Si preparano il terreno per una guerra nucleare.
Si
preparano il terreno per una guerra nucleare.
Bilancio
Ue a 2mila miliardi,
tra le
risorse una tassa sulle
grandi imprese. Ma il
Parlamento:
«Insufficiente».
msn.com -corriere della sera - Storia di
Redazione Economia – (17-07 – 2025) - ci dice:
Bilancio
Ue a 2mila miliardi, tra le risorse una tassa sulle grandi imprese. Ma il
Parlamento: «Insufficiente»
L'Unione
Europea ha presentato la sua proposta di bilancio per il periodo
2028-2034,
che ammonta a 2.000 miliardi di euro, un aumento significativo rispetto al
periodo precedente, spiega il Commissario europeo per il Bilancio, Piotr
Serafin.
In particolare ha sottolineato che si tratta
di un «bilancio ambizioso».
Il
bilancio precedente, dal 2021 al 2027, ammontava a 1.200 miliardi di euro, ma è
stato integrato da un piano di ripresa da 800 miliardi di euro durante la crisi
del Covid.
Si
tratta di un aumento significativo, con risorse aggiuntive per la competitività
e la difesa, mentre inizia una tesa contrapposizione sul futuro della Politica
agricola comune.
Si
tratta del «bilancio europeo più ambizioso mai proposto», ha sottolineato la
Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Nel dettaglio, in questo nuovo bilancio, la
Commissione dà chiaramente priorità alla competitività, con 451 miliardi di
euro, confermando la svolta pro-imprese dell'Ue nel contesto delle tensioni
commerciali con gli Stati Uniti di Donald Trump.
Tre
anni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, l'esecutivo sottolinea anche il
suo impegno per la difesa e promette ulteriori 100 miliardi di euro a sostegno
di Kiev dal 2028 al 2034.
«Il
nostro bilancio contribuirà a costruire un'Unione che protegge.
Proponiamo
131 miliardi di euro per la difesa e lo spazio, nell'ambito del Fondo per la
competitività.
5 volte quello che abbiamo oggi - annuncia via
social von der Leyen - Questo rafforzerà la nostra base industriale e le nostre
capacità».
Inoltre
300 miliardi di euro saranno stanziati per i redditi degli agricoltori dal 2028
al 2034, a fronte delle preoccupazioni del settore riguardo alla nuova formula
della Politica Agricola Comune (Pac).
La
Commissione europea propone anche cinque nuove fonti di entrate per un totale
di 58,2 miliardi di euro.
Questo,
secondo Bruxelles, creerà i mezzi per finanziare le priorità Ue, rimborsando al
contempo i prestiti contratti dall'Ue nell'ambito di “Next Generation Eu” e
limitando i contributi nazionali al bilancio dell'Ue.
A tal
fine, la Commissione presenta cinque nuove risorse proprie.
La prima è il sistema di scambio di quote di
emissioni dell'Ue (Ets), dove un adeguamento mirato delle entrate generate
dall'”Ets1” al bilancio dell'Ue si prevede che genererà circa 9,6 miliardi di
euro all'anno, in media.
La
seconda è il Meccanismo di aggiustamento alle frontiere del carbonio (Cbam),
dove l'aggiustamento mirato delle entrate generate dal Cbam andrà al bilancio
dell'Ue e si prevede che genererà circa 1,4 miliardi di euro all'anno.
La
terza è una risorsa propria basata sui rifiuti elettronici non raccolti
attraverso l'applicazione di un'aliquota uniforme al peso dei rifiuti
elettronici non raccolti: si prevede che genererà circa 15 miliardi di euro
all'anno, in media.
La
quarta è una risorsa propria per le accise sul tabacco, basata
sull'applicazione di un'aliquota sull'aliquota minima di accisa specifica degli
Stati membri applicata ai prodotti del tabacco.
Da qui
si calcola che possano arrivare circa 11,2 miliardi di euro all'anno, in media.
Infine, una risorsa aziendale per l'Europa (Core), pari a un contributo
forfettario annuale da parte di aziende, diverse dalle piccole e medie imprese,
che operano e vendono nell'Ue con un fatturato netto annuo di almeno 100
milioni di euro.
Da qui
Bruxelles spera di ricavare circa 6,8 miliardi di euro all'anno, in media.
Il
nuovo Bilancio Ue prevede anche fondi triplicati per la gestione della
sicurezza delle frontiere.
Gli
Stati membri riceveranno il sostegno dell'Unione per rispondere rapidamente ed
efficacemente agli sviluppi sul terreno.
I fondi, inoltre, aiuteranno a potenziare le
capacità di contrasto online e offline, a dotare le nostre guardie di frontiera
degli strumenti adeguati per proteggere le frontiere esterne e ad attuare un
sistema di gestione della migrazione equo e rigoroso.
«Per
la prima volta, il bilancio dell'Ue sosterrà la possibilità per gli Stati
membri di investire di più negli obiettivi dell'Ue con prestiti fino a 150
miliardi di euro.
Lo chiameremo “Catalyst Europe”.
I prestiti sono garantiti dal bilancio dell'UE
e mirano a priorità europee comuni.
È possibile investire, ad esempio
nell'industria della difesa, nelle infrastrutture energetiche o nelle
tecnologie strategiche.
“
Catalyst Europe” fornirà agli Stati membri ulteriori mezzi per investire negli
obiettivi europei», spiega ancora la presidente von der Leyen.
«I 410
miliardi previsti dal Fondo competitività sono soldi veri che possono essere
usati con strumenti diversi.
Il miglior strumento per moltiplicare» questi
fondi «è la garanzia: ogni euro investito può diventare 20» e dunque «questo
permetterà di moltiplicare gli investimenti», aggiunge il vice presidente
esecutivo della Commissione europea per l'Industria,” Stéphane Sejourne”,
rispondendo a chi gli chiedeva se le risorse previste siano sufficienti in
relazione ai target fissati nel report Draghi.
Su
quegli obiettivi, ha assicurato, l'Europa è «impegnata».
Il
presidente del Consiglio europeo Antonio Costa accoglie «con favore la
presentazione della proposta sul bilancio a lungo termine dell'Ue da parte
della
Commissione europea, un passo che consentirà al Consiglio di iniziare a
lavorare».
«Un bilancio - scrive il portoghese su X - non
è solo una questione di numeri:
è la decisione politica definitiva, una scelta
sul nostro futuro, e dobbiamo affrontare questo dibattito con mente aperta e
spirito di responsabilità collettiva». «L'Ue deve essere in grado di realizzare
i suoi obiettivi a lungo termine, pur rimanendo flessibile per affrontare le
sfide attuali e future».
Non
mancano subito i distinguo.
«L'Ue è importante per la nostra prosperità,
ma il bilancio proposto è troppo elevato.
Abbiamo
bisogno di un bilancio più moderno, in cui i fondi disponibili siano utilizzati
in modo più intelligente ed efficiente.
Ad
esempio, puntando su competitività, innovazione e sicurezza», attacca il
ministro delle Finanze olandese “Eelco Heinen”.
«Ciò
richiede scelte difficili.
Il
contributo finanziario dei Paesi Bassi all'UE è già significativo.
Vogliamo
quindi vedere un miglioramento della nostra posizione di pagamento netto.
A livello internazionale, i livelli di debito
stanno aumentando quando dovrebbero diminuire, quindi gli Stati membri dovranno
fare scelte difficili anche a livello nazionale.
Per
quanto riguarda i Paesi Bassi, non sono quindi sul tavolo nuovi strumenti per
il debito comune», aggiunge.
La
proposta avanzata dalla Commissione europea è «semplicemente insufficiente».
È
quanto si legge in una nota del Parlamento europeo, che riprende le
dichiarazioni dei relatori per il prossimo bilancio europeo all'eurocamera, “Siegfried
Muresan” (Ppe) e “Carla Tavares” (S&d).
«Con
un bilancio pari solo all'1,26% del reddito nazionale lordo (Rnl), che include
lo 0,11% destinato ai rimborsi del debito “Next Generation Eu”, e tenendo conto
dell'inflazione, l'Ue resterà al palo», affermano i relatori del Parlamento
europeo.
Secondo
i deputati, la proposta di bilancio non lascia fondi sufficienti per le
priorità più importanti, tra cui competitività, coesione, agricoltura, difesa,
adattamento climatico e investimenti per un'economia sostenibile e inclusiva.
«Il punto di partenza della proposta dimostra
una sorprendente mancanza di ambizione», continua la nota dell'Eurocamera.
Gli
eurodeputati si dicono preoccupati per le proposte che potrebbero indebolire le
autorità regionali e locali nella gestione dei fondi, contrapponendo
agricoltori alle regioni o regioni ai governi nazionali, nonché sulle proposte
che marginalizzerebbero il ruolo del Parlamento europeo come co-legislatore con
competenze sia di bilancio che di controllo.
«Il Parlamento è pronto a utilizzare appieno
tutti i suoi poteri per garantire che il prossimo bilancio a lungo termine sia
all'altezza delle ambizioni e delle sfide dell'Unione, e che sia soggetto a
pieno controllo democratico.
Il Parlamento è pronto a impegnarsi in modo
costruttivo ma anche determinato», concludono i relatori.
«Ora capiamo la segretezza: da dietro il fumo
della semplificazione emerge un mostro per inghiottire la politica di coesione
e spezzarne la spina dorsale nazionalizzandola e centralizzandola», scrive su “X”
la presidente del Comitato delle regioni europee, “Kata Tutto”.
Minacciare
i russi con un ultimatum
si
ritorcerà contro di loro e
preparerà
il terreno per
una
guerra nucleare.
Shtfplan.com
- Michael Snyder – (15 luglio 2025) – ci dice:
(blog
The Economic Collapse).
Quindi
è così che finisce tutto?
Non so nemmeno come descrivere le emozioni che
sto provando in questo momento.
Qualche
mese fa c'era tanta speranza che ci sarebbe stata la pace, ma entrambe le parti
sembrano completamente disinteressate a scendere a compromessi sostanziali a
questo punto.
Anzi,
entrambe le parti sono pronte a intensificare drasticamente la guerra.
Se
continuiamo su questa strada, non finirà bene.
Per
decenni, i nostri leader hanno condotto simulazioni di guerra in cui un
conflitto in Ucraina avrebbe portato a una guerra nucleare.
Ora,
un conflitto in Ucraina potrebbe portare a una guerra nucleare vera e propria.
Mi
sento come se stessi assistendo a un incidente ferroviario al rallentatore,
senza alcuna possibilità di fermarlo.
È davvero una sensazione disgustosa.
Abbiamo
una finestra di opportunità molto limitata per fare la pace con i russi e la
stiamo sprecando completamente.
A
febbraio ho espressamente avvertito il presidente Trump che non avrebbe dovuto
ricorrere alle minacce nei confronti dei russi in merito alla guerra in
Ucraina, perché ciò si sarebbe ritorto contro di lui in modo molto duro.
Quando
mi sono svegliato oggi, ho scoperto che è esattamente ciò che Trump ha deciso
di fare.
Trump
ha lanciato un ultimatum davvero inquietante.
Se la
Russia non porrà fine alla guerra in Ucraina entro 50 giorni, gli Stati Uniti
imporranno "dazi molto severi" a tutte le nazioni che intrattengono
rapporti commerciali con la Russia.
Inoltre,
Trump ha approvato un massiccio nuovo pacchetto di armi per l'Ucraina...
Il 14
luglio Trump ha annunciato che gli Stati Uniti invieranno armi alla NATO, la
quale prevede di trasferire le attrezzature all'Ucraina, e ha anche minacciato
dazi elevati volti a compromettere la capacità della Russia di finanziare la
guerra.
Trump
ha affermato che gli Stati Uniti imporranno dazi secondari sui paesi che fanno
affari con la Russia se non verrà raggiunto un accordo di pace entro 50 giorni.
"Se
non raggiungeremo un accordo entro 50 giorni, applicheremo dazi molto
severi", ha affermato Trump.
La
scadenza fissata da Trump cade a settembre, cosa che ho trovato molto
interessante.
Se la
Russia non porrà fine alla guerra in Ucraina entro la scadenza, cosa molto
improbabile, Trump afferma che tutti i paesi che fanno affari con la Russia
saranno colpiti da dazi del 100 percento ...
"Se
non raggiungiamo un accordo entro 50 giorni, applicheremo tariffe secondarie. È
molto semplice", ha detto Trump nello Studio Ovale, insieme al Segretario
Generale della NATO Mark Rutte. "E saranno al 100%".
"Siamo
molto scontenti della Russia", ha spiegato il presidente.
La
Cina fa moltissimi affari con la Russia.
Vogliamo
colpire i cinesi con dazi del 100%?
Ciò
non sarebbe affatto positivo per la nostra economia.
Ma,
cosa ancora più importante, l'enorme nuovo pacchetto di armi che Trump sta
inviando all'Ucraina intensificherà notevolmente il conflitto.
Si
vocifera che gli Stati Uniti venderanno armi per un valore di circa 10 miliardi
di dollari ai paesi europei, i quali a loro volta distribuiranno tali armi
all'Ucraina.
Secondo
il Segretario generale della NATO Mark Rutte, le nazioni di tutta Europa sono
molto ansiose di partecipare alla “prima ondata” di questo programma…
Rutte,
che ha affermato che la decisione è stata presa sulla base dello
"straordinario successo" del vertice NATO del mese scorso, quando
quasi tutte le nazioni dell'alleanza hanno concordato di aumentare la spesa per
la difesa fino a raggiungere il 5% del PIL nazionale, ha definito la mossa
"logica".
"Si
tratta di nuovo di nazioni europee che si fanno avanti", ha aggiunto
Rutte.
"Sono
stato in contatto con molti paesi, posso dirvi che in questo momento la
Germania, in massa, ma anche Finlandia, Danimarca, Svezia e Norvegia, abbiamo
il Regno dei Paesi Bassi, il Canada: tutti vogliono farne parte.
"E
questa è solo la prima ondata. Ce ne saranno altre", ha confermato Rutte.
"Quindi
quello che faremo sarà lavorare attraverso i sistemi NATO per assicurarci di
sapere di cosa hanno bisogno gli ucraini".
Questo
non porrà fine alla guerra.
Non
farà altro che peggiorare ulteriormente la situazione.
A
quanto pare, questo nuovo aiuto all'Ucraina comprenderà probabilmente missili a
lungo raggio in grado di colpire obiettivi situati in profondità nel territorio
russo ...
Ora,
due fonti hanno riferito ad “Axios” che è probabile che un nuovo pacchetto di
armi includa missili a lungo raggio in grado di attaccare le profondità della
Russia, inclusa Mosca.
Hanno
osservato che non è stata ancora presa una decisione definitiva. "Trump è davvero incazzato con Putin.
Il suo annuncio di domani sarà molto
aggressivo", ha detto ad Axios il
senatore guerrafondaio della Carolina del Sud “Lindsey.”
Alla
fine del 2024, l'amministrazione Biden ci ha portato sull'orlo di una guerra
nucleare, consentendo agli ucraini di lanciare missili a lungo raggio forniti
dagli Stati Uniti in profondità nel territorio russo.
Adesso
lo faremo di nuovo?
Siamo
pazzi?
Sembra
proprio che il presidente ucraino” Volodymyr Zelensky” non veda l'ora di mettere le mani sui missili
a lungo raggio in arrivo...
Le
forze ucraine continueranno a prendere di mira le truppe russe e a fare tutto
il possibile per portare la guerra sul territorio russo, compresa la
preparazione di nuovi attacchi a lungo raggio, ha affermato il presidente
ucraino “Volodymyr Zelenskyy”.
"Le
nostre unità continueranno a distruggere il nemico e faranno tutto il possibile
per portare la guerra in territorio russo.
Stiamo preparando i nostri nuovi attacchi a
lungo raggio", ha detto Zelenskyy.
Secondo
un decorato comandante dell'esercito britannico di nome “Hamish de
Bretton-Gordon”, il piano prevede che l'Ucraina riceva missili a lungo raggio
in grado di "colpire Mosca"
...
Il
signor de Bretton-Gordon ha dichiarato al The Sun: "Queste armi possono colpire
Mosca, a oltre 640 chilometri dal confine. Questo permette agli ucraini di
colpire fabbriche di droni, siti di produzione di munizioni e altri.
"Quindi
ciò avrà effetti sia psicologici che fisici.
"La
gente di Mosca si renderà conto che potenzialmente potrebbe essere presa di
mira.
"E
se a tutto questo si aggiungono i bombardamenti americani su siti iraniani che
si supponeva fossero inespugnabili, si dimostra che la tecnologia missilistica
e dei droni americana è decisamente superiore al sistema di difesa aerea
russo."
Vorrei
farti una domanda.
Se un
altro Paese lanciasse missili a lungo raggio su Washington DC e New York City,
cosa faremmo?
La risposta
a questa domanda è ovvia.
Se i
missili a lungo raggio forniti dagli Stati Uniti cominciassero a colpire Mosca,
i russi risponderebbero con molta forza.
In
effetti, “Hamish de Bretton-Gordon” ha ammesso apertamente che i russi hanno già preso in seria
considerazione l'uso di armi nucleari...
In un
editoriale del Telegraph, l'ex colonnello ed esperto di armi di distruzione di
massa ha affermato:
"Il
fatto che Putin e i suoi gangster abbiano minacciato un attacco nucleare
ininterrottamente dall'inizio della guerra in Ucraina suggerisce che ci stanno
riflettendo nei dettagli".
L'ex
colonnello ha espresso preoccupazione per il prolungato conflitto in Ucraina,
affermando:
"Dato che tre giorni sono diventati più di tre
anni, potrebbero pensare di poter finire l'Ucraina rapidamente con armi
nucleari tattiche e noi non reagiremmo".
Stiamo
giocando col fuoco.
Nel
frattempo, il governo delle Filippine sta segretamente coordinandosi con Taiwan
in previsione di una guerra imminente con la Cina…
Secondo
funzionari governativi, analisti della difesa e diplomatici presenti in loco,
di fronte alla crescente invasione cinese in mare, le Filippine vedono sempre
più la propria sicurezza nazionale interconnessa con quella di Taiwan e stanno
gradualmente intensificando il coinvolgimento formale e informale con l'isola
autonoma, anche in materia di sicurezza.
Ciò
segna un netto distacco dall'approccio conservatore di Manila nei confronti di
Taiwan e potrebbe aprire la strada a un ruolo più importante per le Filippine,
alleate con gli Stati Uniti, se la Cina dovesse dare seguito alle sue minacce
di invadere Taiwan.
"Qualsiasi
proiezione di forza della Cina nella nostra area è motivo di estrema
preoccupazione", ha affermato giovedì in un'intervista il Segretario alla
Difesa filippino “Gilbert Teodoro”.
E ci
viene detto che Israele si sta preparando per il prossimo attacco all'Iran...
- In
un recente incontro con il Primo Ministro Netanyahu, il Presidente Trump, pur
preferendo una soluzione diplomatica, non ha sollevato obiezioni alla
disponibilità di Israele a lanciare ulteriori attacchi.
-Questa
posizione giunge mentre l'intelligence israeliana ritiene che l'Iran potrebbe
ancora recuperare una quantità significativa di uranio di qualità simile a
quella di una bomba dal sito danneggiato di Isfahan.
-La
situazione ha creato una situazione di stallo ad alto rischio, con Washington
che sfrutta la minaccia di futuri attacchi per spingere Teheran verso un
accordo, mentre
Israele, non convinto, si prepara ad agire da solo se necessario.
Nel
mio nuovo libro intitolato "10 eventi profetici che
arriveranno" , metto in guardia specificamente contro la guerra con la
Russia, la guerra con la Cina e la guerra in Medio Oriente.
E ho
più volte lanciato l'allarme nei miei articoli riguardo a queste guerre.
Ma a
volte mi sento come se stessi sbattendo la testa contro un muro, perché la
maggior parte delle persone sembra non capirlo.
Questo
non è un gioco.
Le
decisioni che vengono prese in questo momento modificheranno radicalmente il
corso della storia umana e centinaia di milioni di vite sono in bilico.
(Il
nuovo libro di “Michael” intitolato
"10 eventi profetici che arriveranno" è disponibile
in versione tascabile e per Kindle
su Amazon.com, ed è possibile abbonarsi alla sua newsletter Substack
su michaeltsnyder.substack.com .)
Trump
promette di “bombardare
Mosca
e Pechino fino al collo.”
Shtflan.com
- G. Calder – (16 luglio 2025) – ci dice:
(G.
Calder su The Exposé.)
È
emersa una registrazione in cui Donald Trump afferma di aver minacciato Russia
e Cina di intervenire militarmente.
L'audio,
che a quanto pare riprende Trump mentre dice ai donatori di aver avvertito i
principali leader mondiali delle conseguenze che avrebbero dovuto affrontare se
avessero oltrepassato i confini geopolitici, sta ora circolando in tutto il
mondo.
Tra le
speculazioni sulla sua autenticità, è impossibile ignorare le implicazioni
pubbliche e diplomatiche di tale registrazione.
Si
tratta solo di un altro estratto della solita spavalderia di Trump o del
preludio a un ulteriore conflitto globale?
Cosa
ha detto Trump.
Pubblicato
dalla CNN e citato in una prossima pubblicazione dai giornalisti del Washington
Post, si può sentire Trump fare minacce esplicite:
Con
Putin, ho detto: "Se vai in Ucraina, bombarderò Mosca a tappeto. Ti dico
che non ho scelta".
E lui ha risposto "Non ti credo".
Lui ha
detto "Assolutamente no" e io ho risposto "Certo".
Mi ha
creduto al 10%. Te l'avevo detto, mi ha creduto al 10%.
Poi
sono con il presidente cinese “Xi”.
Ho
detto loro la stessa cosa, ho detto "se andate a Taiwan, bombarderò
Pechino a tappeto".
Lui
pensava fossi pazzo e ha detto: "Pechino?! Bombarderete...". Io ho
detto: "Non ho scelta. Devo bombardarvi".
Nemmeno
lui mi ha creduto, ha detto il 10%. E il 10% è tutto ciò di cui hai bisogno. In
realtà anche il 5% sarebbe andato bene.
Questi
commenti sono stati rilasciati durante un evento privato nel 2024, davanti a
una sala piena di donatori della campagna elettorale, e apparentemente non
intendevano essere dichiarazioni diplomatiche ufficiali.
Quindi, sebbene non rappresentino una garanzia
presidenziale di un futuro conflitto, potrebbero essere una finestra sulla
mente dell'uomo più potente del mondo.
È
reale?
L'esistenza
della registrazione è stata confermata dalla CNN e i giornalisti che l'hanno
acquisita affermano che è stata esaminata e successivamente verificata.
Nonostante gli ovvi dubbi sul potenziamento dell'intelligenza artificiale,
sembra autentica alla stampa.
Ma il
Cremlino non ne è così sicuro, con il portavoce “Dmitry Peskov” che ha
dichiarato ai giornalisti che " non è chiaro se il rapporto sia falso
" e che la Cina non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche.
Se
fossero vere, queste citazioni costituirebbero alcune delle minacce di politica
estera più aggressive e dirette mai formulate da un presidente degli Stati
Uniti, anche in privato.
Considerando che queste affermazioni sarebbero
state rivolte a donatori politici, piuttosto che a leader stranieri o
funzionari militari, si aggiunge un ulteriore strato di controversia.
Imprudenza
o dottrina?
Nel
corso della sua carriera politica, Trump ha sempre adottato una strategia di
imprevedibilità.
Alcuni
direbbero che queste minacciose dichiarazioni rafforzano quella che sta
diventando nota come la dottrina della deterrenza di Trump: cruda, drammatica e
a volte teatrale:
I
sostenitori sostengono che i commenti registrati mostrano forza e scoraggiano
ulteriori conflitti.
I
critici affermano che sono sconsiderati, poco diplomatici e rischiano
un'escalation inutile con i leader stranieri.
Che si
tratti di intuizioni politiche vere e proprie o semplicemente di retorica
improvvisata e segretamente catturata in un evento altrimenti privato, queste
dichiarazioni si sono ormai diffuse in tutto il mondo.
Rischio
strategico e crescente instabilità.
La
fuga di notizie avviene in un momento geopolitico fragile. Oltre al recente
coinvolgimento degli Stati Uniti in Israele, Iran e altrove, dobbiamo ricordare
che ci sono altre situazioni in corso:
La
guerra tra Russia e Ucraina continua senza una soluzione apparente in vista.
La
pressione della Cina su Taiwan continua ad aumentare, dopo aver già suscitato
severi avvertimenti da parte dei funzionari della difesa degli Stati Uniti.
Sebbene
non siano state fornite risposte dirette da Pechino o Mosca, queste recenti
rivelazioni – e il modo in cui potrebbero essere interpretate dalle varie
potenze – potrebbero ancora alimentare sospetti o atteggiamenti strategici.
Echi
dei presidenti del passato: Nixon, Reagan e l'arte della minaccia.
L'approccio
distintivo di Trump non è una novità.
Oggi
viene criticato per quello che alcuni ritengono un atteggiamento mai visto
prima in posizioni di potere, ma un paio di decenni fa avevamo assistito a
comportamenti simili:
Nel
1984, Reagan scherzò dicendo che gli Stati Uniti "avrebbero iniziato a
bombardare la Russia tra cinque minuti" in un commento fuori microfono che
fu poi trapelato.
L'Unione Sovietica definì la dichiarazione
"senza precedenti ostili", prova dell'insincerità degli Stati Uniti
nel tentativo di migliorare le relazioni tra i due Paesi e un abuso della
carica di presidente.
Nixon
perseguì una "strategia del pazzo", mirata a far credere agli
avversari di essere abbastanza irrazionale da usare armi nucleari, dissuadendo
così i leader delle nazioni ostili dal provocare gli Stati Uniti.
L'idea
era quella di creare un vantaggio psicologico nelle relazioni internazionali,
poiché gli avversari sarebbero stati più cauti nei rapporti con un leader
percepito come instabile.
Tuttavia,
la sua efficacia è stata dibattuta, con i critici che sostengono che in realtà
abbia aumentato le tensioni e portato a conseguenze indesiderate, minando gli
sforzi diplomatici.
Sebbene
possa aver avuto un certo successo nell'influenzare la percezione sovietica,
non fu d'aiuto in Vietnam e potrebbe invece aver garantito la risolutezza del
Vietnam del Nord nella risposta alle minacce di Nixon.
Pensiero
finale.
Che le
parole di Trump fossero un atteggiamento o una politica, le implicazioni
potrebbero comunque avere gravi conseguenze.
Come abbiamo visto in precedenti esempi
presidenziali, ci sono diversi modi in cui commenti come questi possono essere
interpretati e attuati.
Tuttavia,
nell'era odierna, in cui le azioni sono guidate dalla percezione, è possibile
che dichiarazioni così audaci possano intensificare le stesse minacce che
mirano a scoraggiare.
I dazi
a Trump stanno facendo
incassare
un mucchio di soldi.
Investireoggi.it
- Giuseppe Timpone – (16 – 7 – 2025) – ci dice:
Gli
incassi derivanti dai dazi stanno diventando una principale voce di entrata per
il bilancio americano. E Trump (per ora) sorride.
Incassi
dai dazi sopra 100 miliardi in 6 mesi
C’è
tempo fino al 31 luglio per evitare che sulle esportazioni negli Stati Uniti le
imprese dell’Unione Europea vengano stangate al 30%.
E il
fatto che ad oggi i dazi non abbiano fatto così male all’economia americana,
mentre stanno aumentando gli incassi, non depone granché a favore del buon
esito del negoziato.
L’inflazione
di giugno è sì salita al 2,7% dal 2,4% di maggio, ma senza scatenare grossi
timori sul rialzo dei prezzi al consumo.
Probabile
che i consumatori americani pagheranno lo scotto nella seconda metà dell’anno,
mentre per il momento prevale una narrazione del governo rassicurante.
Entrate
annuali sopra 300 miliardi.
Nei
primi sei mesi dell’anno, i dazi hanno esitato incassi per il bilancio federale
di 127 miliardi di dollari, sostanzialmente raddoppiando rispetto al primo
semestre del 2024.
Nel
solo mese di giugno sono saliti a 27 miliardi, registrando un balzo annuo del
301%.
A
gennaio, ultimo mese sotto l’amministrazione Trump, si erano fermati a 7,9
miliardi.
Ad
aprile, quando vi fu annunciato il “liberation day”, salivano già a 16,3
miliardi. Per Peter Navarro, consigliere per il commercio del governo, potranno
attestarsi sopra i 300 miliardi nell’intero 2025.
Considerate
che in tutto il 2024 gli incassi dai dazi furono 77 miliardi (aliquota media
del 2,3%).
Se le
previsioni di Navarro si rivelassero corrette, quadruplicherebbero.
E già
sono diventati la quarta fonte di entrata per il bilancio federale.
La
“guerra” commerciale serve senza dubbio a colpire le importazioni e a sostenere
la ripresa della competitività per le imprese americane.
Ad ogni modo, per Trump sono diventati uno
strumento per fare cassa.
E con un bilancio che genera ogni anno 2.000
miliardi di deficit, tutto fa brodo.
Profitti
a rischio e inflazione in crescita.
Certo,
non saranno gli oltre 200 miliardi o più di maggiori incassi dai dazi a
risanare i conti pubblici americani.
Anche
se la cifra assoluta sembra enorme, in relazione al Pil vale non più dello
0,75%. Resta il fatto che le entrate aumentino.
A giugno, il bilancio ha registrato un
inatteso avanzo di 27 miliardi, il primo dal 2017 (anche allora al primo anno
di amministrazione Trump) e per coincidenza uguale alle entrate doganali.
Il
rovescio della medaglia sta nell’impatto che questo apparente beneficio avrà
sui bilanci familiari.
I
maggiori incassi dai dazi si traducono in aumenti dei prezzi al consumo.
Le imprese scaricheranno prima o poi i rincari
sui clienti, anche se in parte potranno assorbirli per non cedere alla
concorrenza quote di mercato.
Dovremmo
aspettarci, dunque, un mix tra accelerazione dell’inflazione e calo dei
profitti.
Questo
secondo aspetto non è scontato nelle quotazioni azionarie, salite ai nuovi
massimi storici a Wall Street.
Incassi
sui dazi aumento delle tasse mascherato.
L’amministrazione
Trump ha appena approvato la conferma dei tagli alle imposte varati durante il
primo mandato.
Non
intende risanare il deficit aumentando la pressione fiscale, perlomeno non
esplicitamente.
La
realtà è che i maggiori incassi dai dazi sono una forma mascherata di aumento
delle tasse.
Paradossalmente,
il beneficio per Trump svanirebbe se si concretizzasse la sua previsione sulla
sostituzione delle importazioni con produzioni nazionali.
Le
tariffe insisterebbero su merci sempre meno vendute, riducendo le entrate.
Certo, in compenso aumenterebbero le entrate fiscali legate alla maggiore
offerta domestica.
Staremo a vedere.
Finora Trump non ha pagato dazio.
(giuseppe.timpone@investireoggi.it).
Verso
il Mondo Post-Occidentale.
Conoscenzealconfine.it – (15 Luglio 2025) -
Vincenzo Costa – ci dice:
Molti
temono, e anche io ho temuto per un lungo periodo, un conflitto globale. Ma
credo adesso che questo non sia probabile, anche se ovviamente resta possibile.
La
Russia non cercherà escalation, cioè non cercherà di allargare il conflitto.
Risponderà colpo su colpo, ma mantenendo basso il profilo.
E la Cina non forzerà sulla questione di
Taiwan.
Manterrà
la giusta pressione, ma non procederà a operazioni militari.
Perché
non lo faranno?
Perché è oramai evidente che l’Occidente
collettivo è entrato in una fase critica. Critica è quella fase in cui
qualsiasi cosa tu faccia, ogni azione per risolvere le criticità interne
produce più problemi di quelli che risolve.
In maniera molto breve e poco argomentata:
1. Cina, Russia e molti altri paesi
stanno oramai procedendo, coi tempi necessari, a una situazione di
“disaccoppiamento”.
Per i
paesi dei BRICS si tratta di continuare a fare affari con gli USA e con la UE,
ma senza fare dipendere le loro economie da USA e UE.
2. Questo è reso necessario dal fatto
che gli USA hanno problemi sistemici interni che stanno portando quel paese
verso una crisi senza precedenti:
1)
bilancia dei pagamenti del tutto squilibrata,
2)
debito fuori controllo,
3)
deindustrializzazione,
4)
processo di de-dollarizzazione già in corso.
3. Per frenare questo processo gli USA
(e Trump è solo il faccione idiota di un fenomeno anonimo e strutturale. Oppure
il suo intento è fare proprio ciò che sta facendo: distruggere l’occidente e la
globalizzazione che è il prodotto dell’élite e quindi distruggere la stessa
élite/deep state – nota di conoscenze al confine) devono scaricare su altri
paesi i loro problemi interni. I dazi sono una necessità, non una cattiveria.
E
tuttavia, essi creano altre criticità.
4. La più importante è questa: gli USA
diventano un partner inaffidabile per gli altri paesi, che cercano di
“disaccoppiare” le loro economie da quella USA.
I BRICS sono un’alternativa, e non ve ne sono
altre.
Un’alternativa che diventa sempre più
attraente anche per i paesi che, tradizionalmente, orbitavano attorno
all’economia statunitense.
I
paesi dell’America Latina saranno spinti in quella direzione, e con essi la
Spagna, che comunque mantiene stretti contatti con quei paesi.
Ma
anche alleati di ferro come Giappone e Corea del sud dovranno riconsiderare la
loro posizione.
Per adesso mantengono una posizione ondivaga,
per evitare ripercussioni troppo negative.
Le monarchie del golfo stanno già spostando,
con prudenza, il loro asse.
Sta
nascendo il mondo post-occidentale.
Trump
è solo un facilitatore, accelera un processo strutturale.
Non
serve una guerra mondiale:
per i paesi dei BRICS basta solo lasciare che
le cose facciano il loro corso. L’Occidente si impiccherà con la corda che egli
stesso tesse.
5. I
paesi (come la UE) che non possono disaccoppiarsi saranno quelli che dovranno
trasferire risorse verso gli Stati Uniti.
In
primo luogo, denaro, attraverso l’acquisto di armi, di gas liquefatto, di
prodotti che acquisteremo contro ogni logica di mercato (Trump vuole che i
giapponesi comprino le auto americane… che dire).
Per
trasferire risorse europee agli USA dovremo spostare risorse dal welfare alle
spese militari, ma anche sopportare spese di energia sempre più elevate. Questo
produrrà tre cose:
1)
Produrre in Italia (e in Europa) diventerà poco conveniente e i nostri prodotti
saranno sempre meno competitivi.
2) Il
potere di acquisto della popolazione italiana ed europea diminuirà
progressivamente.
3)
Tutto ciò genererà una diminuzione del gettito fiscale, con tutto ciò che ne
consegue.
6. L‘obbiettivo che Trump persegue con i
dazi, non sono infatti i dazi.
Questo
sarebbe insensato, perché significherebbe fare pagare più tasse agli americani.
Lo
scopo che persegue è semplice:
fare ripartire la produzione interna e
costringere chi vuole vendere negli Stati Uniti a PRODURRE negli Stati Uniti.
Quello
che il governo italiano fatica a capire è proprio questo punto.
A
Trump non interessa un accordo ragionevole:
interessa
che chi vuole vendere negli USA capisca che deve spostare lì la produzione.
Il suo obbiettivo, come era anche di Biden e Blinken,
è distruggere la potenza industriale europea.
7. L’Europa per poter sopravvivere
dovrebbe non dico disaccoppiarsi, ma instaurare rapporti diversi con i BRICS.
Ma questo, data la classe dirigente europea, è
improbabile, e diventerà sempre più difficile.
Più si
cede agli USA più si diventerà dipendenti e la possibilità di politiche
economiche autonome diventerà impossibile.
8. In questo processo la UE sarà sempre
più attraversata da interessi non conciliabili.
Gli
interessi di Francia e Italia sono opposti, e mentre è facile per Macron fare
la voce grossa, per la Meloni fare la voce grossa, non avendo una strategia
alternativa, significherebbe condannare alla morte interi settori e comparti
(per esempio quello agroalimentare etv.)
La
Meloni non voleva morire cinese.
Morirà e farà morire il paese e basta.
Il suo problema non è di essere fascista e
tutte le altre scemenze: il suo problema è di non avere visione, progetto.
Per
cui è condannata a giocare sempre di rimessa, e di giocare (e far giocare al
paese) il gioco degli altri (sarebbe e sarà uguale con possibili futuri governi
di centro-sinistra o di larghe intese, sempre più probabili).
9. Che cosa serve?
Serve
una forza politica e culturale che presenti un diverso modo di intendere la
storia e il ruolo del nostro paese (e dell’Europa) in un mondo cambiato.
Non è
solo la Meloni:
il problema più grosso resta Sergio Mattarella.
È vecchio, pensa con categorie arcaiche, vive
in un mondo che non esiste da decenni ed è legato a un progetto politico
fallito, seppellito dalla storia.
Serve
allora preparare un ordine concettuale differente, ancorato alla nuova realtà
del mondo post-occidentale, perché possiamo avere un futuro solo se staremo al
passo con la storia e faremo il passo che la storia ci chiede.
(Vincenzo
Costa).
(ariannaeditrice.it/articoli/verso-il-mondo-post-occidentale).
Un
Paese Marcio, Sporco,
Già
Morto.
Conoscenzealconfine.it
– (14 Luglio 2025)- Danilo Quinto – ci dice:
I
parametri per descrivere lo stato di un Paese, sono il PIL, l’entità del debito
pubblico, interno ed esterno, la situazione dei servizi essenziali (la Scuola,
l’Università, i Trasporti, la Sanità), il cosiddetto Sviluppo Industriale, che
in Italia ha concorso a generare la distruzione del nostro benessere, fatto
innanzitutto di tradizioni, di cultura, di identità.
So che
gli economisti e i politici da strapazzo che sguazzano nella realtà italiana
(pronti ora ad occuparsi, insieme agli altri potenti della terra, di un grande
business, la ricostruzione dell’Ucraina, insieme a sanzionare nuovamente la
Russia, evitando di operare per la pace) storceranno il naso – pronti come sono
ad arrampicarsi sugli specchi e a nascondere la polvere sotto il tappeto – ma
se dovessimo usare quei parametri renderemmo un cattivo servizio alla Verità.
Dunque,
viviamo in un luogo dove, contro il dettato della Costituzione, che ripudia la
guerra, vendiamo armi a mezzo mondo e siamo protagonisti diretti in molti
teatri di guerra.
Dove,
a distanza di oltre 5 anni, e nonostante i proclami, nessuna verità certa e
istituzionale è emersa su quell’operazione criminale denominata virus da
Sars-Covid19 e conseguente endemica propaganda per un siero (non un vaccino)
che ha provocato e sta provocando aumenti innumerevoli di casi di tumore e
malattia cardiovascolari, danni gravi (=morti) e parziali.
Dove
viene talmente promossa, favorita e propagandata la teoria del gender, da
mettere in discussione il connotato principale della specie umana: la
riproduzione. Dove presto ci si potrà togliere o farsi togliere la vita
liberamente, con il suicidio assistito e l’eutanasia.
Sarà
sancito un “diritto” umano, come l’aborto, che ha ucciso sei milioni di
italiani in cinquant’anni e che con la pillola RU486 permette di sbarazzarsi
del nascituro a casa, così come si butta nella spazzatura un kleenex.
Dove
si stima che il consumo di cocaina – i dati sono contenuti nella Relazione
annuale al Parlamento del 2025 – riguardi undici dosi al giorno ogni mille
abitanti; al primo posto c’è la cannabis (52 dosi ogni mille abitanti), la cui
potenza è quadruplicata dal 2016 (dal 7% del 2016 al 29% del 2024), soprattutto
nelle formulazioni di nuova generazione e nei liquidi utilizzati per le
sigarette elettroniche.
Nel
2024, il Sistema nazionale di allerta rapida per le droghe (News-d) ha
identificato 79 nuove sostanze psicoattive circolanti.
Dove, a partire dal 2021, si registra un
incremento costante nel consumo di psicofarmaci senza prescrizione medica tra i
giovani, che ha raggiunto, nel 2024, i valori più alti di sempre: se la stima è
di 510.000 studenti di 15-19 anni che hanno fatto uso di queste sostanze senza
prescrizione nel corso della vita, nella fascia 15-18 anni non ancora compiuti
sarebbero 180.000 ad averne fatto uso solo nell’ultimo anno (il 12% del totale
di quella fascia di età).
Dove,
il mercato della prostituzione è stimato dall’Istat in 4,7 miliardi nel 2025.
Dove, l’associazione “Meter” di “don Fortunato Di Noto” rileva ogni giorno
oltre trecento contenuti riconducibili a pornografia minorile, abusi e violenze
su minori. Dove, dei 374.310 minorenni in carico ai servizi sociali – questo
emerge dalla “III Indagine nazionale sul maltrattamento di bambini e
adolescenti in Italia”, condotta “Terre des Hommes e Cismai” per l’Autorità
garante per l’infanzia e l’adolescenza – 113.892 sono vittime di
maltrattamento, il 30,4%. Si tratta, al 31 dicembre 2023, di un aumento del 58%
rispetto alla precedente indagine del 2018. Sul totale della popolazione
minorenne residente in Italia questo significa un passaggio da 9 a 13 minorenni
maltrattati ogni mille.
Dove,
il mercato pornografico – l’Italia è tra i principali paesi consumatori a
livello globale – ha un valore stimato di circa cinque miliardi di euro
all’anno per il consumo online.
“Transparency
International,” nel 2024, collocava l’Italia al 41° posto nel mondo per
percezione della corruzione; la Corte dei conti stima che la corruzione in
Italia superi l’ammontare di cento miliardi all’anno.
Da
ultimo, in questo breve esame, i dati sul mondo del gioco d’azzardo sviluppati
dall’Osservatorio Nazionale e diffusi dalla società Nomisma.
Circa 1.530.000 milione ragazzi, pari a circa
il 62% degli studenti, riferisce di aver giocato d’azzardo almeno una volta
nella vita, mentre oltre 1.420.000 lo hanno fatto nell’ultimo anno, facendo
registrare nel 2024 il dato più alto di sempre.
Allo
stesso modo, il mondo dei videogiochi presenta criticità per molti ragazzi: più
di 290.000 studenti minorenni hanno mostrato nel 2024 comportamenti a rischio
con i videogame, spesso associati a reazioni emotive forti quando era preclusa
loro la possibilità di giocare.
Nel
2021, gli italiani hanno investito circa 111 miliardi di euro nel gioco
d’azzardo. Nel 2022 la cifra è diventata 136 miliardi di euro, un importo che
ha superato le spese per la sanità (128 miliardi), per l’istruzione (52
miliardi) e il totale dei bilanci di tutti i comuni italiani (77 miliardi).
Il gioco d’azzardo ha rappresentato il 36,20%
del gettito erariale dello Stato.
Per il 2024, la spesa è stata di 160 miliardi
di euro.
Per il
2025, si stima una spesa ancora superiore.
Si sta
parlando solo di gioco legale, al quale si aggiunge quello clandestino, i cui
profitti, sicuramente sterminati – gestiti da organizzazioni criminali ben
radicate nel territorio – non sono neppure quantificabili.
Le
analisi suddividono le tipologie di scommettitori in tre gruppi:
i
giovani (dai 14 ai 19 anni), gli adulti e gli over 65.
I
giocatori più accaniti sono gli adulti tra i 25 e i 34 anni, ma anche le donne
over 65 fanno la loro bella parte.
Quante
ne vediamo nelle tabaccherie di primo mattino alle prese con il gratta e vinci
e i numeri del lotto?
La perversa tecnologia aiuta tutti: il gioco
on line (60%) ha superato quello nelle sale fisiche (40%).
Che
dire?
Innanzitutto, che le classi dirigenti che si
susseguono alla guida del Paese, nulla fanno per arginare – quantomeno –
quest’elenco di nefandezze che rimane sotto la coltre dell’aumento o della
diminuzione del PIL o del debito pubblico.
Anzi,
in molti casi, se non ne sono complici – questo è evidente per il gioco
d’azzardo – le assecondano, non intervenendo con misure adeguate e
disinteressandosene.
Sono
soggetti immorali? Ça va sans dire.
Per
Platone, l’immoralità non è semplicemente l’opposto della moralità, ma una
conseguenza della mancata conoscenza delle Idee, in particolare dell’Idea del
Bene.
È
proprio vero: essi non conoscono il Bene, di conseguenza non lo praticano, né
per sé stessi né nei confronti degli altri.
Non
sono da meno i sudditi, quella massa inerte che li manda al potere, ormai
putrefatta, quella cosiddetta società civile che gozzoviglia da Nord a Sud, che
usufruisce di prebende, che vive di intrallazzi, che sguazza nella corruttela.
“In
quei giorni”, dice Matteo nel suo Vangelo (Mt 3, 1-2), “venne Giovanni Battista
a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: ‘Fate penitenza, perché il regno
dei cieli è vicino’ “.
Nel
deserto del nostro Paese, queste parole suonano come un solenne auspicio:
occorre fare penitenza per redimerci, per rendere onore al Bene e sconfiggere
il male che ci pervade e ci soffoca.
Questo
dovrebbe chiedere la Chiesa Cattolica a quest’Italia: di fare penitenza e di
resuscitare.
Chissà,
forse un giorno verrà un papa o si manifesterà un santo e lo chiederà,
ricordando le parole di san Paolo:
“E
tutto questo dovete fare ben conoscendo il tempo, perché è ora già che voi vi
svegliate dal sonno;
la
salvezza nostra ora è più vicina di quando noi siamo diventati credenti.
La
notte è inoltrata e il giorno si avvicina;
gettiamo
via dunque l’opera delle tenebre, rivestiamo le armi della luce.
Come
in pieno giorno, camminiamo onestamente, non in crapule e ubriacature, non in
alcove e in licenza, non in contese e invidia: ma rivestitevi del Signore Gesù
Cristo, e non abbiate cura della carne sì da destarne le concupiscenze”
(Lettera ai Romani 13, 11-14).
Se
questo non dovesse avvenire, la putrefazione che questo Paese vive – che Nostro
Signore aveva scelto come sede della Sua Chiesa – il suo inchinarsi al suo padrone
assoluto, che è Mammona, non potrà che determinare la più miserevole delle
condizioni: attendere solo la punizione e la Giustizia di Dio.
(Danilo
Quinto).
(daniloquinto.it/un-paese-marcio-sporco-gia-morto/).
(imolaoggi.it/2025/07/11/un-paese-marcio-sporco-gia-morto/).
Solo
90 secondi dalla fine.
Un
momento di pericolo
senza
precedenti.
Ilbolive.unipd.it
- Alessandro Pascolini – (25 gennaio 2023) – ci dice:
Quest'anno, il Comitato per la Scienza e la Sicurezza
del Bulletin of the Atomic Scientists ha spostato in avanti le lancette
dell'Orologio del Giorno del Giudizio (il Doomsday Clock), soprattutto (anche
se non esclusivamente) a causa dei crescenti pericoli posti dalla guerra in
Ucraina. L'orologio
è ora a soli 90 secondi dalla mezzanotte, il momento più vicino alla catastrofe
globale che sia mai stato.
Il “Doomsday
Clock” ci ricorda quanto sia delicato e incerto l’equilibrio che permette la
sopravvivenza dell’umanità in presenza delle armi nucleari e di nuove
destabilizzanti tecnologie nell'attuale fase dei cambiamenti climatici che
condizionano la vita sul nostro pianeta: ogni anno dal 1947 segna quanto tempo
rimane prima della mezzanotte antecedente al giorno del giudizio.
La
prima indicazione all’inizio della guerra fredda (1947) fu di mezzanotte meno
sette minuti; con l’acquisizione delle armi nucleari da parte dell’URSS (1949)
le lancette vennero portate a 3 minuti da mezzanotte; un ulteriore aggravamento
(e siamo a meno due minuti) si ha con lo sviluppo delle armi termonucleari
(1953). Nel corso degli anni, a fronte dell’evoluzione del confronto nucleare
fra le superpotenze e la proliferazione in altri paesi, l’orologio si è
allontanato e avvicinato alla mezzanotte; il momento più sicuro si è avuto nel
1991 alla fine della guerra fredda (17 minuti da mezzanotte) per poi via via
aggravarsi negli anni successivi per l’incapacità del mondo politico
internazionale di superare il confronto nucleare e di affrontare le problematiche
legate al cambiamento climatico globale, fino a raggiungere lo scorso anno la
distanza estremamente pericolosa di 100 secondi, ulteriormente aggravata
quest'anno.
Il
documento presentato oggi risente pesantemente della guerra in Ucraina, con una
precisa presa di posizione contro l'invasione russa. I temi affrontati sono, oltre alle
problematiche della guerra, il rischio degli armamenti nucleari, gli effetti
dei cambiamenti climatici, le minacce biologiche e delle tecnologie
destabilizzanti. Di seguito i contenuti principali del documento.
L'orologio
aggiornato a meno novanta secondi.
I
rischi dovuti alla guerra in Ucraina.
La
guerra in Ucraina potrebbe entrare in un secondo terribile anno, ponendo in
gioco la sovranità dell'Ucraina e i più ampi accordi di sicurezza europei che
hanno ampiamente retto dalla fine della Seconda guerra mondiale. Inoltre, la
guerra della Russia contro l'Ucraina ha sollevato profondi interrogativi sulle
modalità di interazione tra gli Stati, erodendo le norme di condotta
internazionali. In particolare, la Russia ha violato gli accordi di Budapest
del 1994 a garanzia dell'integrità territoriale dell'Ucraina a seguito della
sua rinuncia alle armi nucleari e l'adesione al trattato di non-proliferazione
(NPT).
Le
poco velate minacce della Russia di usare le armi nucleari ricordano al mondo
che l'escalation del conflitto, per incidente, intenzione o errore di calcolo,
è un rischio terribile. La possibilità che il conflitto sfugga al controllo
rimane alta. Ulteriore pericolo nucleare segue dal coinvolgimento russo nella
guerra degli impianti nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhia, violando i
protocolli internazionali e rischiando un rilascio diffuso di materiali
radioattivi.
Gli
effetti della guerra minano anche gli sforzi globali per combattere il
cambiamento climatico: i paesi che dipendono dal petrolio e dal gas russo hanno
cercato di diversificare le loro forniture, portando a un aumento degli
investimenti nel gas naturale proprio quando questi avrebbero dovuto ridursi.
L'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia ha aumentato il rischio di utilizzo di armi
nucleari, ha sollevato lo spettro dell'uso di armi biologiche e chimiche, ha
ostacolato la risposta del mondo al cambiamento climatico e ha ostacolato gli
sforzi internazionali per affrontare altri problemi globali. L'invasione e l'annessione del
territorio ucraino hanno violato le norme internazionali e potrebbero
incoraggiare altri a intraprendere azioni che minacciano la stabilità.
Non
esiste un percorso chiaro per forgiare una pace giusta che scoraggi future
aggressioni all'ombra delle armi nucleari. Esiste comunque una moltitudine di
canali di dialogo che dovrebbero essere esplorati. Trovare una strada per seri
negoziati di pace potrebbe contribuire a ridurre il rischio di escalation. In
questo momento di pericolo globale senza precedenti, è necessaria un'azione
concertata e ogni secondo è importante.
Una
situazione nucleare estremamente pericolosa.
Le
minacce russe di usare armi nucleari nella guerra in Ucraina costituiscono il
peggior sviluppo nucleare del 2022, ma sono solo uno dei molteplici
aggravamenti del confronto nucleare mondiale.
Gli
Stati Uniti, la Russia e la Cina stanno perseguendo programmi di
modernizzazione delle armi nucleari, preparando il terreno per una nuova e
pericolosa "terza era" di competizione nucleare.
Le
forze nucleari statunitensi e russe sono ancora vincolate dal New START, ma non
c'è certezza che il trattato venga esteso oltre il 2026. Non vi sono
prospettive concrete di ulteriori negoziati a rafforzare la sicurezza nucleare.
La
considerevole espansione delle capacità nucleari della Cina è particolarmente
preoccupante, dato il suo costante rifiuto di prendere in considerazione misure
per migliorare la trasparenza e la prevedibilità. Qualora giungesse a capacità
nucleari equivalenti a quelle di Stati Uniti e Russia, vi sarebbero conseguenze
imprevedibili per la stabilità globale.
Vi
sono stati scarsi progressi nei negoziati con la Corea del Nord e l'Iran sui
loro programmi nucleari. La Corea del Nord ha intensificato notevolmente i test missilistici
sia a corto raggio che di gittata intermedia e, a fine marzo, ha lanciato con
successo un missile balistico intercontinentale per la prima volta dal 2017.
L'Iran
continua ad aumentare la sua capacità di arricchimento dell'uranio, al di fuori
dei limiti del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPoA) che un tempo lo
limitava.
Ora l'Iran è più vicino alla capacità di dotarsi di armi nucleari, qualora
decidesse di varcare quella soglia. Il ritorno all'accordo nucleare ridurrebbe
i rischi,ma l'instabilità in Iran e il sostegno di Teheran alla guerra della
Russia contro l'Ucraina complicano il progresso dei negoziati per impedire
all'Iran di dotarsi di armi nucleari.
L'India
continua a modernizzare il suo arsenale nucleare, che conta circa 160 testate,
con nuovi sistemi di lancio in fase di sviluppo per integrare o sostituire gli
attuali aerei a capacità nucleare, i sistemi di lancio terrestri e quelli
marittimi. Il Pakistan ha un arsenale di dimensioni simili e continua a
espandere il suo arsenale, i sistemi di lancio e la produzione di materiale
fissile. Le preoccupazioni sulla corsa agli armamenti in Asia meridionale e
sulla corsa agli armamenti missilistici in Asia nordorientale completano un
quadro desolante che deve essere affrontato.
In via
prioritaria, tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite dovrebbero impegnarsi a fronteggiare i pericoli nucleari
attraverso sforzi di controllo degli armamenti e accordi di stabilità
strategica.
Al momento opportuno, sarà necessaria un'importante azione di diplomazia
nucleare multilaterale proprio a causa della terribile realtà che la crisi
ucraina sottolinea: la minaccia esistenziale rappresentata dalle armi nucleari
persiste anche quando le circostanze politiche cambiano.
Dinamiche
contrastanti: affrontare il cambiamento climatico durante l'invasione
dell'Ucraina.
Affrontare
il cambiamento climatico richiede fiducia nelle istituzioni di governo
multilaterale. La spaccatura geopolitica aperta dall'invasione dell'Ucraina ha
indebolito la volontà globale di cooperare, minando la fiducia nella durata, o
addirittura nella fattibilità, di un'ampia collaborazione multilaterale.
L'invasione
dell'Ucraina ha innescato una corsa all'indipendenza dalle forniture
energetiche russe, soprattutto nell'Unione Europea. Dal punto di vista del
cambiamento climatico, ciò ha contribuito a due dinamiche contrastanti.
In
primo luogo, i prezzi elevati dell'energia hanno stimolato gli investimenti
nelle energie rinnovabili e motivato i paesi ad attuare politiche di sostegno
al loro sviluppo. Grazie a questo aumento, l'Agenzia Internazionale per l'Energia prevede
che l'energia eolica e solare insieme si avvicineranno al 20% della produzione
globale di energia tra cinque anni, con la Cina che installerà quasi la
metà della nuova capacità di energia rinnovabile.
Nello
stesso tempo, i prezzi hanno spinto a sviluppare nuove forniture di gas,
stimolando gli investimenti nella produzione di gas naturale e nelle
infrastrutture di esportazione, finanziati in gran parte dalle principali
transnazionali del petrolio e del gas e dalle società di investimento. Questo
capitale privato continua a confluire nello sviluppo di nuove risorse di
combustibili fossili. Tutti i paesi del G7 si sono impegnati a porre fine ai
finanziamenti pubblici dei progetti internazionali sui combustibili fossili
entro quest'anno e la Beyond Oil and Gas Alliance, un gruppo di otto paesi, si
è formalmente impegnata a porre fine a nuove concessioni, licenze o leasing per
la produzione e l'esplorazione di petrolio e gas e a stabilire un calendario
per la cessazione della produzione che sia coerente con gli impegni assunti
nell'ambito dell'Accordo di Parigi.
Di
conseguenza, le emissioni globali di anidride carbonica derivanti dalla
combustione di combustibili fossili, dopo essere risalite dal declino economico
dovuto al Covid a un massimo storico nel 2021, hanno continuato ad aumentare
nel 2022, raggiungendo un nuovo record. Il calo delle emissioni cinesi è
stato oscurato da un aumento negli Stati Uniti, in India e altrove. L'aumento
delle emissioni nel 2022 ha accelerato il continuo aumento della concentrazione
di gas serra nell'atmosfera, che continuerà fino a quando continueranno le
emissioni di anidride carbonica.
I
fenomeni meteorologici estremi non solo hanno continuato a colpire diverse
parti del mondo, ma sono stati attribuiti in modo più evidente al cambiamento
climatico.
I paesi dell'Africa occidentale hanno subito inondazioni tra le più letali
della loro storia; le temperature estreme registrate la scorsa estate in Europa
centrale, Nord America, Cina e altre regioni dell'emisfero settentrionale hanno
portato a carenze idriche e a condizioni di siccità del suolo, che a loro volta
hanno provocato raccolti scarsi, minando ulteriormente la sicurezza alimentare
in un momento in cui il conflitto in Ucraina ha già provocato un aumento dei
prezzi dei prodotti alimentari.
È stato il Pakistan ad aver affrontato la
manifestazione più drammatica dell'anno della crescente volatilità del clima
terrestre con intense inondazioni su un terzo del paese, colpendo direttamente
33 milioni di persone e scatenando effetti a cascata, tra cui gravi perdite dei
raccolti, un'epidemia di malattie trasmesse dall'acqua inquinata e la
distruzione di infrastrutture, case, bestiame e mezzi di sussistenza.
Sullo
sfondo delle tragedie legate al clima di quest'anno, le parti alla conferenza
sul clima delle Nazioni Unite a Sharm el Sheikh hanno raggiunto un promettente
passo avanti con l'accordo di compromesso per la creazione di un fondo per
sostenere i paesi poveri e vulnerabili nell'affrontare il crescente impatto dei
cambiamenti climatici. Tuttavia, i paesi non sono stati in grado di adottare una
decisione formale per concordare l'eliminazione graduale dei combustibili
fossili e, cosa ancora più deludente, non hanno fatto sostanzialmente nulla per
assicurare che i precedenti impegni di raggiungere emissioni nette di gas serra
pari a zero venissero rispettati.
Una
serie scoraggiante di minacce biologiche.
L'attuale
panorama delle minacce biologiche rende evidente che la comunità internazionale
deve migliorare la propria capacità di prevenire le epidemie, di individuarle
rapidamente quando si verificano e di rispondere efficacemente per limitarne la
portata.
Eventi
devastanti come la pandemia Covid-19 non possono più essere considerati eventi
rari. Il numero totale e la diversità dei focolai di malattie infettive sono
aumentati in modo significativo dal 1980, e più della metà sono causati da
malattie che hanno origine negli animali e vengono trasmesse all'uomo. Esiste un'immensa varietà e
diversità di virus, batteri e altri microbi noti per infettare l'uomo. La
capacità di prevedere quali di questi virus e microbi abbiano maggiori
probabilità di causare malattie umane è tristemente inadeguata.
Continuano
a verificarsi frequentemente incidenti di laboratorio.
Le
possibilità di errore umano, la comprensione limitata delle caratteristiche
delle nuove malattie, la scarsa conoscenza da parte delle amministrazioni
locali delle ricerche che si svolgono nei laboratori delle loro giurisdizioni e
la confusione sui requisiti di sicurezza mettono a dura prova gli attuali
programmi di biosicurezza dei laboratori.
Viviamo
in un'epoca di progressi rivoluzionari nelle scienze della vita e nelle
tecnologie associate. I ricercatori possono ingegnerizzare gli esseri viventi
(soprattutto virus) per acquisire nuove caratteristiche con sempre maggiore
facilità e affidabilità. Ma i regimi di sorveglianza, le strategie per la
valutazione e la mitigazione del rischio e la definizione di norme concordate
rimangono arretrati, mentre la scienza e la tecnologia biologiche avanzano
sempre più velocemente. L'informazione biologica è sempre più un'arma a doppio
taglio. I
leader di tutto il mondo devono affrontare la possibilità di rischi biologici
catastrofici globali che mettono alla prova o superano la capacità collettiva
di controllo dei governi nazionali e internazionali e del settore privato.
Vi
sono sospetti che alcuni paesi mantengano programmi biologici militari o
sviluppino attività duali, in violazione della convenzione delle armi
biologiche.
Il rischio che la Russia intraprenda una
guerra biologica aumenta man mano che le condizioni in Ucraina diventano più
caotiche, indebolendo le norme umanitarie in guerra.
L'escalation bellica in Ucraina pone molte minacce
potenzialmente esistenziali all'umanità e una di queste è quella biologica.
Indipendentemente
dalla fonte potenziale – naturale, accidentale o intenzionale – ci sono misure
che i leader nazionali possono adottare per ridurre i rischi biologici
catastrofici. Ogni paese deve investire maggiormente nella salute pubblica.
Ogni paese dovrebbe eliminare le armi biologiche e smantellare i programmi che
le producono.
Tutti
i paesi possono migliorare notevolmente la capacità di identificare i focolai
prima che diventino epidemie e pandemie se investono nei sistemi di
sorveglianza delle malattie, se condividono dati, analisi e informazioni sugli
eventi biologici e se sviluppano la capacità di identificare rapidamente gli
eventi biologici.
Gli
agenti patogeni non sono fermati dai confini nazionali. Malattie debilitanti, morti diffuse
e disastri indotti dalle malattie possono essere evitati se i paesi di tutto il
mondo cooperano su strategie sanitarie globali e investono in scienza,
tecnologia, ricerca e sviluppo nel settore della biosicurezza.
Tecnologie
dirompenti: un ambiente variegato di minacce.
L'anno
scorso, gli sviluppi relativi alle potenziali minacce provenienti dalle
tecnologie dirompenti raccontano una storia contrastante.
Sul
fronte della disinformazione, ci sono state alcune buone notizie: l'elettorato
americano ha respinto i negazionisti alle elezioni del 2022 e in Francia il
presidente Emmanuel Macron ha superato la storica sfida della candidata di
estrema destra Marine Le Pen. Nel frattempo, l'amministrazione Biden ha
continuato a impegnarsi per aumentare il ruolo degli scienziati nell'informare
le politiche pubbliche.
D'altro
canto, la disinformazione informatica continua senza sosta. Negli Stati Uniti,
l'opposizione politica al "Consiglio per la governance della
disinformazione" proposto dal Dipartimento per la sicurezza interna è
riuscita a far ritirare al dipartimento la sua proposta.
Questo
tipo di attacchi non è certo nuovo, ma è emblematico della corruzione
nell'ambiente dell'informazione.
In
Russia il controllo governativo dell'ecosistema informativo ha bloccato la
diffusione di informazioni veritiere sulla guerra in Ucraina. L'uso cinese
delle tecnologie di sorveglianza è continuato a ritmo sostenuto nello Xinjiang.
Come
affermato l'anno scorso, l'uso estensivo delle tecnologie di sorveglianza ha
implicazioni inquietanti per i diritti umani e rappresenta una chiara minaccia
per la società civile.
Per
quanto riguarda il conflitto cibernetico, anche in questo caso la storia è un
mix di cattive e buone notizie. Il mondo continua a soffrire di attacchi informatici
diffusi, ma i cyberattacchi russi contro gli Stati Uniti e l'Unione Europea
come ritorsione per le sanzioni legate all'invasione dell'Ucraina non hanno
avuto successo e quelli contro l'Ucraina si sono rivelati inefficaci come
strumento coercitivo.
L'intelligence
open-source abilitata dalla tecnologia ha avuto un impatto profondo sulla
guerra in Ucraina, fornendo immagini che documentano i crimini di guerra russi
e forniscono una preziosa conoscenza della situazione per le forze ucraine.
Le
immagini commerciali provenienti dallo spazio sono state ampiamente condivise,
raccontando la preparazione russa all'invasione e fornendo ai decisori militari
ucraini ulteriori input. Il sistema SpaceX di Starlink è riuscito a mantenere il
servizio internet in tutta l'Ucraina e a rispondere in modo rapido ed efficace
ai cyberattacchi russi.
Starlink
ha anche dimostrato la potenziale resilienza di grandi costellazioni di piccoli
satelliti in orbita terrestre bassa.
Tali
costellazioni di satelliti sarebbero altamente resistenti agli attacchi
anti-satellite e dovrebbero quindi contribuire alla stabilità. Gli Stati Uniti
si sono impegnati unilateralmente ad astenersi da test di armi antisatellite
distruttive e hanno invitato altre nazioni ad aderire a questa moratoria.
I
piani spaziali statunitensi prevedono il dispiegamento di una serie di sensori
satellitari per tracciare i lanciatori di missili e altri obiettivi mobili,
consentendo così attacchi preventivi.
Sebbene
destinati a contrastare la Corea del Nord, questi gruppi di sensori
susciteranno indubbiamente preoccupazione in Russia e in Cina, minacciando
potenzialmente la stabilità strategica.
Infine,
la guerra in Ucraina ha dimostrato il valore delle armi ad alta tecnologia
contro piattaforme convenzionali come aerei e carri armati. Droni armati e
munizioni guidate con precisione sono importanti per entrambe le parti in
conflitto.
Sebbene queste tecnologie non siano nuove, il
loro potenziale dirompente contro le tradizionali forze terrestri è stato
dimostrato ancora una volta.
La
Cina critica gli Stati Uniti
per il
disegno di legge sulle
sanzioni
russe.
Shtfplam.com - Mac Slavo – (16 luglio 2025) –
ci dice:
La
Cina ha replicato agli Stati Uniti dopo il loro ridicolo annuncio di sanzioni e
dazi fino al 500% contro la Russia se non avesse fermato la guerra con
l'Ucraina entro 50 giorni.
Pechino afferma che i dazi proposti sono in
realtà "illegali".
Gli
Stati Uniti stanno inoltre portando un'altra guerra economica al livello
successivo, arrivando persino a minacciare di imporre dazi così esorbitanti su
un altro Paese.
La
Cina ha aggiunto che le "illegali sanzioni unilaterali" mineranno di
fatto gli sforzi per risolvere il conflitto ucraino.
Purtroppo,
non è affatto difficile capire dove stiamo andando a parare.
Dare
questo tipo di ultimatum alla Russia si ritorcerà contro di noi, soprattutto
ora che la Cina ha scelto da che parte stare.
Gli
Stati Uniti non possono smettere di tentare di fomentare una guerra globale. Pur dicendo una cosa alla classe
degli schiavi, stanno attivamente cercando di innescare una terza guerra
mondiale.
Minacciare
i russi con un ultimatum si ritorcerà contro di loro e preparerà il terreno per
una guerra nucleare.
Quando
il senatore “Lindsey Graham”, falco della guerra, ha proposto sanzioni e dazi,
ha sottolineato che Trump avrebbe avuto la "massima flessibilità"
nell'applicazione di tali sanzioni.
Se
queste misure eclatanti venissero adottate, ciò darebbe al presidente degli
Stati Uniti Donald Trump l'autorità di imporre dazi fino al 500% sui paesi che
intrattengono anche rapporti commerciali con la Russia.
Graham
ha intenzionalmente menzionato Cina, India e Brasile.
Secondo
un articolo di “RT”, Graham ha affermato che la misura avrebbe dato a Trump una
"mazza" da usare contro la Russia.
Mosca
ha denunciato le sanzioni come illegali e ha accusato le nazioni occidentali di
sfruttare il conflitto ucraino per soffocarne lo sviluppo.
Storicamente,
anche la Russia è riuscita ad aggirare le sanzioni semplicemente aggirando la
legge statunitense con la disobbedienza.
Putin
avverte: "I tentativi occidentali di paralizzare l'economia russa con le
sanzioni sono falliti."
Rispondendo
a una domanda sulla minaccia tariffaria, il portavoce del Ministero degli
Esteri cinese “Lin Jian” ha dichiarato martedì ai giornalisti che Pechino
"si oppone fermamente a qualsiasi sanzione unilaterale illegale e a
qualsiasi giurisdizione a lungo termine".
Ha
aggiunto: "Non ci sono vincitori in una guerra tariffaria" e ha
ribadito che "dialogo e negoziazione sono le uniche vie percorribili"
per porre fine al conflitto.
Gli
Stati Uniti non possono costringere i paesi a pagare dazi senza ricorrere alla
forza militare.
Una
volta che la forza sarà attivata, si supererà il confine tra guerra economica e
guerra calda, e basterà che la Russia dica "no".
Notate
come nessuna classe dirigente chieda il consenso?
A loro
non importa, nemmeno un po', e gli Stati Uniti stanno palesemente esagerando,
credendo in qualche modo di essere ancora rispettati sulla scena globale.
Le
bugie di Trump diventano più
audaci e evidenti: è
“neutrale”
sull’Ucraina.
Shtfplan.com - Mac Slavo – (16 luglio 2025) –
ci dice:
Il
leader degli Stati Uniti, Donald Trump, si dichiara "neutrale"
sull'Ucraina, dopo aver emesso un ultimatum legato a sanzioni e dazi alla
Russia e aver accettato di continuare le spedizioni di armi all'Ucraina.
Le sfacciate menzogne stanno diventando troppo
evidenti per essere ignorate.
Lunedì,
appena due giorni fa, Trump si è detto "molto, molto insoddisfatto"
della Russia e ha messo in guardia da dazi secondari "gravi" fino al
100% se non si faranno progressi diplomatici in merito alla guerra entro 50
giorni.
Ha
attribuito la colpa interamente a Mosca, aspettandosi che si piegasse al suo
capriccio all'ultimatum.
Ha
anche annunciato imminenti consegne di sistemi d'arma avanzati all'Ucraina, che
saranno finanziati dai membri europei della NATO (Organizzazione del Trattato
del Nord Atlantico), dopo che il Pentagono ha dichiarato di non poter fornire
ulteriori armi a causa delle scarse scorte statunitensi.
Queste
azioni dimostrano che la sua posizione è tutt'altro che neutrale, rendendolo un
bugiardo.
Tuttavia,
continua a negare di essere dalla parte dell'Ucraina.
Incalzato dai giornalisti martedì, Trump ha
insistito di non essere "dalla parte di nessuno" e di sperare ancora
di risolvere il conflitto attraverso la diplomazia, secondo un articolo di
“RT”.
Se la
guerra può essere risolta con la diplomazia, allora perché minacciare Mosca di
una guerra economica e accettare di inviare armi al suo nemico?
"Sapete
da che parte sto? Dalla parte dell'umanità.
Voglio
fermare l'uccisione di migliaia di persone a settimana.
Voglio
fermare le uccisioni. Voglio che le uccisioni finiscano nella guerra tra
Ucraina e Russia.
È da
questa parte che sto", ha detto il presidente degli Stati Uniti.
"Ho
risolto molte guerre negli ultimi tre mesi, ma non ho ancora ottenuto questa.
Questa è una guerra di Biden.
Non è
una guerra di Trump. Sono qui per cercare di tirarci fuori da questo
pasticcio", ha aggiunto.
È
interessante, considerando che sta continuando a fare esattamente ciò che aveva
fatto il suo predecessore,” Joe Biden”, ovvero prolungare la guerra.
Trump
dà a Mosca 50 giorni per porre fine al conflitto con l'Ucraina, altrimenti gli
Stati Uniti imporranno sanzioni
Il
Ministro degli Esteri russo “Sergej Lavrov” ha dichiarato martedì che i leader
dell'Unione Europea e della NATO hanno esercitato su Trump "pressioni
improprie" affinché adottasse una posizione dura sul conflitto.
Il Vice Ministro degli Esteri “Sergej Ryabkov”
ha sottolineato che "qualsiasi tentativo di avanzare richieste, per non
parlare di ultimatum, è inaccettabile".
In
caso di guerra nucleare, quanto durerebbe?
Appena
45 minuti, ma sarebbe
un'apocalisse
da milioni di morti.
Corriere.it
– (5 -luglio – 2025) - Cristina Marrone – ci dice:
La
reazione americana a un attacco nucleare è top secret, ma il Washington Post ha
ricostruito passo dopo passo che cosa succederebbe dopo il lancio da parte di
un Paese nemico di un missile nucleare contro gli Stati Uniti.
L'apocalisse
di una guerra nucleare.
Che
cosa succederebbe se fossero lanciati missili con testate nucleari contro gli
Stati Uniti?
Lo
scenario, raccontato minuto per minuto dal Washington Post in un angosciante
articolo interattivo è a dir poco apocalittico.
Nonostante la Difesa degli Stati Uniti affermi
di essere in grado di agire con una controffensiva, i tempi tecnici non
riuscirebbero a impedire l’arrivo sul suolo americano delle testate nucleari.
La
reazione americana a un attacco resta top secret, ma con l’aiuto di
testimonianze e documenti declassificati, il quotidiano statunitense ha
ricostruito tutti i passaggi e quello che emerge è agghiacciante.
Appena
45 minuti dopo il lancio nemico morirebbero all'istante centinaia di migliaia
di persone negli Stati Uniti.
Per le
radiazioni perderebbero la vita milioni di altri americani.
Ed entro un’ora dopo la risposta statunitense
altri milioni di persone morirebbero nel Paese nemico.
Molte
zone dalla Terra rischierebbero di diventare inabitabili per decenni, proprio
come è successo a Chernobyl.
Non è un film ma una ricostruzione fedele di
quello che succederebbe se si innescasse una guerra nucleare.
L'Unione
Europea ha posto una crescente attenzione sulla preparazione dei cittadini a
potenziali emergenze, compresi attacchi nucleari.
Il
lancio.
Dall’altra
parte del globo un Paese nemico (Russia o Cina e forse Corea del Nord, l'Iran
nell'articolo non è citato) lancia una raffica di missili balistici
intercontinentali (ICBM) con ordigni nucleari contro gli Stati Uniti.
Quasi all’istante i satelliti statunitensi
gestiti dall’US Space Force rilevano, grazie a sensori a infrarossi, gli enormi
«pennacchi» di gas e fiamme rilasciati dalla combustione del razzo.
1
minuto dopo il lancio.
Un
minuto dopo il lancio dei missili, i sistemi di terra trasmettono i dati
rilevati dai satelliti a tutti gli enti coinvolti nella sicurezza degli Usa:
il
NORAD (North American Aerospace Command), lo STRATCOM (Us Strategic Command),
l’NMCC (National Military Command Center) che si trova al Pentagono.
3-4
minuti dopo il lancio: i sistemi di allerta precoce.
Il
comandante dello STRATCOM, che si trova alla base aeronautica di “Offutt! a
Omaha (Nebraska) viene informato su quanto sta accadendo. La stessa cosa fa la
squadra del NORAD, un’organizzazione di allerta aerospaziale per la difesa
congiunta di Stati Uniti e Canada.
I due gruppi, sulla base dei dati disponibili,
forniscono una valutazione iniziale sul grado di affidabilità dell’allarme
(nessuna, media, alta).
Il WP
ipotizza, tenuto conto del numero di «pennacchi», un livello di affidabilità
medio sul fatto che un attacco missilistico nucleare è in arrivo negli Usa.
In
questa fase non è ancora possibile valutare gli obiettivi.
5
minuti dopo il lancio: l'avviso al presidente.
In
caso di guerra nucleare, quanto durerebbe?
Appena
45 minuti, ma sarebbe un'apocalisse da milioni di morti.
Un
assistente militare trasporta la “nuclear football”.
Già
cinque minuti dopo il lancio è l’ora di avvisare il presidente degli Stati
Uniti.
A chiamarlo è il comandante dello STRATCOM.
La
linea telefonica protetta squilla anche se il presidente sta volando a bordo
dell’Air Force One.
L’assistente militare fa sedere il presidente
a capotavola di un lungo tavolo che si trova nella sala operativa dell’aereo e apre la «nuclear football» o meglio
la president’s emergency satchel, la valigetta nera che contiene i documenti
utili per ordinare un lancio nucleare in risposta all’attacco, compreso il
famoso libro nero che in 75 pagine contiene le opzioni possibili (scritte in
rosso).
Nel frattempo, viene avviata una
videoconferenza di emergenza con il comandante dello STRATCOM, che comincia a
informare il presidente dell’imminente minaccia.
Se raggiungibili si uniscono alla
videochiamata anche il Segretario della Difesa e il Capo di Stato Maggiore.
10
minuti dopo il lancio: la minaccia è confermata.
In
caso di guerra nucleare, quanto durerebbe?
Dieci
minuti dopo il lancio iniziale, i radar terrestri rilevano i missili balistici
intercontinentali in arrivo.
Il
sistema integrato di allerta tattica e valutazione degli attacchi lavora per
fornire una valutazione che sia il più attendibile possibile.
Arriva
la conferma: i missili nucleari colpiranno il suolo statunitense entro 12-15
minuti.
I dati
sono costantemente aggiornati, ma non è ancora possibile stabilire con certezza
il luogo di impatto.
Il
presidente deve prendere una decisione.
In
caso di guerra nucleare, quanto durerebbe? Appena 45 minuti, ma sarebbe
un'apocalisse da milioni di morti.
È
questo il momento in cui il presidente deve prendere una decisione dopo essersi
consultato con i consiglieri.
Comprensibilmente,
sono momenti frenetici.
Il
presidente viene informato che, colpendo il quartier generale nemico dove si
trovano altri missili nucleari, sarebbe possibile impedire ulteriori attacchi.
I partecipanti possono raccomandare diverse
linee di azione, molte voci si sovrappongono.
Ma il
presidente deve decidere, ed è sollecitato dal Segretario della Difesa a farlo
entro due minuti, altrimenti il rischio è perdere la finestra di tempo
necessaria per reagire.
Gli
esperti ipotizzano che i missili nucleari nemici stiano puntando i tre depositi
di missili balistici intercontinentali che si trovano nella parte occidentale
degli Stati Uniti per impedire un massiccio attacco di rappresaglia.
Altri
missili probabilmente colpirebbero Washington, dove si trovano importanti
centri di comando.
17-18
minuti dopo il lancio: gli Usa rispondono al fuoco.
In
caso di guerra nucleare, quanto durerebbe?
Appena 45 minuti, ma sarebbe un'apocalisse da
milioni di morti.
Circa
17-18 minuti dopo il lancio del missile il presidente prende una decisione: può
ordinare un attacco anche se tutti i consiglieri si oppongono.
Il presidente comunica la sua decisione
all’NMCC del Pentagono attraverso il telefono che si trova all’interno della «nuclear football»:
lanciare
300 missili balistici intercontinentali, far decollare i bombardieri e
preparare i sottomarini al lancio di missili.
Il Pentagono chiede al presidente di
confermare la sua identità:
lo fa tirando fuori dal taschino una sorta di
biglietto da visita di plastica, il «nuclear biscuit» sul quale sono incisi dei codici di
riconoscimento che legge al telefono.
Un
minuto dopo la trasmissione dell’ordine l’NMCC del Pentagono invia l’allarme
agli equipaggi prescelti.
I missili intercontinentali vengono preparati:
i
silos che li contengono si aprono e i missili vengono lanciati verso il nemico
20 minuti dopo l’attacco.
30
minuti dopo il lancio: i missili nemici raggiungono gli Usa.
Pochi
minuti dopo la risposta americana, una raffica di missili colpisce le zone
negli Stati Uniti dove si trovano i silos sotterranei che contengono i missili:
sono
ormai vuoti ma un numero incalcolabile di cittadini del North Dakota, Montana,
Wyoming, Colorado e Nebraska muoiono sul colpo.
Sarà
colpita anche Washington dove si trovano la Casa Bianca, il Pentagono e altri
obiettivi ad alto rischio.
L'istante
dell'esplosione nucleare.
Il
Washington Post per delineare lo scenario di devastazione nucleare ha chiesto
aiuto a Sébastien Philippe, ricercatore del Programma di Scienza e Sicurezza
Globale dell'Università di Princeton che si occupa di creare modelli sugli
effetti delle armi nucleari.
Al
momento della detonazione una palla di fuoco più calda della superficie del
sole disintegrerebbe gli edifici di cemento, le persone, gli animali, gli
alberi, le auto che si trovano nel raggio di diverse centinaia di metri dai
luoghi dell’esplosione.
Il calore e la luce dell’esplosione potrebbero
innescare incendi e causare ustioni di terzo grado alle persone che si trovano
entro tre chilometri.
La
potente onda d’urto provocherebbe gravi danni a oltre un chilometro e mezzo di
distanza.
Le
finestre degli edifici che si trovano nel raggio di 10 chilometri
dall’esplosione andrebbero in frantumi.
Oltre
mezzo milione di persone morirebbero all’istante. Venti dell’intensità di un
uragano e incendi causerebbero altre vittime.
6-8
minuti dopo l'esplosione: la contaminazione nucleare.
Entro
6-8 minuti dall’esplosione si alzerebbero nubi con detriti radioattivi capaci
di raggiungere i 12 mila metri di altitudine.
Il
materiale radioattivo rilasciato nell’atmosfera, il fallout, inizierebbe a
tornare sulla Terra, contaminando tutto quello che incontra per centinaia di
chilometri, nella direzione dei venti (le conseguenze potrebbero raggiungere
anche New York). Circa un milione di persone morirebbe entro pochi giorni a
causa delle dosi elevate di radiazioni.
Ampie zone del Maryland, del Delaware e della
Virginia settentrionale diventerebbero inabitabili, come lo è stata la zona
intorno a Chernobyl.
45
minuti dopo il lancio nemico.
Meno
di un’ora dopo il decollo dei missili nemici, la controffensiva statunitense
colpirà gli obiettivi prescelti nel Paese ostile.
Innumerevoli
altre persone verrebbero uccise.
Un
attacco su vasta scala tra i principali attori nucleari – conclude il
Washington Post – ucciderebbe milioni di persone, contaminando con le
radiazioni vaste aree del pianeta.
Potrebbe
verificarsi un inverno nucleare, con il fumo e la fuliggine delle esplosioni
che impediscono al Sole di raggiungere la Terra.
Un’apocalisse
che fa venire la pelle d'oca.
Lo
spettro del nucleare: la paura
rinasce
nel conflitto tra Iran e Israele.
Eurobull.it – (19 giugno 2025) - Camilla
Scaglione – ci dice:
(canva.com/design/DAGqu1X_i-o/d4RBJkdISoq4KChJ5cBjDw/edit?utm_content=DAGqu1X_i-o&utm_campaign=designshare&utm_medium=link2&utm_source=sharebutton).
L’atomica:
uno spettro che si credeva morto nell’89, con la caduta del Muro di Berlino,
trova di nuovo terreno fertile in Medioriente.
Due
colossi militari, come Iran e Israele, si fronteggiano su un tema quanto mai
delicato.
La
Russia, altra grande minaccia nucleare nonché parte di un’ulteriore guerra, è
proposta come mediatore.
Il
Medioriente sta subendo un attacco multipolare su più fronti, che lasciano
aperte o, forse sarebbe più corretto dire, riaprono ferite mai cicatrizzate a
pieno.
La
seconda metà di questo 2025 si rivela non meno tragica degli ultimi quattro
anni a livello di pace e comunicazione internazionale.
Giugno
si schiude infatti con l’apertura di un nuovo fronte per la missione di
Netanyahu, la cui strategia, del tutto priva di riguardo per i diritti
umanitari, si scaglia non più su Gaza, o almeno non solo su di essa, ma si
sposta contro un antico nemico, un colosso musulmano di nome” Iran”.
L’Iran,
che dagli anni Ottanta del secolo scorso, con la rivoluzione di Khomeini, è a
tutti gli effetti una teocrazia islamica, mette paura a tanti per il suo
potenziale nucleare.
l’Iran infatti è uno tra gli stati ad essere
sulla zona limite, in termini tecnici “nuclear threshold state”, per quanto
riguarda tutto ciò che si può incasellare nella dimensione delle armi nucleari,
missili soprattutto.
Lo
Stato ad oggi non ha dichiarato di avere o di aver testato armi del genere, ma
la paura della comunità internazionale è che, avendo davanti un paese in via
teorica in grado di creare un’arma atomica, si giunga a una rapida escalation
dovuta al conflitto iraniano-israeliano che porterebbe l’Iran a compiere quel
salto finale nel processo atomico.
Bisogna
ricordare, parlando di questi due stati, che hanno portato avanti per decenni
una “proxy war”, o “guerra per procura”.
In altri termini un conflitto dove le due
potenze si sono confrontate in modo indiretto tramite parti terze, da vedersi
soprattutto in milizie sciite filo-iraniane all’attacco di obiettivi israeliani.
Lo
scenario è cambiato nell’ottobre del 2024, quando l’Iran dà l’avvio
all’operazione” True Promise II”, in cui il primo giorno del mese lo stato
lancia circa 200 missili balistici contro basi e obiettivi di bandiera
israeliana.
Il movente sembra ricadere in una rappresaglia
in memoria delle uccisioni tra i vertici di Hamas e Hezbollah nell’ottobre
2023.
L’azione
non rimane, però, impunita:
Israele,
il 26 ottobre, avvia l’operazione “Days of Repentance”, una complessa manovra
dell’aviazione israeliana contro importanti siti e armi iraniani.
La
situazione subisce un’impennata nella gravità con l’attacco, di matrice
israeliana, avvenuto solo alcuni giorni fa.
Infatti
Netanyahu ha dato il via il 13 giugno 2025 a un’operazione denominata “Rising
Lion”, con la quale il suo paese ha colpito siti militari e soprattutto
nucleari iraniani e ne ha decimato i vertici militari.
Per
ora Israele non ha provocato alcun danno alla famiglia del leader religioso, ma
di fatto anche figura più potente nello Stato,” Ali Khamenei”.
Khamenei,
ora ultra ottantenne, è la “Guida Suprema” della Repubblica Islamica dell’Iran,
succeduto all’ayattolah Khomeini nell’89, si trova, allo stato attuale delle
cose, in un bunker sotterraneo la cui locazione non è stata resa nota per ovvi
motivi di sicurezza.
L’uomo
si trova lì con i suoi parenti più stretti, tra cui, suo possibile successore,
il figlio Mojtaba
Khamenei.
Il leader sarebbe infatti, anche se le fonti
ufficiali non hanno mai confermato, malato da diverso tempo.
Parrebbe, inoltre, che lo staff della Guida
Suprema stia lavorando in modo molto serrato per ottenere una via di fuga
sicura per Khamenei e famiglia in Russia, portando quindi in gioco un’altra
pedina fondamentale sul piano globale: Vladimir Putin.
Reduci
dall’attacco alla principale Tv iraniana e dall’affermazione del presidente in
carica Netanyahu che la morte di Khameini potrebbe portare a una fine repentina
della guerra, i potenti della Terra si domandano cosa fare di fronte a un
conflitto che, da freddo che era, si è scaldato in modo repentino e,
sembrerebbe anche poco reversibile senza interventi miliari esterni.
La grande paura del mondo ritorna l’incognita
nucleare, in un distopico secondo ventennio del XXI secolo, che vedrebbe
risorgere le ceneri della Mad, o mutual assured destruction, e il gigantesco fantasma atomico
che era stato protagonista della Guerra Fredda in tutto il mondo.
L’elemento
terrificante in termini umanitari di questo nuovo, anche se come abbiamo visto
non lo è per intero, conflitto in Medioriente è il distoglimento
dell’attenzione internazionale dall’altro grande scontro che si sta giocando,
questa volta in territorio europeo, ossia la guerra tra Ucraina e Russia.
Da
questo Putin e la sua nazione hanno solo che da guadagnare, in quanto potrebbe
portare a una cessazione degli aiuti umanitari e militari internazionali alla
sua controparte e far passare in sordina l’eventuale annessione dei territori
occupati, come accaduto nel 2014 con la Crimea.
A
conti fatti, l’interesse mondiale ora risiede nell’evitare una possibile o
anche solo pensabile escalation nucleare in Medioriente ed è un punto in agenda
imprescindibile per la sicurezza globale.
Il cruccio sta nel comprendere se questa
allerta vada a richiedere interventi di agenti internazionali non proprio adesi
alla “Carta dei Diritti dell’Uomo”, vedasi la Russia, come intermediario tra le
fazioni, dimentichi del fatto che si sta comunque venendo a patti con un paese
che si macchia da oltre tre anni dell’uccisione di ucraini di ogni genere,
classe ed età.
(Camilla
Scaglione).
NON
ESISTE UNA GUERRA
NUCLEARE
A BASSA INTENSITÀ.
Poterealpopolo.org
– (28 Giugno 2024) – Redazione – Vijay Prashad – ci dice:
C’è
stato un tempo in cui gli appelli per un’Europa libera dal nucleare risuonavano
in tutto il continente.
È
iniziato con l’Appello di Stoccolma (1950), che si apriva con le potenti parole
“Noi esigiamo l’assoluto divieto dell’arma atomica. Noi consideriamo che il
governo il quale utilizzasse contro qualsiasi paese l’arma atomica,
commetterebbe un crimine contro l’umanità e dovrà essere considerato come
criminale di guerra” e si è poi approfondito con l’Appello per il disarmo
nucleare europeo (1980), che lanciava l’agghiacciante monito “Stiamo entrando
nel decennio più pericoloso della storia umana”.
Circa
274 milioni di persone firmarono l’appello di Stoccolma, tra cui – come spesso
riportato – l’intera popolazione adulta dell’Unione Sovietica.
Eppure, dall’appello europeo del 1980, sembra
che ogni decennio sia sempre più pericoloso del precedente.
“Mancano ancora 90 secondi alla mezzanotte”,
hanno scritto a gennaio i redattori del “Bulletin of the Atomic Scientists” (i
custodi del “Doomsday Clock”).
La mezzanotte è l’Armageddon.
Nel
1949, l’orologio era a tre minuti dalla mezzanotte e nel 1980 si era
leggermente ritirato dal precipizio, tornando a sette minuti dalla stessa.
Nel 2023, tuttavia, la lancetta dell’orologio
si è spostata fino a novanta secondi dalla mezzanotte, dove si trova tuttora,
il momento più vicino all’annientamento su larga scala.
Questa
situazione precaria rischia di raggiungere oggi un punto di svolta in Europa.
Per
comprendere le pericolose possibilità che potrebbero essere scatenate
dall’intensificarsi delle provocazioni in Ucraina, abbiamo collaborato con “No
Cold War” per produrre il briefing n. 14:
NATO’s Actions in Ukraine Are More Dangerous than the
Cuban Missile Crisis.
Vi
invitiamo a leggere attentamente questo testo e a diffonderlo il più possibile.
Negli
ultimi due anni, in Ucraina è scoppiata la più grande guerra europea dal 1945.
La causa principale di questa guerra è il
tentativo degli Stati Uniti di espandere l’Organizzazione del Trattato del Nord
Atlantico (NATO) in Ucraina.
Ciò
viola le promesse fatte dall’Occidente all’Unione Sovietica durante la fine
della Guerra Fredda, come ad esempio che la NATO non si sarebbe mossa “di un
solo centimetro verso est”, come assicurò il Segretario di Stato americano
James Baker al Presidente sovietico Mikhail Gorbaciov nel 1990.
Nell’ultimo decennio, il Nord globale ha
ripetutamente snobbato le richieste russe di garanzie di sicurezza.
È
stato questo disinteresse per le preoccupazioni russe che ha portato allo
scoppio del conflitto nel 2014 e alla guerra nel 2022.
Oggi,
una NATO armata di armi nucleari e una Russia armata di armi nucleari sono in conflitto
diretto in Ucraina.
Invece di prendere provvedimenti per porre
fine a questa guerra, negli ultimi mesi la NATO ha fatto diversi nuovi annunci
che minacciano di far degenerare la situazione in un conflitto ancora più
grave, con il potenziale di estendersi oltre i confini dell’Ucraina.
Non è
esagerato dire che questo conflitto ha creato la più grande minaccia alla pace
mondiale dai tempi della crisi dei missili di Cuba (1962).
Questa
pericolosissima escalation conferma la correttezza della maggioranza degli
esperti statunitensi sulla Russia e sull’Europa orientale che da tempo mettono
in guardia contro l’espansione della NATO nell’Europa orientale.
Nel
1997, “George Kennan”, il principale architetto della politica statunitense
durante la Guerra Fredda, ha affermato che questa strategia è “l’errore più
fatale della politica americana nell’intera era post-Guerra Fredda”.
La
guerra in Ucraina e i pericoli di un’ulteriore escalation confermano appieno la
serietà del suo monito.
In che
modo la NATO sta intensificando il conflitto in Ucraina?
I più
pericolosi sviluppi recenti di questo conflitto sono le decisioni prese a
maggio da Stati Uniti e Gran Bretagna di autorizzare l’Ucraina a utilizzare le
armi fornite dai due Paesi per condurre attacchi militari all’interno della
Russia.
Il
governo ucraino ha immediatamente utilizzato questa possibilità nel modo più
provocatorio possibile, attaccando il sistema di allarme rapido per missili
balistici della Russia.
Questo
sistema di allarme non ha alcun ruolo nella guerra in Ucraina, ma è una parte
centrale del sistema di difesa della Russia contro gli attacchi nucleari
strategici. Inoltre, il governo britannico ha fornito all’Ucraina i missili “Storm
Shadow”, che hanno una gittata di oltre 250 km e possono colpire obiettivi non
solo sul campo di battaglia, ma anche all’interno della Russia.
L’uso di armi della NATO per attaccare la
Russia rischia una contro-risposta russa equivalente, minacciando di estendere
la guerra oltre l’Ucraina.
A ciò
ha fatto seguito l’annuncio di giugno del Segretario generale della NATO “Jens
Stoltenberg” della creazione di un quartier generale della NATO per le
operazioni nella guerra in Ucraina presso la base militare statunitense di “Wiesbaden”,
in Germania, inizialmente composta da 700 persone.
Il 7 giugno il Presidente francese Emmanuel
Macron ha dichiarato che il suo governo stava lavorando per “finalizzare una
coalizione” di Paesi NATO disposti a inviare truppe in Ucraina per “addestrare”
le forze ucraine.
In questo modo le forze della NATO
entrerebbero direttamente in guerra.
Come
hanno dimostrato la guerra del Vietnam e altri conflitti, tali “addestratori”
organizzano e dirigono i combattimenti, diventando così bersaglio di attacchi.
Perché
l’escalation in Ucraina è più pericolosa della crisi dei missili di Cuba?
La
crisi dei missili di Cuba fu il prodotto di un calcolo avventuristico sbagliato
da parte della leadership sovietica, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero
tollerato la presenza di missili nucleari sovietici a soli 144 km dalla costa
statunitense più vicina e a circa 1.800 km da Washington.
Tale
dispiegamento avrebbe reso impossibile per gli Stati Uniti difendersi da un
attacco nucleare e avrebbe “livellato il campo di gioco”, poiché gli Stati
Uniti avevano già tali capacità nei confronti dell’Unione Sovietica.
Gli Stati Uniti, com’era prevedibile, hanno
chiarito che ciò non sarebbe stato tollerato e che lo avrebbero impedito con
ogni mezzo necessario, compresa la guerra nucleare.
Con il
Doomsday Clock a 12 minuti dalla mezzanotte, la leadership sovietica si rese
conto dell’errore di calcolo e, dopo alcuni giorni di intensa crisi, ritirò i
missili. Seguì un allentamento delle tensioni tra Stati Uniti e Unione
Sovietica, che portò al primo “Trattato sulla messa al bando parziale degli
esperimenti nucleari” (1963).
Nel
1962 non volarono proiettili tra Stati Uniti e URSS. La crisi dei missili di
Cuba fu un incidente a breve termine estremamente pericoloso che avrebbe potuto
scatenare una guerra su larga scala, anche nucleare.
Tuttavia,
a differenza della guerra in Ucraina, non derivava da una dinamica di guerra
già esistente e in via di intensificazione da parte degli Stati Uniti o
dell’URSS.
Pertanto,
pur essendo estremamente pericolosa, la situazione poteva anche essere, ed è
stata, rapidamente risolta.
La
situazione in Ucraina, così come il crescente conflitto intorno alla Cina, sono
strutturalmente più pericolosi.
È in
corso un confronto diretto tra la NATO e la Russia, dove gli Stati Uniti hanno
appena autorizzato attacchi militari diretti (immaginate se, durante la crisi
del 1962, le forze cubane armate e addestrate dall’Unione Sovietica avessero
effettuato importanti attacchi militari in Florida).
Nel
frattempo, gli Stati Uniti stanno aumentando direttamente le tensioni militari
con la Cina intorno a Taiwan e al Mar Cinese Meridionale, oltre che nella
penisola coreana.
Il
governo statunitense è consapevole di non poter permettersi di subire
l’erosione della propria posizione di supremazia globale e ritiene, a ragione,
di poter perdere il proprio dominio economico a favore della Cina.
Per questo motivo si sposta sempre più spesso
sul terreno militare, dove mantiene ancora un vantaggio.
La
posizione degli Stati Uniti su Gaza è determinata in modo significativo dalla
consapevolezza di non potersi permettere un colpo alla propria supremazia
militare, incarnata dal regime che controlla in Israele.
Gli
Stati Uniti e i loro partner della NATO sono responsabili del 74,3% della spesa
militare globale.
Nel
contesto della crescente spinta degli Stati Uniti verso la guerra e l’uso di
mezzi militari, la situazione in Ucraina, e potenzialmente intorno alla Cina,
sono in realtà altrettanto e potenzialmente più pericolose della crisi dei
missili di Cuba.
Come
devono negoziare le parti in guerra?
Alcune
ore dopo l’ingresso delle truppe russe in Ucraina, entrambe le parti hanno
iniziato a parlare di una riduzione delle tensioni.
Questi
negoziati si sono sviluppati in Bielorussia e in Turchia prima di essere
vanificati dalle assicurazioni della NATO all’Ucraina di un sostegno infinito e
senza limiti volto a “indebolire” la Russia.
Se
questi primi negoziati si fossero sviluppati, migliaia di vite sarebbero state
risparmiate.
Tutte
le guerre di questo tipo finiscono con i negoziati, ed è per questo che prima
si sarebbero potuti svolgere, meglio sarebbe stato.
Questa
è un’opinione ormai apertamente riconosciuta dagli ucraini.
“Vadym
Skibitsky,” vice capo dell’intelligence militare ucraina, ha dichiarato a “The
Economist” che i negoziati sono all’orizzonte.
Da
molto tempo ormai, il fronte Russia-Ucraina non si è mosso in modo drammatico.
Nel
febbraio 2024, il governo cinese ha pubblicato una serie di principi in dodici
punti per guidare un processo di pace.
Questi
punti – tra cui l’”abbandono della mentalità da Guerra Fredda” – avrebbero
dovuto essere presi in seria considerazione dalle parti belligeranti.
Ma gli Stati della NATO li hanno semplicemente
ignorati.
Alcuni
mesi dopo, dal 15 al 16 giugno, si è tenuta in Svizzera una conferenza guidata
dall’Ucraina, alla quale la Russia non è stata invitata e che si è conclusa con
un comunicato che ha preso in prestito molte delle proposte cinesi sulla
sicurezza nucleare, sulla sicurezza alimentare e sullo scambio di prigionieri.
Mentre
alcuni Stati – dall’Albania all’Uruguay – hanno firmato il documento, altri
Paesi che hanno partecipato all’incontro si sono rifiutati di sottoscriverlo
per una serie di motivi, tra cui la sensazione che il testo non prendesse sul
serio le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza.
Tra i
Paesi che non hanno firmato ci sono Armenia, Bahrein, Brasile, India,
Indonesia, Giordania, Libia, Mauritius, Messico, Arabia Saudita, Sudafrica,
Thailandia ed Emirati Arabi Uniti.
Pochi giorni prima della conferenza in
Svizzera, il Presidente russo Vladimir Putin ha presentato le sue condizioni
per la pace, che includono la garanzia che l’Ucraina non si unirà alla NATO.
Questo punto di vista è condiviso dai Paesi
del Sud globale che non hanno aderito alla dichiarazione della conferenza
tenutasi in Svizzera.
Sia la
Russia che l’Ucraina sono disposte a negoziare. Perché si dovrebbe permettere
agli Stati della NATO di prolungare una guerra che minaccia la pace nel mondo?
Il prossimo vertice della NATO, che si terrà a Washington dal 9 all’11 luglio,
deve sentirsi dire, a voce alta e chiara, che il mondo non vuole la sua
pericolosa guerra o il suo decadente militarismo.
I popoli del mondo vogliono costruire ponti,
non farli saltare in aria.
Il
briefing n. 14, una chiara valutazione degli attuali pericoli legati
all’escalation in Ucraina e dintorni, sottolinea la necessità che Abdullah El
Harif del Partito della Via Democratica dei Lavoratori in Marocco e io stesso
abbiamo già articolato nell’”Appello di Bouficha” contro i preparativi per la
guerra del 2020, cioè la necessità che i popoli del mondo:
si
oppongano al
guerrafondaio imperialismo statunitense che vuole imporre guerre pericolose a
un pianeta già fragile;
si
oppongano alla
saturazione del mondo con armi di ogni tipo, armi che infiammano i conflitti e
spesso spingono i processi politici verso guerre senza fine;
si
oppongano all’uso
del potere militare per impedire lo sviluppo sociale dei popoli del mondo;
difendano
il diritto dei Paesi a costruire la propria sovranità e la propria dignità.
Le
persone sensibili di tutto il mondo devono far sentire la loro voce nelle
strade e nei corridoi del potere per porre fine a questa pericolosa guerra e
per avviarci verso un percorso che superi il mondo del capitalismo delle guerre
senza fine.
(Vijay
Prashad.)
Cos’è
la GBU-57: la bomba anti-bunker
che
potrebbe essere impiegata in Iran.
Rsi.ch
– Ludovico Camposampiero con AFP – Redazione – (18 giugno 2025) – ci dice:
Se gli
USA scendessero in campo a fianco di Israele, potrebbero contare su un’arma
devastante per distruggere i siti nucleari, ma le conseguenze del suo impiego
sarebbero gravi.
Esiste
una foto rilasciata dall'Aeronautica Militare degli Stati Uniti il 2 maggio
2023, con alcuni aviatori che osservano una bomba GBU-57, o Massive Ordnance
Penetrator, presso la base aerea di Whiteman nel Missouri.
Gli
Stati Uniti potrebbero decidere di unirsi a Israele nella guerra contro l’Iran?
Un’ipotesi che non fa l’unanimità, ma che sta facendo sempre più discutere
nelle ultime ore.
Il
motivo sarebbe quello di aiutare lo Stato ebraico a raggiungere il suo
obiettivo dichiarato, ovvero impedire a Teheran di costruire una bomba atomica.
Eventualità anch’essa dibattuta, che vede esperti di sicurezza, servizi segreti
e anche le Cancellerie di tutto il mondo divisi tra chi sostiene che la
Repubblica islamica sta perseguendo questo scopo e chi invece dichiara che non
ci sono evidenze in questo senso.
Teheran
ha per parte sua dichiarato che il suo programma nucleare è pacifico, mentre la
scorsa settimana il consiglio di amministrazione dell’AIEA – l’Agenzia
internazionale per l’energia atomica – ha dichiarato che l’Iran ha violato gli
obblighi di non proliferazione.
Tuttavia,
indipendentemente da queste considerazioni, se veramente il presidente
statunitense Donald Trump dovesse decidere di impegnare gli USA nel conflitto a
fianco dello Stato ebraico, potrebbe entrare in gioco un’arma specifica di cui
si sta ampiamente parlando negli ultimi giorni:
la GBU-57, una potente bomba anti-bunker
statunitense, che fungerebbe da arma strategica essendo l’unica bomba in grado
di distruggere le strutture nucleari iraniane profondamente sepolte.
Di
cosa di tratta e come funziona?
La
GBU-57 è una bomba guidata anti-bunker costruita dalla Boeing e sviluppata per
l’aeronautica militare statunitense.
Con un
peso di circa 13 tonnellate per “soli” 6 metri di lunghezza circa, è
considerata quella con la più alta capacità di penetrazione, raggiungendo anche
i 60 metri nel cemento prima di esplodere.
Questa
sarebbe l’unica arma convenzionale (ovvero non nucleare, ndr.) capace di
distruggere i siti nucleari iraniani.
L’unico
aereo in grado di trasportare questi ordigni è il B-2, il bombardiere
strategico stealth, utilizzato solo dagli USA, del quale esistono 20 esemplari
in servizio.
I B-2 hanno un’autonomia di oltre 11’000 km e
sono quindi in grado di raggiungere il Medio Oriente partendo anche da basi
molto lontane.
A
differenza di molti missili o bombe che fanno esplodere le loro cariche
all’impatto, queste testate anti-bunker penetrano prima nel terreno ed
esplodono solo una volta raggiunta l’installazione sotterranea.
Perché
questa bomba?
Sebbene
in cinque giorni l’esercito israeliano sia riuscito a decimare il comando
militare iraniano e una serie di installazioni di superficie, “ci sono ancora
molti interrogativi sull’efficacia degli attacchi israeliani contro il cuore
pulsante del programma nucleare iraniano”, ha riassunto all’”agenzia AFP Behnam
Ben Taleblu”, esperto della “Foundation for Defense of Democracies”, un centro
di ricerca neoconservatore statunitense, aggiungendo però che l’impiego di una
simile arma avrebbe un enorme costo politico.
Esiste
la fotografia del 2020 di un bombardiere stealth B-2 Spirit.
Il
monito dell’AIEA.
Indipendentemente
dall’impiego o meno delle GBU-57, prendere di mira i siti nucleari iraniani
pone enormi rischi dal profilo della sicurezza, motivo per il quale la stessa
AIEA ha ribadito pochi giorni fa che gli attacchi possono causare rilasci
radioattivi e che gli attacchi armati contro installazioni nucleari pacifiche
violando i principi della Carta dell’ONU, il diritto internazionale e lo
statuto della AIEA e che sono un ostacolo alla diplomazia, in quanto
compromettono gli sforzi diplomatici per risolvere pacificamente le questioni
legate al programma nucleare iraniano.
Dominio
e legittimità, Medioriente e Occidente.
Rivistailmulino.it
- Sergio Della Pergola – (17 luglio 2025) – ci dice:
Le
reazioni occidentali sono spesso sbilanciate e la mancata autodeterminazione
palestinese deriva anche da una logica di opposizione a Israele.
L’indicibile
massacro del 7 ottobre 2023 da parte di miliziani e civili gazawi ai danni di
oltre 850 civili e 350 militari israeliani e la deportazione a Gaza di 251
persone, vive o morte, faceva parte del piano concordato fra la Repubblica
islamica dell’Iran e i suoi alleati in Medioriente, in particolare Hezbollah in
Libano e Hamas a Gaza, orientato a distruggere lo Stato d’Israele.
Se il
piano di attacco fosse stato eseguito simultaneamente, con lanci di migliaia di
missili da Nord, da Sud e da Est, e con l’invasione del territorio da Gaza e
dal Libano, la capacità di difesa di Israele sarebbe divenuta estremamente
precaria. Solo grazie alla non simultaneità dell’attacco, per ragioni nel
frattempo chiarite, Israele ha potuto superare lo shock iniziale, attuando una
reazione più che proporzionale, con danni irreparabili alle forze militari dei
movimenti terroristici a Gaza e in Libano e alle strutture militari iraniane
nei dodici giorni dal 13 al 25 giugno.
Gli
equilibri di forza preesistenti sono cambiati con l’uccisione di gran parte dei
quadri dirigenti a Gaza, in Libano e in Iran, e un sostanziale, anche se
temporaneo, indebolimento dell’intromissione operativa nucleare nel conflitto
mediorientale.
Le
operazioni militari hanno causato danni collaterali alla popolazione civile,
devastanti soprattutto a Gaza.
Contrariamente
alle aspettative, in Italia e nel mondo le reazioni all’abnorme atto iniziale
del 7 ottobre sono state molto scarse.
Nei giorni fra il 7 ottobre e l’intervento
militare israeliano sono perfino aumentati sia gli atteggiamenti negativi verso
Israele sia l’empatia verso l’Islam (cfr. A.D. Colombo, G. Dalla Zuanna,
F. Quassoli, B. Saracino, M. Scioni, Studenti universitari, ebrei e Israele
prima e dopo il 7/10/2023. Una rilevazione negli atenei del Nord, Istituto
Cattaneo, 2023).
Tra le
principali linee critiche su Israele:
gli israeliani se la sono voluta, dopo la
prolungata occupazione dei territori palestinesi;
l’operazione armata di Hamas il 7 ottobre è
una legittima rivendicazione dei diritti repressi dei palestinesi;
Israele ha sbagliato a reagire a Gaza, dando
adito a reazioni antisemite nel mondo intero;
la
reazione degli ebrei, dopo l’esperienza della Shoah, dimostra che sarebbe stato
meglio se Israele non fosse nata.
Una
sintesi dell’attuale fase del conflitto in Medioriente estesa a considerazioni
geopolitiche più ampie si focalizza su tre punti:
la
centralità ineludibile della questione palestinese;
gli equilibri di forza regionali e la loro
legittimità politica;
la
dimensione internazionale, nella forma specifica dell’alleanza tra Israele e
Stati Uniti.
I
fatti in Iran costituirebbero un altro esempio di progetto politico fondato su
logiche di dominio.
La legittimità di questo nuovo ordine
dipenderà, però, dall’efficacia delle nuove forze che vi si opporranno.
La
postura dialetticamente asimmetrica di molti occidentali nei confronti del
Medioriente conduce inevitabilmente a due pesi e due misure nei giudizi
rispetto a fenomeni che, pur svolgendosi in luoghi diversi, condividono molti
elementi comuni.
Per esempio, i bombardamenti russi in Ucraina
e i bombardamenti israeliani a Gaza hanno sollecitato risposte ben diverse nel
giornalismo e anche nell'accademia, anche se entrambi si potrebbero ricondurre
a un esame congiunto dell'uso della forza nella soluzione di conflitti con una
valenza etnica, oltre che territoriale.
L'osservatore
occidentale fa parte di una diade osservatore-osservato: chi viene osservato,
in questo caso il mediorientale, ha pari diritto di esprimere un giudizio
sull’osservatore.
In
realtà, l'osservatore occidentale fa parte di una diade osservatore-osservato.
Chi viene osservato, in questo caso il mediorientale, ha pari diritto di
esprimere un giudizio sull’osservatore, sul suo contesto storico-politico, i
suoi strumenti cognitivi, i suoi interessi particolari.
Questo
contro giudizio simmetrico dovrebbe far parte del dibattito, affinché questo
assuma maggiore corposità e validità.
Cerchiamo di chiarire alcune intersezioni fra
queste diverse proposizioni.
Nell’ambito
del conflitto in Palestina e Israele, i critici di quello che viene definito il
permanente impedimento all’esercizio del diritto all’autodeterminazione del
popolo palestinese ritengono che tale fallimento avrebbe generato ulteriori
forze di resistenza e di combattimento, non violente o anche violente.
Per esempio, la sanguinosa rivolta araba del
1936 in Palestina sarebbe stata popolare, dunque fenomeno sociologicamente
spontaneo e dovuto, mentre le contromisure sarebbero state quelle di milizie
sioniste (appoggiate ovviamente dal regime coloniale britannico), dunque di
apparati artificiosi e burocratizzati.
Questo
approccio discrimina gerarchicamente fra diritti civili e politici palestinesi
e israeliani.
In
questa lettura manca invece una spiegazione della non proclamazione dello Stato
arabo in Palestina nel lasso fra la spartizione del territorio decisa
dell’assemblea dell’Onu nel novembre 1947 e la dichiarazione di indipendenza
dello Stato ebraico del maggio 1948.
Il
piano di spartizione dell’Onu, com’è noto, delineava uno Stato arabo, uno Stato
ebraico e un “corpus separatum” per l’area di Gerusalemme e Betlemme.
Sarebbe
bastata questa dichiarazione di volontà sovrana da parte palestinese per creare
una realtà geopolitica completamente diversa, magari perfino un confronto
diretto Usa-Urss sull’angusto territorio fra il fiume Giordano e il mare
Mediterraneo (anche se l’Urss nel 1947 votò a favore e fu la prima a
riconoscere lo Stato d’Israele).
Di
fatto, in seguito alla guerra del 1948-1949, il territorio del designato Stato
arabo fu occupato dall’Egitto (a Gaza), dalla Transgiordania (in Cisgiordania),
con gli arabi palestinesi nel ruolo di comprimari, oltre che da Israele (in
molte zone di confine tra le due parti e di guerra combattuta).
Questo
tipo di analisi ignora del tutto il concetto di due Stati per due popoli, ossia
il riconoscimento della presenza sul territorio di due attori nazionali e
politici entrambi legittimi titolari di sovranità.
Nel 1948 la parte ebraica aveva completato da
tempo il processo di elaborazione interna dello Stato moderno, con tutti gli
organi costituzionali, i partiti politici, le strutture economiche e anche le
forze armate al loro posto e funzionanti. La parte araba, invece, rispondeva
ancora a logiche istituzionali e interessi particolari di tipo feudale, con
scarsa partecipazione popolare alla costruzione della sovranità statale e delle
sue strutture e con evidenti rapporti di dipendenza militare rispetto alle potenze
straniere.
Nella
Seconda guerra mondiale, la parte ebraica inviò una brigata di soldati a
combattere nelle file inglesi per la liberazione dell’Europa.
La
parte araba, ispirata dal gran mufti di Gerusalemme, restò invece
nell’illusione di una vittoria della Germania nazista.
L’autodeterminazione
palestinese fallì all’origine per carenza di maturità evolutiva o perfino per
alterità nei confronti del concetto di Stato moderno autonomo e indipendente,
basato su un’identità positiva del proprio essere sociale. Il principio fondante
dell’essere comune palestinese fu, invece, fin dall’inizio l’opposizione a
Israele, la resistenza violenta attuata contro la mera esistenza dell’altro.
Questa
strategia, promossa da un attore politico dopo l’altro, è stata codificata da
Hamas nella sua carta costituente del 1988, con gli espliciti riferimenti ai
Protocolli dei Savi di Sion e l’aperto invito a uccidere l’ebreo (non solo
l’israeliano) “che si cela dietro i sassi e gli alberi”.
A queste pulsioni di evidente ispirazione
nazista si sono associate nel corso dei decenni altre forze integraliste
islamiche, sunnite o sciite – vedi l’orologio segnatempo della distruzione di
Israele in piazza Palestina a Teheran.
Fra
gli analisti, coscientemente o meno, la difesa del diritto
all’autodeterminazione dei palestinesi sembra coesistere con una certa
tolleranza rispetto a questi principi.
Eppure,
da studiosi dei sistemi politici che ne hanno viste tante sul suolo
dell’Europa, ci si attenderebbe una posizione più cauta, e semmai una critica a
entrambe le parti in causa per non aver captato in tempo e adottato un modus
vivendi basato su un compromesso politico e territoriale, oltre che sul
riconoscimento reciproco delle due differenti identità socioculturali,
religiose e politiche.
Negli
ultimi settantasette anni, Israele ha generalmente imposto la sua forza di
fronte a una congerie mutevole di avversari.
Nella critica a Israele, è evidente la
scarsità di riferimenti all’importanza intrinseca dei valori di democrazia,
eguaglianza, tolleranza e pluralismo.
Questi valori dovrebbero essere premessa non
negoziabile di ogni discorso politico, ma sono stati calpestati da chi, di
volta in volta, ha preso il comando delle operazioni prima retoriche e poi
militari contro Israele: dal presidente egiziano Nasser al presidente del
Movimento per la liberazione della Palestina Arafat (liberazione da Israele),
da Hamas dello sceicco Yassin e di Yahia Sinwar, a Hezbollah di Hassan
Nasrallah, convinto erroneamente che Israele fosse l’ormai crollante “posto
delle ragnatele”, dall’Iran degli ayatollah Khomeini e Khamenei, ai diversi
comprimari – gli Assad in Siria, Saddam Hussein in Iraq, i Houthi nello Yemen.
Bisognerebbe
prestare maggiore attenzione alla differenza che esiste fra gli slogan sulle
massime utopie e le decisioni operative degli addetti alla missilistica.
Da
parte israeliana non mancano i deliranti discorsi e piani di azione di piccole
– sia pure influenti e vocianti – minoranze politiche. Bisognerebbe però
prestare maggiore attenzione alla differenza che esiste fra gli slogan sulle
massime utopie e le decisioni operative degli addetti alla missilistica.
I
pericoli inerenti al credere nella propria propaganda sono dimostrati dalla
documentazione scritta reperita negli scavi a Gaza, secondo cui il massacro del
7 ottobre 2023 è iniziato come reazione alla “profanazione della Moschea
Al-Aqsa da parte degli estremisti ebrei”, che peraltro non è mai avvenuta.
In queste menti, la causa, vera o immaginaria,
giustifica il mezzo.
Così
come non è credibile la proposta di Donald Trump circa lo sgombero totale della
zona di Gaza dai suoi abitanti e la creazione di una riviera sulle coste del
Mediterraneo orientale.
La
voce critica dell’analista dovrebbe intervenire, non accettando a valore
nominale – non dico giustificare – le psicologie alterate dei diversi attori.
Il
territorio di Gaza per vent’anni, dal 2005 al 2025, non ha avuto alcuna
presenza di civili israeliani, e in questi vent’anni i gazawi non hanno voluto
o saputo sviluppare una società civile e una riforma socioeconomica.
Gli imponenti aiuti internazionali hanno contribuito a
creare una rete sanitaria di discreta qualità, tanto è vero che la mortalità,
alla vigilia del 7 ottobre 2023, era comparabile a quella di un Paese europeo
come la Polonia.
La rete scolastica dell’”Unrwa” ha creato
accesso quasi universale all’istruzione liceale.
Le
forniture alimentari provenienti dall’Onu e da tante ong erano sufficienti a
sfamare una popolazione caratterizzata da un alto tasso di accrescimento
naturale.
La
buona qualità dell’abitato non può non aver sorpreso chi ha seguito le
drammatiche scene dei bombardamenti israeliani:
quartieri
borghesi di discreta finitura architettonica, grattacieli stilisticamente
ragionevoli, qualche albergo con piscina in riva al mare, oltre alle molte
viuzze strette e contorte delle parti più vecchie.
Ma
accanto a questo, il regime di Hamas, al potere nel 2007 dopo aver
letteralmente defenestrato (o meglio gettato dai tetti) i funzionari
dell’Autorità palestinese, ha investito e sprecato miliardi di euro nel
costruire fortificazioni sotterranee senza pari al mondo e nell’acquistare e
produrre armamenti da usare contro la popolazione civile israeliana. Le
quantità enormi di acciaio, cemento e acqua potabile impiegate per creare
l’imprendibile città sotterranea avrebbero potuto essere meglio utilizzate nel
creare pieno impiego in progetti di rinnovamento urbano, industrie di consumo,
servizi sociali e infrastrutture.
L’elettricità
e l’acqua sono state fornite per molti anni attraverso le reti israeliane.
Il rettangolo di Gaza, chiuso su due lati dal
confine con Israele e limitato dalla marina militare israeliana sul lato
mediterraneo, avrebbe potuto sviluppare ottime relazioni di vicinato attraverso
il quarto lato del confine con l’Egitto.
Si è preferito invece costruire centinaia di
chilometri di tunnel sotterranei per contrabbandare dall’Egitto armi, munizioni
e supporti logistici (come le Toyota bianche a bordo delle quali i combattenti di
Hamas hanno seminato morte nelle cittadine di frontiera e al festival Nova). Anche l’Egitto, evidentemente,
diffidava dei fratelli musulmani oltre la linea di confine di Rafah.
Il
dossier nucleare dell’Iran, poi, non può essere declassato da minacciosa realtà
ad artificio di strumentalizzazione israeliana. È legittimo discutere su quale
fosse il livello di progresso conseguito nel progetto nucleare iraniano e se
mancassero settimane, mesi o anni al raggiungimento del livello di
arricchimento di uranio necessario a creare una o più bombe atomiche.
Due fatti sono certi: le dichiarazioni della
dirigenza islamica iraniana circa l’inevitabile distruzione di Israele e la
capacità della missilistica balistica iraniana di raggiungere obiettivi in
Israele con sufficiente precisione. Quest’ultimo è forse uno dei dati maggiormente
qualificanti dei dodici giorni di guerra nel giugno 2025. I 28 morti, 3 mila
feriti, 15 mila senza tetto e 35 mila appartamenti distrutti o danneggiati fra
la popolazione civile israeliana sono lontani dalla cifra fra 800 e 4 mila morti
che la protezione civile aveva ipotizzato come verosimili in caso di attacco
missilistico dall’Iran. La contraerea israeliana ha neutralizzato l’86% dei 530
missili e il 99,9% dei 1.100 droni lanciati. Ma in caso di armamento nucleare,
la capacità di intercettare ad alta quota 8 su 9 missili con testata nucleare
sarebbe di scarsa utilità.
Il
discorso critico sulla strategia bellica della Repubblica islamica d'Iran e le
sue prestazioni non può dunque essere ridotto a scusa retorica per
“delegittimare il regime”.
È
necessaria semmai una critica della soppressione in Iran dei diritti civili, lo
schiacciamento della società secolare sotto le tonache di un clero ignorante e
fanatico, la prevaricazione contro la donna e la diversità e la percentuale
alta di risorse nazionali dedicate all’armamento.
È
facile rivolgersi in direzione opposta, inventando l’ipotesi che Israele, con
l’appoggio degli Stati Uniti, stia attuando una pericolosa cospirazione ai
danni della pace in Medioriente, del mondo arabo e dell’umanità in generale.
Oggi esistono numerose e importanti
compartecipazioni economiche che legano l’Iran e i Paesi della penisola saudita
a interessi industriali, commerciali, mediatici e accademici in Italia e in
altri Paesi occidentali. In questa ottica, Israele con le sue azioni
infastidisce interessi ben più vasti rispetto alla guerra.
La
critica cessa di essere spassionata e riflette coinvolgimenti organici, oltre
che interessi economici immediati.
In un ambito analitico più teorico, come può
essere quello del sistema mondiale, non è più chiaro in quale senso scorra il
meccanismo della dipendenza di una parte geopolitica nei confronti dell’altra.
Come
parte di una certa immaginaria visione complottista secondo cui Israele tira le
file del malvagio disegno trascinando nel gorgo l’ignaro gigante statunitense,
c’è chi vorrebbe nuove forme di opposizione, contestazione e resistenza, che
dovranno nascere a livello di società o reti transnazionali: pacifiche, non
violente o, anche, violente.
I
riferimenti alla violenza valicano la soglia della dialettica accettabile.
Bisogna stare attenti, qui, a non entrare nel melmoso terreno
dell’antisemitismo.
Oggi
la collettività ebraica ha tre esigenze non negoziabili:
il
diritto alla parità di cittadini;
il diritto alla propria autonoma memoria
storica;
il
diritto alla sovranità statale.
L’antisemitismo,
secondo questo aggiornamento, è la negazione di uno o più di questi tre
fondamentali (per un approfondimento, mi permetto di rimandare al mio Essere ebrei,
oggi, Il Mulino, 2024).
L’omologazione
dell’uso della violenza nei riguardi di Israele è contestuale alla tolleranza
nei confronti di regimi o di personaggi mediorientali che, almeno in teoria,
non sarebbero ammissibili in un ambito occidentale.
Vengono
quindi tollerati, o anche incoraggiati, suprematismi etno- religiosi, il
rifiuto di ogni riferimento transnazionale, la chiusura a ogni tolleranza
multiculturale, la corsa agli armamenti e l’incremento illimitato dei bilanci
militari.
Queste
contraddizioni rivelano vere e proprie devianze rispetto al sistema di valori
democratici conclamato a casa propria e richiedono una spiegazione, che forse
risiede nella frustrazione di fronte a un sistema democratico che, dopo decenni
di promesse a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha fallito nel
mantenerle.
Chi
cessa di credere nel presente e nelle sue promesse tende a rifugiarsi nei sogni
e nelle utopie.
Tradotto in politica, questo meccanismo di
psicologia di massa fa emergere figure carismatiche, populismo e distruzione
degli equilibri democratici sui quali si fondava il sistema.
I canali di comunicazione di massa e le reti
sociali spontanee rafforzano enormemente questi processi trasformativi.
L’analisi
del caso di Gaza, dei palestinesi e di Israele richiede uno sforzo di sobrietà
e autocontrollo, sia in Medioriente sia in Occidente.
Tre questioni inquietanti nell’attuale fase
del discorso in Occidente, strettamente collegate tra di loro, sono:
la
diffusa amnesia sia dei valori morali e civili fondanti, sia delle proprie
identità culturali;
l’allineamento
della sinistra intellettuale e politica su posizioni ideologiche totalmente
opposte alla sua tradizione e raison d’être; l’adesione di molte élite
intellettuali e politiche a posizioni e interessi incompatibili con il loro
ruolo, e il passaggio da creatori a consumatori d’idee.
Da
parte di Israele, storicamente, forme violente di opposizione hanno sempre
generato contro-opposizione armata.
Il
piano di von der Leyen di tassare
le imprese dell'UE sembra
destinato
al fallimento fin dall'inizio.
Politico.eu
– (18 luglio 2025) – Giovanni Faggionato – ci dice:
La
proposta di un'imposta sui ricavi aziendali è stata quasi unanimemente stroncata e sembra improbabile che
ottenga il sostegno necessario.
(Il
presidente tedesco ha visitato già gli stabilimenti di Air Liquide e
ThyssenKrupp).
La
tassa proposta si applicherebbe alle aziende con un fatturato superiore a 100
milioni di euro.
BRUXELLES
―Sembra improbabile che il piano della Commissione europea di imporre una tassa
sulle imprese di medie dimensioni nell'UE veda mai la luce.
I
governi di tutto il continente e il Parlamento europeo, che devono approvare il
piano, sono già in fila per respingerlo.
L'imposta,
annunciata mercoledì dalla “Presidente della Commissione Ursula von der Leyen”
nell'ambito del prossimo bilancio a lungo termine dell'UE, genererebbe 6,8
miliardi di euro all'anno.
L'idea è che rappresenti una nuova fonte di
entrate per finanziare i programmi dell'UE e ripagare i debiti dell'era Covid.
Ma
quando l'inchiostro sulla politica era ancora fresco, la Germania e i Paesi
Bassi sembravano infliggere un colpo fatale.
"Non
si può certo parlare di tassazione delle aziende da parte dell'Unione Europea,
poiché l'Unione Europea non ha alcuna base giuridica per farlo," ha
dichiarato “Merz” durante una conferenza stampa congiunta con il “Primo
Ministro britannico Keir Starmer “a Londra.
"Non
lo faremo".
Il
bello è che Merz e von der Leyen provengono dallo stesso partito
cristiano-democratico tedesco.
Un
portavoce del governo olandese ha dichiarato a POLITICO che "per i Paesi
Bassi, la questione non è in discussione", insistendo sulla necessità che
l'UE riduca il proprio bilancio anziché aumentarlo.
Non
sono solo i paesi del Nord Europa – quelli tradizionalmente contrari a una
maggiore spesa UE – a opporsi.
Un
diplomatico di un paese del Sud meno frugale dal punto di vista fiscale ha
dichiarato a POLITICO che sarebbe "difficile" che il piano
sopravvivesse.
Anche
i membri del Parlamento europeo, che avrebbero dovuto approvare il piano
insieme ai paesi membri, non si sono mostrati impressionati.
La
deputata del Partito Popolare Europeo e vicepresidente della commissione
Bilancio “Monika Hohlmeier” ha affermato che la tassa "è in netto
contrasto con i nostri sforzi per rafforzare la competitività delle aziende
europee, in particolare quelle a media capitalizzazione".
"Sono
proprio queste le aziende che stiamo supportando attivamente attraverso un
consistente “Fondo per la competitività”, volto a stimolare l'innovazione,
incrementare la produttività e rafforzare l'UE come un attraente polo di
investimento globale", ha affermato.
(Monika
Hohlmeier, è deputata del Partito
Popolare Europeo e vicepresidente della Commissione Bilancio) .
Il suo
punto di vista è particolarmente importante perché il PPE di centro-destra è il
partito più numeroso in Parlamento e il gruppo politico più potente a
Bruxelles. Il PPE domina il Collegio dei Commissari e la stessa von der Leyen
ne è membro.
Come
funziona.
La
tassa proposta si applicherebbe alle aziende con un fatturato superiore a 100
milioni di euro e verrebbe pagata, cosa controversa, indipendentemente dal
fatto che l'azienda realizzi o meno un profitto.
La
cifra di 100 milioni di euro di fatturato non è poi così elevata come potrebbe
sembrare: le grandi banche possono incassare anche 500 volte tanto in un anno.
L'imposta
è proposta come una tariffa fissa anziché come percentuale sugli utili.
Le imprese con un fatturato netto compreso tra
100 e 250 milioni di euro pagheranno una tariffa fissa di 100.000 euro, che
salirà a un massimo di 750.000 euro per le imprese con un fatturato superiore a
750 milioni di euro, secondo il testo legislativo pubblicato dalla Commissione.
Ciò
significa che un'impresa con un fatturato annuo di 750 milioni di euro
pagherebbe la stessa cifra di un'impresa con un fatturato annuo di 75 miliardi
di euro.
Si
prevede che l'imposta genererà 6,8 miliardi di euro all'anno, contribuendo in
modo significativo ai quasi 60 miliardi di euro di entrate fiscali dirette
annuali che l'UE spera di ricevere a partire dal 2028.
“Alessandro
Ciriani”, ex ministro del governo italiano di Giorgia Meloni e ora parlamentare
dell'UE per il partito Fratelli d'Italia, ha affermato che la proposta è
"in contrasto con la volontà della maggioranza del Parlamento".
"È
un paradosso evidente parlare di sostegno al nostro settore produttivo e poi
falciarlo con la lama fiscale", ha affermato.
Anche
le aziende lo odiano.
(Ursula
von der Leyen ha fatto della "competitività" il marchio di fabbrica
del suo secondo mandato, e la tassa sulle società è una proposta politica
aggressiva.)
“Markus
J. Beyrer”, direttore generale della lobby imprenditoriale dell'”UE Business Europe”,
ha definito la proposta "totalmente controproducente", mentre “Stefan
Pan”, vicepresidente della Confindustria italiana, ha affermato che la cifra di
100 milioni di euro di fatturato "rischia di ostacolare la crescita delle
aziende innovative".
“Tanja
Gönner,” direttrice generale della Federazione delle industrie tedesche, ha
invitato Berlino ad assumere una posizione ferma contro la proposta, sostenendo
che è "in contrasto con gli obiettivi strategici dell'UE".
Un'idea
"pessima."
L'idea
di tassare il fatturato invece degli utili è "pessima", ha affermato “Zsolt
Darvas”, senior fellow del “think tank Bruegel”.
Un
problema è che colpisce settori con margini di profitto molto diversi.
Un
altro problema è che l'imposta è regressiva, mettendo nello stesso paniere
aziende con condizioni finanziarie diverse.
"Non
è corretto, semplicemente non è giusto", ha detto Darvas.
"Probabilmente è l'opzione
peggiore".
Molti
hanno anche obiettato al fatto che sembra diametralmente opposta all'obiettivo
della competitività industriale.
Von
der Leyen ha fatto della "competitività" il marchio di fabbrica del
suo secondo mandato, e la tassa sulle società è una proposta politica
aggressiva.
Soprattutto
a Berlino.
La
Germania sta attraversando un periodo di stagnazione economica dopo due anni di
recessione.
La stagnazione economica sta costringendo il
governo a riconsiderare completamente la propria politica fiscale nel mezzo di
una guerra commerciale con gli Stati Uniti, mettendo ulteriormente a rischio il
suo modello economico basato sulle esportazioni.
I
funzionari del “Ministero degli Affari economici “avevano già avvertito che la
loro valutazione delle entrate del bilancio dell'UE sarebbe dipesa dal modo in
cui sarebbe stata considerata la competitività dell'economia europea.
Questo
non significa che non ci sia alcuna logica dietro la tassa.
Le aziende, sia europee che di paesi terzi,
beneficiano degli scambi commerciali all'interno dell'Unione e, come ha
affermato il parlamentare francese “Fabien Keller” del “gruppo liberale Renew,”
"ciò è direttamente collegato a un bene
pubblico dell'UE: il mercato unico. Senza l'UE, non ci sarebbe un commercio
senza intoppi nel più grande mercato unico del mondo".
Tuttavia,
data l'opposizione così strenua dei paesi membri e dei legislatori, la tassa
proposta da von der Leyen ha poche speranze di sopravvivere nella sua forma
attuale.
Il
Regno Unito sanziona le spie
russe
legate agli attacchi
di
Mariupol.
Politico.eu
– (18 luglio 2025) - Esther Webber- ci
dice:
I beni
dei soggetti sanzionati saranno congelati e sarà loro vietato viaggiare in Gran
Bretagna.
(La “Marcia
di manifestazione in solidarietà con Mariupol”.)
Una
delle unità autorizzate, l'Unità 26165, ha effettuato ricognizioni online per
aiutare a indirizzare gli attacchi missilistici contro Mariupol nel 2022,
incluso il bombardamento del teatro di Mariupol.
LONDRA
— Il Regno Unito ha imposto una serie di sanzioni contro gli ufficiali
dell'intelligence militare russa coinvolti negli attacchi contro i civili
ucraini e negli attacchi informatici contro la Gran Bretagna.
Il
Ministero degli Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo (FCDO) ha fatto i
nomi di tre unità del servizio di intelligence militare russo GRU e di 18 spie
individuali che, a suo dire, avrebbero agito per conto di Vladimir Putin.
Secondo
l'FCDO, le unità sono state coinvolte nel bombardamento del teatro di Mariupol
nel 2022 e negli sforzi per sostenere la guerra in Ucraina e destabilizzare gli
alleati occidentali.
Il
Regno Unito sta imponendo ulteriori sanzioni contro "African
Initiative", una fabbrica russa di contenuti sui social media accusata di
condurre campagne di disinformazione nell'Africa occidentale e di indebolire le
iniziative di sanità pubblica con teorie del complotto.
I beni
dei soggetti sanzionati saranno congelati e sarà loro vietato viaggiare in Gran
Bretagna.
Il
ministro degli Esteri “David Lammy” ha affermato che ciò avrebbe inviato il
messaggio del Regno Unito:
"Vediamo
cosa stanno cercando di fare nell'ombra e non lo tollereremo".
Una
delle unità autorizzate, l'Unità 26165, ha effettuato ricognizioni online per
aiutare a indirizzare gli attacchi missilistici contro Mariupol nel 2022, tra
cui il bombardamento del teatro di Mariupol.
I
civili avevano usato l'edificio come rifugio e avevano affisso un grande
cartello con la scritta "bambini" in russo davanti al teatro.
Le autorità ucraine stimarono che nell'attacco
siano state uccise 300 persone, mentre l' Associated Press ne ha stimate circa
600.
Si
ritiene che la stessa unità sia responsabile di attacchi informatici di alto
profilo risalenti a un decennio fa, tra cui l'attacco ai dati del Bundestag
tedesco nel 2015, del Comitato Nazionale Democratico (DNC) degli Stati Uniti
nel 2016 e della campagna presidenziale di Emmanuel Macron del 2017.
Secondo
il governo britannico, l'unità 26165 ha inoltre ostacolato l'assistenza estera
all'Ucraina prendendo di mira porti e snodi di trasporto, mentre il governo
francese ha attribuito all'unità la responsabilità degli attacchi informatici
sferrati durante i Giochi olimpici e paralimpici di Parigi del 2024.
Un
altro gruppo, l'Unità 29155, è stato accusato di aver distribuito un malware
wiper noto come "WhisperGate" su più di 70 sistemi governativi
ucraini in vista dell'invasione russa dell'Ucraina.
Le
sanzioni annunciate venerdì erano dirette anche alle spie che avevano infettato
con un malware il telefono di” Yulia Skripal”, figlia dell'ex spia russa “Sergei
Skripal”, cinque anni prima del fallito tentativo di assassinio della coppia
con l'agente nervino “Novichok” a Salisbury, in Inghilterra, nel 2018.
L'FCDO
ha affermato che la Russia ha preso di mira i media, i fornitori di
telecomunicazioni, le istituzioni politiche e le infrastrutture energetiche nel
Regno Unito.
Gli
alleati della NATO hanno rilasciato una dichiarazione di sostegno, affermando:
"Condanniamo fermamente le attività informatiche dannose della Russia, che
costituiscono una minaccia per la sicurezza degli Alleati" e "siamo
solidali" con le azioni del Regno Unito.
Il
governo. Tajani: nessuna ambiguità
davanti
a una minaccia nucleare.
Avvenire.it
- Pino Ciociola – (sabato 14 giugno 2025) – ci dice:
«Siamo
in prima linea per favorire la de-escalation tra Israele e Iran, è fondamentale
non recidere il filo del dialogo», ha detto il ministro degli Esteri.
«Per Tel Aviv è in gioco la sopravvivenza».
Detto
dal ministro “Antonio Tajani).
Nottata
di attacchi e contrattacchi.
Poi,
stamane, la notizia: la guerra «durerà giorni, se non settimane», ha detto ad
Antonio Tajani, il ministro degli Esteri d’Israele,” Gden Sa’ar”, come riferito
poco fa dallo stesso ministro italiano alle Commissioni parlamentari Esteri
congiunte.
Mentre
agenzie stampa e media iraniani facevano sapere che «useremo 2mila missili
contro Israele», che «secondo alti comandanti militari dell'Iran, la guerra si
estenderà nei prossimi giorni e includerà anche basi Usa nella regione.
Gli
aggressori saranno l'obiettivo di una risposta iraniana decisa e su vasta
scala».
Scenario
più che drammatico, insomma.
Il
nostro ministro degli Esteri lo sa e sa anche – spiega – come «sapevamo che
l'attacco israeliano fosse imminente, ma non immediato.
Nessuno
in Europa, né gli Usa, era stato informato preventivamente». Premesso questo, «di fronte a una
minaccia nucleare, non può esservi alcuna ambiguità – continua Tajani -: l'Iran
non può dotarsi della bomba atomica», così «ho ribadito il diritto di Israele a
garantire la propria sopravvivenza tutelandosi da un possibile attacco
nucleare».
E il ministro aggiunge che «secondo l’intelligence
israeliana, l’Iran in meno di sei mesi avrebbe avuto dieci bombe atomiche».
Sottolineando poi «la violazione dell’Iran
degli obblighi sul nucleare».
E
tuttavia il «dialogo con Teheran è franco e aperto».
I
venti di guerra però si stanno facendo tempesta:
«Il
governo italiano – dice il ministro - è in prima linea per favorire la
de-escalation, l'ho detto anche a Israele e Iran, basta.
Ora
più che mai è fondamentale non recidere il filo del dialogo».
Morale?
«Il governo sostiene pienamente i negoziati
tra Stati Uniti e Iran per un accordo sul programma nucleare iraniano» e
«l’obiettivo prioritario continua ad essere una soluzione diplomatica della
crisi» e «invitiamo Teheran a seguire la via della diplomazia».
Infine,
i nostri connazionali.
«Attualmente
si trovano circa 50.000 italiani in tutta la regione mediorientale.
La presenza più significativa è in Israele,
con circa 20.000 connazionali, mentre sono circa 500 quelli residenti in Iran.
Al
momento non ci sono state segnalate situazioni critiche», spiega Tajani in
audizione alle “Commissioni riunite Esteri di Camera e Senato”. «A questi si aggiungono i nostri
militari presenti nell'area, dall'Iraq al Libano, dal Golfo al Sinai, che
seguiamo insieme al ministero della Difesa».
Le
nostre ambasciate «sono in contatto con tutti i connazionali che hanno chiesto
informazioni per rientrare in Italia.
Stanno tutti bene e stanno ricevendo uno ad
uno ogni possibile assistenza, tenendo conto dell'interruzione del traffico
areo nella regione».
E in
particolare, «un gruppo di 36 pellegrini della Cei, presente a Gerusalemme, è
stato assistito dal nostro Consolato generale ed è riuscito a raggiungere la
Giordania».
Rassicurazioni
che non bastano alle opposizioni, attente a rilevare l’ambiguità sostanziale
della posizione espressa da Tajani:
«O si
pensa che l'attacco israeliano sia del tutto legittimo e allora bisogna avere
il coraggio di dire che Netanyahu ha fatto bene, oppure si pensa che bisogna
frenare la escalation - osserva la leader dem Elly Schlein -.
L'attacco
militare non è la via per perseguire gli obiettivi che tutti condividiamo,
ovvero lo stop al nucleare iraniano e su questo vorremmo chiarezza».
Angelo
Bonelli parla di una posizione «disorientante e preoccupante», che si limita a
una «presa d'atto notarile» e segna la «subordinazione alle azioni di
Netanyahu».
Ancor
più duro l’affondo di Giuseppe Conte, che chiama in causa la responsabilità
diretta di Palazzo Chigi nel conflitto:
«Tajani
diceva che Israele non avrebbe attaccato l'Iran. Poche ore dopo Israele attacca
l'Iran.
Meloni
e Tajani coprono e giustificano l'attacco di Netanyahu che butta benzina sul
fuoco in Medioriente e poi ci raccontano che sono a lavoro per una
de-escalation, per fermare la guerra in cui ci sta precipitando un Governo
criminale che sta compiendo un genocidio a Gaza».
“
Matteo Richetti” di “Azione” parla di «un intervento da analista», che avrebbe
bisogno di «maggiore chiarezza» sulla posizione dell'Italia, mentre “Matteo
Renzi” si chiama fuori dalle polemiche bacchettando un po’ tutti per la
superficialità espressa nelle valutazioni sul conflitto:
«È molto difficile offrire un punto di vista
serio e approfondito quando siamo al secondo giorno di guerra.
Leggo
tante banalità, frasi fatte, slogan.
E la
politica estera è per definizione una cosa complessa, non un argomento da
populisti».
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