Si preparano il terreno per una guerra nucleare.

 

Si preparano il terreno per una guerra nucleare.

 

 

Bilancio Ue a 2mila miliardi,

tra le risorse una tassa sulle

 grandi imprese. Ma il

Parlamento: «Insufficiente».

 msn.com -corriere della sera - Storia di Redazione Economia – (17-07 – 2025) - ci dice:

 

 

Bilancio Ue a 2mila miliardi, tra le risorse una tassa sulle grandi imprese. Ma il Parlamento: «Insufficiente»

L'Unione Europea ha presentato la sua proposta di bilancio per il periodo

2028-2034, che ammonta a 2.000 miliardi di euro, un aumento significativo rispetto al periodo precedente, spiega il Commissario europeo per il Bilancio, Piotr Serafin.

 In particolare ha sottolineato che si tratta di un «bilancio ambizioso».

Il bilancio precedente, dal 2021 al 2027, ammontava a 1.200 miliardi di euro, ma è stato integrato da un piano di ripresa da 800 miliardi di euro durante la crisi del Covid.

Si tratta di un aumento significativo, con risorse aggiuntive per la competitività e la difesa, mentre inizia una tesa contrapposizione sul futuro della Politica agricola comune.

 

Si tratta del «bilancio europeo più ambizioso mai proposto», ha sottolineato la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

 Nel dettaglio, in questo nuovo bilancio, la Commissione dà chiaramente priorità alla competitività, con 451 miliardi di euro, confermando la svolta pro-imprese dell'Ue nel contesto delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti di Donald Trump.

Tre anni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, l'esecutivo sottolinea anche il suo impegno per la difesa e promette ulteriori 100 miliardi di euro a sostegno di Kiev dal 2028 al 2034.

«Il nostro bilancio contribuirà a costruire un'Unione che protegge.

Proponiamo 131 miliardi di euro per la difesa e lo spazio, nell'ambito del Fondo per la competitività.

 5 volte quello che abbiamo oggi - annuncia via social von der Leyen - Questo rafforzerà la nostra base industriale e le nostre capacità».

Inoltre 300 miliardi di euro saranno stanziati per i redditi degli agricoltori dal 2028 al 2034, a fronte delle preoccupazioni del settore riguardo alla nuova formula della Politica Agricola Comune (Pac).

 

La Commissione europea propone anche cinque nuove fonti di entrate per un totale di 58,2 miliardi di euro.

Questo, secondo Bruxelles, creerà i mezzi per finanziare le priorità Ue, rimborsando al contempo i prestiti contratti dall'Ue nell'ambito di “Next Generation Eu” e limitando i contributi nazionali al bilancio dell'Ue.

A tal fine, la Commissione presenta cinque nuove risorse proprie.

 La prima è il sistema di scambio di quote di emissioni dell'Ue (Ets), dove un adeguamento mirato delle entrate generate dall'”Ets1” al bilancio dell'Ue si prevede che genererà circa 9,6 miliardi di euro all'anno, in media.

 

La seconda è il Meccanismo di aggiustamento alle frontiere del carbonio (Cbam), dove l'aggiustamento mirato delle entrate generate dal Cbam andrà al bilancio dell'Ue e si prevede che genererà circa 1,4 miliardi di euro all'anno.

La terza è una risorsa propria basata sui rifiuti elettronici non raccolti attraverso l'applicazione di un'aliquota uniforme al peso dei rifiuti elettronici non raccolti: si prevede che genererà circa 15 miliardi di euro all'anno, in media.

La quarta è una risorsa propria per le accise sul tabacco, basata sull'applicazione di un'aliquota sull'aliquota minima di accisa specifica degli Stati membri applicata ai prodotti del tabacco.

Da qui si calcola che possano arrivare circa 11,2 miliardi di euro all'anno, in media. Infine, una risorsa aziendale per l'Europa (Core), pari a un contributo forfettario annuale da parte di aziende, diverse dalle piccole e medie imprese, che operano e vendono nell'Ue con un fatturato netto annuo di almeno 100 milioni di euro.

Da qui Bruxelles spera di ricavare circa 6,8 miliardi di euro all'anno, in media.

 

Il nuovo Bilancio Ue prevede anche fondi triplicati per la gestione della sicurezza delle frontiere.

Gli Stati membri riceveranno il sostegno dell'Unione per rispondere rapidamente ed efficacemente agli sviluppi sul terreno.

 I fondi, inoltre, aiuteranno a potenziare le capacità di contrasto online e offline, a dotare le nostre guardie di frontiera degli strumenti adeguati per proteggere le frontiere esterne e ad attuare un sistema di gestione della migrazione equo e rigoroso. 

 

«Per la prima volta, il bilancio dell'Ue sosterrà la possibilità per gli Stati membri di investire di più negli obiettivi dell'Ue con prestiti fino a 150 miliardi di euro.

 Lo chiameremo “Catalyst Europe”.

 I prestiti sono garantiti dal bilancio dell'UE e mirano a priorità europee comuni.

 È possibile investire, ad esempio nell'industria della difesa, nelle infrastrutture energetiche o nelle tecnologie strategiche.

“ Catalyst Europe” fornirà agli Stati membri ulteriori mezzi per investire negli obiettivi europei», spiega ancora la presidente von der Leyen.

 

«I 410 miliardi previsti dal Fondo competitività sono soldi veri che possono essere usati con strumenti diversi.

 Il miglior strumento per moltiplicare» questi fondi «è la garanzia: ogni euro investito può diventare 20» e dunque «questo permetterà di moltiplicare gli investimenti», aggiunge il vice presidente esecutivo della Commissione europea per l'Industria,” Stéphane Sejourne”, rispondendo a chi gli chiedeva se le risorse previste siano sufficienti in relazione ai target fissati nel report Draghi.

Su quegli obiettivi, ha assicurato, l'Europa è «impegnata».

 

Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa accoglie «con favore la presentazione della proposta sul bilancio a lungo termine dell'Ue da parte

della Commissione europea, un passo che consentirà al Consiglio di iniziare a lavorare».

 «Un bilancio - scrive il portoghese su X - non è solo una questione di numeri:

 è la decisione politica definitiva, una scelta sul nostro futuro, e dobbiamo affrontare questo dibattito con mente aperta e spirito di responsabilità collettiva». «L'Ue deve essere in grado di realizzare i suoi obiettivi a lungo termine, pur rimanendo flessibile per affrontare le sfide attuali e future».

 

Non mancano subito i distinguo.

 «L'Ue è importante per la nostra prosperità, ma il bilancio proposto è troppo elevato.

Abbiamo bisogno di un bilancio più moderno, in cui i fondi disponibili siano utilizzati in modo più intelligente ed efficiente.

Ad esempio, puntando su competitività, innovazione e sicurezza», attacca il ministro delle Finanze olandese “Eelco Heinen”.

«Ciò richiede scelte difficili.

Il contributo finanziario dei Paesi Bassi all'UE è già significativo.

Vogliamo quindi vedere un miglioramento della nostra posizione di pagamento netto.

 A livello internazionale, i livelli di debito stanno aumentando quando dovrebbero diminuire, quindi gli Stati membri dovranno fare scelte difficili anche a livello nazionale.

Per quanto riguarda i Paesi Bassi, non sono quindi sul tavolo nuovi strumenti per il debito comune», aggiunge.

 

La proposta avanzata dalla Commissione europea è «semplicemente insufficiente».

È quanto si legge in una nota del Parlamento europeo, che riprende le dichiarazioni dei relatori per il prossimo bilancio europeo all'eurocamera, “Siegfried Muresan” (Ppe) e “Carla Tavares” (S&d).

«Con un bilancio pari solo all'1,26% del reddito nazionale lordo (Rnl), che include lo 0,11% destinato ai rimborsi del debito “Next Generation Eu”, e tenendo conto dell'inflazione, l'Ue resterà al palo», affermano i relatori del Parlamento europeo.

Secondo i deputati, la proposta di bilancio non lascia fondi sufficienti per le priorità più importanti, tra cui competitività, coesione, agricoltura, difesa, adattamento climatico e investimenti per un'economia sostenibile e inclusiva.

 «Il punto di partenza della proposta dimostra una sorprendente mancanza di ambizione», continua la nota dell'Eurocamera.

 

Gli eurodeputati si dicono preoccupati per le proposte che potrebbero indebolire le autorità regionali e locali nella gestione dei fondi, contrapponendo agricoltori alle regioni o regioni ai governi nazionali, nonché sulle proposte che marginalizzerebbero il ruolo del Parlamento europeo come co-legislatore con competenze sia di bilancio che di controllo.

 «Il Parlamento è pronto a utilizzare appieno tutti i suoi poteri per garantire che il prossimo bilancio a lungo termine sia all'altezza delle ambizioni e delle sfide dell'Unione, e che sia soggetto a pieno controllo democratico.

 Il Parlamento è pronto a impegnarsi in modo costruttivo ma anche determinato», concludono i relatori.

 «Ora capiamo la segretezza: da dietro il fumo della semplificazione emerge un mostro per inghiottire la politica di coesione e spezzarne la spina dorsale nazionalizzandola e centralizzandola», scrive su “X” la presidente del Comitato delle regioni europee, “Kata Tutto”.

 

 

 

 

Minacciare i russi con un ultimatum

si ritorcerà contro di loro e

preparerà il terreno per

una guerra nucleare.

Shtfplan.com - Michael Snyder – (15 luglio 2025) – ci dice:

(blog The Economic Collapse).

Quindi è così che finisce tutto?

 Non so nemmeno come descrivere le emozioni che sto provando in questo momento.

Qualche mese fa c'era tanta speranza che ci sarebbe stata la pace, ma entrambe le parti sembrano completamente disinteressate a scendere a compromessi sostanziali a questo punto.

Anzi, entrambe le parti sono pronte a intensificare drasticamente la guerra.

 

Se continuiamo su questa strada, non finirà bene.

Per decenni, i nostri leader hanno condotto simulazioni di guerra in cui un conflitto in Ucraina avrebbe portato a una guerra nucleare.

Ora, un conflitto in Ucraina potrebbe portare a una guerra nucleare vera e propria.

Mi sento come se stessi assistendo a un incidente ferroviario al rallentatore, senza alcuna possibilità di fermarlo.

 È davvero una sensazione disgustosa.

 

Abbiamo una finestra di opportunità molto limitata per fare la pace con i russi e la stiamo sprecando completamente.

A febbraio ho espressamente avvertito il presidente Trump che non avrebbe dovuto ricorrere alle minacce nei confronti dei russi in merito alla guerra in Ucraina, perché ciò si sarebbe ritorto contro di lui in modo molto duro.

 

Quando mi sono svegliato oggi, ho scoperto che è esattamente ciò che Trump ha deciso di fare.

Trump ha lanciato un ultimatum davvero inquietante.

Se la Russia non porrà fine alla guerra in Ucraina entro 50 giorni, gli Stati Uniti imporranno "dazi molto severi" a tutte le nazioni che intrattengono rapporti commerciali con la Russia.

Inoltre, Trump ha approvato un massiccio nuovo pacchetto di armi per l'Ucraina...

Il 14 luglio Trump ha annunciato che gli Stati Uniti invieranno armi alla NATO, la quale prevede di trasferire le attrezzature all'Ucraina, e ha anche minacciato dazi elevati volti a compromettere la capacità della Russia di finanziare la guerra.

Trump ha affermato che gli Stati Uniti imporranno dazi secondari sui paesi che fanno affari con la Russia se non verrà raggiunto un accordo di pace entro 50 giorni.

"Se non raggiungeremo un accordo entro 50 giorni, applicheremo dazi molto severi", ha affermato Trump.

 

La scadenza fissata da Trump cade a settembre, cosa che ho trovato molto interessante.

Se la Russia non porrà fine alla guerra in Ucraina entro la scadenza, cosa molto improbabile, Trump afferma che tutti i paesi che fanno affari con la Russia saranno colpiti da dazi del 100 percento ...

 

"Se non raggiungiamo un accordo entro 50 giorni, applicheremo tariffe secondarie. È molto semplice", ha detto Trump nello Studio Ovale, insieme al Segretario Generale della NATO Mark Rutte. "E saranno al 100%".

"Siamo molto scontenti della Russia", ha spiegato il presidente.

La Cina fa moltissimi affari con la Russia.

Vogliamo colpire i cinesi con dazi del 100%?

Ciò non sarebbe affatto positivo per la nostra economia.

 

Ma, cosa ancora più importante, l'enorme nuovo pacchetto di armi che Trump sta inviando all'Ucraina intensificherà notevolmente il conflitto.

Si vocifera che gli Stati Uniti venderanno armi per un valore di circa 10 miliardi di dollari ai paesi europei, i quali a loro volta distribuiranno tali armi all'Ucraina.

Secondo il Segretario generale della NATO Mark Rutte, le nazioni di tutta Europa sono molto ansiose di partecipare alla “prima ondata”  di questo programma…

 

Rutte, che ha affermato che la decisione è stata presa sulla base dello "straordinario successo" del vertice NATO del mese scorso, quando quasi tutte le nazioni dell'alleanza hanno concordato di aumentare la spesa per la difesa fino a raggiungere il 5% del PIL nazionale, ha definito la mossa "logica".

 

"Si tratta di nuovo di nazioni europee che si fanno avanti", ha aggiunto Rutte.

"Sono stato in contatto con molti paesi, posso dirvi che in questo momento la Germania, in massa, ma anche Finlandia, Danimarca, Svezia e Norvegia, abbiamo il Regno dei Paesi Bassi, il Canada: tutti vogliono farne parte.

 

"E questa è solo la prima ondata. Ce ne saranno altre", ha confermato Rutte.

"Quindi quello che faremo sarà lavorare attraverso i sistemi NATO per assicurarci di sapere di cosa hanno bisogno gli ucraini".

Questo non porrà fine alla guerra.

 

Non farà altro che peggiorare ulteriormente la situazione.

A quanto pare, questo nuovo aiuto all'Ucraina comprenderà probabilmente missili a lungo raggio in grado di colpire obiettivi situati in profondità nel territorio russo ...

Ora, due fonti hanno riferito ad “Axios” che è probabile che un nuovo pacchetto di armi includa missili a lungo raggio in grado di attaccare le profondità della Russia, inclusa Mosca.

Hanno osservato che non è stata ancora presa una decisione definitiva.  "Trump è davvero incazzato con Putin.

 Il suo annuncio di domani sarà molto aggressivo",  ha detto ad Axios il senatore guerrafondaio della Carolina del Sud “Lindsey.” 

Alla fine del 2024, l'amministrazione Biden ci ha portato sull'orlo di una guerra nucleare, consentendo agli ucraini di lanciare missili a lungo raggio forniti dagli Stati Uniti in profondità nel territorio russo.

Adesso lo faremo di nuovo?

Siamo pazzi?

 

Sembra proprio che il presidente ucraino” Volodymyr Zelensky”  non veda l'ora di mettere le mani sui missili a lungo raggio in arrivo...

Le forze ucraine continueranno a prendere di mira le truppe russe e a fare tutto il possibile per portare la guerra sul territorio russo, compresa la preparazione di nuovi attacchi a lungo raggio, ha affermato il presidente ucraino “Volodymyr Zelenskyy”.

 

"Le nostre unità continueranno a distruggere il nemico e faranno tutto il possibile per portare la guerra in territorio russo.

 Stiamo preparando i nostri nuovi attacchi a lungo raggio", ha detto Zelenskyy.

Secondo un decorato comandante dell'esercito britannico di nome “Hamish de Bretton-Gordon”, il piano prevede che l'Ucraina riceva missili a lungo raggio in grado di  "colpire Mosca" ...

 

Il signor de Bretton-Gordon ha dichiarato al The Sun: "Queste armi possono colpire Mosca, a oltre 640 chilometri dal confine. Questo permette agli ucraini di colpire fabbriche di droni, siti di produzione di munizioni e altri.

"Quindi ciò avrà effetti sia psicologici che fisici.

"La gente di Mosca si renderà conto che potenzialmente potrebbe essere presa di mira.

"E se a tutto questo si aggiungono i bombardamenti americani su siti iraniani che si supponeva fossero inespugnabili, si dimostra che la tecnologia missilistica e dei droni americana è decisamente superiore al sistema di difesa aerea russo."

 

Vorrei farti una domanda.

Se un altro Paese lanciasse missili a lungo raggio su Washington DC e New York City, cosa faremmo?

La risposta a questa domanda è ovvia.

Se i missili a lungo raggio forniti dagli Stati Uniti cominciassero a colpire Mosca, i russi risponderebbero con molta forza.

In effetti, “Hamish de Bretton-Gordon” ha ammesso apertamente  che i russi hanno già preso in seria considerazione l'uso di armi nucleari...

 

In un editoriale del Telegraph, l'ex colonnello ed esperto di armi di distruzione di massa ha affermato:

"Il fatto che Putin e i suoi gangster abbiano minacciato un attacco nucleare ininterrottamente dall'inizio della guerra in Ucraina suggerisce che ci stanno riflettendo nei dettagli".

L'ex colonnello ha espresso preoccupazione per il prolungato conflitto in Ucraina, affermando:

 "Dato che tre giorni sono diventati più di tre anni, potrebbero pensare di poter finire l'Ucraina rapidamente con armi nucleari tattiche e noi non reagiremmo".

Stiamo giocando col fuoco.

 

Nel frattempo, il governo delle Filippine sta segretamente coordinandosi con Taiwan in previsione di una guerra imminente con la Cina…

 

Secondo funzionari governativi, analisti della difesa e diplomatici presenti in loco, di fronte alla crescente invasione cinese in mare, le Filippine vedono sempre più la propria sicurezza nazionale interconnessa con quella di Taiwan e stanno gradualmente intensificando il coinvolgimento formale e informale con l'isola autonoma, anche in materia di sicurezza.

 

Ciò segna un netto distacco dall'approccio conservatore di Manila nei confronti di Taiwan e potrebbe aprire la strada a un ruolo più importante per le Filippine, alleate con gli Stati Uniti, se la Cina dovesse dare seguito alle sue minacce di invadere Taiwan.

"Qualsiasi proiezione di forza della Cina nella nostra area è motivo di estrema preoccupazione", ha affermato giovedì in un'intervista il Segretario alla Difesa filippino “Gilbert Teodoro”.

 

E ci viene detto che Israele si sta preparando per il prossimo attacco all'Iran...

- In un recente incontro con il Primo Ministro Netanyahu, il Presidente Trump, pur preferendo una soluzione diplomatica, non ha sollevato obiezioni alla disponibilità di Israele a lanciare ulteriori attacchi.

-Questa posizione giunge mentre l'intelligence israeliana ritiene che l'Iran potrebbe ancora recuperare una quantità significativa di uranio di qualità simile a quella di una bomba dal sito danneggiato di Isfahan.

-La situazione ha creato una situazione di stallo ad alto rischio, con Washington che sfrutta la minaccia di futuri attacchi per spingere Teheran verso un accordo, mentre Israele, non convinto, si prepara ad agire da solo se necessario.

 

Nel mio nuovo libro intitolato  "10 eventi profetici che arriveranno" , metto in guardia specificamente contro la guerra con la Russia, la guerra con la Cina e la guerra in Medio Oriente.

E ho più volte lanciato l'allarme nei miei articoli riguardo a queste guerre.

Ma a volte mi sento come se stessi sbattendo la testa contro un muro, perché la maggior parte delle persone sembra non capirlo.

Questo non è un gioco.

Le decisioni che vengono prese in questo momento modificheranno radicalmente il corso della storia umana e centinaia di milioni di vite sono in bilico.

(Il nuovo libro di “Michael” intitolato  "10 eventi profetici che arriveranno"  è disponibile  in versione tascabile  e  per Kindle  su Amazon.com, ed è possibile abbonarsi alla sua newsletter Substack su  michaeltsnyder.substack.com .)

 

 

 

 

Trump promette di “bombardare

Mosca e Pechino fino al collo.”

Shtflan.com - G. Calder – (16 luglio 2025) – ci dice:

 

(G. Calder su The Exposé.)

È emersa una registrazione in cui Donald Trump afferma di aver minacciato Russia e Cina di intervenire militarmente.

L'audio, che a quanto pare riprende Trump mentre dice ai donatori di aver avvertito i principali leader mondiali delle conseguenze che avrebbero dovuto affrontare se avessero oltrepassato i confini geopolitici, sta ora circolando in tutto il mondo.

Tra le speculazioni sulla sua autenticità, è impossibile ignorare le implicazioni pubbliche e diplomatiche di tale registrazione.

Si tratta solo di un altro estratto della solita spavalderia di Trump o del preludio a un ulteriore conflitto globale?

 

Cosa ha detto Trump.

 

Pubblicato dalla CNN e citato in una prossima pubblicazione dai giornalisti del Washington Post, si può sentire Trump fare minacce esplicite:

 

Con Putin, ho detto: "Se vai in Ucraina, bombarderò Mosca a tappeto. Ti dico che non ho scelta".

 E lui ha risposto "Non ti credo".

Lui ha detto "Assolutamente no" e io ho risposto "Certo".

Mi ha creduto al 10%. Te l'avevo detto, mi ha creduto al 10%.

 

Poi sono con il presidente cinese “Xi”.

Ho detto loro la stessa cosa, ho detto "se andate a Taiwan, bombarderò Pechino a tappeto".

Lui pensava fossi pazzo e ha detto: "Pechino?! Bombarderete...". Io ho detto: "Non ho scelta. Devo bombardarvi".

Nemmeno lui mi ha creduto, ha detto il 10%. E il 10% è tutto ciò di cui hai bisogno. In realtà anche il 5% sarebbe andato bene.

Questi commenti sono stati rilasciati durante un evento privato nel 2024, davanti a una sala piena di donatori della campagna elettorale, e apparentemente non intendevano essere dichiarazioni diplomatiche ufficiali.

 Quindi, sebbene non rappresentino una garanzia presidenziale di un futuro conflitto, potrebbero essere una finestra sulla mente dell'uomo più potente del mondo.

È reale?

L'esistenza della registrazione è stata confermata dalla CNN e i giornalisti che l'hanno acquisita affermano che è stata esaminata e successivamente verificata. Nonostante gli ovvi dubbi sul potenziamento dell'intelligenza artificiale, sembra autentica alla stampa.

Ma il Cremlino non ne è così sicuro, con il portavoce “Dmitry Peskov” che ha dichiarato ai giornalisti che " non è chiaro se il rapporto sia falso " e che la Cina non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche.

 

Se fossero vere, queste citazioni costituirebbero alcune delle minacce di politica estera più aggressive e dirette mai formulate da un presidente degli Stati Uniti, anche in privato.

 Considerando che queste affermazioni sarebbero state rivolte a donatori politici, piuttosto che a leader stranieri o funzionari militari, si aggiunge un ulteriore strato di controversia.

 

Imprudenza o dottrina?

Nel corso della sua carriera politica, Trump ha sempre adottato una strategia di imprevedibilità.

Alcuni direbbero che queste minacciose dichiarazioni rafforzano quella che sta diventando nota come la dottrina della deterrenza di Trump: cruda, drammatica e a volte teatrale:

I sostenitori sostengono che i commenti registrati mostrano forza e scoraggiano ulteriori conflitti.

I critici affermano che sono sconsiderati, poco diplomatici e rischiano un'escalation inutile con i leader stranieri.

Che si tratti di intuizioni politiche vere e proprie o semplicemente di retorica improvvisata e segretamente catturata in un evento altrimenti privato, queste dichiarazioni si sono ormai diffuse in tutto il mondo.

 

Rischio strategico e crescente instabilità.

La fuga di notizie avviene in un momento geopolitico fragile. Oltre al recente coinvolgimento degli Stati Uniti in Israele, Iran e altrove, dobbiamo ricordare che ci sono altre situazioni in corso:

 

La guerra tra Russia e Ucraina continua senza una soluzione apparente in vista.

La pressione della Cina su Taiwan continua ad aumentare, dopo aver già suscitato severi avvertimenti da parte dei funzionari della difesa degli Stati Uniti.

Sebbene non siano state fornite risposte dirette da Pechino o Mosca, queste recenti rivelazioni – e il modo in cui potrebbero essere interpretate dalle varie potenze – potrebbero ancora alimentare sospetti o atteggiamenti strategici.

 

Echi dei presidenti del passato: Nixon, Reagan e l'arte della minaccia.

L'approccio distintivo di Trump non è una novità.

Oggi viene criticato per quello che alcuni ritengono un atteggiamento mai visto prima in posizioni di potere, ma un paio di decenni fa avevamo assistito a comportamenti simili:

 

Nel 1984, Reagan scherzò dicendo che gli Stati Uniti "avrebbero iniziato a bombardare la Russia tra cinque minuti" in un commento fuori microfono che fu poi trapelato.

 L'Unione Sovietica definì la dichiarazione "senza precedenti ostili", prova dell'insincerità degli Stati Uniti nel tentativo di migliorare le relazioni tra i due Paesi e un abuso della carica di presidente.

 

Nixon perseguì una "strategia del pazzo", mirata a far credere agli avversari di essere abbastanza irrazionale da usare armi nucleari, dissuadendo così i leader delle nazioni ostili dal provocare gli Stati Uniti.

L'idea era quella di creare un vantaggio psicologico nelle relazioni internazionali, poiché gli avversari sarebbero stati più cauti nei rapporti con un leader percepito come instabile.

Tuttavia, la sua efficacia è stata dibattuta, con i critici che sostengono che in realtà abbia aumentato le tensioni e portato a conseguenze indesiderate, minando gli sforzi diplomatici.

Sebbene possa aver avuto un certo successo nell'influenzare la percezione sovietica, non fu d'aiuto in Vietnam e potrebbe invece aver garantito la risolutezza del Vietnam del Nord nella risposta alle minacce di Nixon.

Pensiero finale.

Che le parole di Trump fossero un atteggiamento o una politica, le implicazioni potrebbero comunque avere gravi conseguenze.

 Come abbiamo visto in precedenti esempi presidenziali, ci sono diversi modi in cui commenti come questi possono essere interpretati e attuati.

Tuttavia, nell'era odierna, in cui le azioni sono guidate dalla percezione, è possibile che dichiarazioni così audaci possano intensificare le stesse minacce che mirano a scoraggiare.

 

 

 

 

I dazi a Trump stanno facendo

incassare un mucchio di soldi.

Investireoggi.it - Giuseppe Timpone – (16 – 7 – 2025) – ci dice:

 

Gli incassi derivanti dai dazi stanno diventando una principale voce di entrata per il bilancio americano. E Trump (per ora) sorride.

Incassi dai dazi sopra 100 miliardi in 6 mesi

C’è tempo fino al 31 luglio per evitare che sulle esportazioni negli Stati Uniti le imprese dell’Unione Europea vengano stangate al 30%.

E il fatto che ad oggi i dazi non abbiano fatto così male all’economia americana, mentre stanno aumentando gli incassi, non depone granché a favore del buon esito del negoziato.

L’inflazione di giugno è sì salita al 2,7% dal 2,4% di maggio, ma senza scatenare grossi timori sul rialzo dei prezzi al consumo.

Probabile che i consumatori americani pagheranno lo scotto nella seconda metà dell’anno, mentre per il momento prevale una narrazione del governo rassicurante.

 

Entrate annuali sopra 300 miliardi.

Nei primi sei mesi dell’anno, i dazi hanno esitato incassi per il bilancio federale di 127 miliardi di dollari, sostanzialmente raddoppiando rispetto al primo semestre del 2024.

Nel solo mese di giugno sono saliti a 27 miliardi, registrando un balzo annuo del 301%.

A gennaio, ultimo mese sotto l’amministrazione Trump, si erano fermati a 7,9 miliardi.

 

Ad aprile, quando vi fu annunciato il “liberation day”, salivano già a 16,3 miliardi. Per Peter Navarro, consigliere per il commercio del governo, potranno attestarsi sopra i 300 miliardi nell’intero 2025.

 

Considerate che in tutto il 2024 gli incassi dai dazi furono 77 miliardi (aliquota media del 2,3%).

Se le previsioni di Navarro si rivelassero corrette, quadruplicherebbero.

E già sono diventati la quarta fonte di entrata per il bilancio federale.

La “guerra” commerciale serve senza dubbio a colpire le importazioni e a sostenere la ripresa della competitività per le imprese americane.

 Ad ogni modo, per Trump sono diventati uno strumento per fare cassa.

 E con un bilancio che genera ogni anno 2.000 miliardi di deficit, tutto fa brodo.

Profitti a rischio e inflazione in crescita.

Certo, non saranno gli oltre 200 miliardi o più di maggiori incassi dai dazi a risanare i conti pubblici americani.

Anche se la cifra assoluta sembra enorme, in relazione al Pil vale non più dello 0,75%. Resta il fatto che le entrate aumentino.

 A giugno, il bilancio ha registrato un inatteso avanzo di 27 miliardi, il primo dal 2017 (anche allora al primo anno di amministrazione Trump) e per coincidenza uguale alle entrate doganali.

 

Il rovescio della medaglia sta nell’impatto che questo apparente beneficio avrà sui bilanci familiari.

I maggiori incassi dai dazi si traducono in aumenti dei prezzi al consumo.

 Le imprese scaricheranno prima o poi i rincari sui clienti, anche se in parte potranno assorbirli per non cedere alla concorrenza quote di mercato.

Dovremmo aspettarci, dunque, un mix tra accelerazione dell’inflazione e calo dei profitti.

Questo secondo aspetto non è scontato nelle quotazioni azionarie, salite ai nuovi massimi storici a Wall Street.

 

Incassi sui dazi aumento delle tasse mascherato.

L’amministrazione Trump ha appena approvato la conferma dei tagli alle imposte varati durante il primo mandato.

Non intende risanare il deficit aumentando la pressione fiscale, perlomeno non esplicitamente.

La realtà è che i maggiori incassi dai dazi sono una forma mascherata di aumento delle tasse.

Paradossalmente, il beneficio per Trump svanirebbe se si concretizzasse la sua previsione sulla sostituzione delle importazioni con produzioni nazionali.

 

Le tariffe insisterebbero su merci sempre meno vendute, riducendo le entrate. Certo, in compenso aumenterebbero le entrate fiscali legate alla maggiore offerta domestica.

 Staremo a vedere.

 Finora Trump non ha pagato dazio.

(giuseppe.timpone@investireoggi.it).

 

 

 

 

Verso il Mondo Post-Occidentale.

 

 Conoscenzealconfine.it – (15 Luglio 2025) - Vincenzo Costa – ci dice:

 

Molti temono, e anche io ho temuto per un lungo periodo, un conflitto globale. Ma credo adesso che questo non sia probabile, anche se ovviamente resta possibile.

La Russia non cercherà escalation, cioè non cercherà di allargare il conflitto. Risponderà colpo su colpo, ma mantenendo basso il profilo.

 E la Cina non forzerà sulla questione di Taiwan.

Manterrà la giusta pressione, ma non procederà a operazioni militari.

Perché non lo faranno?

 Perché è oramai evidente che l’Occidente collettivo è entrato in una fase critica. Critica è quella fase in cui qualsiasi cosa tu faccia, ogni azione per risolvere le criticità interne produce più problemi di quelli che risolve.

 In maniera molto breve e poco argomentata:

 

1. Cina, Russia e molti altri paesi stanno oramai procedendo, coi tempi necessari, a una situazione di “disaccoppiamento”.

Per i paesi dei BRICS si tratta di continuare a fare affari con gli USA e con la UE, ma senza fare dipendere le loro economie da USA e UE.

2. Questo è reso necessario dal fatto che gli USA hanno problemi sistemici interni che stanno portando quel paese verso una crisi senza precedenti:

1) bilancia dei pagamenti del tutto squilibrata,

2) debito fuori controllo,

3) deindustrializzazione,

4) processo di de-dollarizzazione già in corso.

 

3. Per frenare questo processo gli USA (e Trump è solo il faccione idiota di un fenomeno anonimo e strutturale. Oppure il suo intento è fare proprio ciò che sta facendo: distruggere l’occidente e la globalizzazione che è il prodotto dell’élite e quindi distruggere la stessa élite/deep state – nota di conoscenze al confine) devono scaricare su altri paesi i loro problemi interni. I dazi sono una necessità, non una cattiveria.

E tuttavia, essi creano altre criticità.

 

4. La più importante è questa: gli USA diventano un partner inaffidabile per gli altri paesi, che cercano di “disaccoppiare” le loro economie da quella USA.

 I BRICS sono un’alternativa, e non ve ne sono altre.

 Un’alternativa che diventa sempre più attraente anche per i paesi che, tradizionalmente, orbitavano attorno all’economia statunitense.

 

I paesi dell’America Latina saranno spinti in quella direzione, e con essi la Spagna, che comunque mantiene stretti contatti con quei paesi.

Ma anche alleati di ferro come Giappone e Corea del sud dovranno riconsiderare la loro posizione.

 Per adesso mantengono una posizione ondivaga, per evitare ripercussioni troppo negative.

 Le monarchie del golfo stanno già spostando, con prudenza, il loro asse.

 

Sta nascendo il mondo post-occidentale.

Trump è solo un facilitatore, accelera un processo strutturale.

Non serve una guerra mondiale:

 per i paesi dei BRICS basta solo lasciare che le cose facciano il loro corso. L’Occidente si impiccherà con la corda che egli stesso tesse.

 

5. I paesi (come la UE) che non possono disaccoppiarsi saranno quelli che dovranno trasferire risorse verso gli Stati Uniti.

In primo luogo, denaro, attraverso l’acquisto di armi, di gas liquefatto, di prodotti che acquisteremo contro ogni logica di mercato (Trump vuole che i giapponesi comprino le auto americane… che dire).

 

Per trasferire risorse europee agli USA dovremo spostare risorse dal welfare alle spese militari, ma anche sopportare spese di energia sempre più elevate. Questo produrrà tre cose:

 

1) Produrre in Italia (e in Europa) diventerà poco conveniente e i nostri prodotti saranno sempre meno competitivi.

2) Il potere di acquisto della popolazione italiana ed europea diminuirà progressivamente.

3) Tutto ciò genererà una diminuzione del gettito fiscale, con tutto ciò che ne consegue.

 

6. L‘obbiettivo che Trump persegue con i dazi, non sono infatti i dazi.

Questo sarebbe insensato, perché significherebbe fare pagare più tasse agli americani.

Lo scopo che persegue è semplice:

 fare ripartire la produzione interna e costringere chi vuole vendere negli Stati Uniti a PRODURRE negli Stati Uniti.

Quello che il governo italiano fatica a capire è proprio questo punto.

A Trump non interessa un accordo ragionevole:

interessa che chi vuole vendere negli USA capisca che deve spostare lì la produzione.

 Il suo obbiettivo, come era anche di Biden e Blinken, è distruggere la potenza industriale europea.

 

7. L’Europa per poter sopravvivere dovrebbe non dico disaccoppiarsi, ma instaurare rapporti diversi con i BRICS.

 Ma questo, data la classe dirigente europea, è improbabile, e diventerà sempre più difficile.

Più si cede agli USA più si diventerà dipendenti e la possibilità di politiche economiche autonome diventerà impossibile.

 

8. In questo processo la UE sarà sempre più attraversata da interessi non conciliabili.

Gli interessi di Francia e Italia sono opposti, e mentre è facile per Macron fare la voce grossa, per la Meloni fare la voce grossa, non avendo una strategia alternativa, significherebbe condannare alla morte interi settori e comparti (per esempio quello agroalimentare etv.)

 

La Meloni non voleva morire cinese.

 Morirà e farà morire il paese e basta.

 Il suo problema non è di essere fascista e tutte le altre scemenze: il suo problema è di non avere visione, progetto.

Per cui è condannata a giocare sempre di rimessa, e di giocare (e far giocare al paese) il gioco degli altri (sarebbe e sarà uguale con possibili futuri governi di centro-sinistra o di larghe intese, sempre più probabili).

 

9. Che cosa serve?

Serve una forza politica e culturale che presenti un diverso modo di intendere la storia e il ruolo del nostro paese (e dell’Europa) in un mondo cambiato.

Non è solo la Meloni:

 il problema più grosso resta Sergio Mattarella.

 È vecchio, pensa con categorie arcaiche, vive in un mondo che non esiste da decenni ed è legato a un progetto politico fallito, seppellito dalla storia.

 

Serve allora preparare un ordine concettuale differente, ancorato alla nuova realtà del mondo post-occidentale, perché possiamo avere un futuro solo se staremo al passo con la storia e faremo il passo che la storia ci chiede.

(Vincenzo Costa).

(ariannaeditrice.it/articoli/verso-il-mondo-post-occidentale).

 

 

 

Un Paese Marcio, Sporco,

Già Morto.

Conoscenzealconfine.it – (14 Luglio 2025)- Danilo Quinto – ci dice:

 

I parametri per descrivere lo stato di un Paese, sono il PIL, l’entità del debito pubblico, interno ed esterno, la situazione dei servizi essenziali (la Scuola, l’Università, i Trasporti, la Sanità), il cosiddetto Sviluppo Industriale, che in Italia ha concorso a generare la distruzione del nostro benessere, fatto innanzitutto di tradizioni, di cultura, di identità.

 

So che gli economisti e i politici da strapazzo che sguazzano nella realtà italiana (pronti ora ad occuparsi, insieme agli altri potenti della terra, di un grande business, la ricostruzione dell’Ucraina, insieme a sanzionare nuovamente la Russia, evitando di operare per la pace) storceranno il naso – pronti come sono ad arrampicarsi sugli specchi e a nascondere la polvere sotto il tappeto – ma se dovessimo usare quei parametri renderemmo un cattivo servizio alla Verità.

 

Dunque, viviamo in un luogo dove, contro il dettato della Costituzione, che ripudia la guerra, vendiamo armi a mezzo mondo e siamo protagonisti diretti in molti teatri di guerra.

Dove, a distanza di oltre 5 anni, e nonostante i proclami, nessuna verità certa e istituzionale è emersa su quell’operazione criminale denominata virus da Sars-Covid19 e conseguente endemica propaganda per un siero (non un vaccino) che ha provocato e sta provocando aumenti innumerevoli di casi di tumore e malattia cardiovascolari, danni gravi (=morti) e parziali.

 

Dove viene talmente promossa, favorita e propagandata la teoria del gender, da mettere in discussione il connotato principale della specie umana: la riproduzione. Dove presto ci si potrà togliere o farsi togliere la vita liberamente, con il suicidio assistito e l’eutanasia.

Sarà sancito un “diritto” umano, come l’aborto, che ha ucciso sei milioni di italiani in cinquant’anni e che con la pillola RU486 permette di sbarazzarsi del nascituro a casa, così come si butta nella spazzatura un kleenex.

 

Dove si stima che il consumo di cocaina – i dati sono contenuti nella Relazione annuale al Parlamento del 2025 – riguardi undici dosi al giorno ogni mille abitanti; al primo posto c’è la cannabis (52 dosi ogni mille abitanti), la cui potenza è quadruplicata dal 2016 (dal 7% del 2016 al 29% del 2024), soprattutto nelle formulazioni di nuova generazione e nei liquidi utilizzati per le sigarette elettroniche.

 

Nel 2024, il Sistema nazionale di allerta rapida per le droghe (News-d) ha identificato 79 nuove sostanze psicoattive circolanti.

 Dove, a partire dal 2021, si registra un incremento costante nel consumo di psicofarmaci senza prescrizione medica tra i giovani, che ha raggiunto, nel 2024, i valori più alti di sempre: se la stima è di 510.000 studenti di 15-19 anni che hanno fatto uso di queste sostanze senza prescrizione nel corso della vita, nella fascia 15-18 anni non ancora compiuti sarebbero 180.000 ad averne fatto uso solo nell’ultimo anno (il 12% del totale di quella fascia di età).

 

Dove, il mercato della prostituzione è stimato dall’Istat in 4,7 miliardi nel 2025. Dove, l’associazione “Meter” di “don Fortunato Di Noto” rileva ogni giorno oltre trecento contenuti riconducibili a pornografia minorile, abusi e violenze su minori. Dove, dei 374.310 minorenni in carico ai servizi sociali – questo emerge dalla “III Indagine nazionale sul maltrattamento di bambini e adolescenti in Italia”, condotta “Terre des Hommes e Cismai” per l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza – 113.892 sono vittime di maltrattamento, il 30,4%. Si tratta, al 31 dicembre 2023, di un aumento del 58% rispetto alla precedente indagine del 2018. Sul totale della popolazione minorenne residente in Italia questo significa un passaggio da 9 a 13 minorenni maltrattati ogni mille.

 

Dove, il mercato pornografico – l’Italia è tra i principali paesi consumatori a livello globale – ha un valore stimato di circa cinque miliardi di euro all’anno per il consumo online.

“Transparency International,” nel 2024, collocava l’Italia al 41° posto nel mondo per percezione della corruzione; la Corte dei conti stima che la corruzione in Italia superi l’ammontare di cento miliardi all’anno.

 

Da ultimo, in questo breve esame, i dati sul mondo del gioco d’azzardo sviluppati dall’Osservatorio Nazionale e diffusi dalla società Nomisma.

 Circa 1.530.000 milione ragazzi, pari a circa il 62% degli studenti, riferisce di aver giocato d’azzardo almeno una volta nella vita, mentre oltre 1.420.000 lo hanno fatto nell’ultimo anno, facendo registrare nel 2024 il dato più alto di sempre.

 

Allo stesso modo, il mondo dei videogiochi presenta criticità per molti ragazzi: più di 290.000 studenti minorenni hanno mostrato nel 2024 comportamenti a rischio con i videogame, spesso associati a reazioni emotive forti quando era preclusa loro la possibilità di giocare.

Nel 2021, gli italiani hanno investito circa 111 miliardi di euro nel gioco d’azzardo. Nel 2022 la cifra è diventata 136 miliardi di euro, un importo che ha superato le spese per la sanità (128 miliardi), per l’istruzione (52 miliardi) e il totale dei bilanci di tutti i comuni italiani (77 miliardi).

 Il gioco d’azzardo ha rappresentato il 36,20% del gettito erariale dello Stato.

 Per il 2024, la spesa è stata di 160 miliardi di euro.

Per il 2025, si stima una spesa ancora superiore.

 

Si sta parlando solo di gioco legale, al quale si aggiunge quello clandestino, i cui profitti, sicuramente sterminati – gestiti da organizzazioni criminali ben radicate nel territorio – non sono neppure quantificabili.

Le analisi suddividono le tipologie di scommettitori in tre gruppi:

i giovani (dai 14 ai 19 anni), gli adulti e gli over 65.

I giocatori più accaniti sono gli adulti tra i 25 e i 34 anni, ma anche le donne over 65 fanno la loro bella parte.

Quante ne vediamo nelle tabaccherie di primo mattino alle prese con il gratta e vinci e i numeri del lotto?

 La perversa tecnologia aiuta tutti: il gioco on line (60%) ha superato quello nelle sale fisiche (40%).

 

Che dire?

 Innanzitutto, che le classi dirigenti che si susseguono alla guida del Paese, nulla fanno per arginare – quantomeno – quest’elenco di nefandezze che rimane sotto la coltre dell’aumento o della diminuzione del PIL o del debito pubblico.

Anzi, in molti casi, se non ne sono complici – questo è evidente per il gioco d’azzardo – le assecondano, non intervenendo con misure adeguate e disinteressandosene.

 

Sono soggetti immorali? Ça va sans dire.

Per Platone, l’immoralità non è semplicemente l’opposto della moralità, ma una conseguenza della mancata conoscenza delle Idee, in particolare dell’Idea del Bene.

È proprio vero: essi non conoscono il Bene, di conseguenza non lo praticano, né per sé stessi né nei confronti degli altri.

Non sono da meno i sudditi, quella massa inerte che li manda al potere, ormai putrefatta, quella cosiddetta società civile che gozzoviglia da Nord a Sud, che usufruisce di prebende, che vive di intrallazzi, che sguazza nella corruttela.

 

“In quei giorni”, dice Matteo nel suo Vangelo (Mt 3, 1-2), “venne Giovanni Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: ‘Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino’ “.

Nel deserto del nostro Paese, queste parole suonano come un solenne auspicio: occorre fare penitenza per redimerci, per rendere onore al Bene e sconfiggere il male che ci pervade e ci soffoca.

Questo dovrebbe chiedere la Chiesa Cattolica a quest’Italia: di fare penitenza e di resuscitare.

Chissà, forse un giorno verrà un papa o si manifesterà un santo e lo chiederà, ricordando le parole di san Paolo:

“E tutto questo dovete fare ben conoscendo il tempo, perché è ora già che voi vi svegliate dal sonno;

la salvezza nostra ora è più vicina di quando noi siamo diventati credenti.

La notte è inoltrata e il giorno si avvicina;

gettiamo via dunque l’opera delle tenebre, rivestiamo le armi della luce.

Come in pieno giorno, camminiamo onestamente, non in crapule e ubriacature, non in alcove e in licenza, non in contese e invidia: ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, e non abbiate cura della carne sì da destarne le concupiscenze” (Lettera ai Romani 13, 11-14).

 

Se questo non dovesse avvenire, la putrefazione che questo Paese vive – che Nostro Signore aveva scelto come sede della Sua Chiesa – il suo inchinarsi al suo padrone assoluto, che è Mammona, non potrà che determinare la più miserevole delle condizioni: attendere solo la punizione e la Giustizia di Dio.

(Danilo Quinto).

(daniloquinto.it/un-paese-marcio-sporco-gia-morto/).

(imolaoggi.it/2025/07/11/un-paese-marcio-sporco-gia-morto/).

 

 

 

 

 

 

 

Solo 90 secondi dalla fine.

Un momento di pericolo

senza precedenti.

Ilbolive.unipd.it - Alessandro Pascolini – (25 gennaio 2023) – ci dice:

 

 Quest'anno, il Comitato per la Scienza e la Sicurezza del Bulletin of the Atomic Scientists ha spostato in avanti le lancette dell'Orologio del Giorno del Giudizio (il Doomsday Clock), soprattutto (anche se non esclusivamente) a causa dei crescenti pericoli posti dalla guerra in Ucraina. L'orologio è ora a soli 90 secondi dalla mezzanotte, il momento più vicino alla catastrofe globale che sia mai stato.

 

Il “Doomsday Clock” ci ricorda quanto sia delicato e incerto l’equilibrio che permette la sopravvivenza dell’umanità in presenza delle armi nucleari e di nuove destabilizzanti tecnologie nell'attuale fase dei cambiamenti climatici che condizionano la vita sul nostro pianeta: ogni anno dal 1947 segna quanto tempo rimane prima della mezzanotte antecedente al giorno del giudizio.

 

La prima indicazione all’inizio della guerra fredda (1947) fu di mezzanotte meno sette minuti; con l’acquisizione delle armi nucleari da parte dell’URSS (1949) le lancette vennero portate a 3 minuti da mezzanotte; un ulteriore aggravamento (e siamo a meno due minuti) si ha con lo sviluppo delle armi termonucleari (1953). Nel corso degli anni, a fronte dell’evoluzione del confronto nucleare fra le superpotenze e la proliferazione in altri paesi, l’orologio si è allontanato e avvicinato alla mezzanotte; il momento più sicuro si è avuto nel 1991 alla fine della guerra fredda (17 minuti da mezzanotte) per poi via via aggravarsi negli anni successivi per l’incapacità del mondo politico internazionale di superare il confronto nucleare e di affrontare le problematiche legate al cambiamento climatico globale, fino a raggiungere lo scorso anno la distanza estremamente pericolosa di 100 secondi, ulteriormente aggravata quest'anno.

 

Il documento presentato oggi risente pesantemente della guerra in Ucraina, con una precisa presa di posizione contro l'invasione russa. I temi affrontati sono, oltre alle problematiche della guerra, il rischio degli armamenti nucleari, gli effetti dei cambiamenti climatici, le minacce biologiche e delle tecnologie destabilizzanti. Di seguito i contenuti principali del documento.

 

 

L'orologio aggiornato a meno novanta secondi.

 

I rischi dovuti alla guerra in Ucraina.

La guerra in Ucraina potrebbe entrare in un secondo terribile anno, ponendo in gioco la sovranità dell'Ucraina e i più ampi accordi di sicurezza europei che hanno ampiamente retto dalla fine della Seconda guerra mondiale. Inoltre, la guerra della Russia contro l'Ucraina ha sollevato profondi interrogativi sulle modalità di interazione tra gli Stati, erodendo le norme di condotta internazionali. In particolare, la Russia ha violato gli accordi di Budapest del 1994 a garanzia dell'integrità territoriale dell'Ucraina a seguito della sua rinuncia alle armi nucleari e l'adesione al trattato di non-proliferazione (NPT).

 

Le poco velate minacce della Russia di usare le armi nucleari ricordano al mondo che l'escalation del conflitto, per incidente, intenzione o errore di calcolo, è un rischio terribile. La possibilità che il conflitto sfugga al controllo rimane alta. Ulteriore pericolo nucleare segue dal coinvolgimento russo nella guerra degli impianti nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhia, violando i protocolli internazionali e rischiando un rilascio diffuso di materiali radioattivi.

 

Gli effetti della guerra minano anche gli sforzi globali per combattere il cambiamento climatico: i paesi che dipendono dal petrolio e dal gas russo hanno cercato di diversificare le loro forniture, portando a un aumento degli investimenti nel gas naturale proprio quando questi avrebbero dovuto ridursi.

 

L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia ha aumentato il rischio di utilizzo di armi nucleari, ha sollevato lo spettro dell'uso di armi biologiche e chimiche, ha ostacolato la risposta del mondo al cambiamento climatico e ha ostacolato gli sforzi internazionali per affrontare altri problemi globali. L'invasione e l'annessione del territorio ucraino hanno violato le norme internazionali e potrebbero incoraggiare altri a intraprendere azioni che minacciano la stabilità.

 

Non esiste un percorso chiaro per forgiare una pace giusta che scoraggi future aggressioni all'ombra delle armi nucleari. Esiste comunque una moltitudine di canali di dialogo che dovrebbero essere esplorati. Trovare una strada per seri negoziati di pace potrebbe contribuire a ridurre il rischio di escalation. In questo momento di pericolo globale senza precedenti, è necessaria un'azione concertata e ogni secondo è importante.

 

Una situazione nucleare estremamente pericolosa.

Le minacce russe di usare armi nucleari nella guerra in Ucraina costituiscono il peggior sviluppo nucleare del 2022, ma sono solo uno dei molteplici aggravamenti del confronto nucleare mondiale.

 

Gli Stati Uniti, la Russia e la Cina stanno perseguendo programmi di modernizzazione delle armi nucleari, preparando il terreno per una nuova e pericolosa "terza era" di competizione nucleare.

Le forze nucleari statunitensi e russe sono ancora vincolate dal New START, ma non c'è certezza che il trattato venga esteso oltre il 2026. Non vi sono prospettive concrete di ulteriori negoziati a rafforzare la sicurezza nucleare.

 

La considerevole espansione delle capacità nucleari della Cina è particolarmente preoccupante, dato il suo costante rifiuto di prendere in considerazione misure per migliorare la trasparenza e la prevedibilità. Qualora giungesse a capacità nucleari equivalenti a quelle di Stati Uniti e Russia, vi sarebbero conseguenze imprevedibili per la stabilità globale.

 

Vi sono stati scarsi progressi nei negoziati con la Corea del Nord e l'Iran sui loro programmi nucleari. La Corea del Nord ha intensificato notevolmente i test missilistici sia a corto raggio che di gittata intermedia e, a fine marzo, ha lanciato con successo un missile balistico intercontinentale per la prima volta dal 2017.

 

L'Iran continua ad aumentare la sua capacità di arricchimento dell'uranio, al di fuori dei limiti del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPoA) che un tempo lo limitava. Ora l'Iran è più vicino alla capacità di dotarsi di armi nucleari, qualora decidesse di varcare quella soglia. Il ritorno all'accordo nucleare ridurrebbe i rischi,ma l'instabilità in Iran e il sostegno di Teheran alla guerra della Russia contro l'Ucraina complicano il progresso dei negoziati per impedire all'Iran di dotarsi di armi nucleari.

 

L'India continua a modernizzare il suo arsenale nucleare, che conta circa 160 testate, con nuovi sistemi di lancio in fase di sviluppo per integrare o sostituire gli attuali aerei a capacità nucleare, i sistemi di lancio terrestri e quelli marittimi. Il Pakistan ha un arsenale di dimensioni simili e continua a espandere il suo arsenale, i sistemi di lancio e la produzione di materiale fissile. Le preoccupazioni sulla corsa agli armamenti in Asia meridionale e sulla corsa agli armamenti missilistici in Asia nordorientale completano un quadro desolante che deve essere affrontato.

 

In via prioritaria, tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbero impegnarsi a fronteggiare i pericoli nucleari attraverso sforzi di controllo degli armamenti e accordi di stabilità strategica. Al momento opportuno, sarà necessaria un'importante azione di diplomazia nucleare multilaterale proprio a causa della terribile realtà che la crisi ucraina sottolinea: la minaccia esistenziale rappresentata dalle armi nucleari persiste anche quando le circostanze politiche cambiano.

 

Dinamiche contrastanti: affrontare il cambiamento climatico durante l'invasione dell'Ucraina.

Affrontare il cambiamento climatico richiede fiducia nelle istituzioni di governo multilaterale. La spaccatura geopolitica aperta dall'invasione dell'Ucraina ha indebolito la volontà globale di cooperare, minando la fiducia nella durata, o addirittura nella fattibilità, di un'ampia collaborazione multilaterale.

 

L'invasione dell'Ucraina ha innescato una corsa all'indipendenza dalle forniture energetiche russe, soprattutto nell'Unione Europea. Dal punto di vista del cambiamento climatico, ciò ha contribuito a due dinamiche contrastanti.

 

In primo luogo, i prezzi elevati dell'energia hanno stimolato gli investimenti nelle energie rinnovabili e motivato i paesi ad attuare politiche di sostegno al loro sviluppo. Grazie a questo aumento, l'Agenzia Internazionale per l'Energia prevede che l'energia eolica e solare insieme si avvicineranno al 20% della produzione globale di energia tra cinque anni, con la Cina che installerà quasi la metà della nuova capacità di energia rinnovabile.

 

Nello stesso tempo, i prezzi hanno spinto a sviluppare nuove forniture di gas, stimolando gli investimenti nella produzione di gas naturale e nelle infrastrutture di esportazione, finanziati in gran parte dalle principali transnazionali del petrolio e del gas e dalle società di investimento. Questo capitale privato continua a confluire nello sviluppo di nuove risorse di combustibili fossili. Tutti i paesi del G7 si sono impegnati a porre fine ai finanziamenti pubblici dei progetti internazionali sui combustibili fossili entro quest'anno e la Beyond Oil and Gas Alliance, un gruppo di otto paesi, si è formalmente impegnata a porre fine a nuove concessioni, licenze o leasing per la produzione e l'esplorazione di petrolio e gas e a stabilire un calendario per la cessazione della produzione che sia coerente con gli impegni assunti nell'ambito dell'Accordo di Parigi.

 

Di conseguenza, le emissioni globali di anidride carbonica derivanti dalla combustione di combustibili fossili, dopo essere risalite dal declino economico dovuto al Covid a un massimo storico nel 2021, hanno continuato ad aumentare nel 2022, raggiungendo un nuovo record. Il calo delle emissioni cinesi è stato oscurato da un aumento negli Stati Uniti, in India e altrove. L'aumento delle emissioni nel 2022 ha accelerato il continuo aumento della concentrazione di gas serra nell'atmosfera, che continuerà fino a quando continueranno le emissioni di anidride carbonica.

 

I fenomeni meteorologici estremi non solo hanno continuato a colpire diverse parti del mondo, ma sono stati attribuiti in modo più evidente al cambiamento climatico. I paesi dell'Africa occidentale hanno subito inondazioni tra le più letali della loro storia; le temperature estreme registrate la scorsa estate in Europa centrale, Nord America, Cina e altre regioni dell'emisfero settentrionale hanno portato a carenze idriche e a condizioni di siccità del suolo, che a loro volta hanno provocato raccolti scarsi, minando ulteriormente la sicurezza alimentare in un momento in cui il conflitto in Ucraina ha già provocato un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.

 

 È stato il Pakistan ad aver affrontato la manifestazione più drammatica dell'anno della crescente volatilità del clima terrestre con intense inondazioni su un terzo del paese, colpendo direttamente 33 milioni di persone e scatenando effetti a cascata, tra cui gravi perdite dei raccolti, un'epidemia di malattie trasmesse dall'acqua inquinata e la distruzione di infrastrutture, case, bestiame e mezzi di sussistenza.

 

Sullo sfondo delle tragedie legate al clima di quest'anno, le parti alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite a Sharm el Sheikh hanno raggiunto un promettente passo avanti con l'accordo di compromesso per la creazione di un fondo per sostenere i paesi poveri e vulnerabili nell'affrontare il crescente impatto dei cambiamenti climatici. Tuttavia, i paesi non sono stati in grado di adottare una decisione formale per concordare l'eliminazione graduale dei combustibili fossili e, cosa ancora più deludente, non hanno fatto sostanzialmente nulla per assicurare che i precedenti impegni di raggiungere emissioni nette di gas serra pari a zero venissero rispettati.

 

Una serie scoraggiante di minacce biologiche.

L'attuale panorama delle minacce biologiche rende evidente che la comunità internazionale deve migliorare la propria capacità di prevenire le epidemie, di individuarle rapidamente quando si verificano e di rispondere efficacemente per limitarne la portata.

 

Eventi devastanti come la pandemia Covid-19 non possono più essere considerati eventi rari. Il numero totale e la diversità dei focolai di malattie infettive sono aumentati in modo significativo dal 1980, e più della metà sono causati da malattie che hanno origine negli animali e vengono trasmesse all'uomo. Esiste un'immensa varietà e diversità di virus, batteri e altri microbi noti per infettare l'uomo. La capacità di prevedere quali di questi virus e microbi abbiano maggiori probabilità di causare malattie umane è tristemente inadeguata.

 

Continuano a verificarsi frequentemente incidenti di laboratorio.

Le possibilità di errore umano, la comprensione limitata delle caratteristiche delle nuove malattie, la scarsa conoscenza da parte delle amministrazioni locali delle ricerche che si svolgono nei laboratori delle loro giurisdizioni e la confusione sui requisiti di sicurezza mettono a dura prova gli attuali programmi di biosicurezza dei laboratori.

 

Viviamo in un'epoca di progressi rivoluzionari nelle scienze della vita e nelle tecnologie associate. I ricercatori possono ingegnerizzare gli esseri viventi (soprattutto virus) per acquisire nuove caratteristiche con sempre maggiore facilità e affidabilità. Ma i regimi di sorveglianza, le strategie per la valutazione e la mitigazione del rischio e la definizione di norme concordate rimangono arretrati, mentre la scienza e la tecnologia biologiche avanzano sempre più velocemente. L'informazione biologica è sempre più un'arma a doppio taglio. I leader di tutto il mondo devono affrontare la possibilità di rischi biologici catastrofici globali che mettono alla prova o superano la capacità collettiva di controllo dei governi nazionali e internazionali e del settore privato.

 

Vi sono sospetti che alcuni paesi mantengano programmi biologici militari o sviluppino attività duali, in violazione della convenzione delle armi biologiche.

 Il rischio che la Russia intraprenda una guerra biologica aumenta man mano che le condizioni in Ucraina diventano più caotiche, indebolendo le norme umanitarie in guerra.

 L'escalation bellica in Ucraina pone molte minacce potenzialmente esistenziali all'umanità e una di queste è quella biologica.

 

Indipendentemente dalla fonte potenziale – naturale, accidentale o intenzionale – ci sono misure che i leader nazionali possono adottare per ridurre i rischi biologici catastrofici. Ogni paese deve investire maggiormente nella salute pubblica. Ogni paese dovrebbe eliminare le armi biologiche e smantellare i programmi che le producono.

Tutti i paesi possono migliorare notevolmente la capacità di identificare i focolai prima che diventino epidemie e pandemie se investono nei sistemi di sorveglianza delle malattie, se condividono dati, analisi e informazioni sugli eventi biologici e se sviluppano la capacità di identificare rapidamente gli eventi biologici.

 

Gli agenti patogeni non sono fermati dai confini nazionali. Malattie debilitanti, morti diffuse e disastri indotti dalle malattie possono essere evitati se i paesi di tutto il mondo cooperano su strategie sanitarie globali e investono in scienza, tecnologia, ricerca e sviluppo nel settore della biosicurezza.

 

Tecnologie dirompenti: un ambiente variegato di minacce.

L'anno scorso, gli sviluppi relativi alle potenziali minacce provenienti dalle tecnologie dirompenti raccontano una storia contrastante.

 

Sul fronte della disinformazione, ci sono state alcune buone notizie: l'elettorato americano ha respinto i negazionisti alle elezioni del 2022 e in Francia il presidente Emmanuel Macron ha superato la storica sfida della candidata di estrema destra Marine Le Pen. Nel frattempo, l'amministrazione Biden ha continuato a impegnarsi per aumentare il ruolo degli scienziati nell'informare le politiche pubbliche.

 

D'altro canto, la disinformazione informatica continua senza sosta. Negli Stati Uniti, l'opposizione politica al "Consiglio per la governance della disinformazione" proposto dal Dipartimento per la sicurezza interna è riuscita a far ritirare al dipartimento la sua proposta.

Questo tipo di attacchi non è certo nuovo, ma è emblematico della corruzione nell'ambiente dell'informazione.

 

In Russia il controllo governativo dell'ecosistema informativo ha bloccato la diffusione di informazioni veritiere sulla guerra in Ucraina. L'uso cinese delle tecnologie di sorveglianza è continuato a ritmo sostenuto nello Xinjiang.

Come affermato l'anno scorso, l'uso estensivo delle tecnologie di sorveglianza ha implicazioni inquietanti per i diritti umani e rappresenta una chiara minaccia per la società civile.

 

Per quanto riguarda il conflitto cibernetico, anche in questo caso la storia è un mix di cattive e buone notizie. Il mondo continua a soffrire di attacchi informatici diffusi, ma i cyberattacchi russi contro gli Stati Uniti e l'Unione Europea come ritorsione per le sanzioni legate all'invasione dell'Ucraina non hanno avuto successo e quelli contro l'Ucraina si sono rivelati inefficaci come strumento coercitivo.

 

L'intelligence open-source abilitata dalla tecnologia ha avuto un impatto profondo sulla guerra in Ucraina, fornendo immagini che documentano i crimini di guerra russi e forniscono una preziosa conoscenza della situazione per le forze ucraine.

Le immagini commerciali provenienti dallo spazio sono state ampiamente condivise, raccontando la preparazione russa all'invasione e fornendo ai decisori militari ucraini ulteriori input. Il sistema SpaceX di Starlink è riuscito a mantenere il servizio internet in tutta l'Ucraina e a rispondere in modo rapido ed efficace ai cyberattacchi russi.

 

Starlink ha anche dimostrato la potenziale resilienza di grandi costellazioni di piccoli satelliti in orbita terrestre bassa.

Tali costellazioni di satelliti sarebbero altamente resistenti agli attacchi anti-satellite e dovrebbero quindi contribuire alla stabilità. Gli Stati Uniti si sono impegnati unilateralmente ad astenersi da test di armi antisatellite distruttive e hanno invitato altre nazioni ad aderire a questa moratoria.

 

I piani spaziali statunitensi prevedono il dispiegamento di una serie di sensori satellitari per tracciare i lanciatori di missili e altri obiettivi mobili, consentendo così attacchi preventivi.

Sebbene destinati a contrastare la Corea del Nord, questi gruppi di sensori susciteranno indubbiamente preoccupazione in Russia e in Cina, minacciando potenzialmente la stabilità strategica.

 

Infine, la guerra in Ucraina ha dimostrato il valore delle armi ad alta tecnologia contro piattaforme convenzionali come aerei e carri armati. Droni armati e munizioni guidate con precisione sono importanti per entrambe le parti in conflitto.

 Sebbene queste tecnologie non siano nuove, il loro potenziale dirompente contro le tradizionali forze terrestri è stato dimostrato ancora una volta.

 

 

 

La Cina critica gli Stati Uniti

per il disegno di legge sulle

sanzioni russe.

  Shtfplam.com - Mac Slavo – (16 luglio 2025) – ci dice:

 

La Cina ha replicato agli Stati Uniti dopo il loro ridicolo annuncio di sanzioni e dazi fino al 500% contro la Russia se non avesse fermato la guerra con l'Ucraina entro 50 giorni.

 Pechino afferma che i dazi proposti sono in realtà "illegali".

 

Gli Stati Uniti stanno inoltre portando un'altra guerra economica al livello successivo, arrivando persino a minacciare di imporre dazi così esorbitanti su un altro Paese.

La Cina ha aggiunto che le "illegali sanzioni unilaterali" mineranno di fatto gli sforzi per risolvere il conflitto ucraino.

 

Purtroppo, non è affatto difficile capire dove stiamo andando a parare.

Dare questo tipo di ultimatum alla Russia si ritorcerà contro di noi, soprattutto ora che la Cina ha scelto da che parte stare.

Gli Stati Uniti non possono smettere di tentare di fomentare una guerra globale. Pur dicendo una cosa alla classe degli schiavi, stanno attivamente cercando di innescare una terza guerra mondiale.

 

Minacciare i russi con un ultimatum si ritorcerà contro di loro e preparerà il terreno per una guerra nucleare.

Quando il senatore “Lindsey Graham”, falco della guerra, ha proposto sanzioni e dazi, ha sottolineato che Trump avrebbe avuto la "massima flessibilità" nell'applicazione di tali sanzioni.

Se queste misure eclatanti venissero adottate, ciò darebbe al presidente degli Stati Uniti Donald Trump l'autorità di imporre dazi fino al 500% sui paesi che intrattengono anche rapporti commerciali con la Russia.

Graham ha intenzionalmente menzionato Cina, India e Brasile.

 

Secondo un articolo di “RT”, Graham ha affermato che la misura avrebbe dato a Trump una "mazza" da usare contro la Russia.

Mosca ha denunciato le sanzioni come illegali e ha accusato le nazioni occidentali di sfruttare il conflitto ucraino per soffocarne lo sviluppo.

Storicamente, anche la Russia è riuscita ad aggirare le sanzioni semplicemente aggirando la legge statunitense con la disobbedienza.

 

Putin avverte: "I tentativi occidentali di paralizzare l'economia russa con le sanzioni sono falliti."

 

Rispondendo a una domanda sulla minaccia tariffaria, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese “Lin Jian” ha dichiarato martedì ai giornalisti che Pechino "si oppone fermamente a qualsiasi sanzione unilaterale illegale e a qualsiasi giurisdizione a lungo termine".

Ha aggiunto: "Non ci sono vincitori in una guerra tariffaria" e ha ribadito che "dialogo e negoziazione sono le uniche vie percorribili" per porre fine al conflitto.

 

Gli Stati Uniti non possono costringere i paesi a pagare dazi senza ricorrere alla forza militare.

Una volta che la forza sarà attivata, si supererà il confine tra guerra economica e guerra calda, e basterà che la Russia dica "no".

Notate come nessuna classe dirigente chieda il consenso?

A loro non importa, nemmeno un po', e gli Stati Uniti stanno palesemente esagerando, credendo in qualche modo di essere ancora rispettati sulla scena globale.

 

 

 

 

Le bugie di Trump diventano più

 audaci e evidenti: è

“neutrale” sull’Ucraina.

  Shtfplan.com - Mac Slavo – (16 luglio 2025) – ci dice:

 

 

Il leader degli Stati Uniti, Donald Trump, si dichiara "neutrale" sull'Ucraina, dopo aver emesso un ultimatum legato a sanzioni e dazi alla Russia e aver accettato di continuare le spedizioni di armi all'Ucraina.

 Le sfacciate menzogne stanno diventando troppo evidenti per essere ignorate.

 

Lunedì, appena due giorni fa, Trump si è detto "molto, molto insoddisfatto" della Russia e ha messo in guardia da dazi secondari "gravi" fino al 100% se non si faranno progressi diplomatici in merito alla guerra entro 50 giorni.

Ha attribuito la colpa interamente a Mosca, aspettandosi che si piegasse al suo capriccio all'ultimatum.

Ha anche annunciato imminenti consegne di sistemi d'arma avanzati all'Ucraina, che saranno finanziati dai membri europei della NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico), dopo che il Pentagono ha dichiarato di non poter fornire ulteriori armi a causa delle scarse scorte statunitensi.

 

Queste azioni dimostrano che la sua posizione è tutt'altro che neutrale, rendendolo un bugiardo.

Tuttavia, continua a negare di essere dalla parte dell'Ucraina.

 Incalzato dai giornalisti martedì, Trump ha insistito di non essere "dalla parte di nessuno" e di sperare ancora di risolvere il conflitto attraverso la diplomazia, secondo un articolo di “RT”.

Se la guerra può essere risolta con la diplomazia, allora perché minacciare Mosca di una guerra economica e accettare di inviare armi al suo nemico?

 

"Sapete da che parte sto? Dalla parte dell'umanità.

Voglio fermare l'uccisione di migliaia di persone a settimana.

Voglio fermare le uccisioni. Voglio che le uccisioni finiscano nella guerra tra Ucraina e Russia.

È da questa parte che sto", ha detto il presidente degli Stati Uniti.

"Ho risolto molte guerre negli ultimi tre mesi, ma non ho ancora ottenuto questa. Questa è una guerra di Biden.

Non è una guerra di Trump. Sono qui per cercare di tirarci fuori da questo pasticcio", ha aggiunto.

 

È interessante, considerando che sta continuando a fare esattamente ciò che aveva fatto il suo predecessore,” Joe Biden”, ovvero prolungare la guerra.

Trump dà a Mosca 50 giorni per porre fine al conflitto con l'Ucraina, altrimenti gli Stati Uniti imporranno sanzioni

 

Il Ministro degli Esteri russo “Sergej Lavrov” ha dichiarato martedì che i leader dell'Unione Europea e della NATO hanno esercitato su Trump "pressioni improprie" affinché adottasse una posizione dura sul conflitto.

 Il Vice Ministro degli Esteri “Sergej Ryabkov” ha sottolineato che "qualsiasi tentativo di avanzare richieste, per non parlare di ultimatum, è inaccettabile".

 

 

 

In caso di guerra nucleare, quanto durerebbe?

Appena 45 minuti, ma sarebbe

un'apocalisse da milioni di morti.

Corriere.it – (5 -luglio – 2025) - Cristina Marrone – ci dice:

 

La reazione americana a un attacco nucleare è top secret, ma il Washington Post ha ricostruito passo dopo passo che cosa succederebbe dopo il lancio da parte di un Paese nemico di un missile nucleare contro gli Stati Uniti.

L'apocalisse di una guerra nucleare.

Che cosa succederebbe se fossero lanciati missili con testate nucleari contro gli Stati Uniti?

Lo scenario, raccontato minuto per minuto dal Washington Post in un angosciante articolo interattivo è a dir poco apocalittico.

 Nonostante la Difesa degli Stati Uniti affermi di essere in grado di agire con una controffensiva, i tempi tecnici non riuscirebbero a impedire l’arrivo sul suolo americano delle testate nucleari.

La reazione americana a un attacco resta top secret, ma con l’aiuto di testimonianze e documenti declassificati, il quotidiano statunitense ha ricostruito tutti i passaggi e quello che emerge è agghiacciante.

Appena 45 minuti dopo il lancio nemico morirebbero all'istante centinaia di migliaia di persone negli Stati Uniti.

Per le radiazioni perderebbero la vita milioni di altri americani.

 Ed entro un’ora dopo la risposta statunitense altri milioni di persone morirebbero nel Paese nemico.

Molte zone dalla Terra rischierebbero di diventare inabitabili per decenni, proprio come è successo a Chernobyl.

 Non è un film ma una ricostruzione fedele di quello che succederebbe se si innescasse una guerra nucleare.

L'Unione Europea ha posto una crescente attenzione sulla preparazione dei cittadini a potenziali emergenze, compresi attacchi nucleari.

 

Il lancio.

Dall’altra parte del globo un Paese nemico (Russia o Cina e forse Corea del Nord, l'Iran nell'articolo non è citato) lancia una raffica di missili balistici intercontinentali (ICBM) con ordigni nucleari contro gli Stati Uniti.

 Quasi all’istante i satelliti statunitensi gestiti dall’US Space Force rilevano, grazie a sensori a infrarossi, gli enormi «pennacchi» di gas e fiamme rilasciati dalla combustione del razzo.

 

1 minuto dopo il lancio.

Un minuto dopo il lancio dei missili, i sistemi di terra trasmettono i dati rilevati dai satelliti a tutti gli enti coinvolti nella sicurezza degli Usa:

il NORAD (North American Aerospace Command), lo STRATCOM (Us Strategic Command), l’NMCC (National Military Command Center) che si trova al Pentagono.

 

3-4 minuti dopo il lancio: i sistemi di allerta precoce.

Il comandante dello STRATCOM, che si trova alla base aeronautica di “Offutt! a Omaha (Nebraska) viene informato su quanto sta accadendo. La stessa cosa fa la squadra del NORAD, un’organizzazione di allerta aerospaziale per la difesa congiunta di Stati Uniti e Canada.

 I due gruppi, sulla base dei dati disponibili, forniscono una valutazione iniziale sul grado di affidabilità dell’allarme (nessuna, media, alta).

Il WP ipotizza, tenuto conto del numero di «pennacchi», un livello di affidabilità medio sul fatto che un attacco missilistico nucleare è in arrivo negli Usa.

In questa fase non è ancora possibile valutare gli obiettivi.

 

5 minuti dopo il lancio: l'avviso al presidente.

In caso di guerra nucleare, quanto durerebbe?

Appena 45 minuti, ma sarebbe un'apocalisse da milioni di morti.

Un assistente militare trasporta la “nuclear football”.

 

Già cinque minuti dopo il lancio è l’ora di avvisare il presidente degli Stati Uniti.

 A chiamarlo è il comandante dello STRATCOM.

La linea telefonica protetta squilla anche se il presidente sta volando a bordo dell’Air Force One.

 L’assistente militare fa sedere il presidente a capotavola di un lungo tavolo che si trova nella sala operativa dell’aereo e apre la «nuclear football» o meglio la president’s emergency satchel, la valigetta nera che contiene i documenti utili per ordinare un lancio nucleare in risposta all’attacco, compreso il famoso libro nero che in 75 pagine contiene le opzioni possibili (scritte in rosso).

Nel frattempo, viene avviata una videoconferenza di emergenza con il comandante dello STRATCOM, che comincia a informare il presidente dell’imminente minaccia.

 Se raggiungibili si uniscono alla videochiamata anche il Segretario della Difesa e il Capo di Stato Maggiore.

 

10 minuti dopo il lancio: la minaccia è confermata.

In caso di guerra nucleare, quanto durerebbe?

Dieci minuti dopo il lancio iniziale, i radar terrestri rilevano i missili balistici intercontinentali in arrivo.

Il sistema integrato di allerta tattica e valutazione degli attacchi lavora per fornire una valutazione che sia il più attendibile possibile.

Arriva la conferma: i missili nucleari colpiranno il suolo statunitense entro 12-15 minuti.

I dati sono costantemente aggiornati, ma non è ancora possibile stabilire con certezza il luogo di impatto.

 

Il presidente deve prendere una decisione.

In caso di guerra nucleare, quanto durerebbe? Appena 45 minuti, ma sarebbe un'apocalisse da milioni di morti.

È questo il momento in cui il presidente deve prendere una decisione dopo essersi consultato con i consiglieri.

Comprensibilmente, sono momenti frenetici.

Il presidente viene informato che, colpendo il quartier generale nemico dove si trovano altri missili nucleari, sarebbe possibile impedire ulteriori attacchi.

 I partecipanti possono raccomandare diverse linee di azione, molte voci si sovrappongono.

Ma il presidente deve decidere, ed è sollecitato dal Segretario della Difesa a farlo entro due minuti, altrimenti il rischio è perdere la finestra di tempo necessaria per reagire.

Gli esperti ipotizzano che i missili nucleari nemici stiano puntando i tre depositi di missili balistici intercontinentali che si trovano nella parte occidentale degli Stati Uniti per impedire un massiccio attacco di rappresaglia.

Altri missili probabilmente colpirebbero Washington, dove si trovano importanti centri di comando.

 

17-18 minuti dopo il lancio: gli Usa rispondono al fuoco.

In caso di guerra nucleare, quanto durerebbe?

 Appena 45 minuti, ma sarebbe un'apocalisse da milioni di morti.

 

Circa 17-18 minuti dopo il lancio del missile il presidente prende una decisione: può ordinare un attacco anche se tutti i consiglieri si oppongono.

 Il presidente comunica la sua decisione all’NMCC del Pentagono attraverso il telefono che si trova all’interno della «nuclear football»:

lanciare 300 missili balistici intercontinentali, far decollare i bombardieri e preparare i sottomarini al lancio di missili.

 Il Pentagono chiede al presidente di confermare la sua identità:

 lo fa tirando fuori dal taschino una sorta di biglietto da visita di plastica, il «nuclear biscuit» sul quale sono incisi dei codici di riconoscimento che legge al telefono.

Un minuto dopo la trasmissione dell’ordine l’NMCC del Pentagono invia l’allarme agli equipaggi prescelti.

 I missili intercontinentali vengono preparati:

i silos che li contengono si aprono e i missili vengono lanciati verso il nemico 20 minuti dopo l’attacco.

 

30 minuti dopo il lancio: i missili nemici raggiungono gli Usa.

Pochi minuti dopo la risposta americana, una raffica di missili colpisce le zone negli Stati Uniti dove si trovano i silos sotterranei che contengono i missili:

sono ormai vuoti ma un numero incalcolabile di cittadini del North Dakota, Montana, Wyoming, Colorado e Nebraska muoiono sul colpo.

Sarà colpita anche Washington dove si trovano la Casa Bianca, il Pentagono e altri obiettivi ad alto rischio.

L'istante dell'esplosione nucleare.

Il Washington Post per delineare lo scenario di devastazione nucleare ha chiesto aiuto a Sébastien Philippe, ricercatore del Programma di Scienza e Sicurezza Globale dell'Università di Princeton che si occupa di creare modelli sugli effetti delle armi nucleari.

Al momento della detonazione una palla di fuoco più calda della superficie del sole disintegrerebbe gli edifici di cemento, le persone, gli animali, gli alberi, le auto che si trovano nel raggio di diverse centinaia di metri dai luoghi dell’esplosione.

 Il calore e la luce dell’esplosione potrebbero innescare incendi e causare ustioni di terzo grado alle persone che si trovano entro tre chilometri.

La potente onda d’urto provocherebbe gravi danni a oltre un chilometro e mezzo di distanza.

Le finestre degli edifici che si trovano nel raggio di 10 chilometri dall’esplosione andrebbero in frantumi.

Oltre mezzo milione di persone morirebbero all’istante. Venti dell’intensità di un uragano e incendi causerebbero altre vittime.

 

6-8 minuti dopo l'esplosione: la contaminazione nucleare.

 

Entro 6-8 minuti dall’esplosione si alzerebbero nubi con detriti radioattivi capaci di raggiungere i 12 mila metri di altitudine.

Il materiale radioattivo rilasciato nell’atmosfera, il fallout, inizierebbe a tornare sulla Terra, contaminando tutto quello che incontra per centinaia di chilometri, nella direzione dei venti (le conseguenze potrebbero raggiungere anche New York). Circa un milione di persone morirebbe entro pochi giorni a causa delle dosi elevate di radiazioni.

 Ampie zone del Maryland, del Delaware e della Virginia settentrionale diventerebbero inabitabili, come lo è stata la zona intorno a Chernobyl.

 

45 minuti dopo il lancio nemico.

 

Meno di un’ora dopo il decollo dei missili nemici, la controffensiva statunitense colpirà gli obiettivi prescelti nel Paese ostile.

Innumerevoli altre persone verrebbero uccise.

Un attacco su vasta scala tra i principali attori nucleari – conclude il Washington Post – ucciderebbe milioni di persone, contaminando con le radiazioni vaste aree del pianeta.

Potrebbe verificarsi un inverno nucleare, con il fumo e la fuliggine delle esplosioni che impediscono al Sole di raggiungere la Terra.

Un’apocalisse che fa venire la pelle d'oca.

 

 

 

 

Lo spettro del nucleare: la paura

rinasce nel conflitto tra Iran e Israele.

 Eurobull.it – (19 giugno 2025) - Camilla Scaglione – ci dice:

 

(canva.com/design/DAGqu1X_i-o/d4RBJkdISoq4KChJ5cBjDw/edit?utm_content=DAGqu1X_i-o&utm_campaign=designshare&utm_medium=link2&utm_source=sharebutton).

L’atomica: uno spettro che si credeva morto nell’89, con la caduta del Muro di Berlino, trova di nuovo terreno fertile in Medioriente.

Due colossi militari, come Iran e Israele, si fronteggiano su un tema quanto mai delicato.

La Russia, altra grande minaccia nucleare nonché parte di un’ulteriore guerra, è proposta come mediatore.

 

Il Medioriente sta subendo un attacco multipolare su più fronti, che lasciano aperte o, forse sarebbe più corretto dire, riaprono ferite mai cicatrizzate a pieno.

La seconda metà di questo 2025 si rivela non meno tragica degli ultimi quattro anni a livello di pace e comunicazione internazionale.

Giugno si schiude infatti con l’apertura di un nuovo fronte per la missione di Netanyahu, la cui strategia, del tutto priva di riguardo per i diritti umanitari, si scaglia non più su Gaza, o almeno non solo su di essa, ma si sposta contro un antico nemico, un colosso musulmano di nome” Iran”.

 

L’Iran, che dagli anni Ottanta del secolo scorso, con la rivoluzione di Khomeini, è a tutti gli effetti una teocrazia islamica, mette paura a tanti per il suo potenziale nucleare.

 l’Iran infatti è uno tra gli stati ad essere sulla zona limite, in termini tecnici “nuclear threshold state”, per quanto riguarda tutto ciò che si può incasellare nella dimensione delle armi nucleari, missili soprattutto.

Lo Stato ad oggi non ha dichiarato di avere o di aver testato armi del genere, ma la paura della comunità internazionale è che, avendo davanti un paese in via teorica in grado di creare un’arma atomica, si giunga a una rapida escalation dovuta al conflitto iraniano-israeliano che porterebbe l’Iran a compiere quel salto finale nel processo atomico.

 

Bisogna ricordare, parlando di questi due stati, che hanno portato avanti per decenni una “proxy war”, o “guerra per procura”.

 In altri termini un conflitto dove le due potenze si sono confrontate in modo indiretto tramite parti terze, da vedersi soprattutto in milizie sciite filo-iraniane all’attacco di obiettivi israeliani.

 

Lo scenario è cambiato nell’ottobre del 2024, quando l’Iran dà l’avvio all’operazione” True Promise II”, in cui il primo giorno del mese lo stato lancia circa 200 missili balistici contro basi e obiettivi di bandiera israeliana.

 Il movente sembra ricadere in una rappresaglia in memoria delle uccisioni tra i vertici di Hamas e Hezbollah nell’ottobre 2023.

L’azione non rimane, però, impunita:

Israele, il 26 ottobre, avvia l’operazione “Days of Repentance”, una complessa manovra dell’aviazione israeliana contro importanti siti e armi iraniani.

 

La situazione subisce un’impennata nella gravità con l’attacco, di matrice israeliana, avvenuto solo alcuni giorni fa.

Infatti Netanyahu ha dato il via il 13 giugno 2025 a un’operazione denominata “Rising Lion”, con la quale il suo paese ha colpito siti militari e soprattutto nucleari iraniani e ne ha decimato i vertici militari.

 

Per ora Israele non ha provocato alcun danno alla famiglia del leader religioso, ma di fatto anche figura più potente nello Stato,” Ali Khamenei”.

Khamenei, ora ultra ottantenne, è la “Guida Suprema” della Repubblica Islamica dell’Iran, succeduto all’ayattolah Khomeini nell’89, si trova, allo stato attuale delle cose, in un bunker sotterraneo la cui locazione non è stata resa nota per ovvi motivi di sicurezza.

L’uomo si trova lì con i suoi parenti più stretti, tra cui, suo possibile successore, il figlio Mojtaba Khamenei.

 Il leader sarebbe infatti, anche se le fonti ufficiali non hanno mai confermato, malato da diverso tempo.

 Parrebbe, inoltre, che lo staff della Guida Suprema stia lavorando in modo molto serrato per ottenere una via di fuga sicura per Khamenei e famiglia in Russia, portando quindi in gioco un’altra pedina fondamentale sul piano globale: Vladimir Putin.

 

Reduci dall’attacco alla principale Tv iraniana e dall’affermazione del presidente in carica Netanyahu che la morte di Khameini potrebbe portare a una fine repentina della guerra, i potenti della Terra si domandano cosa fare di fronte a un conflitto che, da freddo che era, si è scaldato in modo repentino e, sembrerebbe anche poco reversibile senza interventi miliari esterni.

 La grande paura del mondo ritorna l’incognita nucleare, in un distopico secondo ventennio del XXI secolo, che vedrebbe risorgere le ceneri della Mad, o mutual assured destruction, e il gigantesco fantasma atomico che era stato protagonista della Guerra Fredda in tutto il mondo.

 

L’elemento terrificante in termini umanitari di questo nuovo, anche se come abbiamo visto non lo è per intero, conflitto in Medioriente è il distoglimento dell’attenzione internazionale dall’altro grande scontro che si sta giocando, questa volta in territorio europeo, ossia la guerra tra Ucraina e Russia.

Da questo Putin e la sua nazione hanno solo che da guadagnare, in quanto potrebbe portare a una cessazione degli aiuti umanitari e militari internazionali alla sua controparte e far passare in sordina l’eventuale annessione dei territori occupati, come accaduto nel 2014 con la Crimea.

 

A conti fatti, l’interesse mondiale ora risiede nell’evitare una possibile o anche solo pensabile escalation nucleare in Medioriente ed è un punto in agenda imprescindibile per la sicurezza globale.

 Il cruccio sta nel comprendere se questa allerta vada a richiedere interventi di agenti internazionali non proprio adesi alla “Carta dei Diritti dell’Uomo”, vedasi la Russia, come intermediario tra le fazioni, dimentichi del fatto che si sta comunque venendo a patti con un paese che si macchia da oltre tre anni dell’uccisione di ucraini di ogni genere, classe ed età.

(Camilla Scaglione).

 

 

NON ESISTE UNA GUERRA

NUCLEARE A BASSA INTENSITÀ.

Poterealpopolo.org – (28 Giugno 2024) – Redazione – Vijay Prashad – ci dice:

 

C’è stato un tempo in cui gli appelli per un’Europa libera dal nucleare risuonavano in tutto il continente.

È iniziato con l’Appello di Stoccolma (1950), che si apriva con le potenti parole “Noi esigiamo l’assoluto divieto dell’arma atomica. Noi consideriamo che il governo il quale utilizzasse contro qualsiasi paese l’arma atomica, commetterebbe un crimine contro l’umanità e dovrà essere considerato come criminale di guerra” e si è poi approfondito con l’Appello per il disarmo nucleare europeo (1980), che lanciava l’agghiacciante monito “Stiamo entrando nel decennio più pericoloso della storia umana”.

Circa 274 milioni di persone firmarono l’appello di Stoccolma, tra cui – come spesso riportato – l’intera popolazione adulta dell’Unione Sovietica.

 Eppure, dall’appello europeo del 1980, sembra che ogni decennio sia sempre più pericoloso del precedente.

 “Mancano ancora 90 secondi alla mezzanotte”, hanno scritto a gennaio i redattori del “Bulletin of the Atomic Scientists” (i custodi del “Doomsday Clock”).

 La mezzanotte è l’Armageddon.

Nel 1949, l’orologio era a tre minuti dalla mezzanotte e nel 1980 si era leggermente ritirato dal precipizio, tornando a sette minuti dalla stessa.

 Nel 2023, tuttavia, la lancetta dell’orologio si è spostata fino a novanta secondi dalla mezzanotte, dove si trova tuttora, il momento più vicino all’annientamento su larga scala.

 

Questa situazione precaria rischia di raggiungere oggi un punto di svolta in Europa.

Per comprendere le pericolose possibilità che potrebbero essere scatenate dall’intensificarsi delle provocazioni in Ucraina, abbiamo collaborato con “No Cold War” per produrre il briefing n. 14:

 NATO’s Actions in Ukraine Are More Dangerous than the Cuban Missile Crisis.

Vi invitiamo a leggere attentamente questo testo e a diffonderlo il più possibile.

 

Negli ultimi due anni, in Ucraina è scoppiata la più grande guerra europea dal 1945.

 La causa principale di questa guerra è il tentativo degli Stati Uniti di espandere l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) in Ucraina.

Ciò viola le promesse fatte dall’Occidente all’Unione Sovietica durante la fine della Guerra Fredda, come ad esempio che la NATO non si sarebbe mossa “di un solo centimetro verso est”, come assicurò il Segretario di Stato americano James Baker al Presidente sovietico Mikhail Gorbaciov nel 1990.

 Nell’ultimo decennio, il Nord globale ha ripetutamente snobbato le richieste russe di garanzie di sicurezza.

È stato questo disinteresse per le preoccupazioni russe che ha portato allo scoppio del conflitto nel 2014 e alla guerra nel 2022.

 

Oggi, una NATO armata di armi nucleari e una Russia armata di armi nucleari sono in conflitto diretto in Ucraina.

 Invece di prendere provvedimenti per porre fine a questa guerra, negli ultimi mesi la NATO ha fatto diversi nuovi annunci che minacciano di far degenerare la situazione in un conflitto ancora più grave, con il potenziale di estendersi oltre i confini dell’Ucraina.

Non è esagerato dire che questo conflitto ha creato la più grande minaccia alla pace mondiale dai tempi della crisi dei missili di Cuba (1962).

 

Questa pericolosissima escalation conferma la correttezza della maggioranza degli esperti statunitensi sulla Russia e sull’Europa orientale che da tempo mettono in guardia contro l’espansione della NATO nell’Europa orientale.

Nel 1997, “George Kennan”, il principale architetto della politica statunitense durante la Guerra Fredda, ha affermato che questa strategia è “l’errore più fatale della politica americana nell’intera era post-Guerra Fredda”.

La guerra in Ucraina e i pericoli di un’ulteriore escalation confermano appieno la serietà del suo monito.

 

In che modo la NATO sta intensificando il conflitto in Ucraina?

I più pericolosi sviluppi recenti di questo conflitto sono le decisioni prese a maggio da Stati Uniti e Gran Bretagna di autorizzare l’Ucraina a utilizzare le armi fornite dai due Paesi per condurre attacchi militari all’interno della Russia.

Il governo ucraino ha immediatamente utilizzato questa possibilità nel modo più provocatorio possibile, attaccando il sistema di allarme rapido per missili balistici della Russia.

Questo sistema di allarme non ha alcun ruolo nella guerra in Ucraina, ma è una parte centrale del sistema di difesa della Russia contro gli attacchi nucleari strategici. Inoltre, il governo britannico ha fornito all’Ucraina i missili “Storm Shadow”, che hanno una gittata di oltre 250 km e possono colpire obiettivi non solo sul campo di battaglia, ma anche all’interno della Russia.

 L’uso di armi della NATO per attaccare la Russia rischia una contro-risposta russa equivalente, minacciando di estendere la guerra oltre l’Ucraina.

 

A ciò ha fatto seguito l’annuncio di giugno del Segretario generale della NATO “Jens Stoltenberg” della creazione di un quartier generale della NATO per le operazioni nella guerra in Ucraina presso la base militare statunitense di “Wiesbaden”, in Germania, inizialmente composta da 700 persone.

 Il 7 giugno il Presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che il suo governo stava lavorando per “finalizzare una coalizione” di Paesi NATO disposti a inviare truppe in Ucraina per “addestrare” le forze ucraine.

 In questo modo le forze della NATO entrerebbero direttamente in guerra.

Come hanno dimostrato la guerra del Vietnam e altri conflitti, tali “addestratori” organizzano e dirigono i combattimenti, diventando così bersaglio di attacchi.

 

Perché l’escalation in Ucraina è più pericolosa della crisi dei missili di Cuba?

La crisi dei missili di Cuba fu il prodotto di un calcolo avventuristico sbagliato da parte della leadership sovietica, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero tollerato la presenza di missili nucleari sovietici a soli 144 km dalla costa statunitense più vicina e a circa 1.800 km da Washington.

Tale dispiegamento avrebbe reso impossibile per gli Stati Uniti difendersi da un attacco nucleare e avrebbe “livellato il campo di gioco”, poiché gli Stati Uniti avevano già tali capacità nei confronti dell’Unione Sovietica.

 Gli Stati Uniti, com’era prevedibile, hanno chiarito che ciò non sarebbe stato tollerato e che lo avrebbero impedito con ogni mezzo necessario, compresa la guerra nucleare.

Con il Doomsday Clock a 12 minuti dalla mezzanotte, la leadership sovietica si rese conto dell’errore di calcolo e, dopo alcuni giorni di intensa crisi, ritirò i missili. Seguì un allentamento delle tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica, che portò al primo “Trattato sulla messa al bando parziale degli esperimenti nucleari” (1963).

 

Nel 1962 non volarono proiettili tra Stati Uniti e URSS. La crisi dei missili di Cuba fu un incidente a breve termine estremamente pericoloso che avrebbe potuto scatenare una guerra su larga scala, anche nucleare.

Tuttavia, a differenza della guerra in Ucraina, non derivava da una dinamica di guerra già esistente e in via di intensificazione da parte degli Stati Uniti o dell’URSS.

Pertanto, pur essendo estremamente pericolosa, la situazione poteva anche essere, ed è stata, rapidamente risolta.

 

La situazione in Ucraina, così come il crescente conflitto intorno alla Cina, sono strutturalmente più pericolosi.

È in corso un confronto diretto tra la NATO e la Russia, dove gli Stati Uniti hanno appena autorizzato attacchi militari diretti (immaginate se, durante la crisi del 1962, le forze cubane armate e addestrate dall’Unione Sovietica avessero effettuato importanti attacchi militari in Florida).

Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno aumentando direttamente le tensioni militari con la Cina intorno a Taiwan e al Mar Cinese Meridionale, oltre che nella penisola coreana.

Il governo statunitense è consapevole di non poter permettersi di subire l’erosione della propria posizione di supremazia globale e ritiene, a ragione, di poter perdere il proprio dominio economico a favore della Cina.

 Per questo motivo si sposta sempre più spesso sul terreno militare, dove mantiene ancora un vantaggio.

La posizione degli Stati Uniti su Gaza è determinata in modo significativo dalla consapevolezza di non potersi permettere un colpo alla propria supremazia militare, incarnata dal regime che controlla in Israele.

 

Gli Stati Uniti e i loro partner della NATO sono responsabili del 74,3% della spesa militare globale.

Nel contesto della crescente spinta degli Stati Uniti verso la guerra e l’uso di mezzi militari, la situazione in Ucraina, e potenzialmente intorno alla Cina, sono in realtà altrettanto e potenzialmente più pericolose della crisi dei missili di Cuba.

 

Come devono negoziare le parti in guerra?

Alcune ore dopo l’ingresso delle truppe russe in Ucraina, entrambe le parti hanno iniziato a parlare di una riduzione delle tensioni.

Questi negoziati si sono sviluppati in Bielorussia e in Turchia prima di essere vanificati dalle assicurazioni della NATO all’Ucraina di un sostegno infinito e senza limiti volto a “indebolire” la Russia.

Se questi primi negoziati si fossero sviluppati, migliaia di vite sarebbero state risparmiate.

Tutte le guerre di questo tipo finiscono con i negoziati, ed è per questo che prima si sarebbero potuti svolgere, meglio sarebbe stato.

Questa è un’opinione ormai apertamente riconosciuta dagli ucraini.

“Vadym Skibitsky,” vice capo dell’intelligence militare ucraina, ha dichiarato a “The Economist” che i negoziati sono all’orizzonte.

 

Da molto tempo ormai, il fronte Russia-Ucraina non si è mosso in modo drammatico.

Nel febbraio 2024, il governo cinese ha pubblicato una serie di principi in dodici punti per guidare un processo di pace.

Questi punti – tra cui l’”abbandono della mentalità da Guerra Fredda” – avrebbero dovuto essere presi in seria considerazione dalle parti belligeranti.

 Ma gli Stati della NATO li hanno semplicemente ignorati.

Alcuni mesi dopo, dal 15 al 16 giugno, si è tenuta in Svizzera una conferenza guidata dall’Ucraina, alla quale la Russia non è stata invitata e che si è conclusa con un comunicato che ha preso in prestito molte delle proposte cinesi sulla sicurezza nucleare, sulla sicurezza alimentare e sullo scambio di prigionieri.

 

Mentre alcuni Stati – dall’Albania all’Uruguay – hanno firmato il documento, altri Paesi che hanno partecipato all’incontro si sono rifiutati di sottoscriverlo per una serie di motivi, tra cui la sensazione che il testo non prendesse sul serio le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza.

Tra i Paesi che non hanno firmato ci sono Armenia, Bahrein, Brasile, India, Indonesia, Giordania, Libia, Mauritius, Messico, Arabia Saudita, Sudafrica, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti.

 Pochi giorni prima della conferenza in Svizzera, il Presidente russo Vladimir Putin ha presentato le sue condizioni per la pace, che includono la garanzia che l’Ucraina non si unirà alla NATO.

 Questo punto di vista è condiviso dai Paesi del Sud globale che non hanno aderito alla dichiarazione della conferenza tenutasi in Svizzera.

 

Sia la Russia che l’Ucraina sono disposte a negoziare. Perché si dovrebbe permettere agli Stati della NATO di prolungare una guerra che minaccia la pace nel mondo? Il prossimo vertice della NATO, che si terrà a Washington dal 9 all’11 luglio, deve sentirsi dire, a voce alta e chiara, che il mondo non vuole la sua pericolosa guerra o il suo decadente militarismo.

 I popoli del mondo vogliono costruire ponti, non farli saltare in aria.

 

Il briefing n. 14, una chiara valutazione degli attuali pericoli legati all’escalation in Ucraina e dintorni, sottolinea la necessità che Abdullah El Harif del Partito della Via Democratica dei Lavoratori in Marocco e io stesso abbiamo già articolato nell’”Appello di Bouficha” contro i preparativi per la guerra del 2020, cioè la necessità che i popoli del mondo:

si oppongano al guerrafondaio imperialismo statunitense che vuole imporre guerre pericolose a un pianeta già fragile;

si oppongano alla saturazione del mondo con armi di ogni tipo, armi che infiammano i conflitti e spesso spingono i processi politici verso guerre senza fine;

si oppongano all’uso del potere militare per impedire lo sviluppo sociale dei popoli del mondo;

difendano il diritto dei Paesi a costruire la propria sovranità e la propria dignità.

Le persone sensibili di tutto il mondo devono far sentire la loro voce nelle strade e nei corridoi del potere per porre fine a questa pericolosa guerra e per avviarci verso un percorso che superi il mondo del capitalismo delle guerre senza fine.

(Vijay Prashad.)

 

 

 

 

Cos’è la GBU-57: la bomba anti-bunker

che potrebbe essere impiegata in Iran.

Rsi.ch – Ludovico Camposampiero con AFP – Redazione – (18 giugno 2025) – ci dice:

 

Se gli USA scendessero in campo a fianco di Israele, potrebbero contare su un’arma devastante per distruggere i siti nucleari, ma le conseguenze del suo impiego sarebbero gravi.

Esiste una foto rilasciata dall'Aeronautica Militare degli Stati Uniti il 2 maggio 2023, con alcuni aviatori che osservano una bomba GBU-57, o Massive Ordnance Penetrator, presso la base aerea di Whiteman nel Missouri.

 

Gli Stati Uniti potrebbero decidere di unirsi a Israele nella guerra contro l’Iran? Un’ipotesi che non fa l’unanimità, ma che sta facendo sempre più discutere nelle ultime ore.

Il motivo sarebbe quello di aiutare lo Stato ebraico a raggiungere il suo obiettivo dichiarato, ovvero impedire a Teheran di costruire una bomba atomica. Eventualità anch’essa dibattuta, che vede esperti di sicurezza, servizi segreti e anche le Cancellerie di tutto il mondo divisi tra chi sostiene che la Repubblica islamica sta perseguendo questo scopo e chi invece dichiara che non ci sono evidenze in questo senso.

Teheran ha per parte sua dichiarato che il suo programma nucleare è pacifico, mentre la scorsa settimana il consiglio di amministrazione dell’AIEA – l’Agenzia internazionale per l’energia atomica – ha dichiarato che l’Iran ha violato gli obblighi di non proliferazione.

 

Tuttavia, indipendentemente da queste considerazioni, se veramente il presidente statunitense Donald Trump dovesse decidere di impegnare gli USA nel conflitto a fianco dello Stato ebraico, potrebbe entrare in gioco un’arma specifica di cui si sta ampiamente parlando negli ultimi giorni:

 la GBU-57, una potente bomba anti-bunker statunitense, che fungerebbe da arma strategica essendo l’unica bomba in grado di distruggere le strutture nucleari iraniane profondamente sepolte.

 

Di cosa di tratta e come funziona?

La GBU-57 è una bomba guidata anti-bunker costruita dalla Boeing e sviluppata per l’aeronautica militare statunitense.

Con un peso di circa 13 tonnellate per “soli” 6 metri di lunghezza circa, è considerata quella con la più alta capacità di penetrazione, raggiungendo anche i 60 metri nel cemento prima di esplodere.

Questa sarebbe l’unica arma convenzionale (ovvero non nucleare, ndr.) capace di distruggere i siti nucleari iraniani.

 

L’unico aereo in grado di trasportare questi ordigni è il B-2, il bombardiere strategico stealth, utilizzato solo dagli USA, del quale esistono 20 esemplari in servizio.

 I B-2 hanno un’autonomia di oltre 11’000 km e sono quindi in grado di raggiungere il Medio Oriente partendo anche da basi molto lontane.

A differenza di molti missili o bombe che fanno esplodere le loro cariche all’impatto, queste testate anti-bunker penetrano prima nel terreno ed esplodono solo una volta raggiunta l’installazione sotterranea.

Perché questa bomba?

Sebbene in cinque giorni l’esercito israeliano sia riuscito a decimare il comando militare iraniano e una serie di installazioni di superficie, “ci sono ancora molti interrogativi sull’efficacia degli attacchi israeliani contro il cuore pulsante del programma nucleare iraniano”, ha riassunto all’”agenzia AFP Behnam Ben Taleblu”, esperto della “Foundation for Defense of Democracies”, un centro di ricerca neoconservatore statunitense, aggiungendo però che l’impiego di una simile arma avrebbe un enorme costo politico.

 

Esiste la fotografia del 2020 di un bombardiere stealth B-2 Spirit.

Il monito dell’AIEA.

Indipendentemente dall’impiego o meno delle GBU-57, prendere di mira i siti nucleari iraniani pone enormi rischi dal profilo della sicurezza, motivo per il quale la stessa AIEA ha ribadito pochi giorni fa che gli attacchi possono causare rilasci radioattivi e che gli attacchi armati contro installazioni nucleari pacifiche violando i principi della Carta dell’ONU, il diritto internazionale e lo statuto della AIEA e che sono un ostacolo alla diplomazia, in quanto compromettono gli sforzi diplomatici per risolvere pacificamente le questioni legate al programma nucleare iraniano.

 

Dominio e legittimità, Medioriente e Occidente.

Rivistailmulino.it - Sergio Della Pergola – (17 luglio 2025) – ci dice:

 

Le reazioni occidentali sono spesso sbilanciate e la mancata autodeterminazione palestinese deriva anche da una logica di opposizione a Israele.

 

L’indicibile massacro del 7 ottobre 2023 da parte di miliziani e civili gazawi ai danni di oltre 850 civili e 350 militari israeliani e la deportazione a Gaza di 251 persone, vive o morte, faceva parte del piano concordato fra la Repubblica islamica dell’Iran e i suoi alleati in Medioriente, in particolare Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, orientato a distruggere lo Stato d’Israele.

Se il piano di attacco fosse stato eseguito simultaneamente, con lanci di migliaia di missili da Nord, da Sud e da Est, e con l’invasione del territorio da Gaza e dal Libano, la capacità di difesa di Israele sarebbe divenuta estremamente precaria. Solo grazie alla non simultaneità dell’attacco, per ragioni nel frattempo chiarite, Israele ha potuto superare lo shock iniziale, attuando una reazione più che proporzionale, con danni irreparabili alle forze militari dei movimenti terroristici a Gaza e in Libano e alle strutture militari iraniane nei dodici giorni dal 13 al 25 giugno.

Gli equilibri di forza preesistenti sono cambiati con l’uccisione di gran parte dei quadri dirigenti a Gaza, in Libano e in Iran, e un sostanziale, anche se temporaneo, indebolimento dell’intromissione operativa nucleare nel conflitto mediorientale.

Le operazioni militari hanno causato danni collaterali alla popolazione civile, devastanti soprattutto a Gaza.

 

Contrariamente alle aspettative, in Italia e nel mondo le reazioni all’abnorme atto iniziale del 7 ottobre sono state molto scarse.

 Nei giorni fra il 7 ottobre e l’intervento militare israeliano sono perfino aumentati sia gli atteggiamenti negativi verso Israele sia l’empatia verso l’Islam (cfr. A.D. Colombo, G. Dalla Zuanna, F. Quassoli, B. Saracino, M. Scioni, Studenti universitari, ebrei e Israele prima e dopo il 7/10/2023. Una rilevazione negli atenei del Nord, Istituto Cattaneo, 2023).

Tra le principali linee critiche su Israele:

 gli israeliani se la sono voluta, dopo la prolungata occupazione dei territori palestinesi;

 l’operazione armata di Hamas il 7 ottobre è una legittima rivendicazione dei diritti repressi dei palestinesi;

 Israele ha sbagliato a reagire a Gaza, dando adito a reazioni antisemite nel mondo intero;

la reazione degli ebrei, dopo l’esperienza della Shoah, dimostra che sarebbe stato meglio se Israele non fosse nata.

 

Una sintesi dell’attuale fase del conflitto in Medioriente estesa a considerazioni geopolitiche più ampie si focalizza su tre punti:

la centralità ineludibile della questione palestinese;

 gli equilibri di forza regionali e la loro legittimità politica;

la dimensione internazionale, nella forma specifica dell’alleanza tra Israele e Stati Uniti.

I fatti in Iran costituirebbero un altro esempio di progetto politico fondato su logiche di dominio.

 La legittimità di questo nuovo ordine dipenderà, però, dall’efficacia delle nuove forze che vi si opporranno.

 

La postura dialetticamente asimmetrica di molti occidentali nei confronti del Medioriente conduce inevitabilmente a due pesi e due misure nei giudizi rispetto a fenomeni che, pur svolgendosi in luoghi diversi, condividono molti elementi comuni.

 Per esempio, i bombardamenti russi in Ucraina e i bombardamenti israeliani a Gaza hanno sollecitato risposte ben diverse nel giornalismo e anche nell'accademia, anche se entrambi si potrebbero ricondurre a un esame congiunto dell'uso della forza nella soluzione di conflitti con una valenza etnica, oltre che territoriale.

 

L'osservatore occidentale fa parte di una diade osservatore-osservato: chi viene osservato, in questo caso il mediorientale, ha pari diritto di esprimere un giudizio sull’osservatore.

 

In realtà, l'osservatore occidentale fa parte di una diade osservatore-osservato. Chi viene osservato, in questo caso il mediorientale, ha pari diritto di esprimere un giudizio sull’osservatore, sul suo contesto storico-politico, i suoi strumenti cognitivi, i suoi interessi particolari.

Questo contro giudizio simmetrico dovrebbe far parte del dibattito, affinché questo assuma maggiore corposità e validità.

 Cerchiamo di chiarire alcune intersezioni fra queste diverse proposizioni.

 

Nell’ambito del conflitto in Palestina e Israele, i critici di quello che viene definito il permanente impedimento all’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese ritengono che tale fallimento avrebbe generato ulteriori forze di resistenza e di combattimento, non violente o anche violente.

 Per esempio, la sanguinosa rivolta araba del 1936 in Palestina sarebbe stata popolare, dunque fenomeno sociologicamente spontaneo e dovuto, mentre le contromisure sarebbero state quelle di milizie sioniste (appoggiate ovviamente dal regime coloniale britannico), dunque di apparati artificiosi e burocratizzati.

Questo approccio discrimina gerarchicamente fra diritti civili e politici palestinesi e israeliani.

 

In questa lettura manca invece una spiegazione della non proclamazione dello Stato arabo in Palestina nel lasso fra la spartizione del territorio decisa dell’assemblea dell’Onu nel novembre 1947 e la dichiarazione di indipendenza dello Stato ebraico del maggio 1948.

Il piano di spartizione dell’Onu, com’è noto, delineava uno Stato arabo, uno Stato ebraico e un “corpus separatum” per l’area di Gerusalemme e Betlemme.

Sarebbe bastata questa dichiarazione di volontà sovrana da parte palestinese per creare una realtà geopolitica completamente diversa, magari perfino un confronto diretto Usa-Urss sull’angusto territorio fra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo (anche se l’Urss nel 1947 votò a favore e fu la prima a riconoscere lo Stato d’Israele).

Di fatto, in seguito alla guerra del 1948-1949, il territorio del designato Stato arabo fu occupato dall’Egitto (a Gaza), dalla Transgiordania (in Cisgiordania), con gli arabi palestinesi nel ruolo di comprimari, oltre che da Israele (in molte zone di confine tra le due parti e di guerra combattuta).

 

Questo tipo di analisi ignora del tutto il concetto di due Stati per due popoli, ossia il riconoscimento della presenza sul territorio di due attori nazionali e politici entrambi legittimi titolari di sovranità.

 Nel 1948 la parte ebraica aveva completato da tempo il processo di elaborazione interna dello Stato moderno, con tutti gli organi costituzionali, i partiti politici, le strutture economiche e anche le forze armate al loro posto e funzionanti. La parte araba, invece, rispondeva ancora a logiche istituzionali e interessi particolari di tipo feudale, con scarsa partecipazione popolare alla costruzione della sovranità statale e delle sue strutture e con evidenti rapporti di dipendenza militare rispetto alle potenze straniere.

Nella Seconda guerra mondiale, la parte ebraica inviò una brigata di soldati a combattere nelle file inglesi per la liberazione dell’Europa.

La parte araba, ispirata dal gran mufti di Gerusalemme, restò invece nell’illusione di una vittoria della Germania nazista.

 

L’autodeterminazione palestinese fallì all’origine per carenza di maturità evolutiva o perfino per alterità nei confronti del concetto di Stato moderno autonomo e indipendente, basato su un’identità positiva del proprio essere sociale. Il principio fondante dell’essere comune palestinese fu, invece, fin dall’inizio l’opposizione a Israele, la resistenza violenta attuata contro la mera esistenza dell’altro.

Questa strategia, promossa da un attore politico dopo l’altro, è stata codificata da Hamas nella sua carta costituente del 1988, con gli espliciti riferimenti ai Protocolli dei Savi di Sion e l’aperto invito a uccidere l’ebreo (non solo l’israeliano) “che si cela dietro i sassi e gli alberi”.

 A queste pulsioni di evidente ispirazione nazista si sono associate nel corso dei decenni altre forze integraliste islamiche, sunnite o sciite – vedi l’orologio segnatempo della distruzione di Israele in piazza Palestina a Teheran.

 

Fra gli analisti, coscientemente o meno, la difesa del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi sembra coesistere con una certa tolleranza rispetto a questi principi.

Eppure, da studiosi dei sistemi politici che ne hanno viste tante sul suolo dell’Europa, ci si attenderebbe una posizione più cauta, e semmai una critica a entrambe le parti in causa per non aver captato in tempo e adottato un modus vivendi basato su un compromesso politico e territoriale, oltre che sul riconoscimento reciproco delle due differenti identità socioculturali, religiose e politiche.

 

Negli ultimi settantasette anni, Israele ha generalmente imposto la sua forza di fronte a una congerie mutevole di avversari.

 Nella critica a Israele, è evidente la scarsità di riferimenti all’importanza intrinseca dei valori di democrazia, eguaglianza, tolleranza e pluralismo.

 Questi valori dovrebbero essere premessa non negoziabile di ogni discorso politico, ma sono stati calpestati da chi, di volta in volta, ha preso il comando delle operazioni prima retoriche e poi militari contro Israele: dal presidente egiziano Nasser al presidente del Movimento per la liberazione della Palestina Arafat (liberazione da Israele), da Hamas dello sceicco Yassin e di Yahia Sinwar, a Hezbollah di Hassan Nasrallah, convinto erroneamente che Israele fosse l’ormai crollante “posto delle ragnatele”, dall’Iran degli ayatollah Khomeini e Khamenei, ai diversi comprimari – gli Assad in Siria, Saddam Hussein in Iraq, i Houthi nello Yemen.

 

Bisognerebbe prestare maggiore attenzione alla differenza che esiste fra gli slogan sulle massime utopie e le decisioni operative degli addetti alla missilistica.

 

Da parte israeliana non mancano i deliranti discorsi e piani di azione di piccole – sia pure influenti e vocianti – minoranze politiche. Bisognerebbe però prestare maggiore attenzione alla differenza che esiste fra gli slogan sulle massime utopie e le decisioni operative degli addetti alla missilistica.

I pericoli inerenti al credere nella propria propaganda sono dimostrati dalla documentazione scritta reperita negli scavi a Gaza, secondo cui il massacro del 7 ottobre 2023 è iniziato come reazione alla “profanazione della Moschea Al-Aqsa da parte degli estremisti ebrei”, che peraltro non è mai avvenuta.

 In queste menti, la causa, vera o immaginaria, giustifica il mezzo.

Così come non è credibile la proposta di Donald Trump circa lo sgombero totale della zona di Gaza dai suoi abitanti e la creazione di una riviera sulle coste del Mediterraneo orientale.

La voce critica dell’analista dovrebbe intervenire, non accettando a valore nominale – non dico giustificare – le psicologie alterate dei diversi attori.

 

Il territorio di Gaza per vent’anni, dal 2005 al 2025, non ha avuto alcuna presenza di civili israeliani, e in questi vent’anni i gazawi non hanno voluto o saputo sviluppare una società civile e una riforma socioeconomica.

 Gli imponenti aiuti internazionali hanno contribuito a creare una rete sanitaria di discreta qualità, tanto è vero che la mortalità, alla vigilia del 7 ottobre 2023, era comparabile a quella di un Paese europeo come la Polonia.

 La rete scolastica dell’”Unrwa” ha creato accesso quasi universale all’istruzione liceale.

Le forniture alimentari provenienti dall’Onu e da tante ong erano sufficienti a sfamare una popolazione caratterizzata da un alto tasso di accrescimento naturale.

La buona qualità dell’abitato non può non aver sorpreso chi ha seguito le drammatiche scene dei bombardamenti israeliani:

quartieri borghesi di discreta finitura architettonica, grattacieli stilisticamente ragionevoli, qualche albergo con piscina in riva al mare, oltre alle molte viuzze strette e contorte delle parti più vecchie.

 

Ma accanto a questo, il regime di Hamas, al potere nel 2007 dopo aver letteralmente defenestrato (o meglio gettato dai tetti) i funzionari dell’Autorità palestinese, ha investito e sprecato miliardi di euro nel costruire fortificazioni sotterranee senza pari al mondo e nell’acquistare e produrre armamenti da usare contro la popolazione civile israeliana. Le quantità enormi di acciaio, cemento e acqua potabile impiegate per creare l’imprendibile città sotterranea avrebbero potuto essere meglio utilizzate nel creare pieno impiego in progetti di rinnovamento urbano, industrie di consumo, servizi sociali e infrastrutture.

L’elettricità e l’acqua sono state fornite per molti anni attraverso le reti israeliane.

 Il rettangolo di Gaza, chiuso su due lati dal confine con Israele e limitato dalla marina militare israeliana sul lato mediterraneo, avrebbe potuto sviluppare ottime relazioni di vicinato attraverso il quarto lato del confine con l’Egitto.

 Si è preferito invece costruire centinaia di chilometri di tunnel sotterranei per contrabbandare dall’Egitto armi, munizioni e supporti logistici (come le Toyota bianche a bordo delle quali i combattenti di Hamas hanno seminato morte nelle cittadine di frontiera e al festival Nova). Anche l’Egitto, evidentemente, diffidava dei fratelli musulmani oltre la linea di confine di Rafah.

 

Il dossier nucleare dell’Iran, poi, non può essere declassato da minacciosa realtà ad artificio di strumentalizzazione israeliana. È legittimo discutere su quale fosse il livello di progresso conseguito nel progetto nucleare iraniano e se mancassero settimane, mesi o anni al raggiungimento del livello di arricchimento di uranio necessario a creare una o più bombe atomiche.

 Due fatti sono certi: le dichiarazioni della dirigenza islamica iraniana circa l’inevitabile distruzione di Israele e la capacità della missilistica balistica iraniana di raggiungere obiettivi in Israele con sufficiente precisione. Quest’ultimo è forse uno dei dati maggiormente qualificanti dei dodici giorni di guerra nel giugno 2025. I 28 morti, 3 mila feriti, 15 mila senza tetto e 35 mila appartamenti distrutti o danneggiati fra la popolazione civile israeliana sono lontani dalla cifra fra 800 e 4 mila morti che la protezione civile aveva ipotizzato come verosimili in caso di attacco missilistico dall’Iran. La contraerea israeliana ha neutralizzato l’86% dei 530 missili e il 99,9% dei 1.100 droni lanciati. Ma in caso di armamento nucleare, la capacità di intercettare ad alta quota 8 su 9 missili con testata nucleare sarebbe di scarsa utilità.

 

Il discorso critico sulla strategia bellica della Repubblica islamica d'Iran e le sue prestazioni non può dunque essere ridotto a scusa retorica per “delegittimare il regime”.

È necessaria semmai una critica della soppressione in Iran dei diritti civili, lo schiacciamento della società secolare sotto le tonache di un clero ignorante e fanatico, la prevaricazione contro la donna e la diversità e la percentuale alta di risorse nazionali dedicate all’armamento.

 

È facile rivolgersi in direzione opposta, inventando l’ipotesi che Israele, con l’appoggio degli Stati Uniti, stia attuando una pericolosa cospirazione ai danni della pace in Medioriente, del mondo arabo e dell’umanità in generale.

 Oggi esistono numerose e importanti compartecipazioni economiche che legano l’Iran e i Paesi della penisola saudita a interessi industriali, commerciali, mediatici e accademici in Italia e in altri Paesi occidentali. In questa ottica, Israele con le sue azioni infastidisce interessi ben più vasti rispetto alla guerra.

La critica cessa di essere spassionata e riflette coinvolgimenti organici, oltre che interessi economici immediati.

 In un ambito analitico più teorico, come può essere quello del sistema mondiale, non è più chiaro in quale senso scorra il meccanismo della dipendenza di una parte geopolitica nei confronti dell’altra.

 

Come parte di una certa immaginaria visione complottista secondo cui Israele tira le file del malvagio disegno trascinando nel gorgo l’ignaro gigante statunitense, c’è chi vorrebbe nuove forme di opposizione, contestazione e resistenza, che dovranno nascere a livello di società o reti transnazionali: pacifiche, non violente o, anche, violente.

 

I riferimenti alla violenza valicano la soglia della dialettica accettabile. Bisogna stare attenti, qui, a non entrare nel melmoso terreno dell’antisemitismo.

Oggi la collettività ebraica ha tre esigenze non negoziabili:

il diritto alla parità di cittadini;

 il diritto alla propria autonoma memoria storica;

il diritto alla sovranità statale.

L’antisemitismo, secondo questo aggiornamento, è la negazione di uno o più di questi tre fondamentali (per un approfondimento, mi permetto di rimandare al mio Essere ebrei, oggi, Il Mulino, 2024).

 

L’omologazione dell’uso della violenza nei riguardi di Israele è contestuale alla tolleranza nei confronti di regimi o di personaggi mediorientali che, almeno in teoria, non sarebbero ammissibili in un ambito occidentale.

Vengono quindi tollerati, o anche incoraggiati, suprematismi etno- religiosi, il rifiuto di ogni riferimento transnazionale, la chiusura a ogni tolleranza multiculturale, la corsa agli armamenti e l’incremento illimitato dei bilanci militari.

 

Queste contraddizioni rivelano vere e proprie devianze rispetto al sistema di valori democratici conclamato a casa propria e richiedono una spiegazione, che forse risiede nella frustrazione di fronte a un sistema democratico che, dopo decenni di promesse a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha fallito nel mantenerle.

Chi cessa di credere nel presente e nelle sue promesse tende a rifugiarsi nei sogni e nelle utopie.

 Tradotto in politica, questo meccanismo di psicologia di massa fa emergere figure carismatiche, populismo e distruzione degli equilibri democratici sui quali si fondava il sistema.

 I canali di comunicazione di massa e le reti sociali spontanee rafforzano enormemente questi processi trasformativi.

 

L’analisi del caso di Gaza, dei palestinesi e di Israele richiede uno sforzo di sobrietà e autocontrollo, sia in Medioriente sia in Occidente.

 Tre questioni inquietanti nell’attuale fase del discorso in Occidente, strettamente collegate tra di loro, sono:

la diffusa amnesia sia dei valori morali e civili fondanti, sia delle proprie identità culturali;

l’allineamento della sinistra intellettuale e politica su posizioni ideologiche totalmente opposte alla sua tradizione e raison d’être; l’adesione di molte élite intellettuali e politiche a posizioni e interessi incompatibili con il loro ruolo, e il passaggio da creatori a consumatori d’idee.

Da parte di Israele, storicamente, forme violente di opposizione hanno sempre generato contro-opposizione armata.

 

 

 

Il piano di von der Leyen di tassare

 le imprese dell'UE sembra

destinato al fallimento fin dall'inizio.

Politico.eu – (18 luglio 2025) – Giovanni Faggionato – ci dice:

 

La proposta di un'imposta sui ricavi aziendali è stata quasi unanimemente stroncata e sembra improbabile che ottenga il sostegno necessario.

(Il presidente tedesco ha visitato già gli stabilimenti di Air Liquide e ThyssenKrupp).

La tassa proposta si applicherebbe alle aziende con un fatturato superiore a 100 milioni di euro.

BRUXELLES ―Sembra improbabile che il piano della Commissione europea di imporre una tassa sulle imprese di medie dimensioni nell'UE veda mai la luce.

I governi di tutto il continente e il Parlamento europeo, che devono approvare il piano, sono già in fila per respingerlo.

L'imposta, annunciata mercoledì dalla “Presidente della Commissione Ursula von der Leyen” nell'ambito del prossimo bilancio a lungo termine dell'UE, genererebbe 6,8 miliardi di euro all'anno.

 L'idea è che rappresenti una nuova fonte di entrate per finanziare i programmi dell'UE e ripagare i debiti dell'era Covid.

 

Ma quando l'inchiostro sulla politica era ancora fresco, la Germania e i Paesi Bassi sembravano infliggere un colpo fatale.

"Non si può certo parlare di tassazione delle aziende da parte dell'Unione Europea, poiché l'Unione Europea non ha alcuna base giuridica per farlo," ha dichiarato “Merz” durante una conferenza stampa congiunta con il “Primo Ministro britannico Keir Starmer “a Londra.

"Non lo faremo".

 

Il bello è che Merz e von der Leyen provengono dallo stesso partito cristiano-democratico tedesco.

Un portavoce del governo olandese ha dichiarato a POLITICO che "per i Paesi Bassi, la questione non è in discussione", insistendo sulla necessità che l'UE riduca il proprio bilancio anziché aumentarlo.

 

Non sono solo i paesi del Nord Europa – quelli tradizionalmente contrari a una maggiore spesa UE – a opporsi.

Un diplomatico di un paese del Sud meno frugale dal punto di vista fiscale ha dichiarato a POLITICO che sarebbe "difficile" che il piano sopravvivesse.

Anche i membri del Parlamento europeo, che avrebbero dovuto approvare il piano insieme ai paesi membri, non si sono mostrati impressionati.

 

La deputata del Partito Popolare Europeo e vicepresidente della commissione Bilancio “Monika Hohlmeier” ha affermato che la tassa "è in netto contrasto con i nostri sforzi per rafforzare la competitività delle aziende europee, in particolare quelle a media capitalizzazione".

"Sono proprio queste le aziende che stiamo supportando attivamente attraverso un consistente “Fondo per la competitività”, volto a stimolare l'innovazione, incrementare la produttività e rafforzare l'UE come un attraente polo di investimento globale", ha affermato.

 

(Monika Hohlmeier, è  deputata del Partito Popolare Europeo e vicepresidente della Commissione Bilancio) .

Il suo punto di vista è particolarmente importante perché il PPE di centro-destra è il partito più numeroso in Parlamento e il gruppo politico più potente a Bruxelles. Il PPE domina il Collegio dei Commissari e la stessa von der Leyen ne è membro.

 

Come funziona.

La tassa proposta si applicherebbe alle aziende con un fatturato superiore a 100 milioni di euro e verrebbe pagata, cosa controversa, indipendentemente dal fatto che l'azienda realizzi o meno un profitto.

 

La cifra di 100 milioni di euro di fatturato non è poi così elevata come potrebbe sembrare: le grandi banche possono incassare anche 500 volte tanto in un anno.

L'imposta è proposta come una tariffa fissa anziché come percentuale sugli utili.

 Le imprese con un fatturato netto compreso tra 100 e 250 milioni di euro pagheranno una tariffa fissa di 100.000 euro, che salirà a un massimo di 750.000 euro per le imprese con un fatturato superiore a 750 milioni di euro, secondo il testo legislativo pubblicato dalla Commissione.

 

Ciò significa che un'impresa con un fatturato annuo di 750 milioni di euro pagherebbe la stessa cifra di un'impresa con un fatturato annuo di 75 miliardi di euro.

Si prevede che l'imposta genererà 6,8 miliardi di euro all'anno, contribuendo in modo significativo ai quasi 60 miliardi di euro di entrate fiscali dirette annuali che l'UE spera di ricevere a partire dal 2028.

 

“Alessandro Ciriani”, ex ministro del governo italiano di Giorgia Meloni e ora parlamentare dell'UE per il partito Fratelli d'Italia, ha affermato che la proposta è "in contrasto con la volontà della maggioranza del Parlamento".

 

"È un paradosso evidente parlare di sostegno al nostro settore produttivo e poi falciarlo con la lama fiscale", ha affermato.

Anche le aziende lo odiano.

 

(Ursula von der Leyen ha fatto della "competitività" il marchio di fabbrica del suo secondo mandato, e la tassa sulle società è una proposta politica aggressiva.)

“Markus J. Beyrer”, direttore generale della lobby imprenditoriale dell'”UE Business Europe”, ha definito la proposta "totalmente controproducente", mentre “Stefan Pan”, vicepresidente della Confindustria italiana, ha affermato che la cifra di 100 milioni di euro di fatturato "rischia di ostacolare la crescita delle aziende innovative".

 

“Tanja Gönner,” direttrice generale della Federazione delle industrie tedesche, ha invitato Berlino ad assumere una posizione ferma contro la proposta, sostenendo che è "in contrasto con gli obiettivi strategici dell'UE".

Un'idea "pessima."

L'idea di tassare il fatturato invece degli utili è "pessima", ha affermato “Zsolt Darvas”, senior fellow del “think tank Bruegel”.

Un problema è che colpisce settori con margini di profitto molto diversi.

 

Un altro problema è che l'imposta è regressiva, mettendo nello stesso paniere aziende con condizioni finanziarie diverse.

"Non è corretto, semplicemente non è giusto", ha detto Darvas.

 "Probabilmente è l'opzione peggiore".

 

Molti hanno anche obiettato al fatto che sembra diametralmente opposta all'obiettivo della competitività industriale.

Von der Leyen ha fatto della "competitività" il marchio di fabbrica del suo secondo mandato, e la tassa sulle società è una proposta politica aggressiva.

Soprattutto a Berlino.

 

La Germania sta attraversando un periodo di stagnazione economica dopo due anni di recessione.

 La stagnazione economica sta costringendo il governo a riconsiderare completamente la propria politica fiscale nel mezzo di una guerra commerciale con gli Stati Uniti, mettendo ulteriormente a rischio il suo modello economico basato sulle esportazioni.

I funzionari del “Ministero degli Affari economici “avevano già avvertito che la loro valutazione delle entrate del bilancio dell'UE sarebbe dipesa dal modo in cui sarebbe stata considerata la competitività dell'economia europea.

Questo non significa che non ci sia alcuna logica dietro la tassa.

 Le aziende, sia europee che di paesi terzi, beneficiano degli scambi commerciali all'interno dell'Unione e, come ha affermato il parlamentare francese “Fabien Keller” del “gruppo liberale Renew,”

 "ciò è direttamente collegato a un bene pubblico dell'UE: il mercato unico. Senza l'UE, non ci sarebbe un commercio senza intoppi nel più grande mercato unico del mondo".

 

Tuttavia, data l'opposizione così strenua dei paesi membri e dei legislatori, la tassa proposta da von der Leyen ha poche speranze di sopravvivere nella sua forma attuale.

 

 

 

Il Regno Unito sanziona le spie

russe legate agli attacchi

di Mariupol.

Politico.eu – (18 luglio 2025) - Esther Webber- ci dice:

 

I beni dei soggetti sanzionati saranno congelati e sarà loro vietato viaggiare in Gran Bretagna.

(La “Marcia di manifestazione in solidarietà con Mariupol”.)

Una delle unità autorizzate, l'Unità 26165, ha effettuato ricognizioni online per aiutare a indirizzare gli attacchi missilistici contro Mariupol nel 2022, incluso il bombardamento del teatro di Mariupol.

LONDRA — Il Regno Unito ha imposto una serie di sanzioni contro gli ufficiali dell'intelligence militare russa coinvolti negli attacchi contro i civili ucraini e negli attacchi informatici contro la Gran Bretagna.

 

Il Ministero degli Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo (FCDO) ha fatto i nomi di tre unità del servizio di intelligence militare russo GRU e di 18 spie individuali che, a suo dire, avrebbero agito per conto di Vladimir Putin.

Secondo l'FCDO, le unità sono state coinvolte nel bombardamento del teatro di Mariupol nel 2022 e negli sforzi per sostenere la guerra in Ucraina e destabilizzare gli alleati occidentali.

Il Regno Unito sta imponendo ulteriori sanzioni contro "African Initiative", una fabbrica russa di contenuti sui social media accusata di condurre campagne di disinformazione nell'Africa occidentale e di indebolire le iniziative di sanità pubblica con teorie del complotto.

 

I beni dei soggetti sanzionati saranno congelati e sarà loro vietato viaggiare in Gran Bretagna.

Il ministro degli Esteri “David Lammy” ha affermato che ciò avrebbe inviato il messaggio del Regno Unito:

"Vediamo cosa stanno cercando di fare nell'ombra e non lo tollereremo".

 

Una delle unità autorizzate, l'Unità 26165, ha effettuato ricognizioni online per aiutare a indirizzare gli attacchi missilistici contro Mariupol nel 2022, tra cui il bombardamento del teatro di Mariupol.

 

I civili avevano usato l'edificio come rifugio e avevano affisso un grande cartello con la scritta "bambini" in russo davanti al teatro.

 Le autorità ucraine stimarono che nell'attacco siano state uccise 300 persone, mentre l' Associated Press ne ha stimate circa 600.

 

Si ritiene che la stessa unità sia responsabile di attacchi informatici di alto profilo risalenti a un decennio fa, tra cui l'attacco ai dati del Bundestag tedesco nel 2015, del Comitato Nazionale Democratico (DNC) degli Stati Uniti nel 2016 e della campagna presidenziale di Emmanuel Macron del 2017.

 

Secondo il governo britannico, l'unità 26165 ha inoltre ostacolato l'assistenza estera all'Ucraina prendendo di mira porti e snodi di trasporto, mentre il governo francese ha attribuito all'unità la responsabilità degli attacchi informatici sferrati durante i Giochi olimpici e paralimpici di Parigi del 2024.

 

Un altro gruppo, l'Unità 29155, è stato accusato di aver distribuito un malware wiper noto come "WhisperGate" su più di 70 sistemi governativi ucraini in vista dell'invasione russa dell'Ucraina.

 

Le sanzioni annunciate venerdì erano dirette anche alle spie che avevano infettato con un malware il telefono di” Yulia Skripal”, figlia dell'ex spia russa “Sergei Skripal”, cinque anni prima del fallito tentativo di assassinio della coppia con l'agente nervino “Novichok” a Salisbury, in Inghilterra, nel 2018. 

 

L'FCDO ha affermato che la Russia ha preso di mira i media, i fornitori di telecomunicazioni, le istituzioni politiche e le infrastrutture energetiche nel Regno Unito.

Gli alleati della NATO hanno rilasciato una dichiarazione di sostegno, affermando: "Condanniamo fermamente le attività informatiche dannose della Russia, che costituiscono una minaccia per la sicurezza degli Alleati" e "siamo solidali" con le azioni del Regno Unito.

 

 

 

 

Il governo. Tajani: nessuna ambiguità

davanti a una minaccia nucleare.

Avvenire.it - Pino Ciociola – (sabato 14 giugno 2025) – ci dice:

 

«Siamo in prima linea per favorire la de-escalation tra Israele e Iran, è fondamentale non recidere il filo del dialogo», ha detto il ministro degli Esteri.

 «Per Tel Aviv è in gioco la sopravvivenza».

Detto dal ministro “Antonio Tajani).

 

Nottata di attacchi e contrattacchi.

Poi, stamane, la notizia: la guerra «durerà giorni, se non settimane», ha detto ad Antonio Tajani, il ministro degli Esteri d’Israele,” Gden Sa’ar”, come riferito poco fa dallo stesso ministro italiano alle Commissioni parlamentari Esteri congiunte.

Mentre agenzie stampa e media iraniani facevano sapere che «useremo 2mila missili contro Israele», che «secondo alti comandanti militari dell'Iran, la guerra si estenderà nei prossimi giorni e includerà anche basi Usa nella regione.

Gli aggressori saranno l'obiettivo di una risposta iraniana decisa e su vasta scala».

 

Scenario più che drammatico, insomma.

Il nostro ministro degli Esteri lo sa e sa anche – spiega – come «sapevamo che l'attacco israeliano fosse imminente, ma non immediato.

Nessuno in Europa, né gli Usa, era stato informato preventivamente». Premesso questo, «di fronte a una minaccia nucleare, non può esservi alcuna ambiguità – continua Tajani -: l'Iran non può dotarsi della bomba atomica», così «ho ribadito il diritto di Israele a garantire la propria sopravvivenza tutelandosi da un possibile attacco nucleare».

 E il ministro aggiunge che «secondo l’intelligence israeliana, l’Iran in meno di sei mesi avrebbe avuto dieci bombe atomiche».

 Sottolineando poi «la violazione dell’Iran degli obblighi sul nucleare».

E tuttavia il «dialogo con Teheran è franco e aperto».

 

I venti di guerra però si stanno facendo tempesta:

«Il governo italiano – dice il ministro - è in prima linea per favorire la de-escalation, l'ho detto anche a Israele e Iran, basta.

Ora più che mai è fondamentale non recidere il filo del dialogo».

 Morale?

 «Il governo sostiene pienamente i negoziati tra Stati Uniti e Iran per un accordo sul programma nucleare iraniano» e «l’obiettivo prioritario continua ad essere una soluzione diplomatica della crisi» e «invitiamo Teheran a seguire la via della diplomazia».

 

Infine, i nostri connazionali.

«Attualmente si trovano circa 50.000 italiani in tutta la regione mediorientale.

 La presenza più significativa è in Israele, con circa 20.000 connazionali, mentre sono circa 500 quelli residenti in Iran.

Al momento non ci sono state segnalate situazioni critiche», spiega Tajani in audizione alle “Commissioni riunite Esteri di Camera e Senato”. «A questi si aggiungono i nostri militari presenti nell'area, dall'Iraq al Libano, dal Golfo al Sinai, che seguiamo insieme al ministero della Difesa».

 

Le nostre ambasciate «sono in contatto con tutti i connazionali che hanno chiesto informazioni per rientrare in Italia.

 Stanno tutti bene e stanno ricevendo uno ad uno ogni possibile assistenza, tenendo conto dell'interruzione del traffico areo nella regione».

E in particolare, «un gruppo di 36 pellegrini della Cei, presente a Gerusalemme, è stato assistito dal nostro Consolato generale ed è riuscito a raggiungere la Giordania».

 

Rassicurazioni che non bastano alle opposizioni, attente a rilevare l’ambiguità sostanziale della posizione espressa da Tajani:

«O si pensa che l'attacco israeliano sia del tutto legittimo e allora bisogna avere il coraggio di dire che Netanyahu ha fatto bene, oppure si pensa che bisogna frenare la escalation - osserva la leader dem Elly Schlein -.

L'attacco militare non è la via per perseguire gli obiettivi che tutti condividiamo, ovvero lo stop al nucleare iraniano e su questo vorremmo chiarezza».

Angelo Bonelli parla di una posizione «disorientante e preoccupante», che si limita a una «presa d'atto notarile» e segna la «subordinazione alle azioni di Netanyahu».

Ancor più duro l’affondo di Giuseppe Conte, che chiama in causa la responsabilità diretta di Palazzo Chigi nel conflitto:

«Tajani diceva che Israele non avrebbe attaccato l'Iran. Poche ore dopo Israele attacca l'Iran.

Meloni e Tajani coprono e giustificano l'attacco di Netanyahu che butta benzina sul fuoco in Medioriente e poi ci raccontano che sono a lavoro per una de-escalation, per fermare la guerra in cui ci sta precipitando un Governo criminale che sta compiendo un genocidio a Gaza».

“ Matteo Richetti” di “Azione” parla di «un intervento da analista», che avrebbe bisogno di «maggiore chiarezza» sulla posizione dell'Italia, mentre “Matteo Renzi” si chiama fuori dalle polemiche bacchettando un po’ tutti per la superficialità espressa nelle valutazioni sul conflitto:

 «È molto difficile offrire un punto di vista serio e approfondito quando siamo al secondo giorno di guerra.

Leggo tante banalità, frasi fatte, slogan.

E la politica estera è per definizione una cosa complessa, non un argomento da populisti».

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