La sovranità degli stati nazionali.

 

La sovranità degli stati nazionali.

 

 

Riecco il Trattato Pandemico:

Stati Membri OMS Firmano

 Conoscenzeaconfine.it – (23 Aprile 2025) – Renovatio21.com – ci dice:

I rappresentanti degli stati membri dell’OMS hanno concordato una bozza del cosiddetto” Trattato pandemico”, la cui votazione è prevista per il mese prossimo.

“Le nazioni del mondo hanno fatto la storia oggi a Ginevra”, ha affermato il dottor” Tedros Adhanom Ghebreyesus”, direttore generale dell’OMS, dopo che mercoledì 16 aprile gli stati membri hanno concordato la “bozza del trattato sulla pandemia”.

“Raggiungendo il consenso sul Trattato Pandemico, non solo hanno messo in atto un’intesa generazionale per rendere il mondo più ‘sicuro’, ma hanno anche dimostrato che il multilateralismo è vivo e vegeto e che, nel nostro mondo diviso, le nazioni possono ancora lavorare insieme per trovare un terreno comune e una risposta condivisa a minacce comuni.

Ringrazio gli Stati membri dell’OMS e i loro team negoziali per la loro lungimiranza, il loro impegno e il loro instancabile lavoro.

 Attendiamo con impazienza che l’”Assemblea mondiale della sanità “prenda in considerazione l’accordo e, ci auguriamo, ne adotti uno“, ha proseguito l’etiope ai vertici dell’OMS.

L’accordo è stato raggiunto dall’ “Intergovernmental Negotiating Body” (INB), il comitato istituito dall’OMS per negoziare il trattato, dopo oltre tre anni di trattative.

 

Secondo il comunicato stampa dell’OMS, la bozza fondamentale del trattato pandemico include l’istituzione di “un sistema di accesso ai patogeni e di condivisione dei benefici”, che consente la condivisione di dati tra governi e aziende farmaceutiche, con l’obiettivo di sviluppare e fornire rapidamente “prodotti sanitari correlati alla pandemia” durante una pandemia.

 Questi “prodotti sanitari” potrebbero consistere nei vaccini mRNA, ovviamente.

L’OMS sostiene che la “proposta afferma la sovranità dei paesi nell’affrontare le questioni di salute pubblica all’interno dei propri confini e stabilisce che nulla nella bozza di accordo debba essere interpretato come se fornisse all’OMS l’autorità di dirigere, ordinare, modificare o prescrivere leggi o politiche nazionali, o di obbligare gli stati ad adottare azioni specifiche, come vietare o accettare viaggiatori, imporre obblighi vaccinali o misure terapeutiche o diagnostiche o attuare lockdown”.

 

L’OMS sembra rispondere alle critiche al trattato, che lo hanno definito un tentativo di acquisizione di potere da parte dell’OMS.

 Conferirebbe all’”organizzazione globale un potere incondizionato” ogni volta che dichiarasse che qualsiasi rischio per la salute è una “pandemia”.

Tuttavia, la nuova bozza non è ancora stata resa pubblica, rendendo impossibile una valutazione approfondita.

Il direttore generale dell’OMS Ghebreyesus, si è scatenato nel suo consueto allarmismo, affermando: “il virus è il peggior nemico. Potrebbe essere peggio di una guerra”.

 

Mentre il trattato dell’OMS sulla pandemia e gli “emendamenti al Regolamento sanitario internazionale” (RSI) non sono riusciti ad essere approvati l’anno scorso, la nuova versione dell’accordo potrebbe essere approvata con una maggioranza di due terzi durante l’Assemblea mondiale della sanità annuale (19-27 maggio 2025) il mese prossimo.

 

Tuttavia, gli Stati Uniti non hanno partecipato ai negoziati e non sarebbero stati vincolati dall’accordo, poiché il presidente Donald Trump ha ritirato il Paese dall’organismo internazionale nel gennaio 2025, dopo aver assunto l’incarico per il suo secondo mandato.

Come riportato da “Renovatio 21”, il presidente argentino “Javier Milei” ha annunciato a febbraio che anche il suo Paese abbandonerà l’OMS, seguendo l’esempio di Trump.

Se altri Paesi dovessero abbandonare l’OMS, il Trattato Pandemico potrebbe risultare inefficace nella pratica, anche se venisse approvato a maggio.

 

L’opposizione al Trattato Pandemico ha una base internazionale.

 Basta pensare all’ex ministro degli Interni giapponese Kazuhiro Haraguchi il quale, danneggiato dal vaccino con un turbo-cancro, ha dichiarato la necessità di distruggere il Trattato Pandemico “in quanto business di armi biologiche di massa”.

Il medico kenyota “Wahome Ngare” ha dichiarato lo scorso maggio che il Trattato Pandemico OMS mira a “menomare e uccidere” ed a “stabilire un governo mondiale”.

In Italia i parlamentari “Claudio Borghi” e “Alberto Bagnai” stanno portando avanti la richiesta di uscita dell’Italia dall’OMS.

 

Il compianto esperto in armi biologiche “Francis Boyle”, autore della legislazione americana sul bioterrorismo, ritiene che il Trattato pandemico OMS potrebbe privare le Nazioni della loro sovranità e creare un super-Stato totalitario mondiale.

Come riportato da Renovatio 21, a febbraio alcuni deputati USA hanno dichiarato che il Trattato Pandemico OMS rappresenta la più grande minaccia alla libertà nella storia umana.

 Il senatore del Wisconsin Ron Johnson, noto per la sua inesausta crociata sui danni del vaccino mRNA, è arrivato a dichiarare la scorsa estate che “il COVID è stato diffuso intenzionalmente da un’élite che vuole assumere il controllo totale delle nostre vite.“

 

In una vecchia intervista a “Fox News” il senatore attaccava proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Trattato pandemico, come agenti della de-sovranizzazione degli Stati nazionali:

 “questi emendamenti che saranno votati nel 2024 dall’OMS fanno paura e rischiano davvero di toglierci tutta la nostra sovranità.

 Le persone devono rendersi conto dei pericoli del momento”.

Mesi fa anche alcuni politici slovacchi avevano definito il Trattato pandemico come uno sforzo “globalista” per indebolire le sovranità nazionali.

Una posizione condivisa dal premier di Bratislava “Robert Fico”, vittima l’anno passato di un tremendo attentato.

 

La spinta verso un potere sempre maggiore dell’OMS è coperta sotto l’operazione sanitaria globale “One Health”.

Tale tendenza per la ratifica del Trattato pandemico era già avvertibile pienamente nel 2022, quando emerse che in concomitanza la Banca Mondiale aveva approntato un fondo da 1 miliardo di dollari per la creazione di passaporti vaccinali internazionali.

 Il cosiddetto “passaporto pandemico” era già stato finanziato l’anno precedente da Microsoft ed altri colossi tecnologici e dai danari dei Rockefeller.

 

Come riportato da” Renovatio 21”, il “Trattato OMS”, dando al pensiero biomedico dell’establishment il potere sui singoli ordinamenti nazionali, garantirebbe anche il “diritto” all’aborto in caso di pandemia.

È possibile vedere il Trattato e l’allargamento dell’OMS come un’ulteriore fase del “colpo di Stato globale” slatentizzatosi con il COVID-19.

(renovatio21.com/riecco-il-trattato-pandemico-stati-membri-oms-firmano/).

 

 

 

Trump minaccia Zelensky.

   Msn.com - Marta Ottaviani – Quotidiano.net – (23- 4 -2025) – ci dice:

ROMA.

Un piano di pace che in realtà è una resa da parte dell’Ucraina, un vertice che salta, Mosca e Kiev che continuano a bombardare e, non in ultimo, il presidente Trump che sbotta sui social.

 Quella che doveva essere, se non una giornata risolutiva, almeno l’inizio di un dialogo per trovare una piattaforma comune, si è trasformata in un tutti contro tutti.

Ad aprire le danze, ieri sul Wall Street Journal, è stato il premier ucraino, “Volodymyr Zelensky”, che ha respinto il piano di pace americano.

 "Il nostro popolo non accetterà un conflitto congelato mascherato da pace. Non riconosceremo mai l’occupazione della Crimea" aveva detto Zelensky.

Parole che hanno fatto saltare l’incontro previsto ieri a Londra con tutti i ministri degli esteri dei ‘Paesi volonterosi’.

Si sono incontrate solo le delegazioni americana, ucraina, ed europea (tuttavia Trump poi dirà ai media che "i colloqui di Londra sono andati bene").

Il presidente Usa sul suo “social Truth” ha accusato il numero uno di Kiev di dire cose "molto dannose’ per i negoziati".

 

"La situazione in Ucraina è disastrosa – ha scritto il tycoon -.

 Zelensky può ottenere la pace o può combattere per altri tre anni prima di perdere l’intero Paese.

 Non ho nulla a che fare con la Russia, ma ho molto a che fare con la volontà di salvare, in media, 5mila soldati russi e ucraini a settimana, che muoiono senza motivo".

Secondo Trump, le parole del premier ucraino non fanno altro che "prolungare il campo di sterminio".

Poi un riferimento all’incontro disastroso alla Casa Bianca:

"Siamo molto vicini a un accordo, ma l’uomo ‘senza carte da giocare dovrebbe ora, finalmente, farlo".

Trump ha poi detto sia che potrebbe incontrare Putin dopo il viaggio in Arabia Saudita previsto per metà maggio.

 

Stando a quello che ha pubblicato il Telegraph, il negoziato americano consta di 7 punti, tutti a vantaggio della Russia fra cui la rinuncia da parte di Kiev della Crimea, e quella all’ingresso nella Nato.

 Il piano prevede anche la firma dello sfruttamento da parte di Washington dei minerali strategici ucraini.

Un’‘ultima offerta’, con il vicepresidente JD Vance che ha consigliato a Kiev di cedere territori se vuole che la guerra finisca.

A lui hanno risposto Francia e Regno Unito.

 Dall’Eliseo è stato diffuso un comunicato in cui si legge:

 "Il rispetto dell’’integrità territoriale e della vocazione europea dell’Ucraina sono esigenze forti degli europei.

L’obiettivo resta quello di costruire un approccio comune che gli Usa potrebbero presentare ai russi".

Ancora più diretta Downing Street.

Il portavoce del premier Keri Stormer, ha detto che il Regno Unito "sostiene gli sforzi degli Stati Uniti per porre fine in modo duraturo alla guerra", ma che "spetta all’Ucraina decidere il suo futuro".

I quattro leader si incontreranno a Roma sabato in occasione del funerale di Papa Francesco.

Zelensky sperava in un colloquio con Trump per ricucire dopo il litigio del mese scorso alla Casa Bianca.

 Ma le premesse non sono delle migliori e c’è il rischio che il tycoon non voglia confrontarsi nemmeno con Stormer, viste le posizioni divergenti con l’alleato inglese sul tema Ucraina.

Eppure, uno spiraglio resta, visto che lo stesso Trump, in corrispondenza delle ore notturne italiane, ha detto che a Roma, dopo i funerali di papa Francesco, ha "in programma diversi incontri" con i leader presenti.

 

 

 

 

Post di “Ministero della Verità”

(Dipartimento di “Psicopolizia”):

Abbiamo Vinto!

Conoscenzealconfine.it – (24 Aprile 2025) – T.me/comedonchisciotte.org – ci dice:

 

Il Fascismo non è un’ideologia: è un metodo!

Un tempo, i guerrafondai indossavano l’elmetto, alzavano il braccio destro teso e gridavano “Dio, Patria e Famiglia”.

 Oggi portano la spilletta arcobaleno, abitano nei quartieri ricchi, fanno podcast con l’audio in alta definizione e gridano “pace” mentre spingono per mandare missili a est.

Siamo felici di annunciare che il “Ministero della Verità” ha raggiunto un traguardo epocale nella “Grande Operazione di Inversione Semantica:” abbiamo trasformato la sinistra nella destra.

Oggi la sinistra difende la NATO, le armi, la censura, insulta i pacifisti, chiama “putiniano” chiunque non saluti la bandiera a stelle e strisce, celebra Draghi, Mattarella, la BCE, e sogna un’Europa tecnocratica, disumana e “resiliente”.

Una volta c’era il fascismo. Di conseguenza arrivò l’antifascismo.

Ora regna il fascismo di una certa rumorosa, arrogante fetta di antifascisti di maniera (quelli che piacciono alla gente che piace).

Lo aveva già capito Pasolini, che parlava di “antifascisti che odiano i fascisti più di quanto amino la libertà”.

Aveva previsto tutto: la mutazione genetica, il travaso d’orgoglio repressivo, la nuova forma di dominio.

Aveva capito che il fascismo non è un’ideologia: è un metodo.

E oggi quel metodo lo impugna la sinistra semicolta, col culo pulito, che predica inclusione mentre esclude chiunque non reciti la liturgia del “Pensiero Corretto”.

Missione compiuta.

Lo scontro elettorale non è più tra destra e sinistra.

 È tra destra classica e destra progressista.

Le due ali dello stesso rapace.

E noi della “Psico-polizia”, in silenzio, con la penna nella fondina e la risata nel cuore, brindiamo al capolavoro.

Abbiamo cambiato i nomi, confuso i simboli, spostato i confini.

Oggi la guerra è pace, la censura è libertà e la sinistra è destra.

Che vinca il migliore (cioè noi… a prescindere dal colore politico che deciderete di abbracciare nel segreto dell’urna elettorale).

(facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid0bMsR3kBenV6wLhqfYqLEwNaEyuQbJhhjE1iLbeWX9SiXYHpP1pY26kfugBXBAU7cl&id=61574049584385).

(t.me/comedonchisciotte.org).

La sovranità ai tempi

della globalizzazione.

 Osservatorioglobalizzazione.it – (15 Maggio 2019) - Aldo Giannuli – ci dice:

 

Nell’ondata di “politicamente corretto” che ci affligge, alcune parole come “sovranità”, “potere”, “forza”, suonano male e sono impronunciabili senza suscitare reazioni sdegnate nell’uditorio nutrito di pacifismo, non violenza, iper femminismo, ultra ecologismo, pensiero debole o, qualche volta, ultra debole.

Ricordo che durante la prima guerra del Golfo una mia collega di Facoltà se ne uscì con questa frase memorabile:

“Dobbiamo pensare ad un uso del diritto non basato sulla forza”, risposi:

“Bello! Cosa è il galateo?”.

Il Diritto, per definizione è il sistema di norme dotate di potere cogente, piaccia o no.

 Il resto sono fesserie.

Questa melassa dolciastra ha prodotto il deperimento della cultura politica diffusa, a tutto vantaggio dello strapotere finanziario che, con la politica debole ci va a nozze.

Nei giorni scorsi abbiamo parlato della necessità di una cultura politica all’altezza dell’era della globalizzazione:

e in primo luogo, per essere edificata, essa necessita della capacità di cogliere i mutamenti occorsi nei rapporti di potere su scala globale.

 

Allora, riprendiamo contatto con la realtà, piedi per terra e recuperiamo le categorie del pensiero politico:

 “potere” non è una parolaccia, ma è un elemento necessario ed ineliminabile della vista sociale umana.

Occorre che qualcuno assuma di volta in volta le decisioni politiche, economiche, giuridiche, sociali, culturali che occorrono alla società.

Produrre, distribuire, difendersi (o, se volete, attaccare), darsi un ordinamento giuridico eccetera, non sono cose che avvengono da sole come la pioggia.

Dopo possiamo discutere delle modalità con cui esercitare questo potere decisionale: possiamo pensare ad un potere unico o diffuso, ad una divisione dei poteri, a una gestione dittatoriale o democratica, ad una democrazia rappresentativa o diretta ma questo non annulla la funzione del potere:

anche il referendum è un modo di esercitale il potere sociale.

 

Una delle forme di organizzazione del potere sociale è lo Stato che si basa su tre elementi costitutivi:

il popolo (che è l’elemento personale), il territorio (che è l’elemento materiale cioè l’ambito spaziale in cui si applica l’ordinamento giuridico dello Stato) e la sovranità (che è l’elemento formale, che legittima la capacità del soggetto Stato di produrre ordinamento giuridico).

La sovranità, pertanto, è la capacità di assumere decisioni in forma di norme vincolanti (appunto il diritto).

 

Nel 1648, con la pace di Westfalia si stabilì che c’era un unico soggetto “superiorem non recognoscens” che assume la sovranità di un territorio.

 Dunque, non esiste uno Stato che non sia titolare di sovranità.

Dalla prima guerra mondiale in poi (e più ancora dopo la seconda) l’ordinamento westfalico ha iniziato a cedere terreno, con la nascita di organismi a “sovranità condivisa” (la Società delle Nazioni e, molto di più l’Onu, il Fondo Monetario, la Banca Mondiale, l’organizzazione mondiale della Sanità e così via).

Con la fine dell’equilibrio bipolare e l’avvio della globalizzazione, questa tendenza è esplosa e gli organismi sovranazionali hanno assorbito sempre maggiori fette di sovranità, soprattutto in campo economico, ma con ricadute d’ogni genere:

 si pensi al Wto, alle varie istituzioni giudiziarie internazionali, alle camere di commercio sovranazionali eccetera, al punto che autorevoli giuristi hanno parlato di una sorta di nuova “lex mercatoria” sul modello di quella del basso Medioevo che ha preceduto la nascita degli stati nazionali.

 

E qui è nata la confusione, per la quale si è parlato di decadenza dello Stato Nazionale in quanto forma politica storicamente superata e, con esso si è iniziato a parlare di superamento della sovranità.

Ma si tratta di un pasticcio teorico che va chiarito.

In primo luogo, lo stato Nazionale è ben lontano dalla sua estinzione:

 non mi pare che la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, l’India o il Brasile abbiano grande desiderio di sciogliersi in un ancora imprecisato ordinamento internazionale. Peraltro, il sistema internazionale, pur caratterizzato dalla presenza di una molteplicità di organismi a “sovranità condivisa” è pur sempre fondato sugli stati nazionali e gli stessi organismi sovranazionali, maggioritariamente, sono direttamente o indirettamente formati dagli stati nazionali o da loro emanazione.

 

Dunque, la sovranità non si è affatto estinta, ma ha subito in processo di suddivisione e trasferimento.

Le decisioni degli organismi sovranazionali non sono emanazioni dello Spirito Santo, ma esercizio di potere decisionale da parte di soggetti di diritto internazionale dotati di sovranità.

 

Dunque, togliamo di mezzo sia questa favola della fine dello Stato nazionale sia quella dell’esaurimento della sovranità, ma cerchiamo di capire come sia cambiata la sovranità nel mondo della globalizzazione.

Abbiamo detto, appunto che c’è stata una tendenza a frammentare e riunificare la sovranità.

Da un lato frammentare, perché abbiamo sottratto fette di potere decisionale agli stati nazionali spezzando il carattere unitario della decisione politica, dall’altro riunificare perché si creano nuclei decisionali mondiali per tema.

 

Ma questo non significa affatto la fine della sovranità, quanto una sua diversa distribuzione fra sfera nazionale e sfera sovranazionale.

 E questo determina una conseguenza:

a livello nazionale la residua quota di sovranità implica che la decisione può essere assoggettata a procedure democratiche (dove ci siano regimi democratici), mentre a livello sovranazionale questo non è possibile, perché la decisione è assunta da apparati tecnocratici al massimo responsabili di fronte ai governi nazionali e, peraltro, non è detto che siano tutti governi democratici.

Dunque, il conflitto non è fra “sovranisti” ed “anti sovranisti” che è una chiave di lettura volutamente fuorviante, ma quale quota di sovranità debba essere devoluta ad organismi sovranazionali ed a decisione non democratica e quali debbano essere trattenuti a livello nazionale per preservare la formazione di decisioni con metodo democratico.

 

 

 

La sovranità europea

che serve all'Italia.

Rivistailmulino.it - Michele Bellini –(07 giugno 2024) – ci dice:

Ancora manca una concezione condivisa di che cosa sia la sovranità e del suo rapporto con la dimensione europea.

Ma si tratta di un concetto centrale, su cui vale la pena ragionare.

Che cosa significa “sovranità” nel mondo di oggi?

 Come si esercita nel contesto europeo?

Sono domande più che mai attuali, come dimostrano le polemiche seguite alle parole del presidente della Repubblica Mattarella sulla sovranità europea in occasione della Festa della Repubblica.

 

Ancora manca una concezione condivisa di che cosa sia la sovranità e del suo rapporto con la dimensione europea, tanto che attorno ad essa si è sviluppato lo scontro politico di questi anni.

Non a caso, uno dei termini più in voga nel Vecchio continente è stato – ed è – sovranismo, una categoria politica che indica la volontà di riaffermare il primato della sovranità nazionale rispetto a qualsiasi sua limitazione derivante dall’appartenenza all’Unione europea (Ue).

 Nel volume da poco pubblicato per raccontare le sfide dell’Europa – Salviamo l’Europa.

Otto parole per riscrivere il futuro – una delle parole chiave è proprio questa, sovranità.

Si tratta di un concetto centrale nel dibattito europeo, perché è attorno alla sovranità che si compie la volontà di far parte o meno dell’Ue.

Essa, infatti, fonda la sua stessa esistenza su una scelta volontaria e democratica degli Stati membri che decidono di aderirvi:

 farne parte richiede una condivisione della sovranità in cambio dei vantaggi di una più stretta cooperazione.

Detto in altri termini, si chiede agli Stati di rinunciare a decidere da soli su determinate materie, per raggiungere una maggiore efficacia negli effetti di quelle decisioni, prese insieme ad altri Paesi.

 

Questo principio si vede bene nella politica commerciale, una delle cinque competenze (pochissime!) in cui l’Ue detiene il primato rispetto alla dimensione nazionale.

 Se da un lato gli Stati concorrono a determinare le priorità negoziali facendo, così, valere i propri interessi particolari, dall’altro l’Unione negozia a una voce sola, avendo, così, un maggiore potere contrattuale che le consente di ottenere risultati altrimenti impossibili.

È così, ad esempio, che l’Italia è riuscita a garantire la protezione delle sue eccellenze agro-alimentari nel mondo – un interesse nazionale non da poco per il nostro Paese.

Un risultato che non sarebbe stato possibile senza l’esercizio di una sovranità europea condivisa.

 Si vede bene, dunque, che la sovranità nazionale è stata meglio esercitata attraverso la sovranità europea.

 Il “prezzo” da pagare?

Semplicemente un processo decisionale non più in solitudine, ma condiviso con gli altri Paesi membri.

 

Considerare l’adesione all’Europa come una scelta tra la facoltà di decidere da soli e i vantaggi derivanti dallo stare insieme, permette di comprendere meglio anche la Brexit.

Con il referendum, infatti, i britannici hanno scelto di riprendersi il controllo delle proprie decisioni – lo slogan dei Brexiteers era Take Back Control – rinunciando ai vantaggi della cooperazione europea.

È di tre mesi fa l’annuncio dell’”Office for Budget Responsibility” – un organismo indipendente di vigilanza fiscale – secondo cui la Brexit è costata all’economia britannica, dunque alla prosperità di un intero Paese, ben 4 punti di produttività potenziale.

 Una scelta spinta da considerazioni ideologiche e identitarie che ha trascurato i costi economici;

esattamente l’opposto di quanto avvenne nel 1973, quando il Regno Unito entrò nella Comunità economica europea non spinto da un’adesione ideologica al progetto politico dell’integrazione europea, ma puramente per ragioni di convenienza economica.

La Brexit ci mostra chiaramente il significato di sovranità nel mondo di oggi.

Conta di più la facoltà di decidere da soli o l’efficacia delle decisioni?

 La prima, che ha prevalso nella Brexit, rivela una concezione di sovranità più come fine in sé, che come mezzo attraverso cui dare benefici a una comunità.

 È questa seconda concezione, invece, la grande opportunità che l’integrazione europea offre:

non importa più chi decide – data per garantita la legittimità democratica del processo decisionale – ma la priorità riguarda l’effetto concreto delle decisioni sulla vita dei cittadini.

È il principio della centralità della persona, pilastro delle democrazie liberali che proprio sulla protezione delle libertà individuali, dei diritti umani e dello Stato di diritto fondano la loro esistenza.

 

E se in una democrazia liberale lo Stato esiste per servire i cittadini, allora l’integrazione europea ci offre la straordinaria opportunità di far evolvere nella medesima direzione anche la concezione della sovranità.

Essa, infatti, non va più vista come indivisibile, ma come un insieme di competenze da assegnare al livello di governo – locale, nazionale o europeo – che meglio consente di raggiungere le finalità dell’azione pubblica.

La filosofa “Céline Spector” suggerisce che la condivisione di sovranità che l’Europa ammette, “implica la sua conversione in competenze o la sua scomposizione in funzioni: si tratta di concepire il potere pubblico (Staatsgewalt) più che la sovranità in senso classico (Souveränität).”

 (C. Spector, Briser l’idole. Sur la souveraineté européenne, in “Le Grand Continent”).

 

Condividendo la sovranità nazionale, quella classica, e costruendo così quella europea, condivisa, si può raggiungere una maggiore efficacia del potere pubblico quando la prima, da sola, non è più sufficiente.

 Proprio come emergeva nell’esempio della politica commerciale, se accogliamo questa nuova concezione di sovranità, spostando l’attenzione dalla facoltà di decidere all’efficacia delle decisioni, la presunta contrapposizione tra sovranità nazionale e sovranità europea condivisa svanisce e lascia spazio a uno stretto rapporto simbiotico tra le due, per cui costruire la seconda significa rafforzare la prima.

 

Condividendo la sovranità nazionale, quella classica, e costruendo così quella europea, condivisa, si può raggiungere una maggiore efficacia del potere pubblico quando la prima, da sola, non è più sufficiente.

Questa visione moderna e liberale della sovranità si ritrova anche nella nostra Costituzione.

In particolare, viene resa esplicita nei princìpi fondamentali, all’articolo 11, parlando della pace.

 La Carta, infatti, riconosce che “in condizioni di parità con gli altri Stati” sono consentite “limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”.

Parole che vanno dritte al cuore del tempo che stiamo vivendo.

 Perché oggi non esiste ambito più importante e urgente nel quale costruire una sovranità europea condivisa quanto la nostra capacità di essere attori di pace.

 In un mondo sempre più disordinato, pericoloso e dove il diritto internazionale e le “regole” di convivenza sono sempre meno condivise, noi europei siamo chiamati a replicare fuori dai nostri confini, quel processo di pacificazione realizzato tra di noi.

È certamente una sfida molto più ardua e implica modalità diverse e nuove, ma non va dimenticato che sin dagli albori dell’integrazione europea era già presente un’ambizione che non si limitava alla sola Europa, cui riconosceva un ruolo indispensabile.

La dichiarazione Schuman, il 9 maggio 1950, si apre in maniera inequivocabile:

 

“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.

 Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”.

Settantaquattro anni dopo, queste parole ci indicano l’importanza dello spartiacque della storia in cui siamo immersi e della scelta che siamo chiamati a compiere.

 Scelta ben riassunta dalla domanda che il Cardinale Matteo Zuppi (Cei) e Monsignor Mariano Crociata (Comece) hanno rivolto direttamente all’Unione in occasione della Giornata dell’Europa, il 9 maggio scorso:

“Che ruolo giochi, Europa, nel mondo?”.

Un interrogativo che i due prelati rivolgono all’Ue, ma che in realtà è diretto a ciascuno di noi: che ruolo vogliamo giocare – come italiani e come europei – nel mondo?

 

Zuppi e Crociata danno una loro risposta che indica una direzione chiara: “Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori”.

La capacità di incidere; ecco il cuore della questione.

Ma la capacità di incidere non è che un altro modo di spiegare quella concezione di sovranità come mezzo e non come fine in sé.

Per realizzare quella “volontà di pace” che fa parte della ragione d’essere del progetto europeo, la strada è una sola:

condividere sovranità anche negli ambiti della politica estera e di sicurezza, della politica di difesa e della politica fiscale, competenze che, ad oggi, rimangono nazionali.

 

Basti guardare all’indicibile tragedia che si sta ancora consumando in Medioriente: l’Europa è assente.

Ma lo è perché i suoi Stati non hanno condiviso la sovranità che le consentirebbe di essere un interlocutore geopolitico riconosciuto ed efficace

 

Solo permettendo la costruzione di una sovranità europea, potremo mettere l’Ue in condizione di incidere negli scenari internazionali e contrastare i venti di vecchi e nuovi imperialismi. In alternativa, continueremo a non toccare palla, a essere irrilevanti.

Uno scenario che non è ipotetico ma è già realtà.

Basti guardare all’indicibile tragedia che si sta ancora consumando in Medioriente: l’Europa è assente.

Ma lo è perché i suoi Stati non hanno condiviso la sovranità che le consentirebbe di essere un interlocutore geopolitico riconosciuto ed efficace.

 

Esattamente settant’anni fa, nell’agosto del 1954, se ne andava uno dei più grandi statisti del nostro Paese, Alcide De Gasperi.

Potremmo definirlo il primo sovranista europeo, perché fu tra coloro che già allora avevano compreso che solo attraverso la dimensione europea, si poteva esercitare una sovranità di fatto.

 Andava esattamente in questa direzione il suo impegno per costruire la Comunità europea di difesa (Ced), non semplicemente un esercito comune, ma un progetto di Europa politica, con istituzioni sovranazionali, un bilancio comune e un controllo politico e parlamentare.

 Un progetto che, insieme alla già esistente Comunità economica del carbone e dell’acciaio (Ceca), avrebbe rappresentato l’embrione di un’unione politica federale, in grado di esercitare una sovranità europea anche in ambito geopolitico. Sappiamo, purtroppo, che non andò così, con il voto contrario dell’”Assemblée Nationale francese”, 11 giorni dopo la morte dello statista trentino.

In un certo senso, oggi siamo nuovamente a quel bivio, che ruota intorno alla concezione di sovranità. Possiamo scegliere se riprendere il lavoro di De Gasperi oppure rimanere ancorati a una visione anacronistica della sovranità, relegata alla dimensione nazionale e, per questo, inefficace.

Spetta a ciascuno di noi decidere.

 

 

 

Stati nazionali.

Azionenonviolenta.it - Daniele Lugli – (Feb. 28, 2022) – ci dice:

 

Nella vicenda ucraina vediamo all’opera gli Stati-nazione, con diversa potenza e prepotenza.

Sono sovrani.

Non riconoscono interessi sopra di loro.

La vita, la libertà delle persone concrete non li riguarda.

Non riconoscono profondi, necessari legami troncati da arbitrari confini, vecchi e nuovi.

La Grande Russia nega che l’Ucraina, frutto di un capriccio bolscevico, possa considerarsi una vera Nazione.

Questa replica rivendicando il patriottismo di tutti i suoi soldati, riservisti, miliziani e cittadini, ansiosi di combattere in difesa del Paese e dell’Europa tutta.

 Gli autori del manifesto di Ventotene, conoscono queste dinamiche e, ottanta anni fa, al confino, scrivono dell’urgenza della scelta federale per l’Europa.

 Vedono le peggiori canaglie rifugiarsi nel patriottismo, come duecento anni prima scrive Samuel Johnson.

 Sanno che lo Stato nazionale ha esaurito la sua funzione di progresso.

È al servizio della reazione e produttore di guerra.

Rileggo un brano.

 

“Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti.

Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale creato per proprio conto, secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo.

L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso;

 ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori;

ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci;

 ha fatto estendere entro il territorio di ciascun nuovo Stato alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili.

 

Essa portava però in sé i germi dell’imperialismo capitalista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.

 La nazione non è ora più considerata come lo storico prodotto della convivenza di uomini che, pervenuti grazie a un lungo processo a una maggiore unità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana;

è invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possano risentirne.

La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo ‘spazio vitale’ territori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno”.

 

Lo dice pure a modo suo “Michele Serra” su l’Espresso.

Per ragioni di attualità prende le mosse dal “mito fondante della Grande Russia: le tribù, stanche di scannarsi tra loro, si unirono per scannare i popoli vicini”.

Quello che scrive a proposito del mito fondante, dello spazio vitale, dei riti e del sacro può però ripetersi per tutti gli stati, con i loro “esclusivi” miti, spazi, riti e sacro, a garanzia della sovranità.

 Lo spazio: “Come mai – si chiedono gli storici – anche quando hanno a disposizione uno spazio quasi infinito, pianure fertili, foreste, fiumi, laghi, i popoli amano sgozzarsi a vicenda, percorrendo migliaia di chilometri pur di farlo?”

Così si chiede e si risponde, con diverse ipotesi.

 Il rito: “Più antico è il rito più forte il suo potere sui contemporanei”.

Apprendiamo della maledizione dei tartari proferita dal pope Ludovico nel 1159, urlata così forte da uccidere il pope, beatificato la sera stessa.

È trasmessa da una staffetta di migliaia di volontari per giungere fino al lontanissimo re dei tartari.

Il sacro: “C’è sempre un segno divino che – autentico prodigio – trasforma un branco di omoni maneschi, e di donne ingravidate dagli omoni maneschi, in una Nazione…

Sono i segni che Dio benedice il tuo popolo e desidera la distruzione di tutti gli altri”.

È così che si mettono in moto i Putin, aggressori, assassini, incuranti del male che fanno anche al proprio popolo, eredi del proto zar “Akim Kagarovic”, dei “Kagarovic”, evocato da Serra.

 

Bisogna sbrigarsi, pensano e scrivono al confino i nostri padri e madri federalisti. Bisogna approfittare della distruzione delle istituzioni che la guerra certamente porterà in Europa.

Bisogna che tutte le energie si impegnino per la federazione europea.

Senza questo “I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti a profittare delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse.

 Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”.

 

Già sembra quasi tardi a Luigi Einaudi, nel 1954:

 “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile.

La necessità di unificare l’Europa è evidente.

Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza.

Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma.

Solo l’unione può farli durare.

 Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’esistere uniti e lo scomparire”.

 Sappiamo com’è andata.

Quanto faticoso, incerto, contradditorio sia il procedere verso la sola soluzione sensata di un’Europa federale, capace di costruire solidarietà al suo interno e di contribuire alla diffusione della stessa anche oltre i confini.

Non lo può “lo Stato nazionale, che con la sua sovranità indivisibile impedisce la formazione di vere autonomie regionali e locali, e con la sua sovranità esclusiva, dipendente dall’unificazione di nazione e Stato, impedisce la formazione di vere e proprie solidarietà politiche e sociali al di sopra degli Stati nazionali”.

Così scrive “Mario Albertini.

Indica pure il “federalismo come superamento della divisione del genere umano”.

Un passo fondamentale, ci ricorda, è “negare il fondamento della legittimità del dovere di uccidere, e togliere di mezzo l’oscurità della cultura nazionale, che ha impedito persino di riconoscere che non si possono attuare il liberalismo, la democrazia e il socialismo senza l’affermazione del diritto supremo di non uccidere”.

È bene ricordarcene ora.

È il federalismo che mi ha attratto in gioventù e che ancora mi convince.

 Lavorare per la sua realizzazione, a partire dall’Europa, è un modo concreto di operare per la pace.

Stati nazione e Stati giurisdizione.

L’Europa al bivio.

Questionegiustizia.it - Fabrizio Filice -giudice del tribunale di Milano – (9-12- 2024) – ci dice:

 

Nei Tempi moderni, quando il Dio medioevale si trasformò in Deus absconditus,

la religione cedette il posto alla cultura, che divenne la realizzazione

dei valori supremi attraverso i quali l’Europa si concepiva, si definiva, trovava un’identità.

Mi sembra che nel nostro secolo si delinei un altro mutamento,

non meno importante di quello che separa l’età medioevale dai Tempi moderni.

Così come Dio cedette un tempo il posto alla cultura, tocca oggi alla cultura cedere il suo.

Ma a che cosa e a chi?

In quale ambito si realizzeranno valori supremi capaci di unire l’Europa?

 

(Milan Kundera, Un Occidente prigioniero.)

 

 1. L’origine dei diritti fondamentali. Storia di un equivoco.

L’illuminismo giuridico sei-settecentesco, in cui confluiscono il paradigma illuminista e quello giusnaturalista, è solitamente rappresentato come la culla dei diritti universali, di cui si cominciò a parlare come di moral rights.

 Non si considera però adeguatamente come in quel contesto, nell’epoca coloniale, la logica dei rights si fosse imposta innanzitutto «per il nuovo ruolo strategico da essi svolto nella rappresentazione dell’ordine».

Nel senso che, se veniva da un lato teorizzata l’eguaglianza originaria di tutti gli uomini in un ipotetico stato di natura, dall’altro lato si attribuiva estrema importanza al modo in cui i popoli avevano poi diversamente sviluppato in concreto le attitudini derivanti da questa comune umanità originaria.

E anzi, proprio la differenza tra popoli evoluti e popoli involuti veniva assunta a fattore politico e utilizzata per legittimare il dominio coloniale dei popoli europei sulla base di una logica di esportazione della civiltà che ha dunque radici molto antiche.

 

Dal raffronto fra la condizione dei nativi americani con quella dei coloni europei, ad esempio, “John Locke” traeva la convinzione che i primi avessero pochissimo o per nulla sviluppato l’attitudine umana trasformatrice del lavoro, la praxis di cui in nuce erano dotati in quanto uomini, ciò è a dire proprio in forza di quella comune umanità originaria, e che, di riflesso, pochissimo si fossero emancipati da quello stato di natura ipotizzato dalla tradizione giusnaturalistica.

 

La conseguenza non poteva quindi essere che la giustificazione della supremazia politica degli europei, in quanto lo sviluppo umano era stato in essi così superiore da legittimare una esportazione forzata del loro modello sociale, produttivo ed economico, come motore di sviluppo dell’intera umanità:

«Noi siamo quindi diversi da loro; e la differenza corre lungo il crinale di un labour che in un caso si limita a soddisfare con beni deperibili i bisogni immediati, mentre nel secondo caso moltiplica esponenzialmente i beni rendendo produttiva la terra, alimentando il commercio, incrementando le ricchezze dell’umanità.

“È il lavoro  ̶  ripete insistentemente “Locke”  ̶ che crea in ogni cosa la differenza del valore”».

 

La direttrice originaria dei “rights” è quindi funzionale a sorreggere piuttosto che a scardinare un ordine gerarchico tra i popoli, fondato sulla logica della forza e dell’oppressione, seppure nella prospettiva di valorizzare il lavoro e la crescita globale.

Non è allora così incompressibile che le successive elaborazioni teoriche, che dai “rights” hanno preso l’abbrivio, non si siano mai tradotte in uno statuto politico-globale davvero egualitario.

 

Anzi, con il passaggio dall’epoca coloniale a quella della transizione postcoloniale, sino ad arrivare alla globalizzazione, le popolazioni che più hanno sviluppato il proprio “self in un labour” suscettibile di ampliare le possibilità di sfruttamento e di commercio delle risorse terrestri, hanno continuato a rivendicare una posizione di supremazia rispetto agli altri popoli nell’accesso e nello sfruttamento delle stesse risorse e, soprattutto, hanno continuato a esercitare questa supremazia, in forme diverse dalla colonizzazione (tipica degli imperi e non confacente alla forma moderna dello Stato nazione) ma non meno oppressive di questa, con conseguenze sempre più evidenti in termini di conflitti, genocidi, mutamenti climatici e flussi migratori.

 

La percezione diffusa, anche nel passaggio dai “moral rights” al discorso dei diritti umani, è che le disuguaglianze siano comunque tollerabili in un contesto globale che, pure, si autoafferma imperniato sulla tutela dei diritti, in quanto il sostrato non scritto alla fenomenologia dei diritti era e resta quello di un ordine gerarchico tra i popoli, che si proclama indispensabile allo sviluppo dell’umanità e, per questo, insostituibile.

Quanto questa tara fondazionale dei diritti morali abbia influenzato e continui a influenzare il discorso moderno dei diritti umani ‒ inaugurato nel secondo dopoguerra con la “Dichiarazione universale del 1948” e poi straordinariamente implementato nei successivi settant’anni sino a delineare l’attuale sistema delle fonti sovranazionali ‒ è una questione controversa.

 

Se da un lato è incontestabile che il sistema dei diritti umani della seconda metà del XX secolo rappresenti un fenomeno in larga parte inedito e strutturalmente autonomo, nondimeno esso si pone anche su una linea di continuità filosofico-culturale con la tradizione illuminista dei “rights”;

 e non può quindi non assorbirne, almeno in una certa misura, il retaggio etnocentrico, soprattutto in materia di razza, classe e genere, come è del resto inconfutabilmente rappresentato dal perdurare (anzi, dall’incrementarsi) dello iato tra enunciazione e realizzazione.

 

La stagione dei diritti, che nasce dal dramma della Seconda guerra mondiale e della “Shoah”, porta con sé una volontà di redenzione, di reinterpretazione del diritto in chiave di contrasto della forza e di protezione della vulnerabilità, del tutto inedita nella storia giuridica precedente e la cui capacità simbolica, tuttavia, è apparsa destinata a restare a lungo inespressa e a non poter vincere la sfida di trasformarsi realmente in un vettore di giustizia.

Questo principalmente a causa di una certa evanescenza della loro collocazione sul piano delle fonti del diritto.

In questa prospettiva, la questione dei diritti umani come questione singolare e non sovrapponibile a quella del diritto positivo tout court, riguarda non tanto l’apparente indissolubilità del legame tra diritto e forza quanto, piuttosto, la più profonda e radicata indissolubilità del legame tra diritto e ordine gerarchico tra i popoli.

Occorre allora provare a immaginare quale configurazione possano assumere i diritti umani nel momento in cui, invece, li si voglia realmente trasformare in strumenti giuridici che agiscono in senso contrario all’attuazione di questo ordine gerarchico e che hanno come focus la protezione delle tante aree di vulnerabilità che da questo derivano.

Si tratta di una configurazione interamente focalizzata su due aspetti: negazione e particolarismo delle situazioni concrete.

Nel senso che il valore normativo dell’enunciato (ad esempio: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata», articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) consiste nell’obbligo, per l’interprete chiamato ad applicarlo, di individuare la situazione, particolare e concreta, in cui questo diritto viene negato;

vite umane, bioi, la cui dignità è stata violata senza che nessuno la rispettasse né la tutelasse:

 quella è la base concreta del diritto umano alla dignità, la sua negazione sostanziale, non la sua enunciazione formale.

 

È da qui, dall’estrema concretezza della deprivazione umana, dalla sventura e dalla sofferenza, che si può ricostruire un processo di «universalizzazione del particolare» attraverso il quale prenda forma l’obbligo incondizionato di proteggere le persone vulnerabili e di riequilibrare, nella misura in cui ciò sia possibile, a seconda delle situazioni e dei contesti, lo sbilanciamento di potere che ne ha decretato la soggezione all’oppressione.

 

Un obbligo, e questo è il punto dirimente, al quale non può darsi attuazione che attraverso la via giurisdizionale, in virtù di quel contatto diretto tra i giudici e i popoli che manca ai legislatori e ai governanti, i quali, non a caso, si esprimono attraverso provvedimenti generali e astratti (tra i quali le leggi), mentre i giudici emettono provvedimenti (sentenze, ordinanze e decreti) concreti e individualizzati nei confronti dei singoli cittadini.

«Nelle democrazie costituzionali sono i diritti umani “costituzionalizzati” a porsi come guida e argine al potere delle maggioranze parlamentari (come briscole antimaggioritarie, per dirla con Dworkin), con un conseguente fenomeno: un rafforzamento del ruolo del giudiziario, assunto come custode ultimo del rispetto dei diritti fondamentali».

2. Filosofia e pratica dei diritti universali.

Il formante teorico dei diritti fondamentali non ammette visioni rigide e pregiudiziali del mondo e non ha quindi nulla a che fare con le ideologie dogmatiche del secolo scorso;

 ideologie in larga parte fondate sulla narrazione della forza e di soggetti collettivi e in dialettica l’uno contro l’altro;

mentre la tendenza di questo nuovo «attivismo dei diritti» è piuttosto quella di dare una veste giuridica alla debolezza e alla vulnerabilità intrinseca dell’essere umano.

Un diritto che rinuncia a ogni pretesa di assolutizzazione tanto nel momento della sua enunciazione  ̶ muovendo, si è detto, da una negazione di sé stesso  ̶ quanto nel momento della sua attuazione, là dove cerca esclusivamente di riparare, parzialmente e per quanto possibile, vite già irrimediabilmente segnate dal giogo della forza e dell’oppressione sociale.

 

L’atto di protezione, d’altra parte, non crea necessariamente un legame di addizione con lo Stato nazione, inteso come centro politico e decisionale, potendo anzi implicare per la nazione, a determinate condizione, addirittura una sottrazione di potestà decisionale o, come più spesso si dice, una riduzione di governance.

Se infatti la vulnerabilità di una popolazione, nella sua interezza o in una sua parte, consegue all’affermazione di politiche che hanno come effetto (voluto o meno) l’incrementarsi delle diseguaglianze, allora proteggere chi è vulnerabile può significare sottrarre potere a quelle stesse politiche “disegualitarie” che hanno trovato attuazione anche per via istituzionale; ecco perché, in questa prospettiva, l’atto di protezione della vulnerabilità può implicare una corrispondente riduzione della sovranità politica.

 

E non è un caso che ciò stia avvenendo proprio nel momento in cui i battenti delle sovranità nazionali sono stati allentati per dare corso alla parziale, tuttora incompleta e per molti aspetti ancora fallimentare – cessione di sovranità europea.

 

Nel contesto legislativo europeo hanno infatti trovato spazio istanze programmatiche sistematicamente ignorate dai legislatori nazionali per ragioni di convenienza elettorale, quali la tutela delle vittime dei reati, il contrasto alla violenza e alla discriminazione sessuale e di genere, il trattamento dei migranti e degli apolidi.

In questo spazio, lasciato parzialmente libero dal perimetro dalla sovranità nazionale, si sono inserite fonti europee vincolanti per gli stati membri dell’Unione, che hanno dato per la prima volta corpo anche ai diritti della popolazione più vulnerabile.

 

I regolamenti e le direttive europee in materia di diritto di asilo, insieme a quelle in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, in particolare delle vittime di violenza per motivi legati al genere o all’odio nei confronti di determinate categorie di persone, hanno tracciato un nuovo sistema proattivo di protezione dalla vittimizzazione sessuale, di genere, censitaria e migratoria, e hanno al contempo costruito un “ponte normativo” con la Convenzione europea dei diritti umani, con le convenzioni e le agenzie internazionali tematiche nate sotto l’egida delle Nazioni Unite (e.g., la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, CEDAW[8], adottata nel 1979; l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR) e del Consiglio d’Europa (e.g., la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica[9]) e, soprattutto, con le Costituzioni dei paesi europei.

 

L’interpretazione e l’applicazione di questo sistema di protezione multilivello dei diritti è affidata in prima battuta al ruolo di raccordo delle Corti costituzionali nazionali e delle Corti sovranazionali (la Corte europea dei diritti umani presso il Consiglio d’Europa, La Corte di Giustizia dell’Unione europea, la Corte internazionale di giustizia presso le Nazioni Unite e la Corte penale internazionale che, pur non essendo un organo delle Nazioni Unite, ha però legami strutturali con l’ONU).

In seconda battuta, sono le giurisdizioni nazionali a dare concreta attuazione al sistema di protezione multilivello quando, in presenza di questioni giuridiche che necessitano di un raccordo tra fonti nazionali e fonti sovranazionali, promuovono un dialogo tra le Corti dei Paesi europei e le Corti sovraordinate del sistema europeo, che può esitare in una soluzione normativa di compromesso tra sistema interno e sistema europeo, oppure, in alcuni casi, anche nella prevalenza incondizionata delle fonti sovranazionali su quelle nazionali, in attuazione di quella cessione di sovranità che ha dato vita al discorso europeo e che, per l’Italia, trova espressa regolamentazione nell’articolo 11 della Costituzione.

Questa inedita dimensione normativa multilivello viene definita spazio giuridico europeo ed è proprio in questo spazio che, allentati i lacci della sovranità nazionale, comincia a prendere vita un sistema giuridico integrato, in cui l’attuazione dei diritti non è più condizionata a un ordine gerarchico prestabilito né strumentale al suo mantenimento.

Lo spazio giuridico europeo, inserendosi nella cessione di sovranità statale, introduce nel nostro ordinamento una nuova tendenza giuridica di protezione della vulnerabilità che, per la prima volta nella storia del diritto, contiene la pretesa e forse anche la possibilità di mettere in discussione i rapporti di forza originari sui quali il discorso giuridico occidentale è stato costruito, e di invertire il flusso della forza cogente del diritto in chiave, almeno parzialmente, anti-oppressiva.

 

 3. Diritti umani e governance.

 

Questa possibilità inedita, che vede sostanzialmente realizzata la promessa di efficacia non solo simbolica dei diritti fondamentali, è però entrata in rotta di collisione, come del resto era prevedibile, con le ragioni della governance politica.

Mentre il congiunto operare di sistemi elettorali contraddittori, frutto di leggi non perfette alle quali si sono sovrapposte parziali abrogazioni della Corte costituzionale, e di una crescente tendenza all’astensionismo elettorale, ha aperto la strada a una apprezzabile erosione dei confini tra legislativo ed esecutivo, l’unico potere che, seguendo la tradizionale tripartizione, è escluso dalla governance è il giudiziario, il quale trova nello spazio giuridico europeo, come abbiamo visto, un inedito ruolo di universalizzazione e di attuazione dei diritti fondamentali.

 

Questo fa sì che gli ordini giudiziari dei Paesi europei, ove lo statuto di indipendenza della magistratura lo consente, cerchino di introdurre, negli spazi lasciati liberi dalle cessioni di sovranità, dei limiti alla governance degli Stati in materia di “Rule of Law”:

vale a dire a protezione dell’indipendenza delle magistrature europee e dei diritti umani, con una particolare attenzione alle aree di vulnerabilità legata al genere, alla proprietà e alla provenienza etnica, e quindi con un riferimento mirato ai settori delle politiche di genere, del lavoro e dello stato sociale, nonché del trattamento dei migranti e degli apolidi.

 

È stato detto in dottrina ‒ e questo ha irritato non poco gli ambienti della politica ‒ che lo spazio giuridico europeo assume, nel contesto attuale, quasi la funzione di un potere contro-maggioritario.

Gli argomenti sollevati dai detrattori dell’europeismo giuridico non sono però del tutto privi di fondamento, dovendosi obiettivamente constatare che l’allargamento delle maglie della sovranità nazionale, utilizzato dalle giurisdizioni europee per dare attuazione ai diritti fondamentali, anche in funzione di limite alla discrezionalità dei legislatori nell’ambito di politiche strategiche, come quella dell’immigrazione, viene di fatto a costituire uno scenario inedito, in cui gli orientamenti giurisprudenziali possono entrare nel merito delle politiche legislative, condizionandone persino i contenuti e l’effettiva praticabilità.

 

È quanto accaduto nel c.d. “caso Albania”, che è diventato il casus belli per uno scontro istituzionale tra politica e magistratura a seguito dei provvedimenti, emessi dal Tribunale di Roma il 18 ottobre 2024, di rigetto delle richieste di convalida dei trattenimenti disposti ai sensi del Protocollo Italia-Albania, fortemente voluto dal governo italiano.

 

Provvedimenti che non solo non avevano nulla di eccezionale per il giurista europeo, ma che erano addirittura obbligati a seguito della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4/10/2024, la quale, nell’interpretare le direttive in materia di accoglienza, in particolare la 2005/85/CE e la 2013/32/UE (entrambe dotate di efficacia diretta nell’ordinamento perché già recepite dallo Stato italiano con i decreti legislativi 28 gennaio 2008, n. 25, e 8 agosto 2015, n. 142), aveva stabilito chiaramente che lo Stato membro non gode di una discrezionalità politica illimitata nella designazione di un Paese come “Paese di origine sicuro”, al fine del rimpatrio immediato di una persona migrante con “procedura accelerata di frontiera”;

 e che in nessun caso possono essere designati come “sicuri” Paesi nei quali non siano rispettati i diritti e le libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e nei quali vi sia il pericolo di subire persecuzione, tortura o di altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, anche se solo in determinate parti del proprio territorio o nei confronti di determinate categorie di persone.

 

Talmente chiara, questa decisione, che non poteva essere ignorata perché evidenzia in tutta la sua potenza il manifestarsi dello spazio giuridico europeo come “law in action” nelle maglie allargate dalle cessioni di sovranità.

 

Il caso Albania ha mostrato chiaramente il delinearsi di un possibile conflitto tra una governance politica che si dichiara erede del legislativo (del quale rivendica la tradizionale supremazia sugli altri poteri), pur denotando aspetti sempre più marcati di un graduale sconfinamento nell’esecutivo (in primis l’uso ricorrente della decretazione d’urgenza), e un giudiziario che sta imparando a muoversi nello spazio giuridico europeo e che si sta dimostrando capace di adattare le tradizionali forme di primato del diritto comunitario ‒ soprattutto quella più forte, la disapplicazione del diritto interno ‒ alla supremazia dei diritti fondamentali; attingendo, attraverso il “ponte” di una normativa di interesse dell’Unione, al più ampio edificio teorico dei diritti universali, nel quale confluiscono la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della relativa Corte, veicolate attraverso la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ma anche i trattati di diritto internazionale e le fonti onusiane.

 

Quello che può lasciare effettivamente perplessi di fronte a questo scenario è l’apparente dicotomia tra strumenti di supremazia del diritto comunitario, in particolare la disapplicazione del diritto interno, che sono stati storicamente concepiti come “forti” in ragione della loro limitata applicazione agli interessi economici della Comunità europea, e il loro utilizzo nel settore, assai più ampio ed eterogeneo oltre che politicamente sensibile, dei diritti umani.

 

Si spiega quindi la resistenza della politica di fronte a questa evoluzione del discorso dei diritti e del conseguente ruolo di attuazione assunto dalle giurisdizioni europee; una resistenza che si evidenzia non solo nel delinearsi, con il caso Albania, quasi di un aperto scontro istituzionale, ma anche con il contemporaneo rifiuto politico di proseguire sulla strada delle progressive cessioni di sovranità.

 

Un recente esempio di questo rifiuto sta nella mancata adozione, nel 2023, del c.d. “Codice dei crimini internazionali”, ossia della normativa di attuazione degli obblighi assunti dallo Stato italiano con lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale: normativa che era stata elaborata (con un notevole ritardo italiano sul punto) dalla Commissione Pocar Palazzo nel maggio 2022.

Diversi i punti su cui il governo corrente ha imposto una netta retromarcia, il primo dei quali consiste, non casualmente, nella decisione di stralciare dalla bozza l’intero settore dei crimini contro l’umanità e il crimine di genocidio, oltre a reintrodurre limiti alla giurisdizione ordinaria nell’ambito del riparto con la giurisdizione militare.

L’impatto di questa scelta sullo scenario internazionale è diventato evidente anche alla pubblica opinione dopo l’emissione, da parte della Corte penale internazionale, dei mandati d’arresto a carico di Vladimir Putin, il 17 marzo 2023, e, più recentemente, a carico di Benyamin Netanyahu, il 21 novembre 2024.

 

L’irritazione manifestata da molte Cancellerie europee per i provvedimenti della Corte penale internazionale riflette, in fondo, la stessa indisponibilità a consentire alla giurisdizione di emettere decisioni vincolanti a conflitti ancora in corso, così sovrapponendosi alle valutazioni strategiche delle guide politiche degli Stati, le quali hanno reagito cercando di neutralizzare il carattere vincolante di quelle decisioni. In Italia, ad esempio, i mandati d’arresto della Corte penale non sarebbero, oggi, facilmente eseguibili, proprio a causa della mancanza di una normativa sostanziale e processuale di attuazione dello Statuto di Roma, che disciplini specificamente l’arresto su mandato della Corte e la procedura di consegna con le relative garanzie.

Il punto di rottura è sempre lo stesso: la Corte penale internazionale è infatti nata per garantire una giurisdizione universale, permanente e indipendente dagli Stati sui crimini di guerra, contro umanità e contro la pace, a tutela delle vittime civili dei conflitti e in particolare delle vittime vulnerabili.

 

 4. Storie e formule che ritornano.

 

Il carattere inevitabilmente allargato e politicamente sensibile dei diritti universali come fonte del diritto non è, però, una novità nella storia giuridica europea;

 anzi, è connaturato alla stessa ragione storica della loro introduzione, la quale ha preso le mosse da quello che è stato sempre il principale interrogativo dei giuristi da quando il diritto ha preso coscienza di sé stesso:

 il diritto può essere solo uno strumento in mano al potere dominante o può avere una sua autonomia dai rapporti di forza, tanto da potersi definire “diritto”, e non semplicemente “legge”, proprio in contrapposizione alla mera forza politica espressa dalla maggioranza;

e da non potersi invece definire “diritto”, ma appunto solo “legge”, quando tale contrapposizione, come avviene nei regimi autoritari, manchi del tutto?

 

L’idea di individuare il punto di arresto del carattere giuridico di una norma validamente coniata, se non addirittura di un complesso o di un sistema intero di norme, in quanto ingiusti e non rispondenti a un ordinamento superiore, ha caratterizzato, invero, uno dei momenti più elevati dell’elaborazione giurisprudenziale in Europa, quello della punizione dei crimini di stato nella Germania post-nazista e post-comunista.

 La teoria (meglio conosciuta come Formula) del giurista tedesco” Gustav Radbruch” ha rinvenuto e cristallizzato questo criterio nel concetto di intollerabilità:

«Il conflitto tra giustizia e certezza del diritto dovrebbe potersi risolvere nel senso che il diritto positivo, garantito da statuto e potere, ha la preminenza anche quando è, nel suo contenuto, ingiusto e inadeguato, a meno che il conflitto tra la legge positiva e la giustizia raggiunga una misura così intollerabile (o un tale grado di intollerabilità) da far sì che la legge, quale "diritto ingiusto" debba cedere alla giustizia.

 

È impossibile tracciare una più netta demarcazione tra casi di torto legale e leggi tuttavia valide malgrado il loro contenuto ingiusto;

vi è però un’altra linea di demarcazione che deve essere tracciata con la massima decisione:

 dove non vi è neppure aspirazione alla giustizia, dove nel porre diritto positivo venne di proposito negata l’eguaglianza, che costituisce il nucleo della giustizia, là la legge non è soltanto «diritto ingiusto», ma piuttosto sfugge del tutto alla natura di diritto.

E infatti il diritto, anche il diritto positivo, non può essere altrimenti definito che come un ordinamento e una posizione di norme che in relazione al proprio stesso significato è destinato a servire la giustizia».

 

Del criterio della intollerabilità come fattore invalidante della norma, che regredisce da diritto a “non diritto”, è stato fatto ampio uso nella giurisprudenza tedesca prima di tutto nella punizione dei crimini commessi durante il regime nazista, in riferimento al quale la Formula era nata.

 E poi, nell’ultimo decennio del ventesimo secolo, anche in materia di crimini di stato commessi sotto il regime comunista della Germania orientale (1949-1989), in particolare gli omicidi commessi al Muro di Berlino per impedire la fuga di chi intendeva sottrarsi al regime.

La ragione della fortuna della Formula è evidente: in entrambi i casi ci si trovava davanti a crimini brutali e ad atti terroristici commessi sotto la vigenza di regimi autoritari che offrivano a tali crimini una copertura legale formalmente valida, mentre la normativa post-dittatoriale in base alla quale tali crimini venivano processati e puniti era entrata in vigore successivamente.

Stando quindi al principio di legalità nella sua rigida applicazione post e neoilluminista, quei crimini non avrebbero potuto essere giustiziati in base a una legge entrata in vigore successivamente al loro compimento, vieppiù che la legge in vigore in quel momento li ammetteva come rispondenti all’interesse del regime al potere.

 

La Formula ha offerto ai giuristi tedeschi la possibilità teorica di far prevalere sulle leggi di regime l’ordinamento dei diritti, non tanto perché successivo, ma perché ontologicamente sopraelevato e quindi già immanente, anche se non scritto, al momento della commissione dei crimini, a segnare l’intollerabilità di quella legge, formalmente valida, sulla base della quale quei crimini erano stati commessi.

Il punto di svolta di questa teoria non è tanto il suo momento negativo, quello, vale a dire, dell’affermazione d’intollerabilità e dunque di invalidità della legge vigente ratione temporis (per questo si sarebbe trovato comunque un metodo di disapplicazione delle leggi di regime), quanto invece il suo momento positivo: quello dell’affermazione di un diritto sovra elevato o sovra positivo che sostituisce la normazione esistente degradandola a “non diritto” e contestualmente si impone come unico diritto valido ancorché non posto da alcuna fonte legale o analoga.

 

Questo è stato il punto di svolta della “WFormula di Radbruch” e ne ha segnato la straordinaria fortuna che è andata ben oltre la giurisprudenza tedesca e l’ha portata a essere recepita, almeno in parte, dalla Convenzione europea dei diritti umani (l’articolo 7, dopo avere statuito, al § 1, il principio del “nulla poena sine lege”, chiarisce, al § 2, che «Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, era un crimine secondo i principi generale di diritto riconosciuti dalle nazioni civili e anche ad affermarsi come canone ermeneutico nella giurisdizione sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella ex Jugoslavia».

 

 5. L’Europa di nuovo al bivio.

L’accentuarsi anziché il ridursi dello iato tra l’enunciazione formale dei diritti e la loro sistematica disapplicazione ripropone, “mutatis mutandis”, la questione del diritto intollerabilmente ingiusto anche nel contesto democratico-liberale europeo dei nostri giorni.

 

Lo spazio giuridico europeo come strumento di attuazione dei diritti universali costituisce, oltre che una possibilità storica, per l’Europa, di riconquistare uno “status di primauté “nell’attuazione dei diritti, anche un criterio di ridefinizione, o meglio un “riassetto costituzionale”, del ruolo della giurisdizione nazionale, intesa anche come giurisdizione comune europea, nella quale il tratto della assoluta indipendenza dal potere politico si unisce, per la prima volta, alla vocazione incondizionata a proteggere.

 

Stati giurisdizione, potremmo forse dire, indipendenti dagli Stati nazione e chiamati ad alterare la linea della forza, invertendone il flusso e spiegandola a proteggere invece che a opprimere.

 

È un nuovo modello culturale quello che sta bussando alle porte della storia e che incontra una prevedibilissima resistenza da parte di un potere politico che intende difendere strenuamente i confini della propria sovranità nazionale, soprattutto in un periodo storico nel quale, come in tutti quelli caratterizzati dal riemergere delle guerre e dei conflitti internazionali, tale sovranità si vorrebbe tendenzialmente illimitata e indiscussa.

 

La comunità dei giuristi, ma anche la società civile e la cittadinanza, dovrebbero essere davvero consapevoli dell’importanza della partita che si sta giocando in Occidente, la quale va molto al di là dello scontro rappresentato dai media tra governo e magistratura, e vieppiù tra singoli partiti e singole associazioni di magistrati o addirittura singoli giudici.

 

La posta in gioco riguarda l’alternativa tra l’evoluzione del sistema giuridico europeo verso uno stadio più avanzato di democrazia, in cui la forza cogente del diritto è attribuita, in senso inversamente proporzionale a quella oppressiva, anche ai diritti fondamentali; e un modello regressivo di sostanziale ritorno al nazionalismo illimitato, come se quel “Mai più!” non fosse mai stato pronunciato sul serio.

Una partita ancora più importante per la stessa essenza degli Stati d’Europa, ora che gli Stati Uniti d’America sembrano invece avere scelto di avviarsi per questa seconda strada e che l’Europa, confusa e nuovamente ferita dalla guerra, si interroga, come ci suggerisce la citazione di apertura, su quali saranno, nel prossimo futuro, i valori supremi capaci di unirci in un popolo europeo.

 

 

 

 

Differenza tra Stato e Nazione:

quali sono?

 Avvocatoticozzi.it – Marco Ticozzi -avvocato – (13 aprile 2023) – ci dice:

 

Differenza tra Stato e Nazione: quali sono?

In molti contesti, i termini "Stato" e "Nazione" vengono usati in modo intercambiabile, creando confusione tra i due concetti.

 Tuttavia, è importante precisare che hanno significati non sovrapponibili e, quindi, delle differenze.

 In questo articolo, esploreremo le differenze tra Stato e Nazione, analizzando le loro definizioni e caratteristiche, nonché esempi concreti.

 Ma in cosa consiste questa differenza?

 

Differenza tra Stato e Nazione.

Differenza tra Stato e Nazione: quali sono?

Differenza tra Stato e Nazione: definizione del primo.

 

Uno Stato è un'organizzazione politica sovrana che governa un territorio definito e una popolazione stabile.

Gli Stati sono riconosciuti a livello internazionale e hanno la capacità di entrare in relazioni diplomatiche con altri Stati e in questo vi è una differenza rispetto alla Nazione.

Gli Stati possono assumere diverse forme di governo, come repubbliche, monarchie, federazioni o dittature e anche in questo vi è una differenza rispetto alla Nazione.

 

Ci sono quattro elementi principali che costituiscono e caratterizzano uno Stato:

 

a) Territorio: gli Stati, a differenza dalla Nazione, deve avere un territorio fisso e riconosciuto, che può includere terra, acque interne e spazio aereo. I confini di uno Stato possono essere definiti da trattati internazionali, convenzioni storiche o linee naturali come fiumi e montagne.

b) Popolazione: Uno Stato deve avere una popolazione stabile e permanente. La popolazione di uno Stato può essere eterogenea in termini di etnia, cultura, religione e lingua, ma è unita sotto il governo dello Stato.

c) Governo: gli Stati, a differenza dalla Nazione, deve avere un governo funzionante, responsabile dell'amministrazione e del controllo del territorio e della popolazione. Il governo può assumere diverse forme e strutture, ma deve essere in grado di esercitare autorità effettiva.

d) Sovranità: Uno Stato, a differenza da una Nazione, deve avere sovranità, che è l'autorità suprema di prendere decisioni indipendenti sul proprio territorio e nei confronti della propria popolazione. La sovranità implica anche il riconoscimento da parte degli altri Stati e la capacità di entrare in relazioni diplomatiche e commerciali con essi.

Verificheremo, dopo aver esaminato le caratteristiche di una Nazione, quali di queste caratteristiche abbiano una differenza nelle due ipotesi.

 

Caratteristiche distintive dello Stato.

Le caratteristiche che distinguono uno Stato da altre entità politiche e sociali essendovi quindi anche per questo una differenza rispetto alla Nazione) includono:

 

a) Monopolio della forza: Lo Stato detiene il monopolio legittimo della forza sul proprio territorio, il che significa che è l'unica entità autorizzata a imporre l'ordine e a utilizzare la forza per far rispettare le leggi e proteggere i suoi cittadini.

b) Legittimità: Gli Stati godono di legittimità agli occhi della sua popolazione e della comunità internazionale. La legittimità si basa sul consenso della popolazione e sul riconoscimento internazionale, che consentono allo Stato di esercitare autorità e mantenere l'ordine.

c) Funzioni di governo: gli Stati forniscono una serie di servizi e funzioni per il suo popolo, come la difesa, l'amministrazione

Definizione di Nazione e differenza dallo Stato.

Il concetto di Nazione riveste un ruolo significativo nella comprensione delle identità collettive e delle dinamiche politiche e sociali che ne derivano.

Sebbene a volte confuso con lo Stato, una Nazione ha caratteristiche distintive che la differenziano dalle altre entità politiche.

 

Una Nazione è un gruppo di persone che condividono un'identità comune, spesso basata su fattori culturali, storici, linguistici o etnici.

 A differenza degli Stati, le Nazioni non sono necessariamente entità politiche o amministrative e possono esistere all'interno o oltre i confini di uno o più Stati.

Le Nazioni possono essere unite da una comune aspirazione all'autodeterminazione, anche se non tutte le Nazioni cercano la creazione di uno Stato indipendente.

 

Ci sono diversi elementi che caratterizzano una Nazione, tra cui:

 

a) Identità condivisa: Le Nazioni sono fondate su un'identità collettiva, a differenza dall’ipotesi che precede, che può essere basata su fattori culturali, storici, linguistici o etnici. Questa identità comune può manifestarsi attraverso simboli, miti, tradizioni e valori che uniscono le persone e le differenziano da altri gruppi.

b) Territorio: Anche se le Nazioni non hanno necessariamente un territorio politicamente definito, possono essere associate a una specifica area geografica o storica. Questo territorio può essere visto come la patria della Nazione e può svolgere un ruolo centrale nella sua identità e nella sua aspirazione all'autodeterminazione.

c) Storia comune: Le Nazioni sono spesso unite da una storia condivisa che può includere eventi storici, lotte, trionfi e tragedie. Questa storia comune contribuisce a forgiare un senso di appartenenza e un'identità nazionale distintiva.

d) Lingua e cultura: La lingua e la cultura sono elementi centrali dell'identità nazionale. Le Nazioni possono condividere una lingua comune o dialetti specifici che rafforzano il senso di appartenenza e differenziano il gruppo da altri. Allo stesso modo, le tradizioni culturali, le pratiche religiose e le espressioni artistiche possono contribuire a definire una Nazione e a unire le persone che ne fanno parte.

e) Aspirazione all'autodeterminazione: Molte Nazioni condividono un desiderio di autodeterminazione, che può manifestarsi attraverso rivendicazioni di autonomia, indipendenza o integrazione in uno Stato esistente. Tuttavia, non tutte le Nazioni perseguono attivamente la creazione di uno Stato indipendente, e alcune possono cercare soluzioni alternative per preservare e proteggere la loro identità.

Differenza tra Stato e Nazione: quali sono?

Una differenza tra le principali che coinvolgono Stato e Nazione riguarda l'identità, il territorio e la struttura politica. Mentre gli Stati sono organizzazioni politiche con un governo, un territorio e una popolazione, le Nazioni sono gruppi di persone legate da un'identità condivisa. Le Nazioni possono esistere senza uno Stato e viceversa.

Le differenze tra Stato e Nazione possono essere schematicamente presentate come segue:

 

Stato:

1) Entità politica e amministrativa

2) Ha un governo e una struttura istituzionale

3) Territorio definito e riconosciuto

4) Popolazione stabile e permanente

5) Sovranità: autorità suprema sul proprio territorio e popolazione

6) Riconoscimento internazionale

7) Funzioni di governo (ad es. difesa, giustizia, istruzione, sanità)

 

Nazione:

1) Entità sociale e culturale

2) Identità condivisa (culturale, storica, linguistica, etnica)

3) Territorio non necessariamente politicamente definito

4) Gruppo di persone unite da legami comuni

5) Non necessariamente sovrana o riconosciuta internazionalmente

6) Storia, lingua e cultura comuni

7) Aspirazione all'autodeterminazione (autonomia, indipendenza, integrazione)

 

In sintesi, lo Stato è un'entità politica con un governo, un territorio e una popolazione, mentre una Nazione è un gruppo di persone unite da un'identità condivisa, indipendentemente dai confini politici.

Le Nazioni possono esistere all'interno o al di fuori degli Stati e possono o non avere aspirazioni all'autodeterminazione.

 

Esempi di tali entità.

Cerchiamo di fare qualche esempio di Stato e Nazione per mettere in luce la differenza tra i due.

 

Gli Stati Uniti, la Russia, la Germania e il Brasile sono esempi di Stati.

Ognuno di questi paesi ha un governo centrale, un territorio riconosciuto e una popolazione.

Tuttavia, all'interno di questi Stati possono esistere diverse Nazioni.

 

I curdi, i baschi, i catalani e i navajo sono esempi di Nazioni. Ognuno di questi gruppi ha una cultura, una lingua e una storia condivise. Tuttavia, non hanno necessariamente uno Stato proprio, ma vivono all'interno di uno o più Stati.

 

Differenza tra Stato e Nazione: Conclusione.

Comprendere la differenza tra Stato e Nazione è fondamentale per analizzare e interpretare le dinamiche politiche e sociali sia a livello nazionale che internazionale.

Mentre gli Stati rappresentano entità politiche sovrane con un governo, un territorio e una popolazione, le Nazioni sono gruppi di persone unite da un'identità comune basata su fattori storici, culturali, linguistici o etnici.

Le Nazioni possono esistere all'interno o al di fuori degli Stati e le loro aspirazioni all'autodeterminazione possono variare notevolmente.

 

La consapevolezza della differenza esistente tra Stato e Nazione ci permette di affrontare in modo più efficace le sfide che emergono dalle diverse identità e aspirazioni politiche nel mondo contemporaneo.

Per costruire un futuro di cooperazione e convivenza pacifica, è essenziale riconoscere e rispettare le molteplici espressioni di identità e sovranità che caratterizzano il nostro mondo interconnesso e interdipendente.

 

 

 

 

L'ultima fase dell'Impero:

un governo dei ricchi per i ricchi.

Lantidiplomatico.it – (17 Aprile 2025) – Alessandra Ciattini - Futura Società – ci dice:

La questione delle tariffe trumpiane costituisce l’argomento del giorno per i suoi risvolti sulle relazioni internazionali e sul nostro futuro.

 I loro fautori appaiono arroganti ma incerti e invece di risollevare l’economia Usa finiranno con l’affossarla.

Noi ce lo auguriamo.

 

Tra le ultime notizie di oggi (9/4) apprendiamo che, usando bastone e carota, il capo circo Donald Trump ha ridotto al 10% per 90 giorni le nuove aliquote tariffarie sulle importazioni alla maggior parte dei partner commerciali degli Stati Uniti, annunciate “il Giorno della liberazione”, per avviare negoziati commerciali con quelli che li hanno chiesti, circa 75 Paesi.

Al contempo, ha annunciato dazi contro la Cina al 145% per la “sua mancanza di rispetto verso i mercati”.

 

Un’ulteriore manifestazione di debolezza e di confusione mentale (per essere moderati).

 Ma la Cina non sembra piegarsi e ha aumentato i dazi sui prodotti Usa al 145% oltre a proibire l’esportazione di alcune materie critiche;

inoltre, il ministero del Commercio cinese ha presentato un ricorso all’Omc, in cui si sostiene che i dazi violano le norme sul commercio internazionale, affermando inoltre che il grande Paese asiatico difenderà i suoi diritti legittimi e l’ordine economico internazionale.

Non bisogna dimenticare che la Cina, dopo il Giappone, è la seconda detentrice del debito Usa, circa 800 miliardi di cui sembra si stia disfacendo insieme ad altri detentori, e ciò ha portato al preoccupante aumento del tasso di interesse sui bond.

Come al solito si parla di Trump senza cercare di capire cosa c’è dietro e magari anche occultando la dominanza degli interessi privati suoi e dei suoi soci nella sua stramba strategia politica, ben illustrati da “Fosco Giannini”: (futurasocieta.com/2025/04/07/criptomoneta-nuovo-potere-usa-e-lotta-interimperialista-sul-terreno-virtuale/).

 

Anche i media alternativi insistono nella personalizzazione della politica, figlia del cosiddetto “star system” che ci deriva dalla nota società dello spettacolo, che ha raggiunto livelli di volgarità e grossolanità mai visti finora.

Sarebbe il caso di smetterla col chiamare sempre in causa il grottesco Donald Trump, i cui comportamenti ricattatori somigliano a quelli di un gangster che ti intima improvvisamente “o la borsa o la vita”.

Sappiamo bene che, soprattutto in questa fase, i politici sono solo la facciata di quello che sta dietro le quinte, da cui ogni tanto trapela qualche cosa, e che sono impiegati per indirizzare su di loro la colpa delle disastrose politiche antipopolari decise in altro luogo, certo con la loro piena connivenza e per favorire i loro stessi interessi.

 E, aggiungo, molti di loro non sono neppure eletti e, pertanto, hanno nelle mani un potere che va al di là di quanto prevede la cosiddetta democrazia borghese, o meglio – come soleva dirsi – volgare.

Basti pensare alla Commissione europea, organo esecutivo della fatidica Unione, composta da 27 membri scelti dai governi dei rispettivi Paesi, messa in opera dalle associazioni padronali nazionali o internazionali o dalle più svariate lobby, dai qatarioti ai sionisti.

 

A mio parere non ha nemmeno senso sostenere che la particolarità di Trump deriva dal fatto che è un uomo d’affari senza principi, quando un principio lo possiede bello e chiaro:

 massimizzare il profitto con qualsiasi forma di concorrenza spietata o, quando ciò non è possibile, ricorrendo al protezionismo e a quella che “David Harvey” ha definito “accumulazione per espoliazione,” appropriandosi di quei beni (Groenlandia, i nostri risparmi, etc.), con la scusa che sono indispensabili alla sicurezza del suo Paese depredatore nei secoli.

 Principio intimamente connaturato al sistema capitalista che, oggi, non ci si vergogna più di ostentare apertamente, evitando il pietoso velo delle chiacchiere sulla libertà, sui diritti umani, etc.

 

Andiamo a vedere come è composta la squadra di Trump cui è affidata l’economia, che dovrebbe realizzare il programma elettorale del presidente:

abbassare l’inflazione, imporre tariffe (la parola più bella del vocabolario trumpiano) aggiuntive ai Paesi nemici o “alleati”, aumentare la produzione di combustibili fossili e incentivare tagli fiscali per i ricchi, cui ha aggiunto per demagogia il taglio delle tasse sulle mance ricevute dai lavoratori più poveri.

Della squadra fanno parte i miliardari “Scott Bessent”, investitore e gestore di “hedge fund”, a capo del Dipartimento del Tesoro, il quale è apertamente gay, sposato, con due figli ottenuti con la maternità surrogata, in forte contraddizione con l’ideologia repubblicana.

Ci sono, poi, il miliardario” Howard Lutnick”, “Ceo della società di servizi finanziari Cantor Fitzgerald”, che funge da segretario al Commercio, il dirigente petrolifero “Chris Wright” per realizzare il programma tariffario, appena lanciato, e l’applicazione della deregolamentazione;

questi è “Ceo di Liberty Energy”, negazionista del cambio climatico e donatore della campagna elettorale.

Poi, è stato nominato capo del “Trade Representative Jamieson Lee Greer” che ha partecipato ai negoziati commerciali con Cina, Canada e Messico durante il primo mandato di Trump.

 

Il “National Economic Council” è diretto dall’economista “Kevin Hassett”, forte sostenitore dei tagli alle imposte sulle società.

“Russell Vought” è stato scelto, invece, per l’”Office of Management and Budget”, con lo scopo di rivedere le normative federali e semplificare le procedure.

È anche una figura chiave del “Progetto 2025”, elaborato dalla “Heritage Foundation di estrema destra”, che sta alla base del programma di Trump.

A questi si aggiunge” Stephan Miren”, principale ideatore e sostenitore delle politiche tariffarie su cui ha scritto un report che funge da guida alle azioni della nuova amministrazione.

 Non è chiaro se la nuova politica economica Usa intenda fortificare o indebolire il dollaro, giacché il suo rafforzamento ne manterrebbe il ruolo privilegiato, mentre l’indebolimento favorirebbe le esportazioni Usa verso gli altri Paesi.

 

Secondo il già citato “Miren” la politica tariffaria avrebbe l’obiettivo di indebolire l’economia degli altri Paesi, obbligandoli a comprare merci Usa o a investire nella potenza ormai deindustrializzata, promuovendo così la produzione nazionale e la massa delle esportazioni, ridottesi negli ultimi anni, tanto che oggi gli Usa sono solo il terzo Paese esportatore e le esportazioni costituiscono solo il 10% del loro Pil.

Con questi obiettivi le nuove tariffe (verso 180 Paesi), che dovrebbero fruttare, secondo il solito Trump, due miliardi al giorno e 700 l’anno, costituiscono un vero e proprio strumento di ricatto per costringere amici e nemici ad accettare nuovi accordi.

In particolare, in previsione della scadenza semestrale degli interessi sul debito occorre trovare 9 miliardi di dollari.

 E Trump considera realistico che “Xi Jiping” gli faccia una telefonata, quando questi ha dichiarato:

“L’economia cinese non è uno stagno, ma un oceano e può resistere anche ai venti contrari”, con una bella metafora in stile cinese.

 

Comunque, l’aspetto fondamentale della faccenda, da qualunque prospettiva la si voglia guardare, è che il governo Trump è un governo dei ricchi per i ricchi o, se si vuole, che dà il potere a chi già lo detiene, anche se nella sua strategia si osservano molte contraddizioni che potrebbero ostacolare il raggiungimento dell’America First tanto desiderato dai suoi affezionati;

 contraddizioni che stanno venendo alla luce.

Si veda, per esempio il recente scontro tra il grande Elon Musk e il consigliere commerciale di Trump sulle amate-odiate tariffe, Peter Navarro.

 

Chiedendo l’abolizione delle tariffe, il primo ha definito il secondo “un’idiota”, mentre quest’ultimo ha chiamato Musk “assemblatore di auto”, accusandolo di mettere insieme pezzi prodotti all’estero, dimenticandosi che è stata la cosiddetta globalizzazione a generare le catene del valore, che ora sembrano ritorcersi sul potere complessivo degli Usa.

 

In effetti, se vogliamo fare un’analisi obiettiva, a partire dalla fine degli anni ’60 si è rotto il patto keynesiano nei Paesi a capitalismo avanzato (detti scorrettamente Occidente), il tasso di profitto ha cominciato a decrescere e la soluzione, scelta proprio da quelli che l’hanno voluta e praticata, è stata il trasferimento delle attività produttive nei Paesi in cui il costo della manodopera era meno caro, la sindacalizzazione meno diffusa se non proibita, cui occorre aggiungere l’introduzione in patria di una flessibilità lavorativa sempre più spinta. Insomma, si è dato nuovo impulso al profitto abbassando i costi del lavoro e, al contempo, distruggendo l’infrastruttura industriale, alimentando la rendita finanziaria e le economie emergenti, in primis la Cina, ora vista come il peggior nemico.

 Se ne è accorto persino «Il Fatto quotidiano», rappresentante dell’opposizione compatibile.

 

I grandi giornali ci fanno sapere che le borse sono in calo ovunque, in parte poi si sono riprese, si è verificata la diminuzione del prezzo del petrolio, vanno male le corporazioni che dipendono dall’estero (come Apple, Nike), si parla di recessione e alcuni esponenti del mondo economico esprimono forti critiche alla politica tariffaria.

La signora Ursula ha proposto negoziati, di cui si farà messaggera la Meloni presso colui che alcuni chiamano “l’agente arancio”.

 

Nel frattempo, la Cina si è incontrata con il Giappone e la Corea del Sud per far fronte alla valanga di tariffe e avviare probabilmente un accordo di scambio trilaterale.

 Molti prospettano l’aumento del ruolo economico della Cina in Asia e in altre regioni del mondo per la sua politica non aggressiva e in funzione anti-Usa, mentre altri prospettano la creazione di aree regionali di libero commercio sempre più indipendenti dagli Usa.

Questo stesso processo potrebbe realizzarsi anche in America Latina dove gli investimenti cinesi si stanno notevolmente espandendo.

Espansione che preoccupa molti apologeti dell’imperialismo “libertario” degli Usa che dal suo sorgere ha fatto molto di peggio per ampliare a dismisura il suo spazio da esso ritenuto vitale.

 

Hilary Clinton ha definito stupido il potere di Trump, ma lui scommette che presto la borsa avrà un boom e che dopo la sofferenza indispensabile tornerà la prosperità, non cogliendo o negando i gravissimi problemi del suo Paese.

E non parliamo della vergognosa deportazione degli incolpevoli immigrati, indispensabili al sistema economico Usa, i quali sono costretti a tornare in Paesi che non hanno un lavoro in cui impiegarli, a causa del sottosviluppo provocato dal vecchio e dal nuovo colonialismo.

 

Se, infine, saranno varati, i dazi provocheranno la crescita dell’inflazione e il conseguente aumento dei prezzi dei beni di consumo, in gran parte forniti dalle industrie cinesi attraverso “Walmart”, i cui bassi costi hanno consentito alle famiglie dei lavoratori di sopravvivere finora.

Inoltre, l’ipotetico trasferimento delle fabbriche costituisce un processo costoso e di lunga durata, che rimette in discussione la cosiddetta globalizzazione basata sulle citate catene di valore.

 

E “last but not least,” per produrre profitti occorrerà abbassare i salari dei lavoratori statunitensi al livello di quelli messicani, colombiani, peruviani etc., ostacolando qualsiasi tentativo di sindacalizzazione, come già è avvenuto in Stati come Georgia, Tennessee e Kentucky, dove i lavoratori del settore auto hanno meno diritti e ricevono un salario più basso rispetto a quelli attivi in altri Stati.

 

 

Infine, l’introduzione delle tariffe condurrà a un aumento dei prezzi, a una diminuzione della domanda, cui seguirà un forte calo delle importazioni e, quindi, al conseguente calo del gettito fiscale, mentre i Paesi esportatori, come hanno fatto Russia e Cina e sta facendo anche il Canada, troveranno sbocchi commerciali alternativi.

 

C’è da chiedersi: nella congrega su descritta di miliardari, per lo più vecchiotti, sedicenti esperti di economia e di speculazione finanziaria, c’è qualcuno in grado di ragionare?

Purtroppo la risposta è negativa perché ogni loro ragionamento è permeato profondamente dalla prospettiva elogiativa del capitalismo e, pertanto, restano ciechi di fronte alla gravissima crisi strutturale del sistema, che essi stessi finiranno con l’affossare.

Almeno si spera.

 

 

 

 

Il rifiuto dei sacramenti di Bergoglio

e il conclave: è la fine della falsa

chiesa profetizzata da padre Pio?

Lacrunadellago.net – (23/04/2025) - Cesare Sacchetti – ci dice:

Alla fine l’annuncio è giunto nella maniera più inaspettata e più sorprendente, una di quelle che fa veramente pensare all’intervento della Divina Provvidenza.

Dopo mesi di incertezze e di ambiguità, e dopo un lungo periodo ospedaliero nel quale Santa Marta non aveva mostrato nemmeno una immagine di Bergoglio, il giorno del Lunedì dell’Angelo, viene dato l’annuncio della morte di papa Francesco.

Secondo il bollettino del Vaticano, il pontefice sarebbe morto alle 7:35 del mattino in seguito ad un ictus, ad uno stato di coma e infine ad un collasso cardiaco, e quando il cardinale camerlengo, l’irlandese “Farrell”, fa il suo annuncio con voce greve, già emerge una prima contraddizione.

Nel comunicato del cardinale decano, “Giovanni Battista Re”, dove viene convocato il collegio cardinalizio la mattina successiva alla morte, viene scritto che Francesco sarebbe morto invece alle 7:45, una discrepanza che non è stata ovviamente nemmeno evidenziata dai media, i quali in queste ore si stanno esibendo in un diluvio di celebrazioni del loro pontefice preferito.

Il cardinale Parolin appare vicino alla salma di Bergoglio.

Non stanno ovviamente raccontando il fatto forse che da solo demolisce in un colpo solo l’immagine del papa “degli ultimi” che i media stanno cercando di cucire addosso a Bergoglio.

 

Secondo fonti vaticane, nelle ultime ore della sua vita terrena, Francesco sarebbe persino arrivato a rifiutare i sacramenti arrivando anche a negare l’accesso nella sua stanza al penitenziere maggiore.

Un rifiuto che sarebbe stato opposto da parte di Francesco anche durante il ricovero ospedaliero presso il policlinico Gemelli, quando il papa versava già in gravi condizioni di salute.

Tanto era l’odio contro Dio che albergava nel cuore di quest’uomo, da arrivare persino a commettere il più blasfemo degli atti.

Nulla però può disturbare il flusso di menzogne della narrazione mediatica che in queste ore non sembra che stiano raccontando la morte del pontefice di Santa Romana Chiesa, quanto quelle di un’icona pop, condita da tutta una serie di aneddoti sulla sua passione per il calcio e le empanadas fatte dai trans.

 

È pur vero che non si è giunti a tale punto in un giorno.

Dal Concilio Vaticano II in poi, la regalità del papa si è progressivamente dissipata già da quando, ad esempio, Paolo VI, al secolo “Giovanni Montini”, si spogliò della tiara papale nel 1964 che fu poi venduta ad un mercante di origini ebraiche di New York.

Bergoglio però rappresenta in tal senso il completamento della definitiva laicizzazione del pontificato.

 

Non c’è difatti più alcuna parvenza del papato per come lo si è inteso nei secoli scorsi, tanto che il papa con Francesco è diventato più simile ad un divo dello spettacolo che si ferma per la strada a fermare autografi, che si fa vedere con la Panda per trasmettere un falso messaggio pauperistico, e che organizza a favore di telecamera quel suo ingresso in un ottico del centro storico di Roma sempre per trasmettere la demagogica immagine che il papa è un “uomo del popolo”, quando in realtà egli dovrebbe essere prima di tutto un uomo di Dio, e non andare alla ricerca del consenso o dell’acclamazione popolare, venuti comunque drasticamente meno negli ultimi 6-7 anni.

Francesco però non è certo “venuto dalla fine del mondo” per far sì che il papato custodisse i dogmi della fede cattolica e per pascere le anime verso il paradiso e salvarle dall’inferno, la cui esistenza è stata da lui stesso di fatto negata tanto da definirlo “vuoto” assieme al suo amico ateo, e in forte odore di massoneria, “Eugenio Scalfari,” fondatore del quotidiano La Repubblica, “house organ” della “sinistra progressista italiana”.

 

Bergoglio è con tali personaggi che si sentiva perfettamente a suo agio. Rifiutava la compagnia di veri uomini di fede, da lui perseguitati per la loro volontà di praticare il rito antico della messa tridentina, caposaldo liturgico della Chiesa per secoli, e si recava in casa degli abortisti e dei propalatori del mondo moderno come” Emma Bonino”, che in queste ore piange la sua perdita dopo aver rivelato che Francesco aveva chiesto a lei di “proseguire le nostre battaglie”.

Francesco raggiante è assieme ad Emma Bonino.

Non serve molto altro per avere la nitida certezza che Jorge Mario Bergoglio era una quinta colonna piantata nel seno della Chiesa.

Nel suo pontificato c’era tutto quello che non avrebbe dovuto sulla carta esserci.

C’erano i trans, a lui cari, e ricevuti con tutti gli onori in Vaticano, c’erano i pedofili da lui protetti sin dai tempi del suo arcivescovado in Argentina, c’erano i massoni, chiamati “cari fratelli”, c’era il Rotary, la para-massoneria della quale Francesco era membro, c’era la Pachamama adorata sui giardini del Vaticano, c’era la difesa e la promozione dei letali vaccini delle case farmaceutiche, e c’erano financo sacerdoti che praticavano alla luce del giorno la convivenza omosessuale.

 

La massoneria ecclesiastica e la preparazione del pontificato di Bergoglio.

L’eresia però non è stata costruita in un giorno.

È stato un pontificato preparato con molta cura e attenzione dai vari adepti della massoneria che probabilmente fecero un accurato studio sulla personalità di quest’uomo, estremamente narcisista, iracondo e con una spiccata attitudine al turpiloquio, molto nota ai dipendenti vaticani.

I massoni devono aver giudicato queste caratteristiche ideali per porre sul soglio pontificio un uomo con il deliberato intento di distruggere definitivamente la Chiesa di Cristo.

Si illude però chi pensa, come si diceva prima, che il pontificato bergogliano sia stata una sorta di “svista” dei recenti anni della Chiesa, poiché se quest’uomo è arrivato dove è arrivato, non è certo perché si è nominato da solo pontefice, ma evidentemente perché nel corpo della Chiesa c’erano quei nemici che si sono infiltrati pazientemente in essa nel corso dei decenni e si potrebbe dire anche dei secoli.

Negli scritti della massoneria dell’”Alta Vendita”, una delle più potenti, di fatto c’è scritto tutto.

I vari massoni che appartenevano a questo piano superiore delle logge non facevano mistero della loro volontà di infiltrare la Chiesa Cattolica e di fare sì che il papa in futuro sarebbe stato uno strumento e non più un avversario della libera muratoria, che sin dalla sua esistenza si propone di distruggere la Chiesa.

 

Ancora più oltre andò un ex sacerdote, “Canon Roca”, passato poi tra le fila della massoneria, che verso la fine del XIX secolo fece una inquietante profezia e descrisse la venuta di un pontefice che avrebbe fatto suo il falso verbo materialista del massone di origini ebraiche, Karl Marx, al secolo “Mordecai Levy”.

 

“Roca” descrisse un papa che avrebbe predicato le teorie del collettivismo che già si stavano facendo strada nel secolo dei lumi, e che altro scopo non avevano se non quello di mettere fine alla proprietà privata per instaurare una società simile ad una comune, nella quale la famiglia come tale non esiste più e dove non c’è ovviamente nemmeno più il concetto di patria, poiché i confini sono evaporati per lasciare il posto a questa repubblica universale vagheggiata dai vari massoni.

Cos’altro è stato Jorge Mario Bergoglio se non la perfetta incarnazione vivente di quanto predisse “Canon Roca” con quasi un secolo e mezzo di anticipo?

Cos’altro non è stato quest’uomo se non appunto il risultato di un lungo processo di apostasia che ha ridotto in tali pietose condizioni questa istituzione bi-millenaria?

L’apostasia c’è stata certamente perché il nemico, come si è visto, con grande pazienza e costanza si è infiltrato tra i ranghi della Chiesa per dare vita ad un’altra istituzione ormai desacralizzata e del tutto simile ad una qualsiasi “ONG” che piuttosto che avere come fondamento la verità del cattolicesimo ha fatto proprio il verbo illuminista dei diritti umani partorito dai vari massoni francesi quali Voltaire, Rousseau e Montesquieu.

 

L’apostasia è annunciata nel corso del tempo.

Va ricordato però che la Chiesa non è una istituzione terrena.

 Non appartiene agli uomini nonostante questi si siano dati tanto da fare per mandarla in rovina.

 

È stata fondata da Cristo per la salvezza delle anime, e la promessa stessa di Gesù ai suoi apostoli è stata che essa sarebbe esistita fino alla fine dei tempi.

La prova che essa sta attraversando non può che essere stata “concessa” dalla Provvidenza che si è premurata di far sapere più volte nel corso del tempo di quali oscenità ed eresie la Chiesa si sarebbe fatta portavoce.

Uno dei primi avvertimenti della venuta dell’apostasia è stato quello avvenuto nel 1846, quando la Madonna apparve ai due bambini francesi, “Maximin Giraud” e “Melanie Calvat,” ai quali venne annunciato che la Chiesa sarebbe diventata la sede dell’”Anticristo”.

I due bambini di “La Salette”, Maximin Giraud e Melanie Calvat.

La Chiesa di allora era molto diversa da quella presente.

Era una Chiesa che non aveva timore alcuno a dire che fu il sinedrio, e non certo Roma, ad uccidere Gesù, come hanno provato a far credere alcuni giuristi israeliani ospitati sugli schermi della RAI, ed era una Chiesa che sulle pagine di Civiltà Cattolica parlava della questione ebraica, mentre oggi su questa rivista si può trovare la cristianizzazione dell’immigrato clandestino, uno dei perni del pontificato di Bergoglio.

 

Tale apparizione fu approvata dalla Chiesa che anche negli anni successivi ricevette altri segnali che un simile scenario si sarebbe purtroppo verificato, quando, ad esempio, il grande pontefice Leone XIII ebbe nel 1884 la nota visione della Chiesa caduta nelle mani di Satana per 100 anni.

 

Non sono mancati anche altri avvertimenti nel secolo scorso, a partire da “Fatima”, anche se qui la macchina della massoneria ecclesiastica si è adoperata per nascondere ai fedeli la terza parte del segreto di Fatima, nella quale appunto si parlava di come i vertici della Chiesa sarebbero divenuti i portavoce dell’apostasia.

 

La Madonna aveva dato esplicite istruzioni.

Aveva ordinato alla Chiesa di rivelare entro il 1960 la terza parte del segreto, ma il pontefice dell’epoca, Giovanni XXIII, Angelo Roncalli, già iniziato alla massoneria ed eletto dopo che il cardinal Siri, minacciato, fu costretto a rinunciare, nascose il segreto, come rivelò padre “Malachi Marti”n che scappò negli Stati Uniti dopo aver assistito a questa scena.

 

Il vicario di Cristo che censura la Madonna.

Un tempo mai si sarebbe pensato di raccontare un simile fatto, ma questo era il male che era penetrato nelle mura Vaticane e che ha portato anche gli altri pontefici dopo Roncalli a nascondere ai fedeli la verità sulla infezione della Chiesa.

 

A vederla, tra gli altri, c’era stato già “padre Pio”.

 Il santo di Pietrelcina aveva già rivelato al suo amico, padre “Amorth”, che si sarebbe instaurata questa falsa chiesa che sarebbe arrivata dove appunto era arrivato Jorge Mario Bergoglio.

 

Francesco può essere considerato a tutti gli effetti lo zenit di tale infiltrazione, e la domanda che molti si stanno ponendo da un po’ di tempo a questa parte, e se tale calvario di questa istituzione è finalmente giunto al termine, o se ci sarà un’altra stazione della via Crucis.

Impossibile rispondere a questa domanda senza provare ad appoggiarsi sulle spalle di chi ha avuto quelle visioni e di chi, come la madre di Dio, è apparsa in altre occasioni dopo Fatima, come a “Sarabanda” e “Akita”, per mettere in guardia l’umanità sui pericoli che incorrevano per il loro rifiuto di Dio e per annunciare al tempo stesso il Trionfo del suo Cuore Immacolato.

 

Non è infatti una ipotesi che la Chiesa verrà risanata, ma una certezza perché è stata la Vergine stesso a dirlo.

Non può quindi sussistere il minimo dubbio sulla vittoria finale.

Il conclave e le spaccature in seno alla massoneria ecclesiastica.

Ciò nonostante, molti nutrono scetticismi perché guardano il conclave e vedono l’80% dei porporati nominati da Bergoglio e si aspettano una facile prosecuzione della “eredità” bergogliana, ma il cammino per la massoneria ecclesiastica sembra essere tutt’altro che in discesa.

 

I candidati della corrente modernista sono infatti molteplici e, secondo gli ambienti vaticani, alquanto divisi tra di loro se si pensa che un pezzo vorrebbe il cardinale “Parolin”, profondamente detestato però dalla parte di Bergoglio che lo ha estromesso dalle celebrazioni pasquali, sulle quali l’ex segretario di Stato contava per iniziare a farsi conoscere un po’ di più tra i fedeli cattolici.

C’è sul tavolo l’altra carta del “cardinale Zuppi”, graditissimo ad un altro pezzo della massoneria, che però al momento non sembra intenzionata a trovare una quadra con Parolin.

Tra i vari candidati del “mondo LGBT ecclesiastico” c’è invece la carta più scabrosa svelata dal film Conclave, che annuncia l’elezione di un “cardinale trans” a prossimo pontefice, uno scenario che non è soltanto il parto della fantasia letteraria dello scrittore britannico,” Robert Harris”, ma un riferimento ad un “porporato queer” che esiste per davvero.

Il cardinale trans del film “Conclave”.

In un precedente contributo su questo blog venne svelato che il” porporato queer” esiste realmente, viene dall’America Latina ed è, nemmeno a dirlo, un entusiasta della” teologia LGBT”.

“Harris” evidentemente ai tempi dell’uscita del suo libro nel 2016 deve essere stato edotto dai suoi informatori vaticani, con ogni probabilità massonici, che Bergoglio aveva messo tra le fila dei principi della Chiesa un impostore, una “donna trans”, che ha camuffato la sua vera identità sessuale.

In mezzo a queste brutture della massoneria e della lobby LGBT infiltratasi in Vaticano, non appare però al momento esserci alcuna armonia e unità di intenti, e questo certamente rappresenta un vantaggio per quei porporati di buona volontà che vogliono provare a rimettere insieme le macerie degli ultimi anni e ricostruire la Chiesa.

Sulla carta, non ci sono cardinali vicini alla Tradizione, perché nessuno di loro osa toccare il “falso dogma del Concilio Vaticano II”, che ha aperto le porte a questa chiesa ecumenica dei “fratelli maggiori” che a Gaza massacrano ogni giorno centinaia di palestinesi.

 

Forse proprio a Gerusalemme potrebbe esserci un uomo se non vicino, quantomeno non ostile, alla Tradizione come il” cardinal Pizzaballa” che quando gli è stato chiesto della necessità del dialogo in una intervista di qualche mese fa, ha freddato il suo interlocutore al festival francescano del 2024 affermando che il “dialogo ha un po’ stufato”, contraddicendo uno dei falsi dogmi del Vaticano II.

Per un attimo, si è avuta l’impressione di sentire le parole ferme che i vescovi di una volta pronunciavano, intenti a custodire la fede, e non a cercare di liquefarla nella religione teosofica globale.

 

Chi ad ogni modo crede che sarà un conclave rapido e semplice, commette, a parer nostro, un errore.

Sarà probabilmente un conclave dove emergeranno i contrasti profondi in seno alla Chiesa e sarà un conclave che indubbiamente deciderà il destino di questa istituzione per molti anni a venire.

Sarà, in altre parole, uno dei conclavi più importanti della storia.

A giudicare da come si disperano le vedove inconsolabili di Bergoglio sui vari organi di stampa, i primi ad essere consapevoli che un’epoca è finita, e che probabilmente non tornerà mai più, sono proprio loro, i fautori della falsa chiesa del dialogo.

 

Se le profezie mariane del passato lasciano ben sperare per il prossimo futuro, allo stesso modo i segni presenti sembrano essere altrettanto significativi.

Jorge Mario Bergoglio è uscito di scena il giorno dopo la” Pasqua di Resurrezione”, in un anno nel quale la “Pasqua cattolica” ricorre assieme a quella ortodossa ed ebraica, circostanza alquanto rara.

Non appena è giunta la notizia della sua morte, gli addetti della basilica di San Pietro hanno provato a suonare la campana, ma ciò non è stato possibile perché la catena si è spezzata.

Non si ricordano precedenti del genere, almeno certamente negli ultimi decenni.

È certo che il “Nuovo Ordine Mondiale” è stato sconfitto sotto ogni punto di vista dopo il fallimento della farsa pandemica, l’evento pensato per “instaurare un governo globale”.

 

Adesso non resta che aspettare che sia lo Spirito Santo a decidere se è arrivato il momento di liberare l’istituzione che la massoneria ha occupato per poter instaurare la sua falsa religione teosofica globale.

Certamente il fatto che l’annuncio della morte dell’uomo che era venuto con l’intento di distruggere la Chiesa sia arrivato il giorno dopo la “Resurrezione di Cristo” lascia sperare che anche per la Chiesa sia finalmente, dopo una lunga passione, giunto il tempo della “sua Resurrezione”.

Un colpo di stato finanziario:

come lo Stato profondo sta usando

crisi artificiali per prendere il potere.

 Shtfplan.com - John W. Whitehead e Nisha Whitehead – (20 aprile 2025) – ci dicono:

 

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da John W. Whitehead e Nisha Whitehead presso il “Rutherford Institute”.

 

Questo è sabotaggio economico. 

Che sia per cattiveria o incompetenza o, più probabilmente, per entrambe le cose, Trump sta isolando gli Stati Uniti sulla scena mondiale, facendo crollare i mercati, peggiorando l'inflazione e gravando le famiglie lavoratrici con il costo del suo cosplay del XVIII secolo.

 Queste non sono politiche. Sono performance artistiche.

E il resto di noi ne paga il conto. 

(Bay Area dell'Oregon (post sul blog).

 

Ciò a cui stiamo assistendo è l'uso calcolato dei poteri di emergenza per concentrare il potere nelle mani del presidente, arricchire lo Stato profondo e smantellare ciò che resta delle garanzie economiche e costituzionali.

Quasi 250 anni dopo che i padri fondatori della nostra nazione si ribellarono contro i diritti di proprietà violati, gli americani sono nuovamente sottoposti a tassazione senza alcuna vera rappresentanza, mentre il governo continua a fare ciò che vuole (imporre tasse, accumulare debiti, spendere in modo scandaloso e irresponsabile) con scarsa preoccupazione per la situazione dei suoi cittadini.

 

Niente è cambiato in meglio con Donald Trump.

Anzi, la situazione peggiora di giorno in giorno.

 

Avendo ereditato una delle economie più forti al mondo, il presidente Trump, le cui credenziali di imprenditore includono molteplici iniziative imprenditoriali fallite, fallimenti e una montagna di debiti e fatture non pagate, è riuscito a incendiare da solo l'economia con tariffe sbagliate e piani egoistici, che vengono attuati senza alcuna supervisione o controllo da parte del Congresso.

 

Tuttavia è il Congresso, non il Presidente, ad avere l'autorità di controllare la spesa pubblica.

Ciò è specificato nella clausola sugli stanziamenti, contenuta nell'articolo I, sezione 9, clausola 7 della Costituzione, che stabilisce una norma di diritto su come devono essere amministrati i soldi versati al governo dai contribuenti, e nella clausola sulla tassazione e la spesa dell'articolo I, sezione 8, clausola 1.

In poche parole, il Congresso è responsabile della rendicontazione di tali fondi e dell'autorizzazione delle modalità di spesa (o non spesa) di tali fondi.

I fondatori intendevano che questo potere normativo, denominato "potere del portafoglio" (per determinare quali fondi possono essere spesi e quali possono essere trattenuti), servisse da potente controllo su qualsiasi agenzia governativa che eccedesse la propria autorità, in particolar modo il ramo esecutivo.

Come osserva il professore di diritto “Zachary Price”, "Data la forza di questo controllo, non sorprende che i presidenti abbiano cercato modi per aggirarlo ".

 

Esempi di questa costante lotta per il potere sono intrecciati nella storia degli Stati Uniti.

Ad esempio, il Congresso ha sfruttato il potere del denaro per porre fine alla guerra del Vietnam e ritirare l'esercito statunitense dal Libano.

Tuttavia, mentre i presidenti del passato hanno cercato di espandere la propria autorità sotto le mentite spoglie di dichiarazioni di emergenza nazionale, Trump ha semplicemente portato questa ingerenza esecutiva a estremi senza precedenti.

 

“Price “spiega come vari presidenti, da Obama a Biden a Trump, abbiano tentato di sovvertire lo stesso potere del Congresso per promuovere i propri programmi, sia finanziando l' “Affordable Care Act”, sia aumentando il debito studentesco, sia, come nel caso di Trump, smantellando e tagliando i finanziamenti alle agenzie finanziate dal Congresso.

Ordini esecutivi ed emergenze nazionali sono diventati uno strumento privilegiato con cui i presidenti tentano di governare unilateralmente.

 Come riporta il” Brennan Center”, i presidenti hanno accesso a 150 di questi poteri di emergenza, che essenzialmente consentono loro di trasformarsi in dittatori limitati con poteri notevolmente ampliati in caso di dichiarazione di emergenza.

 

Poiché il “National Emergencies Ac”t non definisce effettivamente cosa costituisca un'emergenza, i presidenti hanno un margine di manovra incredibile per provocare danni costituzionali ai cittadini.

Mentre presidenti di entrambi gli schieramenti hanno abusato di questi poteri, Trump sta tentando di mettere alla prova i limiti di questi poteri di emergenza dichiarando lo stato di emergenza nazionale ogni volta che vuole eludere il Congresso e imporre rapidamente la sua volontà alla nazione.

L'uso disinvolto dei poteri di emergenza da parte di Trump per eludere lo stato di diritto sottolinea il pericolo che essi rappresentano per il nostro sistema costituzionale di pesi e contrappesi.

 

Da quando è entrato in carica nel gennaio 2025, Trump ha usato i suoi poteri presidenziali di emergenza in molti modi per organizzare sfacciate acquisizioni di potere appena camuffate da preoccupazioni per la sicurezza nazionale, che gli hanno consentito di giustificare lo sfruttamento delle risorse naturali del paese, il raduno e la deportazione di un gran numero di migranti (sia documentati che clandestini) e l'imposizione di dazi e tariffe nei confronti di alleati di lunga data e partner commerciali.

Finora, il Congresso controllato dai repubblicani, che ha il potere di porre fine a una situazione di emergenza con un voto a maggioranza dei due terzi, non ha fatto nulla per frenare le tendenze dittatoriali di Trump.

Questi poteri incontrollati non rappresentano solo una minaccia per l'equilibrio del governo, ma hanno anche conseguenze immediate e devastanti per l'economia e per i lavoratori americani.

Gli economisti temono che le ramificazioni dell'ultima emergenza nazionale di Trump, che secondo lui inaugurerà " l'età dell'oro dell'America " ​​attraverso l'imposizione di pesanti dazi sulle nazioni straniere, potrebbero spingere gli Stati Uniti e il resto del mondo in una grave recessione, innescando una guerra commerciale globale, isolando economicamente l'America dal resto del mondo e bloccando le aziende che si aspettavano un boom.

 

I timori di una recessione aumentano di ora in ora.

Oltre a sabotare l'economia, licenziare decine di migliaia di dipendenti federali e smantellare quelle parti del governo che servono gli interessi della classe operaia americana, così come delle sue popolazioni anziane, disabili e senzatetto, Trump e la sua cricca di amici miliardari stanno smantellando i pochi controlli rimasti sulla corruzione pubblica e privata, alimentando l'avidità aziendale a ogni passo.

 

Ecco come l'uomo che ha promesso di prosciugare la palude continua a impantanarci nella palude.

Nel frattempo, si prevede che i contribuenti, i cui risparmi pensionistici sono crollati, pagheranno il conto di decine di milioni di dollari per  i frequenti viaggi di Trump  nei suoi campi da golf (sta anche  chiedendo tariffe esorbitanti ai servizi segreti  per soggiornare nelle sue proprietà mentre lo proteggono), le sue  opportunità fotografiche multimilionarie  al “Super Bowl” e alla” Daytona 500”, il suo desiderio di ristrutturare i giardini della Casa Bianca e costruire una  sala da ballo da 100 milioni di dollari e la sua ultima richiesta di una  costosa parata militare  in onore del suo 79 °  compleanno.

Anche se il presidente Trump può vantarsi dei suoi piani per arricchire l'America, sta diventando sempre più chiaro che l'unica persona che sta rendendo più ricco, a spese dei contribuenti, è lui stesso.

 

Questa follia fiscale, unita alle ambizioni imperialistiche e tiranniche di Trump, riecheggia gli stessi abusi che spinsero i padri fondatori dell'America a ribellarsi a re “Giorgio III”.

In altre parole, il governo continua a derubarci alla cieca.

 

Trump non ha frenato l'avidità del governo, ma ha semplicemente utilizzato una strategia diversa per ottenere lo stesso risultato:

che si tratti di elemosinare, prendere in prestito o rubare, il governo vuole ottenere di più dai nostri dollari guadagnati con fatica, con qualsiasi mezzo.

Ecco cosa succede con quei conti di spesa multimiliardari:

qualcuno deve pagare il conto della follia fiscale del governo, e quel "qualcuno" è sempre il contribuente statunitense.

I piani del governo per truffare, imbrogliare, truffare e in generale frodare i contribuenti dei loro soldi guadagnati con fatica spaziano da leggi dispendiose e fraudolente, a clientelismo e corruzione, fino alla confisca dei beni, a costosi pacchetti di stimolo economico e a un complesso di sicurezza nazionale che continua a minare le nostre libertà senza riuscire a renderci più sicuri.

Gli americani sono stati costretti a pagare profumatamente per le infinite guerre del governo, i sussidi alle nazioni straniere, l'impero militare, lo stato sociale, le strade che non portano da nessuna parte, la forza lavoro gonfia, le agenzie segrete, i centri di fusione, le prigioni private, i database biometrici, le tecnologie invasive, l'arsenale di armi e ogni altra voce di bilancio che contribuisce alla rapida crescita della ricchezza dell'élite aziendale a spese di coloro che a malapena riescono ad arrivare a fine mese, ovvero noi contribuenti.

Trump, maestro nel dire una cosa e farne un'altra, ha fatto un gran sfoggio di proclami di voler tagliare la spesa pubblica attraverso tagli paralizzanti che avranno un impatto su quasi ogni settore del panorama americano.

Tuttavia, ciò che Trump non menziona sono tutte le costose voci di bilancio che sta aggiungendo, che non solo vanificheranno le sue modeste promesse di risparmio attraverso la soppressione di programmi essenziali, ma affosseranno ulteriormente il Paese nel debito.

 

In effetti, Trump, autoproclamatosi “re del debito”, ha presieduto una delle espansioni più sconsiderate della spesa pubblica nella storia moderna, atteggiandosi a conservatore fiscale.

Si consideri che durante il primo mandato di Trump, il debito nazionale è aumentato di quasi 7,8 trilioni di dollari.

 

Secondo  “ProPublica”,  "Si tratta di quasi il doppio di quanto gli americani devono per prestiti studenteschi, prestiti auto, carte di credito e ogni altro tipo di debito diverso dai mutui, messi insieme...  Ammonta a circa 23.500 dollari di nuovo debito federale per ogni persona nel paese.

 La crescita del deficit annuale sotto Trump si classifica come il terzo aumento più grande, in relazione alle dimensioni dell'economia, di qualsiasi amministrazione presidenziale statunitense...

E a differenza di George W. Bush e Abraham Lincoln, che hanno supervisionato i maggiori aumenti relativi dei deficit, Trump non ha scatenato due conflitti all'estero né ha dovuto pagare per una guerra civile".

Se il primo mandato di Trump è stato un'anteprima, il secondo è un vero e proprio colpo di stato finanziario, portato a termine contro il popolo americano con denaro preso in prestito.

 

Parliamo di numeri, va bene?

Il debito nazionale (la somma che il governo federale ha preso in prestito nel corso degli anni e che deve restituire) ammonta a oltre 36 trilioni di dollari  e aumenterà di altri  19 trilioni entro il 2033 .

 

La maggior parte di questo debito è stata accumulata negli ultimi due decenni, in gran parte grazie alle manovre fiscali di quattro presidenti, 10 sessioni del Congresso e due guerre.

Si stima che l'importo dovuto da questo Paese sia attualmente superiore del 130% al suo prodotto interno lordo (tutti i prodotti e servizi prodotti in un anno dal lavoro e dalle proprietà fornite dai cittadini).

 

In altre parole, il governo sta spendendo più di quanto incassa e, nel farlo, ci sta annegando in un impero di debiti.

Gli interessi sul debito nazionale ammontano a oltre 582 miliardi di dollari, una cifra notevolmente superiore a quella spesa dal governo per i sussidi e i servizi ai veterani e, secondo il “Pew Research Center”, superiore a quella destinata all'istruzione elementare e secondaria, ai soccorsi in caso di calamità, all'agricoltura, ai programmi scientifici e spaziali, agli aiuti esteri e alla protezione delle risorse naturali e dell'ambiente.

 

Secondo il “Comitato per un bilancio federale ragionevole”, l'interesse che abbiamo pagato su questo denaro preso in prestito è "quasi il doppio di quanto il governo federale spenderà per le infrastrutture di trasporto, oltre quattro volte quanto spenderà per l'istruzione K-12, quasi quattro volte quanto spenderà per l'edilizia abitativa e oltre otto volte quanto spenderà per la scienza, lo spazio e la tecnologia".

 

Tra dieci anni, questi pagamenti di interessi supereranno l'intero bilancio militare.

Questa non è governance.

È saccheggio: attraverso la legislazione, il debito e la pianificazione.

Ci sono state vendute delle bollette da parte di politici che promettono di ridurre il debito, ricostruire l'economia e proteggere le nostre libertà, ma che in realtà producono solo più debito e più controllo.

In effetti, il deficit nazionale (la differenza tra quanto il governo spende e le entrate che incassa) resta superiore a 1,5 trilioni di dollari.

 

Secondo i calcolatori del “Comitato per un bilancio federale responsabile”, per spendere soldi che non ha per programmi che non può permettersi, il governo contrae prestiti per circa 6 miliardi di dollari al giorno.

In pratica, il governo degli Stati Uniti finanzia la propria esistenza tramite una carta di credito.

Se gli americani gestissero le proprie finanze personali nello stesso modo in cui il governo gestisce male le finanze nazionali, a quest'ora saremmo tutti in prigione per debitori.

Tuttavia, nonostante la propaganda governativa diffusa dai politici e dai media, il governo non spende i soldi delle nostre tasse per migliorare le nostre vite.

 

Stiamo derubandoci alla cieca affinché l'élite governativa possa arricchirsi.

Questa è tirannia finanziaria.

Agli occhi del governo, "noi, il popolo, gli elettori, i consumatori e i contribuenti" non siamo altro che portafogli in attesa di essere svuotati.

“Noi, il popolo” siamo diventati la nuova, permanente sottoclasse d’America.

Non abbiamo voce in capitolo su come funziona il governo o su come vengono spesi i soldi delle nostre tasse, ma in ogni caso siamo costretti a pagare cifre esorbitanti.

Non abbiamo voce in capitolo, ma ciò non impedisce al governo di spennarci a ogni passo e di costringerci a pagare guerre infinite che servono più a finanziare il complesso militare-industriale che a proteggerci, progetti di beneficenza che producono poco o niente e uno stato di polizia che serve solo a imprigionarci tra le sue mura.

Mentre lottiamo per sopravvivere e prendiamo decisioni difficili su come spendere i pochi soldi che effettivamente entrano nelle nostre tasche dopo che i governi federali, statali e locali hanno preso la loro parte (questo non include le tasse occulte imposte tramite pedaggi, multe e altre sanzioni fiscali), il governo continua a fare quello che vuole (imporre tasse, accumulare debiti, spendere in modo scandaloso e irresponsabile) con poca attenzione alla difficile situazione dei suoi cittadini.

E ora Trump, desideroso di eliminare beni e servizi per i poveri e i bisognosi, imponendo al contempo un maggiore onere fiscale ai cittadini della classe operaia (un onere non condiviso dall'élite finanziaria del paese), vuole stanziare 1 trilione di dollari per l'esercito, in modo che possa essere ancora più letale e pronto a scatenare la violenza in tutto il mondo.

 

Questa cifra si aggiunge al quasi 1 miliardo di dollari già speso dal Pentagono per la campagna di bombardamenti in Yemen di Trump, in gran parte inutile.

Incredibilmente, tutte queste guerre che gli Stati Uniti sono così ansiosi di combattere all'estero vengono combattute con fondi presi in prestito.

 Come   riporta “The Atlantic”, "i leader statunitensi stanno essenzialmente finanziando le guerre con il debito, sotto forma di acquisti di titoli del Tesoro statunitensi da parte di entità con sede negli Stati Uniti come fondi pensione e governi statali e locali, e da paesi come Cina e Giappone".

Naturalmente siamo noi contribuenti che dobbiamo ripagare quel debito contratto.

Come avvertì “Dwight D. Eisenhower” in un discorso del 1953, è così che il complesso militare-industriale continua ad arricchirsi, mentre il contribuente americano è costretto a pagare per programmi che fanno ben poco per proteggere i nostri diritti o migliorare le nostre vite.

 

Questo non è uno stile di vita.

Ancora una volta ci troviamo di fronte a un regime dispotico con un sovrano imperiale che fa ciò che vuole.

Ancora una volta, ci troviamo di fronte a un sistema giudiziario che insiste nel dire che non abbiamo alcun diritto di fronte a un governo che esige il rispetto totale delle sue norme.

E ancora una volta dobbiamo decidere se continueremo a pagare il conto della tirannia.

Come spiego chiaramente nel mio libro "Battlefield America: The War on the American People" e nel suo equivalente letterario " The Erik Blair Diarie", se non hai scelta, voce in capitolo e voce in capitolo su come vengono usati i tuoi soldi, non sei libero.

Sei governato.

Questo non è più il sogno americano. È un incubo finanziario.

 

Come avverte l'analista politico” Robert Reich”, "Non fatevi illusioni su cosa stia realmente accadendo qui.

Mentre gli Stati Uniti hanno molti problemi reali da affrontare, Trump li sta ignorando per creare le false emergenze di cui ha bisogno per espandere e centralizzare ulteriormente il suo potere.

 La vera emergenza nazionale americana è Donald J. Trump."

Finché non ci opporremo, questo incubo non farà che peggiorare.

 

 

 

"Vladimir, STOP!" Trump risponde

al "massiccio" attacco missilistico

 russo su Kiev, che ha causato 9 morti.

  Shtfplan.com – (25 aprile 2025) - Tyler Durden su ZeroHedge – ci dice:

 

Mentre i colloqui di pace guidati dagli Stati Uniti erano in stallo, la Russia ha lanciato un massiccio attacco notturno contro l'Ucraina, lanciando anche missili balistici sul centro di Kiev, scatenando morte e distruzione su larga scala.

Almeno nove persone sono state uccise e oltre 70 ferite nella capitale, in quello che è stato uno dei più grandi e letali attacchi missilistici contro l'Ucraina degli ultimi mesi.

Anche altre città, tra cui Kharkiv, sono state colpite.

Immagine dal video dell'attacco, tramite “The Guardian”.

 

I sistemi antiaerei hanno iniziato a colpire missili e droni in arrivo intorno all'una di notte, ora locale.

Ma dopo che droni e missili sono riusciti a superare il bersaglio, diversi edifici, tra cui una fabbrica, una casa e alcune auto, sono stati incendiati.

La “BBC “scrive :

 " Un condominio è stato completamente raso al suolo durante l'attacco, le finestre degli edifici circostanti sono state distrutte e i balconi sono stati divelti".

"La Russia ha lanciato un massiccio attacco congiunto su Kiev", ha annunciato il servizio di emergenza statale ucraino su Telegram.

"Secondo i dati preliminari, nove persone sono state uccise e 63 ferite".

Giovedì mattina il Presidente Trump ha condannato l'attacco, affermando di "non essere contento" della mossa russa.

  "Vladimir, STOP!"  ha scritto su Truth Social.

"5000 soldati muoiono a settimana. Facciamo in modo che l'accordo di pace si concluda!"

Sono in corso ingenti operazioni di soccorso in un'area densamente popolata a causa della testata missilistica.

 Il ministro degli Interni ucraino, Ihor Klymenko, ha dichiarato, riferendosi al quartiere Svyatoshinsky di Kiev:

"Si sentono squillare i cellulari sotto le macerie.

 Le ricerche continueranno finché tutti non saranno usciti.

 Abbiamo informazioni su due bambini che non sono stati trovati sul luogo dell'incidente".

 

Secondo quanto dichiarato dalle autorità ucraine,  nel devastante attacco notturno sono stati utilizzati circa 70 missili e fino a 150 droni contro diverse città.

Questo nuovo attacco di giovedì alla capitale è stato il più mortale dall'attacco dell'8 luglio scorso a Kiev, che ha causato 34 morti e 121 feriti.

 

Ciò avviene dopo che il governo Zelensky ha espresso frustrazione per il fatto che la Casa Bianca dovrebbe essere più interessata e schierarsi dalla parte dell'Ucraina, invece di tenere colloqui bilaterali per una normalizzazione diplomatica con la Russia.

L'ultimo tira e molla tra Trump e Zelensky si è concentrato sulla Crimea.

 Mercoledì Trump ha criticato duramente il leader ucraino per aver respinto una proposta statunitense che avrebbe visto Kiev rinunciare a ogni rivendicazione sulla Crimea.

Trump ha sottolineato che la Crimea "è stata persa anni fa" e che Zelensky "non ha carte da giocare".

 

Zelensky ha poi citato la "dichiarazione di Crimea" del 2018 dell'allora segretario di Stato di Trump, Mike Pompeo, in cui si affermava che gli Stati Uniti "respingono il tentativo di annessione della Russia".

" Non c'è niente di cui parlare. Questo viola la nostra Costituzione.

Questo è il nostro territorio, il territorio del popolo ucraino", aveva inizialmente detto Zelensky ai giornalisti riguardo alla questione della cessione definitiva della Crimea.

Ma il vicepresidente JD Vance, durante un viaggio in India, aveva anche affermato: "Abbiamo avanzato una proposta molto esplicita sia ai russi che agli ucraini, ed è giunto il momento che dicano di sì oppure che gli Stati Uniti abbandonino questo processo".

 

Ha sottolineato: " L'unico modo per fermare davvero le uccisioni è che gli eserciti depongano le armi, congelino la situazione e si dedichino a costruire una Russia e un'Ucraina migliori".

Congelare la guerra adesso darebbe sicuramente alle forze russe un enorme vantaggio, dato l'immenso territorio a est che ora controllano, ed è in gran parte per questo che Zelensky rifiuta un simile accordo.

 

 

La Russia afferma che l'Europa occidentale

 ha ignorato gli avvertimenti di Putin

 contro l'interferenza nel conflitto.

   Shtfplan.com - Mac Slavo – (24 aprile 2025) – ci dice:

 

Il Cremlino ha affermato che l'Europa occidentale ha ignorato gli avvertimenti del presidente russo Vladimir Putin contro l'interferenza nel conflitto in corso in Ucraina.

 I leader europei che hanno scelto di ignorare le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza devono condividere la responsabilità del deterioramento delle relazioni con Mosca, ha affermato il portavoce del Cremlino “Dmitrij Peskov”.

 

In un'intervista rilasciata mercoledì al quotidiano francese “Le Point”, “Peskov” ha condannato l'Occidente per aver ignorato gli avvertimenti del presidente Vladimir Putin, secondo cui stava mettendo a repentaglio la sicurezza nazionale russa.

Non è la prima volta che la Russia esprime una dura retorica in merito al sostegno all'Ucraina durante la guerra.

La Russia avverte che le “linee rosse” vengono superate… di nuovo.

Nel 2020, Putin ha denunciato le nazioni occidentali per "non aver fatto nulla" per mantenere la promessa di non espandere la NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico) in Europa e per aver smantellato numerosi accordi di sicurezza volti a creare fiducia.

Tuttavia, la Russia non è riuscita a rispondere adeguatamente anche a queste indiscrezioni, rendendo più facile per l'Occidente continuare a fare ciò che vuole.

I russi "non sono certamente aggressivi", ha assicurato, sostenendo un'amicizia reciproca con l'Occidente.

"Se si mira a garantire la sicurezza dell'Ucraina aggregandola alla NATO, si sta violando la sicurezza della Russia", ha spiegato Peskov.

 I leader occidentali, incluso il presidente francese “Emmanuel Macron”, hanno scelto di non dare ascolto agli appelli di Putin, ha aggiunto, secondo un articolo di “RT”.

"Né Macron né altri leader europei hanno voluto ascoltare Putin quando ha detto loro che la Russia era stata messa alle strette", ha osservato Peskov.

"Oggi parliamo di pace con gli americani, eppure gli europei chiedono la guerra".

Secondo la Casa Bianca, il presidente ucraino Vladimir Zelensky sta ostacolando il tentativo dell'amministrazione Trump di mediare una tregua tra Mosca e Kiev. Trump ha definito le strategie mediatiche di Kiev "molto dannose" per il processo di pace, affermando mercoledì sui social media che Zelensky rischia di "perdere l'intero Paese ".

Zelensky "non controlla tutte le sue divisioni", ha detto Peskov a “Le Point”.

 Ha evidenziato le unità con personale nazionalista radicale che rappresentano un ostacolo significativo all'istituzione di un cessate il fuoco, citando le recenti esperienze della Russia.“ RT”.

 

 

Zelensky vuole soldati più giovani

mentre Russia e Stati Uniti

cercano il cessate il fuoco.

Shtfplan.com – Mac Slavo – (25-4-2025) – ci dice:

 

Mentre Stati Uniti e Russia si battono per imporre un cessate il fuoco, l'Ucraina sta cercando di reclutare soldati più giovani per la guerra e sembra contenta di continuare così.

 Kiev deve abbassare l'età minima per la coscrizione per reclutare più soldati per il conflitto.

Lunedì, in una conferenza stampa, Volodymyr Zelensky ha annunciato che i vertici militari avevano approvato un'estensione del reclutamento per i cittadini dai 18 ai 24 anni.

Sebbene la coscrizione obbligatoria si applichi agli uomini dai 24 anni in su, il governo sta incoraggiando i giovani a fare volontariato offrendo una serie di incentivi.

"Ho visitato il fronte sabato.

 C'è una richiesta da parte di brigate specifiche e risponderemo positivamente.

 Ci saranno più brigate che impiegheranno giovani specialisti", ha dichiarato Zelensky, secondo un rapporto di “RT”.

 "Questa iniziativa si estenderà alla Guardia Nazionale e alle unità della Guardia di frontiera, poiché tutte le forze di difesa efficaci dovrebbero avere ogni opportunità per migliorare le proprie capacità".

 

Il Ministero della Difesa sta promuovendo l'offerta di coscrizione mostrando quanto le reclute possono acquistare con il denaro, equiparandolo a 15.625 cheeseburger o 185 anni di abbonamento a Netflix.

 I critici hanno condannato la campagna pubblicitaria, definendola umiliante per le potenziali reclute.

Perché la coscrizione militare è peggiore della schiavitù.

Zelensky sostiene inoltre che la Russia potrebbe aver influenzato i membri dell'attuale amministrazione statunitense "attraverso le informazioni", ha affermato l'ucraino Vladimir Zelensky in un'intervista alla rivista” Time”, secondo quanto riportato da “RT”.

 

"Credo che la Russia sia riuscita a influenzare alcuni membri del team della Casa Bianca attraverso le informazioni", ha detto Zelensky alla rivista.

 "Il loro segnale agli americani è stato che gli ucraini non vogliono porre fine alla guerra e che bisogna fare qualcosa per costringerli".

Dall’escalation delle ostilità nel 2022, la Russia ha ripetutamente sottolineato di rimanere aperta a negoziare una risoluzione pacifica del conflitto e ha accusato Kiev di rifiutarsi di dialogare e di tentare di prolungare i combattimenti. ”RT”.

Il triste e disperato tentativo di Zelensky di continuare questa guerra non farà che aumentare la frattura tra i suoi sostenitori occidentali.

Il mondo cerca la pace e Zelensky sbava dalla voglia di altra guerra.

 

 

 

Trump parla di dazi. L'UE parla di libero

 scambio con il resto del mondo.

Politico.eu – (25 -04- 2025) - Jakob Weizman – ci dice:

 

Mentre gli Stati Uniti stanno innalzando le barriere commerciali più alte degli ultimi cento anni, la Commissione europea di Ursula von der Leyen ha la missione di concludere accordi commerciali con tutti gli altri paesi.

Sessione del Parlamento europeo a Strasburgo.

"I paesi sono in fila per lavorare con noi", ha detto a” POLITICO” la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

BRUXELLES — Donald Trump sta voltando le spalle al libero scambio e, con esso, alle relazioni commerciali transatlantiche da 1.600 miliardi di euro. Questo sta spingendo l'Unione Europea a stringere accordi commerciali praticamente con tutti gli altri.

Gli Stati Uniti rappresentano il 13% del commercio mondiale.

L'UE, il più grande mercato unico del mondo che comprende 27 nazioni e 450 milioni di persone, ne rappresenta circa il 16% e mira a consolidare il suo primato.

" I paesi si stanno schierando per lavorare con noi", ha dichiarato a “POLITICO” la presidente della “Commissione europea” Ursula von der Leyen.

Da quando è stata confermata la sua seconda Commissione a dicembre, von der Leyen ha concluso i colloqui su un accordo atteso da tempo con il blocco latinoamericano del Mercosur;

ha chiesto di raggiungere un accordo di libero scambio con l'India quest'anno;

e ha avviato o rilanciato i colloqui con Filippine, Malesia, Thailandia, Emirati Arabi Uniti e altri.

 

Ecco un riepilogo degli accordi che Bruxelles vuole concludere:

Mercosur.

Perché è importante?

Entro una settimana dal giuramento della sua seconda Commissione, lo scorso dicembre, von der Leyen è volata a Montevideo, in Uruguay, per stringere la mano ai leader dei paesi del Mercosur – Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay – su un accordo che avrebbe creato un mercato di oltre 700 milioni di consumatori su entrambe le sponde dell'Atlantico.

 

Cosa lo frena?

 Gli agricoltori europei, soprattutto in Francia, continuano a opporsi con veemenza all'accordo, in lavorazione da un quarto di secolo, temendo la concorrenza delle importazioni sudamericane a basso costo.

I leader politici francesi hanno preso posizione contro l'accordo con il Mercosur, e anche in Polonia, Belgio e Irlanda si registrano opposizioni.

Gli agricoltori rifiutano di essere placati, nonostante l'accordo stabilisca quote di importazione ridotte per prodotti come carne bovina, pollame e zucchero.

C'è poi la questione della deforestazione, in particolare nel caso del Brasile, dove alcuni temono che le aziende possano tentare di aggirare il Regolamento UE sulla Deforestazione (EUDR).

 

Ci sono possibilità che accada presto?

 La guerra commerciale a oltranza di Trump ha ribaltato le sorti del dibattito sul Mercosur, portando alcuni paesi precedentemente scettici – come l'Austria –  a spostarsi verso il campo favorevole all'accordo .

Persino la Francia sembra vacillare, con il ministro del Commercio Laurent Saint-Martin che ha dichiarato a POLITICO che la guerra commerciale di Trump è " un campanello d'allarme per gli accordi commerciali ".

Tuttavia, sostiene, l'accordo sul Mercosur è inaccettabile nella sua forma attuale.

Una finestra di opportunità si aprirebbe dopo le elezioni presidenziali del 18 maggio in Polonia, che attualmente detiene la presidenza di turno del Consiglio dell'UE.

 Il voto in Consiglio si terrebbe a settembre o ottobre, secondo le indicazioni della Danimarca, e la firma definitiva sarebbe prevista entro la fine dell'anno.

 

India.

Perché è importante?

 Von der Leyen è volata in India a febbraio con il suo nuovo Collegio di Commissari per presentare un accordo di libero scambio che ha definito " il più grande accordo di questo tipo al mondo ".

Un accordo commerciale creerebbe un mercato comune di quasi 2 miliardi di persone, legando l'India più strettamente al suo principale partner commerciale, l'UE.

Con l'India sulla buona strada per diventare la terza economia mondiale entro la fine del decennio, non sorprende che von der Leyen abbia posto la conclusione dell'accordo quest'anno al centro del suo programma di diversificazione.

Cosa lo frena?

 Se il passato ci insegna qualcosa, è che l'UE deve essere cauta nel perseguire un accordo di libero scambio con l'India.

Nel 2013, un accordo è fallito dopo sei anni e 15 cicli di negoziati, a causa della frustrazione europea riguardo all'accesso al mercato in settori che vanno dalle automobili agli alcolici.

Nel 2021, i negoziati, a lungo bloccati, sono stati rilanciati in un accordo commerciale in tre parti, nella speranza di risolvere questioni come gli elevati dazi indiani sulle auto importate.

L'uomo di punta del Primo Ministro Narendra Modi nei colloqui, il Ministro del Commercio “Piyush Goyal”, si è guadagnato la reputazione di negoziatore commerciale più duro al mondo.

Un'altra questione delicata per Nuova Delhi è la tassa sulle emissioni di carbonio prevista dall'UE, con Goyal che minaccia un'imposta di ritorsione che, a suo dire, suonerebbe "la campana a morto per l'industria manifatturiera in Europa".

 

Ci sono possibilità che ciò accada presto?

Sia von der Leyen che Modi hanno chiarito di voler concludere l'accordo quest'anno – un'ambizione audace, se l'esperienza ci insegna qualcosa.

 Tuttavia, con Trump che spinge anche l'India ad aprire il suo mercato, Nuova Delhi cerca relazioni commerciali meno coercitive e più consensuali.

Modi vorrà anche mettere Washington e Bruxelles l'una contro l'altra per ottenere l'accordo migliore.

Goyal dovrebbe essere a Bruxelles l'1 e il 2 maggio per la sua seconda visita del 2025, prima di un altro round di colloqui formali dal 12 al 16 maggio a Nuova Delhi.

 

Australia.

Perché è importante?

I negoziati tra Australia e UE sono stati avviati nel 2018 e finora si sono svolti 15 round.

Il raggiungimento di un accordo aumenterebbe il PIL dell'Unione di circa 4 miliardi di euro.

 L'UE è il terzo partner commerciale dell'Australia per quanto riguarda i beni, davanti agli Stati Uniti, e il secondo per i servizi.

 Tuttavia, Bruxelles rimane svantaggiata negli scambi commerciali con l'Australia, poiché concorrenti come Giappone e Regno Unito godono di un accesso preferenziale grazie al “Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership” (CPTPP).

 

Raggiungere un accordo non solo aprirebbe l'accesso al mercato per le esportazioni europee di automobili e macchinari, ma aiuterebbe anche l'UE a ridurre la sua dipendenza dalla Cina per le materie prime essenziali:

 l'Australia è ricca di giacimenti di minerali come litio e cobalto, nonché di terre rare.

Cosa lo frena?

Carne bovina e ovina.

 I negoziati si sono interrotti poco prima del traguardo nell'ottobre 2023, quando il Ministro del Commercio australiano “Don Farrell” se n'è andato lamentandosi della mancanza di accesso al mercato UE.

 La Commissione europea si è lamentata all'epoca del fatto che la parte australiana avesse ripresentato richieste agricole che, a suo dire, "non riflettevano i recenti negoziati e i progressi compiuti tra alti funzionari".

 

Gli agricoltori australiani continuano a desiderare un maggiore accesso al mercato europeo, ma i negoziatori commerciali della Commissione hanno poco margine di manovra con la lobby agricola europea ostile a un libero scambio.

Un altro punto critico sono le indicazioni geografiche (IG), in base alle quali i produttori australiani perderebbero i diritti di denominazione su prodotti come Prosecco, Feta e Parmigiano Reggiano.

 

Ci sono possibilità che accada presto?

Le elezioni generali australiane del 3 maggio, che probabilmente daranno vita a un governo guidato dal Primo Ministro in carica Anthony Albanese, potrebbero dare il via a una nuova spinta negoziale.

 Farrell, l'uomo che ha stroncato l'accordo con l'UE nel 2023, ora afferma che " il mondo è cambiato " dopo l'offensiva tariffaria di Trump.

 

Anche gli agricoltori australiani affermano che, se l'UE vuole essere all'altezza del suo ruolo di leader nel commercio, deve essere coerente e portare a termine l'accordo.

 Farrell ha parlato all'inizio di questo mese con “Maroš Šefčovič,” capo negoziatore commerciale dell'UE, e ha affermato che i due hanno concordato di incontrarsi subito dopo le elezioni.

 

Indonesia.

Perché è importante?

 L'Indonesia è la più grande economia dell'”Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico” (ASEAN) – una comunità commerciale regionale – e la quarta nazione più popolosa al mondo.

 Le sue relazioni commerciali con l'UE impallidiscono al confronto.

 L'UE è il suo quinto partner commerciale, ma l'Indonesia, nonostante le sue dimensioni, non rientra nemmeno tra i primi 30 dell'UE.

Questo significa un potenziale inesplorato.

 

Cosa lo frena?

 I colloqui dell'ultimo decennio sono stati a dir poco turbolenti, con controversie che sono ripetutamente finite davanti all'”Organizzazione Mondiale del Commercio”.

Giacarta sperava di concludere i colloqui prima dell'insediamento del nuovo governo a ottobre, ma si è rivelata un'idea troppo ambiziosa.

L'Unione Europea vuole il minerale di nichel indonesiano per le sue industrie siderurgiche e automobilistiche, ma l'Indonesia ne ha vietato l'esportazione, cosa che l'UE ha contestato con successo presso l'OMC.

Giacarta chiede anche maggiore libertà nell'ambito dell'EUDR, che mira a impedire la bonifica di terreni forestali per la coltivazione, con un conseguente impatto sulla sua industria dell'olio di palma.

L'UE non cede.

 

Ci sono possibilità che ciò accada presto?

Dopo un 19° round inconcludente lo scorso luglio, non è ancora stato pianificato un 20° round.

Il numero di round svolti dimostra quanto sia diventato lungo il processo, con una zona di atterraggio per un accordo che sfugge ai negoziatori da quasi un decennio.

 

Asia sud-orientale (Filippine, Malesia, Thailandia).

Perché è importante?

 L'UE sta anche intensificando gli sforzi per rafforzare i legami con le altre nazioni ASEAN, riprendendo i negoziati commerciali in stallo con Malesia, Thailandia e Filippine.

Tutti questi paesi annoverano l'UE tra i loro principali partner commerciali.

 Questa spinta arriva mentre il blocco cerca di recuperare terreno rispetto a rivali come Cina e Stati Uniti nella regione.

 

Con un mercato di oltre 660 milioni di consumatori, l'”ASEAN,” composta da 10 nazioni, è il terzo partner commerciale dell'UE al di fuori dell'Europa, dopo Stati Uniti e Cina.

La Malesia è anche membro del “CPTPP”, il che potrebbe rafforzare la spinta dell'UE a perseguire l'adesione, dato che il Regno Unito è già membro dell'alleanza commerciale.

 

Cosa lo frena?

I disaccordi sull'industria malese dell'olio di palma, la seconda al mondo, hanno portato le due parti a sospendere l'accordo nel 2013 – come con l'Indonesia, l'EUDR è diventato un punto di stallo, insieme alle preoccupazioni sulle pratiche sostenibili.

Nel caso delle Filippine, le preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani commesse dal precedente Primo Ministro “Rodrigo Duterte£ e l'ostilità verso l'Occidente hanno posto fine ai colloqui, ripresi nel 2023 dopo le dimissioni di Duterte.

Analogamente, un colpo di stato militare in Thailandia nel 2014 ha portato l'UE a sospendere le discussioni.

 

Ci sono possibilità che ciò accada presto?

Il Primo Ministro malese “Anwar Ibrahim” ha visitato Bruxelles a gennaio per sollecitare un accordo.

Bruxelles prevede che un primo round di negoziati si svolga prima dell'estate o più avanti nel 2025.

Il Ministro del Commercio malese, “Tengku Zafrul,” prevede che i colloqui si concludano l'anno prossimo.

 

I colloqui per l'accordo di libero scambio (FTA) con Filippine e Thailandia stanno procedendo, con i prossimi round previsti per giugno:

 Bruxelles ospiterà i colloqui con le Filippine, mentre una delegazione dell'UE si recherà a Bangkok per i negoziati con la Thailandia.

Diversi capitoli di ciascun negoziato sono già stati concordati provvisoriamente.

 

 

 

Dalla meritocrazia all'eliminazione di DEI

(Diversità, Equità e Inclusione):

il presidente Trump deve micro gestire

il potere esecutivo mentre lo Stato profondo

viene messo in ginocchio. 

Allnewspipeline.com - SE Gunn PhD - Tutte le notizie Pipeline – (25 aprile 2025) – ci dice:

 

Il Presidente Trump ha firmato tre Proclami e sette Ordini Esecutivi (EO) il 23 aprile 2025.

Storicamente, i Presidenti degli Stati Uniti d'America hanno emesso proclami per l'osservanza di giorni speciali o eventi di interesse nazionale.

 Wikipedia fornisce un elenco di giorni, settimane e mesi speciali riconosciuti ogni anno da un Proclama Presidenziale.

Le Proclamazioni:

1. Giornate del Ricordo delle Vittime dell'Olocausto, 2025.

  Il Congresso, nel 1979, ha istituito le Giornate del Ricordo delle Vittime dell'Olocausto, un periodo di 8 giorni che va dalla domenica precedente alla domenica successiva allo Yom HaShoah ebraico (Giorno del Ricordo dell'Olocausto), istituito nel 1951 e promulgato dalla Knesset nel 1959.

Ogni anno, il Presidente degli Stati Uniti emette un proclama che identifica le date in cui si terrà questa commemorazione.

 

ORA, PERTANTO, IO, DONALD J. TRUMP, Presidente degli Stati Uniti d'America, chiedo con la presente al popolo degli Stati Uniti di osservare le Giornate del Ricordo delle Vittime dell'Olocausto dal 20 al 27 aprile 2025 e il solenne anniversario della liberazione dei campi di sterminio nazisti con studi, preghiere e commemorazioni appropriate e di onorare la memoria delle vittime dell'Olocausto e della persecuzione nazista ricordando le lezioni di questa atrocità affinché non si ripeta mai più.

2. SETTIMANA DEI PARCHI NAZIONALI, 2025.  

Il presidente Herbert Hoover istituì il sistema dei Parchi Nazionali il 12 aprile 1929 tramite proclama.

 Il presidente Trump ha proclamato per la prima volta la Settimana dei Parchi Nazionali nel 2017 per commemorare il secondo secolo di attività del National Park Service.

Il presidente Biden ha continuato a promuovere la Settimana dei Parchi Nazionali durante la sua amministrazione.

 

ORA, PERTANTO, IO, DONALD J. TRUMP, Presidente degli Stati Uniti d'America, in virtù dell'autorità conferitami dalla Costituzione e dalle leggi degli Stati Uniti, proclamo dal 19 al 27 aprile 2025 la Settimana dei Parchi Nazionali.

 Incoraggio tutti gli americani a celebrare i nostri parchi nazionali, approfondendo la conoscenza del patrimonio naturale e storico che appartiene a ogni singolo cittadino degli Stati Uniti d'America.

 

3. SETTIMANA NAZIONALE DEL VOLONTARIATO, 2025. 

La Settimana nazionale del volontariato è riconosciuta in molti paesi e negli Stati Uniti è stata istituita tramite proclama presidenziale fin dal 1974, quando l'allora presidente Richard Nixon firmò il primo proclama della Settimana nazionale del volontariato .

 

ORA, PERTANTO, IO, DONALD J. TRUMP, Presidente degli Stati Uniti d'America, in virtù dell'autorità conferitami dalla Costituzione e dalle leggi degli Stati Uniti, proclamo dal 20 al 26 aprile 2025 Settimana Nazionale del Volontariato.

 Invito tutti gli americani a osservare questa settimana offrendo volontariato in progetti di servizio in tutto il nostro Paese e impegnandosi a rendere il servizio parte integrante della loro vita quotidiana.

Se la tua scuola (scuola materna, scuola professionale, college o università) sta ancora promuovendo l'obbligo vaccinale contro il Covid-19, vorrai sapere:

 

 Il 15 febbraio 2025, l'EO " Mantenere l'istruzione accessibile e porre fine agli obblighi vaccinali contro il Covid-19 nelle scuole" afferma:

 

Alcuni distretti scolastici e università continuano a costringere bambini e giovani adulti a vaccinarsi contro il COVID-19, condizionando la loro istruzione a tale vaccino, e altri potrebbero reintrodurre tali obblighi.

Genitori e giovani adulti dovrebbero essere informati sui rischi remoti di malattie gravi associate al COVID-19 per bambini e giovani adulti, nonché su come tali rischi possano essere mitigati attraverso diverse misure, e dovrebbero essere lasciati liberi di prendere le proprie decisioni di conseguenza.

Dato il rischio incredibilmente basso di malattie gravi da COVID-19 per bambini e giovani adulti, minacciare di escluderli dall'istruzione è una violazione intollerabile della libertà personale.

Tali obblighi usurpano l'autorità genitoriale e gravano sugli studenti di diverse religioni.

È politica della mia Amministrazione che i fondi federali discrezionali non debbano essere utilizzati per sostenere o sovvenzionare, direttamente o indirettamente, un'agenzia di servizi educativi, un'agenzia educativa statale, un'agenzia educativa locale, una scuola elementare, una scuola secondaria o un istituto di istruzione superiore che richieda agli studenti di aver ricevuto il vaccino contro il COVID-19 per partecipare a qualsiasi programma educativo in presenza.

Entro 90 giorni:

Il Segretario dell'Istruzione, in consultazione con il Segretario della Salute e dei Servizi Umani, fornirà al Presidente, tramite l'Assistente del Presidente per la Politica Interna, un piano per porre fine agli obblighi scolastici coercitivi legati al COVID-19, in conformità con la legge applicabile e includendo, ove opportuno, qualsiasi proposta di legge.

 

I decreti esecutivi riguardanti college e università:

 

1. L'INIZIATIVA DELLA CASA BIANCA PER PROMUOVERE L'ECCELLENZA E L'INNOVAZIONE NEI COLLEGE E NELLE UNIVERSITÀ STORICAMENTE  NERE dichiara:

 

La politica della mia amministrazione è quella di supportare gli HBCU nei seguenti ambiti:

 sviluppo del pieno potenziale dell'America; promozione di maggiori e migliori opportunità nell'istruzione superiore; fornitura di un'istruzione della massima qualità; ottenimento di pari opportunità di partecipazione ai programmi federali; garanzia che gli americani con istruzione universitaria siano in grado di promuovere il bene comune in patria e all'estero; e rendere la nostra nazione più competitiva a livello globale.

E stabilisce:

L'iniziativa sui college e le università storicamente neri (Iniziativa), ospitata nell'ufficio esecutivo del Presidente e guidata da un direttore esecutivo designato dal Presidente... collaborerà con i dipartimenti e le agenzie esecutive (agenzie), il Consiglio consultivo del Presidente sui college e le università storicamente neri istituito nella sezione 4 del presente ordine, datori di lavoro del settore privato, associazioni educative, organizzazioni filantropiche e altri partner per aumentare la capacità degli HBCU di fornire un'istruzione di altissima qualità a un numero crescente di studenti.

Con due missioni principali:

(i) aumentare il ruolo del settore privato, incluso il ruolo delle fondazioni private... (ii) migliorare le capacità degli HBCU di servire i giovani adulti della nostra nazione.

 

2. RIFORMARE L'ACCREDITAMENTO PER RAFFORZARE L'ISTRUZIONE SUPERIORE:  propone che gli attuali enti di accreditamento valutino i college e le università su fattori diversi dal merito, con molte scuole esigenti per

... dimostrare con azioni concrete un impegno per la diversità e l'inclusione", incluso "impegnandosi ad avere un corpo studentesco [e docente] diversificato rispetto a genere, razza ed etnia".

Come ha concluso il Procuratore Generale e informato il Consiglio, il requisito discriminatorio viola palesemente la sentenza della Corte Suprema nel caso Students for Fair Admissions, Inc. contro President and Fellows of Harvard College, 600 US 181 (2023). S

ebbene il Consiglio ne abbia successivamente sospeso l'applicazione in attesa di revisioni proposte, questo standard e simili obblighi illegittimi devono essere definitivamente sradicati.

 

Questo compito EO.

 

Il Procuratore Generale e il Segretario dell'Istruzione, ove appropriato e in conformità con la legge applicabile, dovranno indagare e adottare misure appropriate per porre fine alle discriminazioni illecite da parte delle scuole di medicina americane promosse dal Consiglio, inclusi i requisiti illeciti di "diversità, equità e inclusione" sotto l'egida di standard di accreditamento.

 Il Segretario dell'Istruzione valuterà inoltre se sospendere o revocare lo status del Consiglio come ente di accreditamento ai sensi della legge federale.

 Il Procuratore Generale e il Segretario dell'Istruzione, in consultazione con il Segretario della Salute e dei Servizi Umani, dovranno indagare e adottare misure appropriate per porre fine alle discriminazioni illecite da parte delle scuole di medicina americane o degli enti di formazione medica universitaria promosse dal Comitato di Collegamento per la Formazione Medica o dall'Accreditation Council for Graduate Medical Education o da altri enti di accreditamento della formazione medica universitaria, inclusi i requisiti illeciti di "diversità, equità e inclusione" sotto l'egida di standard di accreditamento.

 Il Segretario dell'Istruzione valuterà inoltre se sospendere o revocare lo status del Comitato o del Consiglio di accreditamento come agenzia di accreditamento ai sensi della legge federale o adottare altre misure appropriate per garantire una condotta lecita da parte delle scuole di medicina, dei programmi di formazione medica universitaria e di altre entità che ricevono finanziamenti federali per la formazione medica.

Avendo preso parte all'assurdità del processo di accreditamento per le scuole K-12, spero che questo EO abbia un impatto sul ritorno alle valutazioni dell'istruzione basate sul merito!

 

3. TRASPARENZA RIGUARDO ALL'INFLUENZA STRANIERA NELLE UNIVERSITÀ AMERICANE  dichiara

La Sezione 117 dell'Higher Education Act del 1965, 20 USC 1011f, impone agli istituti di istruzione superiore di segnalare fonti significative di finanziamenti esteri.

Tuttavia, poiché la Sezione 117 non è stata applicata in modo rigoroso, i veri importi, le fonti e le finalità dei flussi di denaro estero verso i campus americani sono sconosciuti.

Dal 2010 al 2016, secondo uno studio, le università non hanno dichiarato più della metà delle donazioni estere da dichiarare.

Anche quando i finanziamenti esteri vengono dichiarati, le loro vere fonti sono spesso nascoste.

La tutela degli interessi americani in ambito educativo, culturale e di sicurezza nazionale richiede trasparenza in merito ai fondi esteri che fluiscono verso istituti di istruzione superiore e di ricerca americani.

Durante il mio primo mandato, il Dipartimento dell'Istruzione ha avviato indagini su 19 campus dal 2019 al 2021, che hanno portato le università a segnalare 6,5 miliardi di dollari di fondi esteri precedentemente non dichiarati.

 Eppure, la precedente amministrazione ha vanificato questo lavoro, trasferendo il lavoro investigativo specializzato del Dipartimento dell'Istruzione sui fondi esteri a un'unità mal equipaggiata per svolgerlo, indebolendo le indagini e ostacolando l'accesso del pubblico alle informazioni su donazioni e contratti esteri.

La politica della mia amministrazione è porre fine alla segretezza che circonda i fondi esteri nelle istituzioni educative americane, proteggere il mercato delle idee dalla propaganda sponsorizzata da governi stranieri e salvaguardare gli studenti e la ricerca americani dallo sfruttamento straniero.

 

Questo EO ordina:

 

Il Segretario dell'Istruzione (Segretario) adotterà tutte le misure appropriate per far rispettare i requisiti della sezione 1011f del titolo 20 del Codice degli Stati Uniti, anche collaborando con il Procuratore Generale e i responsabili di altri dipartimenti esecutivi, agenzie e uffici, ove appropriato, per richiedere la divulgazione completa e tempestiva da parte degli istituti di istruzione superiore dei finanziamenti esteri.

 Il Segretario dell'Istruzione e i responsabili di altri dipartimenti esecutivi e agenzie appropriati adotteranno misure appropriate, in conformità con la legge applicabile, per garantire in futuro che la certificazione di conformità da parte degli istituti di istruzione superiore al 20 USC 1011f e a qualsiasi altro requisito applicabile di divulgazione dei finanziamenti esteri sia rilevante ai fini del 31 USC 3729 e per la ricezione di fondi di sovvenzione federali appropriati, che non saranno forniti in caso di non conformità al 20 USC 1011f e a qualsiasi altro requisito applicabile di divulgazione dei finanziamenti esteri.

 

È interessante notare che l'EO sul ripristino del condono dei prestiti per il servizio pubblico del 7 marzo 2025 ripristina il condono dei prestiti studenteschi attraverso il "servizio pubblico", ma ordina:

Il Segretario dell'Istruzione proporrà revisioni al 34 CFR 685.219, Programma di condono dei prestiti per il servizio pubblico, in coordinamento con il Segretario del Tesoro, se del caso, che garantiscano che la definizione di "servizio pubblico" escluda le organizzazioni che si impegnano in attività che hanno uno scopo illegale sostanziale.

Credo che se college o università ricevono finanziamenti da fonti straniere, il loro "aiuto" federale dovrebbe essere ridotto dello stesso importo.

Forse si potrebbe anche prevedere una qualche responsabilità per i college in caso di inadempienze nei prestiti studenteschi?

I decreti esecutivi riguardanti le scuole K-12:

 4. PROMUOVERE L'EDUCAZIONE ALL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE [IA] PER I GIOVANI AMERICANI

 istituisce una Task Force per l'Istruzione sull'IA presieduta dal Direttore dell'Ufficio per le Politiche Scientifiche e Tecnologiche, con la partecipazione dei Segretari dei Dipartimenti dell'Agricoltura, del Lavoro, dell'Energia, dell'Istruzione e della National Science Foundation (NSF); nonché dell'Assistente del Presidente per la Politica Interna; del Consigliere Speciale per l'IA e la Criptovaluta; dell'Assistente del Presidente per la Politica; e dei responsabili di altri dipartimenti e agenzie esecutive (agenzie) e uffici che il Presidente può designare o invitare a partecipare. Lo scopo della Task Force è quello di implementare:

 

La politica degli Stati Uniti è quella di promuovere la conoscenza e la competenza in materia di intelligenza artificiale tra gli americani, promuovendo un'adeguata integrazione dell'intelligenza artificiale nell'istruzione, offrendo una formazione completa sull'intelligenza artificiale per gli educatori e favorendo un'esposizione precoce ai concetti e alle tecnologie dell'intelligenza artificiale per sviluppare una forza lavoro pronta per l'intelligenza artificiale e la prossima generazione di innovatori americani in materia di intelligenza artificiale.

 

La task force ha fino a 90 giorni per:

 

... stabilire piani per una sfida presidenziale sull'intelligenza artificiale (Sfida) e le agenzie rappresentate nella task force dovranno, ove appropriato e in conformità con la legge applicabile, attuare i piani organizzando la sfida entro e non oltre 12 mesi dalla presentazione del piano. ... fornire risorse per l'istruzione in materia di intelligenza artificiale dalla scuola materna alle superiori ... utilizzare gli impegni del settore e identificare eventuali meccanismi di finanziamento federali, comprese sovvenzioni discrezionali, che possono essere utilizzati per fornire risorse per l'istruzione in materia di intelligenza artificiale dalla scuola materna alle superiori ...

La task force ha fino a 120 giorni per:

 

... "dare priorità all'uso dell'IA nei programmi di sovvenzioni discrezionali per la formazione degli insegnanti autorizzati dall'Elementary and Secondary Education Act del 1965 (Legge pubblica 89-10), come modificato, e dal Titolo II dell'Higher Education Act del 1965 (Legge pubblica 89-329), come modificato" ... aumentare la partecipazione agli apprendistati registrati correlati all'IA ... tutte le agenzie che forniscono sovvenzioni per l'istruzione dovranno, ove appropriato e in conformità con la legge applicabile, considerare l'IA come un'area prioritaria all'interno delle borse di studio federali esistenti per i programmi di servizio ...

 

Penso che questo faccia parte delle raccomandazioni del Consiglio dei consulenti del Presidente per la scienza e la tecnologia istituito dall'EO il 23 gennaio 2025, in cui il consiglio/task force dovrà:

 

...consigliare il Presidente su questioni relative a scienza, tecnologia, istruzione e politica dell'innovazione. I

l Consiglio fornirà inoltre al Presidente le informazioni scientifiche e tecniche necessarie per orientare le politiche pubbliche relative all'economia americana, ai lavoratori americani, alla sicurezza nazionale e nazionale e ad altri argomenti.

 

Con l'afflusso di aziende tecnologiche che promettono miliardi di dollari di investimenti per lo sviluppo tecnologico negli Stati Uniti, queste avranno bisogno di molti lavoratori.

Nel mio articolo sull'ANP "  Questa NON è la prima volta che il Dipartimento Federale dell'Istruzione è stato ridotto al minimo assoluto - Fondamenti Storici del Fallimento dell'Istruzione Pubblica"  del 13 marzo 2025, lo scopo originario dell'istruzione pubblica non era educare, ma creare lavoratori che non mettessero in discussione l'autorità, seguissero le regole stabilite per loro, imponessero "l'uniformità di pensiero", "correggendo l'individualismo dello Spirito Americano" e soddisfacessero le esigenze occupazionali delle aziende.

Gli attuali leader aziendali hanno ora un filo diretto con il Presidente per influenzare le politiche attraverso il consiglio/task force.

Vedo che il Presidente Trump riconosce la necessità di indirizzare il sistema educativo verso l'integrazione di programmi di insegnamento dell'IA, altrimenti la stragrande maggioranza degli insegnanti non lo farebbe di propria iniziativa.

Forse possono sostituire tutte quelle assurdità "woke" con un programma di insegnamento incentrato sull'IA, oltre a tornare a insegnare a leggere, scrivere e fare di conto.

 

5. RIPRISTINO DELLE POLITICHE DISCIPLINARI SCOLASTICHE DI BUON SENSO  propone:

Il governo federale non tollererà più i rischi noti per la sicurezza e il benessere dei bambini in classe derivanti dall'applicazione di una disciplina scolastica basata su un'ideologia di "equità" discriminatoria e illegale.

Questo EO concede 30 giorni al Segretario dell'Istruzione, in consultazione con il Procuratore Generale, per:

... emettere nuove linee guida per le agenzie educative locali (LEA) e per le agenzie educative statali (SEA) in merito alla disciplina scolastica e ai loro obblighi di non commettere discriminazioni razziali ai sensi del Titolo VI in tutti i contesti, inclusa la disciplina scolastica.

 

Entro 60 giorni:

... il Segretario dell'Istruzione e il Procuratore generale avvieranno il coordinamento con i governatori e i procuratori generali degli Stati in merito alla prevenzione della discriminazione razziale nell'applicazione della disciplina scolastica.

 

Entro 90 giorni:

 

... il Segretario della Difesa emanerà un codice disciplinare scolastico rivisto che tuteli e migliori adeguatamente l'istruzione dei figli delle famiglie dei militari americani.

 

Entro 120 giorni:

 

... il Segretario dell'Istruzione, in coordinamento con il Procuratore Generale, il Segretario della Salute e dei Servizi Umani e il Segretario della Sicurezza Interna, presenterà un rapporto al Presidente, tramite l'Assistente del Presidente per la Politica Interna, in merito allo stato delle tecniche di disciplina scolastica e di modifica del comportamento basate sull'ideologia discriminatoria-equitaria nell'istruzione pubblica americana.

 

Questo EO sembra essere un'estensione dell'EO del 29 gennaio 2025 " Ampliare la libertà educativa e le opportunità per le famiglie ,"  che ripristina la Commissione consultiva del Presidente del 1776 e promuove l'educazione patriottica.

 

La Commissione consultiva del Presidente del 1776 ("Commissione del 1776"), creata dall'Ordine esecutivo 13958 del 2 novembre 2020 ,

e stabilisce la politica amministrativa attuale

... per supportare i genitori nella scelta e nella direzione dell'educazione e dell'istruzione dei propri figli.

 

Entro 60 giorni:

. . . Il Segretario dell'Istruzione dovrà emanare delle linee guida su come gli Stati possono utilizzare i fondi federali per sostenere le iniziative che favoriscono la scelta educativa per la scuola materna e superiore.

Entro 90 giorni:

... Il Segretario della Salute e dei Servizi Umani emanerà delle linee guida in merito a se e come gli Stati che ricevono sovvenzioni a somma fissa per famiglie e bambini dal Dipartimento, tra cui la sovvenzione a somma fissa per l'assistenza all'infanzia e lo sviluppo (CCDGB), possano utilizzarle per ampliare la scelta educativa e supportare le famiglie che scelgono alternative educative agli enti governativi, tra cui opzioni private e religiose. ... Il Segretario della Difesa esaminerà tutti i meccanismi disponibili in base ai quali le famiglie legate ai militari possono utilizzare i fondi del Dipartimento della Difesa per frequentare le scuole di loro scelta, tra cui scuole private, religiose o pubbliche charter, e presenterà al Presidente un piano che descriva tali meccanismi e i passaggi necessari per implementarli a partire dall'anno scolastico 2025-26. ... Il Segretario degli Interni esaminerà tutti i meccanismi disponibili in base ai quali le famiglie degli studenti idonei a frequentare le scuole BIE possono utilizzare i loro finanziamenti federali per opzioni educative di loro scelta, tra cui scuole private, religiose o pubbliche charter, e presenterà al Presidente un piano che descriva tali meccanismi e i passaggi necessari per implementarli per l'anno scolastico 2025-26. Il Segretario riferirà sui risultati attuali delle scuole BIE e individuerà le opzioni educative nelle aree vicine. 

 

Sebbene il presente EO sulla disciplina sia rivolto al Dipartimento federale dell'istruzione, l'EO Migliorare i risultati scolastici dando potere ai genitori, agli stati e alle comunità del 20 marzo 2025 ordina al Segretario dell'istruzione di adottare tutte le misure necessarie per chiudere il Dipartimento federale dell'istruzione e restituire l'autorità sull'istruzione agli stati.

Poiché le scuole conoscono i tipi di problemi disciplinari che hanno nel campus, possono elaborare una conseguenza standard per ogni comportamento. Questo standard deve quindi essere applicato equamente a tutti gli studenti. Lo psicologo BF Skinner ha definito queste procedure di modifica del comportamento "rinforzo" nella sua teoria del condizionamento operante. Che il rinforzo sia considerato positivo o negativo (premio/punizione) dipende dall'individuo che lo riceve. Nelle scuole primarie e secondarie, la maggior parte delle modifiche comportamentali è di natura negativa.

 

6. PREPARARE GLI AMERICANI AI LAVORI QUALIFICATI E ALTAMENTE RETRIBUITI DEL FUTURO dichiara:

 

È politica degli Stati Uniti ottimizzare e indirizzare gli investimenti federali nello sviluppo della forza lavoro per allinearli alle esigenze di reindustrializzazione del nostro Paese e fornire ai lavoratori americani gli strumenti necessari per soddisfare la crescente domanda di mestieri qualificati e altre professioni. La mia Amministrazione continuerà a proteggere e rafforzare gli apprendistati registrati e a fare leva sui loro successi per cogliere nuove opportunità e liberare il potenziale illimitato dei lavoratori americani.

Entro 90 giorni:

 

... il Segretario del Lavoro, il Segretario del Commercio e il Segretario dell'Istruzione esamineranno tutti i programmi federali di sviluppo della forza lavoro e sottoporranno all'Assistente del Presidente per la Politica Interna e al Direttore dell'Ufficio di Gestione e Bilancio una relazione che definisca le strategie per aiutare i lavoratori americani.

 

Entro 120 giorni:

il Segretario del Lavoro, il Segretario del Commercio e il Segretario dell'Istruzione presenteranno all'Assistente del Presidente per la Politica Interna e al Direttore dell'Ufficio di Gestione e Bilancio un piano per raggiungere e superare 1 milione di nuovi apprendisti attivi.

 

Richiede anche:

 

Il Segretario del Lavoro, il Segretario del Commercio e il Segretario dell'Istruzione dovranno migliorare la trasparenza sui risultati delle prestazioni dei programmi di sviluppo della forza lavoro e sulle qualifiche sostenute tramite investimenti federali, compresi i dati su guadagni e occupazione, per tutti i programmi federali di sviluppo della forza lavoro.

Il problema di questo approccio è che i corsi opzionali, ovvero "mestieri qualificati e altre professioni", sono programmi molto costosi da implementare. Non si possono semplicemente ammassare più di 70 studenti in un'aula con un solo insegnante che fa lezione. Questi programmi richiedono attrezzature (saldatura, falegnameria, elettronica, idraulica, meccanica, corsi di cucina, infermieristica, informatica, ecc.) e insegnanti esperti (che guadagnano di più lavorando sul serio piuttosto che sopportare l'assurdità dell'istruzione per una frazione del reddito), oltre ad aule più grandi e classi più piccole. Inoltre, la maggior parte delle scuole del mio distretto ha eliminato tutti i programmi "mestieri qualificati e altre professioni" perché gli studenti non "superavano" gli esami standardizzati né superavano i corsi obbligatori, il che richiede corsi di recupero al posto dei corsi opzionali.

 

L'ordine esecutivo riguardante la rimozione della Diversità, Equità e Inclusione (DEI) dall'intero governo:

 

7. IL RIPRISTINO DELLA PARITÀ DI OPPORTUNITÀ E DELLA MERITOCRAZIA rimuove la DEI da tutte le politiche, normative, linee guida, regole e ordini governativi:

La politica degli Stati Uniti è quella di eliminare il più possibile l'uso della responsabilità per impatto disparato in tutti i contesti, per evitare di violare la Costituzione, le leggi federali sui diritti civili e gli ideali americani fondamentali.

 

Stabilisce 30 giorni affinché il Procuratore Generale, in coordinamento con i responsabili di tutte le altre agenzie, riferisca al Presidente, tramite l'Assistente del Presidente per la Politica Interna, per esaminare

 

(i) tutte le normative, linee guida, norme o ordini esistenti che impongono responsabilità per impatto disparato o requisiti simili, e specificano le misure adottate dall'agenzia per la loro modifica o abrogazione, come appropriato ai sensi della legge applicabile; e (ii) altre leggi o decisioni, anche a livello statale, che impongono responsabilità per impatto disparato e qualsiasi misura appropriata per affrontare eventuali infermità costituzionali o di altro tipo.

 

Questo ordine esecutivo stabilisce 45 giorni per il Procuratore generale e il Presidente della Commissione per le pari opportunità di lavoro per

 

... valutare tutte le indagini pendenti, le cause civili o le posizioni assunte in questioni in corso ai sensi di ogni legge federale sui diritti civili nelle rispettive giurisdizioni, incluso il Titolo VII del Civil Rights Act del 1964, che si basano su una teoria di responsabilità per impatto disparato, e adottare misure appropriate rispetto a tali questioni in linea con la politica del presente ordine. 

 

Stabilisce 45 giorni per :

 

... il Procuratore generale, il Segretario per l'edilizia abitativa e lo sviluppo urbano, il Direttore del Consumer Financial Protection Bureau, il Presidente della Federal Trade Commission e i responsabili di altre agenzie responsabili dell'applicazione dell'Equal Credit Opportunity Act (Legge pubblica 93-495), del Titolo VIII del Civil Rights Act del 1964 (Fair Housing Act (Legge pubblica 90-284, come modificato)), o delle leggi che proibiscono atti o pratiche ingiuste, ingannevoli o abusive valuteranno tutti i procedimenti pendenti che si basano su teorie di responsabilità per impatto disparato e adotteranno misure appropriate rispetto a tali questioni, in linea con la politica del presente ordine.

 

Stabilisce 90 giorni per tutte le agenzie per:

... valutare le sentenze consensuali esistenti e le ingiunzioni permanenti che si basano su teorie di responsabilità per impatto disparato e adottare misure appropriate rispetto a tali questioni, in linea con la politica di questo ordine.

 

Questo è il quarto ordine esecutivo emesso dal Presidente Trump, insieme a un memorandum datato 19 marzo 2025, in merito alla DEI.

 

 L'Ordine  Esecutivo del 20 gennaio 2025, che pone fine ai programmi DEI e alle preferenze governative radicali e dispendiose,  ha posto fine all'Ordine Esecutivo 13985 "Promuovere l'equità razziale e il sostegno alle comunità svantaggiate attraverso il governo federale" dell'amministrazione Biden.

Questo Ordine Esecutivo ha incaricato :

 

Il Direttore dell'Ufficio di Gestione e Bilancio (OMB), assistito dal Procuratore Generale e dal Direttore dell'Ufficio di Gestione del Personale (OPM), coordinerà la cessazione di tutti i programmi discriminatori, inclusi mandati, politiche, programmi, preferenze e attività illegali in materia di DEI e "diversità, equità, inclusione e accessibilità" (DEIA) nel Governo Federale, qualunque ne sia la denominazione. Per attuare la presente direttiva, il Direttore dell'OPM, con l'assistenza del Procuratore Generale su richiesta, esaminerà e modificherà, ove opportuno, tutte le pratiche di assunzione federali, i contratti sindacali e le politiche o i programmi di formazione esistenti per conformarsi al presente ordine. Le pratiche di assunzione federali, comprese le valutazioni delle prestazioni dei dipendenti federali, premieranno l'iniziativa individuale, le competenze, le prestazioni e il duro lavoro e non terranno in alcun caso conto di fattori, obiettivi, politiche, mandati o requisiti DEI o DEIA.

 L'EO RIFORMA IL PROCESSO DI ASSUNZIONE FEDERALE E RIPRISTINO DEL MERITO NEL SERVIZIO GOVERNATIVO  del 20 gennaio 2025 stabilisce una nuova politica di assunzione:

I cittadini americani meritano una forza lavoro federale eccellente ed efficiente che attragga funzionari pubblici di altissimo livello, impegnati a realizzare la libertà, la prosperità e il governo democratico che la nostra Costituzione promuove. Tuttavia, le attuali pratiche di assunzione federali sono inefficaci, insulari e obsolete. Non si concentrano più sul merito, sulle competenze pratiche e sulla dedizione alla nostra Costituzione. Le assunzioni federali non dovrebbero basarsi su fattori inammissibili, come l'impegno a favore di una discriminazione razziale illegale sotto la maschera dell'"equità", o l'adesione al concetto inventato di "identità di genere" rispetto al sesso. Inserire tali fattori nel processo di assunzione sovverte la volontà del popolo, mette a rischio funzioni governative cruciali e rischia di perdere i candidati più qualificati. Rendendo i nostri processi di reclutamento e assunzione più efficienti e focalizzati sul servizio alla Nazione, garantiremo che la forza lavoro federale sia pronta a contribuire al raggiungimento della grandezza americana e ad attrarre i talenti necessari per servire efficacemente i nostri cittadini. Migliorando significativamente i principi e le pratiche di assunzione, gli americani riceveranno le risorse e i servizi federali che meritano dalla forza lavoro federale più qualificata al mondo.

 

 L'EO che pone fine alla discriminazione illegale e ripristina le opportunità basate sul merito  del 21 gennaio 2025 revoca gli EO e i memorandum e dispone che la nuova politica sia:

 

È politica degli Stati Uniti proteggere i diritti civili di tutti gli americani e promuovere l'iniziativa individuale, l'eccellenza e il duro lavoro. Pertanto, ordino a tutti i dipartimenti esecutivi e alle agenzie (agenzie) di porre fine a tutte le preferenze, i mandati, le politiche, i programmi, le attività, le linee guida, i regolamenti, le azioni esecutive, gli ordini di consenso e i requisiti discriminatori e illegali. Ordino inoltre a tutte le agenzie di far rispettare le nostre leggi sui diritti civili di lunga data e di contrastare le preferenze, i mandati, le politiche, i programmi e le attività illegali in materia di DEI del settore privato.

 

 Il Memorandum   del 19 marzo 2025 sulla rimozione della discriminazione e dell'ideologia dell'equità discriminatoria dal servizio estero stabilisce:

 

... le assunzioni per posizioni di politica estera, come quelle in tutte le altre funzioni del Governo, saranno basate esclusivamente sul merito. ...  Il Segretario di Stato, in conformità con la legge applicabile, dovrà prontamente rivedere i Criteri decisionali 2022-2025 per la permanenza in carica e la promozione nel Servizio Estero, emanati ai sensi della sezione 2326.2 del titolo 3 del Manuale degli Affari Esteri, per rimuovere qualsiasi riferimento al Precetto Fondamentale intitolato "Diversità, Equità, Inclusione e Accessibilità". I Segretari dovranno tempestivamente intimare a tutti i dipendenti dei loro Dipartimenti di non dare a questo Precetto Fondamentale alcuna forza o effetto.

 

Inoltre, l'EO del 29 gennaio 2025, che pone fine all'indottrinamento radicale nella scuola K-12, ha ordinato:

 

La mia amministrazione farà rispettare la legge per garantire che i beneficiari dei fondi federali che forniscono l'istruzione K-12 rispettino tutte le leggi applicabili che vietano la discriminazione in vari contesti e proteggono i diritti dei genitori, tra cui il Titolo VI del Civil Rights Act del 1964 (Titolo VI), 42 USC 2000d e seguenti; Titolo IX, 20 USC 1681 e seguenti; FERPA, 20 USC 1232g; e PPRA, 20 USC 1232h.

 

Entro 90 giorni:

 

... il Segretario dell'Istruzione, il Segretario della Difesa e il Segretario della Salute e dei Servizi Umani, in consultazione con il Procuratore Generale, forniranno al Presidente, tramite l'Assistente del Presidente per la Politica Interna, una Strategia per porre fine all'indottrinamento, contenente raccomandazioni e un piano

 

Ovviamente, lo Stato profondo è costretto a seguire la "lettera" di ogni direttiva, anziché il suo "spirito". Se avessero seguito lo "spirito", l'ordine esecutivo che poneva fine alla DEI, emesso il 20 gennaio 2025, sarebbe stato sufficiente a eliminare la DEI da tutto il governo. Tuttavia, sembra che il Presidente Trump debba micro gestire l'Esecutivo. Prima intimando loro di smettere di usare l'"identità di genere" nelle assunzioni, poi intimando loro di "ripristinare il merito" nel processo di assunzione, e ora di esaminare tutta la burocrazia per eliminare la DEI dai documenti governativi. È come se gli agenti dello Stato profondo si comportassero come bambini volontariamente disobbedienti. Il genitore dice "non puoi andare al supermercato in macchina" e il figlio ci va. Quando il genitore dice "Ho detto che non potevi andare al supermercato", il figlio risponde "no, hai detto che non potevo andare al supermercato in macchina, quindi sono andato a piedi (o ho preso l'autobus o ho chiamato un amico)".

I dipendenti pubblici che si oppongono all'esecuzione da parte dell'amministrazione Trump della VOLONTÀ DEI CITTADINI che lo hanno eletto per fare queste cose devono essere licenziati immediatamente.

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