La tecnologia artificiale.

 

La tecnologia artificiale.

 

 

 

Intelligenza Artificiale.

Agendadigitale.eu – (22-05 -2025) – Redazione – ci dice:                   

 

Cosa si intende con Intelligenza Artificiale e quali sono le norme che la regolamentano.

Tutto sull'intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale (AI o anche Artificial intelligence) è una tecnologia informatica che rivoluziona il modo con cui l'uomo interagisce con la macchina, e le macchine tra di loro.

Possiamo definire l'AI come il processo attraverso cui le macchine e i sistemi informatici simulano i processi di intelligenza umana.

Le applicazioni specifiche dell'IA includono sistemi come l'elaborazione del linguaggio naturale, il riconoscimento vocale e la visione artificiale.

 

L'intelligenza artificiale fornisce ad un robot qualità di calcolo che gli permettono di compiere operazioni e "ragionamenti" complessi, fino a poco tempo fa caratteristiche esclusive del ragionamento umano, in poco tempo.

Grazie all'intelligenza artificiale è possibile (almeno questo l'obiettivo ultimo) rendere le macchine in grado di compiere azioni e "ragionamenti" complessi, imparare dagli errori, e svolgere funzioni fino ad oggi esclusive dell'intelligenza umana.

 Oggi in Italia e nel mondo l'intelligenza artificiale viene utilizzata in azienda e non solo, per svolgere compiti che all'uomo richiederebbero molto tempo.

 

Cosa si intende con Intelligenza Artificiale?

Intelligenza artificiale è una sezione di linguistica informatica e informatica che si occupa della formalizzazione di problemi e compiti simili a quelli eseguiti da una persona.

Al giorno d'oggi si tratta di una sotto disciplina dell'informatica che si occupa di studiare la teoria, le tecniche e le metodologie che permettono di progettare sia i sistemi hardware che quelli software in grado di elaborare delle prestazioni elettriche che simulano una pertinenza dell'intelligenza umana.

 Il risultato del lavoro dell'intelligenza artificiale non dev'essere difficilmente distinguibile da quello svolto da un umano con delle specifiche competenze.

Come funziona l'IA?

Spesso quando si parla o si scrive di intelligenza artificiale ci si riferisce a una delle componenti come l 'apprendimento automatico.

Per avere a che fare con l’AI è necessario che siano presenti sia componenti hardware sia software specializzati per la scrittura e l'addestramento degli algoritmi di apprendimento automatico.

I linguaggi di programmazione, invece, non sono sinonimo di intelligenza artificiale ma intervengono a costruire sistemi informatici e sono molto diffusi come” Python”, “R” e “Java”.

 

Questo aspetto della programmazione dell'intelligenza artificiale si concentra sull'acquisizione di dati e sulla creazione di regole per trasformare i dati in informazioni utilizzabili

 Le regole, chiamate algoritmi, forniscono ai dispositivi informatici istruzioni passo dopo passo su come completare un compito specifico.

 

La programmazione dell'intelligenza artificiale necessita di tre abilità cognitive:

apprendimento,

ragionamento,

autocorrezione.

In generale, i sistemi di IA funzionano grazie al fatto che riescono a processare enormi quantità di dati.

In questo modo creano correlazioni e modelli usati per fare previsioni.

Questo processo consente a un “chatbot” di produrre scambi di informazioni realistici o a uno strumento a imparare a riconoscere le immagini.

Le applicazioni dell'intelligenza artificiale.

L'intelligenza artificiale (IA) sta rivoluzionando il modo in cui viviamo e lavoriamo, trovando applicazione in un'ampia gamma di settori.

Ecco alcune delle sue applicazioni più comuni:

“Ai” nel settore della comunicazione.

Assistenti virtuali:

Siri, Alexa, Google Assistant sono solo alcuni esempi di assistenti virtuali che utilizzano l'IA per comprendere il linguaggio naturale e rispondere alle nostre richieste.

Traduzione automatica:

strumenti come “Google Translat”e sfruttano l'”IA” per tradurre testi da una lingua all'altra in tempo reale.

Chatbot: sempre più aziende utilizzano chatbot per il “customer service” cioè per interagire con i clienti, fornendo assistenza e risposte a domande frequenti.

“AI” nel settore sanitario.

Diagnosi: l'IA può analizzare immagini mediche (radiografie, TAC, ecc.) per identificare malattie con maggiore precisione e rapidità rispetto ai metodi tradizionali.

Sviluppo di farmaci: l'IA accelera il processo di scoperta e sviluppo di nuovi farmaci, analizzando grandi quantità di dati.

Assistenza sanitaria personalizzata: l'IA può creare piani di trattamento personalizzati per i pazienti, basati sui loro dati genetici e sulla loro storia clinica.

“Ai” nel settore industriale.

Robotica: i robot dotati di IA sono in grado di svolgere compiti complessi e ripetitivi con maggiore precisione e flessibilità.

Manutenzione predittiva: l'IA può prevedere guasti ai macchinari industriali, consentendo di pianificare la manutenzione in modo più efficiente.

Controllo di qualità: l'IA viene utilizzata per ispezionare prodotti e identificare difetti, garantendo un maggiore livello di qualità.

Altri settori in cui l'intelligenza artificiale trova applicazioni.

Finanza: l'IA viene utilizzata per la gestione del rischio, la previsione dei mercati e la scoperta di frodi.

Trasporti: le auto a guida autonoma sono un esempio di come l'IA stia rivoluzionando il settore dei trasporti.

Agricoltura: l'IA viene utilizzata per monitorare le colture, ottimizzare l'irrigazione e prevedere il raccolto.

Educazione: l'IA può personalizzare l'apprendimento degli studenti, adattandosi ai loro bisogni individuali.

Tra le tante applicazioni dell'intelligenza artificiale ricordiamo la più famosa che ha reso possibile la creazione di “chatbot” sempre più sofisticati come” ChatGPT” e “Gemini”.

Questi modelli di linguaggio stanno rivoluzionando il modo in cui interagiamo con le macchine, aprendo la strada a nuove e interessanti applicazioni.

Le tecnologie artificiali.

My – personaltrainer.it -Redazione – (16-04 -2025) – Team my-personaltrainer.it – ci dice:

 

Perché l’”AI” ci spaventa e come affrontare le paure in modo consapevole.

 

INDICE:

In breve: perché l’intelligenza artificiale fa paura.

Da dove nasce la paura dell'intelligenza artificiale?

Quali sono i principali timori legati all'IA.

Rischi reali o percepiti?

Che ruolo ha l'informazione nell'alimentare l'ansia?

Etica, regolazione e controllo: cosa si sta facendo.

Come affrontare la paura dell'AI in modo costruttivo.

Fonti e risorse utili per approfondire.

In breve: perché l’intelligenza artificiale fa paura.

L'intelligenza artificiale genera ansia e paura perché corre più veloce di noi, ed è difficile capire dove porterà.

Alcuni la vedono come un'opportunità da sfruttare in modo positivo, altri temono che possa sfuggire di mano.

I motivi principali.

Mancanza di controllo.

Tra le paure più comuni c'è quella che l'IA possa agire senza l'intervento umano. Fa pensare a qualcosa che evolve da sola, magari in direzioni che non possiamo prevedere o fermare.

Influenza dell'immaginario.

Siamo cresciuti con film in cui le macchine si ribellano, ed è difficile scrollarsi di dosso quelle immagini. Anche se sono finzione, restano nella mente e influenzano come percepiamo queste tecnologie.

Rischio occupazionale.

Il pensiero che un robot possa fare il nostro lavoro è scoraggiante. Non è solo una questione economica, ma anche di identità: molte persone si definiscono attraverso ciò che fanno.

Preoccupazioni sulla privacy.

Sapere che l'IA può raccogliere informazioni su di noi senza che ce ne accorgiamo mette a disagio. Nessuno vuole sentirsi osservato, soprattutto quando non è chiaro da chi e per quale scopo.

Questioni etiche.

Quando l'IA prende decisioni delicate, ci si chiede se sia giusto lasciarle fare. Il rischio è che vengano usate per manipolare o danneggiare, senza che qualcuno ne risponda davvero.

Difficile da capire.

È una tecnologia complicata, piena di termini che non tutti conoscono. E quando qualcosa non si capisce, è naturale avere dubbi e sentire un certo distacco o persino fastidio.

Una riflessione utile.

È normale avere paura dell'ignoto, e l'IA lo è per molti di noi. Ma resta uno strumento, e siamo noi a decidere consapevolmente in che direzione usarlo e con quali regole.

Da dove nasce la paura dell'intelligenza artificiale?

L'intelligenza artificiale è ormai parte della nostra vita quotidiana:

la troviamo nei motori di ricerca, su whatsapp, nei suggerimenti musicali, nei chatbot.

 Ma se da un lato promette grandi benefici, dall'altro suscita ansia, dubbi e timori sempre più diffusi.

C'è chi teme che ci sostituirà, chi che ruberà dati personali, chi semplicemente non si fida.

La verità è che queste paure hanno radici profonde e, spesso, sono più che comprensibili. Ma da dove nascono davvero?

Una reazione umana davanti a qualcosa che cambia tutto.

Ogni innovazione importante nella storia ha generato timori. È successo con l'elettricità, con Internet, con i robot industriali. L'intelligenza artificiale fa un salto ulteriore: non è solo uno strumento, ma qualcosa che "prende decisioni", che analizza, genera, risponde. Questo basta a farci sentire vulnerabili.

Perché ci sentiamo esclusi dai processi tecnologici.

Uno dei motivi per cui ci spaventa è che non capiamo davvero come funziona.

 L'IA sembra una scatola nera:

 inseriamo qualcosa e ne esce una risposta che spesso accettiamo senza sapere su cosa si basi.

Questo senso di esclusione genera sfiducia e disorientamento.

Per approfondire:

“Meta AI “su WhatsApp ti genera ansia?

Come disattivarla e 5 buoni motivi per farlo.

 

Quali sono i principali timori legati all'IA.

Ci sono alcune paure che tornano spesso quando si parla di intelligenza artificiale. Alcune sono più viscerali, altre si appoggiano su ragionamenti logici.

 In entrambi i casi, è importante riconoscerle, dargli un nome e cercare di capirle fino in fondo. Ecco le principali:

Perdita di controllo e autonomia delle macchine.

L'idea che un sistema possa "decidere da solo" senza che un umano lo supervisioni spaventa.

Non si tratta solo di tecnologia: è la sensazione di perdere il controllo su ciò che dovrebbe essere al nostro servizio.

 

Il ruolo dell'immaginario collettivo.

Film, serie TV e libri hanno costruito nel tempo un immaginario popolato da robot ribelli, IA autocoscienti, futuri distopici.

 Anche se razionalmente sappiamo che sono finzione, quelle narrazioni influenzano profondamente le nostre emozioni.

Ansia per il futuro del lavoro e della società.

Automazione, algoritmi di selezione, robot nei magazzini: il futuro del lavoro è sempre più incerto. Molti temono che l'IA possa ridurre le opportunità lavorative, soprattutto nei settori meno qualificati, senza che ci siano alternative chiare.

Difficoltà a comprendere come funziona davvero.

L'intelligenza artificiale si basa su reti neurali, deep learning, dati e modelli complessi. Tutti termini tecnici, spesso poco accessibili, che contribuiscono a creare distanza tra la tecnologia e le persone comuni.

Paura di essere sostituiti, non solo professionalmente.

L'ansia non riguarda solo il lavoro. L'IA produce immagini, scrive testi, compone musica. C'è chi si chiede se abbia senso creare, inventare, produrre, se tanto un software può fare lo stesso in pochi secondi.

 

 Rischi reali o percepiti?

Molte delle nostre paure derivano da qualcosa di vero. Ma spesso realtà e percezione si mescolano, creando uno spazio confuso in cui non sappiamo più cosa temere davvero e cosa invece è solo il riflesso di un racconto sbilanciato.

La paura razionale.

Non tutte le paure sono esagerate. Ci sono rischi concreti: la gestione dei dati personali, l'utilizzo dell'IA per scopi militari, la manipolazione delle opinioni attraverso contenuti generati automaticamente. Sono preoccupazioni legittime, e serve una risposta collettiva.

Le paure irrazionali.

Altri timori invece si basano su equivoci o su una narrativa distorta. L'idea che l'IA possa "prendere il potere" è suggestiva, ma lontana dalla realtà. Nessun sistema ha coscienza, intenzionalità o desiderio di dominio.

Che ruolo ha l'informazione nell'alimentare l'ansia?

Parliamo continuamente di IA, ma spesso lo facciamo in modo confuso, affrettato, con toni troppo carichi o troppo entusiasti. L'informazione ha un impatto fortissimo nel modo in cui percepiamo questa tecnologia.

Sovraesposizione mediatica e disinformazione.

Spesso le notizie sull'IA puntano al titolo sensazionalistico. Questo aumenta l'ansia e alimenta una percezione distorta, dove ogni nuova funzione viene vissuta come minacciosa.

L'importanza di una comunicazione scientifica accessibile.

È fondamentale raccontare l'IA in modo chiaro, trasparente, umano. Solo così possiamo superare l'ansia e iniziare a capire, invece che temere. Le persone non vogliono essere esperte, ma vogliono sentirsi coinvolte.

Etica, regolazione e controllo: cosa si sta facendo.

Molte delle paure verso l'IA derivano dalla mancanza di limiti chiari. Se sappiamo che esistono regole, che qualcuno controlla, ci sentiamo meno soli. E qualcosa si sta muovendo in questa direzione.

Norme, linee guida e organismi internazionali

Un po' ovunque si stanno introducendo regole: dall'AI Act dell'Unione Europea alle iniziative dell'UNESCO e delle big tech.

Il messaggio è chiaro: serve stabilire limiti, verifiche e responsabilità.

L'urgenza di una governance trasparente.

Ma la regolazione da sola non basta. Serve che anche le aziende e i governi rendano visibili le scelte fatte, i dati usati e i limiti imposti ai sistemi di IA. La trasparenza è l'unica strada per generare fiducia.

AI Act” dell'Unione Europea – In vigore da agosto 2024.

L'Unione Europea ha introdotto l'AI Act, il primo regolamento globale sull'intelligenza artificiale, entrato in vigore il 1° agosto 2024. Questo atto legislativo mira a promuovere uno sviluppo dell'IA che sia sicuro, trasparente e rispettoso dei diritti fondamentali, stabilendo un quadro normativo comune per tutti gli Stati membri.​

Come affrontare la paura dell'AI in modo costruttivo.

Non possiamo evitare del tutto la paura. Ma possiamo imparare a conviverci, a usarla per porci domande più intelligenti e a fare scelte più consapevoli. L'IA fa parte del nostro presente: è con questo che dobbiamo imparare a dialogare. Ecco qualche consiglio per affrontare le nostre paure:

Educazione digitale e consapevolezza.

Non dobbiamo diventare esperti di IA, ma possiamo capire le basi, conoscere i nostri diritti e imparare a riconoscere quando un sistema ci sta influenzando.

Restare aggiornati, ma con spirito critico.

Non tutto ciò che leggiamo è vero, e non tutte le previsioni si avverano. Serve un atteggiamento curioso ma anche critico, che ci permetta di selezionare le informazioni utili e di ignorare quelle allarmistiche.

Parlare di IA con i giusti strumenti (anche emotivi).

Avere paura è normale. Ma parlarne, confrontarsi, chiedere, leggere e informarsi aiuta a gestire l'ansia e a sentirsi meno soli. Non è un argomento da "esperti": riguarda tutti.

 

 

 

Autostrade a Credito Sociale:

 Ecco la Tassa Green sulla

 Mobilità dei Poveri

Conoscenzealconfine.it – (22 Maggio 2025) – T.me/Carmen – Tortora – Redazione – ci dice:

 

Pare sia ufficiale: nel 2025 parte la nuova crociata ambientalista contro chi osa ancora muoversi su quattro ruote senza inginocchiarsi alla “religione green”.

Con il Decreto Infrastrutture 2025, il Governo Meloni – in perfetto allineamento con le direttive europee sul “chi inquina paga” – avrebbe deciso di colpire la mobilità individuale con una nuova tassa mascherata da pedaggio ecologico.

Il decreto entrerà in vigore da luglio 2025, giusto in tempo per i grandi esodi estivi: un tempismo perfetto per fare cassa sulle vacanze degli italiani.

Secondo alcuni siti, la norma dovrebbe prevedere l’addio al caro vecchio pedaggio a chilometri:

ora entra in scena la “tariffa morale”, un sistema che modula il costo del viaggio in base a quattro variabili arbitrarie:

– Emissioni del veicolo;

– Tipo di carburante (diesel, benzina, elettrico, ibrido);

– Fascia oraria del transito;

– Frequenza di utilizzo della tratta.

 

In pratica: chi ha un’auto vecchia, chi lavora in orari di punta o chi semplicemente non ha 40mila euro da spendere in un’elettrica verrà punito.

 Hai una diesel Euro 3?

Ti becchi fino al 25% in più.

E se hai la sfortuna di viaggiare in fascia oraria “sbagliata”?

 Ti spennano due volte.

Una distopia tariffaria che sembra uscita da un manuale cinese di ingegneria sociale.

E chi risparmia?

Solo gli eletti:

chi ha un’auto ibrida o elettrica (per il momento), viaggia in orari strategici e magari lo fa spesso sulla stessa tratta potrà “beneficiare” di sconti fino al 30%.

E naturalmente tutto sarà gestito da app di sorveglianza camuffate da telepedaggio che calcolano in tempo reale quando ti conviene partire – perché adesso anche spostarsi richiede un algoritmo.

Chi l’ha proposta e perché:

 La proposta viene direttamente dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in perfetta sintonia con la strategia UE per la transizione ecologica e il controllo intelligente dei flussi.

 

Dietro lo slogan “gestione sostenibile del traffico” si cela un obiettivo molto più chiaro:

 limitare la proprietà privata dei mezzi di trasporto, ridurre gli spostamenti autonomi e testare sistemi di pricing variabile che, guarda caso, colpiscono sempre i più deboli.

Conclusione: Il paradosso?

Il tutto si presenta con la solita retorica di “giustizia ambientale”, ma in realtà è un attacco ben congegnato alla proprietà privata, alla mobilità e alla classe media.

 Si è sempre detto che ci avrebbero fatto pagare anche l’aria. E così è stato.

Benvenuti nella smart autostrada a credito sociale.

(investireoggi.it/pedaggi-2025-cosa-cambia-davvero-con-il-nuovo-decreto/).

(t.me/carmen_tortora1).

 

La “tecnopolitica” salveràil mondo?

Altronovecento.fondazionemicheletti.eu - Marino Ruzzenenti – (14 Settembre 2021) – ci dice:

 

(P. Vineis, L. Carra, R. Cingolani, “Prevenire. Manifesto per una tecno politica”, Einaudi, Torino 2020.)

 

La lettura di un testo non è mai stata per me così intrigante come Prevenire. Manifesto per una tecnopolitica.

Per svariate ragioni.

 Innanzitutto il titolo ed il sottotitolo.

Prevenire per chi ha una cultura ambientalista e democratica è un concetto quasi sacro, fondamentale per preservare la buona salute sia della natura che degli umani.

 Tecnopolitica, invece, presenta immediatamente delle ambiguità, perché da un canto evoca l’idea oligarchica del governo dei sapienti in alternativa alla democrazia implicitamente considerata governo dei mediocri, e dall’altro sembra proporre ancora una volta la tecnologia come chiave di volta per la soluzione dei problemi dell’umanità.

 Insomma, titolo e sottotitolo evocano risonanze di ossimoro.

Gli interrogativi aumentano se poi si tiene conto che il libro è uscito l’anno scorso e che uno egli autori, “Roberto Cingolani”, è ora direttamente coinvolto in un ruolo preminente come tecnico nell’attuale inedito governo Draghi, il cui collante dovrebbe essere proprio una politica al di sopra e al di là delle ideologie e degli schieramenti partitici, in nome delle cose tecnicamente fondate da farsi per la salvezza del Paese.

In questo senso un saggio apparentemente profetico che avrebbe anticipato (preparato?) di qualche mese gli eventi.

Ma lo stupore non finisce qui.

La firma di “Roberto Cingolani”, personaggio ormai troppo noto, è preceduta da due altre firme importanti.

La prima, che sembrerebbe abbia offerto il contributo più robusto al testo, è quella di “Paolo Vineis”, illustre epidemiologo proveniente dalla scuola di “Epidemiologia & prevenzione” e alla lontana di” Giulio A. Maccacaro,” ora vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità, docente di “Environmental Epidemiology presso l’imperial College” di Londra e Visiting Professor all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, lo stesso diretto da Cingolani fino al 2019.

La seconda di “Luca Carra”, divulgatore scientifico, già membro di Italia nostra e direttore di “Epidemiologia & prevenzione”, segretario del “Gruppo 2003 per la ricerca”, associazione di scienziati italiani, nonché direttore della rivista on line, “Scienza in rete” e promotore del manifesto “Scienza in Parlamento”, in cui si chiede l’istituzionalizzazione di un Comitato tecnico-scientifico che in permanenza affianchi e assista gli organi decisionali democraticamente eletti.

 

Viste le premesse la lettura del testo non solo è impegnativa, ma anche non facilmente riducibile ad una valutazione univoca.

 

Da un canto vi è l’assunto, in linea generale condivisibile, che l’umanità si trovi di fronte a tre enormi debiti:

 il debito socio-economico, il debito ambientale ed il debito cognitivo.

E che per affrontarli sia necessario un “radicale cambiamento”.

 

Dopodiché si afferma che, grazie alla tecnologia, “non possiamo negare che il mondo nel suo complesso sia migliorato, in contrasto con la percezione diffusa” e ancora che “il mondo di oggi è il migliore che abbiamo avuto dall’inizio della storia umana”.

In questa oscillazione, tra analisi critica a volte senza sconti del presente e fiducia in un progresso lineare e permanente garantito dall’innovazione tecnologica si muove l’argomentare del saggio.

Insomma i problemi ci sono, ma la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica sono in grado di risolverli, purché si sappia ricomporre il rapporto tra scienza, tecnologia e politica.

 

Ovviamente un filo conduttore è la polemica contro lo scetticismo antiscientifico, emblematicamente rappresentato dai “No-vax”, dai movimenti localistici e neo nazionalistici, nonché dai populismi, che non hanno compreso come il “prevenire” per essere efficace debba porsi necessariamente a livello internazionale.

 Perché, e qui siamo all’ovvio, “non esistono soluzioni semplici a problemi complessi”.

“Un altro pregiudizio diffuso (comune a diversi movimenti populisti, pur nella loro eterogeneità) consiste nel proporre e far circolare l’idea secondo cui (una volta liberatici della casta degli esperti) ci sarebbero soluzioni semplici per problemi com­plessi.

Non è così.

Tipica dei social media non è soltanto la dif­fusione di fake news, ma l’idea che «da qualche parte» esiste­rebbe una soluzione, se di mezzo non ci fossero la casta e i poteri forti”.

Non si può non notare qui un lapsus piuttosto imbarazzante degli autori, laddove di fatto si ipotizza di identificare la “casta degli esperti” con “la casta e i poteri forti”.

 Il tema della critica della scienza, della sua presunta neutralità rispetto al potere ed agli interessi in campo è troppo importante per essere liquidato in questi termini caricaturali.

 Vi è una vasta letteratura, in particolare a partire dagli anni Sessanta, sul tema, nel quale tra tanti altri, si sono impegnati proprio Maccacaro e Lorenzo Tomatis, già direttore dell’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro dell’Oms, peraltro citato in questo volume.

È pur vero che qui e là si accenna di sfuggita ai conflitti di interesse ed anche ad una qualche critica alle logiche di mercato, ad esempio rispetto ad un buon sistema sanitario, ma sul punto alla fine si rivendica un’autonomia della ricerca scientifica che, ancor più nel sistema neoliberista oggi trionfante, fa molta fatica ad apparire credibile.

“È dunque legittimo pensare che lo scienziato o il tecnologo abbiano una loro linea di ricerca autonoma, ponendosi liberamente obiettivi e questioni da risolvere ma al contempo ven­gano interpellati dal potere politico e dalla società e «deviino» dunque il corso delle loro ricerche per soddisfarne le richieste”.

Una visione francamente ottimistica, che non sembra corrispondere ad una realtà come l’attuale, di politica debole se non evanescente e di società disgregata, almeno nei suoi corpi intermedi, in cui le leve del comando, anche della ricerca, sono in mano soprattutto ai gruppi multinazionali economici e finanziari e, nelle grandi potenze, ad un complesso tecnologico-militare sostanzialmente autoreferenziale.

Ignorare questa realtà fa sì che si legittimi proprio quella sfiducia nella scienza che si vorrebbe contrastare.

 E questa riflessione vale anche per la polemica nei confronti delle chiusure nazionali, che sarebbero anch’esse antiscientifiche perché la scienza dimostra che a questo livello i problemi non si possono risolvere.

Per cui il saggio conclude con una raccomandazione che chiunque sottoscriverebbe:

“È necessaria infine una dimensione internazionale della salute, dell’ambiente e dell’economia, che prevalga sulle chiusure localiste e improntate alla paura dell’altro. Un nuovo, e pacifico, internazionalismo”.

Sennonché alle viste l’unico internazionalismo reale e ben consolidato, che in genere troppi, compresi gli autori, non si sognano di mettere in discussione, è appunto quello della grande finanza e delle multinazionali, dove le sfibrate e acciaccate istituzioni internazionali non riescono ad imporre a Big Pharma la sospensione dei brevetti neppure davanti alla sconvolgente ecatombe del Covid 19.

 

Ma l’argomentazione nel testo su questo tema cruciale è particolarmente sofisticata e ambivalente:

da un canto si ridicolizza chi osa immaginare un rovesciamento dell’ordine costituito bollandolo come fanatico sostenitore dei metodi Di Bella e Vannoni, dall’altro si riconoscono, ad esempio, i limiti delle cure praticate oggi dalla scienza ufficiale per la cura dei tumori.

 Questo [che a problemi complessi vi sia una “soluzione a portata di mano”. Nda] è un pregiudizio da sfatare, perché alimenta la falsa aspettativa che un rovesciamento dell’ordine costituito consentirà non solo di «liberare» la ricerca vera dalle catene della corruzione, ma anche di risolvere problemi incombenti (si pensi ai vari casi Di Bella e Vannoni).

Al contrario, non sappiamo se riusciremo a trovare una cura efficace per tutti i tumori, [.…].

Negli stessi Paesi ricchi la spinta a sviluppare nuovi farmaci, nuove tecniche chirurgiche e radioterapiche è diventata economicamente quasi insostenibile. Come già detto, delle 277 terapie farmacologiche per il cancro di cui nel periodo 2011-15 sono state pubblicate sperimentazioni cliniche, soltanto il 15 per cento ha portato miglioramenti significativi nella soprav­vivenza o nella qualità della vita.

Diversi studi rivelano che in molti casi più i farmaci sono costosi, meno sono efficaci, e tuttavia sono largamente in uso…”.

Un’argomentazione, quest’ultima, del tutto condivisibile che serve agli autori per avvalorare la tesi che la lotta contro i tumori è più efficace e meno costosa se si puntasse sulla prevenzione.

 Ma sarebbe stato utile che venisse spiegato anche perché la ricerca scientifica spinge invece in tutt’altra direzione.

 

Molto spazio viene dato, comunque, all’analisi ben documentata delle cause profonde dei tre debiti di cui si è detto.

Del tutto condivisibili le considerazioni che vengono sviluppate sul debito socio economico, con largo impiego degli” studi di Piketty”, e su quello ambientale con approfondimenti da sottoscrivere, ad esempio, sull’impronta ecologica, sulla sesta estinzione, sul rapporto con la salute umana.

 Forse più discutibile l’enfasi sull’infosfera a proposito del debito cognitivo.

Pur riconoscendo lo stress sistemico che può indurre il senso di inadeguatezza personale alla mole di informazioni incommensurabile potenzialmente circolante sulla rete, si conclude con un’ipotesi di “ecologia della mente” che allo scrivente appare ancora lontana da perseguire in dimensioni realmente democratiche e alla portata di tutti:

“L’ecologia della mente dovrà promuovere il bene pubblico dell’infosfera, aumentando il grado di «info diversità» proprio come si fa – o si dovrebbe fare – con gli ecosistemi.

Sulle piattaforme del mondo digitale si può già oggi intervenire con strutture diverse, di natura collaborativa, come nel caso di Wikipedia, o del media sociale «per introversi» “Pin board”, o la piattaforma formativa “Corsera”.

Stanno nascendo in questi anni – come ricorda Luca De Biase – gruppi animati da un’eti­ca del «codice d’onore», che lavorano alla «continua riproget­tazione delle forme della rete, per l’impegno contro l’inquina­mento disinformativo e per la creazione di spazi di aria mentale pura».

Anche il tramonto dell’opinione pubblica descritto da Cass Sunstein e Jurgen Habermas potrebbe venire contrastato dalla nascita di nuovi media civici, che, molto meglio dei social egocentrici attuali, potranno agevolare forme di dialogo plura­listico per deliberare in merito al bene comune.

 

Infine, sempre l’ecologia della mente sembra ispirare un nuovo modo di progettare dispositivi e impieghi dell’intelligenza artificiale basati sul concetto di “embodiment”, vale a dire una visione del cervello non disgiunta dal corpo, in particolare delle sue componenti senso-motorie, fondamentali per i proces­si cognitivi.

 Da qui, per esempio, i progetti in via di definizione della cosiddetta robotica sociale, per impiegare i robot nella comprensione e cura dell’autismo e di altri disturbi cognitivi e comportamentali.

La grande promessa della robotica e dell’intelligenza artificiale è proprio quella di trasformare la tecnologia da potenziale acceleratore patologico a supporto essenziale per la cura delle malattie dell’anima”.

Molto interessanti le pagine dedicate alla prevenzione in particolare delle malattie dello sviluppo, cosiddette cronico degenerative (obesità, diabete, patologie cardiocircolatorie, tumori…), all’importanza dei fattori ambientali in senso lato (alimentazione, stili di vita, inquinamento…), all’epigenetica .

 

Anche se, a parere dello scrivente, si enfatizza il ruolo dell’alimentazione e degli stili di vita, rispetto a quello dell’inquinamento secondo la nota formula lanciata da un saggio pubblicato su “Teh Lancet” nel 2006, della “pandemia silenziosa”, indotta dai micro inquinati chimici ormai compenetrati in ogni matrice ambientale e quindi anche nell’organismo umano, perfino nel feto ancor prima della nascita. Certo, ragionando realisticamente sulle possibilità della prevenzione, una corretta alimentazione potrebbe essere più facilmente conseguibile, rispetto all’eliminazione degli inquinanti chimici dalla biosfera e dai sistemi produttivi. Quest’ultima ipotesi richiederebbe un cambio di paradigma e di sistema molto impegnativo.

 

Lo steso schema si ripropone a p. 105 dove ci si sofferma su alcuni recenti casi controversi a proposito della cancerogenicità di alcune sostanze e si fa l’esempio delle glifosate della Monsanto e della carne rossa insaccata.

Dopodiché si approfondisce solo il caso della carne rossa e si tralascia quello delle glifosate molto più spinoso su diversi versanti (contraddittorietà delle valutazioni scientifiche coinvolte in conflitti di interesse, colossali profitti della Monsanto, ora Bayer, minacciati da class action di risarcimenti veramente importanti).

 

Com’è evidente, si intendono affermare molte idee giuste senza travalicare un certo limite che gli autori sembra si siano concordemente assegnati.

 

Da segnalare il caso clamoroso della “rivoluzione verde” in agricoltura associata infelicemente, in termini di benefici per l’umanità, ai vaccini:

“Per quanto riguarda la rivoluzione verde lanciata dall’agronomo e premio Nobel americano Norman Borlaug negli anni Sessanta, la diffusione di varietà geneticamente selezionate di grano resistenti alle malattie ha consentito in Paesi come India, Pakistan e Messico un’elevata produttività, che ha sottratto al­la morte per fame centinaia di milioni di persone, forse persi­no un miliardo. Insomma, se consideriamo le vaccinazioni e la rivoluzione verde il saldo tra rischi e benefici è fortemente in attivo, un fatto che non dobbiamo dimenticare”.

 

Se per quanto riguarda i vaccini, in particolare per vaiolo, polio, difterite e morbillo, sembra assodato che dopo gli anni Sessanta-Settanta dello scorso secolo si siano “risparmiati milioni di casi …ogni anno, molti dei quali mortali”, francamente più controversa è la valutazione sulla cosiddetta “rivoluzione verde”.

Se si fosse trattato solo di “diffusione di varietà geneticamente selezionate di grano resistenti alle malattie”, il premio Nobel si sarebbe dovuto assegnare molto prima all’italiano Nazareno Strampelli, che negli anni Venti e Trenta seppe selezionare “sementi elette” ibridando e incrociando varietà diverse, con l’obiettivo di sconfiggere le tre principali calamità: la “ruggine bruna”, con sementi resistenti al fungo; l’allettamento, ovvero l’abbattimento al suolo causato dalle intemperie, riducendo l’altezza del frumento;

la “stretta”, ovvero un rattrappimento del chicco provocato in fase di maturazione dalla siccità estiva, ottenendo grani precoci, che permettevano anche di intercalare altre colture, prima della successiva semina, con un aumento della produttività naturale di circa il 30% (S. Salvi, L’uomo che voleva nutrire il mondo. I primi 150 anni di Nazareno Strampelli, Accademia georgica Treia, Treia-MC 2016).

Fu il vero artefice della “battaglia del grano”, purtroppo celebrata dal regime, che per questo gli avrebbe portato male per le sue possibilità di aspirare al Nobel, nonostante le sue apprezzate sementi avessero fatto il giro del mondo ed oggi siano celebrate dall’agricoltura biologica (famoso il grano “senatore Cappelli”).

Ma la “rivoluzione verde” fu ben altra cosa: ha certo sfamato buona parte dell’umanità, evitando, secondo alcuni studiosi, la terza guerra mondiale, ma ad un prezzo altissimo.

 Ed è curioso che un pool di scienziati di così alto livello ignorino che “l’incremento delle rese è stato possibile con la selezione di ibridi più adatti all’agricoltura meccanizzata e in grado di sfruttare al meglio i fertilizzanti.

Ciò ha portato alla necessità di utilizzare più petrolio per la produzione.

L’uso continuo dei fertilizzanti, inoltre, ha prodotto diversi problemi di inquinamento, che insieme all’eccessivo sfruttamento del suolo e alla riduzione delle falde acquifere, stanno minacciando vaste estensioni agricole diminuendo le rese” (treccani.it/enciclopedia/rivoluzione-verde_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/).

Insomma il nostro compito è oggi quello di liberarci dalle trappole della “rivoluzione verde”, tornare ai metodi di un’agricoltura naturale, quella di Nazareno Strampelli e dell’altro illustre italiano, pioniere della bioagricoltura, Alfonso Draghetti, (A. Berton, Alfonso Draghetti (1888-1960): le radici dimenticate (ma molto attuali) del movimento biologico in Italia, in “Altronovecento.Ambiente Tecnica Società”, n. 28, febbraio 2016.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=28&tipo_articolo=d_persone&id=131), ovviamente con l’aggiunta di tutta l’innovazione prodotta dalla buona ricerca e dalle buone pratiche in questi decenni.

 C’è da chiedersi, per tornare al testo che si sta commentando, se gli autori si siano accorti dell’autogol.

 Perché i casi sono due: o sanno che la “rivoluzione verde “ è un passato che va comunque superato, ma allora anche i vaccini lo sarebbero e dovrebbero dare ragione ai NoVax; oppure pensano che la “rivoluzione verde” sia il destino dell’agricoltura futura, magari rinforzata dagli Ogm, e che quindi l’abbandono dei fossili sia tutta una finzione.

Sarebbe interessante sapere come effettivamente la pensa in particolare chi ha in mano le redini della cosiddetta “transizione ecologica”.

A questo proposito un altro tema, molto scottante e di attualità, va segnalato: come, appunto, si intende o si può fuoriuscire dai fossili.

Si citano i casi dei piani energetici inglesi e tedeschi, constatando che “non sono molti i governi che stanno prendendo sul serio -cioè sistematicamente- i problemi energetici” .

 Quindi sempre sull’onda della complessità irriducibile di questi si fa notare che tendenzialmente chi è più avanti, come la Germania, “applica le soluzioni già esistenti (solare, eolico, maree) nella consapevolezza che nessuna di queste sia risolutiva, e anzi esse pongono problemi nuovi, come l’occupazione del suolo che compromette l’ambiente e le specie animali e vegetali”.

Ma anche di fronte a questo limite, l’unica ipotesi che viene presa in considerazione è quella del rilancio tecnologico, ovvero di continuare a utilizzare i fossili catturando l’anidride carbonica.

Di questa tecnologia, data come intrinsecamente sicura, vengono, però, giustamente evidenziati i limiti, perché le combustioni non provocano solo gas serra, ma anche smog inquinante dannoso alla salute.

 Osservazione da sottoscrivere e che dovrebbe consigliare comunque cautela nell’applicazione di questa tecnologia.

Ma attenzione, questi percorsi richiedono comunque tempi lunghi di attuazione. Ed ecco le conclusioni spiazzanti:

 “Il ragionamento fin qui svolto ci sembra coerente e convincente, ma ha un grave limite: può essere troppo tardi per metterlo in pratica.

Se è vero che il cambiamento climatico sta avanzando più rapidamente di quanto i modelli matematici avessero previsto, allora non basta più ridurre o azzerare le emissioni di CO2.

Può essere necessario un immediato e intensivo investimento tecnologico nell’assorbimento di COz, una sorta di «progetto Manhattan», o la rivalutazione di tecnologie cadute in disgrazia come il nucleare.

Se così è, si tratta dell’ulteriore prova del fatto che le soluzioni arrivano spesso troppo tardi – in questo caso portandoci sull’orlo di una catastrofe”.

 

Che dire?

Da un canto si lancia la sfida anche ai movimenti ambientalisti che troppo spesso si convincono di avere la soluzione, solo perché hanno le idee chiare su come si può da subito rendere autosufficiente con la sola energia solare un’abitazione civile, ma non hanno una minima idea, ad esempio, di come poter fare a meno del tutto dei fossili e nello stesso tempo continuare a godere di quel PC con cui elaborano i progetti (come alimentare il ciclo di vita e di funzionamento, input di materiali più o meno rari e output di rifiuti, della colossale componente dura, dal supporto personale a quelli regionali ed infine alle infrastrutture e impiantistiche globali).

 

Dall’altro, e questo è il buco nero di questo saggio, si prescinde dai limiti naturali della nostra presenza sul Pianeta.

Il punto più rilevante dell’epoca dei fossili è che questo enorme tesoro di materia ed energia, accumulatasi in milioni di anni, ci ha illuso di non avere più limiti alla nostra crescita economica, e quindi di poter espandere la tecno sfera a prescindere dalle capacità rigenerative della biosfera.

È vero che affidarsi interamente all’energia solare pone il problema degli spazi naturali, quelli rimasti da tutelare.

 Non solo per la salvaguardia della biodiversità, ma anche per poter alimentare tutti con un’agricoltura non più drogata dai fossili o, ad esempio, per poter produrre vegetali necessari alla biochimica, supposto che far a meno del tutto della plastica o di fibre sintetiche sembra molto difficile (si pensi solo al sistema sanitario…).

 

Questa è la stretta che non si vuole mettere a tema: che significa optare per una necessaria decrescita economica in particolare nei Paesi sviluppati, ma anche riprendere il problema demografico, come in solitudine continua a proporre Luca Mercalli. L’alternativa, occorre saperlo, è lo stoccaggio della CO2 ed il nucleare. Che sia Cingolani a ricordarcelo appare un tantino preoccupante.

 

In ogni caso qualche dubbio rimane che possa essere la tecnopolitica capace di risolvere i debiti secolari che ci angustiano.

 

 

 

Così diventiamo soldati involontari

nell’esercito delle Big Tech:

l’intervista ad Asma Mhalla.

L’intervista ad Asma Mhalla a cura di Eleonora Barbieri su “Il Giornale”.

 

Asma Mhalla, che cos’è la tecnopolitica del titolo?

È un concetto elaborato dagli studiosi occidentali al tempo delle Primavere arabe, quando i social media apparivano strumenti straordinari di emancipazione per la società.

 Ma è un concetto debole, che ho ridefinito, per dire che la tecnologia non riguarda la tecnica o gli strumenti, bensì la politica: la tecnologia è politica, prima di tutto.

 

Parla di un progetto di «Tecnologia totale». Che cosa significa?

Oggi esistono nuove forme di potere, collegate a quelle che chiamo Big Tech, o giganti tecnologici, alle piattaforme digitali e agli Stati e questo insieme ridefinisce i concetti stessi di sovranità, democrazia, stato di diritto…

Lo sperimentiamo coi nostri strumenti di uso quotidiano:

i “social media”, i dispositivi di” Ia”, le “piattaforme di e-commere” sono ormai piattaforme di pubblica utilità e non più solo strumenti;

il problema è che queste piattaforme sono private e appartengono ai giganti tecnologici, i quali perciò influenzano il modo in cui viviamo.

Come?

Il progetto di Tecnologia totale è l’idea che, attraverso queste tecnologie private, le Big tech stiano realizzando un’agenda politica e ideologica di controllo: controllo della politica stessa, del nostro futuro e del modo in cui funziona la democrazia.

E questo controllo è nelle mani di poche persone.

 

La Tecnologia totale può diventare totalitarismo?

Può diventarla.

 Dipende da chi la controlla, ed è proprio questo il grosso problema: tutti dipendiamo dall’agenda politica e ideologica dei proprietari di questi strumenti. Le loro aziende controllano i nostri dati e, perciò, le nostre vite. Lo vediamo anche con la situazione della democrazia negli Stati Uniti, con Musk e Trump.

 

Però Musk e Trump ci mettono anche di fronte alle debolezze del nostro sistema?

Assolutamente sì.

Nel mondo occidentale siamo soliti giudicare i regimi autoritari come fossero modelli lontanissimi dalle nostre democrazie liberali.

Ma ora, all’improvviso, ci siamo accorti che anche le nostre democrazie rischiano di essere trascinate nell’autoritarismo.

 Per l’Europa poi c’è un problema ulteriore, dovuto al fatto che siamo dipendenti dai sistemi tecnologici dei giganti americani: per questo siamo completamente fragili e aperti alle loro interferenze.

Nella sua visione, come funziona il sistema delle Big Tech?

Non si capisce la loro essenza se non comprendiamo che non sono solo aziende capitalistiche, bensì entità ideologiche e anche attori militari.

Si pensi in Ucraina a Starlink e Palantir

Le Big Tech sono entità politiche ibride.

E funzionano come un “trittico”, in cui la dimensione tecnologica è guidata da un modello economico e dalla politica, in modo interdipendente.

Lo vediamo con Musk, il quale non si limita a cercare nuove tecnologie bensì persegue una sua agenda ideologica, per realizzare la quale ha elaborato una certa struttura tecnologica – per esempio “X/Twitter “– in modo che essa porti a compimento la sua visione del mondo e, allo stesso tempo, gli permetta di fare soldi.

 È una interazione completa.

 

Gli algoritmi sono ideologici?

Lo sono.

 Gli algoritmi sono per forza di cose impregnati di pregiudizi, perché sono disegnati da esseri umani, i quali hanno sempre punti di vista, opinioni, propensioni, idee… Perciò gli algoritmi non possono essere neutrali, anzi: l’idea che la tecnologia sia neutrale è falsa e pericolosa.

 Detto ciò, all’interno di una certa agenda politica possiamo progettare gli algoritmi in modo che alcune idee emergano e siano più visibili, e altre vengano oscurate.

Perciò gli algoritmi sono prima di tutto politici, e poi tecnologici.

 

Così possono manipolare l’opinione pubblica?

La manipolano e la influenzano, ma non credo che esista una opinione pubblica, perché ormai ne esistono molte: la società è estremamente polarizzata.

 E ovviamente i social media influenzano il modo in cui l’informazione viene prodotta e, attraverso l’informazione, l’agenda politica;

in questo processo, gli algoritmi si comportano come editori, scegliendo quali informazioni dare e quali tenere più nascoste

Il risultato è che non abbiamo pieno accesso alla realtà.

Lo abbiamo mai avuto?

La differenza enorme, rispetto ai media tradizionali, è nella dimensione del fenomeno;

nell’approccio, che non è più dall’alto al basso bensì ibrido, poiché tutti possono produrre contenuti;

infine, nel fatto che i proprietari delle Big Tech possano anche influenzare il modo in cui l’algoritmo pubblica il contenuto.

Perciò rischiamo di diventare «soldati»?

Sì.

La “iper tecnologia”, che disegna la cornice delle nostre vite, è duplice: civile e militare.

Lo vediamo con “ChatGpt”, che può essere utilizzata per svago o per lavoro, ma anche sul campo di battaglia.

 O con i social, che sono una forma di intrattenimento ma diventano un’arma nella cosiddetta “info war,” che serve per interferire all’interno dei Paesi o in momenti di conflitto, come strumento di propaganda: perciò la chiamiamo guerra ibrida.

 

È il caso di TikTok, il social cinese così diffuso fra i giovani occidentali?

Certamente, anche TikTok è diventato un’arma elettorale.

Durante la presidenza Biden, il direttore dell’Fbi ha detto che probabilmente TikTok è uno strumento di cyberspionaggio, ma di non averne le prove.

Eppure, proprio nel gennaio scorso, Trump ha detto di essere contento di TikTok, perché gli consente di raggiungere la platea dei giovani americani:

quindi TikTok, in quanto cinese, è allo stesso tempo l’incubo dell’Occidente, ma anche uno strumento potentissimo di reclutamento.

E questa piccola storia è emblematica del dilemma dei social media: si trovano sempre in una zona grigia.

 

Però questa duplicità dei media e la propaganda non sono sempre esistite?

Certo, ma la specificità di questo doppio uso dell’iper tecnologia è che tutti la utilizziamo, perché si trova nelle nostre tasche:

 il punto di contatto è il “nostro smartphone”, attraverso il quale possiamo diventare dei soldati inconsapevoli, esposti alla guerra ibrida, alla propaganda e alla manipolazione delle informazioni.

Forse anche le nostre attività cerebrali finiranno per essere monitorate.

I vecchi concetti e le vecchie frontiere diventano liquidi:

sono avvolti in una nebbia nella quale ciascuno di noi diventa un bersaglio. Dobbiamo esserne consapevoli.

 

È quella l’inquietante «guerra cognitiva», in cui il nostro cervello è il terreno di battaglia finale?

L’info war è condotta per manipolare le informazioni e il loro contenuto, ma anche per manipolare il modo stesso in cui interpretiamo e consumiamo questi contenuti. È una tecnica sottile.

L’abitudine di scrollare per ore sullo smartphone è parte della manipolazione cognitiva, perché spinge in uno stato ipnotico, in cui si diventa vulnerabili e si può accettare qualunque messaggio.

L’obiettivo finale qual è?

Non il singolo, non il fatto che una persona sia d’accordo con il messaggio stesso, bensì il caos globale: che si dubiti di tutto.

Come diceva Hannah Arendt, se tutti dubitano di tutto, puoi far fare loro ciò che vuoi.

 È una forma sofisticata di manipolazione.

 

Come possiamo sopravvivere in questa guerra?

Primo punto: la consapevolezza.

Secondo: educhiamo i nostri algoritmi, con le nostre ricerche.

Terzo: un’igiene cognitiva, come la doccia e lo shampoo al mattino, una guida al consumo su internet.

La democrazia sopravviverà?

Dipende da noi, collettivamente.

Da quale società vogliamo costruire.

 I partiti progressisti sono debolissimi perché non hanno una visione del mondo;

quelli di estrema destra invece sono audaci nella loro visione, e i loro discorsi del resto sono molto popolari, perché in effetti siamo in crisi.

 Perciò dobbiamo costruire una narrazione alternativa:

 se i politici non si impegnano in questo senso, probabilmente perderemo.

Lo pensa davvero?

È logico.

 I governi devono davvero impegnarsi, non pensare alla piccola politica, alle elezioni imminenti, alla carriera…

Dobbiamo pensare in grande e essere ambiziosi e costruire una narrazione e una strategia coraggiose, anche in economia. Dov’è forte l’Europa, a livello di industrie? Nessuno lo sa. Va costruito tutto questo.

Se invece l’Europa continua a offrire solo parole vuote, perderemo.

(addeditore.it/catalogo/asma-mhalla-tecnopolitica/).

 

 

 

 

“Tecnopolitica”, come la tecnologia

 militarizza la democrazia e le coscienze.

 Micromega.net - Simone Zoppellaro – (22 Maggio 2025) – ci dice:

 

 

La guerra si combatte anche con dati, piattaforme e Intelligenza Artificiale.

 Il saggio di “Asma Mhalla” ci invita non solo a comprenderlo ma anche a resistere attraverso immaginazione e speranza.

 

“Tecnopolitica”, come la tecnologia militarizza la democrazia e le coscienze.

I mutamenti rapidi e convulsi degli ultimi anni hanno lasciato tutti noi in un perpetuo arrancare, un’inadeguatezza rispetto al nostro tempo e alle sue sfide che si apre di fronte a noi come una voragine.

Viene in mente il filosofo “Günther Anders”, che già nel secondo dopoguerra parlava di una “obsolescenza dell’umano,” di un “dislivello prometeico” sempre più incolmabile fra l’uomo e le sue tecnologie, potenti e distruttive.

 La svolta in politica estera di Trump, che ha colto impreparata l’Europa, ha poi fatto cadere un’ennesima illusione, denunciando tutta la nostra impreparazione – che si vede tanto nei media che nell’accademia, nella politica come nell’economia – di fronte a una sfera digitale minacciosa, dalla quale non siamo però in grado di affrancarci.

 

Un libro recente, opera della politologa franco-tunisina “Asma Mhalla”, propone un approccio originale per decifrare il presente, partendo dall’idea di tecnopolitica:

“una disciplina trasversale,” scrive l’autrice, “che incrocia economia e diritto, filosofia e teoria politica, relazioni internazionali e storia, cyber e tecnologia”.

 Il volume (Tecnopolitica: Come la tecnologia ci rende soldati, add editore, 2025) ha il pregio non trascurabile di tentare una nuova lettura del rapporto sempre più problematico, e a tratti indecifrabile, fra politica e nuove tecnologie, partendo – cosa non scontata – da una conoscenza niente affatto superficiale di quest’ultime.

Il tutto con il fine, come scrive Mhalla, di “proporre chiavi di lettura e punti di riferimento per non perdersi nella nebbia che ci avvolge, per ragionare invece di avere paura”.

 

Il risultato è un libro che, pur nel suo impianto solido, si distingue per una serie di guizzi e lampi che squarciano il buio di fronte e dentro di noi.

 Perché, ragiona Mhalla, quello che ci manca soprattutto, prima ancora del pensiero, oggi è un oggetto, una realtà univoca sulla quale poter ragionare:

“La tecnologia ipermoderna non polarizza soltanto gli individui e le società, ma soprattutto la percezione del mondo, frammentando la realtà.

Diffrange l’unicità del tempo, struttura e separa scene di un presente più vicino al Medioevo che alla nostra iper modernità e immagini che sembrano uscite direttamente da un futuro fantascientifico.

 Ma tra questi due cardini temporali, dove si colloca il presente in cui viviamo?

 Una parte del nostro disagio, delle nostre resistenze e paure molto probabilmente viene da questa frammentazione spaziotemporale.

 Uno spazio-tempo spezzato in due, due dimensioni che non si incrociano più”.

In questa situazione in cui, come abbiamo visto nei conflitti degli ultimi anni, sfumano i confini, oltre che fra reale e virtuale, fra sfera civile e militare, tutte e tutti noi ci riduciamo a pedine di un gioco oscuro, in un mondo in cui la vita di ognuno somiglia sempre di più alla linea di un fronte, anche quando meno ce ne accorgiamo.

 

“Le tecnologie civili sono tali solo in apparenza, perché in realtà si rivelano permeabili alle ingerenze e alle manipolazioni personalizzate di massa, accessibili a tutti, in grado di creare dipendenza, diventando potenziali armi di guerra nelle nostre tasche in comunicazione diretta con i punti deboli del nostro cervello, il campo di battaglia finale.

In sintesi, la tecnologia sta militarizzando le democrazie, a nostra insaputa, senza che siamo in grado di misurare l’ampiezza della deflagrazione.

 Ogni cittadino diventa il bersaglio di una minaccia multiforme, soldato passivo, suo malgrado, senza capire cosa lo abbia davvero reso un anello debole, la porta d’ingresso del nemico, la sua cinghia di trasmissione tra Stati”.

Di grande interesse anche le riflessioni che Mhalla sviluppa riguardo al linguaggio:

“Contrariamente alla vulgata popolare ereditata da 1984, la “Tecnologia Totale “non ha lo scopo di «ridurre la lingua all’osso» per «distruggere la possibilità stessa del pensiero crimine», obiettivo del ministero della “Verità orwelliano”, ma ha bisogno che produciamo pensiero, chiacchiere virtuali in abbondanza, all’infinito.

Pseudo pensieri che magari ci affretteremo a far conoscere, è questo che conta. Questi micro pensieri sono tutti dati monetizzabili, manipolabili da Big Tech e Big State.

Ciò che crediamo di pensare non conta più di tanto.

 Il nostro pensiero, diluito, neutralizzato nella massa, diventa un simulacro di pensiero”.

E ancora:

“La parola è ciò che permette lo scambio, la discussione, il dibattito, talvolta il dissenso; è il contrario della violenza.

La parola è la condizione essenziale della democrazia.

 Oggi, però, è polarizzata dai meccanismi di viralità algoritmica, scimmiottata dalle ultime generazioni di intelligenze artificiali generative, militarizzata dalle guerre d’informazione e cognitive che infuriano sui social network e altrove.

 La parola viene ottimizzata dall’iper personalizzazione di massa dei contenuti ai quali l’individuo – o piuttosto il «dividuo» deleuziano – è esposto:

l’algoritmo mette in evidenza i contenuti che possono catturare la nostra attenzione davanti allo schermo. L

’industrializzazione del micro targeting dei contenuti e dell’informazione fa parte dell’infrastruttura tecnologica potenziata dall’intelligenza artificiale.

 L’architettura tecnica delle attuali infrastrutture informative sistemiche porta avanti il lavoro di depoliticizzazione.

In maniera subdola sgretola il modello democratico liberale, favorendo in particolare la militarizzazione delle infrastrutture civili”.

Assai importante anche il capitolo che Mhalla dedica al “concetto di guerra cognitiva”, ovvero una situazione in cui, come scrive l’autrice, “ogni cervello diventa una roccaforte da conquistare,” poiché “il controllo della cognizione sarà al centro delle battaglie future”.

 Una “militarizzazione delle menti, che implica la militarizzazione della democrazia,” che è già qui e rappresenta il pane quotidiano, amaro e indigeribile, di cui ci nutriamo.

 

Dal giornalismo alla scuola, dai social media fino ai meccanismi stessi alla base della democrazia, Mhalla si interroga, avanzando proposte concrete, su quali possano essere le risposte all’emergenza (o, per meglio dire, alla poli- crisi in atto) del presente, per opporsi a una deriva autoritaria che sembra per molti aspetti ineluttabile.

Pragmatica e lontana da un certo neo luddismo che sta conoscendo una rifioritura intellettuale oltreoceano, testimoniata da opere brillanti come “Blood in the Machine: The Origins of the Rebellion Against Big Tech” di Brian Merchant, l’autrice imbocca la direzione più giusta per uscire dal vicolo cieco odierno:

quella dell’immaginazione.

 Solo quest’ultimo spazio incorrotto, se sapremo farne buon uso, ci potrà salvare dalla morsa soffocante di tecno-sorveglianza e geopolitica di un presente dominato dalla violenza.

 Perché, e non a caso è la parola con cui si conclude il volume, nonostante tutto, oggi è fondamentale sperare.

(Simone Zoppellaro).

 

 

 

 

Alla base dell’Intelligenza Artificiale.

La nascita dell’idea di intelligenza artificiale

Anitee-assinformat.it - Dario Monici - Raoul Alfredo Rocher – (15 giugno 2023) ci dicono:

L’uomo ha da sempre voluto ampliare le proprie capacità intellettive e cercato di replicarle in maniera meccanica per automatizzare alcune operazioni semplici o ripetitive come il riconoscimento di immagini, il miglioramento di processi di business o IT o la traduzione linguistica.

 

Da questa esigenza nasce l’intelligenza artificiale o intelligenza aumentata che è da intendersi come quella capacità dei calcolatori informatici di riprodurre attività simili a quelle dell’intelligenza umana.

L'Intelligenza Artificiale è un’innovazione tecnologica relativamente recente risalente alla fine degli anni Sessanta del novecento a partire dalle prime teorie di reti neurali grazie alle quali fu concepito il “percettore” (prima rete neurale con input, un neurone e l’output).

 

Qualche anno dopo ci fu l’importante distinzione tra:

A.I. forte:

Il sistema informatico non è soltanto uno software in grado di risolvere problemi specifici ma, se programmata in maniera opportuna, diventa un sistema in grado di svolgere attività e risolvere problemi simulando l’intelletto umano.

A.I. debole:

 sistemi informatici che risolvono problematiche relativamente complesse, ma all’interno di un perimetro ben specifico e ben definito.

Queste tecniche non hanno trovato applicazione di business fino agli anni Settanta del novecento, quando sono stati sviluppati sistemi informatici con capacità computazionali abbastanza potenti da poterle utilizzare in applicazioni concrete.

Negli anni Ottanta, tra le prime e più tipiche applicazioni dell’A.I. in ambito industriale, vi è sicuramente la sua integrazione all’interno di strumenti di ERP (Enterprise Resource Planning) e CRM (Customer Relationship Management).

 

 L’intelligenza artificiale oggi: tecnologie e applicazioni.

Oggi l’intelligenza artificiale si è diffusa in molte attività quotidiane in diversi ambiti tra cui la logistica, la produzione industriale e l’ottimizzazione di processi aziendali e di business, di conseguenza ha contribuito allo sviluppo di tecnologie come la robotica, la guida autonoma, il “Machine Learning” e per ultima, anche l’innovativa tecnologia del “Generative A.I”.

 

Il Machine learning, è un sottogruppo dell’A.I. che permette di addestrare funzioni matematiche e statistiche attraverso la fruizione di dati storici forniti in input.

Queste stesse funzioni, dette algoritmi, hanno lo scopo di imparare dai dati storici, dei pattern ricorrenti, invisibili all’occhio umano, e di adattarsi alle situazioni già affrontate in passato per generare l’output corretto al ripresentarsi delle medesime situazioni note.

 

Un esempio è la creazione di un modello matematico di regressione che preveda il valore futuro o il costo di un asset.

I dati storici, in input, saranno costituiti da alcune caratteristiche del prodotto quali dimensione, peso, colore, ecc. e altre caratteristiche più legate al business del prodotto come il numero di vendite, il costo di produzione, ecc…

A questi dati verrà inoltre associata una variabile di previsione che sarà il costo dello specifico prodotto.

 Il modello supervisionato di regressione sarà dunque in grado di trovare pattern nascosti nei dati storici forniti in input e di capire come tali dati influenzino la variabile di previsione (costo dello specifico prodotto).

L’utilizzo del modello in produzione permetterà di prevedere, sulla base della similarità, il costo di un nuovo prodotto.

Un'altra area importante dell’intelligenza artificiale è quella del “Deep learning” che ha preso spunto, per il suo sviluppo, dalla struttura del cervello biologico umano.

 Tale tecnologia utilizza modelli di reti neurali (Di diverse dimensioni e tipologie), che richiedono enormi quantità di dati per l’addestramento.

Lo scopo delle reti neurali è quello di elaborare e processare le informazioni ricevute in ingresso proponendo diversi tipi di output.

 Le applicazioni più comuni del deep learning sono l’”image “e lo “speech ricognizioni” e la “traduzione di testi”.

 

L'intelligenza artificiale generativa trova invece spazio a fianco del machine learning e del deep learning, sempre sotto il grande cappello dell’intelligenza artificiale.

Gli algoritmi di questa branca possono essere utilizzati per creare nuovi contenuti, tra cui audio, codice, immagini, testo e video.

 Le innovazioni degli ultimi anni in questo ambito hanno il potenziale per cambiare l’approccio alla creazione di contenuti. 

Fino a poco tempo fa, l'apprendimento automatico si limitava ad apprendere come identificare un oggetto all’interno di un’immagine e classificarlo correttamente. L'intelligenza artificiale generativa è ora in grado di creare un'immagine partendo da una richiesta dell’utente scritta in linguaggio naturale.

Tra le più diffuse tecnologie alla base del Generative A.I. ritroviamo le GAN (Generative Avversaria Network), i transformers (es. GPT 4 e La MDA) e i variazionali auto-encoders.

 

Le aziende e le organizzazioni potrebbero personalizzare un modello di A.I. generativa affiancando tecnologie più mature e pronte per adattarlo alle proprie esigenze di business.

Le aziende dovrebbero anche mantenere una figura di supervisione umana in tutto il ciclo di training e, soprattutto, prima di pubblicare i risultati di un A.I. generativa.

Una cosa è certa, almeno per i prossimi anni, è importante non demandare ai modelli di A.I. generativa decisioni critiche, come quelle che coinvolgono risorse significative, decisioni di business o il benessere delle persone umane.

 

 

 

 

 

Cosa cambierà davvero il mondo:

la svolta nucleare della Cina.

  Unz.com - Hua Bin – (19 aprile 2025) ci dice:

 

La Cina ha reso operativo il primo reattore nucleare al torio al mondo.

Mentre il mondo è incantato dal dramma della guerra tariffaria a zig zag lanciato dalla star dei reality “Donne Trump” e la gente si meraviglia della pura distruttività di un pazzo stupido, in Cina si è appena verificato un evento davvero epocale.

 

All'inizio di aprile, gli scienziati cinesi hanno raggiunto un traguardo importante nella tecnologia dell'energia pulita, aggiungendo con successo combustibile fresco a un reattore a sali fusi di torio già operativo, il primo del suo genere al mondo. Questa svolta segna l'arrivo di un reattore nucleare al torio commercialmente sostenibile nel futuro mix energetico della Cina.

 

Il torio è un'alternativa molto più sicura e abbondante all'uranio per l'energia nucleare, perché è ampiamente disponibile, è più economico da estrarre, ha una maggiore densità energetica e produce molte meno scorie nucleari di lunga durata.

È molto più sicuro dell'uranio perché non è fissile di per sé, quindi non può essere trasformato in un'arma.

Gli esperti del settore nucleare considerano il torio il” Santo Graal “per la futura rivoluzione energetica, accanto alla fusione nucleare, di cui parlerò brevemente alla fine.

 

Il torio si trova in abbondanza nella crosta terrestre in tutto il mondo.

Una sola miniera nella Mongolia Interna cinese, la miniera di “Bayan Obo”, possiede depositi di torio sufficienti a soddisfare teoricamente il fabbisogno energetico della Cina per i prossimi 20.000 anni, producendo al contempo una quantità minima di scorie radioattive.

La direzione tecnologica più promettente è l'utilizzo del torio nei reattori a sali fusi. Mentre diverse nazioni stanno sviluppando questa tecnologia, la Cina è la prima ad aver costruito un reattore sperimentale a sali fusi di torio.

L'ultima scoperta volta ad aggiungere combustibile fresco a un reattore operativo indica che tale tecnologia è pronta per un impiego commerciale duraturo. Si tratta del primo utilizzo stabile e a lungo termine di questa tecnologia, che pone la Cina in prima linea nella corsa mondiale allo sfruttamento del torio per l'energia nucleare.

Il reattore sperimentale, situato nel deserto del Gobi, nella Cina occidentale, utilizza sali fusi come combustibile e refrigerante, e il torio come fonte di combustibile.

Il reattore è progettato per generare in modo sostenibile 2 megawatt di potenza termica.

Lo sviluppo è stato annunciato l'8 aprile dal capo scienziato del progetto,” Xu Hongjie”, presso l'Accademia cinese delle scienze.

“ Xu” ha affermato che la Cina "ora è all'avanguardia a livello mondiale nella tecnologia nucleare al torio".

 

Il progetto cinese del reattore a sali fusi di torio è iniziato con la ricerca teorica negli anni '70 e nel 2009 la dirigenza della CAS ha incaricato” Xu “di rendere realtà la tecnologia dell'energia nucleare di nuova generazione.

Nel giro di due anni il team del progetto è cresciuto, passando da decine di membri a più di 400 ricercatori.

 

"Abbiamo imparato facendo e abbiamo fatto imparando", ha detto “Xu”. Le sfide erano immense: progettare nuovi materiali, risolvere problemi a temperature estreme e gestire componenti ingegneristici mai costruiti prima.

Dopo l'inizio della costruzione del reattore sperimentale nel 2018, la maggior parte degli scienziati coinvolti nel progetto ha rinunciato alle ferie:

hanno lavorato giorno e notte e alcuni sono rimasti in loco per più di 300 giorni all'anno.

Il deserto del Gobi dista migliaia di chilometri dalle principali città costiere.

Entro ottobre 2023 è stato costruito e ha raggiunto la critica: una reazione nucleare a catena sostenuta. Ed entro giugno 2024 aveva raggiunto il funzionamento a piena potenza.

All'inizio di quest'anno il processo di ricarica del combustibile al torio è stato completato mentre il reattore era in funzione, rendendolo l'unico reattore al torio operativo al mondo.

 

"Abbiamo scelto la strada più difficile, ma quella giusta", ha detto “Xu”, riferendosi alla spinta verso un'applicazione nel mondo reale piuttosto che una ricerca puramente accademica.

Un reattore a sali fusi al torio molto più grande è già in costruzione in Cina e si prevede che raggiungerà la critica entro il 2030.

 Quel reattore di ricerca è progettato per produrre 10 megawatt di elettricità, sufficienti per alimentare 10.000 case per un anno.

 

L'industria cantieristica statale cinese ha anche svelato un progetto per una nave portacontainer alimentata a torio che potrebbe potenzialmente raggiungere il trasporto marittimo senza emissioni.

Nel frattempo, gli sforzi degli Stati Uniti per sviluppare un reattore a sali fusi rimangono sulla carta, nonostante il sostegno bipartisan del Congresso e le iniziative del Dipartimento dell'Energia.

“Xu” ha detto:

 "Nel gioco nucleare, non ci sono vittorie rapide. Devi avere una resistenza strategica, concentrarti sul fare solo una cosa per 20, 30 anni".

 

Oltre ai reattori al torio, la Cina è all'avanguardia nello sviluppo della tecnologia di fusione nucleare (al contrario dell'attuale tecnologia di fissione) che potrebbe portare un'energia pulita e priva di carbonio, quasi illimitata.

La fusione è il modo in cui il sole si autoalimenta e genera 4 volte la quantità di energia della fissione.

Al centro di questa rivoluzione della fusione c'è il “tokamak”, un dispositivo a forma di ciambella progettato per contenere plasma surriscaldato utilizzando potenti campi magnetici. Imitando le condizioni del sole, dove gli atomi di idrogeno si fondono in elio, i tokamak consentono il rilascio di enormi quantità di energia.

 

La Cina è all'avanguardia nello sviluppo globale della fusione nucleare. Più recentemente, ha raggiunto diversi traguardi chiave nella ricerca sulla fusione, tra cui:

 

– Il “Tokamak “superconduttore sperimentale avanzato (EAST), soprannominato "sole artificiale" in Cina, ha stabilito un nuovo record nel gennaio 2025.ù

 Il progetto ha sede a “Hefei” ed è gestito dalla “China Academy of Sciences” (CAS), il principale istituto di ricerca scientifica al mondo.

EAST ha mantenuto un plasma ad alto confinamento per 1.066 secondi, superando il precedente record mondiale di 403 secondi:

un passo fondamentale verso reazioni di fusione sostenute necessarie per la generazione pratica di energia.

 

– Il “Tokamak HL-2M”, situato a “Chengdu”, è il più grande e avanzato della Cina. Ha raggiunto la prima scarica di plasma e parametri di plasma elevati, in grado di produrre temperature di plasma superiori a 200 milioni di gradi Celsius e correnti di plasma superiori a 2,5 milioni di ampere, essenziali per reazioni di fusione efficienti.

 

– Il “Tokamak HH70”, sviluppato dall'azienda privata “Energy Singularity” con sede a Shanghai, si distingue per l'integrazione di magneti superconduttori ad alta temperatura realizzati in REBCO (ossido di rame, bario e terre rare).

Questa tecnologia all'avanguardia riduce drasticamente le dimensioni e i costi dei tokamak convenzionali, aprendo la strada a un'energia da fusione più accessibile e commerciale.

 

“Energy Singularity” prevede di costruire un tokamak di nuova generazione entro il 2027 e un dimostratore tecnologico su vasta scala per la reazione nucleare di fusione entro il 2030.

Sebbene la fattibilità commerciale rimanga l'ultima frontiera, innovazioni come EAST e HH70 dimostrano i significativi progressi compiuti verso la trasformazione della fusione nucleare in una soluzione energetica pratica.

A parte tutte le chiacchiere su dazi e guerre commerciali, la tecnologia è in definitiva la via per lo sviluppo e la prosperità umana.

Continuiamo a guardare avanti.

 

 

 

In che modo gli assistenti “AI” suggeriscono

di affrontare il bullismo tariffario di Trump.

Unz.com – Hua Bin – (30 aprile 2025) – ci dice:

 

Domande e risposte con “DeepSeek”, “Grok” e “ChatG”.

È stato ampiamente riferito che il regime di Trump ha utilizzato ChatGPT per aiutare a elaborare le tariffe per gli oltre 180 paesi per bilanciare il deficit commerciale degli Stati Uniti.

 Anche se ho il mio dubbio che qualsiasi assistente AI sarebbe così "non intelligente" da suggerire di tassare le isole Heard e McDonald, ho pensato che sarebbe stato interessante chiedere all'IA come rispondere al bullismo tariffario di Trump.

 

Ho posto tre domande a DeepSeek, Grok e ChatGPT ciascuno:

– Come affrontare il bullismo tariffario di Trump.

– Qual è la conseguenza del non tenergli testa.

– Come dovrebbe rispondere la Cina.

 

Di seguito sono riportate le risposte di ciascun assistente AI alla lettera, tranne per il fatto che ho dovuto abbreviare alcune risposte per soddisfare il requisito di lunghezza dell'”e-mail Substack”.

Ognuno risponde da una prospettiva leggermente diversa.

 Tuttavia, non un solo assistente di intelligenza artificiale ha suggerito ai paesi di soccombere e accettare i dazi di Trump senza combattere.

Ancora più interessante, Pechino sembra seguire un copione suggerito dall'intelligenza artificiale su come rispondere.

Chiaramente ci sono due modi per utilizzare l'intelligenza artificiale:

in modo intelligente e stupido.

 Lascerò che siate voi a decidere chi lo sta facendo in modo intelligente e l'altro in modo stupido.

Avviso spoiler: Trump ha ovviamente dimenticato di porre la domanda più importante al suo modello di intelligenza artificiale:

 dovrei lanciare una guerra tariffaria a tutto campo contro tutti?

A proposito, quando ho chiesto a “ChatGPT,” l'”assistente “”AI ha completamente negato di avere nulla a che fare con il calcolo "reciproco" delle tariffe del regime di Trump, suggerendo che sarebbe stato un insulto alla sua intelligenza.)

Una nota a margine: “Grok” sembra avere un pregiudizio pro-Trump più forte nella sua analisi, sollevando qualche dubbio sulla neutralità politica del suo algoritmo.

Domanda 1: come affrontare il bullismo tariffario di Trump.

Risposta 1 di DeepSeek.

 

Affrontare il bullismo tariffario di Trump richiede una combinazione di misure economiche strategiche, impegno diplomatico e cooperazione multilaterale. Di seguito sono riportati alcuni approcci chiave:

1. Vendica con precisione.

Imporre tariffe mirate su beni statunitensi politicamente sensibili (ad esempio, prodotti agricoli, automobili o fattori produttivi industriali chiave) per fare pressione sulla base elettorale di Trump.

Utilizzare la ritorsione asimmetrica: concentrarsi sui settori in cui gli Stati Uniti sono vulnerabili, riducendo al minimo i danni economici interni.

2. Rafforzare la resilienza interna.

Diversificare le catene di approvvigionamento lontano dalla dipendenza dagli Stati Uniti, aumentando la produzione interna o l'approvvigionamento da mercati alternativi.

Sostenere le industrie interessate con sussidi, agevolazioni fiscali o incentivi all'esportazione per mitigare l'impatto delle tariffe.

3. Sfruttare le alleanze internazionali.

 

Formare coalizioni con altre nazioni colpite dai dazi statunitensi (ad esempio, UE, Canada, Messico) per presentare un fronte unito.

Sfidare i dazi dell'OMC per delegittimare le politiche protezionistiche di Trump e imporre pressioni legali.

4.Negoziare strategicamente.

Impegnarsi in colloqui diretti mantenendo la leva finanziaria: offrire concessioni solo se gli Stati Uniti ritirano le tariffe.

Sfruttare le divisioni all'interno degli Stati Uniti (ad esempio, la pressione delle lobby imprenditoriali, l'opposizione bipartisan alle guerre commerciali).

5.Contromisure economiche.

Svalutare la valuta (se applicabile) per compensare i costi tariffari e mantenere la competitività delle esportazioni.

Aumentare il commercio con i mercati non statunitensi (ad esempio, RCEP, ASEAN, Africa) per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.

6.Strategie a lungo termine.

Accelerare l'autosufficienza tecnologica (ad esempio, l'indipendenza dei semiconduttori) per ridurre la leva finanziaria degli Stati Uniti.

Trasformare l'interdipendenza economica in un'arma, limitando le esportazioni critiche (ad esempio, minerali di terre rare) se necessario.

Considerazioni chiave:

Evita un'escalation che danneggia la tua economia più degli Stati Uniti.

U.S.A la propaganda e le narrazioni per inquadrare i dazi di Trump come dannosi per il commercio globale.

Prepararsi a un conflitto prolungato.

Risposta 1 di Grok.

Affrontare le politiche tariffarie di Donald Trump, che sono state presentate come aggressive e di vasta portata, richiede un approccio strategico che consideri le dimensioni economiche, diplomatiche e legali.

Di seguito sono riportate diverse strategie per individui, aziende, governi e altre parti interessate per navigare o rispondere a queste tariffe, in base al contesto delle politiche di Trump come delineato in recenti analisi commerciali.

Queste strategie mirano a mitigare gli impatti negativi, sfruttare le opportunità o contrastare quello che alcuni percepiscono come "bullismo tariffario".

1. Per i governi e i partner commerciali.

I governi che affrontano i dazi di Trump possono adottare strategie diplomatiche, economiche e cooperative per ridurre al minimo le interruzioni e proteggere gli interessi nazionali.

Impegnarsi nella diplomazia e nella negoziazione.

Molti paesi hanno già cercato accordi commerciali per mitigare l'impatto dei dazi. Ad esempio, oltre 75 paesi hanno contattato gli Stati Uniti per discutere di nuovi accordi commerciali in seguito agli annunci tariffari di Trump.

Evitare ritorsioni per prevenire l'escalation.

 Le tariffe di ritorsione possono portare a un'escalation, come si è visto con le tariffe cinesi del 125% in risposta alle tariffe statunitensi fino al 145%, intensificando la guerra commerciale. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti Bessant ha messo in guardia contro le ritorsioni, suggerendo che potrebbe portare a misure più severe.

Unfronte unito può esercitare una maggiore pressione sugli Stati Uniti affinché riconsiderino i dazi. Il ministro dell'Economia tedesco ha suggerito che un approccio europeo coeso potrebbe costringere Trump ad adeguare le politiche.

Coordinamento Sud-Sud :

come suggerito da un post di X, i paesi del Sud del mondo potrebbero coordinarsi per contrastare le richieste degli Stati Uniti, come il mantenimento delle politiche industriali o la resistenza alla svalutazione della moneta.

Diversificare i partner commerciali

 Ridurre la dipendenza dal mercato statunitense può mitigare l'impatto dei dati. La Cina ha aumentato il commercio con l'UE, il Messico e il Vietnam per compensare gli effetti tariffari degli Stati Uniti.

Azione :

Rafforzare i legami commerciali con paesi non statunitensi attraverso accordi di libero scambio o blocchi regionali (ad esempio, RCEP, CPTPP).

 Il Messico e il Canada potrebbero sfruttare le esenzioni dell'USMCA per mantenere le esportazioni competitive.

 

Le cause legali contro l'uso da parte di Trump dell'”International Emergency Economic Powers Act” (IEEPA) stanno guadagnando terreno, sostenendo che le tariffe mancano di una legittima base di "emergenza".

2. Per le aziende.

Le aziende, in particolare quelle che dipendono dalle interazioni o dalle esportazioni, devono affrontare costi più elevati e pause della catena di approvvigionamento a causa dei dazi. Ecco come adattarsi:

Rivalutare le catene

di approvvigionamento.

 Le tariffe aumentano il costo delle merci importate, con gli importatori statunitensi che pagheranno circa 1.300 dollari per famiglia nel 2025. Le piccole imprese, come l'azienda di gadget da cucina Suvie, si stanno affrettando ad adeguare le catene di approvvigionamento.

Azione:

approvvigionarsi di materiali da paesi con dazi doganali più bassi o nulli (ad esempio, i prodotti conformi allo USMCA provenienti da Canada e Messico sono esenti).

Valutare i fornitori nazionali per evitare i dazi all'importazione, in linea con l'obiettivo di Trump di delocalizzare la produzione.

Esempio:

 le case automobilistiche sono state lente a riorientare le catene di fornitura a causa dell'incertezza politica, quindi la diversificazione proattiva è fondamentale.

Trasferire strategicamente i costi ai consumatori.

I dazi spesso aumentano i prezzi (ad esempio, un prodotto da 10 dollari con un dazio del 10% diventa di 11 dollari). Le aziende devono decidere se assorbire i costi o trasferirli ai consumatori.

Esenzioni e scappatoie da leva finanziaria.

I dazi di Trump includono esenzioni per determinati beni (ad esempio, semiconduttori, prodotti farmaceutici e prodotti conformi allo standard USMCA). L'esenzione “de minimis” per i prodotti cinesi di valore inferiore a 800 dollari termina il 2 maggio 2025, ma le esenzioni per l'elettronica sono state retrodatate al 5 aprile.

Esempio:

Tesla, Nvidia e Apple hanno beneficiato delle esenzioni sui prodotti elettronici, contribuendo alla ripresa del mercato azionario.

Investire in flessibilità e analisi.

La natura imprevedibile della politica tariffaria di Trump (ad esempio, l'annuncio di tariffe elevate e la loro successiva sospensione) crea incertezza.

Suggerimento:

proteggetevi dalle fluttuazioni valutarie, poiché le valute indebolite (ad esempio il peso messicano e lo yuan cinese) possono compensare i costi tariffari.

Fai lobbying o unisciti alle cause legali.

Sebbene la Camera di commercio degli Stati Uniti non si sia unita alle cause legali, le singole aziende possono sostenere gli sforzi legali per contestare le tariffe.

3. Per individui e consumatori.

I consumatori si trovano ad affrontare prezzi più elevati e incertezza economica a causa dei dazi.

Ecco alcuni modi per affrontarli:

Le tariffe potrebbero costare alle famiglie statunitensi 5.200 dollari all'anno, con le famiglie a reddito medio che dovranno affrontare una perdita di 58.000 dollari nel corso della vita.

 

Le tariffe di Trump mirano a rilanciare la produzione statunitense, ma le piccole imprese sono vulnerabili all'aumento dei costi.

La disapprovazione pubblica nei confronti delle tariffe di Trump è significativa, con il 56% degli americani che afferma di essere "andato troppo oltre".

4. Considerazioni strategiche più ampie.

Comprendi gli obiettivi di Trump e sfruttali.

Le tariffe di Trump sono inquadrate come strumenti per ridurre il deficit commerciale, proteggere i lavoratori americani e affrontare problemi come l'immigrazione illegale e il contrabbando di fentanil.

L'offerta di concessioni in questi settori (ad esempio, politiche di frontiera più forti o l'applicazione della legge sulla droga) può portare uno sgravio tariffario.

Le politiche di Trump potrebbero rimodellare il commercio globale in modo irreversibile, erodendo la fiducia nell'affidabilità degli Stati Uniti e incoraggiando altri paesi ad adeguare le catene di approvvigionamento.

I mercati finanziari hanno reagito con forza agli annunci dei dazi, con l'S&P 500 che è sceso di quasi il 5% il 3 aprile 2025 e ha rimbalzato dopo le pause tariffarie.

Prospettiva critica.

Mentre l'amministrazione Trump sostiene che i dazi rafforzano l'economia statunitense e proteggono i lavoratori, i critici sostengono che danneggiano i consumatori, riducono il PIL e provocano ritorsioni globali.

Il “Penn Wharton Budget Model” prevede una riduzione dell'8% del PIL e un calo salariale del 7% a causa dei dazi, con perdite doppie rispetto a equivalenti aumenti delle tasse.

Gli economisti mettono in guardia da una potenziale guerra commerciale globale, con il FMI che taglia le previsioni di crescita e prevede che gli Stati Uniti saranno i più colpiti.

 

Tuttavia, i sostenitori, tra cui figure bipartisan come il deputato “Jared Golden”, sostengono che i dazi affrontino pratiche commerciali sleali e riportino i posti di lavoro.

Uno studio del 2024 citato dalla Casa Bianca ha rilevato che i dazi del primo mandato di Trump hanno incrementato la produzione e gli investimenti in acciaio negli Stati Uniti.

La verità probabilmente risiede in un equilibrio:

 i dazi possono avvantaggiare settori specifici, ma rischiano di causare una più ampia crisi economica se gestiti male.

 

Conclusione.

Affrontare le politiche tariffarie di Trump richiede un mix di diplomazia, adattamento e resilienza. I governi dovrebbero negoziare strategicamente, evitare ritorsioni e diversificare gli scambi commerciali.

 Le imprese devono riorientare le catene di approvvigionamento, sfruttare le esenzioni e creare flessibilità.

I consumatori possono adeguare la spesa e sostenere le economie locali.

Tutte le parti interessate dovrebbero rimanere informate, monitorare i cambiamenti di politica economica e considerare azioni legali o collettive per contestare o mitigare i dazi.

Allineandosi agli obiettivi dichiarati di Trump (ad esempio, commercio equo e solidale, sicurezza nazionale) e tutelando al contempo i propri interessi, le parti interessate possono districarsi in questo turbolento panorama commerciale.

 

Risposta 1 da ChatGPT.

 

Affrontare le politiche tariffarie di Trump, spesso viste come una forma di "bullismo" economico dai partner commerciali, richiede risposte strategiche e calcolare a livello nazionale, aziendale o individuale, a seconda della posizione. Ecco come le diverse entità potrebbero affrontarlo:

Per i governi o i partner commerciali:

1. Negoziazione e diplomazia.

Coinvolgere gli Stati Uniti in colloqui commerciali bilaterali o multilaterali per ridurre o rimuovere le tariffe.

Sfruttare le alleanze (ad esempio, UE, OMC) per aumentare il potere di contrattazione collettiva.

2. Tariffa di ritorsione (con cautela)

Imporre tariffe reciproche ai beni statunitensi politicamente o economicamente sensibili per promuovere un cambiamento politico.

Esempio: Cina, UE e Canada hanno preso di mira le principali esportazioni statunitensi (come soia, bourbon e Harley-Davidson) durante le controversie commerciali passate.

3. Diversificazione dei partner commerciali.

 

Ridurre la dipendenza dai mercati statunitensi rafforzando i legami con altre economie (ad esempio, ASEAN, Africa, America Latina).

4.Risoluzione delle controversie dell'OMC

Presentare reclami all'”Organizzazione Mondiale del Commercio “per contestare le tariffe che violano le regole del commercio internazionale (come hanno fatto l'UE e altri).

Per le aziende:

 

1. Adeguamento della catena di approvvigionamento.

Spostare la produzione in paesi non soggetti a dazi (ad esempio, spostare la produzione dalla Cina al Vietnam, al Messico).

Procurarsi materie prime o beni intermedi da mercati non soggetti a tariffe.

2. Riclassificazione del prodotto.

Collabora con gli avvocati del commercio per determinare se le merci possono essere riclassificate in categorie tariffarie inferiori.

3. Passa i costi in modo strategico.

 

Valuta se trasferire i costi ai consumatori, assorbirli o trovare compensazioni dei costi altrove.

Per i consumatori e gli individui:

1. Acquista alternativa.

Scegliete le nazionali o esenti da dazi quando possibile per evitare un aumento del prezzo.

2. Difesa

Sostieni i rappresentanti politici o le organizzazioni che promuovono il libero scambio.

Partecipare a dibattiti pubblici (ad esempio, scrivere editoriali, partecipare a forum) per discutere la direzione delle politiche.

I dazi di Trump sono stati spesso inquadrati come una strategia per "riequilibrare il commercio sleale", ma sono stati critici per aver danneggiato i consumatori statunitensi e innescato tensione commerciale globale. Una risposta intelligente implica che rimarremo adattabili, esperti di legge e impegnati a livello globale.

 

Domanda 2: Cosa succede se non ti opponi al bullo?

 

Risposta 2 di DeepSeek.

Se un paese non si oppone al bullismo tariffario di Trump (o a una simile coercizione economica), potrebbe affrontare gravi conseguenze a lungo termine:

 

1. Conseguenze economiche.

Perdita di leva commerciale:

 l'accettazione di tariffe unilaterali senza resistenza incoraggia richieste più aggressive, portando a condizioni peggiori nei negoziati futuri.

Erosione delle industrie nazionali:

se i dazi rendono le esportazioni non competitive, le industrie chiave possono ridursi, causando perdite di posti di lavoro e declino economico.

Dipendenza dal mercato statunitense: l'incapacità di diversificare i partner commerciali aumenta la debolezza delle future pressioni degli Stati Uniti.

2. Conseguenze politiche e strategiche.

 

Debolezza percepita:

arrendersi al bullismo incoraggiato gli Stati Uniti (o altre potenze) a imporre richieste più dure (ad esempio, sanzioni, divieti tecnologici o concessioni politiche).

Perdita di sovranità:

l'accettazione di termini ingiusti può costringere a cambiamenti politici che si allineano con gli interessi degli Stati Uniti piuttosto che con le priorità nazionali.

Reputazione globale danneggiata:

altre nazioni potrebbero vedere il paese come un facile bersaglio per la coercizione economica.

3. Conseguenze geopolitiche.

 

Alleanze indebolite:

 se il paese cede alle pressioni degli Stati Uniti, i partner possono perdere la fiducia e cercare alleati più forti (ad esempio, avvicinandosi alla Cina o all'UE).

Il cambiamento nell'equilibrio di potere

 l'incapacità di resistere potrebbe accelerare il dominio economico degli Stati Uniti, riducendo l'influenza del paese nelle regole del commercio globale.

4. Contraccolpo domestico.

 

Rabbia pubblica:

 i cittadini possono incolpare i leader per non aver protetto gli interessi nazionali, portando all'instabilità politica.

Sfiducia nelle imprese:

le aziende danneggiate dai dazi possono fare pressione sul governo affinché agisca o possono delocalizzare le operazioni per evitare rischi futuri.

Esempi storici.

 

Il Giappone negli anni '80:

ha accettato le restrizioni commerciali degli Stati Uniti (ad esempio, l'”Accordo del Plaza”, le quote automobilistiche), che hanno contribuito ai suoi "decenni perduti" di stagnazione economica.

Messico sotto rinegoziazione del NAFTA:

inizialmente resistette, ma in seguito cedette ad alcune richieste degli Stati Uniti, stabilendo un precedente per future pressioni.

Conclusione.

Non resistere al bullismo economico porta al declino a lungo termine della sovranità, della forza economica e della posizione geopolitica.

Un approccio equilibrato, che combina respingimento (ritorsione), diversificazione e negoziati strategici, è fondamentale per evitare di essere svantaggiati in modo permanente.

 

Risposta 2 di Grok.

Non riuscire a resistere alle politiche tariffarie di Trump, che alcuni descrivono come "bullismo" a causa della loro natura aggressiva e unilaterale, può portare significative conseguenze economiche, politiche e strategiche per governi, imprese e consumatori.

Di seguito sono riportate le principali ripercussioni dell'inazione, sulla base del contesto delle recenti analisi e delle implicazioni più ampie di queste tariffe.

1. Conseguenze economiche.

Costi più elevati e riduzione

senza resistenza, i dazi aumenteranno il costo dei beni importati, aumentando i prezzi per i consumatori e le imprese.

 Ad esempio, le famiglie statunitensi potrebbero dover affrontare altri $ 5.200 all'anno, con le famiglie a reddito medio che perdono $ 58.000 nel corso della vita a causa dell'aumento dei prezzi e del rallentamento economico.

A livello globale, paesi come il Canada e il Messico, che dipendono dal commercio degli Stati Uniti, potrebbero vedere costi più elevati per le esportazioni (ad esempio, l'80% delle esportazioni del Messico va negli Stati Uniti).

Impatto:

 i dazi incontrastati potrebbero consolidare il vantaggio, riducendo il potere d'acquisto e il tenore di vita, soprattutto per i gruppi a basso e medio reddito.

Il modello di bilancio di Penn Wharton prevede una riduzione del PIL dell'8% e un calo degli stipendi del 7% negli Stati Uniti a causa dei dazi, con le previsioni di crescita globale tagliate dal FMI.

I paesi che non diversificano il commercio o negoziano esenzioni rischiano un declino economico più profondo.

Ad esempio, l'economia cinese deve affrontare la pressione dei dazi statunitensi del 145% e le ritorsioni hanno aumentato le perdite.

Impatto:

 l'inazione potrebbe portare a recessioni prolungate, perdite di posti di lavoro e riduzione della competitività, in particolare per le economie dipendenti dalle esportazioni.

Interruzioni della catena di approvvigionamento:

 le aziende che non si adattano ai dazi devono affrontare costi di produzione più elevati e il caos della catena di approvvigionamento. Le piccole imprese, come le aziende statunitensi di gadget da cucina, stanno già lottando con i dazi all'importazione, mentre le case automobilistiche devono affrontare una causa dell'incertezza politica.

Impatto:

il mancato riorientamento delle catene di approvvigionamento potrebbe comportare la chiusura di aziende, una riduzione dell'innovazione e perdite di quote di mercato a favore dei concorrenti che si adeguano.

2. Conseguenze politiche e diplomatiche.

Erosione della sovranità e influenza

I paesi che accettano passivamente i dazi potrebbero perdere potere contrattuale nei negoziati futuri. Il collegamento di Trump tra i dazi e le questioni non commerciali (ad esempio, l'immigrazione, il fentanyl) consigliare un precedente per l'uso della pressione economica per ottenere concessioni.

Ad esempio, il Canada e il Messico devono affrontare minacce tariffarie legate alla sicurezza delle frontiere, indebolendo la loro autonomia.

Impatto:

l'inazione segnala il rispetto, incoraggiando ulteriori richieste degli Stati Uniti e minando la sovranità nazionale.

L'indebolimento del sistema

commerciale globale.

 Le tariffe incontrastate potrebbero destabilizzare i quadri commerciali multilaterali come l'OMC.

L'uso da parte di Trump dell'”International Emergency Economic Powers Act” (IEEPA) aggira le regole commerciali tradizionali e l'inazione di altre nazioni potrebbe normalizzare tali azioni unilaterali.

Impatto:

l'erosione del commercio basato su regole potrebbe portare a un'economia globale frammentata, con le nazioni più piccole che perdono influenza in un sistema dominato dalle grandi potenze.

Alleanze tese I paesi che non si coordinano con gli

alleati per contrastare i dazi rischiano l'isolamento.

 Ad esempio, la richiesta della Germania di una risposta unitaria dell'UE evidenzia la necessità di un'azione collettiva, mentre paesi come il Vietnam, agendo da soli, hanno lottato per ottenere esenzioni.

Impatto: l'inazione potrebbe fratturare i blocchi commerciali (ad esempio, UE, ASEAN) e indebolire le alleanze, lasciando le nazioni vulnerabili a ulteriori pressioni statunitensi.

3. Conseguenze strategiche e a lungo termine.

L'inazione potrebbe costringere i paesi e le imprese ad allontanarsi definitivamente dai mercati statunitensi, come si è visto con l'aumento del commercio della Cina con l'UE e il Messico.

Ciò potrebbe ridurre l'influenza economica degli Stati Uniti, ma anche danneggiare i paesi che non riescono a diversificare, lasciandoli dipendenti dalle volatili politiche statunitensi.

Impatto:

 le catene di approvvigionamento globali possono escludere gli Stati Uniti, riducendo l'accesso al mercato per le nazioni e le imprese non adattive, rafforzando al contempo concorrenti come la Cina o i blocchi regionali (ad esempio, RCEP).

Perdita dell'industria

nazionale.

Per i paesi che devono affrontare i dazi statunitensi, l'inazione potrebbe soffocare le industrie che dipendono dalle esportazioni.

Ad esempio, i settori del turismo e dell'auto canadesi stanno già assistendo a una riduzione della domanda statunitense a causa dei timori tariffari e il settore manifatturiero messicano deve affrontare rischi simili.

Impatto:

 senza diversificazione o negoziazione, i settori chiave potrebbero collassare, portando alla disoccupazione e alla riduzione della resilienza economica.

Se i dazi di Trump non vengono contestati, altre nazioni potrebbero adottare misure protezionistiche simili, scatenando una guerra commerciale globale. I dazi di ritorsione della Cina del 125% e l'esame dell'UE di contromisure illustrano questo rischio.

Impatto:

una proliferazione di dazi potrebbe smantellare il libero scambio, aumentare l'instabilità economica globale e danneggiare in modo sproporzionato le economie più piccole.

4. Conseguenze sociali e per i consumatori.

I consumatori negli Stati Uniti e nei paesi colpiti dovranno affrontare prezzi più elevati per beni come automobili, elettronica e cibo (ad esempio, un prodotto da $ 10 con una tariffa del 10% diventa $ 11). L'inazione da parte dei governi o delle imprese per mitigare questi costi eroderà il reddito disponibile.

Impatto:

tenore di vita più basso e aumento delle disuguaglianze, poiché le famiglie a basso reddito sopportano il peso maggiore dell'aumento dei prezzi.

Malcontento pubblico e instabilità

Politica.

Negli Stati Uniti, il 56% degli americani disapprova i dazi di Trump, considerandoli eccessivi. A livello globale, l’aumento dei costi potrebbe alimentare disordini pubblici in paesi che non sono in grado di proteggere i cittadini dalle ricadute economiche.

Impatto:

 l'inazione potrebbe portare a contraccolpi politici, governi indeboliti o ondate populiste, poiché i cittadini chiedono sollievo dalle difficoltà dovute ai dazi.

5. Opportunità mancate per la riforma.

I dazi di Trump mirano a correggere le pratiche commerciali percepite come sleali (ad esempio, i sussidi della Cina, la manipolazione della valuta). L'inazione dei partner commerciali può sprecare le possibilità di negoziare condizioni commerciali più eque o di affrontare le preoccupazioni degli Stati Uniti come i deficit commerciali.

Impatto:

mancate opportunità di modernizzare gli accordi commerciali, lasciando irrisolte le questioni di fondo e perpetuando le tensioni.

Mancanza di innovazione e adattamento.

Le aziende e i governi che non resistono o non si adattano ai dazi perdono l'opportunità di innovare.

Ad esempio, le aziende proattive stanno rilocalizzando la produzione o sfruttando le esenzioni (ad esempio, i guadagni di Tesla dalle esenzioni per l'elettronica), mentre altre sono in ritardo.

Impatto:

stagnazione nelle industrie e nelle economie, in quanto i concorrenti che agiscono in modo decisivo ottengono vantaggi di mercato.

Prospettiva critica.

Mentre l'azione evita un confronto immediato con gli Stati Uniti, rischiando danni economici e geopolitici a lungo termine.

 I dazi di Trump sono una strategia calcolata per rimodellare il commercio globale a favore degli interessi degli Stati Uniti, e l'accettazione passiva può cedere terreno strategico.

Tuttavia, la resistenza deve essere strategica:

la ritorsione, come si è visto con la Cina, può aumentare le perdite, mentre la diplomazia (ad esempio, i negoziati con la Corea del Sud) o le sfide legali (ad esempio, le cause legali della California) offrono approcci equilibrati.

Il costo dell'azione non è solo economico, ma anche una rinuncia all'azione in un ordine globale in rapida evoluzione.

 

Conclusione.

Non opporsi alle politiche tariffarie di Trump potrebbe comportare costi più elevati, contrazione economica e riduzione della leva geopolitica per governi, imprese e consumatori.

Rischia di radicare il protezionismo, di interrompere il commercio globale e di abbassare gli standard di vita, perdendo opportunità di riforma e adattamento. Per evitare queste conseguenze, le parti interessate devono agire con decisione attraverso la negoziazione, la diversificazione, le sfide legali o la pressione collettiva, adattate al loro contesto specifico.

Se hai una prospettiva particolare (ad esempio, un paese o un settore specifico), posso perfezionare ulteriormente l'analisi.

 

Risposta 2 di ChatGPT.

Non opporsi a "bullismo" economico come le aggressive politiche tariffarie può avere conseguenze gravi e di vasta portata, sia strategiche che economiche. Ecco cosa può succedere:

Per le Nazioni:

1. Perdita della leva finanziaria.

La mancata risposta è un segnale di debolezza, che può incoraggiare ulteriori azioni aggressive, non solo da parte di un paese ma anche da parte di altri che osservano.

2. Equilibrio economico.

I dazi possono distorcere il commercio, danneggiare i settori chiave delle esportazioni e portare alla perdita di posti di lavoro nei settori colpiti se un paese non protegge i propri interessi.

3. Indebolimento dei sistemi multilaterali.

L'inazione può indebolire le norme e le istituzioni del commercio globale come l'OMC, rendendo più difficile l'applicazione delle regole future.

4. Ricadute politiche interne.

Gli elettori e i gruppi industriali danneggiati da dazi potrebbero perdere fiducia in una leadership che appare passiva o inefficace.

Per le aziende:

1. Erosione del margine di profitto.

Accettare tariffe più elevate senza reagire (ad esempio, modificando l'approvazione oi prezzi) può schiacciare i profitti.

2. Riduzione della competitività.

Se i concorrenti si adattano e tu no, rischi di perdere quota di mercato a livello nazionale e globale.

Per gli individui (consumatori e lavoratori):

1. Prezzi più alti

Finisci per pagare di più per beni come l'elettronica, i veicoli o il cibo senza alcun vantaggio di compensazione.

2. Perdita di posti di lavoro

Le industrie danneggiate dai dazi possono tagliare posti di lavoro o chiudere impianti se non c'è un rifiuto del governo o del settore privato.

Effetto psicologico e strategico:

Proprio come nel bullismo personale, la passività può rafforzare il comportamento del bullo. La mancanza di resistenza rende più probabile la coercizione futura perché il costo di un'azione aggressiva è percepito come basso.

In conclusione:

non opporsi può essere più costoso a lungo termine che affrontare ritorsioni o attriti diplomatici a breve termine. La forza attraverso la strategia – non necessariamente l'aggressione – è spesso il deterrente più efficace.

 

Domanda 3: Quale dovrebbe essere la risposta della Cina?

 

Risposta 3 di DeepSeek.

La Cina dovrebbe adottare una risposta strategica su più fronti alle pressioni tariffarie di Trump, combinando contromisure economiche, manovre geopolitiche e autosufficienza a lungo termine per minimizzare i danni e al contempo posizionarsi per un futuro predominio.

Ecco un'analisi dettagliata:

1. Ritorsione immediata (ma mirata in modo intelligente)

Tariffe simmetriche + asimmetriche.

Imporre tariffe di ritorsione sui prodotti agricoli statunitensi (soia, carne suina), sui prodotti di lusso (Boeing, Tesla, Apple) e sui principali input industriali per danneggiare i settori politicamente sensibili.

Evita tariffe ampie che danneggiano le catene di approvvigionamento cinesi (ad esempio, semiconduttori, parti di aeronautica).

Controlli sulle esportazioni di materiali critici.

Limitare i minerali delle terre rare (utilizzati nella tecnologia della difesa degli Stati Uniti) o gli ingredienti farmaceutici chiave per forzare i negoziati.

2. Diversificazione economica e resilienza.

Accelerare la strategia di "doppia circolazione."

Aumentare il consumo interno per ridurre la dipendenza dalle esportazioni statunitensi.

Espandere il commercio con l' ASEAN, l'UE, l'Africa e l'America Latina (tramite RCEP, Belt and Road).

Spinta alla de-dollarizzazione.

Aumentare gli scambi denominati in yuan, gli swap di valuta con i partner e le riserve garantite dall'oro per indebolire la leva finanziaria degli Stati Uniti.

3. Contropressione geopolitica.

 

Rafforzare le alleanze anti-USA.

Rafforzare i legami con la Russia (energia, tecnologia militare), l'Iran (petrolio, elusione delle sanzioni) e i paesi del Sud del mondo.

Sfruttare le tensioni tra Stati Uniti e Unione Europea offrendo migliori condizioni commerciali all'Europa.

Battaglia legale dell'OMC + pressione multilaterale.

Contestare i dazi statunitensi presso l'OMC (anche se lentamente, ciò rafforza la legittimità globale contro l'unilateralismo degli Stati Uniti).

Radunare i paesi in via di sviluppo per condannare il protezionismo statunitense.

4. Autosufficienza tecnologica e industriale.

 

Indipendenza di Rush Semiconductor.

Aumentare i sussidi alle catene di fornitura di chip di SMIC, Huawei e nazionali per infrangere le sanzioni statunitensi.

Localizzare i settori chiave.

Sostituire la tecnologia statunitense (Intel, Microsoft, Qualcomm) con alternative cinesi (Loongson, Huawei HarmonyOS).

5. Guerra psicologica e mediatica.

 

Dipingerci come un bullo inaffidabile.

Campagna di pubbliche relazioni globale che evidenzia come i dazi statunitensi danneggino il commercio mondiale.

Da evidenziare l'inflazione americana e la perdita di posti di lavoro a causa delle guerre commerciali.

Risoluzione del segnale senza sovra-escalation

Dimostrare la volontà di negoziare, ma chiarire che la Cina non cederà sotto pressione.

Rischi potenziali e mitigazione.

 

Danni economici a breve termine:

alcuni esportatori cinesi soffriranno, ma il sostegno statale potrà attutire il colpo.

Escalation negli USA (divieti tecnologici, interruzione SWIFT):

preparare piani di emergenza (ad esempio, yuan digitale, sistemi di pagamento alternativi).

Alienare l'Europa:

evitare di apparire troppo aggressivi; offrire incentivi all'UE per rimanere neutrali.

Lezioni storiche dalla guerra commerciale 2018-2020.

 

Cosa ha funzionato:

I dazi di ritorsione hanno costretto Trump a negoziare (Accordo di Fase 1).

La sopravvivenza di Huawei ha dimostrato la resilienza alle sanzioni.

Errori da evitare:

Sopravvalutare la dipendenza degli Stati Uniti dalle esportazioni cinesi (parte della produzione si è spostata in Vietnam/India).

Lasciare che gli Stati Uniti uniscano gli alleati (Giappone, UE) contro la Cina.

Obiettivo finale.

I dazi di Trump mettono alla prova la resistenza strategica a lungo termine della Cina.

 Combinando ritorsione, autosufficienza e costruzione di coalizioni globali , la Cina può trasformare questa situazione in un'opportunità per ridurre il predominio degli Stati Uniti , uscirne rafforzata.

 

Vorresti approfondire qualche tattica specifica (ad esempio, l'armamento delle terre rare, l'internazionalizzazione dello yuan)?

 

Risposta 3 di Grok.

 

La Cina deve affrontare sfide significative a causa delle politiche tariffarie di Donald Trump, che includono tariffe fino al 145% sulle merci cinesi, volte ad affrontare il deficit commerciale, proteggere le industrie statunitensi e fare pressione sulla Cina su questioni come il contrabbando di fentanil.

Questi dazi, descritti da alcuni come "bullismo" a causa della loro natura unilaterale e aggressiva, minacciano l'economia cinese orientata alle esportazioni, le catene di approvvigionamento e la posizione commerciale globale.

Di seguito è riportata una risposta strategica per la Cina, bilanciando considerazioni economiche, diplomatiche ea lungo termine, evitando al contempo un'escalation in una vera e propria guerra commerciale.

La risposta si basa su analisi recenti e sul contesto più ampio delle dinamiche commerciali tra Stati Uniti e Cina.

1. Strategie diplomatiche e negoziali.

La Cina dovrebbe dare priorità alla diplomazia per attenuare l'impatto dei dazi, preservando al contempo i propri interessi economici e la propria influenza globale.

Proseguire negoziati mirati.

I dazi di Trump sono in parte motivati da questioni non commerciali, come il traffico di fentanyl e gli squilibri commerciali.

La Cina può sfruttare le concessioni in questi settori per ottenere un alleggerimento dei dazi.

Azione:

Offrire cooperazione per l'applicazione delle norme sul fentanil (ad esempio, controlli più severi sulle esportazioni di precursori chimici) o proporre misure per ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti, come l'aumento degli acquisti di beni statunitensi come energia o prodotti agricoli.

 Ad esempio, l'accordo commerciale tra Cina e Trump per il 2018-2019 includeva l'impegno ad acquistare soia e GNL dagli Stati Uniti.

Suggerimento:

 inquadrate i negoziati come reciprocamente vantaggiosi, allineandovi alla retorica "America First" di Trump, ed evitate scontri pubblici che potrebbero irrigidire la determinazione degli Stati Uniti.

Esempio:

 i recenti negoziati tra la Corea del Sud e Trump hanno portato ad una riduzione delle tariffe doganali, il che suggerisce che un impegno proattivo può dare risultati.

Evitare ritorsioni generalizzate.

Gli attuali dazi di ritorsione del 125% imposti dalla Cina hanno esacerbato le tensioni, spingendo il Segretario al Tesoro statunitense “Bessant” ad avvertire di misure più severe.

Ulteriori ritorsioni rischiano di innescare una spirale che potrebbe danneggiare ulteriormente l'economia cinese, data la sua dipendenza dalle esportazioni

di ritorsione del 125% in Cina hanno intensificato le tensioni, spingendo il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti ad avvertire” Bessant” di misure più severe. Ulteriori ritorsioni rischiano di innescare una spirale che potrebbe danneggiare maggiormente l'economia cinese, data la sua dipendenza dalle esportazioni.

Azione:

sospendere o ridurre i dazi di ritorsione per de-escalation. Utilizzare invece i canali diplomatici per segnalare la disponibilità al dialogo, come ha fatto l'India optando per i colloqui anziché per i dazi "tit-for-tat".

Attenzione:

 le ritorsioni potrebbero portare a sanzioni da parte degli Stati Uniti o a un più ampio disaccoppiamento economico, isolando ulteriormente la Cina dai mercati occidentali.

Coinvolgere alleati e piattaforme multilaterali.

Un fronte unito con altre nazioni può spingere gli Stati Uniti a moderare i dazi. La Cina ha già incoraggiato paesi come il Vietnam a resistere alle richieste tariffarie statunitensi.

Azione:

Rafforzare il coordinamento con i BRICS, l'ASEAN o l'UE per formare una coalizione contro i dazi unilaterali statunitensi.

Spingere per le riforme dell'OMC o presentare reclami per contestare legalmente le tariffe statunitensi, come ha fatto la Cina in precedenza.

Esempio:

l'appello della Germania per una risposta coesa dell'UE mostra il potere dell'azione collettiva.

La Cina potrebbe guidare una coalizione del Sud globale per contrastare la pressione economica degli Stati Uniti, come suggerito da un post di X che sostiene il coordinamento Sud-Sud.

2. Strategie economiche e commerciali.

La Cina deve adattare la sua economia per ridurre la minaccia per gli Stati Uniti e mantenerne la competitività.

L'economia cinese è fortemente esposta al mercato statunitense, ma ha già aumentato gli scambi commerciali con l'UE, il Messico e il Vietnam per compensare l'impatto dei dazi.

Azione:

Rafforzare i legami commerciali attraverso accordi regionali come il “Partenariato Economico Regionale Globale” (RCEP) o i progetti della “Belt and Road Initiative” (BRI).

Puntare ai mercati in crescita in Africa, America Latina e Sud-est asiatico per sostituire la domanda statunitense.

Esempio:

gli scambi commerciali tra Cina e Messico sono aumentati come soluzione alternativa ai dazi statunitensi, con merci dirottate attraverso il Messico in virtù delle esenzioni USMCA.

Stimolare i consumi interni e l'innovazione.

I dazi minacciano le entrate derivanti dalle esportazioni, ma la Cina può ridurre la dipendenza dai mercati esterni rafforzando la propria economia interna.

Azione:

accelerare le politiche per stimolare la spesa al consumo, come tagli fiscali o sussidi per le famiglie della classe media. Investire massicciamente nelle industrie high-tech (ad esempio, semiconduttori, intelligenza artificiale) per raggiungere l'autosufficienza, contrastando le restrizioni statunitensi come i controlli sulle esportazioni di chip.

Suggerimento:

programmi come "Made in China 2025" dovrebbero essere considerati prioritari per rafforzare la resilienza contro gli shock esterni.

Sfruttare le esenzioni tariffarie e le scappatoie.

I dazi di Trump includono esenzioni per determinati beni, come semiconduttori ed elettronica (ad esempio, smartphone rientranti in specifiche voci HTSUS). L'esenzione de minimis per i prodotti cinesi di valore inferiore a 800 dollari termina il 2 maggio 2025, ma le esenzioni per l'elettronica sono state retroattive.

Azione:

riclassificare le esportazioni per ottenere esenzioni o dirottare le merci attraverso paesi terzi (ad esempio, Vietnam, Malesia) per aggirare i dazi. Collaborare con aziende statunitensi come Apple o Tesla, che beneficiano di esenzioni, per mantenere l'accesso al mercato.

Esempio:

le aziende cinesi hanno utilizzato il Vietnam come hub di trasbordo per aggirare i dazi statunitensi, una strategia che potrebbe essere ampliata.

Stabilizzare strategicamente lo yuan Le accuse statunitensi di manipolazione della valuta rendono lo yuan un punto di infiammabilità. Uno yuan più debole potrebbe compensare i costi dei dazi ma rischiare ritorsioni da parte degli Stati Uniti, mentre uno yuan più forte potrebbe danneggiare le esportazioni.

Azione:

mantenere uno yuan stabile all'interno di una banda ristretta per evitare di innescare sanzioni statunitensi. Utilizzare interventi mirati per contrastare gli attacchi speculativi, come si è visto durante le passate tensioni commerciali.

Attenzione:

evitare una valutazione significativa, che potrebbe indurre Trump a imporre ulteriori tariffe o sanzioni.

3. Contromisure legali e strategiche.

La Cina può utilizzare strumenti legali e strategici per sfidare i dazi e proteggere i propri interessi.

Le cause legali contro l'uso da parte di Trump dell'International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) sostengono che le tariffe mancano di una legittima base di "emergenza".

Gruppi come la “New Civil Liberties Alliance” e il governatore della California “Gavin Newsom” hanno intentato tali cause.

Azione:

finanziare o sostenere silenziosamente le sfide legali con sedi negli Stati Uniti attraverso proxy o associazioni di categoria per indebolire la base legale delle tariffe. Allo stesso tempo, i reclami dell'OMC, come la Cina ha fatto con successo in passato.

Nota:

le vittorie legali potrebbero essere lente, data la deferenza della magistratura statunitense nei confronti dei poteri commerciali presidenziali, ma possono creare una leva per i negoziati.

Trump collega i dazi a questioni come il fentanyl e l'immigrazione. La Cina può affrontare strategicamente questi aspetti per deviare la pressione.

Azione:

pubblicizzare gli sforzi per reprimere i precursori del fentanil (ad esempio, arresti, sequestri) per indebolire le giustificazioni statunitensi per i dazi. In materia di immigrazione, evidenziare il ruolo limitato della Cina nelle questioni di confine statunitensi rispetto ai paesi latinoamericani.

Suggerimento:

 utilizzare i media e i forum internazionali per dare forma alla narrazione, descrivendo la Cina come collaborativa piuttosto che ostruzionista.

Costruire sistemi finanziari alternativi.

I dazi e le sanzioni statunitensi minacciano l'accesso della Cina al commercio basato sul dollaro. La resilienza a lungo termine richiede una riduzione della dipendenza dai sistemi finanziari dominati dagli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti minacciano l'accesso della Cina al commercio basato sul dollaro.

La resilienza a lungo termine richiede di ridurre la dipendenza dai sistemi finanziari dominati dagli Stati Uniti.

Azione:

espandere l'uso dello yuan nel commercio globale (ad esempio, attraverso i contratti BRI) e sviluppare alternative allo SWIFT, come il sistema CIPS cinese. Promuovere iniziative di valuta digitale per aggirare i controlli finanziari statunitensi.

Esempio:

 il commercio cinese con la Russia e i partner BRICS basato sullo yuan è cresciuto, offrendo un modello per le economie colpite dai dazi doganali.

4. Considerazioni interne e politiche.

La Cina deve gestire gli impatti economici e sociali interni per mantenerne la stabilità.

Dazi,

potrebbe ridurre la crescita del PIL cinese, con l'avvertimento del FMI di rallentamenti globali. Le piccole imprese e gli esportatori sono vulnerabili.

Azione:

fornire sovvenzioni o agevolazioni fiscali alle industrie colpite, in particolare alle PMI manifatturiere.

Lanciare misure di stimolo, come la spesa per le infrastrutture, per compensare le perdite delle esportazioni, come ha fatto la Cina durante la guerra commerciale del 2018-2019.

Suggerimento:

comunicare queste misure per mantenere la fiducia del pubblico e prevenire disordini.

Il malcontento pubblico potrebbe aumentare se i dazi portassero alla perdita di posti di lavoro o a prezzi più alti. Il governo cinese deve bilanciare le critiche alle politiche statunitensi con la stabilità interna.

Azione:

utilizzare i media statali per inquadrare i dazi come un'aggressione degli Stati Uniti, mobilitando il sentimento nazionalista e sottolineando la resilienza della Cina. Evidenzia i successi nella diversificazione o nell'innovazione per proiettare forza.

Attenzione: evitare di esagerare con i principi retorici anti-USA, che potrebbero limitare la flessibilità diplomatica.

5. Posizionamento strategico a lungo termine.

La Cina dovrebbe sfruttare la sfida dei dazi per accelerare la sua leadership globale e la sua resilienza economica.

Come suggerito da un post di X, la Cina può posizionarsi come leader dei paesi del Sud del mondo che resistono alla coercizione economica degli Stati Uniti.

Azione:

organizzare vertici o forum commerciali per costruire coalizioni anti-dazi, offrendo investimenti e accesso al mercato a paesi come Brasile, India o nazioni africane. Utilizzare la BRI per approfondire i legami economici, contrastando l'influenza degli Stati Uniti.

Esempio:

 l'impegno della Cina nei confronti del Vietnam per opporsi ai dazi statunitensi dimostra come la Cina possa allinearsi con le nazioni più piccole.

Rimodellare il commercio globale.

I dazi di Trump potrebbero erodere la fiducia nell'affidabilità degli Stati Uniti, creando un'opportunità per la Cina di guidare quadri commerciali alternativi.

Azione:

sostenere i blocchi commerciali regionali (ad esempio, RCEP, accordi commerciali BRICS) e investire in infrastrutture per consolidare partnership a lungo termine. Promuovere la "de-dollarizzazione" per ridurre la leva finanziaria degli Stati Uniti.

Impatto:

un sistema commerciale guidato dalla Cina potrebbe marginalizzare l'influenza degli Stati Uniti, ma richiederebbe notevoli investimenti diplomatici ed economici.

Prepararsi al disaccoppiamento.

Se i dazi segnalano un disaccoppiamento più profondo tra Stati Uniti e Cina, la Cina deve prepararsi a un'economia globale biforcata.

Azione:

accelerare l'autosufficienza nei settori critici (ad esempio, semiconduttori, energia) e garantire la sicurezza delle catene di approvvigionamento per materie prime come le terre rare, dove la Cina detiene una posizione di forza.

 Rafforzare i legami con gli alleati non occidentali per costruire un ecosistema economico parallelo.

Esempio:

a posizione dominante della Cina nel settore delle terre rare è stata utilizzata come contromisura nelle passate controversie commerciali.

Prospettiva critica.

La risposta della Cina deve bilanciare la sopravvivenza economica a breve termine con gli obiettivi strategici a lungo termine.

I dazi di Trump mirano a indebolire il dominio cinese nelle esportazioni e a imporre concessioni, ma rischiano anche di ritorcersi contro di essa accelerando la svolta cinese verso mercati non statunitensi e sistemi alternativi.

 Le ritorsioni, come si è visto con i dazi del 125% imposti dalla Cina, hanno aggravato le perdite, suggerendo che diplomazia e adattamento siano più saggi dello scontro.

Tuttavia, la Cina deve evitare di apparire debole a livello nazionale, poiché il sentimento nazionalista richiede una posizione forte.

I critici sostengono che i dazi potrebbero paralizzare l'economia cinese, con perdite di PIL e interruzioni della catena di approvvigionamento, ma i sostenitori di una risposta dura vedono un'opportunità per radunare gli alleati del Sud del mondo e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.

Un approccio ibrido – impegno diplomatico, diversificazione economica e atteggiamento strategico – offre la strada migliore.

Conclusione.

La Cina dovrebbe rispondere ai dazi di Trump con una strategia multiforme: negoziare diplomaticamente per garantire sollievo, diversificare il commercio per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, sfruttare le esenzioni e le sfide legali e rafforzare la resilienza interna.

A lungo termine, la Cina può cogliere l'opportunità di guidare le coalizioni del Sud del mondo, rimodellare le reti commerciali e prepararsi al disaccoppiamento. Evitando l'escalation, mantenendo la stabilità e proiettando forza, la Cina può mitigare gli impatti dei dazi e far avanzare la sua posizione globale.

Se hai bisogno di un focus più approfondito su un settore specifico (ad esempio, tecnologia, agricoltura) o regione, fammelo sapere e posso perfezionare la risposta.

 

Risposta 3 di ChatGPT.

La risposta della Cina alle pressioni tariffarie in stile Trump – caratterizzate da dazi unilaterali volti a imporre concessioni commerciali – dovrebbe essere strategica, ponderata e articolata, combinando resilienza a breve termine e posizionamento a lungo termine.

Ecco un quadro di come la Cina dovrebbe rispondere, bilanciando forza, pragmatismo e influenza globale:

 

1. Rispondere proporzionalmente con tariffe mirate.

Colpire i settori politicamente sensibili degli Stati Uniti (ad esempio agricoltura, energia, macchinari per la produzione) per creare pressione interna.

Dare priorità agli stati indecisi o alle circoscrizioni politiche chiave, come ha fatto la Cina con la soia durante la guerra commerciale del 2018-2019.

2. Guidare e rafforzare le alleanze multilaterali.

Presentare i dazi statunitensi come una minaccia alla stabilità del commercio globale e radunare gli altri paesi (UE, ASEAN, BRICS) in coalizioni.

Accordi avanzati come il RCEP e approfondimento degli scambi commerciali con i paesi della Belt & Road per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.

3. Accelerare il riequilibrio economico.

Ridurre la dipendenza dall'esportazione stimolando i consumi interni ed espandendo i settori dell'alta tecnologia e dei servizi .

Rafforzare l'auto sufficienza in settori critici (ad esempio, semiconduttori, intelligenza artificiale, biotecnologie) attraverso la politica industriale e gli investimenti in ricerca e sviluppo.

4. Mantenere la stabilità del mercato e la fiducia degli investitori,

mantenere lo yuan relativamente stabile, evitare una brusca fuga di capitali e mostrare unità interna attraverso la messaggistica e gli strumenti fiscali/monetari.

Segnalare agli investitori esteri una resilienza a lungo termine, fornendo al contempo stimoli mirati per attutire i settori colpiti dai dazi.

5. Presentare reclami all'OMC, anche se imperfetti

Anche con un sistema di appello dell'OMC indebolito, la Cina dovrebbe documentare le violazioni per preservarne un ordine globale basato su regole e costruire credibilità diplomatica.

6. Usa la diplomazia pubblica e l'inquadramento narrativo.

Posizionarsi come attore globale responsabile nella difesa del multilateralismo.

Confrontare l'imprevedibilità degli Stati Uniti con la pianificazione a lungo termine e la stabilità della Cina nei messaggi commerciali.

7. Gioca a lungo.

Evitare reazioni eccessive che potrebbero giustificare politiche più dure degli Stati Uniti o incrinare il sostegno globale.

Concentrati sulla sopravvivenza di un'amministrazione volatile: le elezioni cambiano le strategie e l'impegno eccessivo possono ritorcersi contro.

Cosa non fare:

Non impegnatevi in una guerra economica totale: l'integrazione della Cina nei mercati globali la rende vulnerabile.

Evitare mosse eccessivamente nazionalistiche che potrebbero innescare un disaccoppiamento più rapido del previsto.

Sintesi strategica:

 la Cina dovrebbe utilizzare un mix di ritorsioni mirate, riforme strutturali e creazione di coalizioni globali per attenuare l'impatto delle pressioni tariffarie, posizionandosi al contempo come partner commerciale stabile e a lungo termine.

La chiave è dimostrare forza senza provocazioni e resilienza senza passività.

 

 

 

 

 

Imparare a dire NO: come stabilire

limiti sani per il benessere

personale e professionale.

Chiaraventuri.it - Chiara Venturi- (19 -novembre – 2024) – ci dice:

Imparare a dire no è una delle abilità psicologiche più importanti per il benessere emotivo, ma anche una delle più difficili da padroneggiare.

 Molti di noi si trovano a dire sì a richieste che non ci fanno sentire a nostro agio, spesso per paura di deludere gli altri, per senso di colpa o per il desiderio di essere apprezzati.

 Tuttavia, non stabilire dei confini chiari con gli altri nelle nostre vite può portarci a sentirci sopraffatti, stressati e privi di energia.

In questo articolo esploreremo l’importanza di imparare a dire no e di stabilire limiti sani, sia nelle relazioni personali che nel contesto lavorativo.

Imparare a dire NO: la capacità di stabilire limiti e confini.

Vi riesce difficile rifiutare un favore a qualcuno?

Lavorate senza interruzione fino a tardi per poi ritrovarvi senza energia il giorno dopo?

Vi ritrovate spesso a dare più del necessario?

Vi sentite spesso costretti ad approvare le opinioni altrui?

Fate molta fatica a trovare il coraggio di rifiutare un invito?

Vi fate spesso carico dei problemi altrui e vi scontrate con rifiuti quando proponete soluzioni?

Vi è mai capitato di trovarvi ad una festa e avere una gran voglia di tornarvene a casa, ma di non osare farlo e fingere invece di divertirvi?

 Domande come queste hanno a che fare con la capacità di dire di NO, e di stabilire limiti e confini a favore dei propri bisogni personali ed emotivi.

Questa capacità viene spesso fraintesa dalle persone con l’idea di erigere mura invalicabili o rompere i ponti con il prossimo;

come se ci si potesse muovere esclusivamente tra i poli dell’essere completamente disponibili nei confronti degli altri oppure del chiudersi del tutto (Sellin, 2014).

Ciò che invece è possibile e auspicabile è esplorare le diverse possibilità che esistono tra i due estremi:

stabilire i propri confini in modo corretto significa infatti trovare il giusto equilibrio tra intimità e distanza in ogni situazione e quindi riuscire a stare con gli altri senza dimenticare sé stessi, e a rimanere in contatto con il prossimo senza perdere la propria autonomia.

Limiti e confini chiari permettono comunicazione e amicizia.

 I limiti garantiscono rapporti sociali stabili e armonici.

Permettono di avere cura della nostra salute mentale e di gestire il carico mentale.

Limiti o confini?

Alcune persone inoltre tendono a non rendersi conto di quanto contribuiscano a far sì che l’altro superi certi limiti, per esempio inviandogli segnali poco chiari durante la comunicazione.

Contemporaneamente, alcuni di noi ignorano anche la propria tendenza a superare i confini altrui, dovuta al non aver mai imparato a percepirli.

Ma i limiti che più spesso tendiamo a superare sono in realtà quelli nei confronti di noi stessi.

Sono infatti importanti anche i propri limiti e confini:

mettendoci spesso sotto pressione ad esempio, rischiamo di ottenere sempre meno e, oltre all’insoddisfazione, possono anche emergere quei sintomi che ci segnalano che ci siamo spinti troppo oltre.

I bambini e la “fase del NO.”

A circa due anni, i bambini attraversano una fase di sviluppo emotivo e psicologico nota come i “terribili due” (terrible twos), durante la quale iniziano a sperimentare la loro indipendenza e a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé.

In questo periodo, il “NO” diventa una parola ricorrente nel loro vocabolario, e viene pronunciata spesso con gusto.

 

Questo comportamento non è un segno di disobbedienza, ma una manifestazione naturale del desiderio del bambino di affermare il proprio io e testare i limiti.

 Dire no è un modo per esercitare il controllo e stabilire i propri confini, cercando di definire ciò che è accettabile e ciò che non lo è, e di sperimentare quanto il proprio volere abbia un potere d’azione.

Sebbene possa risultare frustrante per i genitori, questa fase è cruciale per lo sviluppo della personalità del bambino, che sta imparando a distinguere tra sé stesso e gli altri, tra ciò che vuole e ciò che gli viene imposto.

Perché è difficile dire di no?

“Sì” e “NO” sono i guardiani del nostro tempo.

 Possiamo immaginarli come la porta di casa:

la porta aperta è il sì e la porta chiusa è il no.

 Se apriamo la porta quando in realtà la vorremmo chiusa e la chiudiamo quando la vorremmo aperta, presto ci troveremo con una casa piena di cose indesiderate. Il sì e il no esistono per permetterci di esprimere cosa vogliamo veramente, quali sono le nostre preferenze, quello che vogliamo fare e quello che non vogliamo fare.

Eppure spesso diciamo sì o no per la ragione sbagliata e questa è di solito la paura:

abbiamo paura di una nuova esperienza;

abbiamo paura di ferire i sentimenti di qualcuno;

abbiamo paura che qualcuno non ci accetti più;

abbiamo paura di quello che gli altri potrebbero pensare di noi.

Inoltre molti di noi crescono con l’idea che dire di no sia un atto di egoismo o che possa compromettere le relazioni.

 La cultura sociale spesso premia chi è sempre disponibile e pronto ad aiutare gli altri, ma questo atteggiamento può portare a un sovraccarico di impegni e a un esaurimento emotivo.

Più nello specifico, l’incapacità di dire no può essere legata a diversi fattori psicologici:

paura del rifiuto o del conflitto:

temiamo che dire no possa farci sembrare poco gentili o che possa portare a una rottura delle relazioni;

bassa autostima:

spesso temiamo che gli altri ci giudichino negativamente o ci abbandonino se non soddisfiamo le loro richieste;

senso di colpa: dire di no può farci sentire inadeguati o come se stessimo facendo qualcosa di sbagliato.

Queste convinzioni, se non affrontate, possono impedire di stabilire limiti sani e compromettere il nostro benessere psicologico e relazionale.

Dire di no: perché è così difficile?

Esistono poi alcune persone che si sentono assolutamente incapaci di dire di no, pur sapendo che dire di sì svuota le loro risorse fino al limite o oltre (Kabat-Zinn, 2016).

 Si sentono in colpa se fanno qualcosa per sé o hanno progetti propri.

Sono talmente abituate a mettere da parte se stesse a favore delle esigenze altrui che “dire di sì” diventa un vero e proprio automatismo.

Sono sempre pronte a servire gli altri a proprie spese perché sono convinte che è ciò che una “brava persona” deve fare.

 

Spesso, in questi casi, accade che aiutino costantemente gli altri ma siano “incapaci di aiutarsi o nutrirsi”:

 lo vivrebbero come egoista o troppo autocentrato.

Perciò mettono i sentimenti altrui al primo posto, ma per ragioni sbagliate:

in profondità, con il servire gli altri, forse fuggono da sé o cercano approvazione.

Questo comportamento può creare un enorme stress perché non si stanno rinnovando le proprie risorse e non si è consapevoli dell’attaccamento al ruolo che si è scelto.

Ci si può esaurire correndo a fare il bene e alla fine trovarsi così svuotati da essere incapaci di aiutare sia gli altri che se stessi.

Il potere di dire NO: i benefici dei limiti.

Imparare a dire di no non significa essere indifferenti o egoisti.

 Al contrario, stabilire dei limiti chiari è un atto di rispetto nei confronti di se stessi che può migliorare la qualità delle nostre relazioni e la nostra produttività.

Ecco alcuni dei principali benefici:

Protezione del benessere emotivo: dire no ci permette di proteggere il nostro tempo e le nostre energie, evitando il sovraccarico di impegni che possono portare a stress e frustrazione.

Miglioramento delle relazioni:

 imparare a stabilire dei limiti chiari permette di avere relazioni più equilibrate. Rispettare i nostri confini ci farà percepire come persone assertive, in grado di comunicare chiaramente le proprie esigenze.

Aumento della produttività e della qualità del lavoro:

dire no a compiti o richieste che non sono in linea con i nostri obiettivi o valori permette di concentrarci su ciò che è veramente importante, migliorando la qualità del nostro lavoro e la nostra soddisfazione personale.

Autorealizzazione:

stabilire dei limiti ci consente di focalizzarci sulle nostre priorità, migliorando la nostra crescita personale e il nostro senso di

a dire no è un processo che richiede pratica e consapevolezza.

Ecco alcune strategie per farlo in modo efficace e rispettoso:

 

Riconoscere le tue priorità.

Il primo passo per imparare a dire no è chiarire quali sono le nostre priorità. Cosa è veramente importante per me? Quali sono i miei obiettivi professionali e personali? Una volta che avremo ben chiaro cosa conta di più nella mostra vita, sarà più facile capire quando una richiesta non si allinea con le nostre esigenze.

 

Comunicare in modo chiaro e assertivo.

Dire no non significa essere scortesi, ma piuttosto comunicare in modo chiaro e assertivo. Possiamo usare frasi come:

“Mi piacerebbe aiutarti, ma in questo momento non posso.”

“Purtroppo non ho il tempo necessario per dedicarmi a questo progetto.”

“Ho bisogno di concentrarmi su altre priorità in questo periodo.”

Essere diretti e chiari aiuta a evitare malintesi e a mostrare rispetto per se stessi e per gli altri.

Imparare a dare una risposta senza giustificarsi troppo.

Spesso, quando diciamo no, ci sentiamo obbligati a spiegare in dettaglio il motivo. Tuttavia, non è necessario giustificarsi in modo eccessivo.

Una risposta breve e sincera è sufficiente per far capire agli altri che non possiamo soddisfare la loro richiesta senza entrare troppo nel dettaglio.

 

Praticare il “dire di NO” in modo graduale.

Se trovi difficile dire no, inizia con richieste meno impegnative e via via aumenta il livello di difficoltà. Questo ti aiuterà a guadagnare fiducia nelle tue capacità di stabilire limiti senza sentirti sopraffatto o colpevole.

Imparare a dire NO anche in ambito lavorativo.

Nel contesto lavorativo, imparare a dire no è fondamentale per evitare il burnout e lo stress da lavoro e mantenere un buon equilibrio tra vita privata e professionale. Ad esempio:

GESTIRE LE RICHIESTE DI LAVORO EXTRA: se un collega o un capo ti chiede di prendere in carico un progetto che non è nelle tue priorità, è importante comunicare chiaramente la tua disponibilità e i tuoi limiti.

Puoi dire: “In questo momento sono concentrato su un altro progetto, ma posso riprenderlo più tardi.”

EVITARE DI ESSERE SEMPRE DISPONIBILE:

se lavori in un ambiente dove le richieste sono frequenti, è essenziale stabilire dei confini per evitare di essere costantemente interrotto e sovraccaricato.

 Dire di NO alle richieste sociali.

Dire di NO alle richieste sociali può essere davvero sfidante, un po’ per FOMO (Fear Of Missing Out), un po’ per senso di colpa.

Anche nella vita sociale però, imparare a dire no è importante per evitare di riempirci di impegni che non desideriamo veramente.

Si possono rifiutare inviti a eventi sociali o attività con un semplice “no, grazie” o con una spiegazione gentile, come “Oggi non mi va di uscire, ma grazie per l’invito.”

 

Superare il senso di colpa.

Un ostacolo comune nell’imparare a dire di no è il senso di colpa.

Molti di noi si possono sentire preoccupati che rifiutando una richiesta si possano ferire gli altri o deluderli.

Tuttavia, è importante ricordare che mettere dei limiti è una parte essenziale del rispetto per sé stessi, e che se noi stessi non rispettiamo i nostri bisogni, non lo faranno neanche gli altri.

 

Puoi superare il senso di colpa ricordando che:

il tuo benessere ha la priorità: se non stabiliamo dei limiti, rischiamo di esaurirci e di non avere più risorse disponibili, né per noi stessi né per gli altri (persino le istruzioni in aereo ci suggeriscono che, in caso di emergenza, dobbiamo indossare la maschera dell’ossigeno noi stessi, prima di aiutare gli altri!);

dire no non significa non essere disponibili: si può rimanere gentili e comprensivi anche quando si rifiuta una richiesta. Stabilire dei limiti non diminuisce il nostro valore come persone.

 Addestrarci all’assertività per imparare a dire NO.

È chiaro che decidere di dire no più spesso, e definire certi limiti nelle proprie relazioni, può essere realizzato in modi differenti e che alcuni modi di dire no producono più problemi di quelli che risolvono (Kabat-Zinn, 2016).

Ad esempio, l’uso di un linguaggio duro o di una risposta secca e aggressiva può contribuire a creare una situazione di stress nella relazione.

Nell’imparare a dire di no può essere utile l’addestramento all’assertività: aumentare la consapevolezza delle nostre emozioni, parole e azioni ci permette infatti di leggere adeguatamente le situazioni e di affrontarle in modo efficace.

In questo caso, il primo passo è proprio esplorare ciò che sentiamo, senza giudicare le nostre emozioni come “buone o cattive”.

Come spiega Kabat-Zinn, quando sai ciò che senti e ti ricordi che le tue emozioni sono semplicemente emozioni, e che va bene viverle e sentirle, puoi cominciare a esplorare modi per rispettarle senza che ti creino ulteriori problemi.

 I problemi sorgono quando ci rendiamo passivi e le squalifichiamo, o quando diventiamo aggressivi, le gonfiamo e reagiamo in maniera eccessiva.

 Essere assertivi significa riconoscere quello che si sta provando e saperlo comunicare in maniera tale da preservare la propria integrità senza minacciare l’integrità altrui.

Assecondare l’altro anche quando non vorremmo agire in un dato modo ci fa provare un senso di scoramento e di insoddisfazione, oltre che emozioni di rabbia verso chi “ci ha messo nella condizione di dover fare…”.

Anche in questo caso, occorre tenere presente che è pur sempre un nostro diritto rifiutare pur rispettando il diritto degli altri di chiedere (Pedrotti, 2008).

Mi permetto di avere delle idee, delle opinioni, dei punti di vista personali e non necessariamente coincidenti con quelli altrui.

Permetto che le mie idee, opinioni e punti di vista siano quanto meno ascoltati e presi in considerazione (non necessariamente condivisi) dalle altre presone.

Mi permetto di richiedere (non di pretendere però!) che le altre persone soddisfino i miei bisogni e necessità.

Mi permetto di dire NO a delle richieste senza per questo sentirmi in colpa ed egoista.

Mi permetto di avere bisogni e necessità anche diverse da quelle delle altre persone.

Mi permetto di provare determinati stati d’animo e manifestarli in modo assertivo se decido di farlo.

Mi permetto di essere umano nel senso di concedermi la “licenza” di commettere errori.

Mi permetto di mutare parere o opinione e di cambiare il modo di pensare.

Mi permetto di essere realmente me stesso anche se questo significa a volte contravvenire a delle aspettative esterne.

Mi permetto di dire: “non capisco”.

Mi permetto di dire: “non mi interessa” quando gli altri mi coinvolgono nelle loro iniziative.

Mi permetto di valutare e decidere se ho la responsabilità di trovare una soluzione ai problemi degli altri.

 

 

 È così che voglio spendere il mio tempo?

Raggiungere un equilibrio tra i sì e i no che esprimiamo non è un’impresa semplice.

Dietro a questa difficoltà c’è la paura, nelle sue svariate forme: può essere la paura di rimanere esclusi, isolati, tagliati fuori, ma anche quella di perdere qualcosa o qualcuno.

Così spesso diciamo sì a cose che ci toglieranno energia, a cose che non vogliamo veramente, alla ripetizione di vecchi schemi e lo facciamo un po’ automaticamente, salvo poi pentircene alla fine della giornata.

 

Ecco qualche ulteriore indicazione che può tornare utile per superare la paura di dire no (Cinotti, 2023):

Pratica la “self compassion “nel dire di no: prendersi cura di noi e dei nostri bisogni non è un atto egoistico: è un atto di cura e di compassione.

Anticipa le tue scelte:

prima di trovarti di fronte a una situazione, stabilisci in anticipo a cosa dire no. Alcuni esempi di situazioni in cui possiamo darci la possibilità di rifiutare includono:

richieste irragionevoli, lavori non retribuiti, attività che non ci interessano, persone che drenano energie e situazioni che ci mettono a disagio o influenzano negativamente il nostro stato d’animo.

Imposta un filtro:

dire no può essere difficile, quindi un buon approccio è applicare un “filtro positivo”:

accettare solo ciò che ci motiva, persone che ci supportano e attività che alimentano i nostri sogni e il nostro benessere.

Chiarisci le tue priorità:

una volta che hai definito chiaramente le tue priorità, sarà più semplice rifiutare. Puoi dire frasi come “Ho preso altri impegni“, “Mi piacerebbe, ma sono già occupato“, o semplicemente “No, grazie“.

Proiettati nel futuro: se ti senti indeciso, prova a immaginare come ti sentirai dopo aver detto no, rispetto a come ti sentirai dopo aver accettato. Scegli l’opzione che ti dà maggiore serenità. In alternativa, puoi proporre un compromesso che soddisfi sia la richiesta dell’altro, sia il tuo bisogno.

Il tempo è infatti un patrimonio limitato. A volte ce ne dimentichiamo e ci comportiamo come se potessimo sprecarlo senza valorizzarlo. Allora chiedersi “È così che voglio spendere il mio tempo?” può fare la differenza rispetto alla possibilità di dire NO o di dire SÌ.

 

Conclusioni.

Imparare a dire no e quindi stabilire limiti chiari in tutti gli ambiti della vita, dal lavoro alle relazioni personali, è un’abilità essenziale per mantenere salute e benessere.

È possibile arrivare a comprendere profondamente che dire no non è un atto di egoismo, come a volte si pensa, ma un atto di rispetto per sé stessi e per gli altri, e che permette di costruire relazioni più autentiche.

Allo stesso modo, si può imparare anche a permettere agli altri di dire “no”: infatti, quando qualcuno ci dice “no”, sta semplicemente dicendo “sì” a un altro aspetto della sua vita.

Con il tempo e la pratica, si può imparare a dire no in modo naturale e sereno, portando maggiore autenticità nelle nostre relazioni e soddisfazione nella vita quotidiana.

Seppur così piccole infatti, il “sì” e il “no” sono due parole di inestimabile valore per ottenere e mantenere la libertà personale.

 

 

 

Perché si ha paura

dell’Intelligenza Artificiale?

Franzcos.it - Francesco Costanzini – (Dic. 8, 2024 – ci dice:

 

Paura e curiosità verso l’intelligenza artificiale

“La cosa migliore o peggiore che potrebbe capitare all’umanità.”

Con queste parole “Stephen Hawking”, fisico teorico e cosmologo di fama mondiale, descrisse l’Intelligenza Artificiale (IA) una decina di anni fa, in occasione dell’inaugurazione del “Leverhulme Centre for the Future of Intelligence “presso l’Università di Cambridge.

L’IA, se sviluppata e utilizzata in modo responsabile, può rappresentare un’opportunità senza precedenti per migliorare la vita dell’uomo, ma le sue potenziali implicazioni negative spaventano e dividono.

 

Da dove nasce questa paura e come possiamo affrontarla in modo consapevole?

Le radici della paura dell’Intelligenza Artificiale.

La perdita di controllo.

Uno dei timori più diffusi è che l’Intelligenza Artificiale possa sviluppare una volontà autonoma, agendo contro gli interessi umani.

Questo scenario, reso popolare dalla fantascienza, al momento rimane teorico, ma la crescente complessità dei sistemi di IA lo rende un tema di dibattito.

Il concetto di “scatola nera”, in cui il funzionamento interno dei modelli di IA risulta opaco anche per gli esperti, alimenta la diffidenza e porta molti a interrogarsi su come mantenere il controllo su tecnologie sempre più avanzate.

In questo contesto, le tre leggi della robotica di “Isaac Asimov”, introdotte nel 1942, richiamano un approccio etico e responsabile nello sviluppo di robot e IA. Sebbene siano una finzione letteraria, forniscono una base concettuale per riflettere su come l’IA possa operare in armonia con gli esseri umani.

Tuttavia, la realtà odierna è ben lontana dall’”Intelligenza Artificiale Generale” (AGI), una tecnologia ipotetica dotata di comprensione e pensiero paragonabile a quello umano.

 

Secondo esperti come “Andrew Ng” (fondatore di Google Brain) e” Stuart Russell” (autore di Human Compatible), l’IA attuale è strettamente specializzata e rientra nella categoria dell’”Intelligenza Artificiale Ristretta” (ANI – Artificial Narrow Intelligence).

Questa forma di IA include sistemi progettati per compiti specifici, come:

Riconoscimento vocale (es. Siri, Alexa);

Algoritmi di raccomandazione (es. Netflix, Spotify);

L’IA può eseguire compiti specifici (come riconoscere la voce, raccomandare contenuti o fare analisi predittive), ma non possiede consapevolezza, intenzionalità o autonomia decisionale.

La responsabilità rimane quindi interamente nelle mani degli sviluppatori e degli utilizzatori umani.

Una delle principali sfide è progettare sistemi di IA che siano “spiegabili” e trasparenti, per ridurre il rischio di utilizzi impropri o dannosi.

 Questa superabilità è essenziale per costruire fiducia nelle applicazioni dell’IA, specialmente in ambiti critici come la sanità e la giustizia.

Inoltre, una collaborazione tra governi, aziende tecnologiche e istituzioni è cruciale per garantire che lo sviluppo dell’IA avvenga in modo responsabile e in linea con i valori etici universali.

 

Perché l’IA è percepita come rischiosa.

Gran parte delle paure legate all’IA deriva dalla narrativa fantascientifica, che per decenni ha presentato scenari distopici in cui le macchine si ribellano contro i loro creatori.

 Film come “Terminator” o “Matrix” hanno alimentato l’immaginario collettivo secondo cui l’IA potrebbe acquisire una volontà autonoma e agire in modo imprevedibile.

Questo approccio emotivo alla tecnologia spesso impedisce di comprendere le sue attuali limitazioni tecniche.

Le innovazioni tecnologiche, nella storia, hanno sempre generato ansia e resistenza, poiché rappresentano un cambiamento rispetto all’ordine esistente. Come sottolinea lo storico “David Nye”, l’idea di “tecnologia fuori controllo” è un mito culturale che accompagna l’umanità da secoli.

Anche l’elettricità e le prime automobili suscitarono timori simili, oggi dimenticati.

La percezione che l’IA sia una “scatola nera” alimenta la sensazione di mancanza di controllo.

Questo è particolarmente vero per i “modelli di machine learning”, che producono risultati basati su miliardi di dati senza che ne siano sempre chiare le logiche interne.

La mancanza di trasparenza aumenta la diffidenza, specialmente quando l’IA viene applicata in ambiti sensibili come la giustizia, la sanità e la finanza.

 

La paura che l’IA possa essere utilizzata in modo improprio da governi autoritari o aziende senza scrupoli aggiunge un altro livello di preoccupazione.

Algoritmi di sorveglianza, ad esempio, sollevano interrogativi sul diritto alla privacy e sulla possibilità di manipolazione di massa.

Inoltre, l’assenza di regolamentazioni uniformi a livello globale aggrava questi timori, lasciando spazio a potenziali abusi.

 

Privacy e sorveglianza.

L’Intelligenza Artificiale si nutre di dati personali per migliorare le sue prestazioni, ma questo solleva importanti questioni etiche.

Come possiamo garantire che questi dati non vengano usati impropriamente?

Sistemi di riconoscimento facciale e algoritmi predittivi sono esempi concreti di tecnologie che rischiano di violare la privacy individuale.

Regolamentazioni chiare e una maggiore trasparenza nella gestione dei dati sono fondamentali per bilanciare progresso e tutela dei diritti.

 

“Bias cognitivi” e disinformazione.

Le paure legate all’IA non sono sempre razionali, ma spesso derivano da pregiudizi cognitivi.

 Uno di questi è la “fallacia del lampione”, un pregiudizio cognitivo che ci porta a cercare risposte o soluzioni solo nei luoghi più ovvi, trascurando alternative meno immediate ma potenzialmente più efficaci.

Il nome deriva da un aneddoto popolare in cui una persona cerca le chiavi smarrite sotto un lampione, non perché le abbia perse lì, ma perché è l’unico punto illuminato.

Allo stesso modo, chi teme che l’IA “rubi il lavoro” spesso ignora la storia e l’evidenza che il mercato del lavoro è un sistema dinamico, capace di espandersi e adattarsi a nuove tecnologie.

 

L’Intelligenza Artificiale ci ruberà il lavoro?

La paura che l’IA causerà una disoccupazione di massa è una delle preoccupazioni più diffuse.

 Questo timore si concentra principalmente sui lavori che potrebbero essere automatizzati, trascurando tre aspetti fondamentali:

la creazione di nuovi settori, l’evoluzione delle competenze e l’espansione economica.

 

Creazione di nuovi settori.

Ogni rivoluzione tecnologica ha generato nuovi settori economici che prima non esistevano.

Ad esempio, l’avvento di” internet” ha portato alla nascita di professioni come il “data scientist”, il “digital marketer” e lo sviluppatore di app, ruoli oggi fondamentali.

 

Secondo il “World Economic Forum”, entro il 2027 l’automazione creerà 69 milioni di nuovi posti di lavoro globalmente, bilanciando la perdita prevista di 83 milioni di ruoli tradizionali. Il rapporto evidenzia come il cambiamento richieda capacità di adattamento e l’acquisizione di nuove competenze per trarre vantaggio dalle opportunità emergenti.

L’”ILO Working Paper” sottolinea che il 60% dei lavori attuali non esisteva negli anni ’40, dimostrando che l’innovazione tecnologica è sempre stata un motore di trasformazione del mercato del lavoro.

Evoluzione delle competenze.

Molte professioni non scompaiono completamente, ma si trasformano.

L’IA tende ad automatizzare compiti specifici anziché intere professioni.

Secondo uno studio di “Mondo Lavoro”, alcune professioni tradizionali, come operatori telefonici, impiegati amministrativi e cassieri, sono destinate a ridursi progressivamente.

Tuttavia, la digitalizzazione e l’IA offrono possibilità per professioni che richiedono competenze tecniche o creative avanzate.

 

Gli strumenti di IA possono, ad esempio, automatizzare compiti ripetitivi come la gestione delle fatture, permettendo ai contabili di concentrarsi su analisi strategiche e consulenze personalizzate​.

 Le diagnosi supportate dall’IA non sostituiranno i medici, ma li aiuteranno a prendere decisioni più rapide e accurate, migliorando la qualità delle cure.

Nei paesi ad alto reddito, secondo l’”International Labour Association” il 13,4% delle professioni potrebbe beneficiare dell’effetto di potenziamento tecnologico dell’IA, migliorando produttività ed efficienza.

Al contrario, nei paesi a basso reddito, le barriere infrastrutturali limitano l’automazione, favorendo un approccio più incrementale:

ad esempio il “World Economic Forum,” parla di come esperti in sicurezza informatica, sviluppatori di software e analisti di dati siano in rapida crescita, rispondendo alle nuove esigenze del mercato digitale.

 

Come superare la paura dell’IA.

La paura dell’Intelligenza Artificiale, spesso alimentata da disinformazione e immaginari distopici, può essere affrontata con un approccio consapevole e informato.

Ecco tre passi fondamentali per gestire questa transizione tecnologica:

Informazione e consapevolezza.

Comprendere il funzionamento dell’IA è il primo passo per superare i timori infondati.

Imparare cosa può e cosa non può fare l’IA aiuta a distinguere la realtà dai miti. L’educazione su questi temi deve essere accessibile a tutti, dai professionisti ai neofiti, per costruire una cultura tecnologica che riduca la diffidenza e promuova un utilizzo responsabile.

Formazione e adattabilità.

Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente, e l’investimento in competenze digitali e trasversali è più importante che mai.

Il re-skilling e l’up-skilling sono strumenti essenziali per affrontare le sfide del mercato. Non si tratta solo di apprendere nuove tecnologie, ma di sviluppare la capacità di adattarsi a ruoli che evolvono grazie alla collaborazione uomo-macchina.

Etica e regolamentazione.

Lo sviluppo dell’IA deve essere guidato da principi etici e regolamenti chiari per garantire che questa tecnologia sia utilizzata in modo responsabile.

 Un esempio concreto di sforzo normativo in questa direzione è rappresentato dall’”AI Act”, una proposta legislativa dell’Unione Europea che mira a regolamentare l’uso dell’Intelligenza Artificiale.

Questo regolamento classifica le applicazioni dell’IA in base al livello di rischio, stabilendo requisiti specifici per garantire trasparenza, rispetto della privacy e sicurezza.

L’”AI Act” promuove la protezione dei diritti fondamentali e l’adozione di sistemi IA che siano spiegabili e privi di discriminazioni.

 Inoltre, richiede che i sistemi IA ad alto impatto siano sottoposti a valutazioni di conformità prima di essere immessi sul mercato.

Questo quadro regolatorio rappresenta un passo fondamentale per costruire un ecosistema tecnologico che serva l’interesse dell’uomo, richiedendo una stretta collaborazione tra governi, aziende tecnologiche e istituzioni per garantire un equilibrio tra innovazione e protezione dei cittadini.

 

La paura dell’IA è comprensibile, ma non deve paralizzarci.

La storia ci insegna che il progresso tecnologico, se gestito con responsabilità, porta benefici duraturi e migliora la qualità della vita.

 È tempo di abbracciare il cambiamento con curiosità e consapevolezza, preparandoci a cogliere le opportunità offerte dall’IA per costruire una società più inclusiva e innovativa.

Approcciare questa tecnologia con apertura mentale e preparazione ci permetterà di utilizzarla come uno strumento al servizio dell’uomo.

 

 

 

Paura dell'Intelligenza Artificiale?

 

Ilpopolo.cloud.it – (14 Luglio 2024) – democrazia cristiana – ci dice: 

Domanda a” ChaGPT.

Dammi il tuo parere su questo brano.

Io non credo che si debba aver paura delle macchine IA.

Le macchine sono sempre guidate da uomini.

 La macchina non pensa, non è intelligente, lavora su programmi creati dagli esseri umani.

 Quindi sono quegli uomini che hanno il potere di gestire le macchine che le possono usare per fare del male ad altri uomini o a tutta l'umanità.

Sono questi gestori delle macchine, non le macchine, che devono farci paura.

 

Per ottenere un uso corretto dell’IA è necessario:

 

I) che si sappia chi sono gestori dei mezzi di IA diffondendo i loro nomi e cognomi e ragioni sociali;

 

II) che sia chiesto a questi uomini di mettere, "democraticamente", le macchine dell'IA a disposizione dei singoli e delle comunità umane piccole o grandi.

 

Certo finché saranno pochi magnati a detenere il potere di usare nel loro esclusivo interesse le macchine saremo in pericolo.

Ma non è detto che questa situazione non possa essere cambiata. Occorre diffondere la consapevolezza che l'IA deve rimanere a disposizione di tutti.

Osserverei in proposito che i “creatori” e “padroni” dell’IA, per diffondere l’uso di questa tecnologia, devono in qualche modo renderla accessibile a chiunque.

Non è un caso che i primi “chatbot” (programmi che simulano conversazioni con gli esseri umani) siano stati diffusi come “open”: aperti; utilizzabili gratuitamente da qualunque persona.

Pertanto chiunque lo voglia può porre domante in qualsiasi materia a questi “chabot”.

 In particolare può porre domande su come l’IA possa essere usata nell’interesse di tutta l’umanità e non nell’esclusivo interesse dei suoi proprietari e di coloro che già detengono il potere economico, politico e culturale nei vari paesi del mondo.

Dialogando con questi chatbot ogni persona può diventare, sia pure in misura minima, un “addestratore” delle macchine intelligenti.

Queste infatti, a quanto sembra di capire, apprendono progressivamente anche dalle domande dei loro utenti.

 

Osserveremo ancora.

Di certo l’IA non può costringere nessun umano a rinunciare ad usare la sua intelligenza umana.

Quindi ogni persona in grado di pensare con la propria testa sarà capace di confrontarsi con le macchine intelligenti per valutare criticamente i loro “discorsi”.

 

Come ci fa notare “Albert Einstein” "Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno".

Quindi sui problemi più importanti del vivere e del convivere umano sia i proprietari che gli utenti dell’IA potranno - e dovranno - decidere di essere, tutti insieme, padroni e non schiavi delle macchine.

Personalmente non escluderei che proprio le macchine dell'IA possano aiutare gli uomini di buona volontà (compresi anche i creatori e proprietari della tecnologia) a mantenere aperto a tutti l'uso dell'IA e a favorire così il contributo di chiunque al progresso civile dell'umanità.

Risposta di ChatGPT.

 

"Il brano presenta un'argomentazione sulla paura percepita dell'intelligenza artificiale (IA) e sottolinea che la vera preoccupazione dovrebbe essere rivolta alle persone che controllano queste macchine. Viene citata una frase di Albert Einstein: "Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno."

 L'autore sostiene che le macchine, che sono intrinsecamente non intelligenti e operano su programmi creati dagli esseri umani, non sono la vera fonte di paura.

Invece, sono le persone che gestiscono queste macchine che potrebbero abusare del loro potere.

 

I punti chiave del brano includono:

Trasparenza dei gestori dell'IA: L'autore suggerisce che i nomi e i dettagli di coloro che gestiscono l'IA dovrebbero essere pubblicamente noti per garantire la responsabilità.

Accesso democratico all'IA:

Dovrebbe esserci uno sforzo per rendere la tecnologia IA disponibile a tutte le comunità, non solo a pochi individui o corporazioni potenti.

Concentrazione attuale del potere: Il pericolo risiede nel fatto che solo pochi individui ricchi attualmente hanno il controllo sull'IA, utilizzandola per il loro esclusivo beneficio.

Potenziale di cambiamento:

Questa situazione può essere cambiata diffondendo la consapevolezza e assicurando che l'IA rimanga accessibile a tutti.

IA open source:

Il rilascio iniziale dei “chatbot” come “software open-source” è visto come un passo positivo, permettendo a chiunque di utilizzare e apprendere da queste tecnologie.

Coinvolgimento umano nella formazione dell'IA:

 L'interazione con i chatbot IA permette agli individui di partecipare alla formazione e allo sviluppo di questi sistemi, anche se su scala ridotta.

Intelligenza umana vs. IA: L'IA non può sostituire l'intelligenza umana (IU). Gli individui capaci di pensiero critico possono interagire con l'IA e valutare criticamente i suoi output.

Proprietà e uso collettivo dell'IA: Sia i creatori che gli utenti dell'IA devono lavorare insieme per garantire che l'IA benefici l'umanità nel suo complesso, piuttosto che essere strumenti di oppressione o controllo.

IA come strumento di democratizzazione: L'autore è ottimista sul fatto che l'IA possa aiutare a democratizzare la conoscenza e le risorse se gestita e utilizzata responsabilmente da individui di buona volontà.

In generale, il brano sostiene un approccio collettivo e trasparente alla gestione dell'IA, enfatizzando la supervisione e la partecipazione umana per sfruttare il potenziale dell'IA a beneficio del bene comune."

Domanda.

Tu pensi che i gestori di ChatGPT condividano le idee di questo brano?

Risposta di ChatGPT.

"Le idee espresse nel brano sembrano allinearsi con i principi di trasparenza, accessibilità e uso etico dell'intelligenza artificiale che molti sviluppatori di IA, inclusi quelli di ChatGPT, tendono a promuovere.

 OpenAI, l'organizzazione dietro ChatGPT, ha chiarito in diverse occasioni il proprio impegno verso un uso responsabile e trasparente dell'intelligenza artificiale.

Ecco alcuni punti di convergenza tra il brano e i principi di OpenAI:

Trasparenza:

OpenAI pubblica regolarmente documenti e ricerche sulle sue tecnologie, e cerca di essere trasparente riguardo agli sviluppi e alle limitazioni delle sue IA. Questo riflette l'idea nel brano di rendere pubblici i nomi e le responsabilità di chi gestisce l'IA.

Accessibilità democratica:

OpenAI ha reso accessibili molti dei suoi strumenti e modelli IA al pubblico, promuovendo l'uso di IA in diverse comunità, grandi e piccole.

Questa azione è in linea con l'idea del brano di democratizzare l'uso dell'IA.

Uso etico e responsabile:

OpenAI promuove l'uso etico dell'IA e ha implementato linee guida e sistemi di monitoraggio per evitare abusi e usi malevoli delle sue tecnologie.

Questo corrisponde alla preoccupazione del brano che l'IA venga usata nell'interesse dell'umanità piuttosto che per il guadagno esclusivo di pochi.

Interazione umana con l'IA:

 L'idea che gli utenti possano interagire con i “chatbot” e contribuire al loro sviluppo è anche un punto di forza di OpenAI, che incoraggia il feedback degli utenti per migliorare continuamente i suoi modelli.

Promozione del pensiero critico:

OpenAI sostiene che gli utenti mantengano un pensiero critico e usino l'IA come strumento complementare, senza rinunciare alla propria intelligenza e capacità di giudizio.

In sintesi, OpenAI sembra condividere molte delle idee centrali del brano riguardo alla trasparenza, accessibilità democratica e uso etico dell'IA.

Tuttavia, come organizzazione, deve anche bilanciare questi ideali con considerazioni pratiche e commerciali per garantire la sostenibilità e il continuo sviluppo delle sue tecnologie.”

Dal contenuto del dialogo, se non abbiamo capito male, è possibile trarre questa conclusione.

Le macchine IA, opportunamente interrogate, forniscono esse stesse i criteri per un loro uso etico e responsabile: vantaggioso per tutti (compresi i gestori dell’IA) e dannoso per nessuno.

(Giorgio Pizzol).

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