Non capire chi comanda.

Non capire chi comanda.

 

 

 

L'ira di Mosca contro l'Europa:

 "Imbecilli e nazisti". Vance:

 "L'intesa non farà felice né la Russia

 né l’Ucraina."

   Msn.com – (11 – 08 – 2025) - Storia di web@gazzettadelsud.it - Alberto Zanconato – ci dice:

 

 

L'ira di Mosca contro l'Europa: "Imbecilli e nazisti". Vance: "L'intesa non farà felice né la Russia né l’Ucraina."

La Russia si scaglia contro i Paesi europei accusandoli di voler boicottare i tentativi di Donald Trump di raggiungere la pace in Ucraina, a cinque giorni dal vertice con Vladimir Putin in Alaska.

 «Gli euro-imbecilli cercano di ostacolare i tentativi americani di aiutare a risolvere il conflitto ucraino», ha affermato l’ex presidente “Dmitry Medvedev”, dopo che, in una dichiarazione congiunta, i leader di Francia, Italia, Germania, Polonia, Finlandia e della Ue hanno ribadito il loro «incrollabile impegno» per «l'integrità territoriale dell’Ucraina» e hanno fatto appello a «fare pressione su Mosca» con «misure restrittive».

«Dichiarazione che la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha liquidato come un «volantino nazista».

Nel testo, ha sottolineato Zakharova, il gruppo dei Paesi europei «invita a un cessate il fuoco, ma non quello che si otterrebbe interrompendo le forniture di armi ai terroristi di Kiev».

 

«Al contrario, in un altro volantino nazista si afferma che il successo nel raggiungere la pace in Ucraina si può ottenere solo esercitando pressione sulla Russia e sostenendo Kiev», ha aggiunto la portavoce in un commento sul suo canale Telegram.

L’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, “Kaja Kallas”, convocando per domani una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri, ha affermato che «tutti i territori temporaneamente occupati (dai russi) appartengono all’Ucraina».

 No quindi all’offerta di Mosca che a Bruxelles viene definita «a senso unico». Trump aveva invece parlato di «scambi di territori» per arrivare alla pace.

Mentre nelle ultime ore il vice presidente Usa, JD Vance, ha insistito sulla necessità di un compromesso in un’intervista a Fox News, in cui ha osservato che «l''accordo alla fine non renderà felici né la Russia né l'Ucraina».

 

(L'ira di Mosca nei confronti dell'Europa. Medvedev. "Sono imbecilli" (RaiNews multimedia).

Il quadro, dunque, appare tutt'altro che definito.

I Paesi europei, insieme con Kiev, affermano che nessuna soluzione può essere trovata senza la partecipazione dell’Ucraina.

 Ma non ci sono finora segnali di un eventuale invito del presidente Volodymyr Zelensky al vertice di Ferragosto.

Un incontro trilaterale è «possibile», ha detto l’ambasciatore americano alla Nato, “Matthew Whitaker” in un’intervista a “Cnn”.

 

«Non credo che un incontro tra Putin e Zelensky sarebbe produttivo prima dell’incontro con Trump», ha dichiarato invece Vance.

Diversi osservatori sottolineano anche che nel loro primo colloquio dal ritorno del tycoon alla Casa Bianca - e il primo tra un presidente russo e uno americano dopo oltre quattro anni - l’Ucraina sarà solo uno degli argomenti in discussione.

 I due leader dovrebbero parlare anche di temi urgenti nell’ambito delle relazioni bilaterali, a partire dall’equilibrio strategico.

 Nel febbraio prossimo scadrà l’ultimo trattato in vigore tra i due Paesi in materia di armi nucleari, il “New Start”, che limita il numero dei missili intercontinentali. Mentre nei giorni scorsi Mosca ha avvertito di non sentirsi più obbligata a rispettare una moratoria sul dispiegamento di vettori a medio e corto raggio, dopo che nel 2019, durante il suo primo mandato, Trump aveva deciso di uscire dal relativo trattato.

 

Secondo il vice ministro degli Esteri russo “Serghei Ryabkov”, in questa situazione esiste «il rischio di un conflitto nucleare globale».

Ma ancor più preoccupanti per Kiev e le capitali europee suonano le parole con le quali Vance ha ribadito che l'amministrazione Trump non vuole più finanziare la difesa dell’Ucraina.

 «Credo che gli americani - ha osservato il vice presidente - siano stanchi di continuare a inviare i soldi delle loro tasse a questo conflitto».

 Se gli europei vorranno pagare le armi statunitensi per mandarle a Kiev, «per noi va bene», ha aggiunto Vance.

La stessa posizione espressa il mese scorso da Trump, il quale aveva ammesso che per gli Usa si tratta di un "business».

 Sul terreno, intanto, le autorità locali hanno detto che cinque persone sono state uccise da attacchi russi in Ucraina e due da raid delle forze di Kiev in Russia.

Con l’esercito ucraino ha detto di avere attaccato con droni una raffineria di petrolio nella regione russa di Saratov, a circa mille chilometri dalla linea del fronte.

 

 

 

Chi comanda davvero, se nessuno risponde?

Left.it - Giulio Cavalli – (17 Aprile 2025) – Redazione – ci dice:

 

Il governo italiano, secondo “Citizen Lab”, ha gli strumenti per sapere chi ha spiato chi.

E allora perché tace?

È strano come, in Italia, lo spionaggio politico sembri fare meno scandalo delle intercettazioni su un trafficante.

Eppure in mezzo ci sono preti, attivisti, armatori e un direttore di testata.

 Le vittime non sono comparse ma coscienze scomode. E chi dovrebbe chiedere chiarezza, balbetta.

 

Perché quando si pronuncia la parola” Paragon” – che è la nuova “Echelon”, ma con meno pudore – da Palazzo Chigi si distolgono gli occhi?

 L’”Aise” ha spiato Mediterranea, questo è certo.

 Cancellato no, almeno ufficialmente. Ma allora chi?

 

Intanto a Bruxelles, dove il Parlamento europeo avrebbe dovuto ascoltare “Casarini” e “don Ferrari”, le destre hanno fatto saltare tutto.

“Troppo italiano”, hanno detto.

Come se la democrazia avesse bisogno di passaporto.

 Il 23 aprile gli attivisti saranno comunque lì, fuori, in piazza. Dentro, invece, le istituzioni giocano a rimpiattino.

Non per difendere la sicurezza nazionale ma per proteggere la propria opacità.

Se l’abuso non scandalizza più, è perché l’abuso è diventato regola.

Chi governa deve dire se ha ordinato lo spionaggio.

 O se ha permesso che altri lo facessero.

Il resto è omertà.

E un Paese che accetta lo spionaggio politico come normalità ha già smesso di essere democratico.

 

A meno che il vero scandalo non sia proprio questo: considerare un sacerdote e un giornalista liberi come una minaccia.

 E non chi li ha messi sotto sorveglianza.

 

 

 

Chi Domanda Comanda?

 Psinel.om – (29 Aprile 2024) - Gennaro Romagnoli – ci dice:

 

Hai mai sentito dire che “chi domanda comanda“?

Questa specie di proverbio nasconde in sé la maggior parte dei consigli di quella che viene spesso definita “comunicazione efficace” e ci mostra operativamente come metterla in atto.

Tenere a mente che le domande possono fare davvero la differenza in qualsiasi tipo di relazione è molto importante ma non è tutto…

 

Le domande.

Quando immaginiamo una conversazione tra due o più persone, l’ultima cosa che ci viene in mente è che essa sia guidata da chi pone le domande.

Pensa ad una qualsiasi interazione, solitamente la persona che comanda non fa domande ma spara imperativi e sentenze inappellabili.

Il capo stereotipato dice:

“Fai quella cosa” e non “potresti fare quella cosa?”.

Questo succede se c’è un riconoscimento delle parti, cioè quando sai che stai parlando con il tuo capo o con qualcuno che in quel contesto detiene il potere ma in generale le cose non stanno così.

Se invece immaginiamo una conversazione qualsiasi, nella quale non si è ancora instaurata una posizione specifica di potere, allora chi domanda sta realmente guidando la comunicazione.

 Non mi credi?

Quando qualcuno ci pone delle domande ci sta costringendo a rispondere, la qual cosa potrebbe farti storcere il naso, ma in realtà le cose stanno così.

 Infatti così come non è possibile non comunicare (primo sacro assioma della comunicazione) allo stesso modo è impossibile non rispondere ad una domanda.

 

Hai un animale domestico come un gatto o un cane?

Le domande sono come un nuovo gioco per il nostro piccolo amico, certo tu puoi addestrarlo a non reagire ma vedrai tutto il suo corpo intento a seguire quel gioco. Le domande fanno così, attivano la nostra ricerca interiore anche se non rispondiamo anche se non lo vogliamo.

 E gli esiti di tale ricerca influenzano i nostri pensieri, i nostri comportamenti e le nostre emozioni.

Certo in generale lo fa tutto il linguaggio ma le domande sono particolarmente potenti nel farlo.

 

Cioè se inizio a raccontarti di una bella vacanza che ho fatto è probabile che anche tu ti metta a pensare a qualcosa di simile.

In questo modo sto aumentando la probabilità di farti pensare ad una vacanza o a qualcosa di piacevole ma le domande sono molto più potenti.

Per prima cosa se ti parlo di una mia vacanza è possibile che tu possa pensare a tutt’altro, tipo: “Chissà cosa farò quest’anno in vacanza” o cose peggiori “dannato, io non vado in vacanza da un anno e questo si mette a parlare delle sue ferie”. Mentre se pongo una domanda più o meno diretta ecco che ottengo un risultato sicuramente più preciso.

 

Basta una piccola domanda per attivare il processo, se ad esempio dicessi: “L’ultima volta che sono stato al mare ero davvero rilassato, hai presente quei tipici profumi della spiaggia, il rumore del mare. Non so se ti è mai capitato?” è sicuramente più precisa, di certo non possiamo sapere se il nostro interlocutore ha ricordi del genere e forse neanche se ama il mare. Ma se facciamo la cosa più importante per porre le domande, ecco che il processo diventa molto più evidente. Qual è la cosa più importante per fare buone domande?

 

Osservare e ascoltare.

La chiave per ogni buona comunicazione sta nell’osservare e nell’ascoltare più che nel parlare.

Se osservi con attenzione il tuo interlocutore mentre gli racconti qualcosa puoi intuire cosa pensi o provi in quel momento, certo non potrai mai leggere nella mente degli altri ma se li osservi e gli ascolti puoi di certo capire decisamente di più del semplice presupporre.

Purtroppo nelle conversazioni quotidiane noi presupponiamo, anticipiamo cosa ci stanno per dire più che osservare ciò che accade davvero.

No, non è perché siamo stupidi o perché nessuno ci ha mai insegnato queste cose… è una tendenza della nostra mente.

 

La mente predittiva e simulatrice, di cui parliamo sempre, è la motivazione principale per cui facciamo molta fatica ad osservare ed ascoltare senza anticipare.

Quindi non si tratta di fare domande a caso, perché più generiche ed impersonali sono le domande e meno hanno l’effetto di influenzare chi ci sta di fronte.

Pensa ad una domanda superficiale come quella che ti viene posta quando incroci una persona “ciao come stai?”

si tratta di una domanda di circostanza, è si certo possibile che ti faccia pensare a qualcosa di specifico ma è poco probabile.

 

Ma se invece ci conosciamo e qualche giorno fa mi hai detto di aver portato il cane dal veterinario perché non stava bene e incrociandoci ti dico: “Ehi ciao come stai? Ma soprattutto come sta il tuo cane?” ecco che ti accendo, cattura la tua attenzione ma la cosa più importante è che ti meta-comunico:

“io ti ascolto ed ho a cuore ciò che mi dici”.

Ed è sempre una cosa piacevole, sai perché?

Perché per te la persona più importante sei TU, così come per me e così come per il tuo vicino di casa. Non è egoismo è una naturale prospettiva personale che assumiamo senza rendercene conto.

Per tanto ascoltare non solo è la base della comunicazione efficace ma è anche la cosa più difficile di tutta la comunicazione.

 Un po’ come la corsa negli sport, tutti sanno correre ma non tutti sanno correre per 90 minuti come un bravo giocatore.

Non tutti sanno avere quella resistenza che gli consente di correre veloce e a lungo ecc.

Ascoltare è una cosa che sappiamo fare tutti ma non tutti sanno farlo a lungo e nel modo corretto e soprattutto nel momento corretto.

La corsa è una cosa facile ma molto faticosa da portare avanti, lo stesso vale per l’ascolto è una cosa semplice ma molto difficile da portare avanti.

 

Che tu ci creda o meno se migliori le tue doti da ascoltatore e osservatore migliorerai la tua comunicazione di molti punti.

Proprio come qualsiasi sportivo che debba correre durante le proprie gare si avvantaggerà dal diventare più veloce e resistente.

Ascoltare non basta però serve anche la capacità di porre domande, la quale si avvantaggi già dell’ascolto attento.

Anzi questa storia mi fa venire spesso in mente quando nel mio studio mi pongono domande del tipo:

 “dottore io sono talmente timido che non riesco mai a trovare argomenti interessanti per discutere quando sono con uno o più amici, come posso fare?”.

 

Botta e risposta.

Quando mi vengono poste domande simili io cerco sempre di spostare l’asse sull’ascolto attivo.

Perché so come funziona davvero la timidezza, la quale non è che non ci fa trovare argomenti a caso, ma lo fa proprio distraendoci da ciò che viene detto.

Cioè le persone che non riescono a trovare argomenti nelle conversazioni non lo fanno perché non hanno realmente cose da dire, ma perché la timidezza o comunque l’emozione gli impedisce di essere presente a ciò che viene detto.

 Non mi credi?

Se per caso fai fatica ad avanzare argomenti in questo senso prova questo semplice esercizio:

 

La prossima volta che stai conversando e senti il desiderio di voler parlare ma non trovi argomenti, resta appositamente in silenzio e cerca di concentrarti al massimo su ciò che viene detto.

Come se la tua vita dipendesse da quei messaggi, come se dovessi a tutti i costi cogliere il senso del discorso e riportarlo a qualcun altro.

Ecco se ci riuscirai ti spoilero già cosa accadrà, con tutta probabilità non potrai fare a meno di avere mille quesiti ed opinioni su ciò che viene detto.

Certo dipende anche dal tema, a me non piace il Calcio e anche se mi dovessi concentrare al massimo non troverei interessante la conversazione (psinellini amanti del calcio mi dispiace dovervelo dire ma si a me non piace per niente).

 

Per riuscire a fare un vero botta e risposta che non sia la sagra del qualunquismo è necessario saper ascoltare, rispondere a caso solo per motivi di rapidità o di fretta è una delle cose peggiori che possiamo fare.

 E non hai idea di quante persone lo facciano.

Sto per proporti un esperimento a dir poco inquietante, durante una conversazione con un conoscente prova a fargli una supercazzola molto seria, tipo:

 “perché ogni volta succede sempre in quel modo non è vero?” scommetto che su 10 persone a cui lo farai almeno 3 o 4 ti risponderanno: “si è vero” senza aver compreso minimamente cosa stavi dicendo.

 

Perché siamo reattivi, la nostra macchina previsionale ci spinge a reagire e non ad agire.

Una domanda a bruciapelo senza senso invece di farci fermare e dire: “scusa ma non ho capito” ci fa reagire all’ultima sua parte, esattamente come quando andavamo a scuola il prof. di turno ci richiamava e noi ripetevamo le ultime parole.

Ciò non è solo legato al timore di sembrare stupidi è legato soprattutto al fatto che per essere molto rapidi non ascoltiamo, e tale rapidità è data da un altro fattore psicologico di cui ci occupiamo praticamente in ogni episodio:

 l’economia cognitiva.

 

Ascoltare con attenzione e porre domande è qualcosa di molto dispendioso per il nostro cervello, tuttavia c’è un aspetto che spesso viene trascurato: il fatto che anche rispondere alle domande è dispendioso.

 Di certo quindi chi domanda influenza e guida ma allo stesso tempo dobbiamo stare attenti perché le domande, anche se nascono da interesse genuino, possono essere vissute come non troppo piacevoli.

Come quando la zia di turno ti fa il terzo grado, o un amico insistente vuole conoscere dettagli di una serata che non ti va di ricordare o anche semplicemente, ti fanno troppe domande ecc.

L’arte del porre domande.

Porre domande intelligenti e puntuali non è facile ma è evidente a tutti che saperlo fare può dare enormi vantaggi.

Lo sappiamo dal “tafano di Atene”, cioè Socrate, il quale veniva definito in questo modo proprio perché attraverso le sue domande metteva in discussione ciò che la gente andava raccontando per la Polis.

Infatti in realtà tutto può essere messo in discussione ed approfondito con delle domande, ma farlo eccessivamente diventa una delle cose più tediose al mondo. Porre buone domande infatti è un po’ come risolvere un puzzle o un giallo, è necessario porre quelle giuste e non altre e non troppe.

 

Saper porre domande è realmente un’arte, purtroppo come tutte le cose che facciamo quotidianamente l’importanza viene celata proprio da tale frequenza. Sono proprio queste abilità che tendiamo a perdere perché le diamo per scontate, pensiamo che ascoltare una persona sia facile ed è per questo che tendiamo a non allenarci a farlo.

Pensiamo che parlare sia qualcosa che facciamo da sempre, per tanto non cerchiamo di migliorare ecc.

Sai quando decidiamo a migliorarci?

 O quando siamo davanti ad una sfida che richiede quella specifica abilità o quando qualcosa va storto.

 

Questo vale per qualsiasi abilità, da quelle fisiche a quelle squisitamente psicologiche.

Molte persone iniziano ad allenarsi solo dopo aver sentito il medico dire che è necessario, oppure perché un giorno una graziosa signorina sul treno gli chiede di aiutarla a sollevare una valigetta e si accorgono di non riuscirci ecc.

Ora devi sapere una cosa positiva: a quanto pare le abilità verbali sono tra le ultime ad abbandonarci, la ricerca sulle prestazioni cognitive in età adulta lo dimostrano, tuttavia più riesci a mettere da parte “fieno in cascina” e più tardi ti abbandoneranno.

 

Questa faccenda prende il nome di: “risorsa cognitiva”, vale anche per il nostro corpo ovviamente, più ci alleniamo e più tardi perderemo quella forma.

Mentre per il corpo è facile immaginare che prima ci impegniamo in tal senso e meglio è, non lo è invece per le abilità psicologiche.

Purtroppo non è vero che invecchiando diventiamo migliori ascoltatori, semplicemente abbiamo meno voglia di intervenire, il desiderio di far sentire la propria voce.

A tratti arriva davvero più saggezza ma se essa non è supportata da un buon allenamento la perderemo altrettanto facilmente.

 

La prossima volta che ti alleni, che leggi, studi e ti sforzi intenzionalmente per migliorare, tieni a mente questa faccenda della risorsa cognitiva.

È un modo interessante per aumentare la motivazione e ricordare qualcosa per cui, in futuro ne sono certo, ci ringrazieremo!

 

 

 

Finanza o big tech?

Chi comanda davvero.

  Iusletter.com - Il Corriere della Sera – (24-02-2025) – Redazione -

Quanto più grande è il potere, tanto più pericoloso è l’abuso», ha detto il filoso britannico “Edmund Burke”.

Ma realmente chi comanda il mondo?

A sentire l’opinione pubblica la risposta è quasi scontata.

Viviamo in un’era in cui la tecnologia non è più soltanto una forza di innovazione, ma modella la politica globale e le scelte sociali.

La rivoluzione digitale che prometteva di connettere e liberare il mondo si sta però rapidamente avviando a diventare una realtà distopica.

 

Impossibile negare che negli ultimi due decenni l’ascesa di colossi digitali abbia contribuito a creare una vera e propria oligarchia, in cui una manciata di aziende domina la rete, influenzando la vita di miliardi di persone.

Una specie di nebulosa informativa che condiziona e nasconde la realtà.

 E a nulla sono valsi gli appelli di professori, analisti e politici perché le Antitrust mondiali intervengano su questo potere.

 Al di fuori di Pechino, dove l’influenza delle aziende tecnologiche è addirittura legata al partito comunista cinese, a detenere il controllo delle risorse digitali sono sei gruppi: Amazon, Google, Microsoft, Meta, Apple e l’impero di Elon Musk.

Questi giganti tecnologici non solo accumulano profitti ma condizionano i mercati, le norme e le politiche internazionali.

Questi gruppi sono riusciti a imporre la dittatura dell’algoritmo che porta alla massima semplificazione delle opinioni e genera le tesi più radicali.

E la situazione è destinata a peggiorare con lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale.

 

In questo scenario, stanno emergendo personaggi che pensano di essere al di sopra delle dinamiche democratiche.

Ovviamente viene subito in mente Elon Musk e la sua crescente rilevanza nell’amministrazione Trump (anche se in passato non sono mancate figure simili come David Rockefeller).

Ma non è che Bill Gates, Mark Zuckerberg o Jeff Bezos o Larry Page si siano comportati tanto diversamente.

Non sono stati mai coinvolti direttamente nel governo ma, dietro le quinte, hanno sempre svolto un ruolo determinante sia nei governi democratici che repubblicani. Ma allora sono loro i veri padroni del vapore?

No, il vero potere è in mano alla finanza.

Non quella delle grandi banche ma dei fondi americani.

Una lista che scotta.

 

Nelle scorse settimane il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è incontrato con i massimi funzionari di BlackRock discutendo di diversi temi caldi, tra cui il debito pubblico e il risiko bancario.

Nell’ultimo trimestre il colosso Usa della gestione ha annunciato ottimi risultati, con un utile in aumento del 21% e un patrimonio che ha toccato la cifra record di 11.600 miliardi di dollari rispetto ai 10.010 miliardi dell’anno precedente e agli 11.480 miliardi del terzo trimestre.

 Questo incremento è stato favorito dall’andamento del mercato azionario, innescato dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali.

BlackRock, guidata da Larry Fink, fa sul serio anche sull’intelligenza artificiale.

La più grande società di gestione, soprannominata Roccia Nera, ha in programma un maxipiano di assunzioni in India:

circa 1.200 dipendenti per espandere due hub che potenzieranno le capacità del gruppo in ambito Ai.

Si tratta, nello specifico, di due centri di global capability, cioè strutture che supportano il gruppo nella costruzione di competenze specializzate in tema di Intelligenza artificiale, data analytics e trasformazione digitale.

 

Dietro la Roccia Nera troviamo “The Vanguard Group”, una società con sede a Malvern (Pennsylvania) con circa nove mila miliardi in asset.

È il più grande fornitore mondiale di “fondi comuni” e il secondo di “Etf,” dopo “iShares” di BlackRock.

Vanguard, guidata da “Salim Ramji”, offre anche servizi di intermediazione, servizi di conti educativi, pianificazione finanziaria.

 

“State Street” è una holding con sede a Boston.

 Fondata nel 1792, è la seconda banca più antica degli Stati Uniti.

Gestisce un patrimonio di oltre 5 trilioni di dollari e 46,6 trilioni in amministrazione.

“Fidelity” controlla 5,8 trilioni di dollari e 15 trilioni di asset in amministrazione, si alterna al terzo posto con State Street.

È un gestore non quotato, controllato dalla “famiglia fondatrice Johnson”, che fornisce i suoi prodotti e la sua assistenza a clienti privati e istituzionali.

 Il dominio di BlackRock, Vanguard, State Street e Fidelity è tale che, collettivamente, questi quattro gestori controllano le più importanti aziende tecnologiche (Amazon, Google, Microsoft, Meta, Apple).

Questo conferisce loro un’influenza notevole sulle decisioni aziendali, dalle nomine dei consigli alle politiche di remunerazione, fino alle strategie a medio-lungo termine.

 Il peso di questi fondi non si limita al controllo delle aziende private nel settore digitale ma si estende anche alle società pubbliche che gestiscono infrastrutture vitali per la sovranità nazionale, come energia, acqua e trasporti.

Attraverso acquisizioni strategiche e partecipazioni mirate, i grandi fondi hanno penetrato il mercato delle multiutility e dei servizi pubblici.

In questo modo, sono diventati centrali nella definizione delle strategie di settori che erano storicamente sotto il controllo statale.

 Questo disegno ha permesso loro di indirizzare politiche nazionali a volte a scapito degli interessi pubblici.

 

I numeri parlano chiaro:

 secondo la Fed, all’inizio del 2024, i dieci principali fondi gestivano attivi per quasi 48 mila miliardi di dollari.

Questa concentrazione è aumentata a dismisura, soprattutto dopo la crisi del 2008, da cui sono usciti rafforzati grazie alla loro minore esposizione al sistema dei mutui subprime.

In pochi anni, il potere che un tempo era appannaggio esclusivo delle banche si è trasferito nelle mani di questi giganti finanziari, trasformando radicalmente gli equilibri economici globali.

 Un aspetto fondamentale di questa egemonia è rappresentato dalle partecipazioni incrociate.

Il principale azionista di BlackRock, ad esempio, è Vanguard (8,6%) mentre il primo socio dello stesso Vanguard è proprio la Roccia Nera con il 7,6%.

State Street, dal canto suo, è partecipata sia da Vanguard che da BlackRock.

 

Questa struttura opaca (anche se c’è chi parla di public company) rende difficile identificare chi sia realmente il riferimento di questi colossi.

Attraverso una rete di partecipazioni incrociate, i quattro fondi detengono poi il controllo delle principali società quotate.

 Le stesse criptovalute, celebrate a loro volta come simbolo di libertà economica, rischiano di trasformarsi in un ulteriore strumento di controllo, attraverso prodotti costruiti ad arte dai grandi gestori.

 Sarebbe quindi giusto che la politica e le Antitrust mondiali cominciassero a interessarsi realmente, oltre che dei big tech, anche del potere esercitato dai grandi gestori Usa.

 

 

Mania di controllo: come

affrontare il controllo delle persone?

Guidapsicologi.it – (4 settembre 2025) - Comitato di Guida Psicologi – ci dice:

 

Perché alcune persone hanno la necessità di controllare ciò che fanno gli altri?

 Cosa possiamo fare per affrontare qualcuno che controlla?

Scopri le chiavi per stabilire dei limiti.

 

Mania di controllo: come affrontare il controllo delle persone?

Le persone controllanti tendono a cercare di esercitare controllo o potere sugli altri.

Infatti, nei casi più estremi, queste persone possono diventare intimidatorie, autoritarie o prepotenti nei loro sforzi per controllare una situazione.

Questo tipo di comportamento può essere molto intimidatorio e persino offensivo per le persone che vivono con qualcuno con questo carattere. Ma perché nasce questa esigenza di avere tutto sotto controllo?

 

Cosa comporta il controllo del comportamento?

Il comportamento di controllo è quando una persona tenta di adattare gli altri ai propri bisogni e desideri attraverso qualche tipo di manipolazione.

 Avere un desiderio di controllo costante provoca conflitti sia a livello personale che con gli altri poiché spesso implica atteggiamenti offensivi.

 

Segni di un atteggiamento di controllo.

Ci sono alcuni comportamenti che di solito sono strettamente associati alle persone che necessitano di controllo. Alcuni dei segnali più comuni sono i seguenti:

Inflessibili: ciò implica che abbiano molte difficoltà a comprendere che esistono altre possibilità oltre alla loro visione. Tendono cioè a non adattarsi e non sono aperti a suggerimenti o altri punti di vista.

Critico: è molto probabile che una persona controllante abbia un atteggiamento molto critico sia nei confronti delle proprie azioni che di quelle degli altri.

Possono essere manipolativi: quando le cose sono fuori dal loro controllo, queste persone possono usare tattiche di manipolazione per dominare una situazione.

Non rispettano i tuoi confini: le persone che controllano spesso non rispettano i confini degli altri. Nelle relazioni sane, i confini sono solitamente rispettati e valorizzati. Per la persona che controlla, un limite è un ostacolo al suo bisogno di controllo.

Sono imprevedibili: quando perdono il controllo di una situazione, queste persone possono finire per passare dal felice all'irritato e al cattivo umore, soprattutto quando non riescono a ottenere ciò che vogliono.

Non accettano un "no" come risposta: una persona controllante può arrabbiarsi quando gli altri gli dicono "no" e spesso può fare di tutto per convincere gli altri a cambiare idea.

Cercano di cambiarti: una persona controllante può provare a cambiare gli altri per adattarsi o conformarsi ai loro interessi.

Questi sono alcuni dei principali segnali che possono indicare che una persona ha la tendenza ad esercitare controllo sugli altri.

Perché una persona controlla?

La sensazione di controllo è un bisogno sociale fondamentale.

 Questo perché ci fornisce prevedibilità, stabilità e ordine.

In alcune persone, questo bisogno di controllo finisce per essere così necessario da far acquisire atteggiamenti malsani per sé stessi e per gli altri.

 

Da un lato, l’insicurezza e l’ansia sono due dei principali fattori che possono portare una persona ad avere un comportamento molto controllante.

In questi casi, invece di utilizzare sane capacità di coping, queste persone tendono a cercare di controllare tutti coloro che li circondano nel tentativo di sentirsi meglio.

 

Inoltre, un disturbo d’ansia può anche portare a un comportamento di controllo. Una persona con un disturbo della personalità come il narcisismo può anche finire per avere comportamenti di controllo.

 

Segni di un atteggiamento di controllo.

 

Come comportarsi con una persona controllante?

Può essere molto difficile avere a che fare con persone dal comportamento controllato.

In effetti, in molti casi, può finire per essere travolgente ed estenuante. Quando hai una relazione stretta con qualcuno che è molto dominante e controllante, è fondamentale tenere a mente quanto segue per prenderti cura della tua salute mentale:

Impara a comunicare i tuoi limiti: è importante che impari a dire di no con sicurezza e a stabilire dei limiti precisi al riguardo.

Le persone controllanti cercano di affermare potere e controllo sugli altri criticando o incolpando gli altri.

Per affrontare questi comportamenti, è fondamentale imparare a stabilire dei limiti e rispettarli.

Parlane con altre persone: se hai dubbi su un comportamento che ti ha danneggiato, puoi commentare l'opinione degli altri. Avere relazioni di supporto può affermare e convalidare la tua realtà, così come i tuoi sentimenti e percezioni.

Utilizza tecniche di rilassamento:

Rilassare il corpo e la mente sarà utile anche per affrontare una situazione in cui ti ritrovi coinvolto con una persona controllante.

 Il motivo è che pratiche come la meditazione o lo yoga ti rendono più consapevole dei tuoi sentimenti e delle tue emozioni e ti permettono di avere un maggiore controllo mentale e fisico.

Vai in terapia: se ritieni che la relazione con questa persona ti stia influenzando, è importante consultare uno specialista in psicologia. Andando in terapia potrai capire come riaffermare i tuoi limiti o prendere le distanze da queste persone.

Come affrontare la paura di perdere il controllo?

Se pensi di poter essere una persona che controlla, esserne consapevole è il primo passo.

Tenendo presente questo, puoi concentrarti su quanto segue per migliorare:

Imparare sane abilità di coping: durante l'infanzia potresti aver imparato che non puoi contare su nessuno se non su te stesso, quindi hai imparato ad affrontare le situazioni cercando di avere il controllo completo di tutto.

In questi casi è importante affrontare la paura di perdere il controllo cercando di utilizzare altre strategie per affrontare l’ansia, lo stress o le emozioni contrastanti.

Potrebbe quindi essere interessante apprendere tecniche di rilassamento, meditazione o regolazione emotiva.

Sii più gentile: è molto probabile che se sei una persona controllante sarai troppo diretto con gli altri e darai anche ordini.

In questi casi, pensa ad ammorbidire il tono del tuo discorso in modo che gli altri si sentano molto più a loro agio.

Analizza perché hai bisogno di questa sensazione di controllo: sapere da dove proviene questa incapacità di perdere il controllo di una situazione può aiutarti a comprendere meglio questo comportamento.

Offri scuse sincere: nessuno è perfetto e tutti abbiamo aree di crescita su cui dobbiamo lavorare. Riconoscere onestamente i tuoi errori può essere di grande aiuto sia per riparare che per guarire le tue relazioni.

In molti casi, i rapporti con persone controllanti possono diventare difficili.

Quindi, se hai a che fare con qualcuno che è molto dominante, è importante fare un passo avanti e rispettare i tuoi confini personali.

 

 

 

Chi comanda nel mondo?

  Gognablog-sherpa-gate.com – (2 Aprile 2023) - Roberto Pecchioli - ereticamente.net – ci dice:

 

Un amico, conversando davanti a un caffè, ci ha posto la domanda da un miliardo di dollari: chi comanda nel mondo?

Ha aggiunto di non volere una risposta complessa e che gli interessa sapere nomi e cognomi.

Vasto, arduo programma, rispondere a un quesito che ci tiene chini sui libri da anni; ancora più difficile indicare persone fisiche in un tempo in cui il potere – più oligarchico e chiuso che mai – ha una dimensione reticolare, in cui ogni snodo, ciascun anello è strettamente legato in una ragnatela che, tuttavia, ha un centro che può essere identificato.

Al nostro amico abbiamo ripetuto un concetto espresso da “Giano Accame”, grande giornalista e finissimo intellettuale:

comandano coloro dei quali non si può dire male.

Sembra una battuta – o un’elusione della risposta – e invece è il primo gradino per arrivare alla verità.

In ogni ambiente – tutti ne abbiamo esperienza – c’è qualcuno (persona, gruppo, consorteria, grumo di interessi) di cui non si può dir male, pena le rappresaglie, la discriminazione, la punizione.

Così funziona il mondo, in basso e in alto, alla faccia delle anime belle.

 Possiamo allora formulare un primo livello di risposta:

comanda chi può far diventare legge o senso comune la propria volontà – applicando sanzioni a chi trasgredisce o dissente – ed è in grado di screditare prima, vietare poi, rendere illegale o pericoloso formulare critiche o sollevare obiezioni nei suoi confronti.

 

Non è – ancora – una risposta.

Un altro livello di riflessione è in negativo: chi non comanda, ossia chi, in fatto e in diritto, non è in grado di esercitare un potere?

Qui il setaccio si fa più fitto e comprende una quantità immensa di soggetti:

 i popoli, i poveri, chi non possiede beni e istruzione, la stragrande maggioranza degli esseri umani, ma anche gran parte degli Stati teoricamente indipendenti che rappresentano le nazioni, le civiltà e le popolazioni del mondo.

La risposta si fa meno opaca.

Comandare, ossia decidere, governare, impartire disposizioni che dovranno essere eseguite o imposte coattivamente, significa non riconoscere – di fatto o in diritto – autorità superiori:

la vecchia formula latina dell’auctoritas – o potestas – superiorem non recognoscens.

 

Appare dunque evidente quanto le istituzioni pubbliche, a partire dagli Stati nazionali – non comandino più.

Qualche esempio relativo all’Italia: le leggi dell’Unione Europea – promulgate sotto forma di regolamenti – e ogni normativa comunitaria non solo sono inappellabili e immediatamente esecutive, ma abrogano ogni contraria disposizione nazionale. Il fatto più sorprendente è che – nonostante il dettato costituzionale assegni la sovranità al popolo (italiano) – è stata la stessa giurisdizione, con apposite sentenze, a spogliarsi della potestas per statuire la superiorità del diritto comunitario, detto acquis, norma, ma anche conquista acquisita una volta per tutte.

 

La Repubblica non ha più un potere legislativo autonomo: la costituzione è un foglio di carta o un libro dei sogni.

Niccolò Machiavelli, fondatore della scienza politica, riteneva che i fondamenti della sovranità dello Stato fossero l’esercito e la moneta.

 Nessuno può negare che le nostre forze armate siano dirette dai comandi della NATO, il cui vertice sta negli Usa.

Attraverso la copertura atlantica, gli Usa possiedono in Italia almeno cento basi militari, alcune delle quali dotate di armi atomiche che sfuggono al controllo italiano.

 Tutte sono giuridicamente extraterritoriali e i reati militari non possono essere perseguiti, come sa chi tentò invano di portare alla sbarra gli aviatori americani che distrussero la funivia del Cermis a Cavalese, con vittime e danni.

Discutere non diciamo l’appartenenza alla Nato, ma i suoi termini, è sostanzialmente vietato in Italia e pone chi ci prova fuori dal dibattito politico, al limite della criminalizzazione.

Basterebbe questo per far disperare Machiavelli.

 

Il peggio è tuttavia l’inesistenza della sovranità monetaria, ossia il controllo privato e straniero dell’emissione e circolazione della moneta legale.

 Il bastone del comando è nelle mani di chi crea il denaro dal nulla, attribuendosene la proprietà:

 i banchieri.

 Il primato del denaro sulla dimensione pubblica è stato conquistato dai “mercati”, pseudonimo del potere finanziario di pochi giganti, con la creazione delle banche centrali di cui essi hanno assunto il controllo, appropriandosi della fonte primaria del comando:

 l’emissione della moneta.

Finti enti pubblici per mascherarne la natura di giganteschi poteri privati in mano ai signori del denaro, le banche centrali sono controllate dalla cupola della finanza internazionale e godono di privilegi e immunità ben celate al grande pubblico.

 

Il trucco non è soltanto la difficile comprensione del concetto di monetazione come creazione ex nihilo – ma la diffusione di un’ideologia economica e finanziaria presentata come scienza esatta – benché arcana nei fondamenti – in base alla quale solo le “autorità monetarie”, altro nome d’arte dei signori privati del denaro, hanno le competenze, la capacità e l’esperienza per creare, distribuire e dirigere i flussi monetari.

Di qui la pretesa di indipendenza (ossia onnipotenza e assenza di controllo) del sistema delle banche centrali, che, dicono i loro statuti approvati dagli Stati, “non possono sollecitare o ricevere consigli o disposizioni”, formula acrobatica per mettere nero su bianco il diritto di fare ciò che vogliono.

 

Chi si azzarda a dir male dei “mercati”, totem e tabù del nostro tempo?

Tanto meno delle banche centrali, i cui mitizzati centri studi distillano un indiscutibile sapere quasi esoterico, una dogmatica non dissimile da quella della Chiesa del passato.

Peraltro – per restare in patria – gran parte dei connazionali non sa che la Banca d’Italia (oggi semplice socio della BCE) mente sin dalla denominazione:

non solo non è pubblica – come farebbe pensare il nome – ma non è neppure italiana, giacché i suoi azionisti, detti pudicamente partecipanti, sono in maggioranza istituiti privati controllati da banche estere, a cominciare da Unicredit e Intesa-San Paolo.

 

Mayer Amschel Rothschild, l’uomo che creò l’immenso potere della dinastia che porta il suo nome – una delle monarchie ereditarie senza corona che dominano il mondo – affermò una volta:

permettetemi di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi importa chi fa le sue leggi.

Chi osa criticare il sistema bancario e finanziario, padrone degli intoccabili mercati, depositari di un potere arcano e di conoscenze iniziatiche?

 I mercati, afferma una vulgata indiscutibile, votano tutti i giorni e vogliono la santa “stabilità”, cioè un sistema immobile che perpetua sé stesso.

 

Ovvio: comandano loro e le critiche, gli attacchi, il rancore popolare è opportunamente deviato sui governi e i politici, amministratori delegati pro tempore del potere finanziario. Il voto popolare “libero e universale” è una finzione, una farsa a uso degli ingenui.

Il potere del denaro svuota le democrazie: chi pensate che vinca – indipendentemente da programmi e slogan – tra un partito o un candidato provvisto di fondi e un altro che ne è privo?

E chi ha più denaro da gettare nella competizione drogata di coloro che lo creano con un tratto di penna, un clic sulla tastiera del mega computer?

 

Eppure, mentre è possibile, spesso istigato ed eterodiretto, l’attacco ai politici, esecutori di ordini superiori, camerieri e sguatteri dei cosiddetti “poteri forti”, quasi nessuno attacca le intangibili “autorità monetarie”, il sistema bancario, i mercati sovrani e le oligarchie finanziarie che pagano l’orchestra e decidono la musica.

 

Un’altra lezione di “Accame” sull’identificazione di chi comanda riguarda coloro a cui paghiamo, in un modo o in un altro, le tasse. Teoricamente, lo Stato.

In realtà gran parte del denaro che ci viene sottratto legalmente è destinato a pagare il debito pubblico, anzi gli interessi da cui è gravato. Infatti, nonostante l’esproprio a monte, ossia la sovranità monetaria conferita al sistema finanziario privato e il relativo, gigantesco falso in bilancio, l’Italia ha un saldo primario (la differenza tra le entrate e le uscite) attivo sin dagli anni Novanta, mentre il debito pubblico continua ad aumentare a causa degli interessi, estorti con la truffa del debito, dovuto a chi si è arrogato la proprietà iniziale del denaro.

Gli interessi pagati nell’ultimo trentennio al sistema usurario sono quasi pari all’intero debito accumulato.

 Nessuno Stato, dal dopoguerra, lo ha mai ripagato interamente: ragioni aritmetiche.

 

Napoleone Bonaparte, che pure esportò in armi la rivoluzione francese borghese e mercantile, disse: “quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi, e non il governo, controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve”.

E il generale corso aveva l’esercito e lo Stato…  Un grande politico e legislatore, “Thomas Jefferson”, padre della costituzione americana, lottò con tutte le forze contro il potere finanziario che allungava gli artigli sulla nuova nazione.

“Credo che, per la nostra libertà, le istituzioni bancarie rappresentino un pericolo più grande degli eserciti. Se i cittadini americani permettessero ad esse di controllare l’emissione della valuta, le banche toglierebbero loro ogni proprietà, fino a quando i loro figli si sveglierebbero senza più una casa“.

 

Il sistema finanziario è un’oligarchia “estrattiva”, nel senso che estrae la ricchezza dei popoli e dei cittadini comuni per trasferirla a sé stessa, un drenaggio verso l’alto che tutto divora.

 Un esempio è la recente norma dell’UE – voluta dalla lobby finanziarie e industriali convertite per interesse a un’”equivoca ideologia green” – che esproprierà di fatto la casa di abitazione se non verranno eseguite costose innovazioni “energetiche”.

Chi non ci riuscirà – dopo essersi indebitato con i soliti usurai – dovrà cedere per quattro soldi la sua proprietà agli iper-padroni, che stanno cercando di convincere che non avere nulla è la suprema felicità, alla quale però essi si sottraggono.

Singolari filantropi.

 

In Italia vi è un’ulteriore tassa, un’estrazione in più: il pizzo pagato dalle attività economiche alle mafie.

 Chi può esigere tasse comanda e naturalmente, non gradisce che si parli male di lui.

 Pericoloso è contrastare le mafie, ma anche rivelare il potere del sistema finanziario e lo storico inganno del debito con cui stringe ogni giorno il cappio attorno al collo degli Stati, dei popoli, delle persone.

Per non parlare della difficoltà di parlar male di un’altra estrazione a nostro danno, l’inganno del denaro elettronico.

 Al di là di ogni considerazione legata alla libertà e alla sorveglianza, pochi citano l’immenso profitto di milioni di commissioni – anche piccole e minime – applicate alle nostre transazioni.

I beneficiari sono i soliti, ed è a loro che paghiamo un’ulteriore imposta.

 

Un saggio amico di origini contadine usa ripetere: se non paghi a lino, paghi a lana; le vittime siamo sempre noi che non comandiamo.

 

Tuttavia, per costruire un antagonismo c’è bisogno di identificare i volti di chi comanda.

La risposta vaga, impersonale, che il mondo – e naturalmente l’Italia – è in mano dell’oligarchia finanziaria non soddisfa e non significa molto agli occhi della gente, vittima dei giochi di prestigio, delle menzogne e di un raffinato bombardamento psichico e mediatico al cervello rettiliano e all’area limbica, istintuale, dell’encefalo. Inoltre, è una verità parziale.

 Il potere è ramificato e raffinatissimo:

non può essere liquidato con un’accusa a carico del solo sistema finanziario.

 Il dominio ha molti rivoli e comanda chi è in grado di determinare le opinioni, le visioni del mondo, le parole per esprimerle, le agende da seguire in economia, politica, nella società e nella vita quotidiana, nei gusti e nella cultura in senso lato.

Ancora una volta, sono coloro di cui è vietato, sconveniente e pericoloso dire male.

 

 

 

Il lungo cammino verso l’Agi,

l’IA ispirata al cervello umano

Agendadigitale.com – (8 ott. 2024) - Andrea Loreggia - Trustworthy AI Laboratory – Università di Brescia – ci dice:

 

Le scienze cognitive offrono una visione multidisciplinare della mente umana, influenzando profondamente lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

 La ricerca si ispira ai processi cognitivi biologici per creare tecnologie avanzate come reti neurali e transformer.

 Nonostante i progressi, l’IA forte o “generale” (Agi) rimane lontana, mentre l’IA debole domina le applicazioni quotidiane

 

 

IA e mente umana economia dell'attenzione; psicologia e tecnologia.

Lo studio delle scienze cognitive ci restituisce un quadro multidisciplinare della mente e dell’intelligenza umana, e ci permette di costruire modelli di processi funzionali che ne costituiscono le fondamenta (come per esempio la memoria, il ragionamento, il linguaggio).

Questa prospettiva della mente umana ha influenzato e condizionato da sempre lo studio dell’intelligenza artificiale (IA), tanto che molti dei migliori risultati della ricerca scientifica in questo settore si ispirano alla controparte biologica per riprodurne il funzionamento.

Al punto che ora l’industria – vedi “Sam Altman” di “OpenAI” – torna a tenere forte l’obiettivo di raggiungere l’”Agi”, l’intelligenza artificiale generale, ispirata ai processi di quella umana.

 

Questi processi sono in effetti alla base delle più promettenti tecnologie moderne: alcuni esempi sono il neurone artificiale (alla base delle reti neurali), le reti convoluzioni per il riconoscimento di immagini  e i più recenti transformer , nei quali viene riprodotto il meccanismo di attenzione che permette (tra le altre cose) di focalizzarsi su parti diverse di un testo per l’elaborazione.

Indice degli argomenti:

L’obiettivo dell’IA forte o Agi e le sue sfide.

Limiti e dipendenze dell’IA debole.

Processi metacognitivi e introspezione umana.

Il sistema duale del pensiero umano.

Metacognizione e flessibilità cognitiva.

Approcci top-down e bottom-up nell’IA.

Il futuro dell’IA e le capacità metacognitive.

Limiti dei “Large Language model” e prospettive future.

Ispirazioni dalla teoria cognitiva per l’architettura dell’IA.

(Bibliografia).

L’obiettivo dell’IA forte o Agi e le sue sfide.

Questo studio dell’intelligenza artificiale è stato accompagnato, fin dai sui albori, dall’obiettivo di sviluppare un’intelligenza artificiale forte o generale (agi), cioè una forma di intelligenza in grado di adattarsi a qualsiasi situazione, di risolvere qualsiasi problema e in grado di dimostrare capacità senzienti senza la necessità di un intervento esterno.

 

Ma un’IA forte oggi sembra ancora irrealistica, a causa di diversi fattori, tra cui il fatto che sono ancora molti i meccanismi della mente umana che non riusciamo a comprendere e riprodurre.

 La verità è che oggi, nelle nostre quotidianità, siamo circondati da intelligenze artificiali deboli, agenti progettati e sviluppati per svolgere compiti specifici in contesti ben delineati (come per esempio giocare a scacchi, pilotare un’auto, classificare immagini, etc. etc.).

Questo non significa che sia una tecnologia semplice, tutt’altro, l’IA oggi svolge compiti molto complessi e affronta problemi che un individuo non sarebbe in grado di affrontare e risolvere per limiti strutturali.

Limiti e dipendenze dell’IA debole.

Questi agenti artificiali hanno bisogno di dati per essere allenati, hanno bisogno che gli obiettivi da perseguire siano descritti a priori e hanno bisogno di input, di stimoli per poter eseguire le proprie elaborazioni.

 In questo panorama, si può intravvedere come tutte le scelte intelligenti non siano fatte dall’agente ma da chi lo ha progettato, sviluppato e implementato:

è il ricercatore o lo sviluppatore che ha deciso quali dati usare, come usarli, e stabilisce obiettivi e capacità dell’agente.

 

In questo “Agere sine Intelligere”  il compiere un’azione è separato dalla responsabilità di compierla.

 L’IA è quindi uno strumento in balia dell’utente:

 non è in grado di fare scelte coscienti e autonome, dove per autonomia (dal greco autòs – nòmos cioè legge/regola (nomòs) di sé stesso (autòs)) intendiamo la capacità di auto-regolarsi, di essere padroni di sé.

Questa capacità di riflettere sulle azioni intraprese per determinarne la bontà è ad oggi una caratteristica mancante nei sistemi artificiali, che non sono in grado di discriminare le scelte in base, non solo ai dati usati in fase di allenamento, ma anche dalla contingenza.

 

Processi metacognitivi e introspezione umana.

L’attività introspettiva autonoma negli esseri umani può essere ricondotta ai processi metacognitivi, ovvero a tutte quelle attività che permettono agli individui di riflettere sui propri pensieri.

Proviamo per esempio ad immaginare un individuo che parla tra sé e sé, a voce alta o nei propri pensieri, riflettendo su un’azione intrapresa, un’esperienza vissuta e in base ai ricordi comincia a pensare a quanto fatto o a eventuali alternative. Questo processo metacognitivo permette all’esperienza di fissarsi nella memoria ma anche di esplorare virtualmente altre possibilità creando nuova esperienza. Una fondamentale differenza in questo senso è che gli agenti artificiali non “parlano” tra sé, non riflettono sull’esperienza passata e non sono in grado di inferire nuova conoscenza senza che ci sia un intervento strutturale esterno.

 

Il sistema duale del pensiero umano.

Recenti studi si ispirano al sistema duale descritto tra gli altri anche nel libro “Pensieri lenti e veloci” di “Daniel Kahneman” , che categorizza i processi del pensiero umano in due gruppi:

“Sistema 1” (pensiero veloce) e “Sistema 2” (pensiero lento), termini coniati inizialmente da “”Stanovich and West”.

Il “Sistema 1” è responsabile di decisioni intuitive, rapide e spesso inconsce, mentre il “Sistema 2” è dedicato all’elaborazione di ragionamenti complessi, logici, utili per risolvere problemi più difficili.

Basandosi su euristiche, il “Sistema 1” riesce a fornire risposte rapide a problemi semplici ma spesso senza poter fornire spiegazioni dettagliate.

 Sebbene i modelli del mondo del Sistema 1 possano essere imprecisi, sono comunque sufficienti per gestire stimoli quotidiani.

 Con il passare del tempo, con l’aumentare dell’esperienza e della conoscenza, può succedere che compiti inizialmente gestiti dal Sistema 2 possano diventare gestibili dal Sistema 1.

 

Metacognizione e flessibilità cognitiva.

Questa transizione non avviene per tutti i compiti, poiché alcuni richiedono sempre l’intervento del “Sistema 2”.

Negli esseri umani, la metacognizione gioca un ruolo cruciale nel riconoscere quando un problema richiede un ragionamento più strutturato (come quello del Sistema 2) e sono proprio le attività metacognitive che aiutano a scegliere il sistema decisionale appropriato e a riflettere sulle esperienze passate per migliorare le decisioni future.

Questa flessibilità cognitiva permette agli esseri umani di adattare i loro metodi di risoluzione dei problemi e ottenere un allineamento dei valori, spesso superando impulsi istintivi per agire secondo intuizioni più razionali.

 

Approcci top-down e bottom-up nell’IA.

In questo contesto, la ricerca crea un parallelismo tra le scienze cognitive e l’IA.

Nel contesto dell’intelligenza artificiale possiamo identificare due diverse famiglie di tecnologie:

 alla prima famiglia appartengono tutti gli approcci di tipo top-down che utilizzano algoritmi o regole esplicite per la risoluzione di problemi;

 alla seconda famiglia, invece, appartengono gli approcci di tipo bottom-up, che si basano sui dati per estrarre informazione utile per modellare il dominio di studio.

A quest’ultima famiglia appartiene il “machine learning” e le sue varie declinazioni. Il primo gruppo assomiglia al “Sistema 2 legato al pensiero lento”, perché queste tecniche necessitano di più risorse, effettuano scelte deliberate da processi simili al ragionamento umano, mentre il secondo gruppo è assimilabile al Sistema 1 che basandosi sull’esperienza pregressa adotta euristiche per arrivare velocemente ad un risultato.

Spesso i sistemi di IA risultano essere una combinazione statica dei due sistemi, limitando in questo modo la flessibilità del sistema se confrontata con quella dell’essere umano.

 

Il futuro dell’IA e le capacità metacognitive.

I modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) di ultima generazione fanno pensare però che un sistema unico sia sufficiente per affrontare e risolvere problematiche diverse, senza la necessità di avere a disposizione agenti risolutori specializzati in compiti particolari e soprattutto la necessità di processi metacognitivi, tanto da paventare in questi sistemi barlumi di IA generale.

La discussione si concentra su alcuni comportamenti emergenti, come la capacità di risolvere problemi di pianificazione o migliorare l’interazione uomo-macchina, per cui i sistemi non sono stati addestrati esplicitamente.

 

Limiti dei “Large Language model” e prospettive future.

Una parte della comunità però sostiene che questi strumenti non siano veramente in grado di processare l’informazione nella forma di ragionamenti, ma generano invece qualcosa di simile a ciò che hanno appreso durante l’addestramento.

Nel contesto della teoria del sistema duale, gli LLM possono essere visti e utilizzati come tipi di Sistema 1 che, incorporando un’ampia conoscenza pregressa, offrono soluzioni (sub)ottimali a problemi complessi.

 

In generale, diversi fattori meritano considerazione riguardo agli “LLM”:

l’enorme quantità di dati richiesta per addestrare questi modelli, la dimensione stessa del modello, lo sforzo computazionale richiesto per ottenere un modello funzionale rendono questi strumenti sicuramente molto utili, ma anche non facili da governare.

Per quanto esposto finora, un sistema metacognitivo separato, capace di valutare e processare indipendentemente dai solutori impiegati, sembra ad oggi una linea di ricerca interessante.

 

Ispirazioni dalla teoria cognitiva per l’architettura dell’IA.

La teoria cognitiva del sistema duale ispira lo sviluppo di architetture di IA che integrano modalità di decisione veloci e lente con capacità meta cognitive.

Risultati in questa direzione esistono e puntano alla flessibilità e all’allineamento dei valori osservati nell’intelligenza umana.

 Questa integrazione sta attirando l’attenzione di aziende e ricercatori[i]e promette di generare sistemi di IA più adattabili e allineati all’essere umano.

 

 

 

 

L’intelligenza artificiale supererà quella

 umana entro il 2027: cosa dice lo studio

 di ex ricercatori OpenAI.

Ilsole24ore.com - Chiara Ricciolini – (12 aprile 2025) – ci dice:

 

Le macchine non hanno ancora una coscienza, ma il modo in cui le utilizziamo è sempre più autonomo e può facilmente portarci all’errore. La questione della responsabilità è centrale.

 

Che cos’è davvero l’intelligenza artificiale (e a cosa serve).

I punti chiave:

Macchine intelligenti e autonome entro il 2027.

Il dilemma della responsabilità.

 

La rivoluzione dell’Intelligenza artificiale supererà, per rapidità e portata, la Rivoluzione industriale.

 Nessuno può prevedere con certezza come sarà il futuro più prossimo, perché l’evoluzione dei “modelli AI” procede a una velocità vertiginosa.

Cinque ricercatori guidati da “Daniel Kokotajlo”, ex dipendente e ricercatore di OpenAI, uscito dall’azienda un anno fa, hanno provato a immaginarlo.

Ma non dovremmo essere allarmati dal rapido sviluppo di macchine intelligenti, quanto dal fatto che già oggi non c’è chiarezza sulla responsabilità delle azioni che deleghiamo a questi modelli.

 

Macchine intelligenti e autonome entro il 2027.

La ricerca, riportata in un’inchiesta del New York Times, sostiene che l’intelligenza artificiale supererà quella umana entro il 2027.

 Ma quanto c’è di fondato in queste previsioni?

 

I ricercatori guidati da “Kokotajlo” hanno basato le loro proiezioni su un esperimento mentale.

Hanno immaginato l’esistenza di un’azienda fittizia, “Open Brain”, che rappresenta la somma teorica dei principali laboratori di intelligenza artificiale americani.

Open Brain sviluppa un sistema sempre più avanzato: all’inizio del 2027, l’AI diventa un programmatore completo.

Entro la metà dell’anno, si trasforma in un ricercatore autonomo, capace di fare scoperte e dirigere team scientifici.

Tra la fine del 2027 e l’inizio del 2028, nasce un’intelligenza artificiale “super intelligente”: conosce più di noi sulla progettazione di AI avanzate e può automatizzare il proprio sviluppo, creando versioni sempre più potenti di sé stessa.

 

Così, entro la fine del 2027, l’AI potrebbe diventare incontrollabile.

«Nelle nostre previsioni - si legge nel rapporto - immaginiamo che Open Brain svilupperà internamente un programmatore sovrumano: un sistema capace di svolgere tutte le attività di codifica affidate oggi ai migliori ingegneri, ma in modo molto più rapido ed economico».

Secondo “Gaia Contu”, divulgatrice e dottoranda in etica della robotica alla Scuola Sant’Anna di Pisa, «attualmente non siamo ancora di fronte a una coscienza artificiale, se intendiamo la coscienza in senso intuitivo, come esperienza soggettiva qualitativa.

Non esiste però alcun principio che ne impedisca, in futuro, lo sviluppo.

Le macchine oggi non sono coscienti, ma nulla vieta che possano diventarlo».

 

«Tempo fa a un congresso - prosegue - discutevamo su come la versione più aggiornata di “chat gpt” non riuscisse a fare un semplicissimo gioco:

 prendere la lettera “D”, ruotarla di 180 gradi, di metterci sopra il numero 4 e di visualizzare il disegno.

Ovviamente per noi è chiaro che verrebbe fuori l’immagine di una barchetta, ma “chat gpt” non ci riusciva.

Le macchine non hanno ancora quel tipo di intelligenza visuale, prettamente umana».

Il dilemma della responsabilità.

Lo sviluppo di sistemi così automatizzati solleva una questione etica cruciale: quella della responsabilità.

 Lo mette in luce “Silvia Milano”, ricercatrice e professoressa associata esperta in etica dell’AI presso l’Università “Ludwig-Maximilians” di Monaco e all’Università di Exeter.

 «Parliamo di un vero e proprio “gap di responsabilità” - sostiene Milano -. Quando un sistema è automatizzato, ovvero capace di agire senza istruzioni dettagliate, più è autonomo, maggiore è il rischio che le sue decisioni sfuggano al controllo umano, persino di chi ha dato origine al processo.

 Se assegno a un’AI il compito di rispondere a una mail, quella risposta non sarà scritta da me.

Posso scegliere di leggerla prima dell’invio, ma se il sistema è completamente automatizzato, quella risposta partirà senza il mio intervento.

A quel punto, chi è il responsabile?

 Se non viene esplicitato, di fatto, nessuno».

 

Il problema è tanto più grave quanto più l’AI viene impiegata in ambiti sensibili. «Negli Stati Uniti - prosegue Milano – “algoritmi di machine learning” vengono utilizzati nella giustizia per supportare decisioni su misure cautelari o sentenze, nella sanità per stabilire priorità di trattamento e livelli di rischio, e nei processi di selezione del personale per individuare i candidati migliori.

In tutti questi casi, il rischio è che le decisioni vengano prese senza che ci sia un responsabile umano chiaramente identificabile».

 

Occorre sempre ricordare che i “Large Language Model “non possiedono la nozione di verità.

 Le risposte che forniscono si basano su un calcolo probabilistico, che attinge a quanto hanno imparato dall’allenamento e dalla letteratura fornita loro.

 Per questo la possibilità di delegare alle macchine compiti umani andrebbe sempre accompagnata a un’attenta supervisione di colui che delega.

Ma forse siamo già andati oltre.

 

 

 

 

The Human Factor:

12 ragioni perché l’intelligenza artificiale

non può sostituire noi umani.

Commonhome.com - Manuela Travaglini - Responsabile Relazioni Internazionali Assoholding –

(10- 02- 2025) - ci dice:

 

L'intelligenza artificiale (IA) sta cambiando il nostro modo di lavorare e vivere, ma ci sono 12 ragioni per cui gli esseri umani sono insostituibili. L'IA è limitata alla programmazione, mentre gli umani hanno creatività, intelligenza emotiva, buon senso e giudizio, comprensione del contesto, etc.

È fondamentale combinare tecnologia ed umanesimo per il futuro.

 

L’intelligenza artificiale (IA) sta rivoluzionando il nostro modo di lavorare e di vivere, e siamo solo agli inizi.

Tuttavia, nonostante i numerosi progressi nella tecnologia dell’IA, ci sono ancora validi motivi per cui gli esseri umani non possono essere veramente sostituiti, ma piuttosto dovranno essere fonte di ispirazione verso un nuovo rinascimento che sappia coniugare tecnologia ed umanesimo.

“A.G. Danish”, con un interessante post su LinkedIn, individua “12 ragioni per cui l’IA non può sostituire gli esseri umani.“

Ma quali sono queste 12 ragioni, e perché più avanza l’innovazione tecnologica e più è importante riscoprire il nostro lato umano?

 

Creatività e innovazione:

Sebbene i sistemi di IA possano generare risultati impressionanti sulla base di dati e modelli esistenti, sono limitati a ciò che sono stati programmati o addestrati a fare.

 Gli esseri umani possiedono il potere dell’immaginazione, dell’intuizione e della capacità di pensare fuori dagli schemi, che consente loro di proporre idee e soluzioni innovative.

 

Intelligenza emotiva:

Le emozioni umane svolgono un ruolo fondamentale nel processo decisionale, nell’empatia e nella creazione di legami significativi, mentre l’IA non riesce a replicare l’intelligenza emotiva che gli esseri umani possiedono.

La nostra capacità di comprendere e rispondere a emozioni complesse ci permette di navigare in interazioni sociali intricate e di adattarci a situazioni dinamiche, distinguendoci dagli algoritmi dell’IA.

 

Buon senso e giudizio:

Uno dei limiti principali dei sistemi di IA è la loro incapacità di esercitare il buon senso e il giudizio in scenari ambigui.

“Danish” sottolinea che gli esseri umani possono sfruttare le loro esperienze, i loro valori e la loro etica per prendere decisioni informate, anche in assenza di informazioni complete.

 Questa capacità di pensiero critico ci permette di analizzare situazioni complesse in modo olistico e di esprimere giudizi basati su un contesto più ampio.

 

Comprensione del contesto:

Gli esseri umani possiedono una notevole capacità di interpretare le informazioni in base alle circostanze e all’ambiente di riferimento.

Gli algoritmi di intelligenza artificiale, invece, operano all’interno di parametri predefiniti e faticano a comprendere le sfumature, le differenze culturali e gli elementi soggettivi che influenzano pesantemente il processo decisionale nelle diverse situazioni.

 

Moralità ed etica:

 Il processo decisionale etico è un aspetto fondamentale della società. “Danish” sottolinea che l’IA non ha una coscienza morale o la capacità di esprimere giudizi etici.

Gli esseri umani sono guidati da valori, principi ed empatia, che ci permettono di fare scelte che tengono conto del benessere degli individui e della società nel suo complesso.

 

Adattabilità e apprendimento:

I sistemi di intelligenza artificiale eccellono nell’apprendere da grandi quantità di dati, ma non hanno l’adattabilità e la flessibilità che possiedono gli esseri umani. Questi ultimi sono in grado di adattarsi rapidamente a nuove situazioni, di acquisire nuove competenze e di imparare continuamente nel corso della loro vita. La nostra capacità di apprendere da esperienze diverse e di applicare le conoscenze a vari contesti ci permette di affrontare le situazioni più disparate.

 

Intuizione e sensazioni viscerali:

 L’intuizione, spesso definita “sensazione viscerale”, è una potente capacità umana che sfida il ragionamento logico.

 L’IA non può replicare questo processo decisionale istintivo.

L’intuizione nasce da una combinazione di elaborazione subconscia, riconoscimento di schemi ed esperienze di vita, che consente agli esseri umani di fare scelte e giudizi rapidi in situazioni di incertezza o di alta pressione.

 

Relazioni interpersonali:

Costruire e coltivare relazioni interpersonali è parte integrante della nostra vita personale e professionale.

L’intelligenza artificiale non ha la capacità di creare connessioni emotive autentiche o di generare fiducia.

Gli esseri umani possiedono empatia, capacità di ascolto attivo e comunicazione non verbale, che ci permettono di entrare in contatto con gli altri a un livello più profondo e di stabilire relazioni durature.

 

Risoluzione di problemi complessi:

I sistemi di intelligenza artificiale eccellono nel risolvere problemi ben definiti con obiettivi chiari, ma faticano con problemi complessi e mal definiti che richiedono creatività e pensiero critico.

Gli esseri umani hanno la capacità unica di affrontare sfide complesse da più angolazioni, integrare diverse prospettive e ideare soluzioni innovative.

 

Leadership e ispirazione:

L’intelligenza artificiale non ha il carisma, la visione e l’intelligenza emotiva necessari per guidare e ispirare efficacemente i team.

 I leader umani possiedono la capacità di entrare in contatto con i loro collaboratori a un livello più profondo, di comunicare una visione convincente e di navigare attraverso le incertezze, promuovendo la collaborazione e guidando l’innovazione.

 

Abilità fisiche e percezione sensoriale:

 Sebbene l’intelligenza artificiale sia in grado di elaborare grandi quantità di informazioni, non ha le capacità fisiche e la percezione sensoriale che possiedono gli esseri umani.

I nostri sensi ci permettono di interagire con il mondo in modo multidimensionale. Queste abilità fisiche ci permettono di svolgere compiti che richiedono destrezza, di adattarci ad ambienti fisici mutevoli e di prendere decisioni complesse basate su input sensoriali.

 

Esperienza e saggezza umana:

L’esperienza e la saggezza umana sono risorse inestimabili che non possono essere replicate dall’IA.

Gli esseri umani accumulano conoscenza, saggezza e competenza nel tempo, beneficiando della saggezza collettiva di generazioni.

 Le nostre esperienze di vita plasmano le nostre prospettive, permettendoci di fornire intuizioni sfumate, considerare le implicazioni etiche e prendere decisioni che tengano conto del più ampio contesto umano.

 

In conclusione, nonostante i notevoli progressi dell’IA, e in questo concordiamo con “Danish,” ci sono alcune qualità e capacità uniche che rendono gli esseri umani insostituibili.

Dalla creatività all’intelligenza emotiva, dall’adattabilità all’intuizione, gli esseri umani possiedono una vasta gamma di competenze e attributi che non possono essere replicati dagli algoritmi di IA.

Per navigare nel futuro, è fondamentale sfruttare la potenza dell’IA ma sempre riconoscendo il valore aggiunto che solo la magnifica imperfezione dell’ingegno umano riesce ad aggiungere.

 L’aveva capito, ancora una volta, “Steve Jobs”, che nel suo memorabile discorso agli studenti di Stanford del 2005 diceva di sognare per il futuro “l’avvento di ingegneri rinascimentali come Leonardo Da Vinci, in grado di essere sia uno straordinario tecnico che un sublime artista, coniugando insieme tecnica ed umanesimo”.

Insomma, come si legge da più parti, “AI will not replace you, but the person using AI will”.

 

 

 

 

Intelligenza umana e artificiale:

interazioni e sfide regolatorie.

Altalex.com - Marco Martorana -Avvocato – (05/02/2025) – ci dice:

 

Coesistenza tra uomo e macchina, sfide etiche e giuridiche, automazione e necessità normative.

(IP, IT e Data protection.)

L'intelligenza artificiale (IA) ha incapsulato il potenziale per trasformare ogni aspetto del mondo moderno, interagendo in modi profondi e permanenti con l'intelligenza umana.

Questa interazione tra le capacità cognitive umane e le macchine intelligenti sta ridefinendo il confine tra le competenze che erano un tempo esclusiva prerogativa degli esseri umani e quelle che possono essere emulate o superate dalle macchine.

Mentre l'intelligenza umana si evolve attraverso un complesso intreccio di fattori biologici, psicologici e socio-culturali, l'IA emerge da un contesto di ingegneria e calcolo, progettata per replicare e ottimizzare processi decisionali umani come il ragionamento, l'apprendimento e la risoluzione dei problemi.

Sommario:

L'essenza della coesistenza tra uomo e macchina.

Sfide giuridiche e etiche.

Risvolti etici dell'automazione.

L'importanza della regolamentazione.

Verso un futuro collaborativo.

Corso online il trattamento dei dati personali nell'utilizzo dell'intelligenza artificiale.

1. L'essenza della coesistenza tra uomo e macchina.

Questa coesistenza di intelligenza umana e artificiale solleva interrogativi di vasta portata, estendendo il dibattito oltre i confini tecnologici per toccare questioni giuridiche, etiche e sociali.

Le problematiche emergenti spaziano dalla responsabilità legale nelle decisioni autonome delle macchine, alla tutela dei dati personali in scenari dominati dall'analisi predittiva, fino al potenziale impatto socio-economico derivante dall'automazione avanzata.

Ogni aspetto richiede un'esplorazione approfondita e una comprensione matrice per sviluppare un quadro normativo che sia equilibrato e giusto, permettendo all'innovazione di fiorire mentre si proteggono i diritti e le libertà fondamentali.

 

2. Sfide giuridiche e etiche.

Dal punto di vista giuridico, le sfide sono immense.

L'IA, con le sue capacità di elaborare e analizzare grandi quantità di dati a velocità e con una precisione senza precedenti, pone problemi riguardanti la privacy e la sicurezza dei dati.

Allo stesso tempo, le decisioni generate da algoritmi di apprendimento profondo possono risultare incomprensibili, anche per coloro che hanno progettato i sistemi, sfidando così i principi di trasparenza e accountability.

La questione della responsabilità è particolarmente spinosa in contesti come la guida autonoma e il settore sanitario, dove errori di sistema possono avere conseguenze gravi.

La difficoltà di attribuire la responsabilità in modo chiaro e inequivocabile tra sviluppatori, utenti e le macchine stesse suggerisce la necessità di ripensare le leggi esistenti e, forse, di creare nuove categorie di responsabilità legale specifiche per l'IA.

 

3. Risvolti etici dell'automazione.

L'etica dell'IA è altrettanto cruciale e complessa.

 Le macchine, prive di coscienza, non hanno un senso intrinseco di morale o etica; operano entro i parametri e i limiti fissati dai loro programmatori.

Ciò solleva questioni significative:

 Chi decide quali valori incorporare in questi sistemi?

Come si possono gestire e mitigare i “bias”, soprattutto quando gli algoritmi sono alimentati da dati che possono riflettere pregiudizi storici o culturali?

 

4. L'importanza della regolamentazione.

Il ruolo della regolamentazione in questo contesto è duplice: deve sia facilitare l'innovazione tecnologica che assicurare che l'impiego dell'IA rispetti i principi di giustizia e equità.

 La normativa deve evolversi in modo da riflettere la crescente complessità delle tecnologie IA e la loro integrazione più ampia nella vita quotidiana.

La creazione di leggi e regolamenti efficaci richiede una collaborazione tra esperti tecnologici, giuridici, etici e policy-maker, oltre che un dialogo continuo con il pubblico per assicurare che le normative siano ben comprese e rispettate.

 

5. Verso un futuro collaborativo.

Guardando al futuro, l'armonia tra intelligenza umana e artificiale richiederà un impegno proattivo per assicurare che le tecnologie IA siano sviluppate e utilizzate in modi che valorizzino e arricchiscano l'esperienza umana, piuttosto che minacciarla o sopraffarla.

Questo implica non solo la creazione di sistemi IA che siano trasparenti, spiegabili e liberi da “bias”, ma anche lo sviluppo di politiche pubbliche che stimolino l'innovazione responsabile e inclusiva.

 

In conclusione, mentre continuiamo a navigare in questa era di trasformazione guidata dall'intelligenza artificiale, la nostra capacità di integrare con successo queste tecnologie in società sarà definita non solo dalla loro efficacia tecnica ma, più importantemente, dalla nostra saggezza collettiva nell'assicurare che il progresso tecnologico serva il bene comune, rispettando i diritti umani e promuovendo un futuro equo per tutti.

 

 

 

Sorvegliare per Colpire: l’IA Assassina

di Microsoft al Servizio

di Stragi e Genocidi.

Conoscenzealconfine.it – (12 Agosto 2025) - Francesco Galgani – ci dice:

 

Il genocidio a Gaza ha una colonna portante invisibile: l’infrastruttura digitale di Microsoft che rende possibile sorvegliare un’intera popolazione e trasformare i suoi dati in obiettivi.

Ambienti cloud dedicati e un supporto ingegneristico continuo hanno integrato “Azure” (il cloud di Microsoft) nell’apparato militare israeliano come una componente di fatto interna.

 

L’Unità 8200 dell’Intelligence d’Élite, l’equivalente israeliano della National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti, ha spostato su Azure archivi di intercettazioni di dimensioni industriali – “un milione di chiamate l’ora” – conservando e interrogando le conversazioni di palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Fonti dell’intelligence descrivono un uso diretto, continuo e sistematico di queste banche dati per la preparazione di attacchi, soprattutto in aree densamente abitate.

La linea operativa è sempre stata la distruzione di interi edifici e dei loro abitanti per ogni individuo segnalato dall’IA.

 L’infrastruttura Microsoft controlla i movimenti di ogni singolo palestinese, facilitando l’aggancio rapido tra individuo e domicilio: colpire “in casa” è il default operativo.

 

Stiamo parlando di raccomandazione dei bersagli basati su IA con un controllo umano minimo o nullo.

Strumenti come “Lavender” hanno generato decine di migliaia di nominativi, mentre l’unità “Ofek” dell’aeronautica ha gestito una “banca obiettivi” su servizi Azure.

 A ciò si aggiunge l’accesso militare a modelli avanzati di IA, incluso “ChatGPT-4”, senza restrizioni all’uso per uccidere e massacrare.

Dopo ottobre 2023, l’utilizzo di “Azure” da parte della Difesa israeliana è esploso. Oltre alla capacità di calcolo e archiviazione, Israele ha acquistato migliaia di ore di supporto tecnico Microsoft, con personale integrato nei flussi di sviluppo dell’intelligence.

Il risultato è una catena tecnico-militare che ha reso sistematica la produzione di bersagli e la loro eliminazione, in contesti dove l’uccisione di civili inermi e innocenti è prevista e voluta.

 

I fatti delineano un quadro univoco:

Microsoft non è un semplice fornitore di servizi, ma agisce come una propaggine dell’esercito israeliano, fornendo piattaforme, competenze e continuità operativa senza cui la macchina di sorveglianza e di attacco non avrebbe avuto la stessa scala.

 In questo, il suo ruolo nel genocidio è imprescindibile.

Grazie Bill Gates, hai reso un bel servizio all’umanità!

E grazie per aver creato un modello iper-tecnologico e apocalittico che potrà essere replicato ovunque!

Siamo già tutti sorvegliati e monitorati, pronti per essere uccisi.

Grazie ancora.

(Francesco Galgani).

– Bill Gates Architetto dei Genocidi.

– ‘A million calls an hour’: Israel relying on Microsoft cloud for expansive surveillance of Palestinians (The Guardian, inglese).

– Génocide à Gaza, IA et complicité de Microsoft, Google et Amazon (Ligue des droits et libertés, francese).

(informatica-libera.net/content/sorvegliare-per-colpire-lia-assassina-di-microsoft-al-servizio-di-stragi-e-genocidi).

(luogocomune.net/scienza-e-tecnologia/la-ia-assassina-di-microsoft-al-servizio-di-stragi-e-genocidi).

 

 

 

Si Fa Presto a Dire Tregua.

Conoscenzealconfine.it – (11 Agosto 2025) – Redazione - Il Simplicissimus – ci dice:

 

Una speranza corre per l’Occidente e preoccupa persino qualcuno a Mosca: quella che Putin caschi di nuovo nello stesso trappolone degli accordi di Minsk e si accontenti di un cessate il fuoco senza garanzie.

Questa illusione viene anche alimentata dallo straordinario parallelo con gli avvenimenti del 2015, quando le truppe del Donbass, appoggiate da consiglieri russi, riuscirono a sbaragliare l’attacco delle truppe di Kiev a “Debalceve” e a ricacciarle indietro.

 In quel momento tutto il progetto ucraino sembrò vacillare perché l’assalto aveva violato la tregua concordata a “Minsk”, nella convinzione di poter vincere facilmente e dunque di poter strappare i fogli dell’accordo, facendo a Mosca uno sberleffo.

 

In quel momento l’Occidente complessivo fece mea culpa e organizzò in tutta fretta nuovi colloqui di pace che sfociarono nel “Minsk II”, facendo abboccare Putin all’amo, come egli stesso ha confessato pubblicamente e più di una volta nel 2022:

“A quanto pare ci hanno ingannato e l’obiettivo era solo quello di rifornire di armi l’Ucraina e prepararla alle operazioni di combattimento.

Ce ne siamo accorti tardi, a dire il vero”.

Infatti, come abbiamo poi appreso dalla “Merkel,” si trattava di un tranello messo in piedi per prendere tempo e poter riarmare l’Ucraina fino ai denti.

E non solo:

diventò anche il punto di svolta in cui si comprese che doveva essere direttamente la Nato a gestire il conflitto, altrimenti non ci sarebbe stata speranza per il governo fantoccio di Kiev.

 

In realtà, proprio perché esiste questo precedente, è assurdo poter pensare che il Cremlino ci ricaschi, come pure, in maniera velata, emerge dagli ambienti della Nato.

Anzi sono proprio gli occidentali che oggi fanno di tutto per chiedere una tregua e impedire che la Russia sbaragli il loro fantoccio insanguinato, esattamente come accadde dopo la battaglia di “Debalceve, ma senza più poter ripetere con successo l’inganno.

Questo perché Putin imporrà in cambio di un cessate il fuoco, magari parziale, che finisca qualsiasi tipo di aiuto militare dell’Alleanza atlantica a Kiev, anzi recida il legame organico che è stato creato, facendo dell’Ucraina un Paese neutrale.

 

Molti analisti pensano che l’incontro in programma il 15 agosto, sia solo il primo di una serie per affrontare le molte questioni sul tappeto, ma il fatto è che gli occidentali debbono in qualche modo riuscire a fermare l’avanzata russa adesso, prima che sia troppo tardi.

Ora l’interrogativo è:

 Trump potrà accettare queste condizioni?

 Da una parte difficilmente potrebbe evitare di apparire uno sconfitto e dall’altra darebbe un dispiacere non piccolo al complesso militar-industriale che sulla guerra ucraina ha fatto affari d’oro, anche se il presidente è riuscito a ricattare gli europei perché comprino armi statunitensi per 600 miliardi di dollari, una mossa che potrebbe favorire gli appetiti insaziabili dei produttori di armi.

 

E poi c’è da superare la resistenza di Zelensky che si sta mettendo di traverso, in qualità di ventriloquo di Londra e della Ue che assolutamente non vogliono alcuna pace:

dopo aver rovinato economicamente il continente, il milieu politico dell’Unione non potrebbe sopravvivere a una pace che la vedrebbe ormai come unico perdente.

Quanto meno sarebbe politicamente smascherato e privato di qualsiasi credibilità residua:

prima il duce di Kiev si attaccava come una zecca ai leader europei e adesso sono questi ultimi che si attaccano a lui nell’opera di sabotaggio dei colloqui.

 

Quindi potrebbe anche darsi che russi e americani mettano completamente da parte la questione ucraina per parlare di altri problemi:

secondo il parere di alcuni, ci potrebbe essere uno scambio tra Ucraina e una maggiore agibilità per gli Usa nell’Artico, la metà del quale è circondato dal territorio russo.

Insomma in questo modo le cose verrebbero in qualche modo pareggiate e Trump potrebbe egualmente pavoneggiarsi.

Dopotutto l’Artico è la nuova frontiera, il nuovo scrigno di risorse e in questo contesto il territorio di Kiev perderebbe di importanza, diventerebbe insomma una variabile minore.

(Il Simplicissimus).

(ilsimplicissimus2.com/2025/08/10/si-fa-presto-a-dire-tregua/).

 

 

 

 

 

Trump annuncia: «In Alaska ci saremo

solo io e Putin». Poi apre

alle richieste Ue.

Corriere.it - Viviana Mazza – (12-8-2025) – ci dice:

 

Il leader Usa: «Dopo il vertice con la Russia sentirò subito Zelensky».

 

NEW YORK - «Sto parlando con i leader europei e parlerò con Zelensky, raccoglierò le idee di tutti e arriverò ben carico. E vedremo cosa succede», ha detto ieri Donald Trump in conferenza stampa, in vista del suo summit di Ferragosto con Vladimir Putin.

 «Abbiamo parlato molto, sono grandi leader.... Uno di loro mi ha detto che è andato in overdose cercando di risolvere la situazione ucraina: sono stanchi, vogliono tornare a spendere per i loro Paesi.

 Il mio rapporto con l’Unione europea è bellissimo... Dipendono da me, la situazione non sarebbe mai stata risolta sotto il precedente presidente».

 

Trump ha spiegato che l’incontro in Alaska servirà a «sondare» che cosa «ha in mente» il leader russo e se un accordo di pace sia possibile.

 «Parlerò con Vladimir Putin, gli dirò: “Devi porre fine a questa guerra”, non si prenderà gioco di me».

Il presidente americano ha ripetuto di credere che Putin voglia porre fine al conflitto ma ha ricordato che in passato lo ha «deluso».

 Dunque ha minacciato che potrebbe abbandonare i negoziati se capisce che un accordo è impossibile: è certo di capirlo «dopo due minuti di incontro... perché è quello che faccio».

 

Trump ha assicurato anche che subito dopo aver parlato con Putin, «mentre lascio la stanza» telefonerà prima a Zelensky e poi ai leader europei.

Se l’incontro andrà bene, pensa che potrà portare ad un cessate il fuoco, «immediatamente o molto rapidamente», ma ha precisato:

«Non sta a me fare l’accordo».

Ha spiegato che solo Putin e Zelensky possono completare un accordo di pace, che potrebbe includere uno scambio di territori tra i due Paesi.

Alla fine il suo obiettivo è «mettere entrambi in una stanza, che io sia là oppure no».

Se invece l’incontro andrà male «potrei andarmene e dire: “Buona fortuna”, e sarà la fine.

 Potrei concludere che non ci sarà una soluzione».

In tal caso potrebbe chiamare Zelensky per dirgli «”Buona fortuna, continua a combattere”.

Oppure potrei dirgli che possiamo fare un accordo».

 

Un giornalista ha chiesto ieri a Trump se abbia invitato Zelensky in Alaska.

 «Non ne era parte — ha risposto il presidente americano —.

Direi che potrebbe andarci, ma è andato ad un sacco di incontri.

 È là da tre anni e mezzo e non è successo nulla».

Anche il cancelliere tedesco Merz, domenica al telefono, gli avrebbe chiesto invitare Zelensky, ma Trump avrebbe replicato che in questo stadio iniziale la partecipazione del leader ucraino potrebbe deragliare gli sforzi per la pace, secondo fonti del “Wall Street Journal”.

 

In un lapsus ieri Trump ha detto che andrà in Russia per il summit, ma poco dopo ha sottolineato di ritenere «molto rispettoso» che Putin abbia accettato di venire «nel nostro Paese» anziché nel suo o in un Paese terzo.

Ha affermato di avere «un ottimo rapporto» con Putin, pur non essendo lui «un amico della Russia» (ha ricordato di aver posto fine al gasdotto Nord Stream 2 e di aver dato i Javelin agli ucraini).

Ha affermato di andare «d’accordo» anche con Zelensky, ma si è detto «disturbato dal fatto che dica che ha bisogno dell’approvazione costituzionale per uno scambio di territori».

Ha aggiunto che la situazione è complicata dal fatto che i russi hanno occupato molti territori di valore («con vista oceano») ma ha assicurato: «Cercheremo di riprenderne alcuni».

 

Le parole del presidente americano arrivano dopo che alcuni alleati, preoccupati che Trump possa fare un accordo con Putin senza gli ucraini e gli europei, lo hanno invitato a un summit virtuale mercoledì 13 agosto alle 3 del pomeriggio (ora italiana), su iniziativa di Merz.

 I partecipanti includeranno i leader di Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Finlandia, Nato e Ue, come pure Zelensky.

Il premier polacco Donald Tusk ha spiegato di nutrire «molte paure e molte speranze» sottolineando la «tattica di imprevedibilità a volte adottata da Trump».

L’obiettivo del summit virtuale è di chiarire le «linee rosse» dell’Europa e di Kiev:

 il cessate il fuoco sia il passo iniziale, prima di scambi territoriali;

 questi scambi siano reciproci e basati sulle attuali linee del fronte; e ci siano garanzie di sicurezza di lungo periodo per l’Ucraina.

Il segretario della Nato “Mark Rutte” ha detto alla tv “Cbs” che le conquiste russe non dovrebbero essere legalmente riconosciute e i colloqui dovranno gestire «la situazione fattuale che controllano in questo momento parte dei territori ucraini».

L’alta rappresentante per la politica estera della Ue “Kaja Kallas” ha detto di appoggiare l’iniziativa Usa ma pure che l’Unione prepara sanzioni.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso appoggio agli sforzi di Trump nella ricerca di un accordo non facile.

 

 

 

 

Guerra Ucraina Russia. Vertice

Trump-Putin, Ue: "Prematuro dire

se è cattivo accordo" -LIVE.

 Tg24-sky.it – Mondo – (12 ago. 2025) – Redazione – ci dice:

Una portavoce della Commissione Europea chiarisce: "Ci prepariamo al vertice, la nostra posizione è chiara e lavoriamo con l'Ucraina perché la sua posizione sia presente".

"In Alaska mi vedrò soltanto con Putin, penso che si vada verso lo scambio di territori", ha detto il presidente Usa.

 "Poi sentirò Zelensky e gli europei".

Da parte sua il leader ucraino avverte: "Fare concessioni a Mosca non fermerà la guerra".

Mercoledì i leader del vecchio continente sentiranno Trump.

Ora è "prematuro" parlare di un "cattivo accordo" per l'Ucraina nel quadro del vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska, si tratta solo di "speculazioni".

 Lo ha detto una portavoce della Commissione Europea nel corso del briefing con la stampa.

"Ci prepariamo al vertice, la nostra posizione è chiara e lavoriamo con l'Ucraina perché la sua posizione sia presente al vertice".

 

"In Alaska mi vedrò soltanto con Putin, penso che si vada verso lo scambio di territori', ha detto il presidente Usa.

"Poi sentirò Zelensky e gli europei", ha aggiunto il presidente americano.

 Da parte sua il leader ucraino avverte: "Fare concessioni a Mosca non fermerà la guerra".

Perché l'Europa è esclusa dal tavolo sull'Ucraina tra Trump e Putin.

A Ferragosto si riuniranno Washington e Mosca in Alaska per trovare una via d'uscita alla guerra.

Ma nessuno ha invitato l'Ue alla riunione.

Quali sono le ragioni strategiche e politiche.

 

Portavoce Ue replica a Orban: "Senza unità si aiuta la Russia."

"Se non abbiamo unità, ci sarà un solo attore a beneficiarne, e questo è la Russia". Lo ha dichiarato la portavoce per gli Affari esteri dell’Unione Europea, “Anitta Hipper”, commentando a Bruxelles la scelta dell’Ungheria di non sottoscrivere la dichiarazione dei leader europei sui principi per la negoziazione della pace in Ucraina.

 

La portavoce ha ricordato che "non è una novità che abbiamo bisogno di unità per essere forti", sottolineando come, nonostante le divergenze, i 27 abbiano approvato all’unanimità 18 pacchetti di sanzioni contro Mosca.

26 leader dell’Ue, senza la firma dell’Ungheria, hanno sostenuto la proposta di pace del presidente statunitense Donald Trump, ribadendo che "sono gli ucraini ad avere il diritto di scegliere il proprio destino" e che qualsiasi accordo deve rispettare "indipendenza, sovranità e integrità territoriale".

 

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán, restato fuori dalla dichiarazione, ha avvertito del rischio di "dare istruzioni dalla panchina" in vista del vertice in Alaska, chiedendo invece di avviare un incontro diretto con il presidente russo e prendendo come "esempio" la riunione promossa dalla Casa Bianca.

 

Vertice in Alaska, Zuppi: "L'Ucraina non è un oggetto."

"L'Ucraina non è un oggetto ma un soggetto, e sicuramente non si può fare a meno dell'Ucraina nei colloqui di pace".

Così il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha risposto a Castel Volturno (Caserta) ad una domanda dei cronisti sul vertice di Ferragosto in Alaska tra Trump e Putin.

 Zuppi ha fatto visita a 50 ragazzi ucraini arrivati al Centro Fernandes, struttura della Caritas che ospita migranti, nell'ambito del progetto nazionale "È più bello insieme" - promosso da Caritas Italiana con il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana.

 

Ue: "Prematuro parlare di cattivo accordo per l'Ucraina."

Ora è "prematuro" parlare di un "cattivo accordo" per l'Ucraina nel quadro del vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska, si tratta solo di "speculazioni".

Lo ha detto una portavoce della Commissione Europea nel corso del briefing con la stampa.

"Ci prepariamo al vertice, la nostra posizione è chiara e lavoriamo con l'Ucraina perché la sua posizione sia presente al vertice", ha sottolineato ricordando la call di domani organizzata dal cancelliere tedesco Merz, alla quale parteciperanno sia Trump sia Volodymyr Zelensky.

 

Russia-Ucraina, quali regioni potrebbero essere scambiate per l’accordo di pace.

In vista del vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin, convocato per il prossimo 15 agosto in Alaska e dal quale sembra esclusa la partecipazione di Volodymir Zelensky, crescono le indiscrezioni sull'accordo che metterebbe fine a 3 anni e mezzo di conflitto tra Mosca e Kiev.

Secondo il capo della Casa Bianca la chiave passerebbe da uno scambio dei territori contesi.

Ma quali regioni potrebbero entrare nella trattativa?

 

Zelensky: "Definire insieme le posizioni per non permettere a Mosca di ingannarci ancora."

"Insieme dobbiamo definire posizioni che non consentano alla Russia di ingannare ancora una volta il mondo".

A sottolinearlo, in un messaggio postato su “X”, è il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che si dice "grato ai leader europei per il loro supporto", con cui ribadisce il sostegno "alla determinazione del presidente Trump".

 

"Vediamo che l'esercito russo non si sta preparando a porre fine alla guerra. Al contrario, sta compiendo movimenti che indicano la preparazione per nuove operazioni offensive. In tali circostanze, è importante che l'unità del mondo non sia minacciata", aggiunge.

 

"Le questioni relative alla sicurezza dell'Ucraina e dell'Europa vengono discusse da tutti noi insieme.

Qualsiasi decisione deve contribuire alle nostre capacità di sicurezza comuni.

 E se la Russia si rifiuta di fermare le uccisioni, deve essere ritenuta responsabile. Finché continueranno con la guerra e l'occupazione, tutti noi insieme dovremo mantenere la nostra pressione:

 la pressione della forza, la pressione delle sanzioni, la pressione della diplomazia. Ringrazio tutti coloro che ci stanno aiutando.

 Pace attraverso la forza", conclude.

 

Zelensky: "Mosca si prepara per nuove offensive."

La Russia si sta preparando per "nuove offensive" in Ucraina, a pochi giorni dai colloqui di pace previsti tra Vladimir Putin e Donald Trump in Alaska.

Lo dice il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

"Vediamo che l'esercito russo non si sta preparando a porre fine alla guerra.

Al contrario, è impegnato in movimenti che indicano la preparazione di nuove offensive", ha scritto Zelensky sui social.

 

Media Gb: "Zelensky ora è pronto a cedere territori."

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è pronto ad ammorbidire la sua posizione negoziale e a rassegnarsi formalmente a cedere territori alla Russia in cambio della pace (come l'amministrazione Trump considera inevitabile), a patto che il negoziato includa le garanzie di sicurezza per Kiev evocate nei piani degli alleati europei.

Lo sostiene in apertura il britannico Telegraph, da sempre vicino alle ragioni ucraine sul conflitto con Mosca.

 Stando a fonti informate citate dal corrispondente del Telegraph da Bruxelles, Zelensky ha fatto aperture esplicite al riguardo nelle ultime conversazioni avute con i leader europei, sullo sfondo dei timori legati al vertice del 15 agosto fra il presidente degli Usa, Donald Trump, e quello russo, Vladimir Putin.

Sollecitando gli alleati britannici e Ue a respingere ogni proposta di soluzione che dovesse uscire in sua assenza dal summit a due in Alaska;

 ma chiarendo nello stesso tempo d'essere ora disposto a firmare un'intesa che lasci il controllo de facto dei territori che Mosca già occupa militarmente sul terreno in toto o in buona parte (la Crimea più le regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson) a patto di associarla al "piano europeo".

Le concessioni "possono riguardare solo l'attuale linea del fronte", ha confermato un alto funzionario occidentale citato in forma anonima dal quotidiano.

 

Zelensky: "Grato ai leader Ue, sostegno alla determinazione di Trump."

"Sono grato ai leader europei per il loro chiaro sostegno alla nostra indipendenza, alla nostra integrità territoriale.

È proprio un approccio così attivo alla diplomazia che può contribuire a porre fine a questa guerra con una pace dignitosa".

A scriverlo, in un messaggio postato su X, è il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

"In effetti, sosteniamo tutti la determinazione del Presidente Trump", aggiunge.

Kiev: "Poderosa avanzata russa nel Donetsk."

Le forze russe hanno effettuato un poderoso avanzamento nel Donetsk, circa 10 chilometri in due giorni, lungo il fronte a nordest di “Pokrovsk”.

Kiev conferma che combattimenti sono in corso intorno al villaggio di “Kucheriv Yar”.

Il corridoio ora sotto il controllo russo minaccia la città di” Dobropillya”, una città mineraria da cui i civili stanno fuggendo e che è stata oggetto di attacchi con droni russi.

Sotto minaccia anche la città di “Kostiantynivka”, assediata e distrutta, che è una delle ultime grandi aree urbane nella regione di Donetsk ancora sotto il controllo ucraino.

 

Orban: "Vertice Ue con Mosca unica mossa sensata."

"L'unica mossa sensata da parte dei leader dell'UE è quella di convocare un vertice UE-Russia, seguendo l'esempio del vertice USA-Russia.

Diamo una possibilita' alla pace!".

Lo scrive sui social il premier ungherese, Viktor Orban, unico leader Ue a non aver firmato l'appello dell'Unione a Trump in vista dei colloqui in Alaska sull'Ucraina.

 "A soli quattro giorni dallo storico vertice tra i presidenti Trump e Putin, l'Europa ha tentato di rilasciare una dichiarazione a nome di tutti i Capi di Stato e di Governo dell'UE.

 Prima che il coro liberal-mainstream europeo ricominci a cantare "il burattino di Putin", vorrei condividere le ragioni per cui NON ho potuto sostenere la dichiarazione a nome dell'Ungheria", scrive Orban.

 

"1. La dichiarazione cerca di stabilire le condizioni per un incontro a cui i leader dell'UE non sono stati nemmeno invitati.

 2. È di per sé triste che l'UE sia bloccata sulla costa.

L'unica cosa peggiore sarebbe se dessimo istruzioni anche solo dalla magistratura. 3. L'unica mossa sensata da parte dei leader dell'UE è quella di convocare un vertice UE-Russia, seguendo l'esempio del vertice USA-Russia.

Diamo una possibilità alla pace!", conclude Orban. 

 

Tass: "Esercitazioni congiunte Russia-Bielorussia il 12-16 settembre."

Esercitazioni congiunte delle forze armate di Russia e Bielorussia sono in programma dal 12 al 16 settembre:

 lo ha dichiarato il capo del dipartimento per la cooperazione militare internazionale del ministero della Difesa bielorusso, “Valery Revenko”, citato dalla Tass.

"L'esercitazione strategica congiunta delle forze armate della repubblica di Bielorussia e della Federazione russa "Zapad-2025" si svolgerà dal 12 al 16 settembre 2025", ha affermato “Revenko”, secondo cui l'obiettivo delle esercitazioni sarebbe quello di "testare le capacità della repubblica di Bielorussia e della Federazione russa di garantire la sicurezza militare dello Stato dell'Unione e la prontezza a respingere una possibile aggressione".

 

“Bremmer”: "Putin cerca di allargare la frattura Usa-Ue."

"Trump può utilizzare il viaggio di Putin in Alaska a suo favore, seppur con grandi rischi.

Ma bisogna capire che difficilmente ci sarà una fine delle ostilità in Ucraina.

Non interessa a Putin, e Kiev non può rinunciare alla posizione che ha tenuto finora".

 Lo afferma in un'intervista a La Stampa, “Ian Bremmer,” presidente del think tank statunitense “Eurasia Group”.

"La disponibilità di Putin a viaggiare negli Stati Uniti - aggiunge Bremmer - è simbolicamente deferente verso Trump.

È un tratto caratteriale a cui Trump è vulnerabile e che potrebbe essere sfruttato, però".

Per il presidente di “Eurasia Group” Putin "vuole ampliare la frattura tra Stati Uniti ed Europa" e aggiunge:

 "L'obiettivo di Putin è duplice: respingere la minaccia di tariffe doganali da parte di Trump e incrinare i rapporti tra Washington e le capitali europee.

È una strategia che avrebbe avuto più possibilità qualche mese fa, quando il fronte europeo era meno coeso.

 Oggi l'Europa ha rafforzato il sostegno a Kiev, ma il Cremlino ritiene comunque utile provarci. E lo farà".

 Quanto conta oggi l'Europa nel mantenere l'equilibrio del conflitto?

 "Oggi molto più di prima - va avanti Bremmer -.

L'Ucraina può continuare a combattere anche senza il sostegno diretto degli Stati Uniti, grazie al fatto che l'Europa ha aumentato il proprio impegno.

 Questo significa che Trump non ha più la leva sufficiente per imporre un accordo o costringere Kiev a capitolare, come invece ha lasciato intendere in campagna elettorale.

L'Ucraina non è da sola".

Per Bremmer il problema "è la capacità di resistenza a lungo termine".

"Kiev non ha il numero di uomini necessari per mantenere indefinitamente le proprie linee difensive.

Putin lo sa bene, ed è uno dei motivi per cui non ha alcun interesse a un cessate il fuoco:

sa che il tempo gioca a suo favore" prosegue.

"Il vero obiettivo di Putin è convincere Trump che la responsabilità per la guerra sia di Zelensky" e "gli europei devono restare compatti e ridurre al minimo la possibilità che Trump faccia proprio il racconto di Putin".

 

Media: "Zelensky disposto a cedere controllo alla Russia di territori che già occupa."

Il Presidente ucraino Volodymir Zelensky avrebbe informato i suoi alleati europei della disponibilità di Kiev a scambiare una tregua con la cessione del controllo alla Russia dei territori che già occupa, ma non un lembo di terra in più, scrive il “Daily Telegraph”.

 Si tratterebbe quindi di congelare la linea del fronte, con l'ulteriore richiesta ai Paesi alleati di garanzie di sicurezza nella forma di rifornimenti di armi e di un percorso verso l'inclusione dell'Ucraina nella Nato.

 

I leader Ue: "Il percorso di pace non può essere deciso senza Kiev."

"Il popolo ucraino deve avere la libertà di decidere il proprio futuro.

 Il percorso per la pace in Ucraina non può essere deciso senza l'Ucraina".

È quanto affermano i leader dell'Unione Europea in una dichiarazione congiunta pubblicata ore dopo la conferma da parte di Donald Trump che Volodymyr Zelensky non sarà invitato al vertice di venerdì in Alaska con Vladimir Putin. "Negoziati seri possono solo avvenire nel contesto di un cessate il fuoco o di una riduzione delle ostilità", ribadiscono.

 

"Noi, i leader dell'Ue - prosegue la dichiarazione alla quale non si è associata l'Ungheria - accogliamo con favore gli sforzi del presidente Trump volti a porre fine alla guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina e a conseguire una pace e una sicurezza giuste e durature per l'Ucraina".

I capi di Stato e di governo ricordano che "la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina ha implicazioni più ampie per la sicurezza europea e internazionale:

condividiamo la convinzione che una soluzione diplomatica debba tutelare gli interessi vitali dell'Ucraina e dell'Europa in materia di sicurezza".

 

"L'Ue, in coordinamento con gli Stati Uniti e altri partner che condividono gli stessi principi, continuerà a fornire sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico all'Ucraina, che sta esercitando il suo diritto intrinseco all'autodifesa.

Continuerà inoltre a sostenere e ad applicare misure restrittive nei confronti della Federazione russa", conclude la dichiarazione, ribadendo "il diritto intrinseco dell'Ucraina di scegliere il proprio destino" assicurando che "continuerà a sostenere l'Ucraina nel suo percorso verso l'adesione all'Ue".

 

Salvini: "Gran parte dei media italiani tifa per la guerra, considera il vertice Usa-Russia fallito."

''Comunque vada a finire, si tratta di un incontro storico.

Eppure, non so se avete letto gran parte della stampa italiana: il summit è fallito ancor prima di arrivare...

La cosa che mi sconvolge è che, per ignoranza o arroganza, parte dei media italiani tifa per la guerra.

Il tema vero è questo:

si augura che l'incontro tra Trump e Putin finisca con una nulla di fatto e sarebbe drammatico.

Non so come andrà ma da giornalista professionista iscritto all'Albo, questo incontro dovrebbe essere una grande notizia''.

Lo ha detto Matteo Salvini ieri sera durante l'incontro al Caffè della Versiliana di Marina di Pietrasanta, in provincia di Lucca, parlando del vertice previsto a Ferragosto in Alaska per provare a mettere fine al conflitto in Ucraina.

 

Tutto ciò che c’è da sapere sul vertice Trump-Putin in Alaska.

Il 15 agosto è stato fissato il vertice tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il leader della Russia Vladimir Putin.

 In vista del vertice il tycoon ha annunciato che “parlerò con Putin, gli dirò di mettere fine alla guerra”, sottolineando di attendersi un dialogo “costruttivo”.  "Sentirò gli europei e gli ucraini subito dopo" l'incontro, ha aggiunto Trump. L’appuntamento è in Alaska, e secondo quanto fatto sapere dal presidente Usa Volodymyr Zelensky non è parte dell'incontro.

 

Ucraina, Orban all'Ue: "Niente istruzioni dalla panchina."

Niente "istruzioni dalla panchina".

Scrive così su “X” Viktor Orban rivolto ai leader europei, in vista dell'annunciato incontro in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, dopo che il premier ungherese si è sfilato dalla dichiarazione diffusa nelle ultime ore.

"Ad appena quattro giorni dal summit storico tra il presidente Trump e il presidente Putin, il Consiglio europeo ha tentato di diffondere una dichiarazione a nome di tutti i capi di Stato e di governo dell'Ue. Prima che il coro liberal inizi la sua nuova interpretazione della melodia preferita 'La marionetta di Putin', ho deciso di condividere perché non ho potuto sostenere la dichiarazione a nome dell'Ungheria", scrive Orban che indica tre punti.

"La dichiarazione tenta di stabilire condizioni per un incontro a cui i leader dell'Ue non sono invitati - si legge - Il fatto che l'Ue sia stata lasciata da parte è già abbastanza triste e l'unica cosa che potrebbe peggiorare le cose sarebbe se iniziassimo a dare istruzioni dalla panchina.

L'unica mossa sensata per i leader Ue è promuovere un summit Ue-Russia sulla base dell'incontro Usa-Russia".

E conclude: "Diamo una chance alla pace".

 

Mosca, abbattuti 25 droni di Kiev. Chiusi 7 aeroporti.

Le difese aeree russe hanno abbattuto nella notte 25 droni ucraini ad ala fissa su due regioni del Paese.

 Lo ha riferito il Ministero della Difesa russo sul suo canale Telegram.

"Tra le 23:50 dell'11 agosto e le 3:40 del mattino, ora di Mosca del 12 agosto, 25 droni ucraini ad ala fissa sono stati intercettati e distrutti", si legge nel comunicato.

 L'esercito russo ha specificato che 23 aerei sono stati abbattuti sulla regione di Rostov e i restanti due sulla regione di Krasnodar.

Di fronte alla minaccia di attacchi con droni, sette aeroporti in città russe hanno temporaneamente sospeso le operazioni, secondo “Rosaviatsia”, l'agenzia federale per l'aviazione civile.

 

Russia, giovedì e venerdì il capo della Duma a Pyongyang.

Il presidente della Duma, “Vyacheslav Volodin”, sarà giovedì e venerdì in visita in Corea del Nord.

Lo riferisce l'agenzia russa Tass mentre Mosca e Pyongyang continuano a intensificare la cooperazione a livello militare sotto ai riflettori anche per le implicazioni nel conflitto in Ucraina.

Volodin andrà "a Pyongyang alla guida di una delegazione russa su invito dell'Assemblea popolare suprema" nordcoreana "per partecipare alle celebrazioni in occasione degli 80 anni della liberazione della Corea", si legge in una nota della Duma.

 

“Haass”: "Gravi ricadute se si cedono i territori."

"Con il vertice Trump-Putin, passeremo dalle parole ai fatti, con conseguenze geopolitiche per molti anni a venire, con implicazioni per il rapporto con la Cina, per il futuro dell'Europa, per gli assetti del Medio Oriente.

 È un vertice storico.

Spero ancora che il presidente Trump faccia la cosa giusta".

 Lo afferma in un'intervista al Corriere della Sera il diplomatico americano, “Richard Haass”, già consigliere di quattro presidenti statunitensi.

 Per Haass, Trump "dovrà ottenere un cessate il fuoco immediato e rimandare a un secondo tempo e a un contesto di legalità e non ricattatori eventuali negoziati territoriali.

Invece l'impostazione è bilaterale e si parla già di concessioni territoriali.

Se andrà così, l'errore sarà grave per la credibilità della presidenza Trump e per l'Occidente".

"Trump capirà che svendere la fine di un conflitto in nome di una promessa elettorale avrà ricadute drammatiche" aggiunge il diplomatico.

 "Decadrà formalmente la sacralità dei confini che ha segnato gli equilibri dell'ordine internazionale dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi - va avanti il diplomatico Usa -.

Per quella sacralità l'America nel 1991 andò al fronte per ripristinare la sovranità al Kuwait occupata dall'Iraq.

Oggi come allora siamo a un crocevia.

E rischiamo di perdere la visione strategica se l'America cederà al ricatto di Mosca".

"Concordo con la posizione europea che chiede un cessate il fuoco e l'inclusione di Zelenskyj" prosegue Haass.

A parere del diplomatico "l'Europa oggi non ha la credibilità o la forza — politica, economica e militare — per sostituirsi all'America nel tutelare l'ordine che conosciamo.

Oggi la vera battaglia è fra Cina e Stati Uniti su fronti come l'Intelligenza artificiale, le nuove tecnologie militari". 

Trump: "Zelensky non sarà in Alaska, ma Putin deve vederlo."

Un vertice in Alaska per tastare il polso della situazione.

Questo secondo Trump il principale obiettivo del faccia a faccia con Putin venerdì. È tutta una questione di feeling, così la vede, come spesso accade, il Presidente americano:

"Putin non farà il furbo con me", assicura, "gli dirò chiaro e tondo che voglio un cessate il fuoco".

Sarà un incontro costruttivo, prevede Trump, ma a scanso di equivoci ricorda che questa, come dice spesso, è la guerra di Biden, non la sua.

 Con Trump combattuto tra le aspirazioni da pacificatore e la tentazione di sfilarsi, l'Ucraina teme un accordo ingiusto.

Il Presidente americano ribadisce che entrambe le parti dovranno rinunciare a qualcosa: "Ci sarà uno scambio di territori", spiega.

Capo Pentagono: "Su Ucraina concessioni, nessuno sarà contento."

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha creato le condizioni per un possibile accordo di pace con il leader del Cremlino Vladimir Putin, ma "ci saranno concessioni" di cui "nessuno sarà contento":

 lo ha detto il segretario alla Difesa statunitense, “Pete Hegseth”, in un'intervista a Fox News.

"Il presidente Trump ha già cambiato le regole del gioco.

Ha creato le condizioni per una possibile soluzione pacifica, che è stato il suo obiettivo fin dall'inizio, su un campo di battaglia molto difficile.

Non credo che Vladimir Putin avrebbe accettato l'incontro se non si fosse sentito sotto pressione... ", ha detto Hegseth.

"Potrebbero esserci scambi territoriali in fase negoziale.

 Ci saranno concessioni. Nessuno sarà contento.

Ma se c'è qualcuno che può farlo, quello è il presidente Trump", ha aggiunto.

 

Leader Ue: "Pronti a garanzie di sicurezza per l'Ucraina"

"L'Ue e gli Stati membri sono pronti a contribuire ulteriormente alle garanzie di sicurezza sulla base delle rispettive competenze e capacità, in linea con il diritto internazionale e nel pieno rispetto della politica di sicurezza e di difesa di alcuni Stati membri, tenendo conto degli interessi di sicurezza e di difesa di tutti gli Stati membri.

L'Ue sottolinea il diritto intrinseco dell'Ucraina di scegliere il proprio destino e continuerà a sostenere l'Ucraina nel suo percorso verso l'adesione all'Ue".

È quanto dichiarano i leader dell'Ue in uno “statement” concordato dai 27 ad eccezione dell'Ungheria.

 

Leader Ue: "La pace non può essere decisa senza l'Ucraina"

"Una pace giusta e duratura che porti stabilità e sicurezza deve rispettare il diritto internazionale, compresi i principi di indipendenza, sovranità, integrità territoriale e l'inviolabilità dei confini internazionali.

 Il percorso verso la pace in Ucraina non può essere deciso senza l'Ucraina.

 Negoziati significativi possono aver luogo solo nel contesto di un cessate il fuoco o di una riduzione delle ostilità".

È quanto dichiarano i leader dell'Ue in una dichiarazione congiunta concordata nella notte dal presidente del Consiglio europeo e da tutti i Paesi membri ad eccezione dell'Ucraina.

 

 

 

L’Europa davanti alle elezioni americane:

l’impotenza e l’irresponsabilità

delle classi politiche nazionali.

Euractiv.it - Roberto Castaldi - (5 nov. 2024) – Euractiv Italia -Redazione – ci dice:

 

Dovunque ci giriamo vediamo l’impotenza e l’irresponsabilità della classe politica degli Stati membri dell’Unione Europea.

 Impotenti perché gli Stati nazionali sono troppo piccoli per affrontare le grandi sfide.

Diventano quindi anche irresponsabili, non facendo quanto potrebbero e dovrebbero, per mettere l’Unione nelle condizioni di affrontarle.

Tutto il mondo tiene il fiato sospeso per le elezioni americane.

 L’Europa un po’ di più, timorosa che una vittoria di Trump porti ad un disimpegno americano dalla NATO e dalla sicurezza europea, nonché a una nuova guerra commerciale e al proprio impoverimento (per non dire dei rischi che correrebbe la democrazia americana, dato che si parla della persona che dopo aver perso le elezioni, ha incitato l’assalto al Congresso il 6 gennaio 2001 per bloccare l’entrata in carica di Biden).

Ma le classi politiche nazionali non hanno fatto nulla per mettere l’UE in condizioni di provvedere da sola alla propria sicurezza e al proprio sviluppo.

 E se guardiamo nel dettaglio nei vari Paesi, ci accorgiamo che il passo dall’impotenza all’irresponsabilità è molto breve.

 

Il Consiglio europeo e il fallimento delle leadership politiche nazionali.

Mentre intorno all’Europa il mondo brucia i Capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’UE non si preoccupano di come spegnere le fiamme, ma di come evitare che qualcuno di quelli che cercano di fuggire da esse possa …

 

In Spagna il Governo della Comunità Valenciana, una delle regioni autonome della Spagna, guidato dal Partito Popolare, non ha dato seguito agli iniziali allarmi del governo spagnolo e non ha accettato il suo aiuto nel gestire l’emergenza seguita all’alluvione della notte del 29 ottobre.

Cedendo infine e accogliendo l’intervento del governo spagnolo solo il 2 novembre. Ciò ha ulteriormente aggravato l’esito del disastro incredibile di Valencia con un numero di vittime, dispersi e danni molto maggiori di quello che sarebbe stato altrimenti.

 Ma siccome i cittadini vengono educati al nazionalismo metodologico, inizialmente il biasimo maggiore e gli insulti sono andati al Premier socialista Sanchez e al re Felipe VI.

Ma poi si è rivolto sul presidente della Comunità Valenciana.

Tanto che per evitare che il discredito si estendesse a tutto il Partito Popolare spagnolo, ieri il leader “Feijóo ha dichiarato di appoggiare il governo, di condannare le violenze contro Sanchez e proposto di dichiarare lo stato d’emergenza per poter utilizzare tutte le risorse in modo coordinato.

 

I cittadini fischiano le autorità durante la visita nelle zone colpite dall'alluvione a Valencia.

Il Re di Spagna Felipe VI è stato accolto con ostilità dai residenti domenica (3 novembre) durante la sua visita a “Paiporta”, una delle città più colpite della regione di Valencia, dove sta crescendo la frustrazione per i ritardi negli …

 

In Germania la coalizione semaforo – composta da socialdemocratici, liberali e verdi – è in crisi da tempo.

In assenza di un accordo tra i 3 partiti sui dossier legislativi europei, la Germania si astiene ormai molto spesso nelle decisioni legislative del Consiglio dell’UE.

Forse si arriverà alla fine del governo Scholz, che, contrariamente alla tradizione tedesca, ha ignorato completamente gli impegni presi nel suo accordo di coalizione.

Che conteneva un programma con un forte profilo europeista firmato da tutti e tre i partiti che proponevano una Convenzione Costituente dopo la Conferenza sul futuro dell’Europa per creare un vero governo federale europeo.

Al contrario oggi la Germania chiude le frontiere e mette a rischio Schengen, inseguendo “Alternative fur Deutschland”.

Si oppone all’integrazione in campo fiscale e al debito comune, così come ai rapporti di Letta e Draghi per rilanciare l’economia europea.

 Frena sull’integrazione in politica estera e di difesa e sul sostegno all’Ucraina, inseguendo il Bündnis Sahra Wagenknecht.

 Insomma, sostanzialmente ha preso una posizione nazionalista che contribuisce a indebolire l’Europa di fronte a tutte le crisi internazionali – geopolitiche, economiche, energetiche – che ha di fronte.

 Ed è una linea che non sta portando consensi al governo tedesco.

Perché non risolve i problemi dei cittadini tedeschi ed europei, ma insegue i nazionalisti in salsa populista e si rivela fallimentare.

 

La maggiorata tedesca vive la sua ora più buia, tra instabilità e rivendicazioni.

Il governo tedesco potrebbe crollare mercoledì (5 novembre), quando l’Europa si troverà ad affrontare l’incertezza delle elezioni statunitensi, mentre i socialdemocratici e i verdi chiedono ai loro alleati liberali di agire in modo responsabile.

La settimana scorsa, il partito liberale FDP …

 

In Francia abbiamo visto quello che è accaduto dopo le elezioni europee, con lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, l’ottimo risultato del “Rassemblement National di Marine Le Pen” al primo turno, la desistenza tra Fronte Popolare di sinistra e centristi macroniani, che ha funzionato al secondo turno.

La loro incapacità di trasformare la desistenza in una collaborazione parlamentare e la nascita di un governo di minoranza, guidato da Barnier, esponente del 5°! Partito all’Assemblea nazionale, e completamente dipendente dalla benevolenza del Rassemblement National.

Un governo che sta cercando di rimettere in piedi le disastrate finanze pubbliche francesi, con la netta opposizione e indisponibilità alla responsabilità dell’Assemblea nazionale.

 E di copiare le posizioni del RN sull’immigrazione per cercare di sopravvivere.

Una sequela di mosse caratterizzate da impotenza e irresponsabilità che sta portando la Francia in una crisi politica e finanziaria spaventosa, e a non riuscire a giocare un ruolo sul piano europeo.

 

Caos nell'Assemblea nazionale francese sulla legge di Bilancio 2025 del governo Barnier.

Il nuovo governo francese di Michel Barnier si trova di fronte a una situazione di caos nell’Assemblea nazionale dove, dopo una settimana di intense e a tratti tumultuose discussioni sulla legge di Bilancio 2025 (ribattezzata Frankenstein dall’emittente …

In Belgio da mesi si protraggono i negoziati per la creazione di un governo senza successo.

Come se la situazione internazionale non fosse drammatica e non richiedesse un sussulto di senso di responsabilità.

D’altronde, parliamo di un Paese dove non esistono nemmeno partiti belgi, ma ogni famiglia politica è divisa in due, con un partito vallone francofono, ed uno fiammingo.

Non si raggiunge un accordo tra il primo ministro in pectore (di N-VA, membro dei Conservatori e Riformisti) e Vooruit (socialisti fiamminghi, membri dei Socialisti e Democratici) per una coalizione che includerebbe anche i democristiani di entrambe le lingue e i liberali francofoni.

Se cadesse questa formula‚ detta “Arizona”, si aprirebbe il rischio di una maggioranza all‘olandese (dunque molto più a destra) con la partecipazione del Vlaams Belang (membri dei Patrioti per l‘Europa), su una line fortemente nazionalista e anti-europea.

Sarebbe paradossale in uno Stato, il Belgio, che ospita le principali istituzioni europee, e ad esse deve la sua precaria unità, ovvero l’impossibilità per valloni e fiamminghi di divedersi del tutto, perché Bruxells non può essere divisa o spartita, e ha un ruolo economico centrale per tutto il Paese.

 

Il Belgio non riesce a formare un nuovo governo. Stallo delle negoziazioni.

I colloqui per la formazione di un governo di coalizione belga sono saltati giovedì (22 agosto) quando il capo negoziatore ha rassegnato le proprie dimissioni a Re Filippo, minacciando un ulteriore stallo politico per il Paese a due mesi dalle …

 

In Polonia il premier Tusk ha invitato gli europei a prendere in mano il proprio destino, specialmente nel caso in cui venisse eletto Trump.

 Peccato che lo stesso Tusk avesse chiesto ai suoi parlamentari europei di votare contro la proposta di riforma dei Trattati nel novembre 2023 e si sia sempre detto contrario ad estendere e generalizzare il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio dell’UE, senza il quale ogni Stato membro può bloccare qualsiasi decisione.

 

In Italia un partito di maggioranza come la Lega mette in dubbio il primato del diritto europeo e presenta una proposta di legge per riaffermare il primato del diritto nazionale.

 Incurante del fatto che una simile legge risulterebbe incostituzionale, alla luce degli art. 11 e 117, e della giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’UE.

E la maggioranza tutta si rifiuta di ratificare la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, che comunque non scompare, ma resta in vigore con le vecchie regole che l’Italia critica ma che ha già ratificato al momento della nascita del MES.

 La scelta italiana impedisce di migliorare il funzionamento del MES, di utilizzarlo come strumento di ultima istanza a sostegno del Fondo per la risoluzione delle crisi bancarie, finanziato dalle banche, e quindi di procedere verso l’unione bancaria, che pure a parole il governo auspicherebbe.

 

Al raduno di Pontida i nemici dell'Italia e dell'Europa.

A Pontida si sono incontrati i principali i nemici dell’Italia e dell’Europa. Infatti i grandi ospiti dell’evento sono stati, la francese Marine Le Pen (online), l’olandese Geert Wilders famoso per la sua posizione “neanche un euro all’Italia”, l’ungherese Viktor Orbán …

E potremmo continuare così guardando a quel che accade in molti altri Paesi. Dall’Ungheria, dove ormai non esiste più lo stato di diritto, alla Romania infiltrata dalla guerra ibrida russa, ecc.

 

Il leader del PPE, Manfred Weber, ha chiesto ieri un Piano B per la difesa dell’Europa in caso di elezione di Trump.

 Ma dov’era negli ultimi anni, quando bisognava predisporre quel piano, dopo l’invasione russa dell’Ucraina?

Dov’era quando il PPE si è spaccato nel voto sulla proposta di riforma dei Trattati, invece di sostenerlo compattamente per spingere verso una unione dell’energia, della fiscalità e della difesa?

Comunque, meglio tardi che mai. I leader degli altri partiti europei non sono riusciti a chiederlo nemmeno adesso.

 

Il messaggio di Draghi: sovranità europea o lenta agonia.

Mario Draghi ha presentato il suo Rapporto.

Euractiv Italia gli dedica uno Special Report che ne spiega il messaggio fondamentale e ne sintetizza e analizza i vari aspetti.

Nel primo articolo spieghiamo il messaggio fondamentale e il filo rosso che unisce …

Insomma, una situazione di irresponsabilità generalizzata che vediamo ovunque in Europa.

Di fronte all’elezione americana l’impreparazione degli europei per un’eventuale presidenza Trump è palese.

Segno e frutto di una irresponsabilità a cui devono porre fine gli europei, creando un governo federale, cioè un centro di responsabilità reale, che abbia le competenze e i poteri per affrontare le sfide che ormai a livello nazionale non si riescono ad affrontare.

 

Non è un caso se solo la Commissione ha creato una Task force per predisporre un piano di reazione ad un eventuale improvviso aumento generalizzato dei dazi che Trump ha promesso in campagna elettorale.

Non è un caso se sia stato il Parlamento Europeo a proporre una riforma complessiva dei Trattati per superare l’unanimità.

Solo a livello europeo si riesce a porsi al livello dei problemi che abbiamo di fronte.

 

L’impotenza nazionale è la causa dell’irresponsabilità della classe dirigente nazionale, incapace di far fronte alle sfide.

Dotare l’Unione degli strumenti istituzionali, finanziari, politici per affrontare tali sfide e rispondere alle esigenze dei cittadini europei sarà il compito di questa legislatura europea, indipendentemente che Harris o Trump sieda alla Casa Bianca.

 

 

 

 

L’IMPOTENZA EUROPEA

NELLA QUESTIONE UCRAINA.

  Opinione.it - Claudio Amicantonio – (17 febbraio 2025) – ci dice:

 

Analisi di una marginalizzazione annunciata.

 

Nel febbraio 2022, pochi giorni prima dell’invasione russa, scrivevo su queste pagine che la crisi ucraina si sarebbe risolta “pacificamente” tra le due superpotenze nucleari, con la precisazione che “l’unica eccezione possibile, all’interno di una soluzione pacifica, è rappresentata dall’accentuarsi degli scontri armati nella guerra già in corso nel Donbass” senza nessuna proliferazione militare dello scontro.

La recente telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin conferma la previsione fondamentale di quell’analisi: lo scontro diretto tra Stati Uniti e Russia non sarebbe mai avvenuto, proprio perché – scrivevo – “a Washington come a Mosca sono consapevoli che qualunque prova muscolare non potrà mai essere portata oltre il limite che comporterebbe uno scontro militare diretto”.

Gli sviluppi degli ultimi mesi hanno dimostrato come la geometria del potere internazionale continui a ruotare attorno all’asse Washington-Mosca.

Il conflitto ucraino, lungi dall’essere una semplice guerra regionale, si è rivelato il teatro di una complessa partita diplomatica dove le due superpotenze nucleari hanno costantemente calibrato il livello di tensione, mantenendolo sempre al di sotto della soglia critica.

 Le forniture militari occidentali all’Ucraina, le sanzioni economiche alla Russia e le contro-risposte di Mosca hanno seguito un copione non scritto ma ben definito di escalation controllata.

 

La pax economica di cui scrivevo allora, basata sull’accettazione unanime del capitalismo come sistema di produzione della ricchezza, sta emergendo come il vero architetto della soluzione del conflitto.

La telefonata tra il presidente americano e il leader del Cremlino non è che la manifestazione più recente di questa dinamica, dove gli interessi economici prevalgono sulle ideologie e a maggior ragione sul livello di democraticità dei sistemi istituzionali.

 L’interconnessione dei mercati globali ha giocato un ruolo determinante nel moderare le posizioni più estreme.

Le sanzioni occidentali, pur significative, hanno sempre mantenuto canali aperti per settori strategici, mentre la Russia ha continuato a onorare molti dei suoi impegni commerciali internazionali.

Questa trama di interessi incrociati ha creato un sistema di checks and balances economici che ha impedito una rottura totale tra i blocchi.

 

Ancor più esatta si è rivelata l’analisi sulla posizione dell’Europa. Scrivevo che “le cancellerie europee sembrano oscillanti”, divise tra il “rafforzamento della Nato” e un “progressivo avvicinamento alla Russia”.

Oggi, mentre assistiamo alla debolezza strutturale dell’Unione europea nel determinare le sorti del conflitto, quelle parole risuonano con particolare attualità e pericolosità.

La paralisi decisionale europea si è manifestata in numerose occasioni:

nella difficoltà di coordinare una risposta unitaria alle forniture energetiche russe, nell’incapacità di sviluppare una strategia autonoma di difesa continentale e, più recentemente, nell’assenza di una voce europea autorevole nel processo di pace.

La frammentazione degli interessi nazionali nonché l’architettura istituzionale europea hanno impedito l’emergere di una vera politica estera comune, lasciando il campo libero al duopolio russo-americano.

 

L’Europa si trova esattamente dove la collocava quell'analisi: in bilico tra un’alleanza atlantica sempre più condizionata dagli umori americani e l’impossibilità di costruire una vera politica autonoma verso Mosca.

 Il “disinteressamento da parte degli Stati Uniti” si è manifestato nella sua forma più evidente, con Washington che dialoga direttamente con Mosca, ignorando completamente Bruxelles. Questo bypass diplomatico rappresenta il culmine di un processo di marginalizzazione del ruolo europeo che ha radici profonde nella mancata evoluzione dell’Ue verso una vera unione politica e militare.

L’evoluzione della crisi ucraina ha messo in luce una verità più profonda della semplice contrapposizione tra blocchi geopolitici. Le dinamiche che abbiamo osservato non sono il frutto di calcoli diplomatici tradizionali, né tantomeno il risultato di analisi basate su vecchi paradigmi interpretativi come l’hegelo -marxismo o il positivismo scientista.

Il mondo contemporaneo si muove secondo logiche più radicali. Viviamo in un’epoca dove il tramonto delle verità assolute ha lasciato spazio a un nuovo ordine internazionale, dominato non più da principi ideologici ma dalla nuda realtà della potenza.

 È proprio questa assenza di fondamenti metafisici condivisi che rende la deterrenza nucleare non solo uno strumento militare, ma il vero architetto silenzioso degli equilibri mondiali.

 La telefonata Trump-Putin non è che l’ultima manifestazione di questa realtà: quando si tratta di decisioni cruciali, il tavolo delle trattative si restringe automaticamente ai detentori della potenza nucleare.

 Non è un caso, né una scelta: è la logica stessa del potere nell’era contemporanea che detta questa geometria delle relazioni internazionali.

 

In questo quadro, il diritto internazionale mostra il suo vero volto: non più guardiano di principi universali, ma sofisticato sistema di gestione legittima della forza.

 Le potenze nucleari ne sono perfettamente consapevoli, e proprio questa consapevolezza ha permesso loro di mantenere il conflitto ucraino entro limiti controllati, al di qua della soglia dell’apocalisse.

L’impotenza europea emerge così in tutta la sua drammatica evidenza.

 Non è tanto l’assenza di una politica estera comune a paralizzare l’Unione, quanto la sua strutturale incapacità di porsi come potenza militare e nucleare autonoma.

Bruxelles può invocare il diritto internazionale, può richiamarsi ai valori democratici, ma resta esclusa dalle stanze dove si decidono realmente le sorti del conflitto.

 

Questa marginalizzazione del Vecchio continente non è un incidente di percorso, ma il prezzo dell’impotenza in un mondo dove la forza, nella sua forma più estrema, determina ancora i reali confini del potere.

L’Europa, stretta tra la dipendenza atlantica e l’impossibilità di un dialogo paritario con Mosca, scopre così i limiti della sua costruzione puramente economica e giuridica.

La soluzione della crisi ucraina si sta delineando proprio secondo questa implacabile logica di potenza, dove gli attori principali non sono determinati dalla loro statura morale o dalla loro adesione a principi democratici, ma dalla loro capacità di sedersi al tavolo della deterrenza nucleare.

Una realtà che l’Europa, nel suo idealismo giuridico-economico, fatica ancora a metabolizzare.

Ma la geometria del potere che ha governato finora gli equilibri mondiali potrebbe presto rivelare la sua fragilità.

Nuovi attori emergono all’orizzonte, portatori di una potenza che sfugge alle tradizionali categorie interpretative.

 Non è più solo questione di equilibri tra potenze nucleari storiche:

 l’ordine bipolare sta cedendo il passo a una realtà più complessa e imprevedibile.

 

La stessa natura del potere sta mutando nelle sue forme fondamentali.

L’arsenale nucleare, da supremo garante degli equilibri mondiali, rischia di diventare solo uno dei tanti strumenti in un panorama dove la supremazia tecnologica assume forme sempre più sottili e pervasive.

 La moltiplicazione dei centri di potenza non segue più le logiche territoriali degli Stati nazionali del secolo scorso, ma si muove in spazi virtuali e dimensioni impalpabili, dove il confine tra guerra e pace diventa sempre più sfumato.

Eppure, al di là di questi scenari di possibile destabilizzazione, si intravede una tendenza di più lungo periodo.

La tecnica, nella sua inarrestabile espansione, sta plasmando un nuovo ordine mondiale.

Al di là degli alti e bassi di violenza e delle guerre locali, il pianeta sembra muoversi verso una pax tecnica:

un sistema dove l’interconnessione tecnologica ed economica diventa così pervasiva da rendere sempre più costoso, se non impossibile, ogni tentativo di rottura degli equilibri globali.

 

Questa pax non è l’utopia di un mondo senza conflitti, ma piuttosto l’’emergere di un sistema dove la potenza stessa si trasforma, assumendo forme sempre più sofisticate e meno militarizzate.

 La sfida del futuro non sarà tanto nel gestire il potere nucleare, quanto nel governare questa transizione verso un ordine mondiale dove la supremazia tecnologica diventerà il vero discrimine tra chi decide e chi subisce le sorti del pianeta.

 

 

 

 

Il pensiero critico diffuso

come argine strategico al ritorno

della politica di potenza.

Tuttoscuola.com – (19 marzo 2025) - Gaetano Domenici – ci dice:

Come ormai appare evidente dai fatti salienti accaduti nel mondo in questi ultimi quattro-cinque anni, alcuni dei più importanti paradigmi di riferimento, sul piano del diritto internazionale, nonché della organizzazione della vita sociale interna a ciascun Paese, ereditati dal passato e/o via via elaborati e condivisi dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale, sembrano quasi del tutto infranti, “superati”.

Certo, in forma più eclatante paiono trasgrediti e sorpassati quelli che a partire dal primo dopo guerra hanno caratterizzato le relazioni internazionali tra i diversi Paesi – democratici e non-. Da questo angolo visuale paiono drammaticamente emblematici tanto l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel febbraio del 2022, ovvero l’uso arbitrario della forza per risolvere conflitti di interessi da parte di un Paese più forte a scapito di uno pur indipendente e sovrano, ma militarmente più debole, quanto la messa a ferro e fuoco della striscia di Gaza e di parte del Libano da parte di Israele.

Dichiarata come logica ritorsione israeliana dell’eccidio del 7 ottobre del 2023 perpetrato da Hamas, ha già causato in quindici mesi la morte di oltre 46mila civili inermi (stime ONU),  in gran parte donne e  bambini, senza che si registrasse  nel mondo quella indignazione e quella reazione di cittadini e governi democratici (purtroppo non risolutive le pur encomiabili manifestazioni interne a Israele) capaci di indurre i responsabili a porre fine a quel massacro.

Particolarmente preoccupante è apparsa in questo quadro, l’eccessiva cautela politico-valutativa   dell’Unione Europea e dei paesi occidentali quando a violare quei paradigmi di civiltà è risultato essere un Paese democratico, Israele, sostenuto dal più forte dei paesi democratici.

 E ciò a dispetto, si direbbe,  delle raccomandazioni e delle risoluzioni ONU, la cui inadempienza ha peraltro certificato l’impotenza effettiva di questa pur meritoria organizzazione (esattamente come era già avvenuto un secolo prima con la Società delle nazioni con l’avvento del nazismo), e nonostante sia ancora viva la memoria della mostruosità aberrante del secondo conflitto mondiale e la stessa  l’UE abbia posto a proprio fondamento non solo il benessere dei propri membri, ma anche e soprattutto la cura e la difesa di valori quali l’equità, la libertà, la pace e la democrazia.

Per ultima, in ordine di tempo, in perfetta coerenza logico-politica con il mancato rispetto delle regole del gioco democratico delle relazioni tra gli Stati e dell’uso arbitrario della forza, cui prima si è accennato, la dichiarazione minacciosa del nuovo presidente americano, Ronald Trump, nella sua recente conferenza stampa del 7 gennaio, di impossessarsi – se necessario con la forza, ha precisato  – della Groenlandia, del Canale di Panama, che dovrebbe rinominarsi  Canale d’America, di “scatenare” infine, l’inferno sulla striscia di Gaza” se prima del suo insediamento alla Casa bianca, non saranno stati liberati da Hamas i prigionieri israeliani.

Dichiarazioni confermate, dopo che i giornalisti presenti avevano pensato ad uno scherzo, che possono ben  rappresentare, tra l’altro, il viatico politico per l’annessione – senza clamore e senza la violazione delle “nuove norme” (sic!) – della Repubblica indipendente di Taiwan da parte della Cina.

Non è dunque per caso che il nostro Presidente della Repubblica  Sergio Mattarella nel discorso tenuto il 13 di questo gennaio 2025 all’incontro nel Palazzo del  Quirinale  con i vincitori del concorso per Segretari di Legazione, primo grado della carriera diplomatica, –  di cui qui si riporta uno stralcio – abbia insistito sull’importanza e il rispetto delle norme che regolano la civiltà dei rapporti tra Stati, anche al fine di “promuovere la collaborazione e la reciproca comprensione”,  “trovare soluzioni condivise” e pacifiche ai conflitti e far fronte alle  “sfide che il mondo ha davanti”:

 

 “Questo è un periodo pieno di grandi incertezze e tensioni nella vita internazionale, di grandi tensioni a causa dei conflitti e a causa di ritorni ottocenteschi a una politica di potenza.

Sembra quasi che siamo in presenza di una sorta di ritorno a una visione di politica di potenza, estranea ai tempi, ed estranea alla coscienza comune maturata dalla civiltà in questo nostro tempo.

 

È una condizione di conflitto stridente, di stridente contrasto tra le esigenze che il mondo ha davanti, le sfide che deve affrontare: da quella della salute globale, come la pandemia ci ha insegnato, a quella del mutamento climatico, a quella delle distanze abissali di carattere alimentare nel mondo, a quella della difficoltà provocata dagli squilibri che nel mondo vi sono, che richiederebbero risposte comuni e condivise.

 E, dall’altra parte, le tensioni, le guerre, le aggressioni, la volontà di imporre agli altri Stati la propria volontà con la forza.

È davvero una singolare contraddizione tra esigenze dell’umanità e condizioni che, in questo periodo, presenta la comunità internazionale.

Anche per questo, contro questa deriva internazionale di violenza, di rifiuto del dialogo e dell’attitudine alla collaborazione, alla reciproca comprensione, la nostra diplomazia è sempre stata impegnata nella ricerca della pace, della collaborazione, della comprensione reciproca, appunto, dell’intendimento di trovare soluzioni condivise nelle difficoltà che inevitabilmente si pongono nei rapporti internazionali.

 E questo compito viene svolto dai nostri diplomatici con grande sagacia, che merita riconoscenza.”

 

Parimenti rilevante risulta – sul piano dei mutamenti “genetici”, si direbbe, rilevati in questi anni – il superamento in corso dei “tradizionali” modelli paradigmatici di analisi valutativa delle modalità d’uso e di governo dei sistemi informativi e della comunicazione via via diffusi o adottabili dai diversi Paesi.

Un superamento dei vecchi modelli di riferimento accentuato e accelerato dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA) e dell’IA-generativa, e dal moltiplicarsi dei loro fronti applicativi (da quello del lavoro a quello dello svago e del divertimento, passando per quello culturale, educativo, eccetera). L’imprevedibilità del mutamento registrato e percepito, ma anche e soprattutto la negatività di alcuni degli effetti che esso ha fin qui prodotto e ancor più, forse, la percezione di impotenza nei processi di orientamento e di governo dello stesso cambiamento, ha incrementato, non già ridotto, come alcuni speravano, l’incertezza del futuro.

 

Il pericolo maggiore parrebbe, ora, almeno per i Paesi democratici e per le loro reciproche relazioni – qualunque sia il loro grado di democraticità – l’influenza decisiva dell’uso commerciale privatistico delle informazioni e della comunicazione, ovvero di costellazioni di satelliti per l’accesso a internet globale, soprattutto nella determinazione dei processi e dei risultati elettorali.

Si teme, non a torto, che possa così venir indebolito, se non abolito, quell’elemento costitutivo di ogni democrazia che è dato dalla libera costruzione e strutturazione della volontà e dell’orientamento politico dei singoli cittadini e/o di gruppi organizzati di essi. Il consenso, parrebbe ormai che venga promosso primariamente – ahi noi impercettibilmente e inconsapevolmente – dalla moderna tecnologia dell’informazione e della comunicazione a livello globale, posseduta da singoli oligarchi del potere informativo (il cui numero a livello mondiale non supera le dita di una mano), ovvero da quello che è stato definito “capitalismo post democratico”.

 Un consenso non più promosso, perciò, attraverso uno spazio o foro pubblico pluralista, con cui secondo i vecchi paradigmi, si favoriva la  composizione –certo non perfetta, ma abbastanza fedele –  dell’opinione pubblica.

 

 Emblematiche, su questo versante, le ormai frequenti ingerenze politiche nella vita democratica degli Stati esercitate da parte di detentori privati, spesso monopolistici, delle più moderne e pervasive tecnologie della comunicazione. Ingerenze che a differenza di quelle sempre esistite, ora, anche in forza dell’Intelligenza artificiale, si caratterizzano come strumentalmente capaci di creare, strutturare e sostenere una vera e propria opinione pubblica in grado di determinare a sua volta processi e esiti elettorali.

 Paradigmatiche, di questa fattispecie, sono, per fare qualche esempio, le richieste, le esortazioni, gli inviti e i comunicati politici a livello globale oltre che dei singoli Paesi, da parte del proprietario di Starlink e di X (il social network già noto come Twitter), ora il più organico e ascoltato consigliere del nuovo presidente degli USA, alcuni dei quali si sintetizzano qui di seguito: la richiesta di dimissioni e di arresto del premier britannico per reati abominevoli, non comprovati;

 l’invito a licenziare e incarcerare come indegni i giudici italiani che in piena autonomia – quella giudiziaria è garantita dalla nostra Costituzione – hanno assunto decisioni indipendenti, non congruenti con quelle governative, su alcuni delicati problemi dell’immigrazione;

la “denuncia” di “incapacità mentale e politica” del cancelliere tedesco – con contemporanea intervista ed esaltazione della segretaria del più potente partito neonazista della Germania – e si potrebbe continuare, fino a quelli che hanno orientato le stesse elezioni americane.

 

Certamente, i contagiosi deliri di onnipotenza manifestatisi in questi anni recenti stanno contribuendo non poco a far regredire a stadi antecedenti il grado avanzato di civiltà raggiunto dall’uomo seppur in maniera disomogenea sul nostro pianeta.

La drammaticità degli effetti sta tuttavia favorendo l’avvio di una analisi critica tanto del problema della strutturazione democratica delle decisioni politiche nei singoli Paesi e nelle organizzazioni internazionali, quanto degli assetti proprietari e di impiego di beni e strumenti che per quanto risultato dell’opera dell’ingegno umano, individuale e non,  possono diventare,  se lasciati al governo di pochi o di singoli soggetti, mezzo di asservimento quanto non di possibile causa diretta o indiretta di auto-distruzione della civiltà umana.

 

I rischi possibili del cambiamento tecnologico davvero epocale che da qualche anno stiamo vivendo non sono intrinsecamente organici alla modernità, ma derivano, ancora, dall’uso che dei nuovi mezzi viene fatto.

 Orientare e contribuire a governarne l’uso in modo democratico dentro e tra i Paesi del nostro pianeta riveste dunque un rilievo fondamentale.

A parere di molti esperti – uno per tutti, il Rettore dell’Università dell’ONU, “Tshilidzi Marwala” che gode di un osservatorio politico-culturale straordinario per cogliere i fatti salienti del mondo – è proprio nei contesti appena descritti che emerge la necessità, diventata già urgente, di promuovere le condizioni educative, soprattutto formali, affinché venga incentivata la promozione, la fioritura e la diffusione più estesa possibile del pensiero critico.

Si impone dunque una “rivisitazione critico-propositiva”, come è stata definita, delle funzioni e delle strutture educative deputate in genere, a istruire e a formare le nuove generazioni, magari a cominciare dall’Italia e dai Paesi UE.  

Commenti

Post popolari in questo blog

Quale futuro per il mondo?

Co2 per produrre alimenti.

Caos e dazi.