Il robot e l’uomo.
Il
robot e l’uomo.
Robot
intelligenti e “umani”:
presente
e futuro della biorobotica.
Agendadigitale.eu
– (28 aprile 2025) – Paolo Dario – ci dice:
(Paolo
Dario - Direttore Scientifico di ARTES 4.0 e Professore Emerito della Scuola
Superiore Sant'Anna di Pisa).
Cultura
e società digitali.
La
biorobotica unisce biologia e robotica per creare tecnologie che supportano
l’umanità.
Dai
robot chirurgici alle protesi intelligenti, questa disciplina rivoluzionaria
sviluppa soluzioni concrete per la salute, l’assistenza e la tutela
dell’ambiente.
La
biorobotica rappresenta oggi il ponte tra l’ingegneria robotica e le scienze
della vita, un campo rivoluzionario che va ben oltre le visioni
fantascientifiche per offrire soluzioni concrete alle sfide dell’umanità.
Attraverso
lo studio e l’imitazione dei sistemi biologici, questa disciplina sviluppa
tecnologie che non sostituiscono l’uomo, ma lo supportano e potenziano,
dall’assistenza medica alla tutela ambientale.
L’opinione
pubblica della quarta rivoluzione industriale teme che i robot possano
sostituire le persone.
Ma
mentre l’intelligenza artificiale è sempre più mainstream e sembra invadere
qualunque nostra percezione sulla tecnologia, io credo che l’intelligenza debba
andare alla fisicità delle macchine, e che queste possano essere concretamente
di supporto e aiuto alle esigenze dell’umanità e dell’ambiente.
Indice
degli argomenti:
Origine
e significato della biorobotica.
La
nascita e l’affermazione della biorobotica.
Gli
approcci della biorobotica: bio-ispirazione e bio-applicazione.
Biorobotica
e intelligenza artificiale: l’importanza della fisicità.
Le applicazioni
della biorobotica per l’umanità e l’ambiente.
Le
sfide future della biorobotica.
La
biorobotica nel prossimo futuro.
La
biorobotica per migliorare la vita quotidiana.
Origine
e significato della biorobotica.
L’ambizione
di realizzare creature artificiali intelligenti simili a ciò che è umano, gli
“umanoidi”, appartiene in qualche modo al confine tra scienza e fantascienza
che, se da una parte ha arricchito il nostro immaginario e la creatività di
artisti, registi e scrittori e scrittrici, dall’altra ha stimolato le sfide
dell’ingegneria e della ricerca consentendo il passaggio dalle tecno-utopie al
post-umano che tanto “post” non è più:
i robot sono già tra noi, nella nostra vita
quotidiana, compagni alleati tra specie umana e macchine intelligenti per
affrontare insieme le grandi sfide della conoscenza, della dignità e della
difesa del pianeta, del supporto alla vita delle persone.
Non a caso coniammo il termine “biorobotica”,
dove il prefisso “bio” rappresenta la necessaria attenzione a questi aspetti.
La
nascita e l’affermazione della biorobotica.
Quando
iniziammo a parlare di biorobotica, circa quarant’anni fa, sembrava un concetto
quasi visionario.
Oggi
invece è diventata una scienza pienamente affermata, capace di incidere
profondamente sulla nostra vita, sulle tecnologie che utilizziamo, sulla salute
e sulla comprensione stessa del funzionamento del corpo umano.
Personalmente
ho avuto l’onore e la fortuna di contribuire alla nascita di questa disciplina,
convinto sin da subito che la robotica potesse e dovesse diventare non solo una
tecnologia applicata all’industria, ma un campo scientifico in grado di
dialogare con la biologia, la medicina, le neuroscienze, l’ambiente.
Nei
primi anni Ottanta provammo ad applicare la robotica alla soluzione delle
esigenze di salute delle persone:
a quel tempo, parlare di robot applicati al
corpo umano suscitava diffidenza, a volte persino ironia.
Eppure,
nel 1989 contribuimmo a organizzare uno dei primi convegni internazionali
dedicati al tema.
Era una scommessa culturale e scientifica.
La
fondazione dell’”Istituto di Bio-Robotica della Scuola Superiore Sant’Anna” ha
rappresentato il coronamento di un percorso iniziato con pochi allievi, oggi
più di 300 tra ricercatori, docenti e colleghi.
Oggi
l’Istituto è riconosciuto a livello mondiale come uno dei centri d’eccellenza
nel settore ed una delle più grandi scuole di dottorato al mondo.
Gli
approcci della biorobotica: bio-ispirazione e bio-applicazione.
All’inizio,
persino usare la parola biorobotica era considerato eccessivo.
Ma io
ero e resto convinto che servisse una massa critica di scienziati/e ed
ingegneri/e per esplorare un territorio nuovo, in cui biologia e ingegneria
potessero convergere.
Abbiamo
sviluppato la distinzione tra bio-ispirazione, ovvero osservare la natura per
imitarla, e bio-applicazione, cioè usare la robotica per risolvere problemi
concreti in medicina e riabilitazione.
Con la
biorobotica abbiamo progressivamente dato concretezza a concetti che sembravano
destinati alla fantascienza:
la chirurgia robotica, le protesi
intelligenti, i robot collaborativi capaci di condividere spazi e compiti con
l’uomo.
Oggi è
normale parlare di robot in sala operatoria.
Ma negli anni Ottanta solo ipotizzarlo
appariva folle.
Eppure, siamo riusciti a trasformare quel
sogno in realtà, sviluppando successivamente altri ambiti, fino al punto in cui
la robotica ha iniziato a uscire dalle fabbriche e ad affiancare l’essere umano
in compiti sempre più raffinati e delicati.
Biorobotica
e intelligenza artificiale: l’importanza della fisicità.
In
questo processo, anche l’intelligenza artificiale ha giocato un ruolo
importante, ma non sempre determinante.
Abbiamo
assistito a fasi alterne di entusiasmo e disillusione: le reti neurali, la
mancanza di dati, i limiti computazionali.
Oggi,
grazie alla diffusione di smartphone e sensori, l’AI ha conosciuto una nuova
stagione.
Tuttavia, la vera sfida rimane la fisicità, la
capacità di replicare la grazia di un gatto, l’equilibrio del corpo umano,
l’armonia del gesto.
Le
applicazioni della biorobotica per l’umanità e l’ambiente.
La
nostra ricerca guarda in due direzioni:
capire
come funziona il mondo vivente – animali, piante, esseri umani – e progettare
soluzioni tecnologiche per affrontare problemi concreti.
Dalla
riabilitazione alle disabilità, dalla chirurgia alla cura dell’ambiente.
Sì,
perché la biorobotica si occupa anche di aiutare il nostro pianeta, con
macchine che intervengono in ambienti inquinati, che monitorano la
biodiversità, che migliorano l’efficienza energetica. È una visione olistica,
che parte dalla vita per restituirle vita.
Un
robot è prima di tutto un corpo che agisce nel mondo reale.
È lì che si gioca la sua utilità e la sua
efficacia.
Per
questo continuo a pensare che non basti un software intelligente:
serve
una meccanica intelligente, un corpo ben progettato, una comprensione profonda
della biomeccanica e della fisiologia.
In
questo senso, ho sempre creduto nell’importanza del dialogo tra robotica e
neuroscienze, come nel progetto” Neurobotics”, uno dei primi tentativi di
integrazione profonda tra queste due discipline.
Non a
caso oggi si parla di “robotica collaborativa”, e l’Europa – l’Italia in primis
– ha dato un contributo determinante in questo campo.
I robot che immaginiamo per il futuro non dovranno
necessariamente parlare come esseri umani, ma dovranno sapere aiutare,
fisicamente, nei gesti quotidiani, nella cura, nell’assistenza.
Saranno “compagni di strada”, silenziosi e
discreti, ma sempre più presenti.
Le
sfide future della biorobotica.
Il
futuro della biorobotica si giocherà dunque su molte sfide, ma una è più
decisiva delle altre, quella da cui partii tanti anni fa:
capire
meglio il corpo umano per progettare macchine che non lo sostituiscano, ma lo
completino.
Da qui
derivano nuove esigenze ingegneristiche: materiali più leggeri, più efficienti,
più sostenibili.
Serve
un pensiero che unisca scienza fisica e sensibilità umanistica.
Non si
tratta solo di realizzare nuove tecnologie, ma di farlo in modo etico e
consapevole.
Il
riferimento a “virtute e canoscenza” del XXVI Canto dell’Inferno – che cita
Ulisse – mi accompagna da sempre.
Rappresenta
la sintesi tra sapere e valore, tra spinta alla scoperta e senso di
responsabilità.
La
biorobotica deve essere questo: una scienza che fa bene, che innova senza
dimenticare il bene comune.
La
biorobotica nel prossimo futuro.
Guardando
al futuro, non vedo rivoluzioni improvvise, ma un’evoluzione profonda. Le
conoscenze si stanno integrando, le competenze si fondono.
I giovani, oggi, sono la linfa della robotica
mondiale, e la loro presenza massiccia ai congressi internazionali è un segnale
fortissimo.
Stiamo
andando verso un mondo in cui la coabitazione tra umani e robot sarà una
realtà.
Dalle
auto autonome ai droni, dai robot subacquei a quelli domestici, le applicazioni
robotiche saranno ovunque e con chiunque.
Nessuno
aveva immaginato davvero l’impatto di Internet o dell’iPhone.
Le vere rivoluzioni, quelle che cambiano
tutto, sono imprevedibili.
Ma una
cosa l’ho imparata e la insegno: le rivoluzioni sono più spesso figlie della
scienza che della tecnologia.
Sono
le scoperte fondamentali che aprono strade mai viste prima.
La
biorobotica per migliorare la vita quotidiana.
Penso
che i prossimi salti arriveranno dalla biologia, dalla fisica, dai nuovi
materiali. E saranno questi a renderci capaci di costruire robot migliori,
davvero compagni.
Il mio
sogno continua a essere quello dei robot personali, che ci affianchino nella
vita quotidiana.
Non più intelligenti di noi, ma capaci di
parlare come Dante o Shakespeare. Devono essere forti, affidabili, silenziosi,
come un bravo maggiordomo inglese.
Che pulisce il bagno, rifà il letto, mette in
ordine.
Non devono minacciare o emozionare, devono
aiutare.
Questa
è la mia idea di robotica: un campo che nasce dallo stupore, cresce nella
conoscenza, e si realizza nell’utilità per l’uomo e per il mondo.
Non
sarà la fantascienza a guidarci, ma una scienza concreta, rigorosa e
appassionata, nata dallo studio della natura e mossa dalla volontà di
migliorare la condizione umana.
I
robot tra scienza e filosofia:
ecco
come ridefiniscono
le
relazioni umane.
Agendadigitale.eu
– (20 aprile 2023) – Paolo Ricci Sindoni – ci dice:
(Paolo
Ricci Sindoni -Docente di Filosofia morale, Università di Messina e componente
del Consulting Committee UCBM).
Cultura
e società digitali - Intelligenza artificiale generativa.
Le
nuove interazioni uomo-robot in ambiti quali la sanità e l’assistenza
modificano i rapporti sociali, ponendo la tecnica al punto cruciale di
intersezione fra persona e società.
Da
queste correlazioni si creano nuovi ambiti e differenti modelli, in grado di
ridefinire la complessità etica delle relazioni umane
Negli
ultimi dieci anni alcuni tipi di robot collaborativi, “agenti artificiali ad
autonomia crescente”, hanno ampliato il registro delle loro capacità
percettive, empatiche, cognitive ed operative.
Parliamo
di robot socialmente interattivi che stanno trovando molteplici applicazioni
pratiche in ambienti di lavoro e di vita, come ad esempio nell’ambito sanitario
o nell’assistenza alla persona, risultando sempre più graditi sia alle aziende
sia ai singoli utenti.
Indice
degli argomenti:
Il
pensiero antropologico ed etico sul confronto uomo-robot.
Il
rapporto necessario e complesso tra robot e esseri umani.
Il
concetto di responsabilità.
Conclusioni.
Il
pensiero antropologico ed etico sul confronto uomo-robot
La
riflessione sulle capacità che stanno assumendo i robot, così come
l’intelligenza artificiale e tutti i sistemi intelligenti, non deve far perdere
di vista il loro fine ultimo che è la persona.
I
robot vanno consideranti innanzitutto come un fattore abilitante della persona,
uno strumento per facilitare il nostro futuro, mezzi altamente tecnologici da
mettere a servizio del bene e del benessere della persona.
Certo
è che la loro presenza e potenza stanno crescendo a ritmi elevati, anche se
meno velocemente rispetto alle previsioni di alcuni anni fa.
Se infatti nel 2018 il “World Economic Forum”
prospettava, per il 2025, il 50 per cento delle mansioni lavorative associate
ai robot, oggi l’asticella è stata spostata in avanti e le proiezioni parlano
del raggiungimento di quei livelli nel 2040.
Se
dunque il confronto uomo-robot su larga scala è appena rimandato, è urgente
comprendere se e come il pensiero antropologico ed etico riescano a muoversi in
questo nuovo scenario, che interpella la nostra responsabilità e la nostra
capacità di interpretare questa grande opportunità scientifica.
Non
vorrei infatti – come talvolta è capitato – che scienza da un lato e filosofia
dall’altro iniziassero, da parti opposte, a scavare un tunnel sotto la
montagna, finendo però per non incontrarsi mai.
La
speranza invece è che riescano a trovare un terreno comune di elaborazione
culturale, in grado di valorizzare al meglio tutte le risorse per quello che
possiamo chiamare “personalismo relazionale”.
Questo
spazio sembra possibile individuarlo laddove, come all’Università Campus
Bio-Medico di Roma e in altri atenei del mondo, la robotica è terreno di
quotidiano confronto tra medici e ingegneri che lavorano insieme per dar vita a
una medicina sempre più personalizzata.
La
tecnologia centrata sulla persona è proprio questo:
sviluppo
di strumenti utilizzabili dai medici che siano adattabili a un sempre maggior
numero di pazienti.
Strumenti
che possano tener conto dello stato della persona e del loro comportamento,
migliorando quindi il rapporto stesso del paziente con il robot rendendolo
sempre più fisiologicamente accettabile e quindi effettivamente efficiente e
utilizzabile.
Ecco
perché, per esempio, oggetti innovativi come gli esoscheletri per la
riabilitazione dopo gravi lesioni stanno avendo successo e avranno grande
sviluppo nei prossimi anni diffondendosi come strumento di cura.
Il
rapporto necessario e complesso tra robot e esseri umani.
Il
ruolo della scienza e della tecnica nell’introduzione dei robot e quello della
filosofia nello strutturare il rapporto tra l’uomo e le nuove macchine, con le
implicazioni che riguardano la persona e il suo approccio alla realtà, sono
state al centro di una lezione aperta lo scorso 22 marzo presso l’Università
Campus Bio-Medico di Roma.
Organizzato
dal Consulting Commitee – “Comitato Universitario per la Filosofia e la Scienza”,
l’incontro ha ospitato il prof. Paolo Dario, professore Emerito della Scuola
Superiore Sant’Anna di Pisa tra i pionieri mondiali della robotica, e offerto
il contributo di studenti, docenti e ricercatori universitari impegnati nello
sviluppo di progetti integrati nei quali robotica ed etica sono strettamente
interconnesse.
Obiettivo:
fare
il punto sul rapporto necessario ma complesso tra robot ed esseri umani
segnalando la necessità di fissare precise regole che pongano alla base il
valore della responsabilità umana.
Il
concetto di responsabilità.
Ed è
proprio quando si ricercano e sperimentano le soluzioni più innovative che diventa
cruciale tenere conto del concetto di responsabilità.
E’ lì che si entra profondamente in contatto
con il significato che una tecnologia può assumere quando entra nei gesti che
compongono la nostra vita. Soluzioni tecnologiche innovative in grado di
sostituirsi alle capacità umane richiedono infatti risultati robusti, che
sappiano cioè riprodurre la complessità che normalmente la nostra mente e il
nostro cuore sono in grado di gestire. Così la filosofia morale e i suoi valori
entrano a pieno titolo nell’ambito della tecnologia e la responsabilità degli
scienziati si arricchisce di un ulteriore aspetto particolarmente incisivo.
Se in
molti casi, come accade già in alcune parti del mondo come in Giappone, le
persone anziane assistite nelle case di riposo hanno mostrato maggiore
gradimento per i robot (che li curano e ne riconoscono alcune emozioni)
piuttosto che per i tradizionali infermieri, dobbiamo in primo luogo
interrogarci sulla necessità di attivare sempre di più fra noi umani un’etica
della condivisione, della vicinanza, della gentilezza, dell’accoglienza che a
volte si può perdere; dall’altro lato dovremo prendere atto di come queste
nuove interazioni modifichino i rapporti sociali generali, ponendo la tecnica
al punto cruciale di intersezione fra persona e società.
Da
queste correlazioni infatti si creano nuovi ambiti e differenti modelli, in
grado di ridefinire la complessità etica delle relazioni umane anche
nell’ordine dei comportamenti e nella ridefinizione dei valori in campo. In
tale prospettiva tutte le forme hard di antropocentrismo sono destinate ad
eclissarsi, per far posto ad un intreccio di relazioni ancora tutte da
ripensare, e che possono genericamente essere comprese nel grande capitolo del
rapporto fra cultura personalista e tecnologia all’interno del quale l’etica,
intesa come rivalutazione dinamica dei valori e dei principi morali sembra
assumere un ruolo decisivo.
In
riferimento all’ “autonomia” dell’agente artificiale, specie in ordine alle
questioni morali, alla costruzione cioè di artefatti artificiali in grado di
decifrare la differenza fra bene e male, va detto che potrebbero non esserci
limiti di ordine tecnico, ma certamente di ordine etico chiamando in causa la
nostra responsabilità morale ed anche politica.
Conclusioni.
Non
sappiamo dunque se verranno posti limiti, e quali, alla costruzione dei robot.
Di certo esistono oggi limiti netti che noi stessi poniamo (nell’ambito
assistenziale come in altri) nel considerare gli uomini come unici soggetti
deputati allo svolgimento di determinate mansioni lavorative.
Ancora
una volta diventa necessario riaprire la possibilità della creazione di un
nuovo circolo relazionale che veda l’anziano (o il malato), il medico,
l’ingegnere, il robot e l’infermiere dentro un circuito virtuoso di
correlazioni che si intrecciano e si potenziano a vicenda.
Insomma
un’etica relazionale di tipo circolare, ma che veda un nucleo generatore negli
obiettivi e nei valori indicati dall’uomo. Superata la tradizionale visione
totalitaria dell’antropocentrismo, potrebbe insinuarsi una nuova prospettiva,
riassunta nella felice espressione, utilizzata da alcuni robotici, “Human in
the loop” l’umano nello snodo, nel crocevia delle relazioni, nel punto, sempre
dinamico e mobile, di un movimento che non può girare su sé stesso, ma che
preveda che sia sempre l’uomo a prendere l’ultima decisione.
L’uomo
in the loop, ma anche “at the end of the loop”.
Robotica
Psico-sociale: i progressi
nell’interazione
Uomo-Macchina.
Stateofmind.it
– (13 ottobre 2021) - Concetta Papapicco – ci dice :
E se
l’uomo fosse sostituito dai robot? Questa domanda è sempre più esasperata in
relazione al progresso dell’Intelligenza Artificiale (IA).
Robot
e interazione uomo-macchina progressi tra vantaggi e timori.
Qual è
il compito dei robot?
Uno
dei compiti è sicuramente quello di sostituire l’uomo, ma non con il progetto
di eliminarlo, bensì per evitare lavori pericolosi o stancanti.
Le
persone sono da tempo interessate alle macchine che simulano i processi
naturali, in particolare alle tecnologie che replicano il comportamento e/o
l’aspetto umano.
Questo
desiderio ha radici antiche:
partendo
dalla creazione di una varietà di ‘simulacri’ in Egitto circa 2000 anni fa,
fino alla costruzione di dispositivi altamente sofisticati, creati utilizzando
le conoscenze scientifiche (Richter, 2015).
Altri esempi impressionanti di simulazioni
umane includono prime forme di androidi costruiti nel XVI, XVII e XVIII secolo
in Europa, dove sono state costruite una varietà di macchine, in grado di
simulare attività umane, come la scrittura o la danza.
Da
questi primi interventi di simulazione nasce l’ambiziosa sfida tecnologica e
scientifica del tentativo di replicare la flessibilità e l’adattabilità
dell’intelligenza umana (Breazeal, 2004).
In
questa veloce evoluzione, a delinearsi è un dilemma morale: e se l’uomo fosse sostituito dalle
macchine?
Questa domanda è sempre più esasperata in
relazione al progresso dell’Intelligenza Artificiale (IA) fino alla comparsa
dei robot.
In
risposta a questo dilemma morale, invero, alcune parti della cultura
contemporanea reagiscono infondendo un rifiuto e una paura apocalittica.
Questo
è visibile anche da scenari trasmessi dal cinema, dove il robot è rappresentato
come uno schiavo meccanico, che si ribella e conquista il mondo eliminando il
nemico umano.
Ciò
che, infatti, spaventa di più la società contemporanea è l’autonomia, ovvero la
capacità di ragionare, apprendere e risolvere i problemi in maniera autonoma.
Ma
cosa sono i robot?
La
parola “robot” deriva dal ceco ‘robota’, ovvero ‘lavoro servile’, con cui lo
scrittore cèco “Karel Čapek” denominava gli automi che lavorano al posto degli
operai nel suo dramma fantascientifico R.U.R., del 1920.
Al di
là di questa immagine fantascientifica di “Čapek”, è evidente che i robot fanno
parte della nostra vita:
pensiamo alle aspirapolveri automatiche,
capaci di mappare il territorio ed evitare gli ostacoli.
Qual
è, quindi, il compito dei robot?
Uno dei compiti è sicuramente quello di
sostituire l’uomo, ma non con il progetto di eliminarlo, bensì per evitare
lavori pericolosi o stancanti.
Il
fatto che, con l’evoluzione tecnologica, ci siano più generazioni di robot (dal
doll-like allo human-like) non ci deve far dimenticare che il robot non è in
grado di attribuirsi da sé “stati mentali”, che restano sotto il controllo
esterno ed estraneo (Damiano et al., 2019, p. 21), in genere di chi lo
programma, ovvero dell’essere umano.
Questo
modo di risignificare il robot come “sostituto”, per cercare di rispondere al
dilemma etico, ci fa comprendere che è necessario anche ripensare il rapporto
Uomo-Macchina, o meglio, Uomo-Robot.
La ricerca scientifica, soprattutto,
psico-sociale non si limita a prendere una posizione nel dibattito sulla natura
della mente, ma i robot diventano strumenti di una trasformazione sociale (Damiano et al., 2019, p 22).
In
questa trasformazione sociale, ad esempio, i robot possono interagire con i
bambini per aiutarli nella raccolta differenziata (De Carolis et al., 2019) o
ad “empatizzare” con persone anziane (Garcia et al., 2017).
La
logica, quindi, non è quella di sostituzione di figure professionali, che
interagiscono con i bambini o con gli anziani, ma quella di supportare, ad
esempio gli operatori, magari oberati di lavoro, nella pratica clinica o
educativa.
Da
queste premesse, risulta necessaria la branca della psicologia che si occupa di
interazione Uomo-Robot, verso una robotica psico-sociale, capace, ad esempio,
di interrogarsi sull’interazione emotiva Uomo-Robot, dando, magari, avvio ad
una generazione di Robot con “Intelligenza Emotiva Artificiale” (Papapicco, 2021).
Apprendere
a interagire e a collaborare
con i
robot: l’apporto delle scienze cognitive.
Tech4future.info
– (18 -3 -2022) – Paola Cozzi – ci dice:
Dalle
scienze cognitive, un possibile metodo di insegnamento-apprendimento affinché
l’essere umano - nei luoghi di lavoro, nei luoghi di cura o in ambito domestico
- possa interagire e collaborare in modo sempre più efficace con i robot.
TAKEAWAY.
Riuscire
a prevedere (perché li si sa riconoscere) i comportamenti dei robot, i loro
movimenti all’interno di un determinato spazio, è tra le abilità più complesse
da acquisire da parte dell’essere umano nell’ambito dell’interazione con le
macchine.
Uno
studio del “Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory” (CSAIL)
del MIT tenta un nuovo approccio, ricorrendo ad alcune teorie cognitiviste
sull’apprendimento umano, tra cui l’”Analogical Transfer Theory e la Variation
Theory of Learning”.
Secondo
la prima teoria, l’interazione con un robot che, ad esempio, si muove su ruote
potrebbe essere agevolata dal compiere un’analogia con le comuni automobili,
oggetti percepiti dagli utenti come più familiari.
In base alla seconda teoria, invece, più è
ricca la varietà di modelli forniti sui movimenti dei robot, più l’essere umano
è in grado di costruirsi una mappa mentale coerente circa i loro comportamenti.
Comprendere
in profondità le dinamiche dell’interazione uomo-robot non è, oggi, pura
speculazione intellettuale, bensì un’esigenza dettata dal costante aumento, a
livello globale – nei luoghi di lavoro, nei luoghi di cura, in ambito domestico
e in situazioni di soccorso – dei robot, sia antropomorfi che umanoidi, con i
quali in futuro saremo sempre più chiamati a collaborare.
Bisogna essere preparati, pronti a un rapporto
proficuo con loro.
Anche
perché, per quanto concerne, nello specifico, i robot antropomorfi e i robot
Scara, i dati SIRI (Associazione Italiana di Robotica e Automazione) inerenti
al 2021 ci parlano di un aumento degli ordini pari al 50,3% sull’anno
precedente.
E
relativamente alle nuove applicazioni dei robot umanoidi, basti ricordare il
progetto in corso dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che vede il suo” iCub”
impegnato in nuove operazioni, tra cui quelle in volo per interventi in caso di
disastri naturali.
Un
altro esempio è quello di “RoBee” (sviluppato da Oversonic), robot umanoide
oggetto di sperimentazioni all’interno di siti produttivi per compiti in
collaborazione con i lavoratori e, più recentemente, nella realtà ospedaliera
come supporto alla neuroriabilitazione dei pazienti con problematiche
neurologiche [per approfondimenti, consigliamo la lettura della nostra guida
alla robotica che spiega cos’è, come funziona e quali sono gli ambiti di
applicazione – ndr].
Uno
degli aspetti da sempre considerati più critici dell’interazione uomo-robot
riguarda la difficoltà, da parte del primo, nel comprendere e nel prevedere i
comportamenti del secondo, la sua mobilità nello spazio.
In
quanto si tratta di una mobilità completamente diversa da quella dell’essere
umano, anche il fatto di imparare a prevederla è problematico, specie per
quanto concerne quei cambiamenti impercettibili dei movimenti.
Uno
studio a cura dell’”Interactive Robotics Group del Computer Science and
Artificial Intelligence Laboratory” (CSAIL) del “Massachusetts Institute of
Technology” (MIT), in collaborazione con la “School of Engineering and Applied
Sciences dell’”Università di Harvard” – descritto nel paper dal titolo
“Revisiting Human-Robot Teaching and Learning Through the Lens of Human Concept
Learning” – si propone di indagare l’asse insegnamento-apprendimento
all’interno della relazione uomo-robot, attingendo da alcune teorie che fanno
capo alle scienze cognitive.
L’interazione
uomo-robot vista attraverso la lente delle teorie sull’apprendimento.
Consideriamo,
innanzitutto, una domanda:
come
viene percepito il robot da parte dell’essere umano?
È dalla riposta a questa domanda che ha
origine il seme dell’interazione tra i due. E per spiegare il ragionamento che
vi è alla base, gli autori ricorrono alla considerazione secondo la quale le
versioni sempre più evolute del braccio robotico lo rendono molto simile, per
forma e funzionalità, a un braccio umano.
Ma il
fatto che esso si muova in modo del tutto differente rispetto al braccio umano,
lo fa percepire come qualcosa di estremamente estraneo e di cui si fa fatica a
costruire una mappa mentale, un modello coerente.
Proprio
tale “non-corrispondenza” tra immagine esteriore e funzioni del robot (in cui
ci si riconosce) da un lato e il suo comportamento (in cui non ci si riconosce)
dall’altro, porterebbe – in linea con alcune teorie cognitiviste
sull’apprendimento umano prese come modello concettuale dal team del MIT – ad
avere difficoltà nell’apprendere a interagire con queste macchine.
In particolare, la teoria dell’apprendimento
definita “Analogical Transfer Theory” vuole «gli esseri umani apprendere per
analogia. Quando interagiscono con un nuovo dominio o concetto, cercano
implicitamente qualcosa di familiare che possano impiegare per comprendere la
nuova entità».
Teoria
– questa – che spiega l’iniziale corrispondenza tra uomo e robot, poi
interrottasi guardando ai suoi movimenti.
Cuore
di questa teoria è il cosiddetto “allineamento strutturale”, utilizzato – fanno
notare i ricercatori del MIT – «in molti schemi di insegnamento-apprendimento
all’interno della relazione uomo-robot, di solito per supportare il rilevamento
delle differenze tra i due».
In
precedenti lavori sul tema, in cui compare questo schema, si insiste sulla
percezione delle differenze, senza considerare «come allineare al massimo tutte
le informazioni nel loro insieme, in modo tale che l’essere umano sia nella
posizione migliore per effettuare valutazioni complessive in merito al robot,
prive di polarizzazioni».
Questo
è un suggerimento per il futuro, volto a supportare l’apprendimento fluido
dell’interazione uomo-robot.
Sempre
attinta dalle scienze cognitive, un’altra teoria dell’apprendimento – detta
“Variation Theory of Learning” – dimostra che «presentare esempi
strategicamente vari, migliora i risultati dell’apprendimento».
In
questo caso, l’esempio citato è quello degli studenti impegnati nella soluzione
di problemi di geometria, per i quali lo sforzo minore e una migliore
prestazione sono correlati a un’elevata molteplicità di esempi dello stesso
problema, rispetto allo sforzo compiuto da coloro che, invece, studiano
avvalendosi di esempi poco vari, ripetitivi.
Una
maggiore varietà ha, dunque, un impatto positivo sulla costruzione degli schemi
mentali.
E questo risulta valido anche
nell’apprendimento dell’interazione con i robot, dove la presentazione di
un’ampia varietà di esempi dei comportamenti di questi ultimi aiuterebbe gli
utenti a comprenderli meglio.
Un
esempio pratico: affinché chi – in fabbrica, a casa o in ospedale – si trova a
contatto con robot antropomorfi o umanoidi, possa costruire un modello mentale
accurato di queste macchine, la “Variation Theory of Learning” «suggerisce che
vengano mostrati più serie di esempi dei robot impegnati in attività diverse in
ambienti diversi, tra cui vi siano anche esempi di robot che commettono
errori». Quest’ultimo punto, in particolare, li rende – nella percezione che
l’uomo ha di loro – più simili all’umano, favorendo così l’interazione e la
collaborazione.
Nel
paper si legge:
«L’utilizzo
strutturato della varietà di esempi prescritto dalla “Variation Theory of
Learning” è un territorio inesplorato nei sistemi di insegnamento-apprendimento
nell’ambito dell’interazione uomo-robot, ma offre una potenziale soluzione a
questa sfida e può ulteriormente elevare la capacità umana di comprendere le
macchine»
L’applicazione
delle teorie delle scienze cognitive alla comprensione dei comportamenti dei
robot.
In
tema di interazione uomo-robot, si prenda in considerazione lo scenario
all’interno di una fabbrica o di un magazzino, in cui operai e robot sono
chiamati a collaborare nell’esecuzione di dati compiti.
Che
cosa accade ai due protagonisti?
«I
robot si fermano ogni volta che un lavoratore entra all’interno di uno spazio
di lavoro condiviso. Per una collaborazione di successo, il lavoratore dovrebbe
conoscere tale comportamento, imparare che cosa fare di fronte ad esso e
comprendere l’area di lavoro dei robot, al fine di contribuire a ottimizzare i
tempi della loro attività»
spiegano
i ricercatori.
Tuttavia,
un approccio che potremmo definire limitato mostra all’operaio soltanto uno
spazio di lavoro del robot e un solo esempio dei suoi movimenti.
Prendendo,
invece, spunto dalla “Variation Theory of Learning” appena descritta, dando più
posizionamenti e più movimenti dei robot, l’utente è in grado di costruirsi una
mappa mentale, un modello concettuale più coerente, puntuale ed efficace della
loro area di lavoro e dei loro comportamenti all’interno di essa.
Il
fatto di poter contare su una mappa mentale di questo tipo, si traduce – in chi
si trova a dovere interagire e a collaborare con le macchine – in un maggior
senso di sicurezza, potendo “predire” come si muoverà il robot ed evitare di
interferire con la sua pianificazione dei movimenti.
In
altre applicazioni di robotica, «il robot potrebbe avere interazioni frequenti
con utenti non esperti, come accade, ad esempio, ai robot di consegna quando si
trovano a navigare insieme ai pedoni. In tali applicazioni, in particolare
quando gli esseri umani hanno solo brevi incontri con i robot, viene in aiuto l”’Analogical
Transfer Theory”».
In che modo?
Gli
autori dello studio, nel caso specifico dei robot di consegna, pongono il focus
sulle loro ruote omnidirezionali, di fronte alle quali l’utente prova disagio
in quanto i loro movimenti sono difficili da prevedere. Ecco che un modo per
applicare l’”Analogical Transfer Theory” sta nel progettare e nel costruire
robot di consegna che sfruttino le analogie fisiche tra le loro ruote
omnidirezionali e l’automobile. Col risultato che «se il robot in questione
assomiglia a un’auto, gli utenti che interagiscono con lui sarebbero in grado
di anticiparne i movimenti, come fanno abitualmente in presenza delle
automobili».
Interazione
uomo-robot: come realizzarla e implementarla.
Dunque,
come poter intervenire concretamente per agevolare l’interazione uomo-robot, in
modo che i due attori giungano a una collaborazione sempre più proficua in quei
contesti che li vedono in contatto?
A tale proposito, il lavoro dell’”Interactive
Robotics Group del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory”
(CSAIL) del MIT, guardando alle teorie dell’apprendimento proprie delle scienze
cognitive, conclude con una serie di linee guida, suggerendo, in prima istanza
– a chi si occupa di addestrare le persone a comprendere i comportamenti dei
robot – di servirsi dei contenuti dell’”Analogical Transfer Theory” utili a
insegnare a fare analogie appropriate nel rapportarsi alla macchina, in modo che
non vi sia disagio, né confusione di fronte alle sue azioni.
Inoltre,
il fatto di includere nell’addestramento esempi sia positivi che negativi dei
comportamenti dei robot, guida gli utenti a divenire consapevoli di come «le
variazioni dei parametri della “politica” dei robot influenzino il loro stesso
modo di agire».
Negli
obiettivi degli autori della ricerca vi è, infine, l’intenzione di testare le
teorie alle quali si è accennato, ricostruendo il set di alcuni degli
esperimenti che hanno studiato, con l’obiettivo di verificare sul campo se questi
davvero hanno il merito di portare miglioramenti significativi nel modo in cui
l’essere umano impara a rapportarsi ai robot, comprendendone i comportamenti al
punto da riuscire ad anticiparli e a rispondervi di conseguenza.
Intelligenza
artificiale:
i
robot sostituiranno l’uomo?
Businnesintelligencegroup.it
– (7 -12-2023) - Redazione online – ci dice:
I
robot sostituiranno l’uomo?
Nonostante il veloce avanzamento delle
tecnologie come l’IA, ci sono degli aspetti cruciali che richiedono ancora
l’intervento dell’uomo.
La collaborazione tra l’uomo e le macchine
potrebbe portare ad un potenziamento delle capacità nel settore, ma non ad una
sostituzione completa.
Il
timore che le macchine rubino il lavoro all’uomo, potrebbe essere esagerato?
Essenzialmente
sono quattro le ragioni principali per cui la paura che le macchine rubino il
lavoro all’uomo potrebbe essere esagerata.
Complessità
delle Decisioni.
Molti
aspetti nel contesto aziendale coinvolgono decisioni complesse e strategiche
che richiedono una profonda comprensione delle dinamiche di mercato e delle
relazioni interpersonali.
L’intelligenza artificiale attuale è limitata
nel comprendere appieno queste complessità e nel prendere decisioni altamente
contestualizzate.
Creatività
e Innovazione.
La
creatività è spesso una componente cruciale nel contesto aziendale, soprattutto
quando si tratta di trovare soluzioni innovative per problemi complessi.
Le macchine attuali sono ancora lontane
dall’essere in grado di replicare la creatività umana e di proporre soluzioni
originali.
Relazioni
Interpersonali.
Nel
settore aziendale, le relazioni sono spesso fondamentali per il successo.
La
capacità di costruire rapporti, negoziare e gestire le dinamiche interpersonali
è un’abilità umana che, almeno per ora, è difficile da sostituire con
l’intelligenza artificiale.
Etica
e Valori Aziendali.
Le
decisioni aziendali spesso coinvolgono considerazioni etiche e valori
aziendali. Le macchine non sono in grado di comprendere del tutto queste
sfumature e prendere decisioni in linea con gli standard etici specifici di
un’organizzazione.
I
robot sostituiranno l’uomo?
Il
coinvolgimento umano rimane ancora essenziale.
La
sostituzione del lavoro da parte dei robot sembra concentrarsi principalmente
sulle attività manuali e le professioni più semplici, piuttosto che coinvolgere
lavori che richiedono un alto livello di abilità e competenze, come nel settore
dell’approvvigionamento e degli acquisti.
Sebbene
i robot basati sull’intelligenza artificiale siano sempre più utilizzati per
automatizzare parti della produzione, della catena di approvvigionamento e
della logistica, è importante sottolineare che essi non possono sostituire
completamente l’essere umano in situazioni di trattativa con i fornitori.
Le
professioni legate all’approvvigionamento e agli acquisti implicano decisioni
complesse, creatività nell’affrontare sfide uniche e la gestione di relazioni
interpersonali.
Queste
abilità umane sono al di là delle capacità attuali delle macchine.
Pertanto,
nonostante l’automatizzazione in corso in vari settori, sembra che il
coinvolgimento umano rimarrà cruciale, specialmente in contesti in cui sono
richieste competenze avanzate e decisioni basate su fattori complessi e
contestuali.
(I
robot sostituiranno l'uomo – Canva)
L’istruzione
come elemento chiave nella salvaguardia dell’occupazione.
Un’istruzione
solida emerge come elemento chiave nella salvaguardia dell’occupazione.
La
probabilità di essere sostituiti sul posto di lavoro aumenta per coloro che non
hanno completato il percorso educativo.
Questa
sostituzione riguarda prevalentemente ruoli operai con minor potere
decisionale, mentre i lavoratori in posizioni altamente qualificate sono meno
suscettibili.
Nel
contesto dell’approvvigionamento, dove le competenze personali e professionali
giocano un ruolo fondamentale, coloro che dispongono di un elevato livello di
istruzione avranno minori probabilità di essere completamente sostituiti.
Le
posizioni in questo settore richiedono una comprensione approfondita delle
dinamiche aziendali, abilità decisionali avanzate e la capacità di gestire
complesse trattative con i fornitori.
Questi aspetti richiedono un livello di istruzione e
competenze che le attuali tecnologie non sono in grado di replicare in modo
esaustivo.
Il
lavoro di approvvigionamento è più complesso di quanto si pensi.
Con
l’evolversi della tecnologia, l’approvvigionamento si trova ad operare con una
crescente quantità di dati e informazioni.
L’intelligenza artificiale (IA) gioca un ruolo
importante nell’elaborazione dei big data, ma ciò non implica la sostituzione
del ruolo degli esperti di approvvigionamento.
Al
contrario, l’IA diventa un prezioso alleato per questi professionisti.
Esaminando
le molteplici attività svolte dal professionista medio dell’approvvigionamento,
che spaziano dalla gestione delle relazioni con i fornitori e la negoziazione,
alla gestione degli stakeholder e alla creazione di valore e vantaggio
competitivo per l’azienda, emerge l’idea che automatizzare anche parzialmente
tali mansioni sarebbe quasi impossibile.
L’IA
si rivela un supporto efficace, facilitando l’elaborazione di grandi quantità
di dati e consentendo agli esperti di approvvigionamento di concentrarsi su
aspetti più strategici e complessi della loro professione.
In
questo modo, l’integrazione dell’IA non è vista come una minaccia alla
sostituzione, ma come una leva che potenzia l’efficacia e l’efficienza delle
operazioni di approvvigionamento, permettendo ai responsabili di concentrarsi
su compiti che richiedono intuizione, creatività e una profonda comprensione
del contesto aziendale.
L’IA
può sostenere l’uomo, non sostituirlo!
L’intelligenza
artificiale (IA), anziché sostituire l’uomo, sembra destinata a sostenere
attivamente l’operato umano in varie attività, specialmente nell’ambito
dell’approvvigionamento.
La presenza crescente e l’utilizzo dell’IA si
manifestano, ad esempio, nell’esecuzione di controlli automatici sulla
conformità dei fornitori o nella raccolta e analisi approfondita di ampie fasce
di dati nelle catene di approvvigionamento.
L’IA,
pertanto, conferisce la capacità di comprendere meglio e acquisire conoscenze
più approfondite, consentendo di risparmiare tempo riducendo le attività
manuali e amministrative.
L’IA, dunque, non è da considerare un
sostituto, ma piuttosto un partner collaborativo.
La
tecnologia diventa un alleato strategico, offrendo la possibilità di apportare
un valore strategico alla professione di approvvigionamento.
(I
robot sostituiranno l'uomo. Canva).
Business
Intelligence Group Srl, grazie alla propria infrastruttura High Performance
Computing, è l’unica società Start Up Innovativa in Italia in grado di
realizzare Modelli Previsionali, Sistemi di Business Intelligence, Geomarketing
e Ricerche di Mercato che richiedono una grande “potenza di calcolo” per
l’elaborazione dei BIG DATA e lo sviluppo di sistemi di Intelligenza
Artificiale.
Trump
può staccare la spina a
Internet e l'Europa
non
può farci niente.
Politico.eu
– (23 giugno 2025) - MATHIEU POLLET – Bruxelles – ci dice:
Trump
è tornato, e con lui il rischio che gli Stati Uniti possano staccare l'Europa
dal mondo digitale.
Il
ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca costringe l'Europa a fare i conti con
una grave vulnerabilità digitale: gli Stati Uniti hanno un” kill switch” sulla
propria rete Internet.
Mentre
l'amministrazione statunitense alza la posta in gioco in una partita di poker
geopolitica iniziata quando Trump ha lanciato la sua guerra commerciale, gli
europei si stanno rendendo conto che anni di eccessiva dipendenza da una
manciata di giganti tecnologici statunitensi hanno dato a Washington una carta
vincente.
La
vulnerabilità fatale è la dipendenza quasi totale dell'Europa dai provider
cloud statunitensi.
Il
cloud computing è la linfa vitale di Internet, alimentando tutto, dalle email
che inviamo ai video che trasmettiamo in streaming, all'elaborazione dati
industriale e alle comunicazioni governative.
Solo tre colossi americani – Amazon, Microsoft
e Google – detengono oltre due terzi del mercato regionale, mettendo
l'esistenza online dell'Europa nelle mani di aziende che cercano di ingraziarsi
il presidente degli Stati Uniti per evitare regolamenti e sanzioni imminenti.
I
falchi della sovranità in Europa esprimono da tempo la preoccupazione che la
dipendenza dal cloud significhi che le agenzie statunitensi possano spiare i
dati sensibili degli europei archiviati su server di proprietà americana in
qualsiasi luogo, grazie alle leggi statunitensi.
Ora,
in un ciclo politico che ha visto il presidente degli Stati Uniti ribaltare le
leggi in un attimo e il procuratore capo della Corte penale internazionale
perdere l'accesso alla sua posta elettronica Microsoft dopo essere stato
sanzionato da Washington (in seguito ai mandati di arresto per alti funzionari
israeliani), ci sono timori concreti che gli Stati Uniti possano usare il loro
dominio tecnologico come arma per ottenere influenza all'estero.
"Trump
odia davvero l'Europa.
Pensa che l'unico scopo dell'UE sia quello di
' fottere ' l'America", ha affermato Zach Meyers, direttore della ricerca
presso il think tank CERRE di Bruxelles.
"L'idea che possa ordinare un “kill
switch” o fare qualcos'altro che danneggerebbe gravemente gli interessi
economici non è così improbabile come poteva sembrare sei mesi fa".
“Alexander
Windbichler”, CEO dell'azienda austriaca di cloud computing “Anexia”, ha
affermato che avrebbe preferito che gli "esperti IT" come lui
avessero parlato prima di questa "dipendenza malsana", sostenendo che
per troppo tempo l'industria europea del cloud ha evitato attività di lobbying
e politica, concentrandosi invece sulla competitività tecnologica.
Trump
staccherebbe la spina ai servizi cloud in Europa? "Non lo so.
Ma non
mi sarei mai aspettato che gli Stati Uniti minacciassero di portarci via la
Groenlandia ", ha detto “Windbichler”.
"È
più folle che chiudere il cloud".
Come
il "cosa succederebbe se" è diventato realtà.
Gli
avvertimenti iniziarono un paio di mesi dopo il ritorno di Trump alla Casa
Bianca.
"Non
è più ragionevole presumere di poter contare totalmente sul nostro partner
americano.
C'è il
serio rischio che tutti i nostri dati vengano utilizzati dall'amministrazione
statunitense o che le nostre infrastrutture vengano rese inaccessibili da altri
Paesi", ha dichiarato “Matthias Ecke”, deputato socialdemocratico tedesco
al Parlamento europeo, durante un evento a marzo.
"Il
rischio di un blocco è il nuovo paradigma", ha dichiarato “Benjamin
Revcolevschi”, capo del campione francese” OVHcloud”, durante lo stesso evento.
"Il cloud è come un rubinetto dell'acqua. Cosa succede se a un certo punto
il rubinetto si chiude?"
Gli
avvertimenti sono iniziati un paio di mesi dopo il ritorno di Trump alla Casa
Bianca.
L'equivalente
tecnologico di chiudere il rubinetto sarebbe che l'amministrazione statunitense
ordinasse alle aziende di cloud di interrompere i servizi in Europa.
Il
cloud computing funziona offrendo alle aziende accesso virtuale
all'archiviazione dei dati e alla potenza di elaborazione, ampliando
enormemente le loro capacità grazie alle vaste reti di data center fisici in
tutto il mondo.
E
anche se un'interruzione del servizio resta uno scenario estremo, i giganti
della tecnologia statunitense non la escludono più come possibilità.
Ad
aprile, Microsoft ha dichiarato che avrebbe aggiunto una clausola vincolante ai
contratti con i governi europei per mantenerli online e contestare eventuali
ordini di sospensione in tribunale.
Sebbene
il presidente “Brad Smith” abbia affermato che il rischio che l'amministrazione
statunitense ordini alle aziende tecnologiche americane di interrompere le
operazioni nell'UE fosse "estremamente improbabile", ha ammesso che
si trattava di "una reale preoccupazione per i cittadini di tutta
Europa".
Questo
mese, Microsoft ha anche presentato nuove funzionalità nel tentativo di calmare
i nervi europei.
Amazon
ha annunciato una nuova struttura di governance per la sua cosiddetta
"offerta sovrana" in Europa per garantire "operazioni
indipendenti e continue" e alleviare le preoccupazioni.
Secondo quanto riferito, l'azienda ha
preparato il personale a rispondere alle domande dei clienti sui divieti
internazionali, istruendoli a dire che "nel caso teorico in cui tali
sanzioni dovessero mai essere applicate, [l'unità cloud di Amazon] avrebbe
fatto tutto il possibile per garantire la continuità del servizio".
Diversi
esperti si chiedono quale potere avrebbero le aziende statunitensi per
resistere alla Casa Bianca.
"Se
quella dimensione politica diventa ostile, quanto è credibile che aziende con
le migliori intenzioni possano sfidare il loro presidente?",
ha
dichiarato a POLITICO “Cristina Caffarra”, economista specializzata in
tecnologia e concorrenza e professoressa onoraria all'”University College” di
Londra.
La
notizia che a maggio il procuratore capo della” Corte penale internazionale” “Karim
Khan” ha avuto accesso alla sua email ospitata da Microsoft, interrotta dopo le sanzioni
statunitensi relative al mandato d'arresto per il primo ministro israeliano
Benjamin Netanyahu, ha suscitato ulteriori preoccupazioni.
Microsoft
ha rifiutato di commentare il suo preciso coinvolgimento nella disconnessione
della email di Khan,
limitandosi a dichiarare in termini più
generali: "In nessun momento Microsoft ha cessato o sospeso i suoi servizi
alla CPI".
Mentre
il presidente di Microsoft” Brad Smith” ha affermato che il rischio che
l'amministrazione statunitense ordini alle aziende tecnologiche americane di
interrompere le operazioni nell'UE era "estremamente improbabile", ha
ammesso che questa era "una reale preoccupazione per i cittadini di tutta
Europa".
"Naturalmente,
le aziende statunitensi devono rispettare le leggi degli Stati Uniti", ha
scritto” Aura Salla”, parlamentare finlandese di centro-destra al Parlamento
europeo ed ex principale lobbista di Meta a Bruxelles, in risposta alla notizia
della CPI, aggiungendo che "per gli europei, ciò significa che non
possiamo fidarci dell'affidabilità e della sicurezza dei sistemi operativi
delle aziende statunitensi".
Politici
ed esperti stanno sostenendo la necessità di una vera alternativa tecnologica
europea.
"Si percepisce che siamo a un solo ordine
esecutivo dal perdere l'accesso a tecnologie e infrastrutture critiche",
ha affermato “Francesca Bria”, docente di innovazione presso l'University
College di Londra.
"È
ormai chiaro che l'Europa non deve dipendere da alcuna potenza esterna che
abbia la capacità di staccare la spina".
Un
piano di riserva da 300 miliardi di euro.
La
spinta dell'Europa ad abbandonare il cloud statunitense si scontra con una dura
realtà: smantellare
il predominio tecnologico americano non sarà facile né economico.
"Se
si considera il cloud, l'intelligenza artificiale, i data center,
sfortunatamente non ci sono sufficienti alternative a quanto offerto
dall'industria digitale americana", ha affermato ad aprile l'ex ministro
delle Finanze tedesco “Jörg Kukies”, esortando l'Unione a procedere con cautela
in merito alle ritorsioni commerciali contro Trump.
Un'iniziativa
di politica industriale che sta prendendo piede come modello per il
riequilibrio dei bilanci dell'Unione europea stima un costo di 300 miliardi di
euro. Ideata da un gruppo di esperti di tecnologia ed economisti e sostenuta
dall'industria europea, la cosiddetta iniziativa "Euro Stack" mira a
rendere l'Europa autosufficiente nell'infrastruttura digitale, fino al
software.
Il
movimento vuole che l'UE si unisca attorno a tre obiettivi: "Comprare
europeo", "Vendere europeo" e "Finanziare europeo".
Esortano i decisori a dare priorità alle
aziende dell'UE negli appalti pubblici, stabilendo quote per gli acquisti
governativi e lanciando un fondo “Euro Stack” per sostenere la tecnologia
nazionale.
La
spinta dell'Europa ad abbandonare il cloud statunitense si scontra con una dura
realtà:
smantellare
il dominio tecnologico americano non sarà facile, né economico.
"Non
c'è nulla di eccezionale in questo approccio:
questi strumenti di politica industriale sono
stati ampiamente utilizzati in altre giurisdizioni, compresi gli Stati Uniti,
per decenni, poiché i grandi appalti pubblici hanno alimentato la crescita
degli attuali giganti della tecnologia", scrivono gli organizzatori.
Non
sarà così facile, afferma Meyers del think tank CERRE.
"Stanno
chiedendo un sacco di soldi per questo progetto.
Centinaia
di miliardi. L'idea che appaia magicamente è piuttosto fantasiosa", ha
detto.
Gli
oppositori, come l'associazione commerciale americana “Chamber of Progress”,
sostengono che i costi potrebbero superare i 5.000 miliardi di euro.
Diversi
paesi europei e alti esponenti del Parlamento europeo hanno già espresso il
loro sostegno all'iniziativa “Euro Stack”, menzionata esplicitamente nel
recente accordo di coalizione in Germania.
Ma
anche i politici stanno camminando sul filo del rasoio mentre cercano di capire
come bilanciare eventuali mosse verso la sovranità europea senza essere
accusati di protezionismo, che potrebbe ostacolare una reazione degli Stati
Uniti.
"Nessun
paese o regione può guidare da solo la rivoluzione tecnologica", ha
dichiarato il 5 giugno ai giornalisti a Bruxelles “Henna Virkkunen”,
responsabile della sovranità tecnologica dell'UE, presentando una strategia che
riconosceva anche che l'Unione "corre il rischio di militarizzare le sue
dipendenze tecnologiche ed economiche".
In un
vicolo cieco.
Un'iniziativa
normativa in fase di elaborazione a Bruxelles potrebbe limitare
significativamente la futura influenza di Trump nel generare una diffusa
disruption digitale.
Ma
l'iniziativa, che definisce le condizioni per una nuova etichetta progettata
per elevare la sicurezza informatica delle soluzioni cloud utilizzate da
aziende e amministrazioni, è rimasta bloccata per mesi nei paesi dell'UE
proprio perché rappresenta un punto dolente per gli Stati Uniti.
La
proposta potrebbe includere una certificazione di alto livello che garantisca
l'immunità dalle leggi straniere.
Ha
diviso i paesi in base a quanto sono disposti ad abbandonare la tecnologia
statunitense e a esprimersi contro le relazioni transatlantiche.
Una
richiesta di accesso ai dati presentata da POLITICO a ottobre ha rivelato
diverse comunicazioni del Dipartimento di Stato americano alla Commissione
europea risalenti a settembre 2023, mentre Washington faceva pressioni sulla
bozza dei piani. Il dipartimento tecnico della Commissione si è rifiutato di
divulgare i documenti, sostenendo che la divulgazione "avrebbe compromesso
la fiducia reciproca tra UE e Stati Uniti e quindi minato le loro
relazioni".
La
Francia è stata una fervente sostenitrice dell'utilizzo dell'etichetta per
mettere i dati europei al di fuori della portata di leggi extraterritoriali
come il “Cloud Act statunitense”, emarginando di fatto le Big Tech.
"Le
tensioni geopolitiche ci costringono, più che mai, a mettere in discussione la
sovranità dei nostri dati e, di conseguenza, il loro hosting", ha
dichiarato la Ministra francese per il Digitale “Clara Chappaz” .
I
Paesi Bassi, che dipendono fortemente dalla tecnologia statunitense, sono
rimasti fino a poco tempo fa un importante oppositore all'uso dell'etichetta
per escludere gli “hyperscaler americani”.
Ma il forte atlantismo del Paese ha mostrato
segni di cedimento nel contesto dei recenti disordini politici transatlantici.
Mentre
il primo responsabile della sovranità tecnologica della Commissione europea
prende in mano l'iniziativa, cresce la pressione affinché sostenga senza mezzi
termini la tecnologia made in Europe e mantenga la propria posizione di fronte
alle resistenze di Washington.
"L'Europa
si fidava ciecamente degli Stati Uniti, che sarebbero sempre stati lì, sempre
dalla loro parte", ha affermato” Bria”, professoressa all'University
College di Londra.
"Ora la situazione sembra molto
diversa".
Una
“simpatica” relazione tra uomo,
robot
e intelligenza artificiale?
La Germania ha messo a punto un progetto
di “30science” per Il Fatto.
Ilfattoquotidiano.it – Gianmarco Pondrano Altavilla – (16
luglio 2024) – ci dice:
Non è
in realtà una novità: per decenni l’uomo si è interrogato sui rapporti con le
Intelligenze artificiali e i robot e sui possibili modi per rendere questi
rapporti i più “agevoli possibili”.
Ma il
momento che stiamo vivendo nello sviluppo di queste tecnologie è tale che la
questione di come gli esseri umani percepiscano la presenza di esseri meccanici
che interagiscono con loro è diventata cruciale.
Ecco perché in Germania è stato avviato il
progetto “ZEN-MRI”, che è finanziato dal “Ministero federale tedesco
dell’istruzione e della ricerca” (BMBF) e che durerà fino alla fine di agosto
2025.
Il
progetto ha proprio il compito di studiare e rendere piacevoli le relazioni
uomo/robot e uomo/IA favorendo una introduzione quanto più “dolce” possibile
delle nuove applicazioni di intelligenza artificiale.
Il lavoro verrà portato avanti da studiosi ed
esperti dell’”Università di Magonza e Ulm”, e dell’Istituto per l’etica
digitale dell’Università dei media di Stoccarda, in collaborazione con la città
di Ulm, “Adlatus Robotics GmbH”, che produce i robot in esame, e il “Fraunhofer
Institute for Industrial Engineering IAO di Stoccarda”. L’obiettivo è
determinare come si possa ottenere una congeniale coesistenza tra esseri umani
e robot nelle aree pubbliche.
Verranno
studiate questioni come l’aspetto e il comportamento dei robot. Verranno inoltre prese in
considerazione le informazioni che devono essere fornite ai cittadini per
garantire che abbiano una chiara comprensione di quello che ci si può aspettare
quando si incontrano gli specifici robot.
I vari aspetti saranno inoltre valutati nel
contesto di situazioni estreme per garantire che i robot possano svolgere le
loro attività con interferenze minime e, se tutto va bene, siano persino
accettati come simpatiche presenze nella vita degli esseri umani.
Un altro obiettivo importante del progetto è
determinare come i robot possano essere utilizzati per migliorare a loro volta
l’accessibilità e la progettazione inclusiva delle interazioni uomo-robot.
In
quest’ottica, è attualmente in corso uno studio che coinvolge soggetti
ipovedenti per esaminare le loro esigenze specifiche in relazione ai robot
negli spazi pubblici.
“Stiamo creando un laboratorio in cui possiamo
studiare le reazioni degli individui a vari robot in diverse situazioni in
ambienti virtuali.
Esamineremo,
ad esempio, quanto rapidamente e quanto vicino i robot possono avvicinarsi agli
umani senza che questi ultimi si sentano a disagio e che tipo di suoni i robot
devono produrre per garantire che siano percepiti non solo come non minacciosi
ma persino simpatici” hanno spiegato i ricercatori.
(Gianmarco
Pondrano Altavilla).
L’arte
della dissimulazione di Donald
Trump: il falso attacco all’Iran è
la
replica del falso attacco alla Siria.
Lacrunadellago.net
- Cesare Sacchetti –(22- 6 – 2025) – ci dice:
A
quanto pare, la storia ama ripetersi come si vedrà meglio in seguito.
Stanotte,
il presidente Trump ha scritto sul suo social, “Truth”, che avrebbe colpito i
tre siti nucleari iraniani di “Fordow”, “Isfahan” e “Natanz” attraverso un
attacco mirato per distruggere il programma nucleare dell’Iran.
Ai
vari guerrafondai degli organi di stampa e dei loro fedeli alleati della falsa
controinformazione non deve essere sembrato vero perché avranno pensato che
“finalmente” il tanto atteso “Armageddon nucleare” da loro ardentemente
desiderato sia finalmente arrivato.
E
invece, ad uno sguardo più attento, ma soprattutto ad uno che si soffermi
semplicemente a guardare le immagini degli attacchi si scoprirà che di essi non
c’è traccia.
La
mattina dopo l’attacco, l’agenzia di stampa iraniana dell’IRNA mostra che il
sito di “Fordow” è perfettamente intatto e operativo e quindi, se qualche bomba
è stata sganciata, non ha colpito di certo questa centrale nucleare, ma
probabilmente i deserti dell’Iran.
Anche
nei siti di Natanz e Isfahan si assiste allo stesso scenario.
Sono
tutti intatti, non presentano nessun danno di sorta come avrebbe dovuto esserci
qualora fossero stati sottoposti a bombardamenti, e non risulta esserci nessuna
vittima civile.
I vari
organi di stampa, tra i quali Repubblica, che non trovano immagini dei presunti
bombardamenti hanno pubblicato delle foto di attacchi israeliani avvenuti
all’Iran giorni prima cercando di farle passare invece per le immagini degli
attacchi americani.
Le
immagini pubblicate da Repubblica sono in realtà quelle di un attacco ad un
deposito di petrolio iraniano avvenuto il 14 giugno.
Il
precedente siriano: il false flag di “Khan Sheikhun”.
Cosa è
accaduto dunque stanotte?
Il
presidente Trump sembra aver aperto il manuale della dissimulazione a lui ben
noto e ha messo in scena una strategia già vista ai tempi della guerra in Siria
nel 2017.
Era
allora il primo anno della sua presidenza, e la lobby sionista neocon voleva a
tutti i costi che gli Stati Uniti continuassero nei loro sforzi per rovesciare
il presidente siriano Assad, considerato nemico dallo stato ebraico per la sua
contrarietà al piano imperialista della Grande Israele e per essere fermamente
determinato a difendere la sovranità del suo Paese.
Il
presidente allora si trovò subito di fronte ad una trappola dei suoi nemici.
All’inizio
di aprile, iniziò a diffondersi la notizia che nel villaggio siriano di “Khan
Sheikhun” ci sarebbe stato un attacco chimico eseguito da parte del governo
Assad.
Il”
false flag” di Khan Sheikhun.
In
quel periodo, erano molto attivi i cosiddetti elmetti bianchi, un gruppo di
terroristi finanziato dallo stato profondo di Washington, dall’Arabia Saudita,
dal Qatar e ovviamente dallo stato di Israele che ha sempre sostenuto e
alimentato il fenomeno del terrorismo islamico per destabilizzare l’area e
scogliere i vari tagliagole dell’ISIS contro gli avversari di Sion.
Tale
apparato decise di mettere in scena una classica falsa bandiera, nota come
false flag nel gergo dell’intelligence, ovvero l’esecuzione di un attentato di
vario tipo che poi viene fatto passare come eseguito dall’avversario che si
vuole colpire.
I
servizi segreti israeliani hanno una lunga storia di questo tipo di attentati,
tra i quali c’è quello fatto contro la stessa ambasciata di Israele a Londra,
un attacco, come ha rivelato l’ex agente del servizio segreto britannico del
MI5, “Annie Machon”, messo in atto dai servizi segreti di Israele per accusare
falsamente i Palestinesi di esserne stati invece i responsabili.
Non è
molto dissimile quello che avvenne nel famigerato attentato del giornale
satirico di “Charlie Hebdo”.
Charlie
Hebdo era una pubblicazione estremamente dissacratoria nei riguardi delle
religioni, in particolar modo quella cristiana, e dopo una controversa vignetta
su Maometto, la sede del quotidiano fu vittima di un agguato che secondo la
narrazione ufficiale venne eseguito dalla” nota ISIS”.
L’attacco
serviva ancora una volta, da un lato, ad alimentare il fenomeno del terrorismo
islamico e provocare così uno scontro tra l’Europa e Islam, si veda la famosa
lettera di Pike a Mazzini al riguardo, e dall’altro, di consentire a Israele di
avere dalla sua parte il mondo Occidentale nel suo piano di espansione del suo
Stato e del dominio così della intera regione Medio – orientale a discapito dei
vari Paesi arabi avversari del sionismo e della sua visione imperialista.
Non
molto tempo dopo quell’attacco, emersero alcune testimonianze che riferivano
come i terroristi “islamici” avessero gli occhi cerulei, una caratteristica
somatica che fa pensare ad un fenotipo molto diverso da quello arabo o Medio –
orientale, ma piuttosto a quello caucasico, magari a quello askenazita
dell’Europa Orientale.
A
confermare che l’attentato di Charlie Hebdo venne eseguito da agenti del Mossad
fu anche una cosiddetta insider che si faceva chiamare “Ellie Katsnelson”, una
nobildonna di origini tedesche che affermava di essere imparentata con la”
famiglia Rothschild”, e che dimostrava una profonda conoscenza delle dinamiche
che muovevano e muovono il terrorismo islamico.
La “Katsnelson
scrisse che quell’attacco fu concepito dallo stato ebraico, a dimostrazione che
non c’era nulla di spontaneo negli attacchi che venivano attribuiti ai vari
islamici, ma che essi erano concepiti nell’ottica di alimentare uno scontro tra
mondo cristiano e islam, e servire così meglio la logica di dominio di Israele.
Due
anni dopo, nel 2017, lo stesso apparato che concepì la “falsa bandiera di
Charlie Hebdo,” ne eseguì un’altra attraverso il citato attacco di Khan
Sheikhun che venne falsamente attribuito ad Assad, quando a concepirlo ed
eseguirlo erano stati ambienti del Mossad, della CIA e del MI6 pur di
costringere gli Stati Uniti ad un intervento diretto armato contro Assad e
scatenare così una probabile guerra mondiale perché la Siria si trovata sotto
la diretta protezione militare della Russia che ha salvato Damasco dallo
smembramento territoriale desiderato da Tel Aviv.
Il
presidente Trump sapeva perfettamente che quell’operazione era stata concepita
per tirarlo dentro nel conflitto siriano e servire così gli scopi di Israele.
Trump
però all’inganno rispose con l’inganno.
Ordinò
il 7 aprile di quell’anno un “attacco” contro la Siria che non fece
praticamente nessun danno sostanziale, e che fu con ogni probabilità coordinato
con la stessa Siria e la Russia per evitare così di scatenare una escalation e
al tempo stesso buggerare coloro che avevano concepito il falso flag di Khan
Sheikhun e mostrare che gli Stati Uniti avevano “punito” Assad.
Gli
Stati Uniti da quel momento in poi hanno iniziato un percorso di separazione
dalla lobby militarista del Pentagono, dallo stato ebraico e dalla NATO, ma in
tali contesti così complessi e sofisticati è necessario in più di un’occasione
ricorrere alla dissimulazione per non cadere nelle trappole dell’avversario
anche se agli occhi della opinione pubblica tali azioni a volte possono
apparire, a torto, come dei “tradimenti”.
La
geopolitica non è sempre un campo lineare, dove una linea parte dal punto A e
arriva al punto B senza alcuna deviazione.
Non di
rado in questo mondo la linea parte da A ma prima di arrivare a B fa alcuni
giri laterali che non sempre possono essere compresi da tutti.
Stanotte,
c’è stata un’altra dimostrazione della abilità diplomatiche e geopolitiche di
Trump attraverso l’annuncio di aver bombardato i tre siti nucleari citati in
precedenza.
Una
volta visto che non ci sono danni di sorta alle strutture e una volta costatato
che l’attacco, se c’è stato, ha colpito il vuoto, si è fatto presto a
comprendere che il presidente degli Stati Uniti ha messo in atto ancora una
volta uno dei suoi colpi da maestro.
A
confermare che l’attacco è stato una messinscena concordata è stato anche un
ufficiale governativo iraniano che ad “Amwaj Media” ha dichiarato che Teheran
era stata avvisata in anticipo dell’azione di Trump.
Gli
Stati Uniti si sono così astutamente tirati fuori da ogni possibile ulteriore
coinvolgimento nel conflitto perché in fin dei conti Israele dichiarava di
voler neutralizzare i siti nucleari iraniani,
e
non appena finita la messinscena, hanno dato nuovamente mano libera all’Iran
per bombardare Israele, la cui contraerea è ancora a secco senza che Trump
muova un dito per rifornirla.
È di
poche ora fa la notizia che l’Iran ha colpito l’aeroporto di Tel Aviv, e la
conferma di tale attacco viene dal fatto che gli aerei che dovevano atterrare
lì hanno dirottato su altri aeroporti per poter atterrare.
La
strategia e la comunicazione di Trump su Israele.
Se si
vuole dunque davvero comprendere Trump, bisogna andare oltre le apparenze e le
varie dichiarazioni di facciata per ingannare il nemico, ma bisogna
esclusivamente guardare alle linee sostanziali della sua politica estera.
Se
Donald Trump è un politico “sionista” come afferma la solita falsa
controinformazione, allora ci si chiede dove sia il suo sionismo, considerato
il fatto che il presidente non rifornisce la contraerea israeliana, e non
interviene per difendere direttamente lo stato ebraico, ma lo lascia bombardare
incessantemente da Teheran.
Trump
si serve della dissimulazione per una ragione alquanto semplice.
Ogni
singolo organo di informazione americano e internazionale è nelle mani della
lobby israeliana, ogni ramo del Congresso è dominato dalla potentissima setta
sionista di “Chabad” e dall’altro potente gruppo dell’”AIPAC”, l’organizzazione
che ha sempre avuto in mano le redini della politica estera americana.
Il
presidente ha scelto di muoversi in tal modo.
Non è
ricorso ad un attacco frontale e diretto nei confronti di questi poteri, ma ha
mandato loro dichiarazioni di “amicizia” nei primi anni del suo mandato
servendosi di essi per attaccare l’altro lato del mondo ebraico, quello
progressista e internazionalista più vicino a George Soros e alla sua Open
Society.
Trump
non si è però schierato né con il sionismo israeliano, né con
l’internazionalismo ebraico, ma semplicemente è un presidente che ha messo al
centro della sua agenda gli interessi nazionali del suo Paese, e che ha scelto
di mettere in gioco anche la sua stessa vita pur di mettere fine alle
interminabili guerre che Washington ha scatenato in giro per il mondo per conto
di Israele.
Il
tycoon sa che per liberare gli Stati Uniti da tutti i tentacoli che controllano
tale potente nazione, è necessario a volte mettere un ambiente contro l’altro,
fino ad arrivare al definitivo affrancamento del suo Paese.
Ed è
quello che sta accadendo proprio in questi ultimi mesi. Il presidente americano
ha messo alla porta l’AIPAC e non riceve nemmeno le chiamate di Miriam Adelson.
Ogni
tentacolo dunque è stato accuratamente rimosso, ma è stato fatto con i tempi e
i modi giusti.
Sono
giochi che sono noti nelle varie cancellerie.
Lo sa
certamente, ad esempio, proprio Teheran che all’indomani dell’omicidio del
generale “Solei mani”, decise di rispondere colpendo una base americana, ma
prima di farlo si premurò di avvertire Trump, rassicurandolo che nessuno dei 18
missili lanciati dall’Iran avrebbe colpito la base in questione.
Il
retroscena getta chiaramente una luce completamente diversa sulla morte del
generale Solei mani, che se effettivamente avvenuta, non deve aver turbato più
di tanto l’Iran, mentre se non c’è stata, allora si è trattato evidentemente a
tutti gli effetti di un’”altra psy-op” concepita sempre per ingannare gli
avversari di Trump che volevano costringerlo già nel 2019 ad una guerra contro
l’Iran, voluta solo e soltanto da Israele.
Si
potrebbe metterla in questi termini.
A
volte in questo mondo il nero è bianco e viceversa perché appunto l’inganno e
la dissimulazione sono una condizione costante negli affari esteri e nella
geopolitica poiché gli avversari ricorrono in continuazione a depistaggi di
vario tipo, e non si può non rispondere loro con la stessa moneta per
neutralizzare i loro tranelli.
Ci si
chiede cosa succederà ora.
A
giudicare dai precedenti, si veda il generale Solei mani, nulla di diverso da
quanto accaduto nel 2019.
Se ci
sarà una “risposta” dell’Iran agli Stati Uniti, sarà con ogni probabilità
concordata come quella di 6 anni prima.
Nel
frattempo, l’Iran continua a bombardare Israele senza sosta, mentre lo stato
ebraico che voleva il coinvolgimento diretto e attivo degli Stati Uniti in
guerra, è rimasto con un pugno di mosche in mano.
Israele
si è risvegliata peggio di prima e giocata ancora una volta da Donald Trump, il
“sionista” che sta lasciando affondare Tel Aviv.
Germania
e Italia, l’ipotesi di rimpatriare
l’oro
da New York:
«Trump
può limitare l’accesso».
Open.online.it - 23 Giugno 2025 - Filippo di
Chio – ci dice:
Secondo
il Financial Times, la situazione di insicurezza geopolitica ed economica
potrebbe spingere i due governi europei a optare per un controllo diretto sulle
riserve auree.
Ma
Meloni dovrebbe fare uno sgarbo al suo alleato.
I 245 miliardi in lingotti nelle casse della
Fed.
Lingotti
d’oro per un valore complessivo di 245 miliardi di dollari potrebbero presto
essere trasferiti da New York a Berlino e Roma.
Secondo
il Financial Times, Germania e Italia starebbero valutando di prelevare il loro
oro, conservato dalla Federal Reserve americana, per riportarlo sotto il loro
diretto controllo.
Il
timore sempre più diffuso, infatti, è che le scintille causate dallo scontro
periodico tra il presidente americano Donald Trump e la banca centrale
statunitense possano causare un incendio.
E che,
con un colpo di mano, il tycoon possa guadagnare una sempre maggiore influenza
sulle politiche della Fed.
Andando
a limitare la capacità di accedere ai lingotti in caso di crisi.
Le
ricchezze di Germania e Italia: il 43% della riserva negli Usa.
Stati
Uniti, Germania e Italia:
i tre
fulcri del triangolo dorato, essendo i Paesi che hanno a loro disposizione la
maggiore riserva aurea al mondo.
Secondo
i dati del “World Gold Council”, Berlino segue a distanza Washington con 3.352
tonnellate mentre Roma occupa l’ultimo gradino del podio con 2.452 tonnellate.
Le due capitali europee, però, hanno affidato
una buona fetta delle loro riserve proprio a New York.
Rispettivamente
il 37% dell’oro tedesco e il 43% di quello italiano, per un valore complessivo
di 245 miliardi.
Una
ricchezza che non è mai stata in discussione, perché sotto il diretto controllo
della banca più potente e influente al mondo, ma che adesso rischia di
traballare. Soprattutto di fronte alle minacce di Trump nei confronti della
decisione della Fed di non abbassare i tassi: «Forzerò qualcosa».
Esiste
il Grafico a barre delle tonnellate metriche che mostra le riserve auree delle
banche centrali.
Un
grafico che ritrae i dieci Paesi al mondo con le più grandi riserve auree,
misurate in tonnellate (Fonte: “Financial Times”).
Perché
l’oro italiano si trova negli Stati Uniti.
Ma
perché quasi metà dell’oro italiano si trova negli Stati Uniti?
Si
tratta di una semplice eredità storica, in particolare di quegli accordi di
Bretton Woods che nel 1944 avevano inchiodato i cambi delle valute di tutto il
mondo al valore del dollaro, a sua volta fissato al valore dell’oro.
In
quegli anni, insomma, avere i lingotti negli Stati Uniti era una sicurezza.
E il
collasso degli accordi nel 1971, con l’uscita degli Usa ordinata dall’allora
presidente Richard Nixon, non ha intaccato la decisione di Germania e Italia.
Parigi, al contrario, aveva anticipato la decisione di Washington ritirando
tutti i suoi lingotti per paura dell’implosione del sistema monetario
internazionale.
La
paura della mano di Trump e la posizione di Giorgia Meloni
Nel
2013, in realtà, la Bundesbank tedesca aveva deciso di depositare metà delle
sue riserve a Berlino, trasferendo 674 tonnellate di lingotti da Parigi e New
York a Francoforte.
Una
mossa per salvaguardare una parte delle proprie riserve, come ha sottolineato
l’ex deputato conservatore “Peter Gauweiler”:
«Dobbiamo
chiederci se negli ultimi dieci anni conservare l’oro all’estero sia diventato
più sicuro e stabile oppure no.
La risposta è ovvia».
Il
rischio, si mormora nel Bundestag, è che «Trump possa manomettere
l’indipendenza della Fed, limitando il controllo dell’oro da parte delle banche
centrali europee».
Anche
perché, in caso di crisi, «quello che conta davvero è il controllo fisico delle
riserve».
È lo
stesso “Financial Times” a ricordare come uno dei cavalli di battaglia della
premier Giorgia Meloni, prima della vittoria elettorale, fosse proprio il
rimpatrio della riserva.
Ora,
invece, dal suo partito filtra una linea opposta:
«La
posizione geografica dell’oro ha solo un’importanza relativa», ha detto “Fabio
Rampelli” di FdI.
«È in
custodia di uno storico amico e alleato».
Un
Nuovo Paradigma
dello
“Scontro di Civiltà.”
Conoscenzealconfine.it
– (22 Giugno 2025) - Loretta Napoleoni – ci dice:
Dalla
caduta del muro di Berlino abbiamo assistito al proliferarsi di conflitti
armati;
il vento di democrazia che dall’occidente
soffiava intorno al mondo non è stato come ci si aspettava pacificatore, la
globalizzazione non ci ha regalato la pace.
Conscio
di questo fallimento Papa Bergoglio coniò la celeberrima frase: “la terza
guerra mondiale a pezzi”.
Ricomponendo
sul mappamondo l’agghiacciante puzzle dei conflitti insorti negli ultimi
trent’anni, torna in mente la tesi del professor “Samuel Huntington” riguardo
allo scontro di civiltà.
Una tesi che a distanza di tre decenni sembra
descrivere l’evoluzione della guerra fredda, una guerra non più fredda ma
calda, non più tra due blocchi ma tra diversi poli caratterizzati da differenze
etnico-culturali.
Ed
infatti i fronti sembrano strutturarsi lungo linee di omogeneità etnica
culturale con alcune nazioni intrappolate geograficamente tra i diversi
blocchi.
L’Ucraina
è uno di questi.
La
mancanza di omogeneità esistenziale con il blocco Russo-slavo-centro-asiatico
che Huntington definisce blocco ortodosso, in parte causata dal desiderio
dell’establishment ucraino di appartenere a quello europeo, nonostante etnia,
religione e cultura storica, ha trasformato il paese in un teatro di guerra
dove due civiltà si scontrano, da una parte l’occidente ingaggiato in una
guerra per procura e dall’altra la Russia, leader del blocco ortodosso, che
reclama quella fetta di terra che dichiara le appartiene etnicamente,
storicamente e culturalmente.
Discorso
analogo si può fare per l’espansionismo israeliano sostenuto dall’occidente che
ormai è arrivato allo scontro bellico con l’Iran ed alla distruzione di Gaza.
A
confronto ci sono due realtà contrastanti:
Israele che è, e si presenta come espressione
del blocco occidentale, ma che si trova geograficamente ubicata all’interno del
blocco islamico e dall’altra l’Iran, che, come la Russia, si considera leader
del proprio blocco.
Ma lo scontro in questo caso non è solo
circoscritto alla natura delle due civiltà, ha al suo interno elementi moderni,
che lo differenziano dal modello classico di Huntington e da quello in Ucraina.
Secondo
il professor “Huntington” lo scontro tra Israele e la civiltà islamica è un
conflitto strutturale, sistemico, radicato non solo nella storia coloniale del
Novecento ma nel cuore stesso della ridefinizione del Medio Oriente seguita al
crollo dell’Impero Ottomano.
Israele
è un’anomalia strategica, una potenza militare, tecnologica ed economica che
rappresenta, per molti versi, l’avamposto del mondo occidentale nel cuore della
civiltà islamica.
Tuttavia,
non appartiene davvero all’Occidente:
è una creazione postbellica, nata dentro
l’architettura del dopoguerra, funzionale agli interessi angloamericani, ed è
come la guerra fredda un prodotto dell’assetto post-bellico.
Nel
paradigma dello “scontro di civiltà” Israele è dunque un elemento di frattura,
il punto critico, il detonatore.
Circondato
da Stati mussulmani, molti dei quali deboli, autoritari, o falliti, ha
costruito un sistema di sopravvivenza fondato sulla superiorità militare,
l’intelligence, e un’alleanza quasi organica con Washington, ed oggi con
l’Europa.
È, in
questo senso, un attore protetto ma isolato.
La
civiltà islamica, dal canto suo, vive la sua relazione con Israele come una
continua umiliazione, un tarlo.
La
questione palestinese è stata una ferita aperta, l’elemento che ha dato
coerenza ideologica e politica anche a regimi altrimenti divergenti: sunniti,
sciiti, laici o islamisti.
L’Islam
politico ha fatto della lotta contro Israele un simbolo della resistenza contro
l’occidentale.
Hamas,
Hezbollah, la Jihad Islamica, e prima ancora l’OLP, sono figli di questa
visione.
Ma
anche i regimi più conservatori, come l’Arabia Saudita, hanno usato per decenni
l’antisionismo come valvola di sfogo per il malcontento interno.
Poi
qualcosa è cambiato.
Durante
il primo mandato di Trump abbiamo assistito alla progressiva normalizzazione
dei rapporti (Accordi di Abramo) delle potenze del Golfo con Israele, un
cambiamento dettato più da interessi economici e geopolitici – il contenimento
dell’Iran, le nuove rotte commerciali, l’accesso alla tecnologia israeliana –
che da una reale riconciliazione ideologica.
Su
questo terreno Israele ha lavorato per risolvere una volta per tutte la
questione palestinese e sbarazzarsi della fetta del blocco islamico ancora
ostile:
l’Iran.
Parlare
ancora di scontro di civiltà sembra dunque riduttivo, piuttosto ci troviamo di
fronte ad un nuovo paradigma, una guerra territoriale, di supremazia che ha
gettato le insegne ideologico-culturali per abbracciare quelle della forza,
quale manifestazione di potenza.
È un
conflitto moderno, post globalizzazione, che non teme di presentarsi al mondo
fuori degli schemi dello scontro di civiltà, una guerra che si combatte con la
tecnologia, le alleanze strategiche fondate sul commercio, il profitto e la
convenienza e non più su valori comuni religiosi, culturali o storici.
Una
guerra moderna senza possibilità di pacificazione diplomatica, che, ahimè,
potrebbe essere combattuta fino all’annientamento del nemico.
(Loretta
Napoleoni).
(lantidiplomatico.it/dettnews-il_nuovo_paradigma_dello_scontro_di_civilt/56082_61487).
Generale
F. Mini: “la Guerra di
Netanyahu è la Prova che
Teheran
Non Ha l’Atomica.”
Conoscenzealconfine.it
– (19 Giugno 2025) - Intervista di Paolo Rossetti al Generale Fabio Mini – ci
dice:
Israele
vuole punire l’Iran perché è un contendente in Medio Oriente.
Netanyahu
vuole le armi USA ma la sua guerra non risolverà niente.
L’obiettivo
di Israele è quello di affermarsi come potenza egemone nel Medio Oriente.
E per farlo ha deciso di attaccare l’Iran, di
destrutturarlo come Paese.
Per
portare a compimento il piano, però, spiega Fabio Mini, generale già capo di
stato maggiore della NATO per il Sud Europa e comandante delle operazioni di
pace della NATO in Kosovo (autore de “La Nato in guerra”, Dedalo, 2025),
Netanyahu ha bisogno che Trump gli fornisca le armi adatte.
Così
impostata, la guerra andrà avanti fino a che entrambe le parti non avranno
finito le munizioni.
Si spiegano così anche i nuovi attacchi a
Israele annunciati da Khamenei e la decisione di trasferire i poteri esecutivi
ai pasdaran.
Trump dice che per ora la guida della
Rivoluzione non sarà ucciso, ma è sempre uno degli obiettivi degli israeliani.
Il G7,
intanto, firma unito un documento contro l’Iran per la de-escalation, ma anche
di sostegno alla sicurezza di Israele, in un contesto in cui non è esclusa
neanche la partecipazione alla guerra di Paesi europei.
Trump
dice che in Iran non vuole un cessate il fuoco, ma la fine della questione
nucleare iraniana.
Qual è il vero obiettivo di Israele e come si
esce da questa situazione complicata?
Mi
sembra una situazione in cui nessuno dice veramente quello che intende. Israele
vuole coinvolgere l’America nel conflitto perché gli fornisca gli
equipaggiamenti, le bombe e i ricambi che servono per attaccare l’Iran in
profondità, ma senza un intervento diretto degli USA:
Netanyahu non vuole passare per quello che ha
dovuto mendicare l’intervento perché non riusciva a sbloccare la situazione da
solo.
Fino a
quando andrà avanti a combattere?
Fino a
quando avrà delle munizioni.
Quelle
di Israele non sono infinite, come anche i missili.
Non
sono infinite neppure le munizioni degli iraniani.
Anche
nella guerra tra Iraq e Iran successe questo:
finite
le munizioni si smise di combattere.
Ma non
sarà finito il conflitto.
Ma
perché Israele ha deciso di attaccare?
Vuole
punire l’Iran con il pretesto dell’armamento nucleare.
Se
Teheran avesse avuto la bomba, Israele sarebbe stato più cauto nell’attacco, ma
siccome si diceva che potesse avere un’arma nucleare nel giro di dieci giorni o
un mese, ha sferrato una sorta di attacco preventivo.
Per
cosa Netanyahu vuole punire l’Iran, per quello che ha fatto in Medio Oriente
con i suoi “proxy”?
È più
di questo.
L’Iran ha un ruolo in campo internazionale, ha
un trattato di cooperazione con la Russia, con la Cina, anche in campo
nucleare, per scopi civili, fa parte dei BRICS. Insomma, non è isolato come la
Nord Corea.
Ha
pure una rilevanza storica e una posizione geografica estremamente strategica:
lo Stretto di Hormuz lo controlla Teheran, così come il Golfo Persico;
se
l’Iran non vuole, lì non si muove neanche un barile di petrolio.
Quello
che vuole veramente Israele è togliere l’Iran dal contesto internazionale come
Paese di riferimento per qualcuno, eliminarlo strutturalmente.
Cosa
vuol dire?
Eliminare
le strutture di comando, politiche, economiche, destrutturarlo come Paese in
modo che non abbia neanche la capacità di avere uno sgabello nelle Nazioni
Unite.
Israele vuole estendere la sua sfera di
intervento a tutto il Medio Oriente.
È un
progetto israeliano, o è americano e viene applicato per interposta persona?
È un
progetto neoconservatore, come quelli che si vanno praticando dagli inizi degli
anni ’90 che molti hanno appoggiato fin da quando Israele era un nano in mezzo
ai giganti.
Adesso,
invece, Israele, soprattutto dal punto di vista militare, è un gigante fra i
nani.
Un
gigante che si è messo a fare il bullo senza considerare che per questo è
destinato a perdere:
facendo
del male a destra e a sinistra, prima o poi si troverà tutti i suoi nemici di
nuovo contro.
Gli
americani asseconderanno Netanyahu oppure no?
Nei
giorni scorsi Trump aveva detto addirittura di vedere Putin come mediatore:
potrebbe percorrere questa strada?
Questa
intermediazione la vedo sulla carta, per fare un po’ di scena.
Se
dovesse realizzarsi, sarebbe solo perché i due contendenti dimostreranno la
volontà di negoziare, di concedere qualche cosa.
Anche
la trattativa per il nucleare da un certo punto di vista è di una banalità
assoluta:
l’Iran
è da tempo disponibile a un accordo che limiti la sua capacità nucleare
soltanto al civile, rinunciando alla bomba atomica.
L’ha
già detto mille volte, ha anche sottoscritto il trattato di non proliferazione
(TNP) di queste armi.
Trump
e Israele, però, dicono che gli iraniani barano.
Per
entrambe le parti si tratta di una guerra molto dispendiosa. Questo elemento
potrebbe fermare il conflitto?
A
questo ritmo di attacchi tutti e due le parti sono destinate a svenarsi.
Ogni
notte, Israele spende il PIL di mezza Europa.
È vero
che è un Paese ricco, ma prima o poi dovranno darci un taglio.
Dall’altra
parte, bisogna chiedersi quanto è disposto l’Iran a sostenere questo tasso di
perdite e vedere le proprie strutture distrutte ogni giorno.
E
Israele quanto potrà continuare, se tutte le notti un grattacielo si sbriciola.
Si
tratta di grosse perdite anche dal punto di vista materiale e morale.
Non
c’è nessuna possibilità, comunque, che riprendano i negoziati?
L’unico scenario possibile al momento è quello
della guerra?
Se
intervengono gli Stati Uniti si arriverà a una guerra conclamata, che rischia
di coinvolgere anche l’Europa.
Con
tutta questa retorica sulla salvezza di Israele, se gli americani chiedono di
formare una coalizione vuoi che anche l’Italia non partecipi?
Nel
documento del G7 si parla del diritto di Israele a difendersi.
Può aprire la strada a un intervento dei Paesi
europei?
Sì,
sarebbe un’altra spinta verso il precipizio. Siamo già sull’orlo, basta che
qualcuno dia uno spintone.
Se
l’obiettivo di Israele è destrutturare l’Iran perché forse è il solo Paese che
può contrastarne l’egemonia in Medio Oriente, che ne sarà dell’Iran stesso dopo
la guerra?
“Mark Rutte”, il segretario generale
della NATO, ha detto che comunque vada a finire la guerra in Ucraina, la Russia
sarà sempre lì.
La
stessa cosa si può dire dell’Iran.
Una volta che l’hai destrutturato, ci si può
mettere un governo amico dell’Occidente, magari riesumando qualche discendente
dello Scià di Persia;
si può
lasciare tutto in mano a bande locali e presentare tutto ugualmente come una
vittoria.
Non
credo che gli americani possano occuparlo:
ripeterebbero le loro esperienze in
Afghanistan e Iraq.
Alla fine della guerra, insomma, Israele potrà
aver risolto il problema per 5-10 anni, ma non sarà la soluzione definitiva.
(Intervista
di Paolo Rossetti al Generale Fabio Mini).
(ilsussidiario.net/news/israele-vs-iran-mini-la-guerra-di-netanyahu-e-la-prova-che-teheran-non-ha-latomica/2846406/).
Il
grande cambiamento monetario:
come
la spinta della Cina verso un
sistema monetario “multipolare”
maschera una presa di potere globalista.
Naturalnews.com – (22/06/2025) - Lance D.
Johnson – ci dice:
Mentre
il mondo assiste al rallentatore crollo del dollaro statunitense, il
governatore della banca centrale cinese, “Pan Gongsheng”, ha dichiarato l' alba
di un "sistema monetario internazionale multipolare" , in cui il
renminbi (e la sua unità principale, lo yuan) compete con il dollaro e l'euro.
Ma
sotto la superficie di questo cambiamento apparentemente liberatorio si cela
una verità più oscura:
gli
stessi potenti broker d'élite che hanno orchestrato il vecchio ordine
finanziario stanno semplicemente riconfezionando il loro controllo sotto una
nuova veste.
Il
Financial Times, Goldman Sachs e le istituzioni globaliste hanno da tempo
annunciato questa transizione, presentandola come un progresso economico,
mentre stringevano silenziosamente il cappio della sorveglianza e dello
sfruttamento.
Punti
chiave:
Il
governatore della banca centrale cinese prevede l'ascesa di un sistema
monetario "multipolare", che segnerebbe la fine del predominio del
dollaro.
Questo
cambiamento rispecchia il progetto BRICS elaborato da Goldman Sachs in decenni
di attività, dimostrando che questa transizione è stata pianificata e non
organica.
Nonostante
le affermazioni di decentralizzazione, il nuovo sistema resta controllato dalle
stesse élite globaliste, questa volta dotate di capacità di sorveglianza
potenziate.
I
parallelismi storici con gli accordi di Bretton Woods rivelano come gli
spostamenti monetari consolidino il potere anziché disperderlo.
L'alleanza
dei BRICS, lungi dall'essere una ribellione contro l'egemonia occidentale, è un
progetto globalista riconfezionato con la Cina al timone.
Il
mito della liberazione multipolare.
Il
recente discorso di “Pan Gongsheng” a Shanghai ha inquadrato il declino del
dollaro come un'evoluzione inevitabile, citando l'ascesa dell'euro e la
crescente influenza finanziaria della Cina dalla crisi del 2008.
Ma
questa narrazione ignora le fondate basi gettate da istituzioni come “Goldman
Sachs”, che per prima coniò il termine "BRICS" nel 2001 come tabella
di marcia per il riallineamento economico.
Lungi
dall'essere un movimento dal basso, il blocco BRICS – ora esteso per includere
il Sudafrica – è sempre stato un progetto verticistico, concepito per spostare
l'influenza economica mantenendo intatte le strutture globaliste.
Come
ha osservato “Rolo Slavskiy” nella sua analisi, il multipolarismo non è uno
smantellamento del globalismo, ma un rebranding:
un
sistema in cui le élite regionali impongono la stessa agenda sotto bandiere
diverse.
Vladimir Putin, spesso descritto come uno
sfidante dell'egemonia occidentale, ha perseguito le stesse politiche
globaliste del suo predecessore Boris Eltsin.
Lo
stesso si può dire del Partito Comunista Cinese, che promuove la
"de-dollarizzazione" mentre costruisce un sistema distopico di
credito sociale che lega la valuta al comportamento.
Il
manuale di Bretton Woods si ripete.
L'ultima
grande riforma monetaria avvenne nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods, che
consolidarono il dominio del dollaro come valuta di riserva mondiale. Quel
sistema, creato dalle potenze occidentali, diede vita anche al FMI e alla Banca
Mondiale, istituzioni che da allora hanno imposto austerità e schiavitù del
debito ai paesi in via di sviluppo.
Ora,
mentre la presidente della Banca Centrale Europea e del PAN Christine Lagarde
discutono di un "nuovo ordine monetario globale", la storia ci
avverte che tali transizioni raramente conferiscono potere alle masse.
Al contrario, ridistribuiscono il controllo
tra gli stessi architetti finanziari.
Anche
la proposta di utilizzare i Diritti Speciali di Prelievo (DSP) del FMI – un
paniere di valute – come alternativa al dollaro solleva dei dubbi.
I DSP
sono ancora gestiti dal FMI, un'istituzione storicamente allineata agli
interessi occidentali.
Come
ha osservato “Sam X “del podcast “Uncharted Territory, "Roma non cade mai.
Si limita a spostarsi e a nascondersi".
Il
vero potere, sostiene, rimane concentrato nelle tre Città-Stato: Londra,
Vaticano e Washington, DC.
BRICS:
un cavallo di Troia per il capitalismo della sorveglianza.
L'aggressiva
accumulazione di oro da parte della Cina – una copertura contro il crollo del
dollaro – è stata presentata come un passo verso la sovranità finanziaria.
Eppure, questa strategia si allinea
perfettamente con la previsione di Goldman Sachs del 2003, secondo cui i paesi
BRICS avrebbero eclissato le economie occidentali entro il 2039.
Ciò che i sostenitori di questa transizione
omettono è l'infrastruttura di sorveglianza che la accompagna.
Un sistema monetario multipolare non
significherà solo riserve concorrenti, ma significherà anche identità digitali,
denaro programmabile e punteggi di credito sociale che determineranno l'accesso
al capitale.
Il
Financial Times, Goldman Sachs e le banche centrali globali non stanno
proclamando la libertà; stanno programmando una forma di controllo più
efficiente.
La domanda non è se il dollaro crollerà, ma
chi trarrà profitto dal suo declino.
(Expose-News.com).
Un
enorme drone stealth cinese avvistato
in una base segreta dello Xinjiang potrebbe
rappresentare
un potenziale punto di svolta
nella guerra nel Pacifico.
Naturalnews.com – (23/06/2025) - Zoey Sky – ci
dice:
Un
grande drone stealth cinese, mai visto prima, simile a un'ala volante, è stato
fotografato in una base militare segreta nello Xinjiang.
Con un'apertura alare quasi pari a quella del
bombardiere statunitense B-2, è probabilmente progettato per missioni ad alta
quota e lunga autonomia come sorveglianza, guerra elettronica o persino
attacchi aerei.
Il
drone è stato avvistato presso la base di test di Malan, altamente
classificata, dotata di grandi hangar simili alle strutture per bombardieri
stealth statunitensi.
Ciò
suggerisce che la Cina stia sviluppando un mix di velivoli stealth con e senza
pilota, in linea con i programmi di guerra aerea di nuova generazione degli
Stati Uniti.
Il
drone potrebbe effettuare spionaggio a penetrazione profonda, jamming
elettronico, attacchi di precisione o bersagli per missili ipersonici.
Il suo design stealth gli permetterebbe di
operare inosservato vicino alle risorse militari statunitensi nel Pacifico,
rappresentando una grave minaccia strategica.
Poiché
la Cina sa che i satelliti monitorano le sue basi, lasciare il drone visibile
potrebbe essere stato intenzionale.
Potrebbe
essere un avvertimento per gli Stati Uniti e i suoi alleati sulle sue avanzate
capacità in materia di droni, colmando il divario tecnologico con i sistemi
stealth americani.
Se
operativo, questo drone potrebbe costringere gli Stati Uniti ad accelerare le
misure di contrasto alla furtività e a ripensare le strategie di guerra con i
droni.
I
rapidi progressi della Cina nei sistemi senza pilota segnalano un cambiamento
nella potenza di combattimento aerea, con il potenziale di alterare
l'equilibrio nell'Indo-Pacifico.
Un
enorme drone stealth mai visto prima è stato fotografato in una base militare
cinese altamente segreta, scatenando l'allarme tra gli analisti della difesa
circa la rapida espansione delle capacità di guerra senza pilota di Pechino.
L'aereo,
che ricorda un'ala volante futuristica, è stato immortalato in un'immagine
satellitare scattata il 14 maggio 2025 presso la base di collaudo di Malan.
La struttura, situata nella remota regione
cinese dello Xinjiang, è un polo noto per i programmi di combattimento aereo
più avanzati del Paese.
Il
drone, con un'apertura alare stimata in 52 metri, quasi pari a quella del
bombardiere stealth statunitense B-2 Spirit, sembra essere un velivolo senza
pilota ad alta quota e lunga autonomia (HALE), probabilmente progettato per
missioni di sorveglianza a penetrazione profonda, guerra elettronica o persino
attacco.
La sua
comparsa segnala l'aggressiva spinta della Cina a dominare la guerra aerea di
nuova generazione, potenzialmente in grado di modificare l'equilibrio di potere
nel Pacifico.
La
base di Malan è stata a lungo avvolta nel mistero, ma recenti immagini
satellitari rivelano un vasto complesso di hangar, alcuni abbastanza grandi da
ospitare bombardieri stealth.
Il
nuovo drone era parcheggiato all'esterno di una di queste enormi strutture, il
che suggerisce che la base sia ora un banco di prova per un intero ecosistema
di velivoli di nuova generazione, dai bombardieri stealth come il vociferato
H-20 ai droni avanzati e ai caccia di nuova generazione.
L'infrastruttura
assomiglia molto alle strutture statunitensi per i bombardieri stealth, come
quelle della base aerea di Whiteman in Missouri, dove sono di stanza i B-2
Spirit.
La
varietà di dimensioni degli hangar indica che Malan potrebbe sviluppare un mix
di piattaforme stealth con e senza pilota, in linea con il programma “Next
Generation Air Dominance” (NGAD) del Dipartimento della Difesa statunitense.
Il
velivolo appena avvistato assomiglia sorprendentemente all'RQ-180 statunitense,
un drone da ricognizione stealth classificato, ma su scala molto più grande.
(Gli
Stati Uniti si assicurano la catena di fornitura dei droni mentre il predominio
della Cina nel mercato dei droni commerciali minaccia la SICUREZZA NAZIONALE.)
Gli
analisti ritengono che il drone cinese potrebbe svolgere molteplici funzioni:
Sorveglianza
a penetrazione profonda – Grazie al suo design stealth e alla lunga autonomia, il
drone potrebbe aggirarsi inosservato nelle regioni contese, raccogliendo
informazioni sulle risorse militari statunitensi, tra cui portaerei e basi nel
Pacifico.
Guerra
elettronica – L'aereo
può essere dotato di sistemi di disturbo per interrompere i radar e le
comunicazioni nemiche, una capacità fondamentale nella guerra moderna.
Missioni
di attacco –
Se armato,
potrebbe fungere da bombardiere stealth senza pilota, in grado di lanciare
attacchi di precisione contro obiettivi di alto valore nascosti dietro le linee
nemiche.
Monitoraggio
delle navi nemiche:
il crescente arsenale di armi ipersoniche
della Cina si basa su dati di puntamento in tempo reale, un aspetto che questo
drone potrebbe fornire individuando e tracciando navi o installazioni nemiche.
Un
drone costruito per lo spionaggio a lungo raggio, o peggio.
Il
design ad ala volante del drone, le estremità alari tagliate e l'apparente
mancanza di una cabina di pilotaggio visibile suggeriscono fortemente che si
tratti di un velivolo senza pilota.
Tuttavia, l'immagine satellitare a bassa
risoluzione lascia spazio a speculazioni. Alcuni esperti avvertono che potrebbe
trattarsi comunque di un prototipo con equipaggio o addirittura di un'esca
destinata a trarre in inganno i servizi segreti stranieri.
La
Cina sa bene che i satelliti commerciali monitorano le sue basi militari.
Il fatto che questo drone sia stato lasciato
allo scoperto suggerisce che Pechino potrebbe aver voluto renderlo visibile,
una mossa calcolata per mettere in mostra le sue avanzate capacità in materia
di droni stealth.
Questa
rivelazione segue una serie di recenti rivelazioni sui programmi di
combattimento aereo di nuova generazione della Cina, tra cui il drone stealth
CH-7 e il caccia stealth J-36.
Ogni
nuovo sviluppo rafforza le preoccupazioni sulla rapidità con cui la Cina sta
colmando il divario tecnologico con gli Stati Uniti, in particolare nei sistemi
senza pilota.
Se
operativo, questo drone potrebbe rappresentare una minaccia significativa per
le forze statunitensi e alleate nell'Indo-Pacifico.
La sua
capacità di operare inosservato per lunghi periodi lo renderebbe uno strumento
ideale per tracciare i movimenti navali americani, guidare attacchi
missilistici o persino condurre attacchi segreti.
L'esercito
statunitense ha a lungo fatto affidamento sui propri droni stealth o su
missioni di ricognizione ad alto rischio. Ora, la Cina sembra schierare un
concorrente, che potrebbe far pendere la bilancia in un futuro conflitto.
Funzionari
e analisti della Difesa esamineranno attentamente ulteriori immagini
satellitari alla ricerca di tracce di test di volo o di ulteriori prototipi.
Se questo drone entrasse in servizio attivo,
potrebbe costringere il Dipartimento della Difesa ad accelerare le misure
anti-stealth e a riconsiderare le proprie strategie relative ai droni.
(WWIII.news).
Lo
Stato e la guerra.
Comedonchisciotte.org
– Redazione CDC - Giorgio Agamben, quodlibet.it – (24 Giugno 2025) – ci dice:
Ciò
che noi chiamiamo Stato è, in ultima analisi, una macchina per fare guerre e
prima o poi questa sua costitutiva vocazione finisce con l’emergere al di là di
tutti gli scopi più o meno edificanti che esso può darsi per giustificare la
sua esistenza.
Questo
è oggi particolarmente evidente.
Netanyahu, Zelens’kyj, i governi europei
perseguono a ogni costo una politica di guerra per la quale si possono
certamente identificare scopi e giustificazioni, ma il cui movente ultimo è
inconscio e riposa sulla natura stessa dello stato come macchina di guerra.
Questo
spiega perché la guerra, com’è evidente per Zelens’kyj e per l’Europa, ma com’
è vero anche nel caso di Israele, sia perseguita anche a costo di andare
incontro alla propria possibile autodistruzione.
Ed è vano sperare che una macchina da guerra
possa arrestarsi di fronte a questo rischio.
Essa
andrà avanti fino alla fine, qualunque sia il prezzo che dovrà pagare.
(Giorgio
Agamben, quodlibet.it)- (quodlibet.it/giorgio-agamben-lo-stato-e-la-guerra).
(Giorgio
Agamben è un filosofo italiano. Ha scritto diverse opere che spaziano
dall’estetica alla filosofia politica, dalla linguistica alla storia dei
concetti, proponendo interpretazioni originali di categorie come forma di vita,
homo sacer, stato di eccezione e biopolitica.)
Cattive
abitudini.
Comdonchisciotte.org
– CptHook – (23 Giugno 2025) - Irina Slav – Irina Slav on Energy – ci dice:
L’Unione
Europea sta cercando di aumentare i prestiti congiunti nel tentativo di
rafforzare la presenza dell’euro sulla scena internazionale.
Secondo
il presidente della Banca Centrale Europea, “Christine Lagarde”, “nonostante la
forte posizione fiscale aggregata, con un rapporto debito/PIL dell’89% rispetto
al 124% degli Stati Uniti, l’offerta di asset sicuri di alta qualità è in
ritardo”.
Mi
sono imbattuto in questo rapporto nella mia newsletter quotidiana del FT e lo
stavo leggendo casualmente finché non sono giunta a questa citazione.
Scorrendo verso il basso ho appreso che la
Francia da anni spinge per un maggiore indebitamento, ma la Germania e i Paesi
Bassi, che dovrebbero rimborsare una parte maggiore del debito, si oppongono.
Ho
anche appreso, senza troppa sorpresa, che “l’UE sta già lottando per ripagare i
quasi 800 miliardi di euro di debito comune che ha emesso durante la pandemia
di Covid-19 per finanziare gli stimoli economici” e che, secondo un diplomatico
di alto livello dell’UE, “se la situazione si deteriora” la pressione crescerà
soprattutto perché l’economia di alcuni Stati membri non è in – beh –
“condizioni così buone”. Eppure “giovedì i ministri delle finanze europei hanno
raccomandato che la Bulgaria diventi il 21° membro dell’Eurogruppo, aprendo la
strada all’adozione dell’euro da parte della nazione dell’Europa orientale”.
Non
preoccupatevi, questo non è l’ennesimo post sul destino valutario della
Bulgaria;
no,
questo è un post sulle cattive abitudini e, più precisamente, sulla pessima
abitudine di vivere a debito.
Per
“Christine Lagarde”, un rapporto debito/PIL di appena l’11% inferiore al 100%
rappresenta “una forte posizione fiscale aggregata”.
A me,
un profano della finanza, questo sembra tanto sano quanto chiedere 650.000 euro
per questa casa, che è in effetti ciò che chiede il venditore.
La
cosa più assurda?
Probabilmente
troveranno qualcuno che pagherà quel prezzo, perché le banche sono ansiose di
concedere prestiti.
L’idea
del leasing e del mutuo è relativamente nuova dalle mie parti, ma qui ha
trovato terreno fertile.
Voglio
dire, la gratificazione differita è così sopravvalutata, soprattutto quando è tutt’altro
che certa, quindi ovviamente ha senso comprare qualcosa – una casa, un’auto, un
ferro da stiro – adesso, e pagarla nel tempo.
E se alla fine costa un po’ (molto) di più?
È così
che siamo finiti in una bolla immobiliare che sta per scoppiare l’anno
prossimo.
I
prestiti sono stati resi così facili che tutti si sono precipitati ad accendere
un mutuo e ad acquistare immobili che altrimenti non si sarebbero potuti
permettere. Ovviamente non c’è nulla di sbagliato nell’acquistare una casa con
un mutuo. Diventa sbagliato, cioè un po’ pericoloso dal punto di vista
finanziario, quando si presume di poter comprare tutto in questo modo.
E ci sono molte cose che si vorrebbero
comprare.
Storia
vera di un mio conoscente:
“Ho
appena estinto il mio ultimo prestito, quindi ne chiederò un altro per un
impianto solare per la nuova casa”.
Il
debito è diventato lo stile di vita standard per molti.
Il
motivo per cui questo è problematico è, per me, abbastanza semplice da capire:
la sicurezza del lavoro non esiste.
In tempi difficili, chiunque e tutti possono
cadere e le banche si riservano sempre il diritto di “aggiustare” i loro tassi.
Eppure
il tenore di vita basato sul debito, alimentato dal debito, si può dire, è
diventato così normale che qualsiasi deviazione dalla norma diventa, beh, una
deviazione.
Inaccettabile. Innaturale. Insondabile.
Una
storia vera di un amico bulgaro a Chicago:
“Quando
stavamo comprando la nostra casa, ho insistito per versare un anticipo maggiore
per ridurre l’importo dovuto.
L’agente
immobiliare è quasi scoppiato in lacrime cercando di convincermi che era molto
più intelligente prendere un prestito maggiore, rifinanziare e tutte quelle
stronzate.
Ho
rifiutato“.
Quell’agente
immobiliare è rimasto sicuramente traumatizzato dall’idea che qualcuno voglia
possedere una parte maggiore della propria casa in modo completo, prima o poi.
L’idea
che più prestiti da parte dell’UE aumenterebbero il profilo globale dell’euro,
cioè lo renderebbero più diffuso, deriva dallo stesso presupposto:
l’indebitamento, noto anche come vivere al di
sopra delle proprie possibilità, è la norma.
Si
parla di maggiore liquidità che “invoglierà gli investitori” (a fare cosa,
esattamente? Comprare debito denominato in euro mentre l’eurozona sprofonda
sempre più nella recessione)?
Si
parla di “asset sicuri denominati in euro”, che presumibilmente significa anche
debito denominato in euro.
Alla
fine, si tratta di vivere davvero molto al di sopra dei propri mezzi, di voler
estendere ulteriormente la distanza dai propri mezzi, perché il net zero e
blah-blah, e di cercare modi per evitare di ripagare il proprio debito.
“La
Francia e altri Paesi fortemente indebitati, tra cui l’Italia e la Spagna,
hanno a lungo spinto per un prestito più comune, al fine di essere in grado di
spendere di più per priorità come la difesa senza aumentare l’onere nazionale”.
Ma
quanto è adorabile?
È come
indebitarsi fino al collo per comprare una casa enorme che non ci si può
permettere con il proprio stipendio, aggiungere un paio di auto di lusso,
mettere il più grande impianto solare sul tetto di quella casa e iscrivere i
figli alla scuola privata più costosa perché non si crede che le scuole
pubbliche siano abbastanza buone per la propria prole.
Per poi essere licenziati perché non stavate
facendo abbastanza bene il vostro lavoro, con la distrazione di tutti questi
acquisti di cui credete sinceramente di avere bisogno.
Questo
è il problema delle cattive abitudini di spesa.
I desideri si trasformano in bisogni prima che
si possa dire “dipendenza”.
I
drogati dicono che dobbiamo azzerare le nostre economie.
Non è
vero.
Lo volete perché siete ignoranti e vi hanno
fatto il lavaggio del cervello.
Dobbiamo
riarmare, dicono.
Beh,
sì, ma non per le ragioni che ci dite voi.
Volete
riarmare perché – ecco il colpo di scena – avete bisogno di andare in guerra
per distogliere l’attenzione da tutte le disastrose decisioni politiche che
avete preso per anni, i cui inevitabili effetti stanno ora affiorando in
superficie e cominciano a manifestarsi in modo molto forte.
E a
puzzare.
E per
farlo, volete sprofondare ancora di più nel mucchio di merda di vostra
creazione da cui state cercando di uscire, indebitandovi ancora di più invece
di eliminare, per quanto possibile, queste politiche disastrose, in modo che
non vi costringano a indebitarvi ancora di più.
Ma
credo che questa sia un’idea davvero oltraggiosa, simile al suggerimento di
aspettare un po’ e risparmiare un po’ di soldi per una casa invece di accendere
un mutuo mentre si è in cassa integrazione.
(Irina_SlavIrina
Slav: “Viviamo nei tempi più interessanti che il mondo abbia mai vissuto. Come
andrà a finire è difficile dirlo ora, ma non andrà secondo i piani)
(irinaslav.substack.com/p/bad-habits).
Dalla
Russia: “Se l’Iran cade,
noi
siamo i prossimi.”
Comedonchisciotte.org
- Redazione CDC – (23 Giugno 2025) - Georgiy Berezovsky, Rt.com – ci dice:
Cosa
dicono esperti e politici russi sugli attacchi statunitensi.
Russia Today ha raccolto le reazioni a Mosca,
che vanno dall'allarme geopolitico all'amara ironia, dopo l'attacco
statunitense ai siti nucleari iraniani.
Il 22
giugno, gli Stati Uniti, agendo a sostegno del loro più stretto alleato
Israele, hanno lanciato attacchi aerei contro siti nucleari in Iran.
Le
conseguenze complete dell’operazione – per il programma nucleare iraniano e per
il più ampio equilibrio di potere in Medio Oriente – rimangono incerte.
Ma a
Mosca le reazioni non si sono fatte attendere.
I politici russi e gli esperti di politica
estera hanno iniziato a trarre conclusioni, offrendo prime previsioni e
interpretazioni strategiche di ciò che potrebbe accadere in futuro.
In
questo speciale reportage, “RT” presenta il punto di vista della Russia:
una raccolta di opinioni acute e spesso
contrastanti di analisti e funzionari su ciò che l’ultima mossa militare di
Washington significa per la regione e per il mondo.
“Fyodor
Lukyanov”, caporedattore di “Russia” in Global Affairs:
La
trappola che attende Trump è semplice, ma molto efficace.
Se
l’Iran risponderà prendendo di mira gli interessi americani, gli Stati Uniti
saranno trascinati in un confronto militare quasi inevitabile.
Se invece Teheran si asterrà dal reagire o
offrirà solo una risposta simbolica, la leadership israeliana, sostenuta dai
suoi alleati neoconservatori a Washington, coglierà l’occasione per fare
pressione sulla Casa Bianca:
ora è il momento di dare il colpo di grazia a
un regime indebolito e imporre un sostituto conveniente.
Fino a
quando ciò non accadrà, sosterranno che il lavoro non è finito.
Resta
da vedere se Trump sia disposto, o addirittura in grado, di resistere a tale
pressione.
Molto
probabilmente, l’Iran eviterà di colpire direttamente obiettivi statunitensi
nel tentativo di evitare un’escalation senza ritorno con le forze americane.
È
invece probabile che intensificherà i suoi attacchi contro Israele.
Netanyahu,
a sua volta, raddoppierà gli sforzi per convincere Washington che il cambio di
regime a Teheran è l’unica via percorribile, cosa a cui Trump, almeno per ora,
rimane istintivamente contrario.
Tuttavia,
lo slancio del coinvolgimento militare ha una sua logica, ed è raramente facile
resistergli.
“Tigran
Meloyan”, analista presso il “Centro per la ricerca strategica”, Scuola
superiore di economia:
Se
l’Iran non fa nulla, rischia di apparire debole, sia all’interno che
all’estero.
Ciò rende quasi inevitabile una risposta
attentamente calibrata:
una
risposta progettata non per intensificare il conflitto, ma per preservare la
legittimità interna e mostrare determinazione.
È
improbabile che Teheran vada oltre.
Nel
frattempo, continuando a rafforzare la propria presenza militare, Washington
invia un chiaro messaggio deterrente, segnalando sia la prontezza che la
determinazione nel caso in cui Teheran commetta un errore di calcolo.
Un’altra
opzione per l’Iran potrebbe essere una mossa simbolica drammatica:
il
ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP).
Un
passo del genere sarebbe il modo in cui Teheran dichiarerebbe che Trump,
colpendo le infrastrutture nucleari, ha di fatto smantellato il regime globale
di non proliferazione.
Il TNP avrebbe dovuto garantire la sicurezza
dell’Iran, invece ha prodotto l’effetto opposto.
Tuttavia,
se l’Iran intraprenderà questa strada, rischierà di danneggiare i rapporti con
Mosca e Pechino, che non vogliono vedere una sfida all’ordine nucleare
esistente.
La domanda più importante ora è se l’Iran
prenderà anche solo in considerazione la possibilità di tornare al tavolo dei
negoziati con Washington dopo questo attacco.
Perché
negoziare quando le promesse americane non hanno più alcun valore? Teheran ha
urgente bisogno di un mediatore che possa impedire a Trump di inasprire
ulteriormente la situazione e, al momento, l’unico candidato credibile è Mosca.
Il
ministro degli Esteri iraniano, [Abbas] “Araghchi”, incontrerà il presidente
Putin il 23 giugno.
È
difficile immaginare che un potenziale ritiro dal TNP non sarà sul tavolo delle
trattative.
Se in
passato la bomba iraniana era considerata una minaccia esistenziale per
Israele, ora il calcolo si è invertito:
per l’Iran, la capacità nucleare sta
rapidamente diventando una questione di sopravvivenza.
“Konstantin
Kosachev”, vice presidente del “Consiglio della Federazione”:
Diciamo
le cose come stanno:
l’Iraq,
la Libia e ora l’Iran sono stati bombardati perché non potevano reagire.
Non avevano armi di distruzione di massa o non
le avevano ancora sviluppate.
In alcuni casi, non avevano nemmeno intenzione
di farlo.
Nel
frattempo, l’Occidente non tocca i quattro paesi che rimangono fuori dal
Trattato di non proliferazione: India, Pakistan, Corea del Nord e Israele.
Perché?
Perché a differenza dell’Iraq, della Libia e dell’Iran, questi Stati possiedono
effettivamente armi nucleari.
Il messaggio alle cosiddette nazioni “sulla
soglia” non potrebbe essere più chiaro: se non volete essere bombardati
dall’Occidente, armatevi.
Costruite
una deterrenza.
Andate
fino in fondo, anche al punto di sviluppare armi di distruzione di massa.
Questa è la triste conclusione a cui giungeranno molti paesi.
È una lezione pericolosa, che va contro la
sicurezza globale e l’idea stessa di un ordine internazionale basato sulle
regole.
Eppure
è l’Occidente che continua a seguire questa logica.
L’Iraq
è stato invaso per una fiala di polverina.
La
Libia ha rinunciato al suo programma nucleare ed è stata fatta a pezzi.
L’Iran ha aderito al TNP, ha collaborato con
l’AIEA e non ha attaccato Israele, a differenza di Israele, che ha appena
colpito l’Iran rimanendo fuori dal TNP e rifiutando di cooperare con gli
organismi di controllo nucleare.
Questo
è più che ipocrisia, è un fallimento catastrofico della politica statunitense.
L’amministrazione Trump ha commesso un errore colossale.
La ricerca del Premio Nobel per la Pace ha
assunto proporzioni grottesche e pericolose.
Alexander
Dugin, filosofo politico e analista geopolitico.
Alcuni
continuano ad aggrapparsi all’illusione che la terza guerra mondiale si possa
in qualche modo evitare:
Non
sarà così.
Ci
siamo già dentro.
Gli
Stati Uniti hanno sferrato un attacco aereo contro l’Iran, nostro alleato.
Nulla
li ha fermati.
E se
nulla li ha fermati dal bombardare l’Iran, nulla li fermerà dal prendere di
mira noi.
A un
certo punto, potrebbero decidere che la Russia, come l’Iran, non dovrebbe
essere autorizzata a possedere armi nucleari, oppure trovare qualche altro
pretesto per attaccare.
Non
commettiamo errori: siamo in guerra.
Gli
Stati Uniti possono attaccare sia mentre avanziamo, sia mentre ci ritiriamo.
Non è una questione di strategia, è una questione di volontà.
L’Ucraina non sarà Israele agli occhi
dell’Occidente, ma svolge un ruolo simile. Israele non è sempre esistito;
è
stato creato e rapidamente è diventato un proxy dell’Occidente collettivo,
anche se alcuni israeliani sostengono il contrario, ovvero che l’Occidente è
solo un proxy di Israele.
L’Ucraina ha seguito la stessa traiettoria.
Non
c’è da stupirsi che Zelensky non stia chiedendo il sostegno dell’Occidente:
lo sta
esigendo, comprese le armi nucleari.
Il modello è chiaro.
E
proprio come Israele bombarda Gaza impunemente, Kiev ha bombardato il Donbass
per anni, anche se con meno risorse e meno restrizioni da parte di Mosca. I
nostri appelli all’ONU e le nostre richieste di pace sono diventate prive di
significato.
Se l’Iran cade, la Russia è la prossima.
Trump, ancora una volta, è saldamente nelle
mani dei neoconservatori, proprio come durante il suo primo mandato.
Il progetto MAGA è finito.
Non
c’è nessuna “grande America”, solo il globalismo standard al suo posto. Trump
pensa di poter colpire una volta – come ha fatto con Soleimani – e poi fare
marcia indietro.
Ma non
è possibile fare marcia indietro.
Ha
scatenato una guerra mondiale che non può controllare, figuriamoci vincerla.
Ora
tutto dipende dall’Iran.
Se
rimane in piedi e continua a combattere, potrebbe ancora prevalere.
Lo Stretto di Hormuz è chiuso.
Gli Houthi hanno bloccato il traffico nel Mar
Rosso.
Con l’entrata in scena di nuovi attori, la
situazione evolverà rapidamente.
La
Cina cercherà di restarne fuori, per ora.
Fino a
quando il primo colpo non colpirà anche lei.
Ma se
l’Iran crolla, non perderà solo sé stesso, ma metterà a rischio anche tutti
noi.
Compresa
la Russia, che ora si trova di fronte a una scelta esistenziale.
La
questione non è se combattere.
La
Russia sta già combattendo. La questione è come.
I
vecchi metodi sono ormai esauriti.
Ciò
significa che dovremo trovare un nuovo modo di combattere, e in fretta.
Dmitry
Novikov, professore associato presso la Scuola Superiore di Economia.
A
giudicare dalle dichiarazioni di “Hegseth” e del generale “Cain” alla
conferenza stampa, gli Stati Uniti sembrano segnalare la fine del loro
coinvolgimento diretto, almeno per ora.
Ufficialmente,
il programma nucleare iraniano è stato “eliminato”.
Che
ciò sia vero o meno è irrilevante.
Anche se Teheran riuscisse a costruire una
bomba tra sei mesi, la narrazione è già pronta:
l’operazione
era mirata esclusivamente alle infrastrutture nucleari, senza attacchi alle
forze militari o ai civili.
Una
missione mirata, pulita e, secondo Washington, decisamente riuscita.
Il
lavoro è fatto, il sipario cala.
Ciò
non significa che Washington se ne vada.
Gli
Stati Uniti continueranno a sostenere Israele e mantengono la capacità di
intensificare l’escalation se necessario.
Ma per il momento, l’umore sembra essere
quello di una chiusura autocelebrativa.
Naturalmente,
se avessero davvero voluto andare fino in fondo, avrebbero potuto usare un’arma
nucleare tattica.
Ciò avrebbe fornito una “prova” inconfutabile
dell’esistenza di una bomba iraniana:
se esplode, deve esistere.
In secondo luogo, avrebbe permesso
all’amministrazione di affermare di aver distrutto armi nucleari sul suolo
iraniano.
Entrambe le affermazioni sarebbero state
tecnicamente accurate, anche se strategicamente assurde.
Nessuna
delle due sarebbe stata falsa dal punto di vista fattuale.
Solo
moralmente e politicamente radioattiva.
“Sergey
Markov”, analista politico.
Perché
gli Stati Uniti hanno scelto di attaccare l’Iran proprio ora, dopo anni di
moderazione?
La
risposta è semplice: paura.
Per
decenni Washington si è trattenuta per timore che qualsiasi attacco potesse
scatenare un’ondata di attacchi terroristici di ritorsione, forse centinaia,
perpetrati da cellule dormienti legate all’Iran e ai suoi alleati come
Hezbollah.
L’ipotesi prevalente era che l’Iran avesse
preparato in segreto reti in tutti gli Stati Uniti e in Israele, pronte a
scatenare il caos in risposta.
Ma la
guerra di Israele in Libano ha sfatato questo mito.
Le
temute cellule dormienti non si sono mai materializzate.
Una
volta che questo è diventato chiaro, sia Israele che gli Stati Uniti hanno
capito che potevano colpire l’Iran con un rischio minimo di gravi
ripercussioni.
E
così, ironicamente, la moderazione dell’Iran – la sua apparente “pacificità” –
ha spianato la strada alla guerra.
C’è
una lezione da trarre per la Russia:
quando
l’Occidente percepisce sia la volontà di negoziare che il rifiuto di
sottomettersi, non risponde con la diplomazia, ma con la forza.
Questo
è il vero volto dell’imperialismo occidentale.
“Vladimir
Batyuk”, ricercatore capo presso l’Istituto di studi statunitensi e canadesi
dell’Accademia delle scienze russa.
Trump
ha superato il limite.
Ora ci
troviamo di fronte alla possibilità concreta di un grave scontro militare.
L’Iran potrebbe reagire colpendo le installazioni militari statunitensi in
Medio Oriente, spingendo Washington a rispondere con la stessa moneta.
Ciò
segnerebbe l’inizio di un conflitto armato di lunga durata, che gli Stati Uniti
potrebbero trovare sempre più difficile contenere.
Quello
a cui stiamo assistendo sembra proprio una vittoria del cosiddetto “Stato
profondo”.
Molti
si aspettavano che Trump si trattenesse, per evitare di abboccare all’esca. Ma
si è lasciato trascinare in un gioco d’azzardo ad alto rischio, le cui
conseguenze sono impossibili da prevedere.
E dal punto di vista politico, questo potrebbe
ritorcersi contro.
Se lo
stallo con l’Iran fa salire alle stelle i prezzi del petrolio, le conseguenze
potrebbero essere gravi.
Negli
Stati Uniti, i prezzi della benzina sono sacrosanti.
Qualsiasi
amministrazione che permetta loro di sfuggire al controllo rischia gravi
ripercussioni interne.
Per Trump, questo potrebbe trasformarsi in una
grave vulnerabilità.
“Dmitry
Medvedev”, vice presidente del Consiglio di sicurezza russo; ex presidente
della Russia.
Allora,
cosa ha ottenuto esattamente gli Stati Uniti con il suo attacco notturno contro
tre obiettivi in Iran?
1.Le
infrastrutture nucleari critiche dell’Iran sembrano essere intatte o, nel
peggiore dei casi, solo minimamente danneggiate.
2.
L’arricchimento dell’uranio continuerà. E diciamolo chiaramente: lo stesso vale
per il programma nucleare iraniano.
3.
Secondo alcune fonti, diversi paesi sarebbero pronti a fornire direttamente
all’Iran testate nucleari.
4.
Israele è sotto attacco, le esplosioni risuonano nelle città e la popolazione
civile è in preda al panico.
5. Gli
Stati Uniti sono ora coinvolti in un altro conflitto, che questa volta comporta
la possibilità concreta di una guerra terrestre.
6. La
leadership politica iraniana non solo è sopravvissuta, ma potrebbe essere
diventata più forte.
7.
Anche gli iraniani che si opponevano al regime ora si stanno schierando dalla
sua parte.
8.
Donald Trump, il sedicente presidente della pace, ha appena lanciato una nuova
guerra.
9. La
stragrande maggioranza della comunità internazionale si schiera contro gli
Stati Uniti e Israele.
10. Di
questo passo, Trump può dire addio al Premio Nobel per la Pace, per quanto
assurdo sia diventato questo riconoscimento.
Quindi,
congratulazioni, signor Presidente.
Davvero
un inizio stellare.
(Georgiy
Berezovsky, Rt.com).
(Georgiy
Berezovsky, giornalista con sede a Vladikavkaz).
(rt.com/russia/620253-if-iran-falls-were-next/).
L'accusa
nucleare chiave che ha dato
inizio alla guerra è stato preso da un
algoritmo di controllo dello spionaggio
della “Palantir”.
Unz.com - Alastair Crooke - (23 giugno 2025) – ci dice:
Trump
si è schierato con gli israeliani, affermando che l'Iran era "molto
vicino" ad avere una bomba, e ha aggiunto che non gli importava cosa
pensasse la “Gabbard”.
La
risoluzione di "non conformità" del Consiglio dell'AIEA del 12 giugno
2025 è stata il precursore pianificato per l'attacco "fulmine a ciel
sereno" di Israele contro l'Iran il giorno successivo.
Gli
israeliani dicono che il piano di entrare in guerra con l'Iran si basava
sull'"opportunità" di colpire, e non sull'intelligence che l'Iran
stava accelerando verso una bomba (che era il punto di partenza per la guerra).
(Alastair
Crooke).
L'improvvisa
affermazione che l'Iran è molto vicino a una bomba (che sembra essere saltata
fuori dal "nulla" per lasciare gli americani perplessi su come sia
potuto accadere che – in un battitore d'occhio, stiamo andando in guerra – sia
stata successivamente confutata dal capo dell'”AIEA” “Grossi” alla CNN il 17
giugno (ma solo dopo che il brusco attacco all'Iran aveva già avuto luogo):
"Non
abbiamo alcuna prova di uno sforzo sistematico [da parte dell'Iran] per passare
a un'arma nucleare", ha confermato “Grossi” alla CNN.
Questa
dichiarazione ha suscitato la seguente risposta da parte dell'Iran da parte del
suo portavoce del Ministero degli Esteri, “Esmaeil Baqaei”, il 19 giugno :
"E'
troppo tardi, signor “Grossi”, lei ha oscurato questa verità nel suo rapporto
assolutamente di parte che è stato strumentalizzato dall'E3/USA per trattare
una risoluzione con accuse infondate di 'non conformità' [iraniana];
la stessa risoluzione è stata poi utilizzata,
come ultimo pretesto, da un regime guerrafondaio genocida per condurre una
guerra di aggressione contro l'Iran e per lanciare un attacco illegale contro i
nostri pacifici impianti nucleari.
Sapete quanti iraniani innocenti sono stati
uccisi/mutilati a causa di questa guerra criminale?
Lei ha
trasformato l'”AIEA” in uno strumento di convenienza per i non membri del TNP
per privare i membri del loro diritto fondamentale ai sensi dell'articolo 4.
Ha la
coscienza pulita?".
Al che
il dottor “Ali Larijani”, consigliere della “Guida Suprema”, ha aggiunto:
"Quando
la guerra finirà, chiederemo conto al direttore dell'AIEA, Rafael Grossi".
Cosa
dicono:
Dichiarazione
del Ministero degli Esteri russo, in relazione all'escalation del conflitto
iraniano-israeliano:
"Furono
proprio questi "simpatizzanti" [EU3] a esercitare pressioni sulla
dirigenza dell'Agenzia [AIEA] affinché preparasse una controversa
"valutazione completa" del programma nucleare iraniano, i cui difetti
furono successivamente sfruttati per far approvare una risoluzione anti-Iran
faziosa presso il Consiglio dei governatori dell'AIEA il 12 giugno [2025].
Questa
risoluzione diede di fatto il via libera alle azioni di Gerusalemme Ovest,
portando alla tragedia" [vale a dire all'attacco a sorpresa del giorno
successivo, il 13 giugno].
Dietro
le quinte:
Le
basi della risoluzione dell'AIEA del 12 giugno 2025 – che fornisce il pretesto
a Israele per colpire l'Iran (è concepita per convincere il presidente Trump a
respingere gli avvertimenti del suo stesso Direttore dell'Intelligence
Nazionale, secondo cui non vi erano prove di un avvicinamento dell'Iran alla
militarizzazione) – sarebbero state tratte non dal Mossad o da altri servizi
segreti occidentali, ma dal software dell'AIEA.
Come
sottolinea DD Geo-politics , dal 2015 l'AIEA si affida alla piattaforma “Mosaic
di Palantir” , un sistema di intelligenza artificiale da 50 milioni di dollari
che analizza milioni di dati – immagini satellitari, social media, registri del
personale – per prevedere le minacce nucleari:
Le
scorte iraniane [di uranio arricchito] erano in costante crescita da mesi,
eppure la narrazione di un'imminente svolta si è fatta più forte solo dopo la
censura dell'AIEA del 6 giugno 2025.
Quella
risoluzione, adottata con 19 voti favorevoli e 3 contrari, ha fornito a Israele
la copertura diplomatica di cui aveva bisogno.
La
piattaforma “Mosaic di Palantir “ha svolto un ruolo cruciale in questa svolta.
I suoi
dati hanno plasmato il rapporto del 31 maggio, segnalando anomalie a Fordow e
Lavisan-Shian e riciclando precedenti accuse di Turquzabad, nonostante le
smentite e i sabotaggi iraniani di anni fa...
“Mosaic”
era stato concepito originariamente per identificare le attività degli insorti
in Iraq e Afghanistan.
Il suo
algoritmo cerca di identificare e
Cosa
dicono i principali commentatori israeliani:
Il
principale commentatore israeliano di centro-destra,Ben Caspit (Ma'ariv):
Il
commentatore israeliano Nahum Barnea ( Yedioth Ahoronot):
"La
decisione di iniziare una guerra è stata tutta di Netanyahu.
Ed eccolo qui, deciso e responsabile: tutto il
merito è suo.
Trump
ha dato a Israele il via libera per iniziare una guerra, a condizione che non
presenti l'America come partner e responsabile.
Il
metodo Trump non fa distinzione tra l'Ucraina di Zelensky e l'Iran di Khamenei:
l'umiliazione lungo il cammino è la garanzia di un accordo alla fine".
Il
commentatore israeliano edel NY Times,” Ronan Bergman” (Yedioth Ahoronot):
"La
necessità della serie di omicidi della scorsa settimana è emersa per la prima
volta come pensiero lo scorso settembre, tra gli alti funzionari dell'Unità
8200, la divisione di ricerca della Direzione dell'Intelligence, il Mossad e
altre parti del sistema.
La
causa scatenante è stata la sconfitta inflitta dall'IDF a Hezbollah, seguita
dal successo dell'attacco all'Iran e dalla distruzione del suo sistema di
difesa aerea in ottobre, seguita a dicembre dal crollo del regime di Assad a
Damasco e dalla distruzione del suo sistema di difesa aerea da parte dell'IDF.
La sequenza degli eventi ha portato molti alti
funzionari israeliani a credere che si fosse presentata un'opportunità senza
precedenti, una finestra di una vita, per attaccare l'Iran.
Quadro
generale:
A
quanto pare, Trump era stato convinto da Netanyahu, Ron Dermer e dal generale
Kurilla del CENTOM (Politico riporta che Kurilla è stato determinante nel
persuadere Trump che il DNI “Tulsi Gabbar”d aveva torto nella sua valutazione
che l'Iran non aveva "nessuna bomba").
Trump
si è schierato con gli israeliani, affermando che l'Iran era " molto
vicino " ad avere una bomba, e ha aggiunto che "non gli importava
cosa pensasse lei [Gabbard]". Trump ha speculato ad alta voce – il giorno
prima dell'evento del 13 giugno – che un attacco israeliano (all'Iran)
"potrebbe accelerare un accordo".
Non
c'è dubbio che l'inaspettata e improvvisa "caduta" della Siria abbia
spinto i neo-conservatori a immaginare che potrebbe rapidamente ripetere
l'esercitazione in Iran.
Questo
è anche il motivo per cui si pone così tanta enfasi sull'assassinio della Guida
Suprema.
Quando l'Iran non è crollato; quando il
sistema iraniano si è riavviato inaspettatamente e rapidamente; e sono iniziati
gli attacchi di rappresaglia dell'Iran contro Israele, il blocco
filo-israeliano è andato nel panico ed ha esercitato un'enorme pressione su
Trump affinché gli Stati Uniti entrassero in guerra per conto di Israele.
Questo
ha lasciato Trump di fronte a un terribile dilemma – dover scegliere tra le
sirene, Scilla e Cariddi – o alienarsi la sua base di sostegno MAGA (che ha
votato per lui proprio per evitare che gli Stati Uniti si unissero a un'altra
guerra eterna (causando così probabilmente una sconfitta del GOP alle prossime
elezioni di metà mandato)), o per alienare i suoi donatori ebrei ultra-ricchi (come Miriam Adelson, i cui soldi
hanno influenza sul Congresso, e le cui risorse sono sfruttate dal Stato
Profondo per interessi ricorrenti reciproci con i sostenitori di Israele), che si rivolterebbero contro di lui.
(Sfumature
di Iraq e il ruolo di Colin Powell...)
Trump
porta l'America in guerra.
Unz.com - Philip Giraldi – (22 giugno 2025 –
ci dice:
L'attacco
all'Iran porterà un massacro senza fine e inutile.
C'è un
retroscena un po' problematico nella glorificazione del presidente Donald Trump
di come l'attacco delle forze statunitensi di sabato su tre siti nucleari
iraniani che "ha completamente cancellato" i loro obiettivi sia stato
effettuato senza alcuna dichiarazione di guerra contro un paese che non ha
attaccato e non stava in alcun modo minacciando gli Stati Uniti.
Al
netto di qualsiasi minaccia imminente come giustificazione, si trattava di una
sfida diretta del ramo esecutivo al “War Powers Act del 1973, che aveva lo
scopo di mantenere la chiara intenzione della Costituzione degli Stati Uniti
che solo il "popolo" americano che agiva attraverso i suoi
rappresentanti al Congresso avrebbe dovuto avere l'autorità di iniziare una
guerra.
Ciò
significa che l'attacco all'Iran era illegale e coloro che lo hanno pianificato
ed eseguito, preferibilmente compreso il presidente Trump, dovrebbero essere
considerati “impeachable”.
Alcuni
democratici al Congresso stanno infatti già chiedendo l'impeachment.
Trump
ha celebrato la sua vittoria sui persiani con un discorso a tarda notte alla
nazione mentre si trovava di fronte al suo segretario di Stato “Marco Rubio”,
al segretario alla Difesa “Pete Hegseth” e al vicepresidente “JD Vance”.
Ha
detto al pubblico e ai media riuniti che "Abbiamo completato il nostro
attacco di grande successo ai tre siti nucleari in Iran, tra cui Fordow, Natanz
ed Esfahan.
Tutti
gli aerei sono ora al di fuori dello spazio aereo iraniano.
Un
carico completo di BOMBE è stato sganciato sul sito primario, Fordow.
Tutti
gli aerei sono in sicurezza sulla via del ritorno a casa. Congratulazioni ai
nostri grandi guerrieri americani.
Non c'è un altro esercito al mondo che avrebbe
potuto fare questo.
ORA È
IL MOMENTO DELLA PACE.
Grazie per l'attenzione che avete prestato a
questa domanda".
Trump ha aggiunto che se "la pace non
arriva rapidamente", gli Stati Uniti eseguiranno presto altri attacchi più
grandi.
"O
ci sarà la pace o ci sarà la tragedia. Ricorda, ci sono molti obiettivi
rimasti. … Se la pace non arriva rapidamente, andremo a caccia di quegli altri
obiettivi con precisione, velocità e abilità".
I
primi cinque mesi di mandato di Trump hanno dimostrato un deplorevole disprezzo
per la Costituzione degli Stati Uniti, preferendo credere che la sua
autodichiarata autorità esecutiva di presidente prevalga sulle prerogative
costituzionali sia della magistratura che del legislatore.
Ciò ha anche portato il governo a commettere
abusi palesemente illegali, ignorando il giusto processo.
Ciò è stato evidente nella gestione della
questione dell'immigrazione clandestina e nella repressione della libertà di
parola per coloro che si oppongono al sostegno degli Stati Uniti al genocidio
israeliano a Gaza. Iniziare una guerra inutile dopo essere stato eletto
presidente con la promessa di porre fine alle guerre di Joe Biden è forse una
manifestazione dell'arroganza che guida l'attuale pensiero alla Casa Bianca.
Considerato
tutto quanto sopra, è forse necessario chiedersi se la "distruzione"
vantata da Trump abbia effettivamente ottenuto qualcosa di diverso dalla
distruzione di strutture sul terreno.
I tre siti colpiti negli attacchi – Natanz,
Fordow e Isfahan – erano certamente vulnerabili ai missili da crociera Tomahawk
lanciati da sottomarini e anche alle pesanti bombe penetranti GBU-57 da 30.000
libbre sganciate dai bombardieri stealth B-2 statunitensi, ma due dei siti,
Fordow e Isfahan, si trovano in profondità nel sottosuolo, protetti dall'alto
da montagne rocciose.
Isfahan avrebbe un lungo tunnel attraverso la
roccia per raggiungere la struttura.
Fonti
iraniane riferiscono che, anche se le strutture protette fossero state
danneggiate, non vi sarebbe stato nulla, e che tutto l'uranio arricchito e le
attrezzature critiche come le centrifughe sarebbero stati rimossi in previsione
di un attacco.
La loro nuova ubicazione sembra essere
sconosciuta all'intelligence statunitense.
E a
proposito di intelligence statunitense, c'è stato un chiaro fallimento di
intelligence legato all'entrata in guerra contro l'Iran, che Trump ora chiede
di cessare la resistenza e di richiedere una resa incondizionata che comporterà
qualcosa di simile al disarmo completo.
La posizione del presidente sulla questione
dell'Iran è stata in qualche modo complicata dai suoi commenti contraddittori
relativi allo stato del presunto programma di armamento nucleare di Teheran, la
cui esistenza è negata dalla maggior parte delle fonti di intelligence
statunitensi e occidentali.
Dopo un'iniziale esitazione, Donald Trump ora
afferma di "sapere" che l'Iran è "molto vicino ad avere armi
nucleari", forse tra "un paio di settimane", nonostante
l'intelligence americana gli avesse detto a marzo che l'Iran non sta costruendo
un'arma nucleare e che la “Guida Suprema Ayatollah Ali Khamenei” non ha
autorizzato il programma di armi nucleari che aveva sospeso nel 2003.
Ma a Trump non importa, e ha persino respinto
quanto gli aveva detto la “Direttrice dell'Intelligence Nazionale statunitense
Tulsi Gabbard” in merito alla valutazione dell'intelligence statunitense,
affermando:
"Non
mi interessa cosa ha detto."
Il direttore della CIA “John Ratcliffe”,
fedele sostenitore di Trump, ha contribuito a rigirare il coltello nella piaga
di “Gabbard”, che presumibilmente se ne andrà presto, cambiando rotta su quello
che era stato un giudizio unanime della comunità di intelligence e dicendo alla
Casa Bianca che l'Iran era "sulla linea di un metro" dal possedere
un'arma nucleare.
Trump
ha quindi deciso di ignorare e denigrare esplicitamente le conclusioni
raggiunte dal suo stesso staff di intelligence, giungendo alla convinzione che
Netanyahu, che ha mantenuto regolari comunicazioni telefoniche con il
presidente americano nonostante le storie del mese scorso sui dissidi tra i due
uomini, sappia meglio di chiunque altro cosa stia accadendo in Iran.
Trump
è stato anche destinatario di informazioni provenienti dall'agenzia di
spionaggio esterna israeliana, il “Mossad,” il che, per chiunque fosse meno
ingenuo di Trump, avrebbe dovuto essere un segnale d'allarme che gli stavano
alimentando disinformazione.
Il
motto del Mossad è letteralmente:
"Con
l'inganno vi impegnerete in guerra" e si dice che avesse una linea diretta
con Ratcliffe e la CIA” per "punti di discussione" che fornissero
"indicazioni" sulla "minaccia" iraniana.
E così
il presidente degli Stati Uniti ha impegnato la sua amministrazione a sostenere
gli atti di aggressione israeliani contro l'Iran e ha informato Teheran che, se
risponderà agli atti di guerra, gli Stati Uniti aiuteranno Israele a
distruggerlo, una promessa che sembra stia mantenendo proprio ora.
In
effetti, Israele era chiaramente coinvolto nella pianificazione della missione.
Alti
funzionari e giornalisti israeliani hanno confermato che Tel Aviv era stata
informata dell'attacco prima che l'operazione avesse effettivamente luogo.
E
Trump ha anche chiamato il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo
l'attacco, portando Netanyahu a pubblicare un videomessaggio sui suoi social
media sabato sera, elogiando la decisione di Trump di bombardare i siti
iraniani.
"Congratulazioni, Presidente Trump. La
sua coraggiosa decisione di colpire gli impianti nucleari iraniani con la
straordinaria e giusta potenza degli Stati Uniti cambierà la storia.
Nell'operazione
“Rising Lion”, Israele ha fatto cose davvero straordinarie.
Ma
nell'azione di stasera contro gli impianti nucleari iraniani, l'America è stata
davvero insuperabile. Ha fatto ciò che nessun altro paese al mondo avrebbe
potuto fare".
In
effetti, si potrebbe sostenere che l'attacco degli Stati Uniti all'Iran fosse
interamente incentrato su Israele, e questo è un'ulteriore indicazione di chi
effettivamente governa Washington.
Trump
si è umiliato per ringraziare il governo israeliano, che sta attualmente
perpetrando un genocidio a Gaza, per il suo aiuto e la sua cooperazione
nell'operazione.
"Voglio
ringraziare e congratularmi con il Primo Ministro Bibi Netanyahu; abbiamo
lavorato come una squadra come forse nessun'altra squadra ha mai fatto prima, e
abbiamo fatto molta strada per cancellare questa orribile minaccia per Israele.
O ci
sarà la pace, o ci sarà una tragedia per l'Iran ben più grande di quella a cui
abbiamo assistito negli ultimi otto giorni".
Nonostante
le affermazioni di un'operazione completamente riuscita provenienti dalla Casa
Bianca e dal Pentagono, come già accennato, l'entità dei danni effettivi ai
siti iraniani presi di mira non è ancora del tutto nota.
Ma gli
osanna hanno già iniziato a raccogliere i benefici politici ottenuti grazie a
quello che viene descritto come uno "spettacolare successo militare".
Il
Segretario alla Difesa “Pete Hegseth” ha guidato il gruppo di iene jodel con
un'iperbolica dichiarazione:
"L'operazione
pianificata dal Presidente Trump è stata audace e brillante, dimostrando al
mondo che la deterrenza americana è tornata. Quando questo presidente parla, il
mondo dovrebbe ascoltare".
Quindi
cosa succederà ora?
L'Iran reagirà sicuramente in qualche modo,
forse colpendo le basi statunitensi nella regione del Golfo Persico e uccidendo
cittadini americani, il che non farà altro che aggravare la guerra, con gli
Stati Uniti e Israele che attualmente chiedono la distruzione della stessa
città di Teheran, obiettivo raggiungibile solo con armi nucleari.
Inoltre, l'Iran potrebbe chiudere lo Stretto
di Hormuz, facendo salire i prezzi della benzina fino a 30 dollari al gallone.
E se
l'Iran recuperasse davvero il suo uranio arricchito e le attrezzature
necessarie per potenziarlo e costruire una bomba, l'intera operazione potrebbe
portare alla creazione di un nuovo propalatore della proliferazione nucleare a
scopo difensivo, in totale contrasto con l'intenzione dichiarata di negare a
Teheran la propria arma nucleare.
Considerate
tutto questo e, se volete attribuire la colpa, rivolgetevi all'eternamente
ignorante Donald Trump e ai suoi protettori neoconservatori e israeliani.
Il fatto che Trump e i suoi compagni siano in
grado di esercitare un tale potere suggerisce piuttosto che qualcosa non va nel
nostro Paese in questo momento ed è ora che l'opinione pubblica si sollevi e
chieda la fine di ciò che sta accadendo in Medio Oriente, in particolare, ma
anche in Ucraina.
Basta,
signor Trump! Ha esagerato!
(Philip
M. Giraldi, Ph.D., è Direttore Esecutivo del Council for the National Interest,
una fondazione educativa 501(c)3 fiscalmente deducibile (numero di
identificazione federale #52-1739023) che promuove una politica estera
statunitense in Medio Oriente maggiormente incentrata sugli interessi degli
Stati Uniti. Il sito web è councilforthenationalinterest.org, l'indirizzo è PO
Box 2157, Purcellville, VA 20134).
Trump
si immerge in qualche “strana
merda di Satana” mentre si prepara
per una grande guerra per Israele.
Unz.com - Andrew Anglin – (20 giugno 2025) –
ci dice:
Donald
Trump, il "presidente americano" di proprietà israeliana, ha postato
alcune strane parole su Satana da parte di “Mike Huckabee”.
Il
fatto che Mike Huckabee pensa di essere il profeta Natan che consiglia il re
Davide è forse prevedibile.
È un
individuo profondamente confuso, satanico, che è stato compreso per decenni.
Crede
letteralmente nello sterminio dei bambini per "Dio", e non ci vuole
davvero un teologo per capire quale "dio" starebbe chiedendo
l'omicidio di massa dei bambini.
Tutti
sanno cosa aspettarsi da questo ragazzo.
Esistono
ovviamente diverse forme di cristianesimo, e ci sono veri seguaci di queste
diverse forme di cristianesimo, e credo che ci siano brave persone nella
maggior parte di esse. Non ci sono brave persone nella forma di cristianesimo
del "benedici coloro che benedicono Israele". Almeno non dopo aver
visto cosa significa a Gaza. È impossibile avere una forma di cristianesimo che
sostenga l'omicidio di massa di bambini. Al di là di qualsiasi teologia, è
semplicemente stupido che Gesù Cristo voglia che la gente uccida in massa i
bambini. Ci sono persone che credono in questa religione, ma non è
cristianesimo, è satanismo con una (sottilissima patina di
puritanesimo/materialismo calvinista) patina di cristianesimo.
Quello
che non ci si aspetterebbe è che Donald Trump pubblichi questo testo sul suo
sito “Truth Social “come se pensasse che alla gente piacciano queste cose.
Sono
sicuro che ci siano persone a cui piacciono queste cose.
Ma al momento sono davvero poche.
La
maggior parte di coloro che erano coinvolti in questo genere di "satanismo
mascherato da cristianesimo" del tipo "sangue per il dio del
sangue" sono già morti.
Erano vecchi vent'anni fa, quando George W.
Bush sosteneva che Dio gli stesse dicendo di uccidere, uccidere, uccidere per
Israele.
Di
quelli ancora vivi, la maggior parte non sarà su internet.
Capisco
che molti politici professino questa forma satanica di
"cristianesimo", ma lo fanno perché l'AIPAC glielo impone.
È molto redditizio avere questo sistema di
credenze.
“Lee
Fang” è andato a Washington nel 2023, poco dopo il 7 ottobre, e ha parlato con
questi squilibrati.
E,
naturalmente, abbiamo appena visto “Ted Cruz” dire a” Tucker Carlson” che il
nocciolo della sua convinzione è che dobbiamo "benedire lo stato politico
di Israele" aiutandolo a uccidere persone innocenti.
Ma non poteva citare alcun versetto della
Bibbia e non poteva elaborare il sistema di credenze.
Quindi è solo qualcosa che dice.
Mike
Huckabee probabilmente ci crede davvero.
È una figura oscura e satanica, molto più di “Ted
Cruz”, che è chiaramente solo un truffatore da quattro soldi.
Ma
quale percentuale di persone normali ci crede?
Non
molti.
Non mi
aspettavo che Trump si schiantasse così duramente, così velocemente.
Quando
sei al punto in cui stai parlando di Dio che ti manda messaggi parlandoti
letteralmente, è piuttosto difficile immaginare di scendere più in basso.
Che
casinò.
Sto
davvero iniziando a sentirmi male per Trump.
Ovviamente
non era quello che voleva.
Ma
eccolo qui, una piccola creatura indifesa nelle mani della Bestia senza la volontà
o la forza di carattere per alzarsi e rischiare qualsiasi cosa per respingere
questo.
Invece,
si aggrappa all'idea di poter mantenere un qualche tipo di sostegno diventando
completamente strambo di Satana.
Il
supporto alla base è già crollato in gran parte, e crollerà completamente non
appena entrerà ufficialmente in guerra. “Seymour Hersh” (che è un tipo "le
mie fonti me lo dicono" e fa sul serio) ha detto che gli attacchi
potrebbero arrivare già questo fine settimana.
Personalmente
non ne ho idea, ma se dovessi tirare a indovinare, Trump vorrebbe che il Mossad colpisse
qualche installazione americana in Iraq, così da poter andare in giro a parlare
di americani morti prima di entrare in guerra.
Ma potrebbe non averne bisogno. Non ne ho idea
e non ha davvero importanza.
Ciò
che conta è che sia finita.
Qualsiasi
speranza e sogno avessi per un Trump 2.0 è ufficialmente infranto.
E con esso, ogni speranza di un futuro per
l'America così come è attualmente composta.
È triste.
Immagino
sia triste. Certo, è ovviamente triste. È anche un po' cupamente esilarante,
credo.
Voglio
dire, se fai solo due passi indietro, a parte le infinite pile di cadaveri, è
tutto molto divertente.
Proprio
come Trump non può tornare indietro da questa situazione, nemmeno Israele può.
Non
avrà mai più alcun tipo di sostegno significativo dal popolo americano, e al
contrario, ci sarà una massiccia ostilità, e folle di persone al seguito dei
politici filo-israeliani, che li scherniranno.
La
tempistica sulla griglia di controllo totale dell'IA di “Palantir” e l'entrata
degli Stati Uniti in guerra su vasta scala in Medio Oriente non coincidevano
del tutto.
Di
nuovo, piuttosto divertente.
Comunque.
Immagino
che nessun lettore del “Daily Stormer” nutrisse grandi speranze su tutto
questo.
Sono
tutte cose che dicevo già da più di un anno.
Non appena Trump è stato graffiato all'orecchio e
hanno iniziato a dire che era il messia, ho richiamato tutto questo, fin nei
minimi dettagli.
Non mi
sto vantando. Sto solo dicendo.
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