
Quella
che prometteva di essere un’armonia di interessi per tutte le classi –
raggiungibile aumentando la propria ricchezza attraverso l’indebitamento e
l’aumento dei prezzi delle case e degli altri beni immobili, delle azioni e
delle obbligazioni – si è trasformata in una guerra di classe.
Ora è molto più della guerra di classe del XIX
secolo del capitale industriale contro il lavoro.
La forma postmoderna di guerra di classe è
quella del capitale finanziario contro il lavoro e l’industria.
I datori di lavoro sfruttano ancora il lavoro
cercando di ottenere profitti pagando il lavoro meno del prezzo del prodotto
finito.
Ma il
lavoro è sempre più sfruttato dal debito: il debito ipotecario (con il credito
“facile” che alimenta l’inflazione del costo degli alloggi), il debito
studentesco, il debito automobilistico e il debito delle carte di credito,
necessario per far fronte al costo della vita.
Il
fatto di dover pagare questi debiti aumenta il costo del lavoro per i datori di
lavoro industriali, limitando la loro capacità di realizzare profitti.
E (come indicato in precedenza) è proprio
questo sfruttamento dell’industria (e di fatto dell’intera economia) da parte
del capitale finanziario e di altri rentiers che ha stimolato la
delocalizzazione dell’industria e la deindustrializzazione degli Stati Uniti e
delle altre economie occidentali che hanno seguito lo stesso percorso politico.
In
netto contrasto con la deindustrializzazione occidentale è il decollo
industriale della Cina.
Oggi
il tenore di vita in Cina è, per gran parte della popolazione, praticamente
pari a quello degli Stati Uniti.
Questo
è il risultato della politica del governo cinese di fornire sostegno pubblico
ai datori di lavoro industriali, sovvenzionando i bisogni di base (ad esempio,
l’istruzione e l’assistenza medica) e i trasporti pubblici ad alta velocità, le
metropolitane locali e altri mezzi di trasporto, le comunicazioni ad alta
tecnologia e altri beni di consumo, insieme ai sistemi di pagamento.
L’aspetto
più importante è che la Cina ha mantenuto il settore bancario e la creazione di
credito nel dominio pubblico come servizio di pubblica utilità.
Questa è la politica chiave che le ha permesso
di evitare la finanziarizzazione che ha deindustrializzato gli Stati Uniti e le
altre economie occidentali.
La
grande ironia è che la politica industriale cinese è notevolmente simile a
quella del decollo industriale americano del XIX secolo.
Il governo cinese, come appena detto, ha
finanziato le infrastrutture di base e le ha mantenute di dominio pubblico,
fornendo i suoi servizi a prezzi bassi per mantenere la struttura dei costi
dell’economia il più bassa possibile.
L’aumento dei salari e del tenore di vita in
Cina ha trovato la sua controparte nell’aumento della produttività del lavoro.
In
Cina ci sono miliardari, ma non sono visti come eroi e modelli di come
l’economia in generale dovrebbe cercare di svilupparsi.
L’accumulo
di grandi fortune, come quelle che hanno caratterizzato l’Occidente e creato la
sua classe politica dei donatori, è stato contrastato da sanzioni politiche e
morali contro l’uso della ricchezza personale per ottenere il controllo della
politica economica pubblica.
Questo
attivismo governativo cinese che la retorica statunitense denuncia come
“autocrazia” è riuscito a fare ciò che le democrazie occidentali non hanno
fatto: impedire l’emergere di un’oligarchia rentier finanziarizzata che usa la
sua ricchezza per comprare il controllo del governo e si impadronisce
dell’economia privatizzando le funzioni governative e promuovendo i propri
guadagni indebitando il resto dell’economia con sé stessa e smantellando la
politica di regolamentazione pubblica.
Che
cos’era l’Età Dorata che Trump spera di far risorgere?
Trump
e i Repubblicani hanno posto un obiettivo politico al di sopra di tutti gli
altri:
tagliare
le tasse, soprattutto la tassazione progressiva che ricade principalmente sui
redditi più alti e sulla ricchezza personale.
Sembra che, a un certo punto, Trump abbia
chiesto a qualche economista se esistesse un modo alternativo per i governi di
finanziarsi.
Qualcuno
deve averlo informato che, dall’indipendenza americana fino alla vigilia della
Prima Guerra Mondiale, la forma di gran lunga dominante di entrate governative
è stata quella delle entrate doganali derivanti dalle tariffe.
È
facile capire la lampadina che si è accesa nel cervello di Trump.
Le
tariffe non ricadono sulla sua classe di miliardari immobiliari, finanziari e
monopolisti, ma principalmente sul lavoro (e anche sull’industria, per
l’importazione di materie prime e parti necessarie).
Il 3
aprile, nel presentare le sue enormi e inedite tariffe, Trump ha promesso che i
dazi, da soli, avrebbero reindustrializzato l’America, creando una barriera
protettiva e consentendo al Congresso di ridurre le tasse sugli americani più
ricchi, che, a quanto pare, saranno così incentivati a “ricostruire”
l’industria americana.
È come
se dare più ricchezza ai manager finanziari che hanno deindustrializzato
l’economia americana permettesse in qualche modo di ripetere il decollo
industriale che aveva raggiunto il suo apice negli anni Novanta del XIX secolo
sotto “William McKinley”.
Ciò
che la narrazione di Trump tralascia è che [all’epoca di McKinley] le tariffe
erano solo il prerequisito per il sostentamento dell’industria da parte del
governo in un’economia mista pubblica/privata in cui il governo modellava i
mercati in modo da minimizzare il costo della vita e delle attività.
Questo
sostegno pubblico è ciò che aveva dato all’America del XIX secolo il suo
vantaggio competitivo a livello internazionale.
Ma,
dato che l’obiettivo economico principale di Trump è quello di non tassare sé
stesso e il suo elettorato politico più influente, ciò che lo attrae di più è
semplicemente il fatto che il governo non aveva ancora un’imposta sul reddito.
Ciò
che attrae Trump è anche la grande ricchezza di una classe di baroni
rapinatori, nei cui ranghi può facilmente immaginarsi come in un romanzo
storico.
Ma questa auto-indulgente coscienza di classe
non vede come le proprie spinte al reddito e alla ricchezza predatoria
distruggano l’economia circostante, mentre fantastica che i baroni rapinatori
abbiano fatto fortuna essendo i grandi organizzatori e motori dell’industria.
Non sa
che la “Gilded Age” non era nata come parte della strategia industriale di
successo dell’America, ma perché non erano stati ancora regolamentati i
monopoli e tassati i redditi dei rentier.
Le grandi fortune erano state rese possibili
dalla mancata regolamentazione dei monopoli e dalla mancata tassazione della
rendita economica.
La
Storia delle grandi fortune americane di “Gustavus Myers” racconta la storia di
come i monopoli ferroviari e immobiliari fossero stati creati a spese
dell’economia in generale.
La
legislazione antitrust americana era stata promulgata per affrontare questo
problema e l’imposta sul reddito originale del 1913 si applicava solo al 2% più
ricco della popolazione.
Come
già detto, essa gravava principalmente sulla ricchezza finanziaria e
immobiliare e sui monopoli – interessi finanziari, rendita fondiaria e rendita
monopolistica – e non sul lavoro o sulla maggior parte delle imprese.
Al
contrario, il piano di Trump prevede di sostituire la tassazione delle classi
più ricche di rentier con tariffe pagate principalmente dai consumatori
americani.
Per
condividere la sua convinzione che la prosperità nazionale possa essere
raggiunta attraverso il favoritismo fiscale per la sua classe di donatori,
detassando i loro redditi da capitale, [dal suo punto di vista] è necessario
bloccare la consapevolezza che una tale politica fiscale impedirà la
reindustrializzazione dell’America che egli afferma di volere.
L’economia
statunitense non può reindustrializzarsi senza essere liberata dal reddito da
capitale.
Gli
effetti più immediati della politica tariffaria di Trump saranno la
disoccupazione come risultato dell’interruzione del commercio (oltre alla
disoccupazione derivante dai tagli del suo DOGE all’occupazione pubblica) e
l’aumento dei prezzi al consumo per una forza lavoro già schiacciata dagli
oneri finanziari, assicurativi e immobiliari che deve sostenere come prima voce
di spesa del reddito salariale.
Gli
arretrati sui mutui ipotecari, sui prestiti auto e sulle carte di credito sono
già a livelli storicamente elevati, e più della metà degli americani non ha
alcun risparmio netto – e dichiara ai sondaggisti di non essere in grado di far
fronte a un’emergenza che richieda una spesa immediata di 400 dollari.
Non è
possibile che il reddito personale disponibile aumenti in queste circostanze. E
non c’è modo che la produzione americana possa evitare di essere interrotta
dalle perturbazioni commerciali e dai licenziamenti che saranno causati dalle
enormi barriere tariffarie minacciate da Trump, almeno fino alla conclusione
dei suoi negoziati Paese per Paese per strappare concessioni economiche in
cambio del ripristino di un accesso più normale al mercato americano.
Anche
se Trump ha annunciato una pausa di 90 giorni durante la quale le tariffe
saranno ridotte al 10% per i Paesi che hanno manifestato la volontà di
negoziare in tal senso, ha aumentato le tariffe sulle importazioni cinesi al
145%.
Cina e
altri Paesi e aziende straniere hanno già smesso di esportare materie prime e
componenti necessari all’industria americana.
Per molte aziende sarà troppo rischioso
riprendere gli scambi fino a quando l’incertezza che circonda questi negoziati
politici non sarà risolta.
Si può prevedere che alcuni Paesi
utilizzeranno questo periodo di transizione per trovare alternative al mercato
statunitense (compresa la produzione per il mercato interno).
Per
quanto riguarda la speranza di Trump di persuadere le aziende straniere a
trasferire le loro fabbriche negli Stati Uniti, queste aziende rischiano, come
investitori stranieri, di avere una spada di Damocle sulle loro teste.
A
tempo debito Trump potrebbe semplicemente insistere affinché vendano la loro
affiliata americana agli investitori nazionali statunitensi, come aveva chiesto
alla Cina di fare con TikTok.
Il
problema più importante, ovviamente, è che l’aumento dell’indebitamento
dell’economia americana, i costi dell’assicurazione sanitaria e delle
abitazioni hanno già fatto uscire la manodopera statunitense e i prodotti che
essa produce dai mercati mondiali.
La
politica tariffaria di Trump non risolverà questo problema.
Anzi,
le sue tariffe, aumentando i prezzi al consumo, aggraveranno il problema
aumentando ulteriormente il costo della vita e quindi il costo del lavoro
americano.
Invece
di sostenere la ricrescita dell’industria statunitense, i dazi e le altre
politiche fiscali di Trump avranno l’effetto di proteggere e sovvenzionare
l’obsolescenza e la deindustrializzazione finanziarizzata.
Senza
ristrutturare l’economia rentier finanziarizzata per riportarla verso il piano
aziendale originale del capitalismo industriale con mercati liberati dalla
rendita rentier, come sostenuto dagli economisti classici e dalle loro
distinzioni tra valore e prezzo, e quindi tra rendita e profitto industriale,
il suo programma non riuscirà a reindustrializzare l’America.
Anzi,
rischia di spingere l’economia statunitense verso la depressione, e questo per
il 90% della popolazione.
Ci
troviamo quindi di fronte a due filosofie economiche opposte.
Da un
lato c’è il programma industriale originale che avevano seguito gli Stati Uniti
e la maggior parte delle altre nazioni di successo.
Si
tratta del classico programma basato su investimenti pubblici in infrastrutture
e su una forte regolamentazione governativa, con salari in crescita protetti da
tariffe che fornivano al pubblico entrate e opportunità di profitto per creare
fabbriche e impiegare manodopera.
Trump
non ha intenzione di ricreare un’economia di questo tipo.
Al
contrario, sostiene la filosofia economica opposta:
ridimensionamento
del governo, indebolimento della regolamentazione pubblica, privatizzazione
delle infrastrutture pubbliche e abolizione delle imposte progressive sul
reddito.
Questo
è il programma neoliberale che ha aumentato la struttura dei costi
dell’industria e ha polarizzato la ricchezza e il reddito tra creditori e
debitori. Donald Trump travisa questo programma come un sostegno all’industria,
non come la sua antitesi.
L’imposizione
di tariffe, pur continuando il programma neoliberista, non farà altro che
proteggere la senilità sotto forma di produzione industriale gravata da costi
elevati per la manodopera a causa dell’aumento dei prezzi degli alloggi, delle
assicurazioni mediche, dell’istruzione e dei servizi pubblici privatizzati che
un tempo fornivano le necessità di base per le comunicazioni, i trasporti e
altri bisogni primari a prezzi sovvenzionati invece che a rendite
monopolistiche finanziarizzate.
Sarà una falsa età d’oro.
Sebbene
Trump possa essere sincero nel voler reindustrializzare l’America, il suo
obiettivo principale è quello di tagliare le tasse alla sua classe di donatori,
immaginando che i proventi delle tariffe possano essere sufficienti per questo.
Ma gran parte del commercio si è già fermato.
Nel momento in cui riprenderà un commercio più
normale e si genereranno entrate tariffarie, si verificheranno licenziamenti
diffusi, che porteranno la manodopera colpita a cadere ulteriormente in
arretrati di debito, con l’economia americana in una posizione ancora peggiore
per reindustrializzarsi.
La
dimensione geopolitica.
Le
trattative di Trump, Paese per Paese, per estorcere concessioni economiche in
cambio del ripristino del loro accesso al mercato americano, porteranno senza
dubbio alcuni Paesi a cedere a questa tattica coercitiva.
In effetti, Trump ha annunciato che oltre 75
Paesi hanno contattato il governo americano per negoziare.
Ma
alcuni Paesi asiatici e latinoamericani stanno già cercando un’alternativa
all’arma della dipendenza commerciale degli Stati Uniti di estorcere
concessioni. Questi Paesi stanno discutendo le possibilità di unirsi per creare
un mercato commerciale reciproco con regole meno anarchiche.
Il
risultato sarebbe che la politica di Trump diventerebbe l’ennesimo passo nella
marcia della Guerra Fredda dell’America per isolarsi dalle relazioni
commerciali e di investimento con il resto del mondo, potenzialmente anche con
alcuni dei suoi satelliti europei.
Gli
Stati Uniti rischiano di essere ricacciati su quello che per lungo tempo era
stato considerato il loro più forte vantaggio economico: la capacità di essere
autosufficienti in cibo, materie prime e lavoro.
Ma si
sono già deindustrializzati e hanno poco da offrire agli altri Paesi, se non la
promessa di non danneggiarli, di non interrompere il loro commercio e di non
imporre loro sanzioni se accettano di lasciare che gli Stati Uniti siano i
principali beneficiari della loro crescita economica.
L’arroganza
dei leader nazionali che cercano di estendere il loro impero è antica, così
come la loro nemesi, che di solito si rivela essere loro stessi.
Al suo
secondo insediamento, Trump ha promesso una nuova età dell’oro.
Erodoto (Storia, libro 1.53) racconta la
storia di Creso, re della Lidia intorno al 585-546 a.C. in quella che oggi è la
Turchia occidentale e la sponda ionica del Mediterraneo.
Creso
conquistò Efeso, Mileto e i vicini regni di lingua greca, ottenendo tributi e
bottini che lo resero uno dei sovrani più ricchi del suo tempo, famoso
soprattutto per le sue monete d’oro.
Ma queste vittorie e queste ricchezze lo
portarono all’arroganza e alla superbia.
Creso
volse lo sguardo verso est, con l’ambizione di conquistare la Persia, governata
da Ciro il Grande.
Avendo
donato al cosmopolita tempio di Delfi della regione ingenti quantità d’oro e
d’argento, Creso chiese al suo oracolo se sarebbe riuscito nella conquista che
aveva progettato.
La
sacerdotessa della Pizia rispose: “Se vai in guerra contro la Persia,
distruggerai un grande impero”.
Verso
il 547 a.C. Creso partì ottimisticamente all’attacco della Persia Marciando
verso est, attaccò la Frigia, Stato vassallo della Persia.
Ciro organizzò un’operazione militare speciale
per respingere Creso, sconfiggendo l’esercito di Creso, catturandolo e
cogliendo l’occasione per impadronirsi dell’oro della Lidia e introdurre la
propria moneta d’oro persiana.
Quindi
Creso distrusse davvero un grande impero, ma era il suo.
Arriviamo
a oggi.
Come
Creso che sperava di ottenere le ricchezze di altri Paesi per la sua moneta
d’oro, Trump spera che la sua aggressione commerciale globale possa permettere
all’America di estorcere le ricchezze di altre nazioni e rafforzare il ruolo
del dollaro come valuta di riserva contro le mosse difensive straniere, come la
de-dollarizzazione e la creazione di piani alternativi per la conduzione del
commercio internazionale e la detenzione di riserve estere.
Ma la
posizione aggressiva di Trump ha ulteriormente minato la fiducia nel dollaro
all’estero e sta causando gravi interruzioni nella catena di approvvigionamento
dell’industria statunitense, bloccando la produzione e provocando licenziamenti
in patria.
Gli
investitori avevano sperato in un ritorno alla normalità quando il “Dow Jones
Industrial Average” si era impennato dopo la sospensione dei dazi da parte di
Trump, per poi crollare quando era apparso chiaro che avrebbe continuato a
tassare tutti i Paesi al 10% (e la Cina a un proibitivo 145%).
Ora
sta diventando evidente che la sua radicale interruzione del commercio non può
essere invertita.
I dazi
annunciati da Trump il 3 aprile, seguiti dalla dichiarazione che si trattava
semplicemente della sua richiesta massima, da negoziare su base bilaterale
Paese per Paese per ottenere concessioni economiche e politiche (soggette a
ulteriori modifiche a discrezione di Trump), hanno sostituito l’idea
tradizionale di un insieme di regole coerenti e vincolanti per tutti i Paesi.
La sua richiesta che gli Stati Uniti siano “i
vincitori” in ogni transazione ha cambiato il modo in cui il resto del mondo
vede le relazioni economiche con gli Stati Uniti.
Sta
emergendo una logica geopolitica completamente diversa che vorrebbe creare un
nuovo ordine economico internazionale.
La
Cina ha risposto con tariffe e controlli sulle esportazioni, mentre il suo
commercio con gli Stati Uniti è congelato, potenzialmente paralizzato.
Sembra improbabile che la Cina rimuova i
controlli sulle esportazioni di molti prodotti essenziali per le catene di
approvvigionamento statunitensi.
Altri
Paesi sono alla ricerca di alternative alla loro dipendenza commerciale dagli
Stati Uniti e si sta negoziando un riordino dell’economia globale, che
comprende anche politiche difensive di de-dollarizzazione.
Trump ha fatto un passo da gigante verso la
distruzione di quello che era un grande impero.
Riferimenti.
I tre fattori di produzione abituali sono il
lavoro, il capitale e la terra. Ma questi fattori sono meglio considerati in
termini di classi di percettori di reddito. I capitalisti e i lavoratori
svolgono un ruolo produttivo, ma i proprietari terrieri ricevono un affitto
senza produrre un servizio produttivo, poiché l’affitto della loro terra è un
reddito non guadagnato che fanno “mentre dormono”.
In contrasto con il sistema britannico di
credito commerciale a breve termine e di un mercato azionario mirato a
realizzare guadagni rapidi a spese del resto dell’economia, la Germania è
andata oltre gli Stati Uniti nel creare una simbiosi tra governo, industria
pesante e banche. I suoi economisti chiamarono la logica su cui si basava la
teoria statale del denaro. Ne fornisco i dettagli in Killing the Host (2015,
capitolo 7).
La deindustrializzazione dell’America è stata
anche facilitata dalla politica statunitense (iniziata sotto Jimmy Carter e
accelerata sotto Bill Clinton) che ha promosso la delocalizzazione della
produzione industriale in Messico, Cina, Vietnam e altri Paesi con livelli
salariali più bassi. Le politiche anti-immigrati di Trump, che fanno leva sul
nativo americano, sono un riflesso del successo di questa politica deliberata
degli Stati Uniti nella deindustrializzazione dell’America.
Vale
la pena notare che le sue politiche migratorie sono l’opposto di quelle del
decollo industriale dell’America, che incoraggiavano l’immigrazione come fonte
di lavoro – non solo manodopera qualificata in fuga dalle società oppressive
dell’Europa, ma anche manodopera a basso salario per lavorare nell’industria
edile (per gli uomini) e tessile (per le donne).
Ma
oggi, essendosi trasferita direttamente nei Paesi da cui provenivano in
precedenza gli immigrati che svolgevano lavori industriali negli Stati Uniti,
l’industria americana non ha più bisogno di importare manodopera negli Stati
Uniti.
La
Casa Bianca ha sottolineato che la nuova tariffa di Trump del 125% sulla Cina
si aggiunge alle tariffe IEEPA (International Emergency Economic Powers Act)
del 20% già in vigore, rendendo la tariffa sulle importazioni cinesi un livello
impagabile del 145%.
(Michael
Hudson).
(democracycollaborative.org).
(democracycollaborative.org/whatwethink/return-of-the-robber-barons).
“Contante
= Libertà” – Funziona sempre.
Successo
della campagna che si sta
diffondendo
in tutta Italia.
Comedonchisciotte.org
- Patrizia Pisino – (18 Aprile 2025) – ci dice:
Un'importante
iniziativa sull'uso del denaro contante.
Si
sente parlare continuamente di italiani inattivi e facilmente manovrabili dal sistema,
che seguono senza uno spirito critico le scelte sconsiderate messe in atto in
questi ultimi anni e che portano alla spersonalizzazione di tutti noi come
esseri senzienti e con libertà di scelta.
Gli
attuali partiti sono lontani dalle esigenze del popolo italiano, considerando
solo le opportunità che portano a loro stessi dei vantaggi; per questo motivo
il sistema della delega, basata sull’attuale sistema – cosiddetto –
democratico, non funziona.
Siamo
noi in prima persona che dobbiamo cambiare e diventare attori protagonisti del
nostro presente, se vogliamo realizzare un futuro migliore e minare le basi di
questo sistema oligarchico.
Questo
sistema ci vuole sottomettere cambiando le nostre abitudini.
Quale
metodo migliore se non quello conosciuto “della rana bollita” di “Noale?
Ci
sembra di avere piena libertà di scelta, ma le alternative non ci sono: siamo
solo delle cavie nel laboratorio del potere.
Come
uscirne e difendersi?
Ci
sono ancora persone con capacità critiche e costruttive, tanto da trovare delle
soluzioni che possono contrastare questo sistema, seminando sul territorio
delle perle di saggezza che, come piccoli semi, stanno germogliando.
Il
Comitato Pensiero Critico ed il gruppo Resistere X Esistere #ionondimentico, hanno dato vita alla campagna
“Contante = Libertà”, rivolta ai commercianti delle nostre città.
Questa
iniziativa vuole sensibilizzare i clienti delle piccole attività commerciali
sull’importanza dell’uso del contante.
Sembra
ormai diventata una moda pagare anche le piccole spese con lo smartphone o con
lo smartwatch.
Così sembriamo più tecnologici!
E
allora se ci chiederanno di mettere un microchip sottocutaneo prospettando la
facilità dei pagamenti, chi potrà resistere a tale lusinga?
Per
arginare questa pericolosa deriva disumanizzante, esiste e compare l’adesivo
giallo che ci mette in allarme.
La
proposta dei comitati promotori è semplice:
i commercianti che aderiscono possono apporre
nella propria attività questo adesivo ricordando che il contante è uno
strumento di pagamento importante e versatile che ha diversi vantaggi.
Ne
elenchiamo alcuni:
– la
Privacy.
In quanto non lascia traccia digitale e non può essere rintracciato.
– l’
Inclusività.
Perché permette di risparmiare e acquistare a chi non ha accesso a strumenti
digitali o a un conto corrente.
– la
Sicurezza.
Contrariamente a quel che ci dicono, si è dimostrato sicuro contro frodi,
falsificazioni e ciber- criminalità.
– il
Risparmio:
infatti, si ha sempre sotto controllo il denaro senza rischio di insolvenza che
può verificarsi con il pagamento elettronico, quando con estrema facilità,
strisciamo una carta senza sapere quanti soldi abbiamo ancora sul conto.
– la
Velocità:
i pagamenti sono effettuati in tempo reale.
– la
Tracciabilità delle spese evitando di eccedere.
–
l’Accessibilità.
Questa
caratteristica è fondamentale in quanto non richiede accesso a dispositivi,
connessione internet o rete elettrica;
le
aziende fanno affidamento su una connessione Internet stabile per completare i
pagamenti utilizzando carte di credito o di debito.
Non è
raro che la connessione fallisca e quindi il cliente debba trovare un altro
mezzo di pagamento.
Se poi
consideriamo che i pagamenti elettronici richiedono una commissione per il
servizio, l’uso del contante semplifica e fa risparmiare.
Viviamo
in una società sempre più disconnessa dalla realtà:
contrastare
la valuta digitale è un nostro dovere ed un nostro diritto:
non
diamo la possibilità ai governanti di controllare l’uso del denaro, ricordiamo
cosa è successo in Canada, quando nel 2022 il Premier Trudeau ha bloccato i
conti correnti dei “No vax”.
Come
individui, dovremmo avere il diritto di spendere, risparmiare e conservare i
nostri soldi come meglio desideriamo.
Dato
di non poco conto, è anche il fatto che il contante diventa una fonte di
stabilità durante i periodi di disastro, consentendo alle economie di
continuare a vivere, persino durante blackout come interruzioni di corrente e
guasti alle telecomunicazioni.
Se
questa semplice iniziativa si sta diffondendo in varie città d’Italia, portando
una ventata di speranza, significa che una forza per resistere a tali ingerenze
va via via attivandosi, diventando sempre più forte.
I
negozianti che desiderano sostenere questa iniziativa possono scrivere alla
mail del Comitato (comitatonop@gmail.com) o collegarsi all’apposita pagina
Telegram (t.me/contanteugualeliberta) per entrare a far parte di questa
rete e ricordare ai propri clienti che il contante, da sempre, è l’unico
strumento di libertà nei pagamenti.
(Patrizia
Pisino per ComeDonChisciotte.org).
«L’ABOLIZIONE
DI UN ENTE INUTILE: IL PADRE.»
Inchiostronero.it
- Marcello Veneziani – (17 – 04 – 2025) – ci dice:
Padri
licenziati per legge: il nuovo welfare identitario.
Il
padre è diventato un ente inutile, e ora si tenta di sancirlo per legge.
In
un’epoca dominata dal femminismo ideologico, dalla fluidità identitaria e dalla
maternità surrogata, arriva in Senato la proposta finale:
abolire
il cognome paterno, simbolo ultimo di una paternità già svuotata.
A firmarla è “Dario Franceschini”, ex
democristiano e progressista doc, che maschera l’operazione come un
“risarcimento storico” per le diseguaglianze di genere.
Ma
dietro l’apparente semplificazione burocratica si intravede un progetto più
ampio:
smantellare l’archetipo del padre, figura
portante della cultura, della famiglia e dell’identità.
Un’analisi tagliente di Marcello Veneziani
sull’ultima frontiera del politicamente corretto. (f.d.b.)
Padre,
sei licenziato.
Dopo
tanto femminismo, fluidità, utero in affitto, giunge finalmente il tentativo
finale di abolire il padre a norma di legge.
La proposta avanzata in Senato è di Dario
Franceschini, influente padrino del Partito Democratico.
Come è
entrato Franceschini in maternità?
Con
questo ragionamento: dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del
padre stabiliamo con una nuova legge prenderanno solo il cognome della madre
(che poi proviene da suo padre).
Ciò
servirà, a suo dire, a sgombrare il campo dai tanti problemi che ha
innescato il doppio cognome, o la scelta tra i due.
È una
cosa semplice, dice il senatore venuto dalla Dc e dalla Margherita (senza
capperi), ma è anche “un risarcimento per un’ingiustizia secolare che ha avuto
non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali
delle diseguaglianze di genere”.
Chissà
se il Pd, in sigla Padri defunti, accoglierà in toto la proposta di
Franceschini ma è in sintonia col nuovo corso di “Elly Schlein”, di cui
Franceschini è stato massimo sponsor.
Un’altra
battaglia civile di cui si avvertiva fortemente l’urgenza…
Ma
torniamo alla realtà.
I padri già patiscono una specie di sparizione
progressiva: contano sempre meno, anche se pagano sempre più in caso di
separazione e divorzio, e quando non sono emarginati, si defilano per conto
loro, si danno alla latitanza, si riducono ogni giorno di più a figuranti, o
quantomeno personaggi secondari e comparse in quel circoletto antiquato, un
tempo denominato famiglia.
Una
legge, per ora virtuale, li esonererà definitivamente dal loro ruolo e dalla
loro responsabilità;
li
cancellerà, come si usa ormai da tempo in vari ambiti, grazie alla “cancel
culture”.
La
società senza padre, prefigurata nel Sessantotto, prende finalmente corpo
(mutilato).
La
famiglia tradizionale aveva un punto di equilibrio che per molti secoli e nella
gran parte dei casi ha retto all’urto della vita:
la
figura paterna non era ridotta a quella dell’inseminatore occasionale o peggio
del flacone anonimo ma era chiamata anche dando il patronimico alla
responsabilità giuridica e nominale di assumersi un compito reale riguardo alla
famiglia.
La figura materna era già insostituibile
secondo natura, nella realtà delle cose; dalla madre si nasce, la madre allatta
e nutre, il rapporto con lei è decisivo;
e poi, come dicevano gli antichi, “mater
sempre certa est”.
Del
resto, il cambiamento sociale dei tempi aveva già riconosciuto alla donna
ruoli, diritti e doveri, responsabilità e opportunità pari a quelle del
coniuge. Ora si vorrebbe sconfiggere l’ormai defunto patriarcato rifondando il
matriarcato, che apparteneva a epoche e società ancora più arcaiche.
Ma il
vero problema è che si tende a far sparire l’idea, il corpo, il legame di
quell’entità chiamata famiglia, fondata sul due più, una coppia più i suoi
figli, e un tempo anche i nonni e tutto il parentado.
Dare alla donna, oltre la naturale maternità,
anche il ruolo di portatrice esclusiva del cognome, significa di fatto disfare
la coppia e regredire al singolo:
la donna sola, a parte la collaborazione
tecnica e forse affettiva del maschio, si gestisce non solo l’utero ma anche il
figlio.
E
decide da sola, come del resto decreta anche la legge sull’aborto, non solo se
tenersi o meno il bambino ma anche il suo cognome.
La donna con diritto di vita o di morte sui
figli;
l’uomo
è solo uno spettatore (pagante), che può essere al più riconosciuto in
“concorso esterno” di associazione parentale.
Gruppo
di famiglia difficilmente eliminabile.
«FRANCESCHINI,
MINISTRO DI OGNI BENE».
Lo
spirito della proposta del resto è trasparente, e Franceschini lo spiega
candidamente;
attribuendo alla madre anche la responsabilità
di trasmettere il cognome si risarcisce la donna dal danno antico di essere
stata madre e per molto tempo sotto il regime maschile della patria potestà.
Un chiaro incitamento alla paternità
irresponsabile e volatile.
Che
ben si combina con la tendenza di molte donne, tra le poche che aspirano alla
maternità, a far tutto da sole, a volere un figlio più che una famiglia, un
loro discendente più che un marito.
Datemi
un seme e al resto ci penso io.
Un
modo sicuramente in linea con l’inseminazione artificiale e col desiderio di
avere figli solo per propria soddisfazione di single.
Che a
proporlo sia poi un cattolico, che viene dalla vecchia mamma Dc, che sulla
difesa della famiglia fondava la sua ragione sociale e il suo consenso, la dice
lunga: se lo avesse proposto una leader femminista o un lgbtq+ sarebbe stato
comprensibile;
ma che
lo faccia Fra’ Dario da Ferrara mi pare davvero una conferma che Babilonia è
ormai la nostra città.
Intendiamoci,
non è una mostruosità, in altri paesi accade, e in fondo piuttosto che ritenere
il figlio una specie di prodotto solidale della collettività, della tecnologia,
fino al sogno del figlio auto creato, vero self made man, almeno qui avremmo
una madre.
Ma si sta lavorando alacremente per la
distruzione finale della famiglia, in un momento difficile e delicato per le
coppie e per le famiglie, assestando un colpo letale, che sta tra il colpo di
grazia e il calcio dell’asino al leone morente. Prendendo lo spunto da residui
tossici di maschilismo e di gallismo, o casi limite di violenze, abusi e
femminicidio, si può decretare la morte della famiglia?
Si può
cioè nel nome di chi maltratta la partner, penalizzare l’intera società e la
stragrande maggioranza delle coppie in cui non c’è prevaricazione di uno
sull’altra?
Presumo
che la legge non sarà approvata.
Ma,
visti alcuni precedenti non sarei tanto sicuro…
(Marcello
Veneziani – La Verità).
«NON
CREDERE, NON OBBEDIRE, NON COMBATTERE.»
Inchiostronero.it
- Redazione Inchiostronero – (17 -04 -2025) – ci dice:
Il
Simplicissimus.
Siamo
tutti coscritti, ma nessuno ci ha chiesto il permesso.
Mentre
ci rassicurano che la leva obbligatoria non tornerà, il discorso pubblico
comincia a preparare il terreno per un’eventuale mobilitazione.
Dietro l’apparente prudenza istituzionale, si
cela una strategia ben più ampia:
una coscrizione invisibile, economica e
culturale, che non passa dalle armi, ma dalle banche, dai media e dai trattati
commerciali.
Il
riarmo europeo si rivela il volto finanziario di un progetto che, più che
difendere, punta a drenare risorse dai ceti medi e bassi per alimentare nuovi
cicli di speculazione.
In questo gioco pericoloso, l’Europa cede la
propria sovranità industriale e strategica agli Stati Uniti, accettando un
ruolo subalterno e accontentandosi di armi costose e gas scadente.
Questo pezzo riflette su cosa significhi oggi
non credere, non obbedire, non combattere:
non
una fuga, ma una forma di resistenza attiva davanti alla grande mistificazione
della “difesa comune”. (f.d.b.)
In
questi giorni ci hanno fatto sapere che, sì, il servizio militare non è più
obbligatorio, ma che la leva è ancora in vigore e che in casi eccezionali
potrebbe essere ripristinata.
Addirittura, qualcuno ha calcolato il numero
dei possibili coscritti in alcune città, cercando di dare una qualche
concretezza a questo delirio del riarmo europeo che in sostanza non è altro che
un pretesto per prendere 800 miliardi a prestito e creare una nuova bolla di
finanziarizzazione.
Paradossalmente,
siamo tutti coscritti.
Non in
un esercito tradizionale, ma in un’operazione finanziaria che trasferisce
ricchezza dai ceti medi e bassi verso i padroni del denaro.
Il tutto corre sui binari del globalismo,
mentre da un’altra serva a nascondere il declino industriale dell’Europa,
privata delle risorse energetiche e minerarie russe.
E
infine ci caccia dentro una più profonda subalternità agli Usa visto che questi
pretendono che la Ue compri non solo armi americane, peraltro rivelatesi
tutt’altro che magiche, ma anche energia ad altissimo costo e scarsa qualità
dagli Stati Uniti e rinunci alla Cina e ai mercati asiatici.
Questa
è la capitolazione, la resa senza condizioni a cui si appresta la Meloni
: non
facciamoci illusioni, gli amici degli Stati Uniti fanno spesso una fine
peggiore dei nemici.
«FASCISMO
2.0 – GLOBALISMO E TEMI DI INTERESSE».
Che
l’idea di riarmo sia un ballon d’essai non ci sono dubbi perché la sola idea di
portare guerra alla Russia è priva di qualsiasi senso.
Da 80 anni i Paesi europei hanno rinunciato di
fatto alla difesa, con la sola eccezione della Francia di de Gaulle e solo un
pazzo furioso può pensare che in un anno, ma forse anche meno, visto come si
mettono le cose in Ucraina, i Paesi della Ue possano pensare di sfidare quello
che oggi è l’esercito più forte del mondo, non foss’altro perché dei due
milioni e passa di uomini da cui è formato, almeno la metà ha fatto qualche
mese al fronte, acquisendo esperienza di guerra sul campo e non nelle
accademie.
La
produzione di armi russa è molte volte superiore a quella europea e americana,
lo stesso generale Cavoli (nomen omen), comandante della Nato, ha ammesso che la capacità
produttiva della Russia nel campo dei mezzi corazzati supera 30 a 1 quella
degli Usa.
Per
non parlare dell’artiglieria e delle sue munizioni o dei missili ipersonici che
l’Occidente non possiede e dai quali non può difendersi.
Per
giunta non ci sono scorte perché tutto o quasi è stato mandato al regime di
Kiev, non ci sono comandi unificati e persino, Dio non voglia, la capacità
nucleare è affidata a mezzi antiquati o addirittura, come nel caso
dell’Inghilterra, direttamente gestiti dagli Usa.
Peraltro i tentativi di modernizzazione si
sono risolti con disastri.
Ci vorrebbero almeno dai 15 ai 20 anni per
essere effettivamente pronti alla guerra, mentre basta un attimo per diventare
convinti guerrafondai.
Ora
immaginate quello che porta le pizze e che non ha mai visto un’arma in vita sua
se non al cinema, preso, istruito per un mese e portato al fronte:
può
fare paura a gente che sa come si combatte, ha armi migliori e per giunta lo fa
per il proprio Paese e non in nome di élite sovranazionali?
Lo stesso vale per il ragionier Rossi, lo
studente Bianchi, lo youtuber Verdi ai quali era stato promesso che l’Europa
significava pace e prosperità, anche se quest’ultima era ormai una promessa
mancata.
Un
esercito non si improvvisa e finora tutte le forze armate delle nazioni europee
sono state concepite come collaterali a quelle americane, non come sistemi di
difesa in grado di funzionare autonomamente.
I
piccoli eserciti professionali che abbiamo sono stati concepiti per dare una
mano agli Usa nelle loro facili avventure coloniali ed è molto probabile che in
caso di una guerra vera anche molti riservisti si tirino indietro come del
resto sta accadendo in Francia.
E come
sta accadendo anche in America.
Per non parlare dei tempi che occorrerebbero
per ricostruire un’industria bellica all’altezza della sfida e delle tecnologie
necessarie.
«FIGHETTI
DI TUTTA ITALIA UNITEVI PER LA GUERRA!»
Tutto
questo è ancora più delirante perché il solo modo di pensare a un’autonomia
europea prevederebbe l’esatto contrario di quanto si sta facendo, ovvero
un’apertura verso il mondo Brics e la cessazione dell’assurda conflittualità ad
oltranza per portare avanti una guerra già persa.
In
realtà questo è l’ennesimo espediente retorico per nascondere una nuova e più
integrale servitù nei confronti degli Usa e delle sue oligarchie finanziarie,
comprese le succursali europee.
Tutto questo è assolutamente evidente a tutti
salvo agli ipocriti che ora manifestano per l’Europa, sottintendendo ma
nascondendo la prosecuzione della guerra e un ingaggio più diretto nel
conflitto o nel grande affare del riarmo.
Contro
questo rigurgito di fascismo reale bisognerebbe ribaltare i vecchi slogan: non
credere, non obbedire, non combattere.
(Redazione).
Trump
mette a tacere un ordine
mondiale colpito, ma c'è
un'opportunità in mezzo al tumulto.
Unz.com - Alastair Crooke – (16 aprile 2025) –
ci dice:
Le
azioni di Trump non sono state né "impulsive del momento", né
stravaganti. La "soluzione tariffaria" era stata preparata in
anticipo dal suo team nel corso degli anni.
Lo
"shock" di Trump – il suo "decentramento" dell'America dal
fungere da perno verso l'"ordine" del dopoguerra attraverso il
dollaro – ha innescato una profonda spaccatura tra coloro che hanno ottenuto
enormi benefici dallo status quo, da un lato;
e dall'altro, la fazione MAGA che è arrivata a
considerare lo status quo come ostile – persino una minaccia esistenziale – per
gli interessi degli Stati Uniti.
Le parti sono cadute in un'aspra
polarizzazione accusatoria.
È una
delle ironie del momento che il presidente Trump e i repubblicani di destra
abbiano insistito nel denunciare – come una "maledizione delle
risorse" – i benefici dello status di valuta di riserva che ha
precisamente portato agli Stati Uniti l'ondata di risparmio globale in entrata
che ha permesso agli Stati Uniti di godere del privilegio unico di stampare
denaro, senza conseguenze negative:
Fino
ad ora! I livelli di debito finalmente contano, a quanto pare, anche per il
Leviatano.
Il
vicepresidente Vance ora paragona la valuta di riserva a un
"parassita" che ha mangiato la sostanza del suo "ospite" –
l'economia degli Stati Uniti – forzando un dollaro sopravvalutato.
Giusto
per essere chiari, il presidente Trump credeva che non ci fosse scelta:
o
poteva capovolgere il paradigma esistente, al costo di un notevole dolore per
molti di coloro che dipendevano dal sistema finanziarizzato, o poteva
permettere che gli eventi si dirigessero verso un inevitabile collasso
economico degli Stati Uniti.
Anche
coloro che hanno compreso il dilemma che gli Stati Uniti si trovano ad
affrontare, sono rimasti in qualche modo scioccati dalla sua sfacciataggine
egoistica con cui si limita a "tassare il mondo".
Le
azioni di Trump (come molti sostengono) non sono state né "impulsive del
momento", né stravaganti.
La
"soluzione tariffaria" era stata preparata in anticipo dal suo team
negli ultimi anni e costituiva parte integrante di un quadro più complesso, che
integrava la riduzione del debito e gli effetti delle entrate dei dazi, con un
programma per costringere il rimpatrio dell'industria manifatturiera scomparsa
in America.
Quella
di Trump è una scommessa che può, o non può, avere successo:
rischia una crisi finanziaria più grande,
poiché i mercati finanziari sono eccessivamente indebitati e fragili.
Ma ciò
che è chiaro è che il decentramento dell'America che seguirà alle sue rozze
minacce e all'umiliazione dei leader mondiali, alla fine causerà una
contro-reazione sia per le relazioni con gli Stati Uniti, sia per la volontà
globale di continuare a detenere beni statunitensi (come i titoli del Tesoro
statunitensi).
La sfida della Cina a Trump darà un
"tono", anche a coloro che non hanno il "peso" della Cina.
Perché
allora Trump dovrebbe correre un rischio del genere?
Perché, dietro le azioni sfrontate di Trump,
osserva “Simplicio”, si nasconde una dura realtà che molti sostenitori del MAGA
devono affrontare:
"Rimane
indiscutibile che la forza lavoro americana sia stata sventrata dalla triplice
minaccia della migrazione di massa;
l'anomia
generale dei lavoratori come conseguenza del decadimento culturale e, in
particolare, dell'alienazione di massa e della privazione dei diritti degli
uomini di mentalità conservatrice.
Questi
sono stati i fattori che hanno fortemente contribuito all'attuale crisi di
dubbio sulla capacità della 'produzione americana' di tornare a una parvenza
della sua gloria precedente, non importa quanto grande sia l'ascia che Trump
prenderà contro l''Ordine Mondiale' colpito".
Trump
sta organizzando una rivoluzione per invertire questa realtà – la fine
dell'anomia americana – riportando (spera Trump) l'industria statunitense.
C'è
una corrente dell'opinione pubblica occidentale – "non limitata agli
intellettuali", né ai soli americani – che si dispera della "mancanza
di volontà" del proprio paese, o della sua incapacità di fare ciò che deve
essere fatto, della sua inettitudine e della sua "crisi di
competenza".
Queste
persone bramano una leadership ritenuta più dura e decisiva, un desiderio di
potere illimitato e di spietatezza.
Un
sostenitore di Trump di alto rango lo dice in modo piuttosto brutale:
"Ora
siamo a un punto di svolta molto importante.
Se vogliamo affrontare "Il Grande
Brutto" con la Cina, non possiamo permetterci lealtà divise...
È tempo di diventare cattivi, brutalmente,
duramente cattivi. Le sensibilità delicate devono essere eliminate come una
piuma in un uragano".
Non
sorprende che, nel contesto generale del nichilismo occidentale, possa prendere
piede una mentalità che ammira il potere e le spietate soluzioni tecnocratiche
– quasi la spietatezza fine a se stessa – possa prendere piede. Prendete nota:
ci aspetta un futuro turbolento.
Il
disfacimento economico dell'Occidente è stato reso più complicato dalle
dichiarazioni spesso contraddittorie di Trump.
Potrebbe
far parte del suo repertorio;
Eppure,
ciononostante, la casualità evoca il pensiero che nulla è degno di fiducia;
Nulla è costante.
È
stato riferito da "addetti ai lavori della Casa Bianca" che Trump ha
perso ogni inibizione quando si tratta di azioni audaci:
"È al culmine di non fregarsene
più", ha detto al “Washington Post” un funzionario della Casa Bianca che
ha familiarità con il pensiero di Trump:
"Cattive
notizie? Non gliene frega nulla. Farà quello che sta per fare. Farà quello che
ha promesso di fare durante la campagna elettorale".
Quando
una parte della popolazione di un paese si dispera per la "mancanza di
volontà" o l'incapacità del proprio paese di "fare ciò che deve
essere fatto", sostiene Aureliano, inizia, di tanto in tanto, a
identificarsi emotivamente con "un altro paese", ritenuto più duro e
decisivo.
. In
questo particolare momento, "il mantello" di essere "una sorta
di supereroe nietzschiano – al di là delle considerazioni sul bene e sul
male"... "è atterrato su Israele" – almeno per una parte
influente dei politici statunitensi ed europei. Aureliano continua:
"Israele,
la cui combinazione di una società superficialmente di tipo occidentale con
audacia, spietatezza e totale disprezzo per il diritto internazionale e la vita
umana, è stata eccitante per molti ed è diventata un modello da emulare.
Il
sostegno occidentale a Israele a Gaza ha molto più senso quando ci si rende
conto che i politici occidentali, e parte della classe intellettuale, ammirano
segretamente la spietatezza e la brutalità della guerra di Israele".
Eppure,
nonostante la rottura e il dolore causati dalla "svolta" degli Stati
Uniti, rappresenta comunque un'enorme opportunità – un'opportunità per passare
a un paradigma sociale alternativo al di là del finanziario neoliberista.
Questo
è stato escluso, fino ad ora, dall'insistenza dell'élite sul TINA (non c'è
alternativa).
Ora la porta è aperta una fessura.
“Karl
Polyani”, nel suo “Grande Trasformazione “(pubblicato circa 80 anni fa),
sosteneva che le massicce trasformazioni economiche e sociali di cui era stato
testimone durante la sua vita – la fine del secolo di "pace relativa"
in Europa dal 1815 al 1914, e la successiva discesa nel tumulto economico, nel
fascismo e nella guerra, che era ancora in corso al momento della pubblicazione
del libro – avevano avuto un solo Causa generale:
Prima
del XIX secolo, insisteva Polyani”, il "modo di essere" umano
(l'economia come componente organica della società) era sempre stato
"incorporato" nella società e subordinato alla politica locale, ai
costumi, alla religione e alle relazioni sociali; cioè subordinata a una
cultura di civiltà.
La vita non era trattata come separata; non
ridotta a particolari distinti, ma vista come parti di un tutto organico, cioè
della Vita stessa.
Il
nichilismo post-moderno (che è sfociato nel neoliberismo sregolato degli anni
'80) ha capovolto questa logica.
In quanto tale, costituiva una rottura
ontologica con gran parte della storia.
Non solo separava artificialmente il
"modo di essere" "economico" da quello politico ed etico,
ma l'economia aperta e del libero scambio (nella sua formulazione di Adam
Smith) richiedeva la subordinazione della società alla logica astratta del
mercato autoregolato.
Per “Polanyi”,
questo "significava niente di meno che la gestione della comunità come
aggiunta al mercato", e niente di più.
La
risposta – chiaramente – era quella di rendere la società di nuovo la parte
dominante di una comunità distintamente umana;
cioè
che le viene dato il suo significato attraverso una cultura viva.
In
questo senso, Polanyi ha anche sottolineato il carattere territoriale della
sovranità – lo stato-nazione come pre-condizione sovrana per l'esercizio della
politica democratica.
Polanyi
avrebbe sostenuto che, in assenza di un ritorno alla vita stessa come perno
centrale della politica, una violenta reazione era inevitabile.
È un
tale contraccolpo quello che stiamo vedendo oggi?
In
occasione di una conferenza di industriali e imprenditori russi, il 18 marzo
2025, Putin ha fatto riferimento proprio a una soluzione alternativa di
"economia nazionale" per la Russia.
Putin
ha evidenziato sia l'assedio imposto allo Stato, sia ha esposto la risposta
russa, un modello che probabilmente sarà adottato da gran parte del mondo.
Si
tratta di un modo di pensare economico già praticato dalla Cina, che aveva
anticipato il blitz tariffario di Trump.
Il
discorso di Putin – metaforicamente parlando – costituisce la controparte
finanziaria del suo discorso del 2007 al Forum sulla sicurezza di Monaco, in
cui ha accettato la sfida militare posta dalla "NATO collettiva".
Il
mese scorso, tuttavia, è andato oltre:
Putin ha dichiarato chiaramente che la Russia
aveva accettato la sfida posta dall'ordine finanziario anglosassone
dell'"economia aperta".
Il
discorso di Putin non è stato in un certo senso nulla di veramente nuovo: è
stato il passaggio dal modello di "economia aperta"
all'"economia nazionale".
La
"National Economics School" (del diciannovesimo secolo) sosteneva che
l'analisi di “Adam Smith”, che era fortemente focalizzata sull'individualismo e
sul cosmopolitismo, trascurava il ruolo cruciale dell'economia nazionale.
Il
risultato di un libero scambio generale non sarebbe una repubblica universale,
ma, al contrario, una sottomissione universale delle nazioni meno progredite da
parte delle potenze manifatturiere e commerciali predominanti.
Coloro
che sostenevano un'economia nazionale contrastavano l'economia aperta di Smith
sostenendo una "economia chiusa" per consentire alle industrie
nascenti di crescere e diventare competitive sulla scena globale.
"Non
fatevi illusioni: non c'è nulla al di là di questa realtà", ha avvertito
Putin agli industriali russi riuniti nel marzo 2025. "Mettete da parte le
illusioni", ha detto ai delegati:
"Le
sanzioni e le restrizioni sono la realtà di oggi, insieme a una nuova spirale
di rivalità economica già scatenata".
"Le
sanzioni non sono né temporanee né misure mirate;
Costituiscono
un meccanismo di pressione sistemica e strategica contro la nostra nazione.
Indipendentemente dagli sviluppi globali o dai cambiamenti nell'ordine
internazionale, i nostri concorrenti cercheranno continuamente di limitare la
Russia e di diminuire le sue capacità economiche e tecnologiche".
"Non si deve sperare in una completa
libertà di commercio, di pagamento e di trasferimento di capitali.
Non bisogna contare sui meccanismi occidentali
per proteggere i diritti degli investitori e degli imprenditori...
Non
sto parlando di alcun sistema legale, semplicemente non esistono!
Esistono
lì solo per sé stessi!
Questo
è il trucco. Capisci?"
Le
nostre sfide [russe] esistono, 'sì', ha detto Putin;
"ma
anche i loro sono abbondanti. Il dominio occidentale sta scivolando via. Nuovi
centri di crescita globale sono al centro dell'attenzione".
Queste
sfide non sono il "problema"; sono l'opportunità, ha sostenuto Putin:
daremo priorità alla produzione nazionale e allo sviluppo delle industrie
tecnologiche.
Il vecchio modello è finito.
La produzione di petrolio e gas sarà
semplicemente l'aggiunta di un'"economia reale" autosufficiente in
gran parte circolante internamente, con l'energia che non sarà più il suo
motore.
Siamo aperti agli investimenti occidentali –
ma solo alle nostre condizioni – e il piccolo settore "aperto" della
nostra economia reale, altrimenti chiusa e auto-circolante, continuerà
ovviamente a commerciare con i nostri partner BRICS.
La
Russia sta tornando al modello dell'economia nazionale, ha lasciato intendere
Putin.
"Questo
ci rende resistenti alle sanzioni e ai dazi".
"La
Russia è anche resistente agli incentivi, essendo autosufficiente in termini di
energia e materie prime", ha detto Putin.
Un chiaro paradigma economico alternativo di
fronte a un ordine mondiale in disfacimento.
La
soppressione del cristianesimo
nel
suo luogo di nascita.
Unz.com
- Filippo Giraldi – (18 aprile 2025) – ci dice:
Israele
non è amico di Gesù.
La mia
riscrittura della famosa citazione di Lord Palmerston riguardo agli
"interessi" per farla riflettere la realtà di Israele e dei suoi
potenti amici sarebbe più o meno questa:
"Dico
che è una politica ristretta supporre che Israele deve essere indicatore come
l'eterno alleato o l'amico perpetuo degli Stati Uniti e dei valori occidentali
illuminati.
Per sua natura, Israele non ha alleati eterni.
I suoi interessi sono davvero perpetui, ma si
concentrano sul suo successo nel ritrarsi aggressivamente sempre come la
vittima, portando avanti anche i propri interessi tribali".
Ammetto
che tendo a pensare spesso al nemico che noi della tradizione cristiana
occidentale abbiamo nutrito nel nostro petto per decenni in uno spirito di
tolleranza, una vipera che si propone solo di corromperci e poi distruggerci,
che si manifesta in particolare in questo periodo dell'anno, in cui la vita e
la morte di Gesù Cristo dovrebbero essere giustamente celebrate.
Ahimè,
nell'Israele di oggi ciò che è veramente notevole è l'aperta soppressione da
parte del governo dell'identità e del culto cristiano, senza alcuna lamentela
proveniente da Washington o dalle altre nazioni nominalmente cristiane
d'Europa.
In
effetti, il cristianesimo in Medio Oriente sta generalmente morendo a causa
della pressione esercitata da Israele per rendere la vita e la pratica
religiosa palestinese il più difficile possibile, così come di questioni
regionali più ampie, tra cui le punizioni israeliane e statunitensi e la
sostituzione di regimi in luoghi come la Siria e il Libano, che fino a poco
tempo fa ospitavano consistenti minoranze cristiane. I cristiani, in generale,
trovano più facile emigrare in paesi più amichevoli in tutto il mondo rispetto
ai musulmani locali, poiché spesso hanno una famiglia all'estero per aiutare
nel processo.
L'emarginazione
dei cristiani in Israele, recentemente guidata dalla legislazione
sull'apartheid e dalla dichiarazione parlamentare di Israele come Stato
ebraico, è in corso da molto tempo, ma quest'anno è particolarmente grave sia
per Natale che per Pasqua, con il rifiuto da parte delle autorità israeliane di
consentire raduni per le funzioni religiose e altre celebrazioni.
Solo 6.000 "lasciapassare" di
sicurezza sono stati rilasciati dagli israeliani ai cristiani palestinesi della
Cisgiordania per celebrare la Domenica delle Palme e la Pasqua a Gerusalemme
quest'anno, a differenza del passato, quando ci sarebbero stati 50.000
partecipanti.
Di
conseguenza, molte celebrazioni e le consuete sfilate sono state cancellate.
Padre
Ibrahim Faltas OFM, Vicario della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, ha
descritto come "Nonostante diversi incontri di alto livello, non siamo
stati in grado di ottenere più permessi", ricordando che i cristiani della
Cisgiordania affrontano molte restrizioni alla loro libertà di movimento
durante l'anno e aspettano il periodo pasquale per recarsi a Gerusalemme per
pregare nei Luoghi Santi.
Inoltre, antiche chiese di Gaza sono state
bombardate e distrutte nel corso dell'ultimo anno, probabilmente
deliberatamente, creando un senso di depressione tra i fedeli che sono anche
molto consapevoli del fatto che i loro compagni palestinesi, molti dei quali
cristiani, vengono massacrati dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF).
Il 13
aprile, domenica delle Palme, un attacco aereo di prima mattina ha distrutto i
reparti ambulatoriali e il laboratorio dell'ospedale arabo Al-Ahli a Gaza,
gestito dalla chiesa anglicana.
I detriti dell'attacco aereo hanno raggiunto
la vicina chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, che si stava preparando per
la celebrazione della Domenica delle Palme, insieme ai resti senzatetto della
comunità locale che risiedeva nel complesso della chiesa.
L'incidente
ha acuito la disperazione dell'intera comunità cristiana.
Il
capo di un'agenzia umanitaria cattolica ha descritto come "i cristiani
stanno soffocando e sono intrappolati nei loro stessi governatorati (provincia)
e nelle loro città, impossibilitati a viaggiare liberamente senza essere
molestati perché hanno bisogno di permessi speciali...".
Questo,
nonostante il fatto che non ci siano mai state violenze o disordini politici
associati al movimento dei pellegrini, quindi è ampiamente considerato poco più
che una pura molestia da parte delle autorità israeliane.
A dire
il vero, la comunità cristiana e i leader religiosi erano a conoscenza di ciò
che stava accadendo esattamente e hanno protestato con quelle che sembrerebbero
essere le autorità governative israeliane competenti, ma generalmente senza
alcun risultato.
La
loro causa sarebbe aiutata se le nazioni a maggioranza cristiana come gli Stati
Uniti e l'Europa facessero pressione su Israele per un trattamento equo per i
cristiani, ma in genere tacciono a causa della loro corruzione e intimidazione
da parte delle varie manifestazioni della lobby israeliana attiva nei loro
paesi.
Allo
stesso modo, i media di quei paesi sono molto attenti a ciò che stampano o
dicono su Israele o sugli ebrei, poiché tali critiche sono un crimine in molte
giurisdizioni, qualcosa che sta diventando sempre più il caso negli Stati Uniti
e legato alle deportazioni prive di provare di coloro che si oppongono a ciò
che sta accadendo a Gaza.
Il
rapporto annuale del “Rossing Center “, un'organizzazione con sede a
Gerusalemme dedicata alla convivenza interreligiosa, ha documentato 111 casi di
molestie e violenze contro la comunità cristiana in Israele ea Gerusalemme Est
nel 2024.
Il rapporto ha rivelato un clima di ostilità
che, secondo una delle autrici dello studio,” Federica Sasso”, rappresenta solo
"la punta dell'iceberg di un fenomeno molto più ampio".
Dei
111 casi di aggressione segnalati, 47 erano aggressioni fisiche principalmente
attraverso "sputi", un comportamento che si è evoluto da atti sottili
a esibizioni apertamente aggressive.
In
diverse aree, soprattutto nella Città Vecchia di Gerusalemme, sacerdoti, suore,
frati e monaci "essendo facilmente identificabili sono esposti a questi
attacchi su base giornaliera" con solo rari interventi da parte delle
autorità israeliane.
Diversi
anni fa, il capo della Chiesa cattolica romana in Israele,” Pierbattista
Pizzaballa”, ha affermato che i cristiani hanno affrontato sfide difficili , in
particolare dalla formazione dell'ultimo governo di estrema destra di Netanyahu
nel dicembre 2022.
Secondo”
Pizzaballa”, il suo governo ha incoraggiato gli attivisti religiosi
ultranazionalisti, molti dei quali sono coloni armati, e alcuni dei quali hanno
molestato membri maschili e femminili del clero e vandalizzato proprietà
religiose. Pizzaballa ha osservato come "La frequenza di questi attacchi,
le aggressioni, è diventata qualcosa di nuovo.
Queste
persone si sentono protette... l'atmosfera culturale e politica può ora
giustificare, o tollerare, azioni contro i cristiani".
Un
collega, “Francesco Patton”, Custode di Terra Santa, ha spiegato che
"siamo inorriditi e feriti a seguito dei numerosi episodi di violenza e
odio che si sono verificati di recente contro la comunità cattolica in
Israele".
Ha
descritto la profanazione di un cimitero luterano, il vandalismo di una sala di
preghiera maronita, la minzione nei luoghi sacri, la distruzione di immagini
sacre e l'irrorazione di "morte ai cristiani" sulle proprietà della
chiesa, tutte avvenute poco dopo l'insediamento del nuovo governo Netanyahu.
Ha
anche notato "la responsabilità dei leader, di coloro che hanno il
potere", aggiungendo che la polizia israeliana ha sistematicamente omesso
di indagare su tali incidenti dopo che le chiese li hanno denunciati.
Determinare
se le accuse di aumento della violenza e dei crimini d'odio diretti contro i
cristiani fossero vere, il 26 giugno esimo Il giornale israeliano di
orientamento liberale Haaretz ha inviato uno dei suoi giornalisti vestito da
prete nel centro di Gerusalemme.
Nel
giro di cinque minuti, il giornalista “Yossi Eli "è stato deriso e
sputato, anche da un bambino e da un soldato... Poco dopo un uomo lo schernì in
ebraico, dicendo: 'Perdonami, padre, perché ho peccato'. Poi un bambino di 8
anni gli ha sputato addosso, così come un altro quando soldato un gruppo di
truppe è passato più tardi".
Alla
luce di ciò che sta accadendo sul campo, l'”American-Arab Anti-Discrimination
Committee” (ADC) ha chiesto un'indagine sul ruolo che i coloni Israele-statunitensi
con doppia nazionalità stanno attualmente svolgendo nella recente ondata di
violenze dirette contro le città e i villaggi palestinesi, cristiani e
musulmani.
Il direttore esecutivo dell'ADC, Abed Ayoub,
ha dichiarato che "abbiamo forti ragioni per credere che i cittadini
americani siano tra i principali responsabili dei più recenti attacchi brutali
e violenti".
Dal 21
giugno San, bande armate di coloni israeliani hanno terrorizzato i villaggi
palestinesi in Cisgiordania quasi quotidianamente.
Hanno
distrutto case, veicoli bruciati e ucciso almeno un palestinese.
Per decenni i cittadini statunitensi si sono
trasferiti negli insediamenti israeliani, che usano come basi per impegnarsi
regolarmente in violenze contro i palestinesi, il tutto impunemente, poiché la
polizia e l'esercito israeliano non forniscono protezione agli arabi e invece
spesso proteggono i coloni.
Molti
di questi cittadini statunitensi approfittano anche delle leggi fiscali
americane sulla beneficenza e senza scopo di lucro per finanziare gli
insediamenti illegali e iniziare la violenza contro i palestinesi.
In un
altro grave incidente, decine di estremisti israeliani, principalmente ebrei
ortodossi, hanno interrotto un evento di preghiera cristiana per i pellegrini
vicino al Muro Occidentale.
Il
vicesindaco di Gerusalemme,” Aryeh King”, e il rabbino “Avi Thau” hanno guidato
i manifestanti.
Denunciando
i cristiani come "missionari" che cercavano di convertire gli ebrei,
gli estremisti sputavano e maledicevano i pellegrini, molti dei quali,
ironicamente, erano cristiani evangelici degli Stati Uniti fortemente
filo-israeliani.
Il
vicesindaco King ha detto che i cristiani dovrebbero godere della libertà di
culto "solo all'interno delle loro chiese".
Secondo
“Protecting Holy Land Christians” , un'organizzazione fondata da gruppi
cristiani per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle minacce alla loro
religione, ci sono stati altri resoconti di come i cristiani siano stati
sottoposti a crescenti persecuzioni.
Un
recente rapporto descrive in dettaglio come i palestinesi siano stati presi di
mira da quello che viene chiamato colonialismo di insediamento, che è una serie
di misure volte a distruggere le loro comunità e cacciarle dalle loro terre.
Identifica sette politiche che Israele usa
contro i palestinesi in tutta la Palestina mandataria (Palestina del 1948,
Gaza, Cisgiordania compresa Gerusalemme Est) e anche per punire coloro che sono
in esilio:
"negazione
della residenza; confisca dei terreni e diniego d'uso; pianificazione
discriminatoria; negazione dell'accesso alle risorse e ai servizi naturali;
imposizione di un regime di autorizzazione; frammentazione, segregazione e
isolamento; negazione dei risarcimenti; e la soppressione della
resistenza".
Il
rapporto conclude che "Sia che queste politiche siano considerate
separatamente o prese insieme, equivalgono a trasferimenti forzati di
popolazione, una grave violazione del diritto internazionale umanitario (DIU)".
Recentemente,
queste misure essenzialmente di genocidio hanno incluso anche il furto totale
dei loro edifici storici e dei terreni da parte del governo e la negazione di
altri diritti, tra cui il crescente rifiuto di consentire raduni di fedeli
nelle chiese esistenti durante le principali festività come Natale e Pasqua.
Ci sono stati anche molti attacchi fisici
contro singoli cristiani da parte di ebrei estremisti, così come la
profanazione di siti religiosi cristiani e la distruzione o la deturpazione di
reliquie e statue cristiane.
Una conferenza tenutasi a Gerusalemme nel
giugno 2023 per affrontare la questione dell'aumento della violenza contro i
cristiani ha attirato un certo numero di diplomatici, studiosi e rappresentanti
di gruppi religiosi, ma è stata boicottata dal ministero degli Esteri
israeliano.
Anche l'ambasciata degli Stati Uniti non ha inviato un
rappresentante o un osservatore, indicando chiaramente che non era interessata
alla situazione dei cristiani in Israele, o meglio che non voleva nemmeno
ammettere che c'era un problema.
È
interessante notare che il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale “Itamar
Ben-Gvir”, un estremista di destra e leader del movimento dei coloni, sta per
arrivare a Washington e riceverà un trattamento da tappeto rosso dai soliti
sospetti.
Ha espresso apertamente il suo desiderio di
allontanare tutti i palestinesi, cristiani e musulmani, dalla Palestina storica
ed è stato a favore di una legislazione che rende perfettamente legale e senza
conseguenze per qualsiasi soldato, poliziotto o colono armato, uccidere un
palestinese.
Il
viaggio includerà soste in Florida e Washington, DC, dove ha avuto un programma
di incontro con funzionari statunitensi, influencer conservatori e leader della
comunità ebraica.
L'incontro di più alto profilo nel suo
programma è con il Segretario alla Sicurezza Nazionale” Kristi Noem”.
“Ben
Gvir”, che gestisce il sistema carcerario israeliano, ha sostenuto una
soluzione semplice per trattare con i detenuti indesiderati nel suo paese.
"E'
un peccato che negli ultimi giorni mi sia dovuto occupare del fatto che i
prigionieri palestinesi devono ricevere cesti di frutta", ha detto l'anno
scorso.
"Dovrebbero
essere uccisi con un colpo alla testa".
L'autodefinitosi
sionista “Joe Biden” aveva effettivamente bloccato il suo ingresso negli Stati
Uniti come "troppo estremista" ma, come abbiamo visto, Donald Trump
non è così meticoloso.
Quindi
il gioco è fatto.
Il
governo israeliano di Netanyahu non è molto interessato ai diritti umani per
chiunque non sia un ebreo conservatore o ortodosso.
È, infatti, essenzialmente ostile a tutti i
palestinesi e agli stranieri, siano essi musulmani, cristiani o anche
irreligiosi.
Denigrano
regolarmente queste persone come quelle che i tedeschi negli anni '30 avrebbero
definito "untermenschen", che significa subumani, una parola allora
usata per descrivere gli ebrei, abbastanza ironicamente.
Che
gli Stati Uniti ignorano tutti i crimini di guerra e le violazioni dei diritti
umani di Israele è vergognoso, ma è normale che gli ebrei americani che sono
sostenitori di Israele abbiano corrotto e preso il controllo del processo
politico.
E non pensate nemmeno per un secondo che ai
leader israeliani importi qualcosa degli Stati Uniti e del loro popolo, la
maggior parte del quale è almeno nominalmente cristiano.
Ricordate
per un momento come l'ex primo ministro “Ariel Sharon “si riferì agli americani
in una discussione con il ministro degli Esteri “Shimon Peres”:
"Ogni
volta che facciamo qualcosa, mi dite che gli americani faranno questo e faranno
quello.
Voglio
dirvi una cosa molto chiara, non preoccupatevi della pressione americana su
Israele.
Noi,
il popolo ebraico, controlliamo l'America, e gli americani lo sanno".
E più
recentemente Netanyahu ha detto:
"L'America
è una cosa che si può muovere molto facilmente, che si può muovere nella giusta
direzione".
Questo
è ciò che pensiamo veramente di noi.
(Philip
M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest,
una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501(c)3).
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