La tecnologia artificiale.
La
tecnologia artificiale.
Intelligenza
Artificiale.
Agendadigitale.eu
– (22-05 -2025) – Redazione – ci dice:
Cosa
si intende con Intelligenza Artificiale e quali sono le norme che la
regolamentano.
Tutto
sull'intelligenza artificiale.
L’intelligenza
artificiale (AI o anche Artificial intelligence) è una tecnologia informatica
che rivoluziona il modo con cui l'uomo interagisce con la macchina, e le
macchine tra di loro.
Possiamo
definire l'AI come il processo attraverso cui le macchine e i sistemi
informatici simulano i processi di intelligenza umana.
Le
applicazioni specifiche dell'IA includono sistemi come l'elaborazione del
linguaggio naturale, il riconoscimento vocale e la visione artificiale.
L'intelligenza
artificiale fornisce ad un robot qualità di calcolo che gli permettono di
compiere operazioni e "ragionamenti" complessi, fino a poco tempo fa
caratteristiche esclusive del ragionamento umano, in poco tempo.
Grazie
all'intelligenza artificiale è possibile (almeno questo l'obiettivo ultimo)
rendere le macchine in grado di compiere azioni e "ragionamenti"
complessi, imparare dagli errori, e svolgere funzioni fino ad oggi esclusive
dell'intelligenza umana.
Oggi in Italia e nel mondo l'intelligenza
artificiale viene utilizzata in azienda e non solo, per svolgere compiti che
all'uomo richiederebbero molto tempo.
Cosa
si intende con Intelligenza Artificiale?
Intelligenza
artificiale è una sezione di linguistica informatica e informatica che si
occupa della formalizzazione di problemi e compiti simili a quelli eseguiti da
una persona.
Al
giorno d'oggi si tratta di una sotto disciplina dell'informatica che si occupa
di studiare la teoria, le tecniche e le metodologie che permettono di
progettare sia i sistemi hardware che quelli software in grado di elaborare
delle prestazioni elettriche che simulano una pertinenza dell'intelligenza
umana.
Il risultato del lavoro dell'intelligenza
artificiale non dev'essere difficilmente distinguibile da quello svolto da un
umano con delle specifiche competenze.
Come
funziona l'IA?
Spesso
quando si parla o si scrive di intelligenza artificiale ci si riferisce a una
delle componenti come l 'apprendimento automatico.
Per
avere a che fare con l’AI è necessario che siano presenti sia componenti
hardware sia software specializzati per la scrittura e l'addestramento degli
algoritmi di apprendimento automatico.
I
linguaggi di programmazione, invece, non sono sinonimo di intelligenza
artificiale ma intervengono a costruire sistemi informatici e sono molto
diffusi come” Python”, “R” e “Java”.
Questo
aspetto della programmazione dell'intelligenza artificiale si concentra
sull'acquisizione di dati e sulla creazione di regole per trasformare i dati in
informazioni utilizzabili
Le regole, chiamate algoritmi, forniscono ai
dispositivi informatici istruzioni passo dopo passo su come completare un
compito specifico.
La
programmazione dell'intelligenza artificiale necessita di tre abilità cognitive:
apprendimento,
ragionamento,
autocorrezione.
In
generale, i sistemi di IA funzionano grazie al fatto che riescono a processare
enormi quantità di dati.
In
questo modo creano correlazioni e modelli usati per fare previsioni.
Questo
processo consente a un “chatbot” di produrre scambi di informazioni realistici
o a uno strumento a imparare a riconoscere le immagini.
Le
applicazioni dell'intelligenza artificiale.
L'intelligenza
artificiale (IA) sta rivoluzionando il modo in cui viviamo e lavoriamo,
trovando applicazione in un'ampia gamma di settori.
Ecco
alcune delle sue applicazioni più comuni:
“Ai”
nel settore della comunicazione.
Assistenti
virtuali:
Siri,
Alexa, Google Assistant sono solo alcuni esempi di assistenti virtuali che
utilizzano l'IA per comprendere il linguaggio naturale e rispondere alle nostre
richieste.
Traduzione
automatica:
strumenti
come “Google Translat”e sfruttano l'”IA” per tradurre testi da una lingua
all'altra in tempo reale.
Chatbot: sempre più aziende utilizzano
chatbot per il “customer service” cioè per interagire con i clienti, fornendo
assistenza e risposte a domande frequenti.
“AI”
nel settore sanitario.
Diagnosi: l'IA può analizzare immagini
mediche (radiografie, TAC, ecc.) per identificare malattie con maggiore
precisione e rapidità rispetto ai metodi tradizionali.
Sviluppo
di farmaci:
l'IA accelera il processo di scoperta e sviluppo di nuovi farmaci, analizzando
grandi quantità di dati.
Assistenza
sanitaria personalizzata: l'IA può creare piani di trattamento personalizzati per i
pazienti, basati sui loro dati genetici e sulla loro storia clinica.
“Ai”
nel settore industriale.
Robotica:
i robot
dotati di IA sono in grado di svolgere compiti complessi e ripetitivi con
maggiore precisione e flessibilità.
Manutenzione
predittiva:
l'IA può prevedere guasti ai macchinari industriali, consentendo di pianificare
la manutenzione in modo più efficiente.
Controllo
di qualità:
l'IA viene utilizzata per ispezionare prodotti e identificare difetti,
garantendo un maggiore livello di qualità.
Altri settori
in cui l'intelligenza artificiale trova applicazioni.
Finanza: l'IA viene utilizzata per la
gestione del rischio, la previsione dei mercati e la scoperta di frodi.
Trasporti: le auto a guida autonoma sono un
esempio di come l'IA stia rivoluzionando il settore dei trasporti.
Agricoltura: l'IA viene utilizzata per
monitorare le colture, ottimizzare l'irrigazione e prevedere il raccolto.
Educazione:
l'IA può
personalizzare l'apprendimento degli studenti, adattandosi ai loro bisogni individuali.
Tra le
tante applicazioni dell'intelligenza artificiale ricordiamo la più famosa che
ha reso possibile la creazione di “chatbot” sempre più sofisticati come”
ChatGPT” e “Gemini”.
Questi
modelli di linguaggio stanno rivoluzionando il modo in cui interagiamo con le
macchine, aprendo la strada a nuove e interessanti applicazioni.
Le
tecnologie artificiali.
My –
personaltrainer.it -Redazione – (16-04 -2025) – Team my-personaltrainer.it – ci
dice:
Perché
l’”AI” ci spaventa e come affrontare le paure in modo consapevole.
INDICE:
In
breve: perché l’intelligenza artificiale fa paura.
Da
dove nasce la paura dell'intelligenza artificiale?
Quali
sono i principali timori legati all'IA.
Rischi
reali o percepiti?
Che
ruolo ha l'informazione nell'alimentare l'ansia?
Etica,
regolazione e controllo: cosa si sta facendo.
Come
affrontare la paura dell'AI in modo costruttivo.
Fonti
e risorse utili per approfondire.
In
breve: perché l’intelligenza artificiale fa paura.
L'intelligenza
artificiale genera ansia e paura perché corre più veloce di noi, ed è difficile
capire dove porterà.
Alcuni
la vedono come un'opportunità da sfruttare in modo positivo, altri temono che
possa sfuggire di mano.
I
motivi principali.
Mancanza
di controllo.
Tra le
paure più comuni c'è quella che l'IA possa agire senza l'intervento umano. Fa
pensare a qualcosa che evolve da sola, magari in direzioni che non possiamo
prevedere o fermare.
Influenza
dell'immaginario.
Siamo
cresciuti con film in cui le macchine si ribellano, ed è difficile scrollarsi
di dosso quelle immagini. Anche se sono finzione, restano nella mente e
influenzano come percepiamo queste tecnologie.
Rischio
occupazionale.
Il
pensiero che un robot possa fare il nostro lavoro è scoraggiante. Non è solo
una questione economica, ma anche di identità: molte persone si definiscono
attraverso ciò che fanno.
Preoccupazioni
sulla privacy.
Sapere
che l'IA può raccogliere informazioni su di noi senza che ce ne accorgiamo
mette a disagio. Nessuno vuole sentirsi osservato, soprattutto quando non è
chiaro da chi e per quale scopo.
Questioni
etiche.
Quando
l'IA prende decisioni delicate, ci si chiede se sia giusto lasciarle fare. Il
rischio è che vengano usate per manipolare o danneggiare, senza che qualcuno ne
risponda davvero.
Difficile
da capire.
È una
tecnologia complicata, piena di termini che non tutti conoscono. E quando
qualcosa non si capisce, è naturale avere dubbi e sentire un certo distacco o
persino fastidio.
Una
riflessione utile.
È
normale avere paura dell'ignoto, e l'IA lo è per molti di noi. Ma resta uno
strumento, e siamo noi a decidere consapevolmente in che direzione usarlo e con
quali regole.
Da
dove nasce la paura dell'intelligenza artificiale?
L'intelligenza
artificiale è ormai parte della nostra vita quotidiana:
la
troviamo nei motori di ricerca, su whatsapp, nei suggerimenti musicali, nei
chatbot.
Ma se da un lato promette grandi benefici,
dall'altro suscita ansia, dubbi e timori sempre più diffusi.
C'è
chi teme che ci sostituirà, chi che ruberà dati personali, chi semplicemente
non si fida.
La
verità è che queste paure hanno radici profonde e, spesso, sono più che
comprensibili. Ma da dove nascono davvero?
Una
reazione umana davanti a qualcosa che cambia tutto.
Ogni
innovazione importante nella storia ha generato timori. È successo con
l'elettricità, con Internet, con i robot industriali. L'intelligenza
artificiale fa un salto ulteriore: non è solo uno strumento, ma qualcosa che
"prende decisioni", che analizza, genera, risponde. Questo basta a
farci sentire vulnerabili.
Perché
ci sentiamo esclusi dai processi tecnologici.
Uno
dei motivi per cui ci spaventa è che non capiamo davvero come funziona.
L'IA sembra una scatola nera:
inseriamo qualcosa e ne esce una risposta che
spesso accettiamo senza sapere su cosa si basi.
Questo
senso di esclusione genera sfiducia e disorientamento.
Per
approfondire:
“Meta
AI “su WhatsApp ti genera ansia?
Come
disattivarla e 5 buoni motivi per farlo.
Quali
sono i principali timori legati all'IA.
Ci
sono alcune paure che tornano spesso quando si parla di intelligenza
artificiale. Alcune sono più viscerali, altre si appoggiano su ragionamenti
logici.
In entrambi i casi, è importante riconoscerle,
dargli un nome e cercare di capirle fino in fondo. Ecco le principali:
Perdita
di controllo e autonomia delle macchine.
L'idea
che un sistema possa "decidere da solo" senza che un umano lo
supervisioni spaventa.
Non si
tratta solo di tecnologia: è la sensazione di perdere il controllo su ciò che
dovrebbe essere al nostro servizio.
Il
ruolo dell'immaginario collettivo.
Film,
serie TV e libri hanno costruito nel tempo un immaginario popolato da robot
ribelli, IA autocoscienti, futuri distopici.
Anche se razionalmente sappiamo che sono
finzione, quelle narrazioni influenzano profondamente le nostre emozioni.
Ansia
per il futuro del lavoro e della società.
Automazione,
algoritmi di selezione, robot nei magazzini: il futuro del lavoro è sempre più
incerto. Molti temono che l'IA possa ridurre le opportunità lavorative,
soprattutto nei settori meno qualificati, senza che ci siano alternative
chiare.
Difficoltà
a comprendere come funziona davvero.
L'intelligenza
artificiale si basa su reti neurali, deep learning, dati e modelli complessi.
Tutti termini tecnici, spesso poco accessibili, che contribuiscono a creare
distanza tra la tecnologia e le persone comuni.
Paura
di essere sostituiti, non solo professionalmente.
L'ansia
non riguarda solo il lavoro. L'IA produce immagini, scrive testi, compone
musica. C'è chi si chiede se abbia senso creare, inventare, produrre, se tanto
un software può fare lo stesso in pochi secondi.
Rischi reali o percepiti?
Molte
delle nostre paure derivano da qualcosa di vero. Ma spesso realtà e percezione
si mescolano, creando uno spazio confuso in cui non sappiamo più cosa temere
davvero e cosa invece è solo il riflesso di un racconto sbilanciato.
La
paura razionale.
Non
tutte le paure sono esagerate. Ci sono rischi concreti: la gestione dei dati
personali, l'utilizzo dell'IA per scopi militari, la manipolazione delle
opinioni attraverso contenuti generati automaticamente. Sono preoccupazioni
legittime, e serve una risposta collettiva.
Le
paure irrazionali.
Altri
timori invece si basano su equivoci o su una narrativa distorta. L'idea che
l'IA possa "prendere il potere" è suggestiva, ma lontana dalla
realtà. Nessun sistema ha coscienza, intenzionalità o desiderio di dominio.
Che
ruolo ha l'informazione nell'alimentare l'ansia?
Parliamo
continuamente di IA, ma spesso lo facciamo in modo confuso, affrettato, con
toni troppo carichi o troppo entusiasti. L'informazione ha un impatto
fortissimo nel modo in cui percepiamo questa tecnologia.
Sovraesposizione
mediatica e disinformazione.
Spesso
le notizie sull'IA puntano al titolo sensazionalistico. Questo aumenta l'ansia
e alimenta una percezione distorta, dove ogni nuova funzione viene vissuta come
minacciosa.
L'importanza
di una comunicazione scientifica accessibile.
È
fondamentale raccontare l'IA in modo chiaro, trasparente, umano. Solo così
possiamo superare l'ansia e iniziare a capire, invece che temere. Le persone
non vogliono essere esperte, ma vogliono sentirsi coinvolte.
Etica,
regolazione e controllo: cosa si sta facendo.
Molte
delle paure verso l'IA derivano dalla mancanza di limiti chiari. Se sappiamo
che esistono regole, che qualcuno controlla, ci sentiamo meno soli. E qualcosa
si sta muovendo in questa direzione.
Norme,
linee guida e organismi internazionali
Un po'
ovunque si stanno introducendo regole: dall'AI Act dell'Unione Europea alle
iniziative dell'UNESCO e delle big tech.
Il
messaggio è chiaro: serve stabilire limiti, verifiche e responsabilità.
L'urgenza
di una governance trasparente.
Ma la
regolazione da sola non basta. Serve che anche le aziende e i governi rendano
visibili le scelte fatte, i dati usati e i limiti imposti ai sistemi di IA. La
trasparenza è l'unica strada per generare fiducia.
“AI Act” dell'Unione Europea – In
vigore da agosto 2024.
L'Unione
Europea ha introdotto l'AI Act, il primo regolamento globale sull'intelligenza
artificiale, entrato in vigore il 1° agosto 2024. Questo atto legislativo mira
a promuovere uno sviluppo dell'IA che sia sicuro, trasparente e rispettoso dei
diritti fondamentali, stabilendo un quadro normativo comune per tutti gli Stati
membri.
Come
affrontare la paura dell'AI in modo costruttivo.
Non
possiamo evitare del tutto la paura. Ma possiamo imparare a conviverci, a
usarla per porci domande più intelligenti e a fare scelte più consapevoli. L'IA
fa parte del nostro presente: è con questo che dobbiamo imparare a dialogare.
Ecco qualche consiglio per affrontare le nostre paure:
Educazione
digitale e consapevolezza.
Non
dobbiamo diventare esperti di IA, ma possiamo capire le basi, conoscere i
nostri diritti e imparare a riconoscere quando un sistema ci sta influenzando.
Restare
aggiornati, ma con spirito critico.
Non
tutto ciò che leggiamo è vero, e non tutte le previsioni si avverano. Serve un
atteggiamento curioso ma anche critico, che ci permetta di selezionare le
informazioni utili e di ignorare quelle allarmistiche.
Parlare
di IA con i giusti strumenti (anche emotivi).
Avere
paura è normale. Ma parlarne, confrontarsi, chiedere, leggere e informarsi
aiuta a gestire l'ansia e a sentirsi meno soli. Non è un argomento da
"esperti": riguarda tutti.
Autostrade
a Credito Sociale:
Ecco la Tassa Green sulla
Mobilità dei Poveri
Conoscenzealconfine.it
– (22 Maggio 2025) – T.me/Carmen – Tortora – Redazione – ci dice:
Pare
sia ufficiale: nel 2025 parte la nuova crociata ambientalista contro chi osa
ancora muoversi su quattro ruote senza inginocchiarsi alla “religione green”.
Con il
Decreto Infrastrutture 2025, il Governo Meloni – in perfetto allineamento con
le direttive europee sul “chi inquina paga” – avrebbe deciso di colpire la
mobilità individuale con una nuova tassa mascherata da pedaggio ecologico.
Il
decreto entrerà in vigore da luglio 2025, giusto in tempo per i grandi esodi
estivi: un tempismo perfetto per fare cassa sulle vacanze degli italiani.
Secondo
alcuni siti, la norma dovrebbe prevedere l’addio al caro vecchio pedaggio a
chilometri:
ora
entra in scena la “tariffa morale”, un sistema che modula il costo del viaggio
in base a quattro variabili arbitrarie:
–
Emissioni del veicolo;
– Tipo
di carburante (diesel, benzina, elettrico, ibrido);
–
Fascia oraria del transito;
–
Frequenza di utilizzo della tratta.
In
pratica: chi ha un’auto vecchia, chi lavora in orari di punta o chi
semplicemente non ha 40mila euro da spendere in un’elettrica verrà punito.
Hai una diesel Euro 3?
Ti
becchi fino al 25% in più.
E se
hai la sfortuna di viaggiare in fascia oraria “sbagliata”?
Ti spennano due volte.
Una
distopia tariffaria che sembra uscita da un manuale cinese di ingegneria
sociale.
E chi
risparmia?
Solo
gli eletti:
chi ha
un’auto ibrida o elettrica (per il momento), viaggia in orari strategici e
magari lo fa spesso sulla stessa tratta potrà “beneficiare” di sconti fino al
30%.
E
naturalmente tutto sarà gestito da app di sorveglianza camuffate da
telepedaggio che calcolano in tempo reale quando ti conviene partire – perché
adesso anche spostarsi richiede un algoritmo.
Chi
l’ha proposta e perché:
La proposta viene direttamente dal Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti, in perfetta sintonia con la strategia UE
per la transizione ecologica e il controllo intelligente dei flussi.
Dietro
lo slogan “gestione sostenibile del traffico” si cela un obiettivo molto più
chiaro:
limitare la proprietà privata dei mezzi di trasporto,
ridurre gli spostamenti autonomi e testare sistemi di pricing variabile che,
guarda caso, colpiscono sempre i più deboli.
Conclusione:
Il paradosso?
Il
tutto si presenta con la solita retorica di “giustizia ambientale”, ma in
realtà è un attacco ben congegnato alla proprietà privata, alla mobilità e alla
classe media.
Si è sempre detto che ci avrebbero fatto
pagare anche l’aria. E così è stato.
Benvenuti
nella smart autostrada a credito sociale.
(investireoggi.it/pedaggi-2025-cosa-cambia-davvero-con-il-nuovo-decreto/).
(t.me/carmen_tortora1).
La “tecnopolitica”
salveràil mondo?
Altronovecento.fondazionemicheletti.eu
- Marino Ruzzenenti – (14 Settembre 2021) – ci dice:
(P.
Vineis, L. Carra, R. Cingolani, “Prevenire. Manifesto per una tecno politica”,
Einaudi, Torino 2020.)
La
lettura di un testo non è mai stata per me così intrigante come Prevenire.
Manifesto per una tecnopolitica.
Per
svariate ragioni.
Innanzitutto il titolo ed il sottotitolo.
Prevenire
per chi ha una cultura ambientalista e democratica è un concetto quasi sacro,
fondamentale per preservare la buona salute sia della natura che degli umani.
Tecnopolitica, invece, presenta immediatamente
delle ambiguità, perché da un canto evoca l’idea oligarchica del governo dei
sapienti in alternativa alla democrazia implicitamente considerata governo dei
mediocri, e dall’altro sembra proporre ancora una volta la tecnologia come
chiave di volta per la soluzione dei problemi dell’umanità.
Insomma, titolo e sottotitolo evocano
risonanze di ossimoro.
Gli
interrogativi aumentano se poi si tiene conto che il libro è uscito l’anno
scorso e che uno egli autori, “Roberto Cingolani”, è ora direttamente coinvolto
in un ruolo preminente come tecnico nell’attuale inedito governo Draghi, il cui
collante dovrebbe essere proprio una politica al di sopra e al di là delle
ideologie e degli schieramenti partitici, in nome delle cose tecnicamente
fondate da farsi per la salvezza del Paese.
In
questo senso un saggio apparentemente profetico che avrebbe anticipato
(preparato?) di qualche mese gli eventi.
Ma lo
stupore non finisce qui.
La
firma di “Roberto Cingolani”, personaggio ormai troppo noto, è preceduta da due
altre firme importanti.
La
prima, che sembrerebbe abbia offerto il contributo più robusto al testo, è
quella di “Paolo Vineis”, illustre epidemiologo proveniente dalla scuola di
“Epidemiologia & prevenzione” e alla lontana di” Giulio A. Maccacaro,” ora
vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità, docente di “Environmental
Epidemiology presso l’imperial College” di Londra e Visiting Professor
all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, lo stesso diretto da Cingolani
fino al 2019.
La
seconda di “Luca Carra”, divulgatore scientifico, già membro di Italia nostra e
direttore di “Epidemiologia & prevenzione”, segretario del “Gruppo 2003 per
la ricerca”, associazione di scienziati italiani, nonché direttore della
rivista on line, “Scienza in rete” e promotore del manifesto “Scienza in
Parlamento”, in cui si chiede l’istituzionalizzazione di un Comitato
tecnico-scientifico che in permanenza affianchi e assista gli organi
decisionali democraticamente eletti.
Viste
le premesse la lettura del testo non solo è impegnativa, ma anche non
facilmente riducibile ad una valutazione univoca.
Da un
canto vi è l’assunto, in linea generale condivisibile, che l’umanità si trovi
di fronte a tre enormi debiti:
il debito socio-economico, il debito
ambientale ed il debito cognitivo.
E che
per affrontarli sia necessario un “radicale cambiamento”.
Dopodiché
si afferma che, grazie alla tecnologia, “non possiamo negare che il mondo nel
suo complesso sia migliorato, in contrasto con la percezione diffusa” e ancora
che “il mondo di oggi è il migliore che abbiamo avuto dall’inizio della storia
umana”.
In
questa oscillazione, tra analisi critica a volte senza sconti del presente e
fiducia in un progresso lineare e permanente garantito dall’innovazione
tecnologica si muove l’argomentare del saggio.
Insomma
i problemi ci sono, ma la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica sono
in grado di risolverli, purché si sappia ricomporre il rapporto tra scienza,
tecnologia e politica.
Ovviamente
un filo conduttore è la polemica contro lo scetticismo antiscientifico,
emblematicamente rappresentato dai “No-vax”, dai movimenti localistici e neo nazionalistici,
nonché dai populismi, che non hanno compreso come il “prevenire” per essere
efficace debba porsi necessariamente a livello internazionale.
Perché, e qui siamo all’ovvio, “non esistono
soluzioni semplici a problemi complessi”.
“Un
altro pregiudizio diffuso (comune a diversi movimenti populisti, pur nella loro
eterogeneità) consiste nel proporre e far circolare l’idea secondo cui (una
volta liberatici della casta degli esperti) ci sarebbero soluzioni semplici per
problemi complessi.
Non è
così.
Tipica
dei social media non è soltanto la diffusione di fake news, ma l’idea che «da
qualche parte» esisterebbe una soluzione, se di mezzo non ci fossero la casta
e i poteri forti”.
Non si
può non notare qui un lapsus piuttosto imbarazzante degli autori, laddove di
fatto si ipotizza di identificare la “casta degli esperti” con “la casta e i
poteri forti”.
Il tema della critica della scienza, della sua
presunta neutralità rispetto al potere ed agli interessi in campo è troppo
importante per essere liquidato in questi termini caricaturali.
Vi è una vasta letteratura, in particolare a
partire dagli anni Sessanta, sul tema, nel quale tra tanti altri, si sono
impegnati proprio Maccacaro e Lorenzo Tomatis, già direttore dell’Agenzia
internazionale di ricerca sul cancro dell’Oms, peraltro citato in questo
volume.
È pur
vero che qui e là si accenna di sfuggita ai conflitti di interesse ed anche ad
una qualche critica alle logiche di mercato, ad esempio rispetto ad un buon
sistema sanitario, ma sul punto alla fine si rivendica un’autonomia della
ricerca scientifica che, ancor più nel sistema neoliberista oggi trionfante, fa
molta fatica ad apparire credibile.
“È
dunque legittimo pensare che lo scienziato o il tecnologo abbiano una loro
linea di ricerca autonoma, ponendosi liberamente obiettivi e questioni da
risolvere ma al contempo vengano interpellati dal potere politico e dalla
società e «deviino» dunque il corso delle loro ricerche per soddisfarne le
richieste”.
Una
visione francamente ottimistica, che non sembra corrispondere ad una realtà
come l’attuale, di politica debole se non evanescente e di società disgregata,
almeno nei suoi corpi intermedi, in cui le leve del comando, anche della
ricerca, sono in mano soprattutto ai gruppi multinazionali economici e
finanziari e, nelle grandi potenze, ad un complesso tecnologico-militare
sostanzialmente autoreferenziale.
Ignorare
questa realtà fa sì che si legittimi proprio quella sfiducia nella scienza che
si vorrebbe contrastare.
E questa riflessione vale anche per la
polemica nei confronti delle chiusure nazionali, che sarebbero anch’esse
antiscientifiche perché la scienza dimostra che a questo livello i problemi non
si possono risolvere.
Per
cui il saggio conclude con una raccomandazione che chiunque sottoscriverebbe:
“È
necessaria infine una dimensione internazionale della salute, dell’ambiente e
dell’economia, che prevalga sulle chiusure localiste e improntate alla paura
dell’altro. Un nuovo, e pacifico, internazionalismo”.
Sennonché
alle viste l’unico internazionalismo reale e ben consolidato, che in genere
troppi, compresi gli autori, non si sognano di mettere in discussione, è
appunto quello della grande finanza e delle multinazionali, dove le sfibrate e
acciaccate istituzioni internazionali non riescono ad imporre a Big Pharma la
sospensione dei brevetti neppure davanti alla sconvolgente ecatombe del Covid
19.
Ma
l’argomentazione nel testo su questo tema cruciale è particolarmente
sofisticata e ambivalente:
da un
canto si ridicolizza chi osa immaginare un rovesciamento dell’ordine costituito
bollandolo come fanatico sostenitore dei metodi Di Bella e Vannoni, dall’altro
si riconoscono, ad esempio, i limiti delle cure praticate oggi dalla scienza
ufficiale per la cura dei tumori.
“Questo [che a problemi complessi vi sia una “soluzione
a portata di mano”. Nda] è un pregiudizio da sfatare, perché alimenta la falsa
aspettativa che un rovesciamento dell’ordine costituito consentirà non solo di
«liberare» la ricerca vera dalle catene della corruzione, ma anche di risolvere
problemi incombenti (si pensi ai vari casi Di Bella e Vannoni).
Al
contrario, non sappiamo se riusciremo a trovare una cura efficace per tutti i
tumori, [.…].
Negli
stessi Paesi ricchi la spinta a sviluppare nuovi farmaci, nuove tecniche
chirurgiche e radioterapiche è diventata economicamente quasi insostenibile.
Come già detto, delle 277 terapie farmacologiche per il cancro di cui nel
periodo 2011-15 sono state pubblicate sperimentazioni cliniche, soltanto il 15
per cento ha portato miglioramenti significativi nella sopravvivenza o nella
qualità della vita.
Diversi
studi rivelano che in molti casi più i farmaci sono costosi, meno sono
efficaci, e tuttavia sono largamente in uso…”.
Un’argomentazione,
quest’ultima, del tutto condivisibile che serve agli autori per avvalorare la
tesi che la lotta contro i tumori è più efficace e meno costosa se si puntasse
sulla prevenzione.
Ma sarebbe stato utile che venisse spiegato
anche perché la ricerca scientifica spinge invece in tutt’altra direzione.
Molto
spazio viene dato, comunque, all’analisi ben documentata delle cause profonde
dei tre debiti di cui si è detto.
Del
tutto condivisibili le considerazioni che vengono sviluppate sul debito socio
economico, con largo impiego degli” studi di Piketty”, e su quello ambientale
con approfondimenti da sottoscrivere, ad esempio, sull’impronta ecologica,
sulla sesta estinzione, sul rapporto con la salute umana.
Forse più discutibile l’enfasi sull’infosfera
a proposito del debito cognitivo.
Pur
riconoscendo lo stress sistemico che può indurre il senso di inadeguatezza
personale alla mole di informazioni incommensurabile potenzialmente circolante
sulla rete, si conclude con un’ipotesi di “ecologia della mente” che allo
scrivente appare ancora lontana da perseguire in dimensioni realmente
democratiche e alla portata di tutti:
“L’ecologia
della mente dovrà promuovere il bene pubblico dell’infosfera, aumentando il
grado di «info diversità» proprio come si fa – o si dovrebbe fare – con gli
ecosistemi.
Sulle
piattaforme del mondo digitale si può già oggi intervenire con strutture
diverse, di natura collaborativa, come nel caso di Wikipedia, o del media
sociale «per introversi» “Pin board”, o la piattaforma formativa “Corsera”.
Stanno
nascendo in questi anni – come ricorda Luca De Biase – gruppi animati da
un’etica del «codice d’onore», che lavorano alla «continua riprogettazione
delle forme della rete, per l’impegno contro l’inquinamento disinformativo e
per la creazione di spazi di aria mentale pura».
Anche
il tramonto dell’opinione pubblica descritto da Cass Sunstein e Jurgen Habermas
potrebbe venire contrastato dalla nascita di nuovi media civici, che, molto
meglio dei social egocentrici attuali, potranno agevolare forme di dialogo
pluralistico per deliberare in merito al bene comune.
Infine,
sempre l’ecologia della mente sembra ispirare un nuovo modo di progettare
dispositivi e impieghi dell’intelligenza artificiale basati sul concetto di “embodiment”,
vale a dire una visione del cervello non disgiunta dal corpo, in particolare
delle sue componenti senso-motorie, fondamentali per i processi cognitivi.
Da qui, per esempio, i progetti in via di
definizione della cosiddetta robotica sociale, per impiegare i robot nella
comprensione e cura dell’autismo e di altri disturbi cognitivi e
comportamentali.
La
grande promessa della robotica e dell’intelligenza artificiale è proprio quella
di trasformare la tecnologia da potenziale acceleratore patologico a supporto
essenziale per la cura delle malattie dell’anima”.
Molto
interessanti le pagine dedicate alla prevenzione in particolare delle malattie
dello sviluppo, cosiddette cronico degenerative (obesità, diabete, patologie
cardiocircolatorie, tumori…), all’importanza dei fattori ambientali in senso
lato (alimentazione, stili di vita, inquinamento…), all’epigenetica .
Anche
se, a parere dello scrivente, si enfatizza il ruolo dell’alimentazione e degli
stili di vita, rispetto a quello dell’inquinamento secondo la nota formula
lanciata da un saggio pubblicato su “Teh Lancet” nel 2006, della “pandemia
silenziosa”, indotta dai micro inquinati chimici ormai compenetrati in ogni
matrice ambientale e quindi anche nell’organismo umano, perfino nel feto ancor
prima della nascita. Certo, ragionando realisticamente sulle possibilità della
prevenzione, una corretta alimentazione potrebbe essere più facilmente
conseguibile, rispetto all’eliminazione degli inquinanti chimici dalla biosfera
e dai sistemi produttivi. Quest’ultima ipotesi richiederebbe un cambio di
paradigma e di sistema molto impegnativo.
Lo
steso schema si ripropone a p. 105 dove ci si sofferma su alcuni recenti casi
controversi a proposito della cancerogenicità di alcune sostanze e si fa
l’esempio delle glifosate della Monsanto e della carne rossa insaccata.
Dopodiché
si approfondisce solo il caso della carne rossa e si tralascia quello delle
glifosate molto più spinoso su diversi versanti (contraddittorietà delle
valutazioni scientifiche coinvolte in conflitti di interesse, colossali
profitti della Monsanto, ora Bayer, minacciati da class action di risarcimenti
veramente importanti).
Com’è
evidente, si intendono affermare molte idee giuste senza travalicare un certo
limite che gli autori sembra si siano concordemente assegnati.
Da
segnalare il caso clamoroso della “rivoluzione verde” in agricoltura associata
infelicemente, in termini di benefici per l’umanità, ai vaccini:
“Per
quanto riguarda la rivoluzione verde lanciata dall’agronomo e premio Nobel
americano Norman Borlaug negli anni Sessanta, la diffusione di varietà
geneticamente selezionate di grano resistenti alle malattie ha consentito in
Paesi come India, Pakistan e Messico un’elevata produttività, che ha sottratto
alla morte per fame centinaia di milioni di persone, forse persino un
miliardo. Insomma, se consideriamo le vaccinazioni e la rivoluzione verde il
saldo tra rischi e benefici è fortemente in attivo, un fatto che non dobbiamo
dimenticare”.
Se per
quanto riguarda i vaccini, in particolare per vaiolo, polio, difterite e
morbillo, sembra assodato che dopo gli anni Sessanta-Settanta dello scorso
secolo si siano “risparmiati milioni di casi …ogni anno, molti dei quali
mortali”, francamente più controversa è la valutazione sulla cosiddetta
“rivoluzione verde”.
Se si
fosse trattato solo di “diffusione di varietà geneticamente selezionate di
grano resistenti alle malattie”, il premio Nobel si sarebbe dovuto assegnare
molto prima all’italiano Nazareno Strampelli, che negli anni Venti e Trenta
seppe selezionare “sementi elette” ibridando e incrociando varietà diverse, con
l’obiettivo di sconfiggere le tre principali calamità: la “ruggine bruna”, con
sementi resistenti al fungo; l’allettamento, ovvero l’abbattimento al suolo
causato dalle intemperie, riducendo l’altezza del frumento;
la
“stretta”, ovvero un rattrappimento del chicco provocato in fase di maturazione
dalla siccità estiva, ottenendo grani precoci, che permettevano anche di
intercalare altre colture, prima della successiva semina, con un aumento della
produttività naturale di circa il 30% (S. Salvi, L’uomo che voleva nutrire
il mondo. I primi 150 anni di Nazareno Strampelli, Accademia georgica Treia,
Treia-MC 2016).
Fu il
vero artefice della “battaglia del grano”, purtroppo celebrata dal regime, che
per questo gli avrebbe portato male per le sue possibilità di aspirare al
Nobel, nonostante le sue apprezzate sementi avessero fatto il giro del mondo ed
oggi siano celebrate dall’agricoltura biologica (famoso il grano “senatore
Cappelli”).
Ma la
“rivoluzione verde” fu ben altra cosa: ha certo sfamato buona parte
dell’umanità, evitando, secondo alcuni studiosi, la terza guerra mondiale, ma ad un
prezzo altissimo.
Ed è curioso che un pool di scienziati di così
alto livello ignorino che “l’incremento delle rese è stato possibile con la
selezione di ibridi più adatti all’agricoltura meccanizzata e in grado di
sfruttare al meglio i fertilizzanti.
Ciò ha
portato alla necessità di utilizzare più petrolio per la produzione.
L’uso
continuo dei fertilizzanti, inoltre, ha prodotto diversi problemi di
inquinamento, che insieme all’eccessivo sfruttamento del suolo e alla riduzione
delle falde acquifere, stanno minacciando vaste estensioni agricole diminuendo
le rese” (treccani.it/enciclopedia/rivoluzione-verde_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/).
Insomma
il nostro compito è oggi quello di liberarci dalle trappole della “rivoluzione
verde”, tornare ai metodi di un’agricoltura naturale, quella di Nazareno
Strampelli e dell’altro illustre italiano, pioniere della bioagricoltura,
Alfonso Draghetti, (A. Berton, Alfonso Draghetti (1888-1960): le radici
dimenticate (ma molto attuali) del movimento biologico in Italia, in
“Altronovecento.Ambiente Tecnica Società”, n. 28, febbraio
2016.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=28&tipo_articolo=d_persone&id=131), ovviamente con l’aggiunta di tutta
l’innovazione prodotta dalla buona ricerca e dalle buone pratiche in questi
decenni.
C’è da chiedersi, per tornare al testo che si
sta commentando, se gli autori si siano accorti dell’autogol.
Perché i casi sono due: o sanno che la
“rivoluzione verde “ è un passato che va comunque superato, ma allora anche i
vaccini lo sarebbero e dovrebbero dare ragione ai NoVax; oppure pensano che la
“rivoluzione verde” sia il destino dell’agricoltura futura, magari rinforzata
dagli Ogm, e che quindi l’abbandono dei fossili sia tutta una finzione.
Sarebbe
interessante sapere come effettivamente la pensa in particolare chi ha in mano
le redini della cosiddetta “transizione ecologica”.
A
questo proposito un altro tema, molto scottante e di attualità, va segnalato:
come, appunto, si intende o si può fuoriuscire dai fossili.
Si
citano i casi dei piani energetici inglesi e tedeschi, constatando che “non
sono molti i governi che stanno prendendo sul serio -cioè sistematicamente- i
problemi energetici” .
Quindi sempre sull’onda della complessità irriducibile
di questi si fa notare che tendenzialmente chi è più avanti, come la Germania,
“applica le soluzioni già esistenti (solare, eolico, maree) nella
consapevolezza che nessuna di queste sia risolutiva, e anzi esse pongono
problemi nuovi, come l’occupazione del suolo che compromette l’ambiente e le
specie animali e vegetali”.
Ma
anche di fronte a questo limite, l’unica ipotesi che viene presa in
considerazione è quella del rilancio tecnologico, ovvero di continuare a
utilizzare i fossili catturando l’anidride carbonica.
Di
questa tecnologia, data come intrinsecamente sicura, vengono, però, giustamente
evidenziati i limiti, perché le combustioni non provocano solo gas serra, ma
anche smog inquinante dannoso alla salute.
Osservazione da sottoscrivere e che dovrebbe
consigliare comunque cautela nell’applicazione di questa tecnologia.
Ma
attenzione, questi percorsi richiedono comunque tempi lunghi di attuazione. Ed
ecco le conclusioni spiazzanti:
“Il ragionamento fin qui svolto ci sembra
coerente e convincente, ma ha un grave limite: può essere troppo tardi per
metterlo in pratica.
Se è
vero che il cambiamento climatico sta avanzando più rapidamente di quanto i
modelli matematici avessero previsto, allora non basta più ridurre o azzerare
le emissioni di CO2.
Può
essere necessario un immediato e intensivo investimento tecnologico
nell’assorbimento di COz, una sorta di «progetto Manhattan», o la rivalutazione
di tecnologie cadute in disgrazia come il nucleare.
Se così
è, si tratta dell’ulteriore prova del fatto che le soluzioni arrivano spesso
troppo tardi – in questo caso portandoci sull’orlo di una catastrofe”.
Che
dire?
Da un
canto si lancia la sfida anche ai movimenti ambientalisti che troppo spesso si
convincono di avere la soluzione, solo perché hanno le idee chiare su come si
può da subito rendere autosufficiente con la sola energia solare un’abitazione
civile, ma non hanno una minima idea, ad esempio, di come poter fare a meno del
tutto dei fossili e nello stesso tempo continuare a godere di quel PC con cui
elaborano i progetti (come alimentare il ciclo di vita e di funzionamento, input
di materiali più o meno rari e output di rifiuti, della colossale componente
dura, dal supporto personale a quelli regionali ed infine alle infrastrutture e
impiantistiche globali).
Dall’altro,
e questo è il buco nero di questo saggio, si prescinde dai limiti naturali
della nostra presenza sul Pianeta.
Il
punto più rilevante dell’epoca dei fossili è che questo enorme tesoro di
materia ed energia, accumulatasi in milioni di anni, ci ha illuso di non avere
più limiti alla nostra crescita economica, e quindi di poter espandere la tecno
sfera a prescindere dalle capacità rigenerative della biosfera.
È vero
che affidarsi interamente all’energia solare pone il problema degli spazi
naturali, quelli rimasti da tutelare.
Non solo per la salvaguardia della
biodiversità, ma anche per poter alimentare tutti con un’agricoltura non più
drogata dai fossili o, ad esempio, per poter produrre vegetali necessari alla
biochimica, supposto che far a meno del tutto della plastica o di fibre
sintetiche sembra molto difficile (si pensi solo al sistema sanitario…).
Questa
è la stretta che non si vuole mettere a tema: che significa optare per una
necessaria decrescita economica in particolare nei Paesi sviluppati, ma anche
riprendere il problema demografico, come in solitudine continua a proporre Luca
Mercalli. L’alternativa, occorre saperlo, è lo stoccaggio della CO2 ed il
nucleare. Che sia Cingolani a ricordarcelo appare un tantino preoccupante.
In
ogni caso qualche dubbio rimane che possa essere la tecnopolitica capace di
risolvere i debiti secolari che ci angustiano.
Così
diventiamo soldati involontari
nell’esercito
delle Big Tech:
l’intervista
ad Asma Mhalla.
L’intervista
ad Asma Mhalla a cura di Eleonora Barbieri su “Il Giornale”.
Asma
Mhalla, che cos’è la tecnopolitica del titolo?
È un
concetto elaborato dagli studiosi occidentali al tempo delle Primavere arabe,
quando i social media apparivano strumenti straordinari di emancipazione per la
società.
Ma è un concetto debole, che ho ridefinito,
per dire che la tecnologia non riguarda la tecnica o gli strumenti, bensì la
politica: la tecnologia è politica, prima di tutto.
Parla
di un progetto di «Tecnologia totale». Che cosa significa?
Oggi
esistono nuove forme di potere, collegate a quelle che chiamo Big Tech, o
giganti tecnologici, alle piattaforme digitali e agli Stati e questo insieme
ridefinisce i concetti stessi di sovranità, democrazia, stato di diritto…
Lo
sperimentiamo coi nostri strumenti di uso quotidiano:
i “social
media”, i dispositivi di” Ia”, le “piattaforme di e-commere” sono ormai
piattaforme di pubblica utilità e non più solo strumenti;
il
problema è che queste piattaforme sono private e appartengono ai giganti
tecnologici, i quali perciò influenzano il modo in cui viviamo.
Come?
Il progetto di Tecnologia totale è l’idea che, attraverso queste
tecnologie private, le Big tech stiano realizzando un’agenda politica e
ideologica di controllo: controllo della politica stessa, del nostro futuro e del
modo in cui funziona la democrazia.
E
questo controllo è nelle mani di poche persone.
La
Tecnologia totale può diventare totalitarismo?
Può
diventarla.
Dipende da chi la controlla, ed è proprio questo il
grosso problema: tutti dipendiamo dall’agenda politica e ideologica dei
proprietari di questi strumenti. Le loro aziende controllano i nostri dati e,
perciò, le nostre vite. Lo vediamo anche con la situazione della democrazia
negli Stati Uniti, con Musk e Trump.
Però
Musk e Trump ci mettono anche di fronte alle debolezze del nostro sistema?
Assolutamente
sì.
Nel
mondo occidentale siamo soliti giudicare i regimi autoritari come fossero
modelli lontanissimi dalle nostre democrazie liberali.
Ma
ora, all’improvviso, ci siamo accorti che anche le nostre democrazie rischiano
di essere trascinate nell’autoritarismo.
Per l’Europa poi c’è un problema ulteriore,
dovuto al fatto che siamo dipendenti dai sistemi tecnologici dei giganti
americani: per questo siamo completamente fragili e aperti alle loro
interferenze.
Nella
sua visione, come funziona il sistema delle Big Tech?
Non si
capisce la loro essenza se non comprendiamo che non sono solo aziende
capitalistiche, bensì entità ideologiche e anche attori militari.
Si
pensi in Ucraina a Starlink e Palantir…
Le Big
Tech sono entità politiche ibride.
E
funzionano come un “trittico”, in cui la dimensione tecnologica è guidata da un
modello economico e dalla politica, in modo interdipendente.
Lo
vediamo con Musk, il quale non si limita a cercare nuove tecnologie bensì
persegue una sua agenda ideologica, per realizzare la quale ha elaborato una
certa struttura tecnologica – per esempio “X/Twitter “– in modo che essa porti
a compimento la sua visione del mondo e, allo stesso tempo, gli permetta di
fare soldi.
È una interazione completa.
Gli
algoritmi sono ideologici?
Lo
sono.
Gli algoritmi sono per forza di cose
impregnati di pregiudizi, perché sono disegnati da esseri umani, i quali hanno
sempre punti di vista, opinioni, propensioni, idee… Perciò gli algoritmi non
possono essere neutrali, anzi: l’idea che la tecnologia sia neutrale è falsa e
pericolosa.
Detto ciò, all’interno di una certa agenda
politica possiamo progettare gli algoritmi in modo che alcune idee emergano e
siano più visibili, e altre vengano oscurate.
Perciò
gli algoritmi sono prima di tutto politici, e poi tecnologici.
Così
possono manipolare l’opinione pubblica?
La
manipolano e la influenzano, ma non credo che esista una opinione pubblica,
perché ormai ne esistono molte: la società è estremamente polarizzata.
E ovviamente i social media influenzano il
modo in cui l’informazione viene prodotta e, attraverso l’informazione,
l’agenda politica;
in
questo processo, gli algoritmi si comportano come editori, scegliendo quali
informazioni dare e quali tenere più nascoste…
Il
risultato è che non abbiamo pieno accesso alla realtà.
Lo
abbiamo mai avuto?
La
differenza enorme, rispetto ai media tradizionali, è nella dimensione del
fenomeno;
nell’approccio,
che non è più dall’alto al basso bensì ibrido, poiché tutti possono produrre
contenuti;
infine,
nel fatto che i proprietari delle Big Tech possano anche influenzare il modo in
cui l’algoritmo pubblica il contenuto.
Perciò
rischiamo di diventare «soldati»?
Sì.
La
“iper tecnologia”, che disegna la cornice delle nostre vite, è duplice: civile
e militare.
Lo
vediamo con “ChatGpt”, che può essere utilizzata per svago o per lavoro, ma
anche sul campo di battaglia.
O con i social, che sono una forma di
intrattenimento ma diventano un’arma nella cosiddetta “info war,” che serve per
interferire all’interno dei Paesi o in momenti di conflitto, come strumento di
propaganda: perciò la chiamiamo guerra ibrida.
È il
caso di TikTok, il social cinese così diffuso fra i giovani occidentali?
Certamente,
anche TikTok è diventato un’arma elettorale.
Durante
la presidenza Biden, il direttore dell’Fbi ha detto che probabilmente TikTok è
uno strumento di cyberspionaggio, ma di non averne le prove.
Eppure,
proprio nel gennaio scorso, Trump ha detto di essere contento di TikTok, perché
gli consente di raggiungere la platea dei giovani americani:
quindi
TikTok, in quanto cinese, è allo stesso tempo l’incubo dell’Occidente, ma anche
uno strumento potentissimo di reclutamento.
E
questa piccola storia è emblematica del dilemma dei social media: si trovano
sempre in una zona grigia.
Però
questa duplicità dei media e la propaganda non sono sempre esistite?
Certo,
ma la specificità di questo doppio uso dell’iper tecnologia è che tutti la
utilizziamo, perché si trova nelle nostre tasche:
il punto di contatto è il “nostro smartphone”,
attraverso il quale possiamo diventare dei soldati inconsapevoli, esposti alla
guerra ibrida, alla propaganda e alla manipolazione delle informazioni.
Forse
anche le nostre attività cerebrali finiranno per essere monitorate.
I
vecchi concetti e le vecchie frontiere diventano liquidi:
sono
avvolti in una nebbia nella quale ciascuno di noi diventa un bersaglio.
Dobbiamo esserne consapevoli.
È
quella l’inquietante «guerra cognitiva», in cui il nostro cervello è il terreno
di battaglia finale?
L’info
war è condotta per manipolare le informazioni e il loro contenuto, ma anche per
manipolare il modo stesso in cui interpretiamo e consumiamo questi contenuti. È
una tecnica sottile.
L’abitudine
di scrollare per ore sullo smartphone è parte della manipolazione cognitiva,
perché spinge in uno stato ipnotico, in cui si diventa vulnerabili e si può
accettare qualunque messaggio.
L’obiettivo
finale qual è?
Non il
singolo, non il fatto che una persona sia d’accordo con il messaggio stesso,
bensì il caos globale: che si dubiti di tutto.
Come
diceva Hannah Arendt, se tutti dubitano di tutto, puoi far fare loro ciò che
vuoi.
È una forma sofisticata di manipolazione.
Come
possiamo sopravvivere in questa guerra?
Primo
punto: la
consapevolezza.
Secondo: educhiamo i nostri algoritmi, con
le nostre ricerche.
Terzo:
un’igiene
cognitiva, come la doccia e lo shampoo al mattino, una guida al consumo su
internet.
La
democrazia sopravviverà?
Dipende
da noi, collettivamente.
Da
quale società vogliamo costruire.
I partiti progressisti sono debolissimi perché non hanno una
visione del mondo;
quelli
di estrema destra invece sono audaci nella loro visione, e i loro discorsi del
resto sono molto popolari, perché in effetti siamo in crisi.
Perciò dobbiamo costruire una narrazione
alternativa:
se i politici non si impegnano in questo
senso, probabilmente perderemo.
Lo
pensa davvero?
È
logico.
I governi devono davvero impegnarsi, non
pensare alla piccola politica, alle elezioni imminenti, alla carriera…
Dobbiamo
pensare in grande e essere ambiziosi e costruire una narrazione e una strategia
coraggiose, anche in economia. Dov’è forte l’Europa, a livello di industrie?
Nessuno lo sa. Va costruito tutto questo.
Se
invece l’Europa continua a offrire solo parole vuote, perderemo.
(addeditore.it/catalogo/asma-mhalla-tecnopolitica/).
“Tecnopolitica”,
come la tecnologia
militarizza la democrazia e le coscienze.
Micromega.net - Simone Zoppellaro – (22 Maggio
2025) – ci dice:
La
guerra si combatte anche con dati, piattaforme e Intelligenza Artificiale.
Il saggio di “Asma Mhalla” ci invita non solo
a comprenderlo ma anche a resistere attraverso immaginazione e speranza.
“Tecnopolitica”,
come la tecnologia militarizza la democrazia e le coscienze.
I
mutamenti rapidi e convulsi degli ultimi anni hanno lasciato tutti noi in un
perpetuo arrancare, un’inadeguatezza rispetto al nostro tempo e alle sue sfide
che si apre di fronte a noi come una voragine.
Viene
in mente il filosofo “Günther Anders”, che già nel secondo dopoguerra parlava
di una “obsolescenza dell’umano,” di un “dislivello prometeico” sempre più
incolmabile fra l’uomo e le sue tecnologie, potenti e distruttive.
La svolta in politica estera di Trump, che ha
colto impreparata l’Europa, ha poi fatto cadere un’ennesima illusione,
denunciando tutta la nostra impreparazione – che si vede tanto nei media che
nell’accademia, nella politica come nell’economia – di fronte a una sfera
digitale minacciosa, dalla quale non siamo però in grado di affrancarci.
Un
libro recente, opera della politologa franco-tunisina “Asma Mhalla”, propone un approccio originale per
decifrare il presente, partendo dall’idea di tecnopolitica:
“una
disciplina trasversale,” scrive l’autrice, “che incrocia economia e diritto,
filosofia e teoria politica, relazioni internazionali e storia, cyber e
tecnologia”.
Il volume (Tecnopolitica: Come la tecnologia ci
rende soldati, add editore, 2025) ha il pregio non trascurabile di tentare una nuova
lettura del rapporto sempre più problematico, e a tratti indecifrabile, fra
politica e nuove tecnologie, partendo – cosa non scontata – da una conoscenza
niente affatto superficiale di quest’ultime.
Il
tutto con il fine, come scrive Mhalla, di “proporre chiavi di lettura e punti
di riferimento per non perdersi nella nebbia che ci avvolge, per ragionare
invece di avere paura”.
Il
risultato è un libro che, pur nel suo impianto solido, si distingue per una
serie di guizzi e lampi che squarciano il buio di fronte e dentro di noi.
Perché, ragiona Mhalla, quello che ci manca
soprattutto, prima ancora del pensiero, oggi è un oggetto, una realtà univoca
sulla quale poter ragionare:
“La
tecnologia ipermoderna non polarizza soltanto gli individui e le società, ma
soprattutto la percezione del mondo, frammentando la realtà.
Diffrange
l’unicità del tempo, struttura e separa scene di un presente più vicino al
Medioevo che alla nostra iper modernità e immagini che sembrano uscite
direttamente da un futuro fantascientifico.
Ma tra questi due cardini temporali, dove si
colloca il presente in cui viviamo?
Una parte del nostro disagio, delle nostre
resistenze e paure molto probabilmente viene da questa frammentazione
spaziotemporale.
Uno spazio-tempo spezzato in due, due
dimensioni che non si incrociano più”.
In
questa situazione in cui, come abbiamo visto nei conflitti degli ultimi anni,
sfumano i confini, oltre che fra reale e virtuale, fra sfera civile e militare,
tutte e tutti noi ci riduciamo a pedine di un gioco oscuro, in un mondo in cui
la vita di ognuno somiglia sempre di più alla linea di un fronte, anche quando
meno ce ne accorgiamo.
“Le
tecnologie civili sono tali solo in apparenza, perché in realtà si rivelano
permeabili alle ingerenze e alle manipolazioni personalizzate di massa,
accessibili a tutti, in grado di creare dipendenza, diventando potenziali armi
di guerra nelle nostre tasche in comunicazione diretta con i punti deboli del
nostro cervello, il campo di battaglia finale.
In
sintesi, la tecnologia sta militarizzando le democrazie, a nostra insaputa,
senza che siamo in grado di misurare l’ampiezza della deflagrazione.
Ogni cittadino diventa il bersaglio di una
minaccia multiforme, soldato passivo, suo malgrado, senza capire cosa lo abbia
davvero reso un anello debole, la porta d’ingresso del nemico, la sua cinghia
di trasmissione tra Stati”.
Di
grande interesse anche le riflessioni che Mhalla sviluppa riguardo al
linguaggio:
“Contrariamente
alla vulgata popolare ereditata da 1984, la “Tecnologia Totale “non ha lo scopo
di «ridurre la lingua all’osso» per «distruggere la possibilità stessa del
pensiero crimine», obiettivo del ministero della “Verità orwelliano”, ma ha
bisogno che produciamo pensiero, chiacchiere virtuali in abbondanza,
all’infinito.
Pseudo
pensieri che magari ci affretteremo a far conoscere, è questo che conta. Questi
micro pensieri sono tutti dati monetizzabili, manipolabili da Big Tech e Big
State.
Ciò
che crediamo di pensare non conta più di tanto.
Il nostro pensiero, diluito, neutralizzato
nella massa, diventa un simulacro di pensiero”.
E
ancora:
“La
parola è ciò che permette lo scambio, la discussione, il dibattito, talvolta il
dissenso; è il contrario della violenza.
La
parola è la condizione essenziale della democrazia.
Oggi, però, è polarizzata dai meccanismi di
viralità algoritmica, scimmiottata dalle ultime generazioni di intelligenze
artificiali generative, militarizzata dalle guerre d’informazione e cognitive
che infuriano sui social network e altrove.
La parola viene ottimizzata dall’iper
personalizzazione di massa dei contenuti ai quali l’individuo – o piuttosto il
«dividuo» deleuziano – è esposto:
l’algoritmo
mette in evidenza i contenuti che possono catturare la nostra attenzione
davanti allo schermo. L
’industrializzazione
del micro targeting dei contenuti e dell’informazione fa parte
dell’infrastruttura tecnologica potenziata dall’intelligenza artificiale.
L’architettura tecnica delle attuali
infrastrutture informative sistemiche porta avanti il lavoro di
depoliticizzazione.
In
maniera subdola sgretola il modello democratico liberale, favorendo in
particolare la militarizzazione delle infrastrutture civili”.
Assai
importante anche il capitolo che Mhalla dedica al “concetto di guerra cognitiva”,
ovvero una situazione in cui, come scrive l’autrice, “ogni cervello diventa una
roccaforte da conquistare,” poiché “il controllo della cognizione sarà al
centro delle battaglie future”.
Una “militarizzazione delle menti, che implica
la militarizzazione della democrazia,” che è già qui e rappresenta il pane
quotidiano, amaro e indigeribile, di cui ci nutriamo.
Dal
giornalismo alla scuola, dai social media fino ai meccanismi stessi alla base
della democrazia, Mhalla si interroga, avanzando proposte concrete, su quali
possano essere le risposte all’emergenza (o, per meglio dire, alla poli- crisi
in atto) del presente, per opporsi a una deriva autoritaria che sembra per
molti aspetti ineluttabile.
Pragmatica
e lontana da un certo neo luddismo che sta conoscendo una rifioritura
intellettuale oltreoceano, testimoniata da opere brillanti come “Blood in the Machine: The Origins of
the Rebellion Against Big Tech” di Brian Merchant, l’autrice imbocca la direzione più
giusta per uscire dal vicolo cieco odierno:
quella
dell’immaginazione.
Solo quest’ultimo spazio incorrotto, se
sapremo farne buon uso, ci potrà salvare dalla morsa soffocante di tecno-sorveglianza
e geopolitica di un presente dominato dalla violenza.
Perché, e non a caso è la parola con cui si
conclude il volume, nonostante tutto, oggi è fondamentale sperare.
(Simone
Zoppellaro).
Alla
base dell’Intelligenza Artificiale.
La
nascita dell’idea di intelligenza artificiale
Anitee-assinformat.it
- Dario Monici - Raoul Alfredo Rocher – (15 giugno 2023) ci dicono:
L’uomo
ha da sempre voluto ampliare le proprie capacità intellettive e cercato di
replicarle in maniera meccanica per automatizzare alcune operazioni semplici o
ripetitive come il riconoscimento di immagini, il miglioramento di processi di
business o IT o la traduzione linguistica.
Da
questa esigenza nasce l’intelligenza artificiale o intelligenza aumentata che è
da intendersi come quella capacità dei calcolatori informatici di riprodurre
attività simili a quelle dell’intelligenza umana.
L'Intelligenza
Artificiale è un’innovazione tecnologica relativamente recente risalente alla
fine degli anni Sessanta del novecento a partire dalle prime teorie di reti
neurali grazie alle quali fu concepito il “percettore” (prima rete neurale con
input, un neurone e l’output).
Qualche
anno dopo ci fu l’importante distinzione tra:
A.I.
forte:
Il
sistema informatico non è soltanto uno software in grado di risolvere problemi
specifici ma, se programmata in maniera opportuna, diventa un sistema in grado
di svolgere attività e risolvere problemi simulando l’intelletto umano.
A.I.
debole:
sistemi informatici che risolvono
problematiche relativamente complesse, ma all’interno di un perimetro ben
specifico e ben definito.
Queste
tecniche non hanno trovato applicazione di business fino agli anni Settanta del
novecento, quando sono stati sviluppati sistemi informatici con capacità
computazionali abbastanza potenti da poterle utilizzare in applicazioni
concrete.
Negli
anni Ottanta, tra le prime e più tipiche applicazioni dell’A.I. in ambito
industriale, vi è sicuramente la sua integrazione all’interno di strumenti di
ERP (Enterprise Resource Planning) e CRM (Customer Relationship Management).
L’intelligenza artificiale oggi: tecnologie e
applicazioni.
Oggi
l’intelligenza artificiale si è diffusa in molte attività quotidiane in diversi
ambiti tra cui la logistica, la produzione industriale e l’ottimizzazione di
processi aziendali e di business, di conseguenza ha contribuito allo sviluppo
di tecnologie come la robotica, la guida autonoma, il “Machine Learning” e per
ultima, anche l’innovativa tecnologia del “Generative A.I”.
Il
Machine learning, è un sottogruppo dell’A.I. che permette di addestrare funzioni
matematiche e statistiche attraverso la fruizione di dati storici forniti in
input.
Queste
stesse funzioni, dette algoritmi, hanno lo scopo di imparare dai dati storici, dei
pattern ricorrenti, invisibili all’occhio umano, e di adattarsi alle situazioni
già affrontate in passato per generare l’output corretto al ripresentarsi delle
medesime situazioni note.
Un
esempio è la creazione di un modello matematico di regressione che preveda il
valore futuro o il costo di un asset.
I dati
storici, in input, saranno costituiti da alcune caratteristiche del prodotto
quali dimensione, peso, colore, ecc. e altre caratteristiche più legate al
business del prodotto come il numero di vendite, il costo di produzione, ecc…
A
questi dati verrà inoltre associata una variabile di previsione che sarà il
costo dello specifico prodotto.
Il modello supervisionato di regressione sarà
dunque in grado di trovare pattern nascosti nei dati storici forniti in input e
di capire come tali dati influenzino la variabile di previsione (costo dello
specifico prodotto).
L’utilizzo
del modello in produzione permetterà di prevedere, sulla base della similarità,
il costo di un nuovo prodotto.
Un'altra
area importante dell’intelligenza artificiale è quella del “Deep learning” che
ha preso spunto, per il suo sviluppo, dalla struttura del cervello biologico
umano.
Tale tecnologia utilizza modelli di reti
neurali (Di diverse dimensioni e tipologie), che richiedono enormi quantità di
dati per l’addestramento.
Lo
scopo delle reti neurali è quello di elaborare e processare le informazioni
ricevute in ingresso proponendo diversi tipi di output.
Le applicazioni più comuni del deep learning
sono l’”image “e lo “speech ricognizioni” e la “traduzione di testi”.
L'intelligenza
artificiale generativa trova invece spazio a fianco del machine learning e del deep
learning, sempre sotto il grande cappello dell’intelligenza artificiale.
Gli
algoritmi di questa branca possono essere utilizzati per creare nuovi
contenuti, tra cui audio, codice, immagini, testo e video.
Le innovazioni degli ultimi anni in questo
ambito hanno il potenziale per cambiare l’approccio alla creazione di
contenuti.
Fino a
poco tempo fa, l'apprendimento automatico si limitava ad apprendere come
identificare un oggetto all’interno di un’immagine e classificarlo
correttamente. L'intelligenza artificiale generativa è ora in grado di creare
un'immagine partendo da una richiesta dell’utente scritta in linguaggio
naturale.
Tra le
più diffuse tecnologie alla base del Generative A.I. ritroviamo le GAN
(Generative Avversaria Network), i transformers (es. GPT 4 e La MDA) e i variazionali
auto-encoders.
Le
aziende e le organizzazioni potrebbero personalizzare un modello di A.I.
generativa affiancando tecnologie più mature e pronte per adattarlo alle
proprie esigenze di business.
Le
aziende dovrebbero anche mantenere una figura di supervisione umana in tutto il
ciclo di training e, soprattutto, prima di pubblicare i risultati di un A.I.
generativa.
Una
cosa è certa, almeno per i prossimi anni, è importante non demandare ai modelli
di A.I. generativa decisioni critiche, come quelle che coinvolgono risorse
significative, decisioni di business o il benessere delle persone umane.
Cosa
cambierà davvero il mondo:
la
svolta nucleare della Cina.
Unz.com - Hua Bin – (19 aprile 2025) ci dice:
La
Cina ha reso operativo il primo reattore nucleare al torio al mondo.
Mentre
il mondo è incantato dal dramma della guerra tariffaria a zig zag lanciato
dalla star dei reality “Donne Trump” e la gente si meraviglia della pura
distruttività di un pazzo stupido, in Cina si è appena verificato un evento
davvero epocale.
All'inizio
di aprile, gli scienziati cinesi hanno raggiunto un traguardo importante nella
tecnologia dell'energia pulita, aggiungendo con successo combustibile fresco a
un reattore a sali fusi di torio già operativo, il primo del suo genere al
mondo. Questa svolta segna l'arrivo di un
reattore nucleare al torio commercialmente sostenibile nel futuro mix
energetico della Cina.
Il torio
è un'alternativa molto più sicura e abbondante all'uranio per l'energia
nucleare, perché è ampiamente disponibile, è più economico da estrarre, ha una
maggiore densità energetica e produce molte meno scorie nucleari di lunga
durata.
È
molto più sicuro dell'uranio perché non è fissile di per sé, quindi non può
essere trasformato in un'arma.
Gli
esperti del settore nucleare considerano il torio il” Santo Graal “per la
futura rivoluzione energetica, accanto alla fusione nucleare, di cui parlerò
brevemente alla fine.
Il
torio si trova in abbondanza nella crosta terrestre in tutto il mondo.
Una
sola miniera nella Mongolia Interna cinese, la miniera di “Bayan Obo”, possiede
depositi di torio sufficienti a soddisfare teoricamente il fabbisogno
energetico della Cina per i prossimi 20.000 anni, producendo al contempo una
quantità minima di scorie radioattive.
La
direzione tecnologica più promettente è l'utilizzo del torio nei reattori a
sali fusi. Mentre diverse nazioni stanno sviluppando questa tecnologia, la Cina
è la prima ad aver costruito un reattore sperimentale a sali fusi di torio.
L'ultima
scoperta volta ad aggiungere combustibile fresco a un reattore operativo indica
che tale tecnologia è pronta per un impiego commerciale duraturo. Si tratta del primo utilizzo stabile
e a lungo termine di questa tecnologia, che pone la Cina in prima linea nella
corsa mondiale allo sfruttamento del torio per l'energia nucleare.
Il
reattore sperimentale, situato nel deserto del Gobi, nella Cina occidentale,
utilizza sali fusi come combustibile e refrigerante, e il torio come fonte di
combustibile.
Il
reattore è progettato per generare in modo sostenibile 2 megawatt di potenza
termica.
Lo
sviluppo è stato annunciato l'8 aprile dal capo scienziato del progetto,” Xu
Hongjie”, presso l'Accademia cinese delle scienze.
“ Xu”
ha affermato che la Cina "ora è all'avanguardia a livello mondiale nella
tecnologia nucleare al torio".
Il
progetto cinese del reattore a sali fusi di torio è iniziato con la ricerca
teorica negli anni '70 e nel 2009 la dirigenza della CAS ha incaricato” Xu “di
rendere realtà la tecnologia dell'energia nucleare di nuova generazione.
Nel
giro di due anni il team del progetto è cresciuto, passando da decine di membri
a più di 400 ricercatori.
"Abbiamo
imparato facendo e abbiamo fatto imparando", ha detto “Xu”. Le sfide erano
immense: progettare nuovi materiali, risolvere problemi a temperature estreme e
gestire componenti ingegneristici mai costruiti prima.
Dopo
l'inizio della costruzione del reattore sperimentale nel 2018, la maggior parte
degli scienziati coinvolti nel progetto ha rinunciato alle ferie:
hanno
lavorato giorno e notte e alcuni sono rimasti in loco per più di 300 giorni
all'anno.
Il
deserto del Gobi dista migliaia di chilometri dalle principali città costiere.
Entro
ottobre 2023 è stato costruito e ha raggiunto la critica: una reazione nucleare
a catena sostenuta. Ed entro giugno 2024 aveva raggiunto il funzionamento a
piena potenza.
All'inizio
di quest'anno il processo di ricarica del combustibile al torio è stato
completato mentre il reattore era in funzione, rendendolo l'unico reattore al
torio operativo al mondo.
"Abbiamo scelto la strada più
difficile, ma quella giusta", ha detto “Xu”, riferendosi alla spinta verso
un'applicazione nel mondo reale piuttosto che una ricerca puramente accademica.
Un
reattore a sali fusi al torio molto più grande è già in costruzione in Cina e
si prevede che raggiungerà la critica entro il 2030.
Quel reattore di ricerca è progettato per
produrre 10 megawatt di elettricità, sufficienti per alimentare 10.000 case per
un anno.
L'industria
cantieristica statale cinese ha anche svelato un progetto per una nave
portacontainer alimentata a torio che potrebbe potenzialmente raggiungere il
trasporto marittimo senza emissioni.
Nel
frattempo, gli sforzi degli Stati Uniti per sviluppare un reattore a sali fusi
rimangono sulla carta, nonostante il sostegno bipartisan del Congresso e le
iniziative del Dipartimento dell'Energia.
“Xu”
ha detto:
"Nel gioco nucleare, non ci sono vittorie
rapide. Devi avere una resistenza strategica, concentrarti sul fare solo una
cosa per 20, 30 anni".
Oltre
ai reattori al torio, la Cina è all'avanguardia nello sviluppo della tecnologia
di fusione nucleare (al contrario dell'attuale tecnologia di fissione) che
potrebbe portare un'energia pulita e priva di carbonio, quasi illimitata.
La
fusione è il modo in cui il sole si autoalimenta e genera 4 volte la quantità
di energia della fissione.
Al
centro di questa rivoluzione della fusione c'è il “tokamak”, un dispositivo a
forma di ciambella progettato per contenere plasma surriscaldato utilizzando
potenti campi magnetici. Imitando le condizioni del sole, dove gli atomi di
idrogeno si fondono in elio, i tokamak consentono il rilascio di enormi
quantità di energia.
La
Cina è all'avanguardia nello sviluppo globale della fusione nucleare. Più
recentemente, ha raggiunto diversi traguardi chiave nella ricerca sulla
fusione, tra cui:
– Il “Tokamak
“superconduttore sperimentale avanzato (EAST), soprannominato "sole
artificiale" in Cina, ha stabilito un nuovo record nel gennaio 2025.ù
Il progetto ha sede a “Hefei” ed è gestito
dalla “China Academy of Sciences” (CAS), il principale istituto di ricerca
scientifica al mondo.
EAST
ha mantenuto un plasma ad alto confinamento per 1.066 secondi, superando il
precedente record mondiale di 403 secondi:
un
passo fondamentale verso reazioni di fusione sostenute necessarie per la
generazione pratica di energia.
– Il “Tokamak
HL-2M”, situato a “Chengdu”, è il più grande e avanzato della Cina. Ha
raggiunto la prima scarica di plasma e parametri di plasma elevati, in grado di
produrre temperature di plasma superiori a 200 milioni di gradi Celsius e
correnti di plasma superiori a 2,5 milioni di ampere, essenziali per reazioni
di fusione efficienti.
– Il “Tokamak
HH70”, sviluppato dall'azienda privata “Energy Singularity” con sede a
Shanghai, si distingue per l'integrazione di magneti superconduttori ad alta
temperatura realizzati in REBCO (ossido di rame, bario e terre rare).
Questa
tecnologia all'avanguardia riduce drasticamente le dimensioni e i costi dei
tokamak convenzionali, aprendo la strada a un'energia da fusione più
accessibile e commerciale.
“Energy
Singularity” prevede di costruire un tokamak di nuova generazione entro il 2027
e un dimostratore tecnologico su vasta scala per la reazione nucleare di
fusione entro il 2030.
Sebbene
la fattibilità commerciale rimanga l'ultima frontiera, innovazioni come EAST e
HH70 dimostrano i significativi progressi compiuti verso la trasformazione
della fusione nucleare in una soluzione energetica pratica.
A
parte tutte le chiacchiere su dazi e guerre commerciali, la tecnologia è in
definitiva la via per lo sviluppo e la prosperità umana.
Continuiamo
a guardare avanti.
In che
modo gli assistenti “AI” suggeriscono
di
affrontare il bullismo tariffario di Trump.
Unz.com
– Hua Bin – (30 aprile 2025) – ci dice:
Domande
e risposte con “DeepSeek”, “Grok” e “ChatG”.
È
stato ampiamente riferito che il regime di Trump ha utilizzato ChatGPT per
aiutare a elaborare le tariffe per gli oltre 180 paesi per bilanciare il
deficit commerciale degli Stati Uniti.
Anche se ho il mio dubbio che qualsiasi
assistente AI sarebbe così "non intelligente" da suggerire di tassare
le isole Heard e McDonald, ho pensato che sarebbe stato interessante chiedere
all'IA come rispondere al bullismo tariffario di Trump.
Ho
posto tre domande a DeepSeek, Grok e ChatGPT ciascuno:
– Come
affrontare il bullismo tariffario di Trump.
– Qual
è la conseguenza del non tenergli testa.
– Come
dovrebbe rispondere la Cina.
Di
seguito sono riportate le risposte di ciascun assistente AI alla lettera,
tranne per il fatto che ho dovuto abbreviare alcune risposte per soddisfare il
requisito di lunghezza dell'”e-mail Substack”.
Ognuno
risponde da una prospettiva leggermente diversa.
Tuttavia, non un solo assistente di
intelligenza artificiale ha suggerito ai paesi di soccombere e accettare i dazi
di Trump senza combattere.
Ancora
più interessante, Pechino sembra seguire un copione suggerito dall'intelligenza
artificiale su come rispondere.
Chiaramente
ci sono due modi per utilizzare l'intelligenza artificiale:
in
modo intelligente e stupido.
Lascerò che siate voi a decidere chi lo sta
facendo in modo intelligente e l'altro in modo stupido.
Avviso
spoiler: Trump ha ovviamente dimenticato di porre la domanda più importante al
suo modello di intelligenza artificiale:
dovrei lanciare una guerra tariffaria a tutto
campo contro tutti?
A
proposito, quando ho chiesto a “ChatGPT,” l'”assistente “”AI ha completamente
negato di avere nulla a che fare con il calcolo "reciproco" delle
tariffe del regime di Trump, suggerendo che sarebbe stato un insulto alla sua
intelligenza.)
Una nota
a margine: “Grok” sembra avere un pregiudizio pro-Trump più forte nella sua
analisi, sollevando qualche dubbio sulla neutralità politica del suo algoritmo.
Domanda
1: come
affrontare il bullismo tariffario di Trump.
Risposta
1 di DeepSeek.
Affrontare
il bullismo tariffario di Trump richiede una combinazione di misure economiche
strategiche, impegno diplomatico e cooperazione multilaterale. Di seguito sono
riportati alcuni approcci chiave:
1.
Vendica con precisione.
Imporre
tariffe mirate su beni statunitensi politicamente sensibili (ad esempio,
prodotti agricoli, automobili o fattori produttivi industriali chiave) per fare
pressione sulla base elettorale di Trump.
Utilizzare
la ritorsione asimmetrica: concentrarsi sui settori in cui gli Stati Uniti sono
vulnerabili, riducendo al minimo i danni economici interni.
2.
Rafforzare la resilienza interna.
Diversificare
le catene di approvvigionamento lontano dalla dipendenza dagli Stati Uniti,
aumentando la produzione interna o l'approvvigionamento da mercati alternativi.
Sostenere
le industrie interessate con sussidi, agevolazioni fiscali o incentivi
all'esportazione per mitigare l'impatto delle tariffe.
3.
Sfruttare le alleanze internazionali.
Formare
coalizioni con altre nazioni colpite dai dazi statunitensi (ad esempio, UE,
Canada, Messico) per presentare un fronte unito.
Sfidare
i dazi dell'OMC per delegittimare le politiche protezionistiche di Trump e
imporre pressioni legali.
4.Negoziare
strategicamente.
Impegnarsi
in colloqui diretti mantenendo la leva finanziaria: offrire concessioni solo se
gli Stati Uniti ritirano le tariffe.
Sfruttare
le divisioni all'interno degli Stati Uniti (ad esempio, la pressione delle
lobby imprenditoriali, l'opposizione bipartisan alle guerre commerciali).
5.Contromisure
economiche.
Svalutare
la valuta (se applicabile) per compensare i costi tariffari e mantenere la
competitività delle esportazioni.
Aumentare
il commercio con i mercati non statunitensi (ad esempio, RCEP, ASEAN, Africa)
per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.
6.Strategie
a lungo termine.
Accelerare
l'autosufficienza tecnologica (ad esempio, l'indipendenza dei semiconduttori)
per ridurre la leva finanziaria degli Stati Uniti.
Trasformare
l'interdipendenza economica in un'arma, limitando le esportazioni critiche (ad
esempio, minerali di terre rare) se necessario.
Considerazioni
chiave:
Evita un'escalation
che danneggia la tua economia più degli Stati Uniti.
U.S.A la
propaganda e le narrazioni per inquadrare i dazi di Trump come dannosi per il
commercio globale.
Prepararsi
a un conflitto prolungato.
Risposta
1 di Grok.
Affrontare
le politiche tariffarie di Donald Trump, che sono state presentate come
aggressive e di vasta portata, richiede un approccio strategico che consideri
le dimensioni economiche, diplomatiche e legali.
Di
seguito sono riportate diverse strategie per individui, aziende, governi e
altre parti interessate per navigare o rispondere a queste tariffe, in base al
contesto delle politiche di Trump come delineato in recenti analisi
commerciali.
Queste
strategie mirano a mitigare gli impatti negativi, sfruttare le opportunità o
contrastare quello che alcuni percepiscono come "bullismo
tariffario".
1. Per
i governi e i partner commerciali.
I
governi che affrontano i dazi di Trump possono adottare strategie diplomatiche,
economiche e cooperative per ridurre al minimo le interruzioni e proteggere gli
interessi nazionali.
Impegnarsi
nella diplomazia e nella negoziazione.
Molti
paesi hanno già cercato accordi commerciali per mitigare l'impatto dei dazi. Ad
esempio, oltre 75 paesi hanno contattato gli Stati Uniti per discutere di nuovi
accordi commerciali in seguito agli annunci tariffari di Trump.
Evitare
ritorsioni per prevenire l'escalation.
Le tariffe di ritorsione possono portare
a un'escalation, come si è visto con le tariffe cinesi del 125% in risposta
alle tariffe statunitensi fino al 145%, intensificando la guerra commerciale.
Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti Bessant ha messo in guardia contro le
ritorsioni, suggerendo che potrebbe portare a misure più severe.
Unfronte
unito può esercitare una maggiore pressione sugli Stati Uniti affinché
riconsiderino i dazi. Il ministro dell'Economia tedesco ha suggerito che un
approccio europeo coeso potrebbe costringere Trump ad adeguare le politiche.
Coordinamento
Sud-Sud :
come
suggerito da un post di X, i paesi del Sud del mondo potrebbero coordinarsi per
contrastare le richieste degli Stati Uniti, come il mantenimento delle
politiche industriali o la resistenza alla svalutazione della moneta.
Diversificare
i partner commerciali
Ridurre la dipendenza dal mercato statunitense
può mitigare l'impatto dei dati. La Cina ha aumentato il commercio con l'UE, il
Messico e il Vietnam per compensare gli effetti tariffari degli Stati Uniti.
Azione :
Rafforzare
i legami commerciali con paesi non statunitensi attraverso accordi di libero
scambio o blocchi regionali (ad esempio, RCEP, CPTPP).
Il Messico e il Canada potrebbero sfruttare le
esenzioni dell'USMCA per mantenere le esportazioni competitive.
Le
cause legali contro l'uso da parte di Trump dell'”International Emergency
Economic Powers Act” (IEEPA) stanno guadagnando terreno, sostenendo che le
tariffe mancano di una legittima base di "emergenza".
2. Per
le aziende.
Le
aziende, in particolare quelle che dipendono dalle interazioni o dalle
esportazioni, devono affrontare costi più elevati e pause della catena di
approvvigionamento a causa dei dazi. Ecco come adattarsi:
Rivalutare
le catene
di approvvigionamento.
Le tariffe aumentano il costo delle merci
importate, con gli importatori statunitensi che pagheranno circa 1.300 dollari
per famiglia nel 2025. Le piccole imprese, come l'azienda di gadget da cucina
Suvie, si stanno affrettando ad adeguare le catene di approvvigionamento.
Azione:
approvvigionarsi
di materiali da paesi con dazi doganali più bassi o nulli (ad esempio, i
prodotti conformi allo USMCA provenienti da Canada e Messico sono esenti).
Valutare
i fornitori nazionali per evitare i dazi all'importazione, in linea con
l'obiettivo di Trump di delocalizzare la produzione.
Esempio:
le case automobilistiche sono state lente a
riorientare le catene di fornitura a causa dell'incertezza politica, quindi la
diversificazione proattiva è fondamentale.
Trasferire
strategicamente i costi ai consumatori.
I dazi
spesso aumentano i prezzi (ad esempio, un prodotto da 10 dollari con un dazio
del 10% diventa di 11 dollari). Le aziende devono decidere se assorbire i costi
o trasferirli ai consumatori.
Esenzioni
e scappatoie da leva finanziaria.
I dazi
di Trump includono esenzioni per determinati beni (ad esempio, semiconduttori,
prodotti farmaceutici e prodotti conformi allo standard USMCA). L'esenzione “de
minimis” per i prodotti cinesi di valore inferiore a 800 dollari termina il 2
maggio 2025, ma le esenzioni per l'elettronica sono state retrodatate al 5
aprile.
Esempio:
Tesla,
Nvidia e Apple hanno beneficiato delle esenzioni sui prodotti elettronici,
contribuendo alla ripresa del mercato azionario.
Investire
in flessibilità e analisi.
La
natura imprevedibile della politica tariffaria di Trump (ad esempio, l'annuncio
di tariffe elevate e la loro successiva sospensione) crea incertezza.
Suggerimento:
proteggetevi
dalle fluttuazioni valutarie, poiché le valute indebolite (ad esempio il peso
messicano e lo yuan cinese) possono compensare i costi tariffari.
Fai
lobbying o unisciti alle cause legali.
Sebbene
la Camera di commercio degli Stati Uniti non si sia unita alle cause legali, le
singole aziende possono sostenere gli sforzi legali per contestare le tariffe.
3. Per
individui e consumatori.
I
consumatori si trovano ad affrontare prezzi più elevati e incertezza economica
a causa dei dazi.
Ecco
alcuni modi per affrontarli:
Le tariffe
potrebbero costare alle famiglie statunitensi 5.200 dollari all'anno, con le
famiglie a reddito medio che dovranno affrontare una perdita di 58.000 dollari
nel corso della vita.
Le
tariffe di Trump mirano a rilanciare la produzione statunitense, ma le piccole
imprese sono vulnerabili all'aumento dei costi.
La
disapprovazione pubblica nei confronti delle tariffe di Trump è significativa, con il 56%
degli americani che afferma di essere "andato troppo oltre".
4.
Considerazioni strategiche più ampie.
Comprendi
gli obiettivi di Trump e sfruttali.
Le
tariffe di Trump sono inquadrate come strumenti per ridurre il deficit
commerciale, proteggere i lavoratori americani e affrontare problemi come
l'immigrazione illegale e il contrabbando di fentanil.
L'offerta
di concessioni in questi settori (ad esempio, politiche di frontiera più forti
o l'applicazione della legge sulla droga) può portare uno sgravio tariffario.
Le politiche
di Trump potrebbero rimodellare il commercio globale in modo irreversibile,
erodendo la fiducia nell'affidabilità degli Stati Uniti e incoraggiando altri
paesi ad adeguare le catene di approvvigionamento.
I mercati
finanziari hanno reagito con forza agli annunci dei dazi, con l'S&P 500 che
è sceso di quasi il 5% il 3 aprile 2025 e ha rimbalzato dopo le pause
tariffarie.
Prospettiva
critica.
Mentre
l'amministrazione Trump sostiene che i dazi rafforzano l'economia statunitense
e proteggono i lavoratori, i critici sostengono che danneggiano i consumatori,
riducono il PIL e provocano ritorsioni globali.
Il “Penn
Wharton Budget Model” prevede una riduzione dell'8% del PIL e un calo salariale
del 7% a causa dei dazi, con perdite doppie rispetto a equivalenti aumenti
delle tasse.
Gli
economisti mettono in guardia da una potenziale guerra commerciale globale, con
il FMI che taglia le previsioni di crescita e prevede che gli Stati Uniti
saranno i più colpiti.
Tuttavia,
i sostenitori, tra cui figure bipartisan come il deputato “Jared Golden”,
sostengono che i dazi affrontino pratiche commerciali sleali e riportino i
posti di lavoro.
Uno
studio del 2024 citato dalla Casa Bianca ha rilevato che i dazi del primo
mandato di Trump hanno incrementato la produzione e gli investimenti in acciaio
negli Stati Uniti.
La
verità probabilmente risiede in un equilibrio:
i dazi possono avvantaggiare settori
specifici, ma rischiano di causare una più ampia crisi economica se gestiti
male.
Conclusione.
Affrontare
le politiche tariffarie di Trump richiede un mix di diplomazia, adattamento e
resilienza. I governi dovrebbero negoziare strategicamente, evitare ritorsioni
e diversificare gli scambi commerciali.
Le imprese devono riorientare le catene di
approvvigionamento, sfruttare le esenzioni e creare flessibilità.
I
consumatori possono adeguare la spesa e sostenere le economie locali.
Tutte
le parti interessate dovrebbero rimanere informate, monitorare i cambiamenti di
politica economica e considerare azioni legali o collettive per contestare o
mitigare i dazi.
Allineandosi
agli obiettivi dichiarati di Trump (ad esempio, commercio equo e solidale,
sicurezza nazionale) e tutelando al contempo i propri interessi, le parti
interessate possono districarsi in questo turbolento panorama commerciale.
Risposta
1 da ChatGPT.
Affrontare
le politiche tariffarie di Trump, spesso viste come una forma di
"bullismo" economico dai partner commerciali, richiede risposte
strategiche e calcolare a livello nazionale, aziendale o individuale, a seconda
della posizione. Ecco come le diverse entità potrebbero affrontarlo:
Per i
governi o i partner commerciali:
1.
Negoziazione e diplomazia.
Coinvolgere
gli Stati Uniti in colloqui commerciali bilaterali o multilaterali per ridurre
o rimuovere le tariffe.
Sfruttare
le alleanze (ad esempio, UE, OMC) per aumentare il potere di contrattazione
collettiva.
2.
Tariffa di ritorsione (con cautela)
Imporre
tariffe reciproche ai beni statunitensi politicamente o economicamente
sensibili per promuovere un cambiamento politico.
Esempio: Cina, UE e Canada hanno preso di
mira le principali esportazioni statunitensi (come soia, bourbon e
Harley-Davidson) durante le controversie commerciali passate.
3.
Diversificazione dei partner commerciali.
Ridurre
la dipendenza dai mercati statunitensi rafforzando i legami con altre economie
(ad esempio, ASEAN, Africa, America Latina).
4.Risoluzione
delle controversie dell'OMC
Presentare
reclami all'”Organizzazione Mondiale del Commercio “per contestare le tariffe
che violano le regole del commercio internazionale (come hanno fatto l'UE e
altri).
Per le
aziende:
1.
Adeguamento della catena di approvvigionamento.
Spostare
la produzione in paesi non soggetti a dazi (ad esempio, spostare la produzione
dalla Cina al Vietnam, al Messico).
Procurarsi
materie prime o beni intermedi da mercati non soggetti a tariffe.
2.
Riclassificazione del prodotto.
Collabora
con gli avvocati del commercio per determinare se le merci possono essere
riclassificate in categorie tariffarie inferiori.
3.
Passa i costi in modo strategico.
Valuta
se trasferire i costi ai consumatori, assorbirli o trovare compensazioni dei
costi altrove.
Per i
consumatori e gli individui:
1.
Acquista alternativa.
Scegliete
le nazionali o esenti da dazi quando possibile per evitare un aumento del
prezzo.
2.
Difesa
Sostieni
i rappresentanti politici o le organizzazioni che promuovono il libero scambio.
Partecipare
a dibattiti pubblici (ad esempio, scrivere editoriali, partecipare a forum) per
discutere la direzione delle politiche.
I dazi
di Trump sono stati spesso inquadrati come una strategia per
"riequilibrare il commercio sleale", ma sono stati critici per aver
danneggiato i consumatori statunitensi e innescato tensione commerciale
globale. Una risposta intelligente implica che rimarremo adattabili, esperti di
legge e impegnati a livello globale.
Domanda
2: Cosa succede se non ti opponi al bullo?
Risposta
2 di DeepSeek.
Se un
paese non si oppone al bullismo tariffario di Trump (o a una simile coercizione
economica), potrebbe affrontare gravi conseguenze a lungo termine:
1.
Conseguenze economiche.
Perdita
di leva commerciale:
l'accettazione di tariffe unilaterali senza
resistenza incoraggia richieste più aggressive, portando a condizioni peggiori nei
negoziati futuri.
Erosione
delle industrie nazionali:
se i
dazi rendono le esportazioni non competitive, le industrie chiave possono
ridursi, causando perdite di posti di lavoro e declino economico.
Dipendenza
dal mercato statunitense: l'incapacità di diversificare i partner commerciali
aumenta la debolezza delle future pressioni degli Stati Uniti.
2.
Conseguenze politiche e strategiche.
Debolezza
percepita:
arrendersi
al bullismo incoraggiato gli Stati Uniti (o altre potenze) a imporre richieste
più dure (ad esempio, sanzioni, divieti tecnologici o concessioni politiche).
Perdita
di sovranità:
l'accettazione
di termini ingiusti può costringere a cambiamenti politici che si allineano con
gli interessi degli Stati Uniti piuttosto che con le priorità nazionali.
Reputazione
globale danneggiata:
altre
nazioni potrebbero vedere il paese come un facile bersaglio per la coercizione
economica.
3.
Conseguenze geopolitiche.
Alleanze
indebolite:
se il paese cede alle pressioni degli Stati
Uniti, i partner possono perdere la fiducia e cercare alleati più forti (ad
esempio, avvicinandosi alla Cina o all'UE).
Il
cambiamento nell'equilibrio di potere
l'incapacità di resistere potrebbe accelerare il
dominio economico degli Stati Uniti, riducendo l'influenza del paese nelle
regole del commercio globale.
4.
Contraccolpo domestico.
Rabbia
pubblica:
i cittadini possono incolpare i leader per non
aver protetto gli interessi nazionali, portando all'instabilità politica.
Sfiducia
nelle imprese:
le
aziende danneggiate dai dazi possono fare pressione sul governo affinché agisca
o possono delocalizzare le operazioni per evitare rischi futuri.
Esempi
storici.
Il
Giappone negli anni '80:
ha
accettato le restrizioni commerciali degli Stati Uniti (ad esempio, l'”Accordo
del Plaza”, le quote automobilistiche), che hanno contribuito ai suoi "decenni
perduti" di stagnazione economica.
Messico
sotto rinegoziazione del NAFTA:
inizialmente
resistette, ma in seguito cedette ad alcune richieste degli Stati Uniti,
stabilendo un precedente per future pressioni.
Conclusione.
Non
resistere al bullismo economico porta al declino a lungo termine della
sovranità, della forza economica e della posizione geopolitica.
Un
approccio equilibrato, che combina respingimento (ritorsione), diversificazione
e negoziati strategici, è fondamentale per evitare di essere svantaggiati in
modo permanente.
Risposta
2 di Grok.
Non
riuscire a resistere alle politiche tariffarie di Trump, che alcuni descrivono
come "bullismo" a causa della loro natura aggressiva e unilaterale,
può portare significative conseguenze economiche, politiche e strategiche per
governi, imprese e consumatori.
Di
seguito sono riportate le principali ripercussioni dell'inazione, sulla base
del contesto delle recenti analisi e delle implicazioni più ampie di queste
tariffe.
1.
Conseguenze economiche.
Costi
più elevati e riduzione
senza
resistenza, i dazi aumenteranno il costo dei beni importati, aumentando i
prezzi per i consumatori e le imprese.
Ad esempio, le famiglie statunitensi
potrebbero dover affrontare altri $ 5.200 all'anno, con le famiglie a reddito
medio che perdono $ 58.000 nel corso della vita a causa dell'aumento dei prezzi
e del rallentamento economico.
A
livello globale, paesi come il Canada e il Messico, che dipendono dal commercio
degli Stati Uniti, potrebbero vedere costi più elevati per le esportazioni (ad
esempio, l'80% delle esportazioni del Messico va negli Stati Uniti).
Impatto:
i dazi incontrastati potrebbero consolidare il
vantaggio, riducendo il potere d'acquisto e il tenore di vita, soprattutto per
i gruppi a basso e medio reddito.
Il modello
di bilancio di Penn Wharton prevede una riduzione del PIL dell'8% e un calo degli
stipendi del 7% negli Stati Uniti a causa dei dazi, con le previsioni di
crescita globale tagliate dal FMI.
I
paesi che non diversificano il commercio o negoziano esenzioni rischiano un
declino economico più profondo.
Ad
esempio, l'economia cinese deve affrontare la pressione dei dazi statunitensi
del 145% e le ritorsioni hanno aumentato le perdite.
Impatto:
l'inazione potrebbe portare a recessioni
prolungate, perdite di posti di lavoro e riduzione della competitività, in
particolare per le economie dipendenti dalle esportazioni.
Interruzioni
della catena di approvvigionamento:
le aziende che non si adattano ai dazi devono
affrontare costi di produzione più elevati e il caos della catena di
approvvigionamento. Le piccole imprese, come le aziende statunitensi di gadget
da cucina, stanno già lottando con i dazi all'importazione, mentre le case
automobilistiche devono affrontare una causa dell'incertezza politica.
Impatto:
il
mancato riorientamento delle catene di approvvigionamento potrebbe comportare
la chiusura di aziende, una riduzione dell'innovazione e perdite di quote di
mercato a favore dei concorrenti che si adeguano.
2.
Conseguenze politiche e diplomatiche.
Erosione
della sovranità e influenza
I
paesi che accettano passivamente i dazi potrebbero perdere potere contrattuale
nei negoziati futuri. Il collegamento di Trump tra i dazi e le questioni non
commerciali (ad esempio, l'immigrazione, il fentanyl) consigliare un precedente
per l'uso della pressione economica per ottenere concessioni.
Ad esempio,
il Canada e il Messico devono affrontare minacce tariffarie legate alla
sicurezza delle frontiere, indebolendo la loro autonomia.
Impatto:
l'inazione
segnala il rispetto, incoraggiando ulteriori richieste degli Stati Uniti e
minando la sovranità nazionale.
L'indebolimento
del sistema
commerciale
globale.
Le tariffe incontrastate potrebbero
destabilizzare i quadri commerciali multilaterali come l'OMC.
L'uso
da parte di Trump dell'”International Emergency Economic Powers Act” (IEEPA)
aggira le regole commerciali tradizionali e l'inazione di altre nazioni
potrebbe normalizzare tali azioni unilaterali.
Impatto:
l'erosione
del commercio basato su regole potrebbe portare a un'economia globale
frammentata, con le nazioni più piccole che perdono influenza in un sistema
dominato dalle grandi potenze.
Alleanze
tese I paesi che non si coordinano con gli
alleati
per contrastare i dazi rischiano l'isolamento.
Ad esempio, la richiesta della Germania di una
risposta unitaria dell'UE evidenzia la necessità di un'azione collettiva,
mentre paesi come il Vietnam, agendo da soli, hanno lottato per ottenere
esenzioni.
Impatto: l'inazione potrebbe fratturare i
blocchi commerciali (ad esempio, UE, ASEAN) e indebolire le alleanze, lasciando
le nazioni vulnerabili a ulteriori pressioni statunitensi.
3.
Conseguenze strategiche e a lungo termine.
L'inazione
potrebbe costringere i paesi e le imprese ad allontanarsi definitivamente dai
mercati statunitensi, come si è visto con l'aumento del commercio della Cina
con l'UE e il Messico.
Ciò
potrebbe ridurre l'influenza economica degli Stati Uniti, ma anche danneggiare
i paesi che non riescono a diversificare, lasciandoli dipendenti dalle volatili
politiche statunitensi.
Impatto:
le catene di approvvigionamento globali
possono escludere gli Stati Uniti, riducendo l'accesso al mercato per le
nazioni e le imprese non adattive, rafforzando al contempo concorrenti come la
Cina o i blocchi regionali (ad esempio, RCEP).
Perdita
dell'industria
nazionale.
Per i
paesi che devono affrontare i dazi statunitensi, l'inazione potrebbe soffocare
le industrie che dipendono dalle esportazioni.
Ad
esempio, i settori del turismo e dell'auto canadesi stanno già assistendo a una
riduzione della domanda statunitense a causa dei timori tariffari e il settore
manifatturiero messicano deve affrontare rischi simili.
Impatto:
senza diversificazione o negoziazione, i
settori chiave potrebbero collassare, portando alla disoccupazione e alla
riduzione della resilienza economica.
Se i
dazi di Trump non vengono contestati, altre nazioni potrebbero adottare misure
protezionistiche simili, scatenando una guerra commerciale globale. I dazi di
ritorsione della Cina del 125% e l'esame dell'UE di contromisure illustrano
questo rischio.
Impatto:
una
proliferazione di dazi potrebbe smantellare il libero scambio, aumentare
l'instabilità economica globale e danneggiare in modo sproporzionato le
economie più piccole.
4.
Conseguenze sociali e per i consumatori.
I consumatori
negli Stati Uniti e nei paesi colpiti dovranno affrontare prezzi più elevati
per beni come automobili, elettronica e cibo (ad esempio, un prodotto da $ 10
con una tariffa del 10% diventa $ 11). L'inazione da parte dei governi o delle
imprese per mitigare questi costi eroderà il reddito disponibile.
Impatto:
tenore
di vita più basso e aumento delle disuguaglianze, poiché le famiglie a basso
reddito sopportano il peso maggiore dell'aumento dei prezzi.
Malcontento
pubblico e instabilità
Politica.
Negli
Stati Uniti, il 56% degli americani disapprova i dazi di Trump, considerandoli
eccessivi. A livello globale, l’aumento dei costi potrebbe alimentare disordini
pubblici in paesi che non sono in grado di proteggere i cittadini dalle
ricadute economiche.
Impatto:
l'inazione potrebbe portare a contraccolpi
politici, governi indeboliti o ondate populiste, poiché i cittadini chiedono
sollievo dalle difficoltà dovute ai dazi.
5.
Opportunità mancate per la riforma.
I dazi
di Trump mirano a correggere le pratiche commerciali percepite come sleali (ad
esempio, i sussidi della Cina, la manipolazione della valuta). L'inazione dei
partner commerciali può sprecare le possibilità di negoziare condizioni
commerciali più eque o di affrontare le preoccupazioni degli Stati Uniti come i
deficit commerciali.
Impatto:
mancate
opportunità di modernizzare gli accordi commerciali, lasciando irrisolte le
questioni di fondo e perpetuando le tensioni.
Mancanza
di innovazione e adattamento.
Le
aziende e i governi che non resistono o non si adattano ai dazi perdono
l'opportunità di innovare.
Ad
esempio, le aziende proattive stanno rilocalizzando la produzione o sfruttando
le esenzioni (ad esempio, i guadagni di Tesla dalle esenzioni per
l'elettronica), mentre altre sono in ritardo.
Impatto:
stagnazione
nelle industrie e nelle economie, in quanto i concorrenti che agiscono in modo
decisivo ottengono vantaggi di mercato.
Prospettiva
critica.
Mentre
l'azione evita un confronto immediato con gli Stati Uniti, rischiando danni
economici e geopolitici a lungo termine.
I dazi di Trump sono una strategia calcolata
per rimodellare il commercio globale a favore degli interessi degli Stati
Uniti, e l'accettazione passiva può cedere terreno strategico.
Tuttavia,
la resistenza deve essere strategica:
la
ritorsione, come si è visto con la Cina, può aumentare le perdite, mentre la
diplomazia (ad esempio, i negoziati con la Corea del Sud) o le sfide legali (ad
esempio, le cause legali della California) offrono approcci equilibrati.
Il
costo dell'azione non è solo economico, ma anche una rinuncia all'azione in un
ordine globale in rapida evoluzione.
Conclusione.
Non
opporsi alle politiche tariffarie di Trump potrebbe comportare costi più
elevati, contrazione economica e riduzione della leva geopolitica per governi,
imprese e consumatori.
Rischia
di radicare il protezionismo, di interrompere il commercio globale e di
abbassare gli standard di vita, perdendo opportunità di riforma e adattamento.
Per evitare queste conseguenze, le parti interessate devono agire con decisione
attraverso la negoziazione, la diversificazione, le sfide legali o la pressione
collettiva, adattate al loro contesto specifico.
Se hai
una prospettiva particolare (ad esempio, un paese o un settore specifico),
posso perfezionare ulteriormente l'analisi.
Risposta
2 di ChatGPT.
Non
opporsi a "bullismo" economico come le aggressive politiche
tariffarie può avere conseguenze gravi e di vasta portata, sia strategiche che
economiche. Ecco cosa può succedere:
Per le
Nazioni:
1.
Perdita della leva finanziaria.
La
mancata risposta è un segnale di debolezza, che può incoraggiare ulteriori
azioni aggressive, non solo da parte di un paese ma anche da parte di altri che
osservano.
2.
Equilibrio economico.
I dazi
possono distorcere il commercio, danneggiare i settori chiave delle
esportazioni e portare alla perdita di posti di lavoro nei settori colpiti se
un paese non protegge i propri interessi.
3.
Indebolimento dei sistemi multilaterali.
L'inazione
può indebolire le norme e le istituzioni del commercio globale come l'OMC,
rendendo più difficile l'applicazione delle regole future.
4.
Ricadute politiche interne.
Gli
elettori e i gruppi industriali danneggiati da dazi potrebbero perdere fiducia
in una leadership che appare passiva o inefficace.
Per le
aziende:
1.
Erosione del margine di profitto.
Accettare
tariffe più elevate senza reagire (ad esempio, modificando l'approvazione oi
prezzi) può schiacciare i profitti.
2.
Riduzione della competitività.
Se i
concorrenti si adattano e tu no, rischi di perdere quota di mercato a livello
nazionale e globale.
Per
gli individui (consumatori e lavoratori):
1.
Prezzi più alti
Finisci
per pagare di più per beni come l'elettronica, i veicoli o il cibo senza alcun
vantaggio di compensazione.
2.
Perdita di posti di lavoro
Le
industrie danneggiate dai dazi possono tagliare posti di lavoro o chiudere
impianti se non c'è un rifiuto del governo o del settore privato.
Effetto
psicologico e strategico:
Proprio
come nel bullismo personale, la passività può rafforzare il comportamento del
bullo. La mancanza di resistenza rende più probabile la coercizione futura
perché il costo di un'azione aggressiva è percepito come basso.
In
conclusione:
non
opporsi può essere più costoso a lungo termine che affrontare ritorsioni o
attriti diplomatici a breve termine. La forza attraverso la strategia – non
necessariamente l'aggressione – è spesso il deterrente più efficace.
Domanda
3: Quale dovrebbe essere la risposta della Cina?
Risposta
3 di DeepSeek.
La
Cina dovrebbe adottare una risposta strategica su più fronti alle pressioni
tariffarie di Trump, combinando contromisure economiche, manovre geopolitiche e
autosufficienza a lungo termine per minimizzare i danni e al contempo
posizionarsi per un futuro predominio.
Ecco un'analisi
dettagliata:
1.
Ritorsione immediata (ma mirata in modo intelligente)
Tariffe
simmetriche + asimmetriche.
Imporre
tariffe di ritorsione sui prodotti agricoli statunitensi (soia, carne suina),
sui prodotti di lusso (Boeing, Tesla, Apple) e sui principali input industriali
per danneggiare i settori politicamente sensibili.
Evita
tariffe ampie che danneggiano le catene di approvvigionamento cinesi (ad
esempio, semiconduttori, parti di aeronautica).
Controlli
sulle esportazioni di materiali critici.
Limitare
i minerali delle terre rare (utilizzati nella tecnologia della difesa degli
Stati Uniti) o gli ingredienti farmaceutici chiave per forzare i negoziati.
2.
Diversificazione economica e resilienza.
Accelerare
la strategia di "doppia circolazione."
Aumentare
il consumo interno per ridurre la dipendenza dalle esportazioni statunitensi.
Espandere
il commercio con l' ASEAN, l'UE, l'Africa e l'America Latina (tramite RCEP,
Belt and Road).
Spinta
alla de-dollarizzazione.
Aumentare
gli scambi denominati in yuan, gli swap di valuta con i partner e le riserve
garantite dall'oro per indebolire la leva finanziaria degli Stati Uniti.
3.
Contropressione geopolitica.
Rafforzare
le alleanze anti-USA.
Rafforzare
i legami con la Russia (energia, tecnologia militare), l'Iran (petrolio,
elusione delle sanzioni) e i paesi del Sud del mondo.
Sfruttare
le tensioni tra Stati Uniti e Unione Europea offrendo migliori condizioni
commerciali all'Europa.
Battaglia
legale dell'OMC + pressione multilaterale.
Contestare
i dazi statunitensi presso l'OMC (anche se lentamente, ciò rafforza la
legittimità globale contro l'unilateralismo degli Stati Uniti).
Radunare
i paesi in via di sviluppo per condannare il protezionismo statunitense.
4.
Autosufficienza tecnologica e industriale.
Indipendenza
di Rush Semiconductor.
Aumentare
i sussidi alle catene di fornitura di chip di SMIC, Huawei e nazionali per
infrangere le sanzioni statunitensi.
Localizzare
i settori chiave.
Sostituire
la tecnologia statunitense (Intel, Microsoft, Qualcomm) con alternative cinesi
(Loongson, Huawei HarmonyOS).
5. Guerra psicologica e mediatica.
Dipingerci
come un bullo inaffidabile.
Campagna
di pubbliche relazioni globale che evidenzia come i dazi statunitensi
danneggino il commercio mondiale.
Da
evidenziare l'inflazione americana e la perdita di posti di lavoro a causa
delle guerre commerciali.
Risoluzione
del segnale senza sovra-escalation
Dimostrare
la volontà di negoziare, ma chiarire che la Cina non cederà sotto pressione.
Rischi
potenziali e mitigazione.
Danni
economici a breve termine:
alcuni
esportatori cinesi soffriranno, ma il sostegno statale potrà attutire il colpo.
Escalation
negli USA (divieti tecnologici, interruzione SWIFT):
preparare
piani di emergenza (ad esempio, yuan digitale, sistemi di pagamento
alternativi).
Alienare
l'Europa:
evitare
di apparire troppo aggressivi; offrire incentivi all'UE per rimanere neutrali.
Lezioni
storiche dalla guerra commerciale 2018-2020.
Cosa
ha funzionato:
I dazi
di ritorsione hanno costretto Trump a negoziare (Accordo di Fase 1).
La
sopravvivenza di Huawei ha dimostrato la resilienza alle sanzioni.
Errori
da evitare:
Sopravvalutare
la dipendenza degli Stati Uniti dalle esportazioni cinesi (parte della
produzione si è spostata in Vietnam/India).
Lasciare
che gli Stati Uniti uniscano gli alleati (Giappone, UE) contro la Cina.
Obiettivo
finale.
I dazi
di Trump mettono alla prova la resistenza strategica a lungo termine della Cina.
Combinando ritorsione, autosufficienza e
costruzione di coalizioni globali , la Cina può trasformare questa situazione
in un'opportunità per ridurre il predominio degli Stati Uniti , uscirne
rafforzata.
Vorresti
approfondire qualche tattica specifica (ad esempio, l'armamento delle terre
rare, l'internazionalizzazione dello yuan)?
Risposta
3 di Grok.
La
Cina deve affrontare sfide significative a causa delle politiche tariffarie di
Donald Trump, che includono tariffe fino al 145% sulle merci cinesi, volte ad
affrontare il deficit commerciale, proteggere le industrie statunitensi e fare
pressione sulla Cina su questioni come il contrabbando di fentanil.
Questi
dazi, descritti da alcuni come "bullismo" a causa della loro natura
unilaterale e aggressiva, minacciano l'economia cinese orientata alle
esportazioni, le catene di approvvigionamento e la posizione commerciale
globale.
Di
seguito è riportata una risposta strategica per la Cina, bilanciando
considerazioni economiche, diplomatiche ea lungo termine, evitando al contempo
un'escalation in una vera e propria guerra commerciale.
La
risposta si basa su analisi recenti e sul contesto più ampio delle dinamiche
commerciali tra Stati Uniti e Cina.
1.
Strategie diplomatiche e negoziali.
La
Cina dovrebbe dare priorità alla diplomazia per attenuare l'impatto dei dazi,
preservando al contempo i propri interessi economici e la propria influenza
globale.
Proseguire
negoziati mirati.
I dazi
di Trump sono in parte motivati da questioni non commerciali, come il traffico
di fentanyl e gli squilibri commerciali.
La
Cina può sfruttare le concessioni in questi settori per ottenere un
alleggerimento dei dazi.
Azione:
Offrire
cooperazione per l'applicazione delle norme sul fentanil (ad esempio, controlli
più severi sulle esportazioni di precursori chimici) o proporre misure per
ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti, come l'aumento degli acquisti
di beni statunitensi come energia o prodotti agricoli.
Ad esempio, l'accordo commerciale tra Cina e
Trump per il 2018-2019 includeva l'impegno ad acquistare soia e GNL dagli Stati
Uniti.
Suggerimento:
inquadrate i negoziati come reciprocamente
vantaggiosi, allineandovi alla retorica "America First" di Trump, ed evitate
scontri pubblici che potrebbero irrigidire la determinazione degli Stati Uniti.
Esempio:
i recenti negoziati tra la Corea del Sud e
Trump hanno portato ad una riduzione delle tariffe doganali, il che suggerisce
che un impegno proattivo può dare risultati.
Evitare
ritorsioni generalizzate.
Gli
attuali dazi di ritorsione del 125% imposti dalla Cina hanno esacerbato le
tensioni, spingendo il Segretario al Tesoro statunitense “Bessant” ad avvertire
di misure più severe.
Ulteriori
ritorsioni rischiano di innescare una spirale che potrebbe danneggiare
ulteriormente l'economia cinese, data la sua dipendenza dalle esportazioni
di
ritorsione del 125% in Cina hanno intensificato le tensioni, spingendo il
Segretario al Tesoro degli Stati Uniti ad avvertire” Bessant” di misure più
severe. Ulteriori ritorsioni rischiano di innescare una spirale che potrebbe
danneggiare maggiormente l'economia cinese, data la sua dipendenza dalle
esportazioni.
Azione:
sospendere
o ridurre i dazi di ritorsione per de-escalation. Utilizzare invece i canali
diplomatici per segnalare la disponibilità al dialogo, come ha fatto l'India
optando per i colloqui anziché per i dazi "tit-for-tat".
Attenzione:
le ritorsioni potrebbero portare a sanzioni da
parte degli Stati Uniti o a un più ampio disaccoppiamento economico, isolando
ulteriormente la Cina dai mercati occidentali.
Coinvolgere
alleati e piattaforme multilaterali.
Un
fronte unito con altre nazioni può spingere gli Stati Uniti a moderare i dazi.
La Cina ha già incoraggiato paesi come il Vietnam a resistere alle richieste
tariffarie statunitensi.
Azione:
Rafforzare
il coordinamento con i BRICS, l'ASEAN o l'UE per formare una coalizione contro
i dazi unilaterali statunitensi.
Spingere
per le riforme dell'OMC o presentare reclami per contestare legalmente le
tariffe statunitensi, come ha fatto la Cina in precedenza.
Esempio:
l'appello
della Germania per una risposta coesa dell'UE mostra il potere dell'azione
collettiva.
La
Cina potrebbe guidare una coalizione del Sud globale per contrastare la
pressione economica degli Stati Uniti, come suggerito da un post di X che
sostiene il coordinamento Sud-Sud.
2.
Strategie economiche e commerciali.
La
Cina deve adattare la sua economia per ridurre la minaccia per gli Stati Uniti
e mantenerne la competitività.
L'economia
cinese è
fortemente esposta al mercato statunitense, ma ha già aumentato gli scambi
commerciali con l'UE, il Messico e il Vietnam per compensare l'impatto dei
dazi.
Azione:
Rafforzare
i legami commerciali attraverso accordi regionali come il “Partenariato
Economico Regionale Globale” (RCEP) o i progetti della “Belt and Road
Initiative” (BRI).
Puntare
ai mercati in crescita in Africa, America Latina e Sud-est asiatico per
sostituire la domanda statunitense.
Esempio:
gli
scambi commerciali tra Cina e Messico sono aumentati come soluzione alternativa
ai dazi statunitensi, con merci dirottate attraverso il Messico in virtù delle
esenzioni USMCA.
Stimolare
i consumi interni e l'innovazione.
I dazi
minacciano le entrate derivanti dalle esportazioni, ma la Cina può ridurre la
dipendenza dai mercati esterni rafforzando la propria economia interna.
Azione:
accelerare
le politiche per stimolare la spesa al consumo, come tagli fiscali o sussidi
per le famiglie della classe media. Investire massicciamente nelle industrie
high-tech (ad esempio, semiconduttori, intelligenza artificiale) per
raggiungere l'autosufficienza, contrastando le restrizioni statunitensi come i
controlli sulle esportazioni di chip.
Suggerimento:
programmi
come "Made in China 2025" dovrebbero essere considerati prioritari
per rafforzare la resilienza contro gli shock esterni.
Sfruttare
le esenzioni tariffarie e le scappatoie.
I dazi
di Trump includono esenzioni per determinati beni, come semiconduttori ed
elettronica (ad esempio, smartphone rientranti in specifiche voci HTSUS). L'esenzione de minimis per i prodotti
cinesi di valore inferiore a 800 dollari termina il 2 maggio 2025, ma le
esenzioni per l'elettronica sono state retroattive.
Azione:
riclassificare
le esportazioni per ottenere esenzioni o dirottare le merci attraverso paesi
terzi (ad esempio, Vietnam, Malesia) per aggirare i dazi. Collaborare con
aziende statunitensi come Apple o Tesla, che beneficiano di esenzioni, per
mantenere l'accesso al mercato.
Esempio:
le
aziende cinesi hanno utilizzato il Vietnam come hub di trasbordo per aggirare i
dazi statunitensi, una strategia che potrebbe essere ampliata.
Stabilizzare
strategicamente lo yuan Le accuse statunitensi di manipolazione della valuta rendono lo
yuan un punto di infiammabilità. Uno yuan più debole potrebbe compensare i
costi dei dazi ma rischiare ritorsioni da parte degli Stati Uniti, mentre uno
yuan più forte potrebbe danneggiare le esportazioni.
Azione:
mantenere
uno yuan stabile all'interno di una banda ristretta per evitare di innescare
sanzioni statunitensi. Utilizzare interventi mirati per contrastare gli
attacchi speculativi, come si è visto durante le passate tensioni commerciali.
Attenzione:
evitare
una valutazione significativa, che potrebbe indurre Trump a imporre ulteriori
tariffe o sanzioni.
3.
Contromisure legali e strategiche.
La
Cina può utilizzare strumenti legali e strategici per sfidare i dazi e
proteggere i propri interessi.
Le
cause legali contro l'uso da parte di Trump dell'International Emergency Economic
Powers Act (IEEPA) sostengono che le tariffe mancano di una legittima base di
"emergenza".
Gruppi
come la “New Civil Liberties Alliance” e il governatore della California “Gavin
Newsom” hanno intentato tali cause.
Azione:
finanziare
o sostenere silenziosamente le sfide legali con sedi negli Stati Uniti
attraverso proxy o associazioni di categoria per indebolire la base legale
delle tariffe. Allo stesso tempo, i reclami dell'OMC, come la Cina ha fatto con
successo in passato.
Nota:
le
vittorie legali potrebbero essere lente, data la deferenza della magistratura
statunitense nei confronti dei poteri commerciali presidenziali, ma possono
creare una leva per i negoziati.
Trump
collega i dazi a questioni come il fentanyl e l'immigrazione. La Cina può affrontare
strategicamente questi aspetti per deviare la pressione.
Azione:
pubblicizzare
gli sforzi per reprimere i precursori del fentanil (ad esempio, arresti,
sequestri) per indebolire le giustificazioni statunitensi per i dazi. In
materia di immigrazione, evidenziare il ruolo limitato della Cina nelle
questioni di confine statunitensi rispetto ai paesi latinoamericani.
Suggerimento:
utilizzare i media e i forum internazionali
per dare forma alla narrazione, descrivendo la Cina come collaborativa
piuttosto che ostruzionista.
Costruire
sistemi finanziari alternativi.
I dazi
e le sanzioni statunitensi minacciano l'accesso della Cina al commercio basato
sul dollaro. La resilienza a lungo termine richiede una riduzione della
dipendenza dai sistemi finanziari dominati dagli Stati Uniti.
Gli
Stati Uniti minacciano l'accesso della Cina al commercio basato sul dollaro.
La
resilienza a lungo termine richiede di ridurre la dipendenza dai sistemi
finanziari dominati dagli Stati Uniti.
Azione:
espandere
l'uso dello yuan nel commercio globale (ad esempio, attraverso i contratti BRI)
e sviluppare alternative allo SWIFT, come il sistema CIPS cinese. Promuovere
iniziative di valuta digitale per aggirare i controlli finanziari statunitensi.
Esempio:
il commercio cinese con la Russia e i partner
BRICS basato sullo yuan è cresciuto, offrendo un modello per le economie
colpite dai dazi doganali.
4.
Considerazioni interne e politiche.
La
Cina deve gestire gli impatti economici e sociali interni per mantenerne la
stabilità.
Dazi,
potrebbe
ridurre la crescita del PIL cinese, con l'avvertimento del FMI di rallentamenti
globali. Le piccole imprese e gli esportatori sono vulnerabili.
Azione:
fornire
sovvenzioni o agevolazioni fiscali alle industrie colpite, in particolare alle
PMI manifatturiere.
Lanciare
misure di stimolo, come la spesa per le infrastrutture, per compensare le
perdite delle esportazioni, come ha fatto la Cina durante la guerra commerciale
del 2018-2019.
Suggerimento:
comunicare
queste misure per mantenere la fiducia del pubblico e prevenire disordini.
Il
malcontento pubblico potrebbe aumentare se i dazi portassero alla perdita di posti di
lavoro o a prezzi più alti. Il governo cinese deve bilanciare le critiche alle
politiche statunitensi con la stabilità interna.
Azione:
utilizzare
i media statali per inquadrare i dazi come un'aggressione degli Stati Uniti,
mobilitando il sentimento nazionalista e sottolineando la resilienza della
Cina. Evidenzia i successi nella diversificazione o nell'innovazione per
proiettare forza.
Attenzione: evitare di esagerare con i principi
retorici anti-USA, che potrebbero limitare la flessibilità diplomatica.
5.
Posizionamento strategico a lungo termine.
La
Cina dovrebbe sfruttare la sfida dei dazi per accelerare la sua leadership
globale e la sua resilienza economica.
Come suggerito
da un post di X, la Cina può posizionarsi come leader dei paesi del Sud del
mondo che resistono alla coercizione economica degli Stati Uniti.
Azione:
organizzare
vertici o forum commerciali per costruire coalizioni anti-dazi, offrendo
investimenti e accesso al mercato a paesi come Brasile, India o nazioni
africane. Utilizzare la BRI per approfondire i legami economici, contrastando
l'influenza degli Stati Uniti.
Esempio:
l'impegno della Cina nei confronti del Vietnam
per opporsi ai dazi statunitensi dimostra come la Cina possa allinearsi con le
nazioni più piccole.
Rimodellare
il commercio globale.
I dazi
di Trump potrebbero erodere la fiducia nell'affidabilità degli Stati Uniti,
creando un'opportunità per la Cina di guidare quadri commerciali alternativi.
Azione:
sostenere
i blocchi commerciali regionali (ad esempio, RCEP, accordi commerciali BRICS) e
investire in infrastrutture per consolidare partnership a lungo termine.
Promuovere la "de-dollarizzazione" per ridurre la leva finanziaria
degli Stati Uniti.
Impatto:
un
sistema commerciale guidato dalla Cina potrebbe marginalizzare l'influenza
degli Stati Uniti, ma richiederebbe notevoli investimenti diplomatici ed
economici.
Prepararsi
al disaccoppiamento.
Se i
dazi segnalano un disaccoppiamento più profondo tra Stati Uniti e Cina, la Cina
deve prepararsi a un'economia globale biforcata.
Azione:
accelerare
l'autosufficienza nei settori critici (ad esempio, semiconduttori, energia) e
garantire la sicurezza delle catene di approvvigionamento per materie prime
come le terre rare, dove la Cina detiene una posizione di forza.
Rafforzare i legami con gli alleati non
occidentali per costruire un ecosistema economico parallelo.
Esempio:
a
posizione dominante della Cina nel settore delle terre rare è stata utilizzata
come contromisura nelle passate controversie commerciali.
Prospettiva
critica.
La
risposta della Cina deve bilanciare la sopravvivenza economica a breve termine
con gli obiettivi strategici a lungo termine.
I dazi
di Trump mirano a indebolire il dominio cinese nelle esportazioni e a imporre
concessioni, ma rischiano anche di ritorcersi contro di essa accelerando la
svolta cinese verso mercati non statunitensi e sistemi alternativi.
Le ritorsioni, come si è visto con i dazi del
125% imposti dalla Cina, hanno aggravato le perdite, suggerendo che diplomazia
e adattamento siano più saggi dello scontro.
Tuttavia,
la Cina deve evitare di apparire debole a livello nazionale, poiché il
sentimento nazionalista richiede una posizione forte.
I
critici sostengono che i dazi potrebbero paralizzare l'economia cinese, con
perdite di PIL e interruzioni della catena di approvvigionamento, ma i
sostenitori di una risposta dura vedono un'opportunità per radunare gli alleati
del Sud del mondo e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.
Un
approccio ibrido – impegno diplomatico, diversificazione economica e
atteggiamento strategico – offre la strada migliore.
Conclusione.
La
Cina dovrebbe rispondere ai dazi di Trump con una strategia multiforme:
negoziare diplomaticamente per garantire sollievo, diversificare il commercio
per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, sfruttare le esenzioni e le sfide
legali e rafforzare la resilienza interna.
A
lungo termine, la Cina può cogliere l'opportunità di guidare le coalizioni del
Sud del mondo, rimodellare le reti commerciali e prepararsi al
disaccoppiamento. Evitando l'escalation, mantenendo la stabilità e proiettando
forza, la Cina può mitigare gli impatti dei dazi e far avanzare la sua
posizione globale.
Se hai
bisogno di un focus più approfondito su un settore specifico (ad esempio,
tecnologia, agricoltura) o regione, fammelo sapere e posso perfezionare la
risposta.
Risposta
3 di ChatGPT.
La
risposta della Cina alle pressioni tariffarie in stile Trump – caratterizzate
da dazi unilaterali volti a imporre concessioni commerciali – dovrebbe essere
strategica, ponderata e articolata, combinando resilienza a breve termine e
posizionamento a lungo termine.
Ecco
un quadro di come la Cina dovrebbe rispondere, bilanciando forza, pragmatismo e
influenza globale:
1. Rispondere proporzionalmente con
tariffe mirate.
Colpire
i settori politicamente sensibili degli Stati Uniti (ad esempio agricoltura,
energia, macchinari per la produzione) per creare pressione interna.
Dare
priorità agli stati indecisi o alle circoscrizioni politiche chiave, come ha
fatto la Cina con la soia durante la guerra commerciale del 2018-2019.
2.
Guidare e rafforzare le alleanze multilaterali.
Presentare
i dazi statunitensi come una minaccia alla stabilità del commercio globale e
radunare gli altri paesi (UE, ASEAN, BRICS) in coalizioni.
Accordi
avanzati come il RCEP e approfondimento degli scambi commerciali con i paesi
della Belt & Road per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.
3.
Accelerare il riequilibrio economico.
Ridurre
la dipendenza dall'esportazione stimolando i consumi interni ed espandendo i
settori dell'alta tecnologia e dei servizi .
Rafforzare
l'auto sufficienza in settori critici (ad esempio, semiconduttori, intelligenza
artificiale, biotecnologie) attraverso la politica industriale e gli
investimenti in ricerca e sviluppo.
4.
Mantenere la stabilità del mercato e la fiducia degli investitori,
mantenere
lo yuan relativamente stabile, evitare una brusca fuga di capitali e mostrare
unità interna attraverso la messaggistica e gli strumenti fiscali/monetari.
Segnalare
agli investitori esteri una resilienza a lungo termine, fornendo al contempo
stimoli mirati per attutire i settori colpiti dai dazi.
5.
Presentare reclami all'OMC, anche se imperfetti
Anche
con un sistema di appello dell'OMC indebolito, la Cina dovrebbe documentare le
violazioni per preservarne un ordine globale basato su regole e costruire
credibilità diplomatica.
6. Usa
la diplomazia pubblica e l'inquadramento narrativo.
Posizionarsi
come attore globale responsabile nella difesa del multilateralismo.
Confrontare
l'imprevedibilità degli Stati Uniti con la pianificazione a lungo termine e la
stabilità della Cina nei messaggi commerciali.
7.
Gioca a lungo.
Evitare
reazioni eccessive che potrebbero giustificare politiche più dure degli Stati
Uniti o incrinare il sostegno globale.
Concentrati
sulla sopravvivenza di un'amministrazione volatile: le elezioni cambiano le strategie
e l'impegno eccessivo possono ritorcersi contro.
Cosa
non fare:
Non
impegnatevi in una guerra economica totale: l'integrazione della Cina nei
mercati globali la rende vulnerabile.
Evitare
mosse eccessivamente nazionalistiche che potrebbero innescare un
disaccoppiamento più rapido del previsto.
Sintesi
strategica:
la Cina dovrebbe utilizzare un mix di
ritorsioni mirate, riforme strutturali e creazione di coalizioni globali per
attenuare l'impatto delle pressioni tariffarie, posizionandosi al contempo come
partner commerciale stabile e a lungo termine.
La
chiave è dimostrare forza senza provocazioni e resilienza senza passività.
Imparare
a dire NO: come stabilire
limiti
sani per il benessere
personale
e professionale.
Chiaraventuri.it
- Chiara Venturi- (19 -novembre – 2024) – ci dice:
Imparare
a dire no è una delle abilità psicologiche più importanti per il benessere
emotivo, ma anche una delle più difficili da padroneggiare.
Molti di noi si trovano a dire sì a richieste
che non ci fanno sentire a nostro agio, spesso per paura di deludere gli altri,
per senso di colpa o per il desiderio di essere apprezzati.
Tuttavia, non stabilire dei confini chiari con
gli altri nelle nostre vite può portarci a sentirci sopraffatti, stressati e
privi di energia.
In
questo articolo esploreremo l’importanza di imparare a dire no e di stabilire
limiti sani, sia nelle relazioni personali che nel contesto lavorativo.
Imparare
a dire NO: la capacità di stabilire limiti e confini.
Vi
riesce difficile rifiutare un favore a qualcuno?
Lavorate
senza interruzione fino a tardi per poi ritrovarvi senza energia il giorno
dopo?
Vi
ritrovate spesso a dare più del necessario?
Vi
sentite spesso costretti ad approvare le opinioni altrui?
Fate
molta fatica a trovare il coraggio di rifiutare un invito?
Vi
fate spesso carico dei problemi altrui e vi scontrate con rifiuti quando
proponete soluzioni?
Vi è
mai capitato di trovarvi ad una festa e avere una gran voglia di tornarvene a
casa, ma di non osare farlo e fingere invece di divertirvi?
Domande come queste hanno a che fare con la
capacità di dire di NO, e di stabilire limiti e confini a favore dei propri
bisogni personali ed emotivi.
Questa
capacità viene spesso fraintesa dalle persone con l’idea di erigere mura
invalicabili o rompere i ponti con il prossimo;
come
se ci si potesse muovere esclusivamente tra i poli dell’essere completamente
disponibili nei confronti degli altri oppure del chiudersi del tutto (Sellin, 2014).
Ciò
che invece è possibile e auspicabile è esplorare le diverse possibilità che
esistono tra i due estremi:
stabilire
i propri confini in modo corretto significa infatti trovare il giusto
equilibrio tra intimità e distanza in ogni situazione e quindi riuscire a stare
con gli altri senza dimenticare sé stessi, e a rimanere in contatto con il
prossimo senza perdere la propria autonomia.
Limiti
e confini chiari permettono comunicazione e amicizia.
I limiti garantiscono rapporti sociali stabili
e armonici.
Permettono
di avere cura della nostra salute mentale e di gestire il carico mentale.
Limiti
o confini?
Alcune
persone inoltre tendono a non rendersi conto di quanto contribuiscano a far sì
che l’altro superi certi limiti, per esempio inviandogli segnali poco chiari
durante la comunicazione.
Contemporaneamente,
alcuni di noi ignorano anche la propria tendenza a superare i confini altrui,
dovuta al non aver mai imparato a percepirli.
Ma i
limiti che più spesso tendiamo a superare sono in realtà quelli nei confronti
di noi stessi.
Sono
infatti importanti anche i propri limiti e confini:
mettendoci
spesso sotto pressione ad esempio, rischiamo di ottenere sempre meno e, oltre
all’insoddisfazione, possono anche emergere quei sintomi che ci segnalano che
ci siamo spinti troppo oltre.
I
bambini e la “fase del NO.”
A
circa due anni, i bambini attraversano una fase di sviluppo emotivo e
psicologico nota come i “terribili due” (terrible twos), durante la quale
iniziano a sperimentare la loro indipendenza e a sviluppare una maggiore
consapevolezza di sé.
In
questo periodo, il “NO” diventa una parola ricorrente nel loro vocabolario, e
viene pronunciata spesso con gusto.
Questo
comportamento non è un segno di disobbedienza, ma una manifestazione naturale
del desiderio del bambino di affermare il proprio io e testare i limiti.
Dire no è un modo per esercitare il controllo
e stabilire i propri confini, cercando di definire ciò che è accettabile e ciò
che non lo è, e di sperimentare quanto il proprio volere abbia un potere
d’azione.
Sebbene
possa risultare frustrante per i genitori, questa fase è cruciale per lo
sviluppo della personalità del bambino, che sta imparando a distinguere tra sé
stesso e gli altri, tra ciò che vuole e ciò che gli viene imposto.
Perché
è difficile dire di no?
“Sì” e
“NO” sono i guardiani del nostro tempo.
Possiamo immaginarli come la porta di casa:
la
porta aperta è il sì e la porta chiusa è il no.
Se apriamo la porta quando in realtà la
vorremmo chiusa e la chiudiamo quando la vorremmo aperta, presto ci troveremo
con una casa piena di cose indesiderate. Il sì e il no esistono per permetterci
di esprimere cosa vogliamo veramente, quali sono le nostre preferenze, quello
che vogliamo fare e quello che non vogliamo fare.
Eppure
spesso diciamo sì o no per la ragione sbagliata e questa è di solito la paura:
abbiamo
paura di una nuova esperienza;
abbiamo
paura di ferire i sentimenti di qualcuno;
abbiamo
paura che qualcuno non ci accetti più;
abbiamo
paura di quello che gli altri potrebbero pensare di noi.
Inoltre
molti di noi crescono con l’idea che dire di no sia un atto di egoismo o che
possa compromettere le relazioni.
La cultura sociale spesso premia chi è sempre
disponibile e pronto ad aiutare gli altri, ma questo atteggiamento può portare
a un sovraccarico di impegni e a un esaurimento emotivo.
Più
nello specifico, l’incapacità di dire no può essere legata a diversi fattori
psicologici:
paura del
rifiuto o del conflitto:
temiamo
che dire no possa farci sembrare poco gentili o che possa portare a una rottura
delle relazioni;
bassa
autostima:
spesso
temiamo che gli altri ci giudichino negativamente o ci abbandonino se non
soddisfiamo le loro richieste;
senso
di colpa:
dire di no può farci sentire inadeguati o come se stessimo facendo qualcosa di
sbagliato.
Queste
convinzioni, se non affrontate, possono impedire di stabilire limiti sani e
compromettere il nostro benessere psicologico e relazionale.
Dire
di no: perché è così difficile?
Esistono
poi alcune persone che si sentono assolutamente incapaci di dire di no, pur
sapendo che dire di sì svuota le loro risorse fino al limite o oltre
(Kabat-Zinn, 2016).
Si sentono in colpa se fanno qualcosa per sé o hanno
progetti propri.
Sono
talmente abituate a mettere da parte se stesse a favore delle esigenze altrui
che “dire di sì” diventa un vero e proprio automatismo.
Sono
sempre pronte a servire gli altri a proprie spese perché sono convinte che è
ciò che una “brava persona” deve fare.
Spesso,
in questi casi, accade che aiutino costantemente gli altri ma siano “incapaci
di aiutarsi o nutrirsi”:
lo vivrebbero come egoista o troppo
autocentrato.
Perciò
mettono i sentimenti altrui al primo posto, ma per ragioni sbagliate:
in
profondità, con il servire gli altri, forse fuggono da sé o cercano
approvazione.
Questo
comportamento può creare un enorme stress perché non si stanno rinnovando le
proprie risorse e non si è consapevoli dell’attaccamento al ruolo che si è
scelto.
Ci si
può esaurire correndo a fare il bene e alla fine trovarsi così svuotati da
essere incapaci di aiutare sia gli altri che se stessi.
Il
potere di dire NO: i benefici dei limiti.
Imparare
a dire di no non significa essere indifferenti o egoisti.
Al contrario, stabilire dei limiti chiari è un
atto di rispetto nei confronti di se stessi che può migliorare la qualità delle
nostre relazioni e la nostra produttività.
Ecco
alcuni dei principali benefici:
Protezione
del benessere emotivo: dire no ci permette di proteggere il nostro tempo e le
nostre energie, evitando il sovraccarico di impegni che possono portare a
stress e frustrazione.
Miglioramento
delle relazioni:
imparare a stabilire dei limiti chiari
permette di avere relazioni più equilibrate. Rispettare i nostri confini ci
farà percepire come persone assertive, in grado di comunicare chiaramente le
proprie esigenze.
Aumento
della produttività e della qualità del lavoro:
dire
no a compiti o richieste che non sono in linea con i nostri obiettivi o valori
permette di concentrarci su ciò che è veramente importante, migliorando la
qualità del nostro lavoro e la nostra soddisfazione personale.
Autorealizzazione:
stabilire
dei limiti ci consente di focalizzarci sulle nostre priorità, migliorando la
nostra crescita personale e il nostro senso di
a dire
no è un processo che richiede pratica e consapevolezza.
Ecco
alcune strategie per farlo in modo efficace e rispettoso:
Riconoscere
le tue priorità.
Il
primo passo per imparare a dire no è chiarire quali sono le nostre priorità.
Cosa è veramente importante per me? Quali sono i miei obiettivi professionali e
personali? Una volta che avremo ben chiaro cosa conta di più nella mostra vita,
sarà più facile capire quando una richiesta non si allinea con le nostre
esigenze.
Comunicare
in modo chiaro e assertivo.
Dire
no non significa essere scortesi, ma piuttosto comunicare in modo chiaro e
assertivo. Possiamo usare frasi come:
“Mi
piacerebbe aiutarti, ma in questo momento non posso.”
“Purtroppo
non ho il tempo necessario per dedicarmi a questo progetto.”
“Ho
bisogno di concentrarmi su altre priorità in questo periodo.”
Essere
diretti e chiari aiuta a evitare malintesi e a mostrare rispetto per se stessi
e per gli altri.
Imparare
a dare una risposta senza giustificarsi troppo.
Spesso,
quando diciamo no, ci sentiamo obbligati a spiegare in dettaglio il motivo.
Tuttavia, non è necessario giustificarsi in modo eccessivo.
Una
risposta breve e sincera è sufficiente per far capire agli altri che non
possiamo soddisfare la loro richiesta senza entrare troppo nel dettaglio.
Praticare
il “dire di NO” in modo graduale.
Se
trovi difficile dire no, inizia con richieste meno impegnative e via via
aumenta il livello di difficoltà. Questo ti aiuterà a guadagnare fiducia nelle
tue capacità di stabilire limiti senza sentirti sopraffatto o colpevole.
Imparare
a dire NO anche in ambito lavorativo.
Nel
contesto lavorativo, imparare a dire no è fondamentale per evitare il burnout e
lo stress da lavoro e mantenere un buon equilibrio tra vita privata e
professionale. Ad esempio:
GESTIRE
LE RICHIESTE DI LAVORO EXTRA: se un collega o un capo ti chiede di prendere in
carico un progetto che non è nelle tue priorità, è importante comunicare
chiaramente la tua disponibilità e i tuoi limiti.
Puoi
dire: “In questo momento sono concentrato su un altro progetto, ma posso
riprenderlo più tardi.”
EVITARE
DI ESSERE SEMPRE DISPONIBILE:
se
lavori in un ambiente dove le richieste sono frequenti, è essenziale stabilire
dei confini per evitare di essere costantemente interrotto e sovraccaricato.
Dire di NO alle richieste sociali.
Dire
di NO alle richieste sociali può essere davvero sfidante, un po’ per FOMO (Fear
Of Missing Out), un po’ per senso di colpa.
Anche
nella vita sociale però, imparare a dire no è importante per evitare di
riempirci di impegni che non desideriamo veramente.
Si
possono rifiutare inviti a eventi sociali o attività con un semplice “no,
grazie” o con una spiegazione gentile, come “Oggi non mi va di uscire, ma
grazie per l’invito.”
Superare
il senso di colpa.
Un
ostacolo comune nell’imparare a dire di no è il senso di colpa.
Molti
di noi si possono sentire preoccupati che rifiutando una richiesta si possano
ferire gli altri o deluderli.
Tuttavia,
è importante ricordare che mettere dei limiti è una parte essenziale del
rispetto per sé stessi, e che se noi stessi non rispettiamo i nostri bisogni,
non lo faranno neanche gli altri.
Puoi
superare il senso di colpa ricordando che:
il tuo
benessere ha la priorità: se non stabiliamo dei limiti, rischiamo di esaurirci
e di non avere più risorse disponibili, né per noi stessi né per gli altri
(persino le istruzioni in aereo ci suggeriscono che, in caso di emergenza,
dobbiamo indossare la maschera dell’ossigeno noi stessi, prima di aiutare gli
altri!);
dire
no non significa non essere disponibili: si può rimanere gentili e comprensivi
anche quando si rifiuta una richiesta. Stabilire dei limiti non diminuisce il
nostro valore come persone.
Addestrarci all’assertività per imparare a
dire NO.
È
chiaro che decidere di dire no più spesso, e definire certi limiti nelle
proprie relazioni, può essere realizzato in modi differenti e che alcuni modi
di dire no producono più problemi di quelli che risolvono (Kabat-Zinn, 2016).
Ad
esempio, l’uso di un linguaggio duro o di una risposta secca e aggressiva può
contribuire a creare una situazione di stress nella relazione.
Nell’imparare
a dire di no può essere utile l’addestramento all’assertività: aumentare la
consapevolezza delle nostre emozioni, parole e azioni ci permette infatti di
leggere adeguatamente le situazioni e di affrontarle in modo efficace.
In
questo caso, il primo passo è proprio esplorare ciò che sentiamo, senza
giudicare le nostre emozioni come “buone o cattive”.
Come
spiega Kabat-Zinn, quando sai ciò che senti e ti ricordi che le tue emozioni
sono semplicemente emozioni, e che va bene viverle e sentirle, puoi cominciare
a esplorare modi per rispettarle senza che ti creino ulteriori problemi.
I problemi sorgono quando ci rendiamo passivi
e le squalifichiamo, o quando diventiamo aggressivi, le gonfiamo e reagiamo in
maniera eccessiva.
Essere assertivi significa riconoscere quello
che si sta provando e saperlo comunicare in maniera tale da preservare la
propria integrità senza minacciare l’integrità altrui.
Assecondare
l’altro anche quando non vorremmo agire in un dato modo ci fa provare un senso
di scoramento e di insoddisfazione, oltre che emozioni di rabbia verso chi “ci
ha messo nella condizione di dover fare…”.
Anche
in questo caso, occorre tenere presente che è pur sempre un nostro diritto
rifiutare pur rispettando il diritto degli altri di chiedere (Pedrotti, 2008).
Mi
permetto di avere delle idee, delle opinioni, dei punti di vista personali e
non necessariamente coincidenti con quelli altrui.
Permetto
che le mie idee, opinioni e punti di vista siano quanto meno ascoltati e presi
in considerazione (non necessariamente condivisi) dalle altre presone.
Mi permetto
di richiedere (non di pretendere però!) che le altre persone soddisfino i miei
bisogni e necessità.
Mi
permetto di dire NO a delle richieste senza per questo sentirmi in colpa ed
egoista.
Mi
permetto di avere bisogni e necessità anche diverse da quelle delle altre
persone.
Mi
permetto di provare determinati stati d’animo e manifestarli in modo assertivo
se decido di farlo.
Mi
permetto di essere umano nel senso di concedermi la “licenza” di commettere
errori.
Mi
permetto di mutare parere o opinione e di cambiare il modo di pensare.
Mi
permetto di essere realmente me stesso anche se questo significa a volte
contravvenire a delle aspettative esterne.
Mi
permetto di dire: “non capisco”.
Mi
permetto di dire: “non mi interessa” quando gli altri mi coinvolgono nelle loro
iniziative.
Mi
permetto di valutare e decidere se ho la responsabilità di trovare una
soluzione ai problemi degli altri.
È così che voglio spendere il mio tempo?
Raggiungere
un equilibrio tra i sì e i no che esprimiamo non è un’impresa semplice.
Dietro
a questa difficoltà c’è la paura, nelle sue svariate forme: può essere la paura
di rimanere esclusi, isolati, tagliati fuori, ma anche quella di perdere
qualcosa o qualcuno.
Così
spesso diciamo sì a cose che ci toglieranno energia, a cose che non vogliamo
veramente, alla ripetizione di vecchi schemi e lo facciamo un po’
automaticamente, salvo poi pentircene alla fine della giornata.
Ecco
qualche ulteriore indicazione che può tornare utile per superare la paura di
dire no (Cinotti, 2023):
Pratica
la “self compassion “nel dire di no: prendersi cura di noi e dei nostri bisogni
non è un atto egoistico: è un atto di cura e di compassione.
Anticipa
le tue scelte:
prima
di trovarti di fronte a una situazione, stabilisci in anticipo a cosa dire no.
Alcuni esempi di situazioni in cui possiamo darci la possibilità di rifiutare
includono:
richieste
irragionevoli, lavori non retribuiti, attività che non ci interessano, persone
che drenano energie e situazioni che ci mettono a disagio o influenzano
negativamente il nostro stato d’animo.
Imposta
un filtro:
dire
no può essere difficile, quindi un buon approccio è applicare un “filtro
positivo”:
accettare
solo ciò che ci motiva, persone che ci supportano e attività che alimentano i
nostri sogni e il nostro benessere.
Chiarisci
le tue priorità:
una
volta che hai definito chiaramente le tue priorità, sarà più semplice
rifiutare. Puoi dire frasi come “Ho preso altri impegni“, “Mi piacerebbe, ma
sono già occupato“, o semplicemente “No, grazie“.
Proiettati
nel futuro:
se ti senti indeciso, prova a immaginare come ti sentirai dopo aver detto no,
rispetto a come ti sentirai dopo aver accettato. Scegli l’opzione che ti dà
maggiore serenità. In alternativa, puoi proporre un compromesso che soddisfi
sia la richiesta dell’altro, sia il tuo bisogno.
Il
tempo è infatti un patrimonio limitato. A volte ce ne dimentichiamo e ci
comportiamo come se potessimo sprecarlo senza valorizzarlo. Allora chiedersi “È
così che voglio spendere il mio tempo?” può fare la differenza rispetto alla
possibilità di dire NO o di dire SÌ.
Conclusioni.
Imparare
a dire no e quindi stabilire limiti chiari in tutti gli ambiti della vita, dal
lavoro alle relazioni personali, è un’abilità essenziale per mantenere salute e
benessere.
È
possibile arrivare a comprendere profondamente che dire no non è un atto di
egoismo, come a volte si pensa, ma un atto di rispetto per sé stessi e per gli
altri, e che permette di costruire relazioni più autentiche.
Allo
stesso modo, si può imparare anche a permettere agli altri di dire “no”:
infatti, quando qualcuno ci dice “no”, sta semplicemente dicendo “sì” a un
altro aspetto della sua vita.
Con il
tempo e la pratica, si può imparare a dire no in modo naturale e sereno,
portando maggiore autenticità nelle nostre relazioni e soddisfazione nella vita
quotidiana.
Seppur
così piccole infatti, il “sì” e il “no” sono due parole di inestimabile valore
per ottenere e mantenere la libertà personale.
Perché
si ha paura
dell’Intelligenza
Artificiale?
Franzcos.it
- Francesco Costanzini – (Dic. 8, 2024 – ci dice:
Paura
e curiosità verso l’intelligenza artificiale
“La
cosa migliore o peggiore che potrebbe capitare all’umanità.”
Con
queste parole “Stephen Hawking”, fisico teorico e cosmologo di fama mondiale,
descrisse l’Intelligenza Artificiale (IA) una decina di anni fa, in occasione
dell’inaugurazione del “Leverhulme Centre for the Future of Intelligence
“presso l’Università di Cambridge.
L’IA,
se sviluppata e utilizzata in modo responsabile, può rappresentare
un’opportunità senza precedenti per migliorare la vita dell’uomo, ma le sue
potenziali implicazioni negative spaventano e dividono.
Da
dove nasce questa paura e come possiamo affrontarla in modo consapevole?
Le
radici della paura dell’Intelligenza Artificiale.
La
perdita di controllo.
Uno
dei timori più diffusi è che l’Intelligenza Artificiale possa sviluppare una
volontà autonoma, agendo contro gli interessi umani.
Questo
scenario, reso popolare dalla fantascienza, al momento rimane teorico, ma la
crescente complessità dei sistemi di IA lo rende un tema di dibattito.
Il
concetto di “scatola nera”, in cui il funzionamento interno dei modelli di IA
risulta opaco anche per gli esperti, alimenta la diffidenza e porta molti a
interrogarsi su come mantenere il controllo su tecnologie sempre più avanzate.
In
questo contesto, le tre leggi della robotica di “Isaac Asimov”, introdotte nel
1942, richiamano un approccio etico e responsabile nello sviluppo di robot e
IA. Sebbene
siano una finzione letteraria, forniscono una base concettuale per riflettere
su come l’IA possa operare in armonia con gli esseri umani.
Tuttavia,
la realtà odierna è ben lontana dall’”Intelligenza Artificiale Generale” (AGI),
una tecnologia ipotetica dotata di comprensione e pensiero paragonabile a
quello umano.
Secondo
esperti come “Andrew Ng” (fondatore di Google Brain) e” Stuart Russell” (autore
di Human Compatible), l’IA attuale è strettamente specializzata e rientra nella
categoria dell’”Intelligenza Artificiale Ristretta” (ANI – Artificial Narrow
Intelligence).
Questa
forma di IA include sistemi progettati per compiti specifici, come:
Riconoscimento
vocale (es. Siri, Alexa);
Algoritmi
di raccomandazione (es. Netflix, Spotify);
L’IA
può eseguire compiti specifici (come riconoscere la voce, raccomandare
contenuti o fare analisi predittive), ma non possiede consapevolezza,
intenzionalità o autonomia decisionale.
La
responsabilità rimane quindi interamente nelle mani degli sviluppatori e degli
utilizzatori umani.
Una
delle principali sfide è progettare sistemi di IA che siano “spiegabili” e
trasparenti, per ridurre il rischio di utilizzi impropri o dannosi.
Questa superabilità è essenziale per costruire fiducia
nelle applicazioni dell’IA, specialmente in ambiti critici come la sanità e la
giustizia.
Inoltre,
una collaborazione tra governi, aziende tecnologiche e istituzioni è cruciale
per garantire che lo sviluppo dell’IA avvenga in modo responsabile e in linea
con i valori etici universali.
Perché
l’IA è percepita come rischiosa.
Gran
parte delle paure legate all’IA deriva dalla narrativa fantascientifica, che
per decenni ha presentato scenari distopici in cui le macchine si ribellano
contro i loro creatori.
Film come “Terminator” o “Matrix” hanno
alimentato l’immaginario collettivo secondo cui l’IA potrebbe acquisire una
volontà autonoma e agire in modo imprevedibile.
Questo
approccio emotivo alla tecnologia spesso impedisce di comprendere le sue
attuali limitazioni tecniche.
Le
innovazioni tecnologiche, nella storia, hanno sempre generato ansia e
resistenza, poiché rappresentano un cambiamento rispetto all’ordine esistente.
Come sottolinea lo storico “David Nye”, l’idea di “tecnologia fuori controllo”
è un mito culturale che accompagna l’umanità da secoli.
Anche
l’elettricità e le prime automobili suscitarono timori simili, oggi dimenticati.
La
percezione che l’IA sia una “scatola nera” alimenta la sensazione di mancanza
di controllo.
Questo
è particolarmente vero per i “modelli di machine learning”, che producono
risultati basati su miliardi di dati senza che ne siano sempre chiare le
logiche interne.
La
mancanza di trasparenza aumenta la diffidenza, specialmente quando l’IA viene
applicata in ambiti sensibili come la giustizia, la sanità e la finanza.
La
paura che l’IA possa essere utilizzata in modo improprio da governi autoritari
o aziende senza scrupoli aggiunge un altro livello di preoccupazione.
Algoritmi
di sorveglianza, ad esempio, sollevano interrogativi sul diritto alla privacy e
sulla possibilità di manipolazione di massa.
Inoltre,
l’assenza di regolamentazioni uniformi a livello globale aggrava questi timori,
lasciando spazio a potenziali abusi.
Privacy
e sorveglianza.
L’Intelligenza
Artificiale si nutre di dati personali per migliorare le sue prestazioni, ma
questo solleva importanti questioni etiche.
Come
possiamo garantire che questi dati non vengano usati impropriamente?
Sistemi
di riconoscimento facciale e algoritmi predittivi sono esempi concreti di
tecnologie che rischiano di violare la privacy individuale.
Regolamentazioni
chiare e una maggiore trasparenza nella gestione dei dati sono fondamentali per
bilanciare progresso e tutela dei diritti.
“Bias
cognitivi” e disinformazione.
Le
paure legate all’IA non sono sempre razionali, ma spesso derivano da pregiudizi
cognitivi.
Uno di questi è la “fallacia del lampione”, un
pregiudizio cognitivo che ci porta a cercare risposte o soluzioni solo nei
luoghi più ovvi, trascurando alternative meno immediate ma potenzialmente più
efficaci.
Il
nome deriva da un aneddoto popolare in cui una persona cerca le chiavi smarrite
sotto un lampione, non perché le abbia perse lì, ma perché è l’unico punto
illuminato.
Allo
stesso modo, chi teme che l’IA “rubi il lavoro” spesso ignora la storia e
l’evidenza che il mercato del lavoro è un sistema dinamico, capace di
espandersi e adattarsi a nuove tecnologie.
L’Intelligenza
Artificiale ci ruberà il lavoro?
La
paura che l’IA causerà una disoccupazione di massa è una delle preoccupazioni
più diffuse.
Questo timore si concentra principalmente sui
lavori che potrebbero essere automatizzati, trascurando tre aspetti
fondamentali:
la
creazione di nuovi settori, l’evoluzione delle competenze e l’espansione
economica.
Creazione
di nuovi settori.
Ogni
rivoluzione tecnologica ha generato nuovi settori economici che prima non
esistevano.
Ad
esempio, l’avvento di” internet” ha portato alla nascita di professioni come il
“data scientist”, il “digital marketer” e lo sviluppatore di app, ruoli oggi
fondamentali.
Secondo
il “World Economic Forum”, entro il 2027 l’automazione creerà 69 milioni di
nuovi posti di lavoro globalmente, bilanciando la perdita prevista di 83
milioni di ruoli tradizionali. Il rapporto evidenzia come il cambiamento
richieda capacità di adattamento e l’acquisizione di nuove competenze per
trarre vantaggio dalle opportunità emergenti.
L’”ILO
Working Paper” sottolinea che il 60% dei lavori attuali non esisteva negli anni
’40, dimostrando che l’innovazione tecnologica è sempre stata un motore di
trasformazione del mercato del lavoro.
Evoluzione
delle competenze.
Molte
professioni non scompaiono completamente, ma si trasformano.
L’IA
tende ad automatizzare compiti specifici anziché intere professioni.
Secondo
uno studio di “Mondo Lavoro”, alcune professioni tradizionali, come operatori
telefonici, impiegati amministrativi e cassieri, sono destinate a ridursi
progressivamente.
Tuttavia,
la digitalizzazione e l’IA offrono possibilità per professioni che richiedono
competenze tecniche o creative avanzate.
Gli
strumenti di IA possono, ad esempio, automatizzare compiti ripetitivi come la
gestione delle fatture, permettendo ai contabili di concentrarsi su analisi
strategiche e consulenze personalizzate.
Le diagnosi supportate dall’IA non
sostituiranno i medici, ma li aiuteranno a prendere decisioni più rapide e
accurate, migliorando la qualità delle cure.
Nei
paesi ad alto reddito, secondo l’”International Labour Association” il 13,4%
delle professioni potrebbe beneficiare dell’effetto di potenziamento
tecnologico dell’IA, migliorando produttività ed efficienza.
Al
contrario, nei paesi a basso reddito, le barriere infrastrutturali limitano
l’automazione, favorendo un approccio più incrementale:
ad
esempio il “World Economic Forum,” parla di come esperti in sicurezza
informatica, sviluppatori di software e analisti di dati siano in rapida
crescita, rispondendo alle nuove esigenze del mercato digitale.
Come
superare la paura dell’IA.
La
paura dell’Intelligenza Artificiale, spesso alimentata da disinformazione e
immaginari distopici, può essere affrontata con un approccio consapevole e
informato.
Ecco
tre passi fondamentali per gestire questa transizione tecnologica:
Informazione
e consapevolezza.
Comprendere
il funzionamento dell’IA è il primo passo per superare i timori infondati.
Imparare
cosa può e cosa non può fare l’IA aiuta a distinguere la realtà dai miti.
L’educazione su questi temi deve essere accessibile a tutti, dai professionisti
ai neofiti, per costruire una cultura tecnologica che riduca la diffidenza e
promuova un utilizzo responsabile.
Formazione
e adattabilità.
Il
mondo del lavoro sta cambiando rapidamente, e l’investimento in competenze
digitali e trasversali è più importante che mai.
Il
re-skilling e l’up-skilling sono strumenti essenziali per affrontare le sfide
del mercato. Non si tratta solo di apprendere nuove tecnologie, ma di
sviluppare la capacità di adattarsi a ruoli che evolvono grazie alla
collaborazione uomo-macchina.
Etica
e regolamentazione.
Lo
sviluppo dell’IA deve essere guidato da principi etici e regolamenti chiari per
garantire
che questa tecnologia sia utilizzata in modo responsabile.
Un esempio concreto di sforzo normativo in
questa direzione è rappresentato dall’”AI Act”, una proposta legislativa
dell’Unione Europea che mira a regolamentare l’uso dell’Intelligenza
Artificiale.
Questo
regolamento classifica le applicazioni dell’IA in base al livello di rischio,
stabilendo requisiti specifici per garantire trasparenza, rispetto della
privacy e sicurezza.
L’”AI
Act” promuove la protezione dei diritti fondamentali e l’adozione di sistemi IA
che siano spiegabili e privi di discriminazioni.
Inoltre, richiede che i sistemi IA ad alto
impatto siano sottoposti a valutazioni di conformità prima di essere immessi
sul mercato.
Questo
quadro regolatorio rappresenta un passo fondamentale per costruire un
ecosistema tecnologico che serva l’interesse dell’uomo, richiedendo una stretta
collaborazione tra governi, aziende tecnologiche e istituzioni per garantire un
equilibrio tra innovazione e protezione dei cittadini.
La
paura dell’IA è comprensibile, ma non deve paralizzarci.
La
storia ci insegna che il progresso tecnologico, se gestito con responsabilità,
porta benefici duraturi e migliora la qualità della vita.
È tempo di abbracciare il cambiamento con
curiosità e consapevolezza, preparandoci a cogliere le opportunità offerte
dall’IA per costruire una società più inclusiva e innovativa.
Approcciare
questa tecnologia con apertura mentale e preparazione ci permetterà di
utilizzarla come uno strumento al servizio dell’uomo.
Paura
dell'Intelligenza Artificiale?
Ilpopolo.cloud.it
– (14 Luglio 2024) – democrazia cristiana – ci dice:
Domanda
a” ChaGPT.
Dammi
il tuo parere su questo brano.
Io non
credo che si debba aver paura delle macchine IA.
Le
macchine sono sempre guidate da uomini.
La macchina non pensa, non è intelligente,
lavora su programmi creati dagli esseri umani.
Quindi sono quegli uomini che hanno il potere
di gestire le macchine che le possono usare per fare del male ad altri uomini o
a tutta l'umanità.
Sono
questi gestori delle macchine, non le macchine, che devono farci paura.
Per
ottenere un uso corretto dell’IA è necessario:
I) che
si sappia chi sono gestori dei mezzi di IA diffondendo i loro nomi e cognomi e
ragioni sociali;
II)
che sia chiesto a questi uomini di mettere, "democraticamente", le
macchine dell'IA a disposizione dei singoli e delle comunità umane piccole o
grandi.
Certo
finché saranno pochi magnati a detenere il potere di usare nel loro esclusivo
interesse le macchine saremo in pericolo.
Ma non
è detto che questa situazione non possa essere cambiata. Occorre diffondere la
consapevolezza che l'IA deve rimanere a disposizione di tutti.
Osserverei
in proposito che i “creatori” e “padroni” dell’IA, per diffondere l’uso di
questa tecnologia, devono in qualche modo renderla accessibile a chiunque.
Non è
un caso che i primi “chatbot” (programmi che simulano conversazioni con gli
esseri umani) siano stati diffusi come “open”: aperti; utilizzabili
gratuitamente da qualunque persona.
Pertanto
chiunque lo voglia può porre domante in qualsiasi materia a questi “chabot”.
In particolare può porre domande su come l’IA
possa essere usata nell’interesse di tutta l’umanità e non nell’esclusivo
interesse dei suoi proprietari e di coloro che già detengono il potere
economico, politico e culturale nei vari paesi del mondo.
Dialogando
con questi chatbot ogni persona può diventare, sia pure in misura minima, un
“addestratore” delle macchine intelligenti.
Queste
infatti, a quanto sembra di capire, apprendono progressivamente anche dalle
domande dei loro utenti.
Osserveremo
ancora.
Di
certo l’IA non può costringere nessun umano a rinunciare ad usare la sua
intelligenza umana.
Quindi
ogni persona in grado di pensare con la propria testa sarà capace di
confrontarsi con le macchine intelligenti per valutare criticamente i loro
“discorsi”.
Come
ci fa notare “Albert Einstein” "Un giorno le macchine riusciranno a
risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno".
Quindi
sui problemi più importanti del vivere e del convivere umano sia i proprietari
che gli utenti dell’IA potranno - e dovranno - decidere di essere, tutti
insieme, padroni e non schiavi delle macchine.
Personalmente
non escluderei che proprio le macchine dell'IA possano aiutare gli uomini di
buona volontà (compresi anche i creatori e proprietari della tecnologia) a
mantenere aperto a tutti l'uso dell'IA e a favorire così il contributo di
chiunque al progresso civile dell'umanità.
Risposta
di ChatGPT.
"Il brano presenta un'argomentazione
sulla paura percepita dell'intelligenza artificiale (IA) e sottolinea che la
vera preoccupazione dovrebbe essere rivolta alle persone che controllano queste
macchine. Viene citata una frase di Albert Einstein: "Un giorno le
macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà
porne uno."
L'autore sostiene che le macchine, che sono
intrinsecamente non intelligenti e operano su programmi creati dagli esseri
umani, non sono la vera fonte di paura.
Invece,
sono le persone che gestiscono queste macchine che potrebbero abusare del loro
potere.
I
punti chiave del brano includono:
Trasparenza
dei gestori dell'IA: L'autore suggerisce che i nomi e i dettagli di coloro che
gestiscono l'IA dovrebbero essere pubblicamente noti per garantire la
responsabilità.
Accesso
democratico all'IA:
Dovrebbe
esserci uno sforzo per rendere la tecnologia IA disponibile a tutte le
comunità, non solo a pochi individui o corporazioni potenti.
Concentrazione
attuale del potere: Il pericolo risiede nel fatto che solo pochi individui
ricchi attualmente hanno il controllo sull'IA, utilizzandola per il loro
esclusivo beneficio.
Potenziale
di cambiamento:
Questa
situazione può essere cambiata diffondendo la consapevolezza e assicurando che
l'IA rimanga accessibile a tutti.
IA
open source:
Il
rilascio iniziale dei “chatbot” come “software open-source” è visto come un
passo positivo, permettendo a chiunque di utilizzare e apprendere da queste
tecnologie.
Coinvolgimento
umano nella formazione dell'IA:
L'interazione con i chatbot IA permette agli
individui di partecipare alla formazione e allo sviluppo di questi sistemi,
anche se su scala ridotta.
Intelligenza
umana vs. IA: L'IA non può sostituire l'intelligenza umana (IU). Gli individui
capaci di pensiero critico possono interagire con l'IA e valutare criticamente
i suoi output.
Proprietà
e uso collettivo dell'IA: Sia i creatori che gli utenti dell'IA devono lavorare
insieme per garantire che l'IA benefici l'umanità nel suo complesso, piuttosto
che essere strumenti di oppressione o controllo.
IA
come strumento di democratizzazione: L'autore è ottimista sul fatto che l'IA
possa aiutare a democratizzare la conoscenza e le risorse se gestita e
utilizzata responsabilmente da individui di buona volontà.
In
generale, il brano sostiene un approccio collettivo e trasparente alla gestione
dell'IA, enfatizzando la supervisione e la partecipazione umana per sfruttare
il potenziale dell'IA a beneficio del bene comune."
Domanda.
Tu
pensi che i gestori di ChatGPT condividano le idee di questo brano?
Risposta
di ChatGPT.
"Le idee espresse nel brano sembrano allinearsi
con i principi di trasparenza, accessibilità e uso etico dell'intelligenza
artificiale che molti sviluppatori di IA, inclusi quelli di ChatGPT, tendono a
promuovere.
OpenAI, l'organizzazione dietro ChatGPT, ha
chiarito in diverse occasioni il proprio impegno verso un uso responsabile e
trasparente dell'intelligenza artificiale.
Ecco
alcuni punti di convergenza tra il brano e i principi di OpenAI:
Trasparenza:
OpenAI
pubblica regolarmente documenti e ricerche sulle sue tecnologie, e cerca di essere trasparente riguardo agli
sviluppi e alle limitazioni delle sue IA. Questo riflette l'idea nel brano di
rendere pubblici i nomi e le responsabilità di chi gestisce l'IA.
Accessibilità
democratica:
OpenAI
ha reso accessibili molti dei suoi strumenti e modelli IA al pubblico,
promuovendo l'uso di IA in diverse comunità, grandi e piccole.
Questa
azione è in linea con l'idea del brano di democratizzare l'uso dell'IA.
Uso
etico e responsabile:
OpenAI
promuove l'uso etico dell'IA e ha implementato linee guida e sistemi di
monitoraggio per evitare abusi e usi malevoli delle sue tecnologie.
Questo
corrisponde alla preoccupazione del brano che l'IA venga usata nell'interesse
dell'umanità piuttosto che per il guadagno esclusivo di pochi.
Interazione
umana con l'IA:
L'idea che gli utenti possano interagire con i
“chatbot” e contribuire al loro sviluppo è anche un punto di forza di OpenAI,
che incoraggia il feedback degli utenti per migliorare continuamente i suoi
modelli.
Promozione
del pensiero critico:
OpenAI
sostiene che gli utenti mantengano un pensiero critico e usino l'IA come
strumento complementare, senza rinunciare alla propria intelligenza e capacità
di giudizio.
In
sintesi, OpenAI sembra condividere molte delle idee centrali del brano riguardo
alla trasparenza, accessibilità democratica e uso etico dell'IA.
Tuttavia,
come organizzazione, deve anche bilanciare questi ideali con considerazioni
pratiche e commerciali per garantire la sostenibilità e il continuo sviluppo
delle sue tecnologie.”
Dal
contenuto del dialogo, se non abbiamo capito male, è possibile trarre questa
conclusione.
Le
macchine IA, opportunamente interrogate, forniscono esse stesse i criteri per
un loro uso etico e responsabile: vantaggioso per tutti (compresi i gestori
dell’IA) e dannoso per nessuno.
(Giorgio
Pizzol).
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