Non capire chi comanda.
Non
capire chi comanda.
L'ira
di Mosca contro l'Europa:
"Imbecilli e nazisti". Vance:
"L'intesa non farà felice né la Russia
né l’Ucraina."
Msn.com – (11 – 08 – 2025) - Storia di
web@gazzettadelsud.it - Alberto Zanconato – ci dice:
L'ira
di Mosca contro l'Europa: "Imbecilli e nazisti". Vance:
"L'intesa non farà felice né la Russia né l’Ucraina."
La
Russia si scaglia contro i Paesi europei accusandoli di voler boicottare i
tentativi di Donald Trump di raggiungere la pace in Ucraina, a cinque giorni
dal vertice con Vladimir Putin in Alaska.
«Gli euro-imbecilli cercano di ostacolare i
tentativi americani di aiutare a risolvere il conflitto ucraino», ha affermato
l’ex presidente “Dmitry Medvedev”, dopo che, in una dichiarazione congiunta, i
leader di Francia, Italia, Germania, Polonia, Finlandia e della Ue hanno
ribadito il loro «incrollabile impegno» per «l'integrità territoriale
dell’Ucraina» e hanno fatto appello a «fare pressione su Mosca» con «misure
restrittive».
«Dichiarazione
che la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha
liquidato come un «volantino nazista».
Nel
testo, ha sottolineato Zakharova, il gruppo dei Paesi europei «invita a un
cessate il fuoco, ma non quello che si otterrebbe interrompendo le forniture di
armi ai terroristi di Kiev».
«Al
contrario, in un altro volantino nazista si afferma che il successo nel
raggiungere la pace in Ucraina si può ottenere solo esercitando pressione sulla
Russia e sostenendo Kiev», ha aggiunto la portavoce in un commento sul suo
canale Telegram.
L’Alta
rappresentante per la politica estera dell’Ue, “Kaja Kallas”, convocando per
domani una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri, ha affermato che
«tutti i territori temporaneamente occupati (dai russi) appartengono
all’Ucraina».
No quindi all’offerta di Mosca che a Bruxelles
viene definita «a senso unico». Trump aveva invece parlato di «scambi di
territori» per arrivare alla pace.
Mentre
nelle ultime ore il vice presidente Usa, JD Vance, ha insistito sulla necessità
di un compromesso in un’intervista a Fox News, in cui ha osservato che
«l''accordo alla fine non renderà felici né la Russia né l'Ucraina».
(L'ira
di Mosca nei confronti dell'Europa. Medvedev. "Sono imbecilli"
(RaiNews multimedia).
Il
quadro, dunque, appare tutt'altro che definito.
I
Paesi europei, insieme con Kiev, affermano che nessuna soluzione può essere
trovata senza la partecipazione dell’Ucraina.
Ma non ci sono finora segnali di un eventuale
invito del presidente Volodymyr Zelensky al vertice di Ferragosto.
Un
incontro trilaterale è «possibile», ha detto l’ambasciatore americano alla
Nato, “Matthew Whitaker” in un’intervista a “Cnn”.
«Non
credo che un incontro tra Putin e Zelensky sarebbe produttivo prima
dell’incontro con Trump», ha dichiarato invece Vance.
Diversi
osservatori sottolineano anche che nel loro primo colloquio dal ritorno del
tycoon alla Casa Bianca - e il primo tra un presidente russo e uno americano
dopo oltre quattro anni - l’Ucraina sarà solo uno degli argomenti in
discussione.
I due leader dovrebbero parlare anche di temi
urgenti nell’ambito delle relazioni bilaterali, a partire dall’equilibrio
strategico.
Nel febbraio prossimo scadrà l’ultimo trattato
in vigore tra i due Paesi in materia di armi nucleari, il “New Start”, che
limita il numero dei missili intercontinentali. Mentre nei giorni scorsi Mosca
ha avvertito di non sentirsi più obbligata a rispettare una moratoria sul
dispiegamento di vettori a medio e corto raggio, dopo che nel 2019, durante il
suo primo mandato, Trump aveva deciso di uscire dal relativo trattato.
Secondo
il vice ministro degli Esteri russo “Serghei Ryabkov”, in questa situazione
esiste «il rischio di un conflitto nucleare globale».
Ma
ancor più preoccupanti per Kiev e le capitali europee suonano le parole con le
quali Vance ha ribadito che l'amministrazione Trump non vuole più finanziare la
difesa dell’Ucraina.
«Credo che gli americani - ha osservato il
vice presidente - siano stanchi di continuare a inviare i soldi delle loro
tasse a questo conflitto».
Se gli europei vorranno pagare le armi
statunitensi per mandarle a Kiev, «per noi va bene», ha aggiunto Vance.
La
stessa posizione espressa il mese scorso da Trump, il quale aveva ammesso che
per gli Usa si tratta di un "business».
Sul terreno, intanto, le autorità locali hanno
detto che cinque persone sono state uccise da attacchi russi in Ucraina e due
da raid delle forze di Kiev in Russia.
Con
l’esercito ucraino ha detto di avere attaccato con droni una raffineria di
petrolio nella regione russa di Saratov, a circa mille chilometri dalla linea
del fronte.
Chi
comanda davvero, se nessuno risponde?
Left.it
- Giulio Cavalli – (17 Aprile 2025) – Redazione – ci dice:
Il
governo italiano, secondo “Citizen Lab”, ha gli strumenti per sapere chi ha
spiato chi.
E
allora perché tace?
È
strano come, in Italia, lo spionaggio politico sembri fare meno scandalo delle
intercettazioni su un trafficante.
Eppure
in mezzo ci sono preti, attivisti, armatori e un direttore di testata.
Le vittime non sono comparse ma coscienze
scomode. E chi dovrebbe chiedere chiarezza, balbetta.
Perché
quando si pronuncia la parola” Paragon” – che è la nuova “Echelon”, ma con meno
pudore – da Palazzo Chigi si distolgono gli occhi?
L’”Aise” ha spiato Mediterranea, questo è
certo.
Cancellato no, almeno ufficialmente. Ma allora
chi?
Intanto
a Bruxelles, dove il Parlamento europeo avrebbe dovuto ascoltare “Casarini” e “don
Ferrari”, le destre hanno fatto saltare tutto.
“Troppo
italiano”, hanno detto.
Come
se la democrazia avesse bisogno di passaporto.
Il 23 aprile gli attivisti saranno comunque
lì, fuori, in piazza. Dentro, invece, le istituzioni giocano a rimpiattino.
Non
per difendere la sicurezza nazionale ma per proteggere la propria opacità.
Se
l’abuso non scandalizza più, è perché l’abuso è diventato regola.
Chi
governa deve dire se ha ordinato lo spionaggio.
O se ha permesso che altri lo facessero.
Il
resto è omertà.
E un
Paese che accetta lo spionaggio politico come normalità ha già smesso di essere
democratico.
A meno
che il vero scandalo non sia proprio questo: considerare un sacerdote e un
giornalista liberi come una minaccia.
E non chi li ha messi sotto sorveglianza.
Chi
Domanda Comanda?
Psinel.om – (29 Aprile 2024) - Gennaro
Romagnoli – ci dice:
Hai
mai sentito dire che “chi domanda comanda“?
Questa
specie di proverbio nasconde in sé la maggior parte dei consigli di quella che
viene spesso definita “comunicazione efficace” e ci mostra operativamente come
metterla in atto.
Tenere
a mente che le domande possono fare davvero la differenza in qualsiasi tipo di
relazione è molto importante ma non è tutto…
Le
domande.
Quando
immaginiamo una conversazione tra due o più persone, l’ultima cosa che ci viene
in mente è che essa sia guidata da chi pone le domande.
Pensa
ad una qualsiasi interazione, solitamente la persona che comanda non fa domande
ma spara imperativi e sentenze inappellabili.
Il
capo stereotipato dice:
“Fai
quella cosa” e non “potresti fare quella cosa?”.
Questo
succede se c’è un riconoscimento delle parti, cioè quando sai che stai parlando
con il tuo capo o con qualcuno che in quel contesto detiene il potere ma in
generale le cose non stanno così.
Se
invece immaginiamo una conversazione qualsiasi, nella quale non si è ancora
instaurata una posizione specifica di potere, allora chi domanda sta realmente
guidando la comunicazione.
Non mi credi?
Quando
qualcuno ci pone delle domande ci sta costringendo a rispondere, la qual cosa
potrebbe farti storcere il naso, ma in realtà le cose stanno così.
Infatti così come non è possibile non
comunicare (primo sacro assioma della comunicazione) allo stesso modo è
impossibile non rispondere ad una domanda.
Hai un
animale domestico come un gatto o un cane?
Le
domande sono come un nuovo gioco per il nostro piccolo amico, certo tu puoi
addestrarlo a non reagire ma vedrai tutto il suo corpo intento a seguire quel
gioco. Le domande fanno così, attivano la nostra ricerca interiore anche se non
rispondiamo anche se non lo vogliamo.
E gli esiti di tale ricerca influenzano i
nostri pensieri, i nostri comportamenti e le nostre emozioni.
Certo
in generale lo fa tutto il linguaggio ma le domande sono particolarmente
potenti nel farlo.
Cioè
se inizio a raccontarti di una bella vacanza che ho fatto è probabile che anche
tu ti metta a pensare a qualcosa di simile.
In
questo modo sto aumentando la probabilità di farti pensare ad una vacanza o a
qualcosa di piacevole ma le domande sono molto più potenti.
Per
prima cosa se ti parlo di una mia vacanza è possibile che tu possa pensare a
tutt’altro, tipo: “Chissà cosa farò quest’anno in vacanza” o cose peggiori
“dannato, io non vado in vacanza da un anno e questo si mette a parlare delle
sue ferie”. Mentre se pongo una domanda più o meno diretta ecco che ottengo un
risultato sicuramente più preciso.
Basta
una piccola domanda per attivare il processo, se ad esempio dicessi: “L’ultima
volta che sono stato al mare ero davvero rilassato, hai presente quei tipici
profumi della spiaggia, il rumore del mare. Non so se ti è mai capitato?” è
sicuramente più precisa, di certo non possiamo sapere se il nostro
interlocutore ha ricordi del genere e forse neanche se ama il mare. Ma se
facciamo la cosa più importante per porre le domande, ecco che il processo
diventa molto più evidente. Qual è la cosa più importante per fare buone
domande?
Osservare
e ascoltare.
La
chiave per ogni buona comunicazione sta nell’osservare e nell’ascoltare più che
nel parlare.
Se
osservi con attenzione il tuo interlocutore mentre gli racconti qualcosa puoi
intuire cosa pensi o provi in quel momento, certo non potrai mai leggere nella
mente degli altri ma se li osservi e gli ascolti puoi di certo capire
decisamente di più del semplice presupporre.
Purtroppo
nelle conversazioni quotidiane noi presupponiamo, anticipiamo cosa ci stanno
per dire più che osservare ciò che accade davvero.
No,
non è perché siamo stupidi o perché nessuno ci ha mai insegnato queste cose… è
una tendenza della nostra mente.
La
mente predittiva e simulatrice, di cui parliamo sempre, è la motivazione
principale per cui facciamo molta fatica ad osservare ed ascoltare senza
anticipare.
Quindi
non si tratta di fare domande a caso, perché più generiche ed impersonali sono
le domande e meno hanno l’effetto di influenzare chi ci sta di fronte.
Pensa
ad una domanda superficiale come quella che ti viene posta quando incroci una
persona “ciao come stai?”
si
tratta di una domanda di circostanza, è si certo possibile che ti faccia
pensare a qualcosa di specifico ma è poco probabile.
Ma se
invece ci conosciamo e qualche giorno fa mi hai detto di aver portato il cane
dal veterinario perché non stava bene e incrociandoci ti dico: “Ehi ciao come
stai? Ma soprattutto come sta il tuo cane?” ecco che ti accendo, cattura la tua
attenzione ma la cosa più importante è che ti meta-comunico:
“io ti
ascolto ed ho a cuore ciò che mi dici”.
Ed è
sempre una cosa piacevole, sai perché?
Perché
per te la persona più importante sei TU, così come per me e così come per il
tuo vicino di casa. Non è egoismo è una naturale prospettiva personale che
assumiamo senza rendercene conto.
Per
tanto ascoltare non solo è la base della comunicazione efficace ma è anche la
cosa più difficile di tutta la comunicazione.
Un po’ come la corsa negli sport, tutti sanno
correre ma non tutti sanno correre per 90 minuti come un bravo giocatore.
Non
tutti sanno avere quella resistenza che gli consente di correre veloce e a
lungo ecc.
Ascoltare
è una cosa che sappiamo fare tutti ma non tutti sanno farlo a lungo e nel modo
corretto e soprattutto nel momento corretto.
La
corsa è una cosa facile ma molto faticosa da portare avanti, lo stesso vale per
l’ascolto è una cosa semplice ma molto difficile da portare avanti.
Che tu
ci creda o meno se migliori le tue doti da ascoltatore e osservatore
migliorerai la tua comunicazione di molti punti.
Proprio
come qualsiasi sportivo che debba correre durante le proprie gare si
avvantaggerà dal diventare più veloce e resistente.
Ascoltare
non basta però serve anche la capacità di porre domande, la quale si avvantaggi
già dell’ascolto attento.
Anzi
questa storia mi fa venire spesso in mente quando nel mio studio mi pongono
domande del tipo:
“dottore io sono talmente timido che non
riesco mai a trovare argomenti interessanti per discutere quando sono con uno o
più amici, come posso fare?”.
Botta
e risposta.
Quando
mi vengono poste domande simili io cerco sempre di spostare l’asse sull’ascolto
attivo.
Perché
so come funziona davvero la timidezza, la quale non è che non ci fa trovare
argomenti a caso, ma lo fa proprio distraendoci da ciò che viene detto.
Cioè
le persone che non riescono a trovare argomenti nelle conversazioni non lo
fanno perché non hanno realmente cose da dire, ma perché la timidezza o
comunque l’emozione gli impedisce di essere presente a ciò che viene detto.
Non mi credi?
Se per
caso fai fatica ad avanzare argomenti in questo senso prova questo semplice
esercizio:
La
prossima volta che stai conversando e senti il desiderio di voler parlare ma
non trovi argomenti, resta appositamente in silenzio e cerca di concentrarti al
massimo su ciò che viene detto.
Come
se la tua vita dipendesse da quei messaggi, come se dovessi a tutti i costi
cogliere il senso del discorso e riportarlo a qualcun altro.
Ecco
se ci riuscirai ti spoilero già cosa accadrà, con tutta probabilità non potrai
fare a meno di avere mille quesiti ed opinioni su ciò che viene detto.
Certo
dipende anche dal tema, a me non piace il Calcio e anche se mi dovessi
concentrare al massimo non troverei interessante la conversazione (psinellini amanti del calcio mi
dispiace dovervelo dire ma si a me non piace per niente).
Per
riuscire a fare un vero botta e risposta che non sia la sagra del qualunquismo
è necessario saper ascoltare, rispondere a caso solo per motivi di rapidità o
di fretta è una delle cose peggiori che possiamo fare.
E non hai idea di quante persone lo facciano.
Sto
per proporti un esperimento a dir poco inquietante, durante una conversazione
con un conoscente prova a fargli una supercazzola molto seria, tipo:
“perché ogni volta succede sempre in quel modo
non è vero?” scommetto che su 10 persone a cui lo farai almeno 3 o 4 ti
risponderanno: “si è vero” senza aver compreso minimamente cosa stavi dicendo.
Perché
siamo reattivi, la nostra macchina previsionale ci spinge a reagire e non ad
agire.
Una
domanda a bruciapelo senza senso invece di farci fermare e dire: “scusa ma non
ho capito” ci fa reagire all’ultima sua parte, esattamente come quando andavamo
a scuola il prof. di turno ci richiamava e noi ripetevamo le ultime parole.
Ciò
non è solo legato al timore di sembrare stupidi è legato soprattutto al fatto
che per essere molto rapidi non ascoltiamo, e tale rapidità è data da un altro
fattore psicologico di cui ci occupiamo praticamente in ogni episodio:
l’economia cognitiva.
Ascoltare
con attenzione e porre domande è qualcosa di molto dispendioso per il nostro
cervello, tuttavia c’è un aspetto che spesso viene trascurato: il fatto che
anche rispondere alle domande è dispendioso.
Di certo quindi chi domanda influenza e guida
ma allo stesso tempo dobbiamo stare attenti perché le domande, anche se nascono
da interesse genuino, possono essere vissute come non troppo piacevoli.
Come
quando la zia di turno ti fa il terzo grado, o un amico insistente vuole
conoscere dettagli di una serata che non ti va di ricordare o anche
semplicemente, ti fanno troppe domande ecc.
L’arte
del porre domande.
Porre
domande intelligenti e puntuali non è facile ma è evidente a tutti che saperlo
fare può dare enormi vantaggi.
Lo
sappiamo dal “tafano di Atene”, cioè Socrate, il quale veniva definito in
questo modo proprio perché attraverso le sue domande metteva in discussione ciò
che la gente andava raccontando per la Polis.
Infatti
in realtà tutto può essere messo in discussione ed approfondito con delle
domande, ma farlo eccessivamente diventa una delle cose più tediose al mondo.
Porre buone domande infatti è un po’ come risolvere un puzzle o un giallo, è
necessario porre quelle giuste e non altre e non troppe.
Saper
porre domande è realmente un’arte, purtroppo come tutte le cose che facciamo
quotidianamente l’importanza viene celata proprio da tale frequenza. Sono
proprio queste abilità che tendiamo a perdere perché le diamo per scontate,
pensiamo che ascoltare una persona sia facile ed è per questo che tendiamo a
non allenarci a farlo.
Pensiamo
che parlare sia qualcosa che facciamo da sempre, per tanto non cerchiamo di
migliorare ecc.
Sai
quando decidiamo a migliorarci?
O quando siamo davanti ad una sfida che
richiede quella specifica abilità o quando qualcosa va storto.
Questo
vale per qualsiasi abilità, da quelle fisiche a quelle squisitamente
psicologiche.
Molte
persone iniziano ad allenarsi solo dopo aver sentito il medico dire che è
necessario, oppure perché un giorno una graziosa signorina sul treno gli chiede
di aiutarla a sollevare una valigetta e si accorgono di non riuscirci ecc.
Ora
devi sapere una cosa positiva: a quanto pare le abilità verbali sono tra le
ultime ad abbandonarci, la ricerca sulle prestazioni cognitive in età adulta lo
dimostrano, tuttavia più riesci a mettere da parte “fieno in cascina” e più
tardi ti abbandoneranno.
Questa
faccenda prende il nome di: “risorsa cognitiva”, vale anche per il nostro corpo
ovviamente, più ci alleniamo e più tardi perderemo quella forma.
Mentre
per il corpo è facile immaginare che prima ci impegniamo in tal senso e meglio
è, non lo è invece per le abilità psicologiche.
Purtroppo
non è vero che invecchiando diventiamo migliori ascoltatori, semplicemente
abbiamo meno voglia di intervenire, il desiderio di far sentire la propria
voce.
A
tratti arriva davvero più saggezza ma se essa non è supportata da un buon
allenamento la perderemo altrettanto facilmente.
La
prossima volta che ti alleni, che leggi, studi e ti sforzi intenzionalmente per
migliorare, tieni a mente questa faccenda della risorsa cognitiva.
È un
modo interessante per aumentare la motivazione e ricordare qualcosa per cui, in
futuro ne sono certo, ci ringrazieremo!
Finanza
o big tech?
Chi
comanda davvero.
Iusletter.com - Il Corriere della Sera –
(24-02-2025) – Redazione -
Quanto
più grande è il potere, tanto più pericoloso è l’abuso», ha detto il filoso
britannico “Edmund Burke”.
Ma
realmente chi comanda il mondo?
A
sentire l’opinione pubblica la risposta è quasi scontata.
Viviamo
in un’era in cui la tecnologia non è più soltanto una forza di innovazione, ma
modella la politica globale e le scelte sociali.
La
rivoluzione digitale che prometteva di connettere e liberare il mondo si sta
però rapidamente avviando a diventare una realtà distopica.
Impossibile
negare che negli ultimi due decenni l’ascesa di colossi digitali abbia
contribuito a creare una vera e propria oligarchia, in cui una manciata di
aziende domina la rete, influenzando la vita di miliardi di persone.
Una
specie di nebulosa informativa che condiziona e nasconde la realtà.
E a nulla sono valsi gli appelli di
professori, analisti e politici perché le Antitrust mondiali intervengano su
questo potere.
Al di fuori di Pechino, dove l’influenza delle
aziende tecnologiche è addirittura legata al partito comunista cinese, a
detenere il controllo delle risorse digitali sono sei gruppi: Amazon, Google,
Microsoft, Meta, Apple e l’impero di Elon Musk.
Questi
giganti tecnologici non solo accumulano profitti ma condizionano i mercati, le
norme e le politiche internazionali.
Questi
gruppi sono riusciti a imporre la dittatura dell’algoritmo che porta alla
massima semplificazione delle opinioni e genera le tesi più radicali.
E la
situazione è destinata a peggiorare con lo sviluppo dell’Intelligenza
artificiale.
In
questo scenario, stanno emergendo personaggi che pensano di essere al di sopra
delle dinamiche democratiche.
Ovviamente
viene subito in mente Elon Musk e la sua crescente rilevanza
nell’amministrazione Trump (anche se in passato non sono mancate figure simili
come David Rockefeller).
Ma non
è che Bill Gates, Mark Zuckerberg o Jeff Bezos o Larry Page si siano comportati
tanto diversamente.
Non
sono stati mai coinvolti direttamente nel governo ma, dietro le quinte, hanno
sempre svolto un ruolo determinante sia nei governi democratici che
repubblicani. Ma allora sono loro i veri padroni del vapore?
No, il
vero potere è in mano alla finanza.
Non
quella delle grandi banche ma dei fondi americani.
Una
lista che scotta.
Nelle
scorse settimane il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è incontrato
con i massimi funzionari di BlackRock discutendo di diversi temi caldi, tra cui
il debito pubblico e il risiko bancario.
Nell’ultimo
trimestre il colosso Usa della gestione ha annunciato ottimi risultati, con un
utile in aumento del 21% e un patrimonio che ha toccato la cifra record di
11.600 miliardi di dollari rispetto ai 10.010 miliardi dell’anno precedente e
agli 11.480 miliardi del terzo trimestre.
Questo incremento è stato favorito
dall’andamento del mercato azionario, innescato dalla vittoria di Donald Trump
alle elezioni presidenziali.
BlackRock,
guidata da Larry Fink, fa sul serio anche sull’intelligenza artificiale.
La più
grande società di gestione, soprannominata Roccia Nera, ha in programma un
maxipiano di assunzioni in India:
circa
1.200 dipendenti per espandere due hub che potenzieranno le capacità del gruppo
in ambito Ai.
Si
tratta, nello specifico, di due centri di global capability, cioè strutture che
supportano il gruppo nella costruzione di competenze specializzate in tema di
Intelligenza artificiale, data analytics e trasformazione digitale.
Dietro
la Roccia Nera troviamo “The Vanguard Group”, una società con sede a Malvern
(Pennsylvania) con circa nove mila miliardi in asset.
È il
più grande fornitore mondiale di “fondi comuni” e il secondo di “Etf,” dopo
“iShares” di BlackRock.
Vanguard,
guidata da “Salim Ramji”, offre anche servizi di intermediazione, servizi di
conti educativi, pianificazione finanziaria.
“State
Street” è una holding con sede a Boston.
Fondata nel 1792, è la seconda banca più
antica degli Stati Uniti.
Gestisce
un patrimonio di oltre 5 trilioni di dollari e 46,6 trilioni in
amministrazione.
“Fidelity”
controlla 5,8 trilioni di dollari e 15 trilioni di asset in amministrazione, si
alterna al terzo posto con State Street.
È un
gestore non quotato, controllato dalla “famiglia fondatrice Johnson”, che
fornisce i suoi prodotti e la sua assistenza a clienti privati e istituzionali.
Il dominio di BlackRock, Vanguard, State
Street e Fidelity è tale che, collettivamente, questi quattro gestori
controllano le più importanti aziende tecnologiche (Amazon, Google, Microsoft,
Meta, Apple).
Questo
conferisce loro un’influenza notevole sulle decisioni aziendali, dalle nomine
dei consigli alle politiche di remunerazione, fino alle strategie a medio-lungo
termine.
Il peso di questi fondi non si limita al
controllo delle aziende private nel settore digitale ma si estende anche alle
società pubbliche che gestiscono infrastrutture vitali per la sovranità
nazionale, come energia, acqua e trasporti.
Attraverso
acquisizioni strategiche e partecipazioni mirate, i grandi fondi hanno
penetrato il mercato delle multiutility e dei servizi pubblici.
In
questo modo, sono diventati centrali nella definizione delle strategie di
settori che erano storicamente sotto il controllo statale.
Questo disegno ha permesso loro di indirizzare
politiche nazionali a volte a scapito degli interessi pubblici.
I
numeri parlano chiaro:
secondo la Fed, all’inizio del 2024, i dieci
principali fondi gestivano attivi per quasi 48 mila miliardi di dollari.
Questa
concentrazione è aumentata a dismisura, soprattutto dopo la crisi del 2008, da
cui sono usciti rafforzati grazie alla loro minore esposizione al sistema dei
mutui subprime.
In
pochi anni, il potere che un tempo era appannaggio esclusivo delle banche si è
trasferito nelle mani di questi giganti finanziari, trasformando radicalmente
gli equilibri economici globali.
Un aspetto fondamentale di questa egemonia è
rappresentato dalle partecipazioni incrociate.
Il
principale azionista di BlackRock, ad esempio, è Vanguard (8,6%) mentre il
primo socio dello stesso Vanguard è proprio la Roccia Nera con il 7,6%.
State
Street, dal canto suo, è partecipata sia da Vanguard che da BlackRock.
Questa
struttura opaca (anche se c’è chi parla di public company) rende difficile
identificare chi sia realmente il riferimento di questi colossi.
Attraverso
una rete di partecipazioni incrociate, i quattro fondi detengono poi il
controllo delle principali società quotate.
Le stesse criptovalute, celebrate a loro volta
come simbolo di libertà economica, rischiano di trasformarsi in un ulteriore
strumento di controllo, attraverso prodotti costruiti ad arte dai grandi
gestori.
Sarebbe quindi giusto che la politica e le
Antitrust mondiali cominciassero a interessarsi realmente, oltre che dei big
tech, anche del potere esercitato dai grandi gestori Usa.
Mania
di controllo: come
affrontare
il controllo delle persone?
Guidapsicologi.it
– (4 settembre 2025) - Comitato di Guida Psicologi – ci dice:
Perché
alcune persone hanno la necessità di controllare ciò che fanno gli altri?
Cosa possiamo fare per affrontare qualcuno che
controlla?
Scopri
le chiavi per stabilire dei limiti.
Mania
di controllo: come affrontare il controllo delle persone?
Le
persone controllanti tendono a cercare di esercitare controllo o potere sugli
altri.
Infatti,
nei casi più estremi, queste persone possono diventare intimidatorie,
autoritarie o prepotenti nei loro sforzi per controllare una situazione.
Questo
tipo di comportamento può essere molto intimidatorio e persino offensivo per le
persone che vivono con qualcuno con questo carattere. Ma perché nasce questa
esigenza di avere tutto sotto controllo?
Cosa
comporta il controllo del comportamento?
Il
comportamento di controllo è quando una persona tenta di adattare gli altri ai
propri bisogni e desideri attraverso qualche tipo di manipolazione.
Avere un desiderio di controllo costante
provoca conflitti sia a livello personale che con gli altri poiché spesso
implica atteggiamenti offensivi.
Segni
di un atteggiamento di controllo.
Ci
sono alcuni comportamenti che di solito sono strettamente associati alle
persone che necessitano di controllo. Alcuni dei segnali più comuni sono i
seguenti:
Inflessibili: ciò implica che abbiano molte
difficoltà a comprendere che esistono altre possibilità oltre alla loro
visione. Tendono cioè a non adattarsi e non sono aperti a suggerimenti o altri
punti di vista.
Critico: è molto probabile che una persona
controllante abbia un atteggiamento molto critico sia nei confronti delle
proprie azioni che di quelle degli altri.
Possono
essere manipolativi: quando le cose sono fuori dal loro controllo, queste
persone possono usare tattiche di manipolazione per dominare una situazione.
Non
rispettano i tuoi confini: le persone che controllano spesso non rispettano i confini
degli altri. Nelle relazioni sane, i confini sono solitamente rispettati e
valorizzati. Per la persona che controlla, un limite è un ostacolo al suo
bisogno di controllo.
Sono
imprevedibili: quando perdono il controllo di una situazione, queste persone possono
finire per passare dal felice all'irritato e al cattivo umore, soprattutto
quando non riescono a ottenere ciò che vogliono.
Non
accettano un "no" come risposta: una persona controllante può
arrabbiarsi quando gli altri gli dicono "no" e spesso può fare di
tutto per convincere gli altri a cambiare idea.
Cercano
di cambiarti: una persona controllante può provare a cambiare gli altri per adattarsi
o conformarsi ai loro interessi.
Questi
sono alcuni dei principali segnali che possono indicare che una persona ha la
tendenza ad esercitare controllo sugli altri.
Perché
una persona controlla?
La
sensazione di controllo è un bisogno sociale fondamentale.
Questo perché ci fornisce prevedibilità,
stabilità e ordine.
In
alcune persone, questo bisogno di controllo finisce per essere così necessario
da far acquisire atteggiamenti malsani per sé stessi e per gli altri.
Da un
lato, l’insicurezza e l’ansia sono due dei principali fattori che possono
portare una persona ad avere un comportamento molto controllante.
In
questi casi, invece di utilizzare sane capacità di coping, queste persone
tendono a cercare di controllare tutti coloro che li circondano nel tentativo
di sentirsi meglio.
Inoltre,
un disturbo d’ansia può anche portare a un comportamento di controllo. Una
persona con un disturbo della personalità come il narcisismo può anche finire
per avere comportamenti di controllo.
Segni
di un atteggiamento di controllo.
Come
comportarsi con una persona controllante?
Può
essere molto difficile avere a che fare con persone dal comportamento
controllato.
In
effetti, in molti casi, può finire per essere travolgente ed estenuante. Quando
hai una relazione stretta con qualcuno che è molto dominante e controllante, è
fondamentale tenere a mente quanto segue per prenderti cura della tua salute
mentale:
Impara
a comunicare i tuoi limiti: è importante che impari a dire di no con sicurezza e a
stabilire dei limiti precisi al riguardo.
Le
persone controllanti cercano di affermare potere e controllo sugli altri
criticando o incolpando gli altri.
Per
affrontare questi comportamenti, è fondamentale imparare a stabilire dei limiti
e rispettarli.
Parlane
con altre persone: se hai dubbi su un comportamento che ti ha danneggiato, puoi commentare
l'opinione degli altri. Avere relazioni di supporto può affermare e convalidare la
tua realtà, così come i tuoi sentimenti e percezioni.
Utilizza
tecniche di rilassamento:
Rilassare
il corpo e la mente sarà utile anche per affrontare una situazione in cui ti
ritrovi coinvolto con una persona controllante.
Il motivo è che pratiche come la meditazione o
lo yoga ti rendono più consapevole dei tuoi sentimenti e delle tue emozioni e
ti permettono di avere un maggiore controllo mentale e fisico.
Vai in
terapia:
se ritieni che la relazione con questa persona ti stia influenzando, è
importante consultare uno specialista in psicologia. Andando in terapia potrai
capire come riaffermare i tuoi limiti o prendere le distanze da queste persone.
Come
affrontare la paura di perdere il controllo?
Se
pensi di poter essere una persona che controlla, esserne consapevole è il primo
passo.
Tenendo
presente questo, puoi concentrarti su quanto segue per migliorare:
Imparare
sane abilità di coping: durante l'infanzia potresti aver imparato che non puoi
contare su nessuno se non su te stesso, quindi hai imparato ad affrontare le
situazioni cercando di avere il controllo completo di tutto.
In
questi casi è importante affrontare la paura di perdere il controllo cercando
di utilizzare altre strategie per affrontare l’ansia, lo stress o le emozioni
contrastanti.
Potrebbe
quindi essere interessante apprendere tecniche di rilassamento, meditazione o
regolazione emotiva.
Sii
più gentile:
è molto probabile che se sei una persona controllante sarai troppo diretto con
gli altri e darai anche ordini.
In
questi casi, pensa ad ammorbidire il tono del tuo discorso in modo che gli
altri si sentano molto più a loro agio.
Analizza
perché hai bisogno di questa sensazione di controllo: sapere da dove proviene
questa incapacità di perdere il controllo di una situazione può aiutarti a
comprendere meglio questo comportamento.
Offri
scuse sincere: nessuno è perfetto e tutti abbiamo aree di crescita su cui dobbiamo
lavorare. Riconoscere onestamente i tuoi errori può essere di grande aiuto sia
per riparare che per guarire le tue relazioni.
In
molti casi, i rapporti con persone controllanti possono diventare difficili.
Quindi,
se hai a che fare con qualcuno che è molto dominante, è importante fare un
passo avanti e rispettare i tuoi confini personali.
Chi
comanda nel mondo?
Gognablog-sherpa-gate.com – (2 Aprile 2023) -
Roberto Pecchioli - ereticamente.net – ci dice:
Un
amico, conversando davanti a un caffè, ci ha posto la domanda da un miliardo di
dollari: chi comanda nel mondo?
Ha
aggiunto di non volere una risposta complessa e che gli interessa sapere nomi e
cognomi.
Vasto,
arduo programma, rispondere a un quesito che ci tiene chini sui libri da anni;
ancora più difficile indicare persone fisiche in un tempo in cui il potere –
più oligarchico e chiuso che mai – ha una dimensione reticolare, in cui ogni
snodo, ciascun anello è strettamente legato in una ragnatela che, tuttavia, ha
un centro che può essere identificato.
Al
nostro amico abbiamo ripetuto un concetto espresso da “Giano Accame”, grande
giornalista e finissimo intellettuale:
comandano
coloro dei quali non si può dire male.
Sembra
una battuta – o un’elusione della risposta – e invece è il primo gradino per
arrivare alla verità.
In
ogni ambiente – tutti ne abbiamo esperienza – c’è qualcuno (persona, gruppo,
consorteria, grumo di interessi) di cui non si può dir male, pena le
rappresaglie, la discriminazione, la punizione.
Così
funziona il mondo, in basso e in alto, alla faccia delle anime belle.
Possiamo allora formulare un primo livello di
risposta:
comanda
chi può far diventare legge o senso comune la propria volontà – applicando
sanzioni a chi trasgredisce o dissente – ed è in grado di screditare prima,
vietare poi, rendere illegale o pericoloso formulare critiche o sollevare
obiezioni nei suoi confronti.
Non è
– ancora – una risposta.
Un
altro livello di riflessione è in negativo: chi non comanda, ossia chi, in
fatto e in diritto, non è in grado di esercitare un potere?
Qui il
setaccio si fa più fitto e comprende una quantità immensa di soggetti:
i popoli, i poveri, chi non possiede beni e
istruzione, la stragrande maggioranza degli esseri umani, ma anche gran parte
degli Stati teoricamente indipendenti che rappresentano le nazioni, le civiltà
e le popolazioni del mondo.
La
risposta si fa meno opaca.
Comandare,
ossia decidere, governare, impartire disposizioni che dovranno essere eseguite
o imposte coattivamente, significa non riconoscere – di fatto o in diritto –
autorità superiori:
la
vecchia formula latina dell’auctoritas – o potestas – superiorem non
recognoscens.
Appare
dunque evidente quanto le istituzioni pubbliche, a partire dagli Stati
nazionali – non comandino più.
Qualche
esempio relativo all’Italia: le leggi dell’Unione Europea – promulgate sotto
forma di regolamenti – e ogni normativa comunitaria non solo sono inappellabili
e immediatamente esecutive, ma abrogano ogni contraria disposizione nazionale.
Il fatto più sorprendente è che – nonostante il dettato costituzionale assegni
la sovranità al popolo (italiano) – è stata la stessa giurisdizione, con
apposite sentenze, a spogliarsi della potestas per statuire la superiorità del
diritto comunitario, detto acquis, norma, ma anche conquista acquisita una
volta per tutte.
La
Repubblica non ha più un potere legislativo autonomo: la costituzione è un
foglio di carta o un libro dei sogni.
Niccolò
Machiavelli, fondatore della scienza politica, riteneva che i fondamenti della
sovranità dello Stato fossero l’esercito e la moneta.
Nessuno può negare che le nostre forze armate
siano dirette dai comandi della NATO, il cui vertice sta negli Usa.
Attraverso
la copertura atlantica, gli Usa possiedono in Italia almeno cento basi
militari, alcune delle quali dotate di armi atomiche che sfuggono al controllo
italiano.
Tutte sono giuridicamente extraterritoriali e
i reati militari non possono essere perseguiti, come sa chi tentò invano di
portare alla sbarra gli aviatori americani che distrussero la funivia del
Cermis a Cavalese, con vittime e danni.
Discutere
non diciamo l’appartenenza alla Nato, ma i suoi termini, è sostanzialmente
vietato in Italia e pone chi ci prova fuori dal dibattito politico, al limite
della criminalizzazione.
Basterebbe
questo per far disperare Machiavelli.
Il
peggio è tuttavia l’inesistenza della sovranità monetaria, ossia il controllo
privato e straniero dell’emissione e circolazione della moneta legale.
Il bastone del comando è nelle mani di chi
crea il denaro dal nulla, attribuendosene la proprietà:
i banchieri.
Il primato del denaro sulla dimensione
pubblica è stato conquistato dai “mercati”, pseudonimo del potere finanziario
di pochi giganti, con la creazione delle banche centrali di cui essi hanno
assunto il controllo, appropriandosi della fonte primaria del comando:
l’emissione della moneta.
Finti
enti pubblici per mascherarne la natura di giganteschi poteri privati in mano
ai signori del denaro, le banche centrali sono controllate dalla cupola della
finanza internazionale e godono di privilegi e immunità ben celate al grande
pubblico.
Il
trucco non è soltanto la difficile comprensione del concetto di monetazione
come creazione ex nihilo – ma la diffusione di un’ideologia economica e
finanziaria presentata come scienza esatta – benché arcana nei fondamenti – in
base alla quale solo le “autorità monetarie”, altro nome d’arte dei signori
privati del denaro, hanno le competenze, la capacità e l’esperienza per creare,
distribuire e dirigere i flussi monetari.
Di qui
la pretesa di indipendenza (ossia onnipotenza e assenza di controllo) del
sistema delle banche centrali, che, dicono i loro statuti approvati dagli
Stati, “non possono sollecitare o ricevere consigli o disposizioni”, formula
acrobatica per mettere nero su bianco il diritto di fare ciò che vogliono.
Chi si
azzarda a dir male dei “mercati”, totem e tabù del nostro tempo?
Tanto
meno delle banche centrali, i cui mitizzati centri studi distillano un
indiscutibile sapere quasi esoterico, una dogmatica non dissimile da quella
della Chiesa del passato.
Peraltro
– per restare in patria – gran parte dei connazionali non sa che la Banca
d’Italia (oggi semplice socio della BCE) mente sin dalla denominazione:
non
solo non è pubblica – come farebbe pensare il nome – ma non è neppure italiana,
giacché i suoi azionisti, detti pudicamente partecipanti, sono in maggioranza
istituiti privati controllati da banche estere, a cominciare da Unicredit e
Intesa-San Paolo.
Mayer
Amschel Rothschild, l’uomo che creò l’immenso potere della dinastia che porta
il suo nome – una delle monarchie ereditarie senza corona che dominano il mondo
– affermò una volta:
permettetemi
di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi importa chi fa le
sue leggi.
Chi
osa criticare il sistema bancario e finanziario, padrone degli intoccabili
mercati, depositari di un potere arcano e di conoscenze iniziatiche?
I mercati, afferma una vulgata indiscutibile,
votano tutti i giorni e vogliono la santa “stabilità”, cioè un sistema immobile
che perpetua sé stesso.
Ovvio:
comandano loro e le critiche, gli attacchi, il rancore popolare è
opportunamente deviato sui governi e i politici, amministratori delegati pro
tempore del potere finanziario. Il voto popolare “libero e universale” è una
finzione, una farsa a uso degli ingenui.
Il
potere del denaro svuota le democrazie: chi pensate che vinca –
indipendentemente da programmi e slogan – tra un partito o un candidato
provvisto di fondi e un altro che ne è privo?
E chi
ha più denaro da gettare nella competizione drogata di coloro che lo creano con
un tratto di penna, un clic sulla tastiera del mega computer?
Eppure,
mentre è possibile, spesso istigato ed eterodiretto, l’attacco ai politici,
esecutori di ordini superiori, camerieri e sguatteri dei cosiddetti “poteri
forti”, quasi nessuno attacca le intangibili “autorità monetarie”, il sistema
bancario, i mercati sovrani e le oligarchie finanziarie che pagano l’orchestra
e decidono la musica.
Un’altra
lezione di “Accame” sull’identificazione di chi comanda riguarda coloro a cui
paghiamo, in un modo o in un altro, le tasse. Teoricamente, lo Stato.
In
realtà gran parte del denaro che ci viene sottratto legalmente è destinato a
pagare il debito pubblico, anzi gli interessi da cui è gravato. Infatti,
nonostante l’esproprio a monte, ossia la sovranità monetaria conferita al
sistema finanziario privato e il relativo, gigantesco falso in bilancio,
l’Italia ha un saldo primario (la differenza tra le entrate e le uscite) attivo
sin dagli anni Novanta, mentre il debito pubblico continua ad aumentare a causa
degli interessi, estorti con la truffa del debito, dovuto a chi si è arrogato
la proprietà iniziale del denaro.
Gli
interessi pagati nell’ultimo trentennio al sistema usurario sono quasi pari
all’intero debito accumulato.
Nessuno Stato, dal dopoguerra, lo ha mai
ripagato interamente: ragioni aritmetiche.
Napoleone
Bonaparte,
che pure esportò in armi la rivoluzione francese borghese e mercantile, disse:
“quando un
governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi, e non il governo,
controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che
riceve”.
E il
generale corso aveva l’esercito e lo Stato…
Un grande politico e legislatore, “Thomas Jefferson”, padre della
costituzione americana, lottò con tutte le forze contro il potere finanziario
che allungava gli artigli sulla nuova nazione.
“Credo
che, per la nostra libertà, le istituzioni bancarie rappresentino un pericolo
più grande degli eserciti. Se i cittadini americani permettessero ad esse di
controllare l’emissione della valuta, le banche toglierebbero loro ogni
proprietà, fino a quando i loro figli si sveglierebbero senza più una casa“.
Il
sistema finanziario è un’oligarchia “estrattiva”, nel senso che estrae la
ricchezza dei popoli e dei cittadini comuni per trasferirla a sé stessa, un
drenaggio verso l’alto che tutto divora.
Un esempio è la recente norma dell’UE – voluta
dalla lobby finanziarie e industriali convertite per interesse a un’”equivoca
ideologia green” – che esproprierà di fatto la casa di abitazione se non
verranno eseguite costose innovazioni “energetiche”.
Chi
non ci riuscirà – dopo essersi indebitato con i soliti usurai – dovrà cedere
per quattro soldi la sua proprietà agli iper-padroni, che stanno cercando di
convincere che non avere nulla è la suprema felicità, alla quale però essi si
sottraggono.
Singolari
filantropi.
In
Italia vi è un’ulteriore tassa, un’estrazione in più: il pizzo pagato dalle
attività economiche alle mafie.
Chi può esigere tasse comanda e naturalmente,
non gradisce che si parli male di lui.
Pericoloso è contrastare le mafie, ma anche
rivelare il potere del sistema finanziario e lo storico inganno del debito con
cui stringe ogni giorno il cappio attorno al collo degli Stati, dei popoli,
delle persone.
Per
non parlare della difficoltà di parlar male di un’altra estrazione a nostro
danno, l’inganno del denaro elettronico.
Al di là di ogni considerazione legata alla
libertà e alla sorveglianza, pochi citano l’immenso profitto di milioni di
commissioni – anche piccole e minime – applicate alle nostre transazioni.
I
beneficiari sono i soliti, ed è a loro che paghiamo un’ulteriore imposta.
Un
saggio amico di origini contadine usa ripetere: se non paghi a lino, paghi a
lana; le vittime siamo sempre noi che non comandiamo.
Tuttavia,
per costruire un antagonismo c’è bisogno di identificare i volti di chi
comanda.
La
risposta vaga, impersonale, che il mondo – e naturalmente l’Italia – è in mano
dell’oligarchia finanziaria non soddisfa e non significa molto agli occhi della
gente, vittima dei giochi di prestigio, delle menzogne e di un raffinato
bombardamento psichico e mediatico al cervello rettiliano e all’area limbica,
istintuale, dell’encefalo. Inoltre, è una verità parziale.
Il potere è ramificato e raffinatissimo:
non
può essere liquidato con un’accusa a carico del solo sistema finanziario.
Il dominio ha molti rivoli e comanda chi è in
grado di determinare le opinioni, le visioni del mondo, le parole per
esprimerle, le agende da seguire in economia, politica, nella società e nella
vita quotidiana, nei gusti e nella cultura in senso lato.
Ancora
una volta, sono coloro di cui è vietato, sconveniente e pericoloso dire male.
Il
lungo cammino verso l’Agi,
l’IA
ispirata al cervello umano
Agendadigitale.com
– (8 ott. 2024) - Andrea Loreggia - Trustworthy AI Laboratory – Università di
Brescia – ci dice:
Le
scienze cognitive offrono una visione multidisciplinare della mente umana,
influenzando profondamente lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
La ricerca si ispira ai processi cognitivi
biologici per creare tecnologie avanzate come reti neurali e transformer.
Nonostante i progressi, l’IA forte o
“generale” (Agi) rimane lontana, mentre l’IA debole domina le applicazioni
quotidiane
IA e
mente umana economia dell'attenzione; psicologia e tecnologia.
Lo
studio delle scienze cognitive ci restituisce un quadro multidisciplinare della
mente e dell’intelligenza umana, e ci permette di costruire modelli di processi
funzionali che ne costituiscono le fondamenta (come per esempio la memoria, il
ragionamento, il linguaggio).
Questa
prospettiva della mente umana ha influenzato e condizionato da sempre lo studio
dell’intelligenza artificiale (IA), tanto che molti dei migliori risultati
della ricerca scientifica in questo settore si ispirano alla controparte
biologica per riprodurne il funzionamento.
Al
punto che ora l’industria – vedi “Sam Altman” di “OpenAI” – torna a tenere
forte l’obiettivo di raggiungere l’”Agi”, l’intelligenza artificiale generale,
ispirata ai processi di quella umana.
Questi
processi sono in effetti alla base delle più promettenti tecnologie moderne:
alcuni esempi sono il neurone artificiale (alla base delle reti neurali), le
reti convoluzioni per il riconoscimento di immagini e i più recenti transformer , nei quali viene
riprodotto il meccanismo di attenzione che permette (tra le altre cose) di
focalizzarsi su parti diverse di un testo per l’elaborazione.
Indice
degli argomenti:
L’obiettivo
dell’IA forte o Agi e le sue sfide.
Limiti
e dipendenze dell’IA debole.
Processi
metacognitivi e introspezione umana.
Il
sistema duale del pensiero umano.
Metacognizione
e flessibilità cognitiva.
Approcci
top-down e bottom-up nell’IA.
Il
futuro dell’IA e le capacità metacognitive.
Limiti
dei “Large Language model” e prospettive future.
Ispirazioni
dalla teoria cognitiva per l’architettura dell’IA.
(Bibliografia).
L’obiettivo
dell’IA forte o Agi e le sue sfide.
Questo
studio dell’intelligenza artificiale è stato accompagnato, fin dai sui albori,
dall’obiettivo di sviluppare un’intelligenza artificiale forte o generale
(agi), cioè una forma di intelligenza in grado di adattarsi a qualsiasi
situazione, di risolvere qualsiasi problema e in grado di dimostrare capacità
senzienti senza la necessità di un intervento esterno.
Ma
un’IA forte oggi sembra ancora irrealistica, a causa di diversi fattori, tra
cui il fatto che sono ancora molti i meccanismi della mente umana che non
riusciamo a comprendere e riprodurre.
La verità è che oggi, nelle nostre
quotidianità, siamo circondati da intelligenze artificiali deboli, agenti
progettati e sviluppati per svolgere compiti specifici in contesti ben
delineati (come per esempio giocare a scacchi, pilotare un’auto, classificare
immagini, etc. etc.).
Questo
non significa che sia una tecnologia semplice, tutt’altro, l’IA oggi svolge
compiti molto complessi e affronta problemi che un individuo non sarebbe in
grado di affrontare e risolvere per limiti strutturali.
Limiti
e dipendenze dell’IA debole.
Questi
agenti artificiali hanno bisogno di dati per essere allenati, hanno bisogno che
gli obiettivi da perseguire siano descritti a priori e hanno bisogno di input,
di stimoli per poter eseguire le proprie elaborazioni.
In questo panorama, si può intravvedere come
tutte le scelte intelligenti non siano fatte dall’agente ma da chi lo ha
progettato, sviluppato e implementato:
è il
ricercatore o lo sviluppatore che ha deciso quali dati usare, come usarli, e
stabilisce obiettivi e capacità dell’agente.
In
questo “Agere sine Intelligere” il
compiere un’azione è separato dalla responsabilità di compierla.
L’IA è quindi uno strumento in balia
dell’utente:
non è in grado di fare scelte coscienti e
autonome, dove per autonomia (dal greco autòs – nòmos cioè legge/regola (nomòs)
di sé stesso (autòs)) intendiamo la capacità di auto-regolarsi, di essere
padroni di sé.
Questa
capacità di riflettere sulle azioni intraprese per determinarne la bontà è ad
oggi una caratteristica mancante nei sistemi artificiali, che non sono in grado
di discriminare le scelte in base, non solo ai dati usati in fase di
allenamento, ma anche dalla contingenza.
Processi
metacognitivi e introspezione umana.
L’attività
introspettiva autonoma negli esseri umani può essere ricondotta ai processi
metacognitivi, ovvero a tutte quelle attività che permettono agli individui di
riflettere sui propri pensieri.
Proviamo
per esempio ad immaginare un individuo che parla tra sé e sé, a voce alta o nei
propri pensieri, riflettendo su un’azione intrapresa, un’esperienza vissuta e
in base ai ricordi comincia a pensare a quanto fatto o a eventuali alternative.
Questo processo metacognitivo permette all’esperienza di fissarsi nella memoria
ma anche di esplorare virtualmente altre possibilità creando nuova esperienza.
Una fondamentale differenza in questo senso è che gli agenti artificiali non
“parlano” tra sé, non riflettono sull’esperienza passata e non sono in grado di
inferire nuova conoscenza senza che ci sia un intervento strutturale esterno.
Il
sistema duale del pensiero umano.
Recenti
studi si ispirano al sistema duale descritto tra gli altri anche nel libro
“Pensieri lenti e veloci” di “Daniel Kahneman” , che categorizza i processi del
pensiero umano in due gruppi:
“Sistema
1” (pensiero veloce) e “Sistema 2” (pensiero lento), termini coniati
inizialmente da “”Stanovich and West”.
Il “Sistema
1” è responsabile di decisioni intuitive, rapide e spesso inconsce, mentre il “Sistema
2” è dedicato all’elaborazione di ragionamenti complessi, logici, utili per
risolvere problemi più difficili.
Basandosi
su euristiche, il “Sistema 1” riesce a fornire risposte rapide a problemi
semplici ma spesso senza poter fornire spiegazioni dettagliate.
Sebbene i modelli del mondo del Sistema 1
possano essere imprecisi, sono comunque sufficienti per gestire stimoli
quotidiani.
Con il passare del tempo, con l’aumentare
dell’esperienza e della conoscenza, può succedere che compiti inizialmente
gestiti dal Sistema 2 possano diventare gestibili dal Sistema 1.
Metacognizione
e flessibilità cognitiva.
Questa
transizione non avviene per tutti i compiti, poiché alcuni richiedono sempre
l’intervento del “Sistema 2”.
Negli
esseri umani, la metacognizione gioca un ruolo cruciale nel riconoscere quando
un problema richiede un ragionamento più strutturato (come quello del Sistema
2) e sono proprio le attività metacognitive che aiutano a scegliere il sistema
decisionale appropriato e a riflettere sulle esperienze passate per migliorare
le decisioni future.
Questa
flessibilità cognitiva permette agli esseri umani di adattare i loro metodi di
risoluzione dei problemi e ottenere un allineamento dei valori, spesso
superando impulsi istintivi per agire secondo intuizioni più razionali.
Approcci
top-down e bottom-up nell’IA.
In
questo contesto, la ricerca crea un parallelismo tra le scienze cognitive e
l’IA.
Nel
contesto dell’intelligenza artificiale possiamo identificare due diverse
famiglie di tecnologie:
alla prima famiglia appartengono tutti gli approcci di
tipo top-down che utilizzano algoritmi o regole esplicite per la risoluzione di
problemi;
alla seconda famiglia, invece, appartengono gli approcci di
tipo bottom-up, che si basano sui dati per estrarre informazione utile per
modellare il dominio di studio.
A
quest’ultima famiglia appartiene il “machine learning” e le sue varie
declinazioni. Il primo gruppo assomiglia al “Sistema 2 legato al pensiero lento”,
perché queste tecniche necessitano di più risorse, effettuano scelte deliberate
da processi simili al ragionamento umano, mentre il secondo gruppo è
assimilabile al Sistema 1 che basandosi sull’esperienza pregressa adotta
euristiche per arrivare velocemente ad un risultato.
Spesso
i sistemi di IA risultano essere una combinazione statica dei due sistemi,
limitando in questo modo la flessibilità del sistema se confrontata con quella
dell’essere umano.
Il
futuro dell’IA e le capacità metacognitive.
I
modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) di ultima generazione fanno
pensare però che un sistema unico sia sufficiente per affrontare e risolvere
problematiche diverse, senza la necessità di avere a disposizione agenti
risolutori specializzati in compiti particolari e soprattutto la necessità di
processi metacognitivi, tanto da paventare in questi sistemi barlumi di IA
generale.
La
discussione si concentra su alcuni comportamenti emergenti, come la capacità di
risolvere problemi di pianificazione o migliorare l’interazione uomo-macchina,
per cui i sistemi non sono stati addestrati esplicitamente.
Limiti
dei “Large Language model” e prospettive future.
Una
parte della comunità però sostiene che questi strumenti non siano veramente in
grado di processare l’informazione nella forma di ragionamenti, ma generano
invece qualcosa di simile a ciò che hanno appreso durante l’addestramento.
Nel
contesto della teoria del sistema duale, gli LLM possono essere visti e
utilizzati come tipi di Sistema 1 che, incorporando un’ampia conoscenza
pregressa, offrono soluzioni (sub)ottimali a problemi complessi.
In
generale, diversi fattori meritano considerazione riguardo agli “LLM”:
l’enorme
quantità di dati richiesta per addestrare questi modelli, la dimensione stessa
del modello, lo sforzo computazionale richiesto per ottenere un modello
funzionale rendono questi strumenti sicuramente molto utili, ma anche non
facili da governare.
Per
quanto esposto finora, un sistema metacognitivo separato, capace di valutare e
processare indipendentemente dai solutori impiegati, sembra ad oggi una linea
di ricerca interessante.
Ispirazioni
dalla teoria cognitiva per l’architettura dell’IA.
La
teoria cognitiva del sistema duale ispira lo sviluppo di architetture di IA che integrano
modalità di decisione veloci e lente con capacità meta cognitive.
Risultati
in questa direzione esistono e puntano alla flessibilità e all’allineamento dei
valori osservati nell’intelligenza umana.
Questa integrazione sta attirando l’attenzione
di aziende e ricercatori[i]e promette di generare sistemi di IA più adattabili
e allineati all’essere umano.
L’intelligenza
artificiale supererà quella
umana entro il 2027: cosa dice lo studio
di ex ricercatori OpenAI.
Ilsole24ore.com
- Chiara Ricciolini – (12 aprile 2025) – ci dice:
Le
macchine non hanno ancora una coscienza, ma il modo in cui le utilizziamo è
sempre più autonomo e può facilmente portarci all’errore. La questione della
responsabilità è centrale.
Che
cos’è davvero l’intelligenza artificiale (e a cosa serve).
I
punti chiave:
Macchine
intelligenti e autonome entro il 2027.
Il
dilemma della responsabilità.
La
rivoluzione dell’Intelligenza artificiale supererà, per rapidità e portata, la
Rivoluzione industriale.
Nessuno può prevedere con certezza come sarà
il futuro più prossimo, perché l’evoluzione dei “modelli AI” procede a una
velocità vertiginosa.
Cinque
ricercatori guidati da “Daniel Kokotajlo”, ex dipendente e ricercatore di
OpenAI, uscito dall’azienda un anno fa, hanno provato a immaginarlo.
Ma non
dovremmo essere allarmati dal rapido sviluppo di macchine intelligenti, quanto
dal fatto che già oggi non c’è chiarezza sulla responsabilità delle azioni che
deleghiamo a questi modelli.
Macchine
intelligenti e autonome entro il 2027.
La
ricerca, riportata in un’inchiesta del New York Times, sostiene che
l’intelligenza artificiale supererà quella umana entro il 2027.
Ma quanto c’è di fondato in queste previsioni?
I
ricercatori guidati da “Kokotajlo” hanno basato le loro proiezioni su un
esperimento mentale.
Hanno
immaginato l’esistenza di un’azienda fittizia, “Open Brain”, che rappresenta la
somma teorica dei principali laboratori di intelligenza artificiale americani.
Open Brain
sviluppa un sistema sempre più avanzato: all’inizio del 2027, l’AI diventa un
programmatore completo.
Entro
la metà dell’anno, si trasforma in un ricercatore autonomo, capace di fare
scoperte e dirigere team scientifici.
Tra la
fine del 2027 e l’inizio del 2028, nasce un’intelligenza artificiale “super intelligente”:
conosce più di noi sulla progettazione di AI avanzate e può automatizzare il
proprio sviluppo, creando versioni sempre più potenti di sé stessa.
Così,
entro la fine del 2027, l’AI potrebbe diventare incontrollabile.
«Nelle
nostre previsioni - si legge nel rapporto - immaginiamo che Open Brain
svilupperà internamente un programmatore sovrumano: un sistema capace di
svolgere tutte le attività di codifica affidate oggi ai migliori ingegneri, ma
in modo molto più rapido ed economico».
Secondo
“Gaia Contu”, divulgatrice e dottoranda in etica della robotica alla Scuola
Sant’Anna di Pisa, «attualmente non siamo ancora di fronte a una coscienza
artificiale, se intendiamo la coscienza in senso intuitivo, come esperienza
soggettiva qualitativa.
Non
esiste però alcun principio che ne impedisca, in futuro, lo sviluppo.
Le
macchine oggi non sono coscienti, ma nulla vieta che possano diventarlo».
«Tempo
fa a un congresso - prosegue - discutevamo su come la versione più aggiornata
di “chat gpt” non riuscisse a fare un semplicissimo gioco:
prendere la lettera “D”, ruotarla di 180
gradi, di metterci sopra il numero 4 e di visualizzare il disegno.
Ovviamente
per noi è chiaro che verrebbe fuori l’immagine di una barchetta, ma “chat gpt”
non ci riusciva.
Le
macchine non hanno ancora quel tipo di intelligenza visuale, prettamente
umana».
Il
dilemma della responsabilità.
Lo
sviluppo di sistemi così automatizzati solleva una questione etica cruciale:
quella della responsabilità.
Lo mette in luce “Silvia Milano”, ricercatrice
e professoressa associata esperta in etica dell’AI presso l’Università “Ludwig-Maximilians”
di Monaco e all’Università di Exeter.
«Parliamo di un vero e proprio “gap di
responsabilità” - sostiene Milano -. Quando un sistema è automatizzato, ovvero
capace di agire senza istruzioni dettagliate, più è autonomo, maggiore è il
rischio che le sue decisioni sfuggano al controllo umano, persino di chi ha
dato origine al processo.
Se assegno a un’AI il compito di rispondere a
una mail, quella risposta non sarà scritta da me.
Posso
scegliere di leggerla prima dell’invio, ma se il sistema è completamente
automatizzato, quella risposta partirà senza il mio intervento.
A quel
punto, chi è il responsabile?
Se non viene esplicitato, di fatto, nessuno».
Il
problema è tanto più grave quanto più l’AI viene impiegata in ambiti sensibili.
«Negli Stati Uniti - prosegue Milano – “algoritmi di machine learning” vengono
utilizzati nella giustizia per supportare decisioni su misure cautelari o
sentenze, nella sanità per stabilire priorità di trattamento e livelli di
rischio, e nei processi di selezione del personale per individuare i candidati
migliori.
In
tutti questi casi, il rischio è che le decisioni vengano prese senza che ci sia
un responsabile umano chiaramente identificabile».
Occorre
sempre ricordare che i “Large Language Model “non possiedono la nozione di
verità.
Le risposte che forniscono si basano su un
calcolo probabilistico, che attinge a quanto hanno imparato dall’allenamento e
dalla letteratura fornita loro.
Per questo la possibilità di delegare alle
macchine compiti umani andrebbe sempre accompagnata a un’attenta supervisione
di colui che delega.
Ma
forse siamo già andati oltre.
The
Human Factor:
12
ragioni perché l’intelligenza artificiale
non
può sostituire noi umani.
Commonhome.com
- Manuela Travaglini - Responsabile Relazioni Internazionali Assoholding –
(10-
02- 2025) - ci dice:
L'intelligenza
artificiale (IA) sta cambiando il nostro modo di lavorare e vivere, ma ci sono
12 ragioni per cui gli esseri umani sono insostituibili. L'IA è limitata alla
programmazione, mentre gli umani hanno creatività, intelligenza emotiva, buon
senso e giudizio, comprensione del contesto, etc.
È
fondamentale combinare tecnologia ed umanesimo per il futuro.
L’intelligenza
artificiale (IA) sta rivoluzionando il nostro modo di lavorare e di vivere, e
siamo solo agli inizi.
Tuttavia,
nonostante i numerosi progressi nella tecnologia dell’IA, ci sono ancora validi
motivi per cui gli esseri umani non possono essere veramente sostituiti, ma
piuttosto dovranno essere fonte di ispirazione verso un nuovo rinascimento che
sappia coniugare tecnologia ed umanesimo.
“A.G.
Danish”, con un interessante post su LinkedIn, individua “12 ragioni per cui
l’IA non può sostituire gli esseri umani.“
Ma
quali sono queste 12 ragioni, e perché più avanza l’innovazione tecnologica e
più è importante riscoprire il nostro lato umano?
Creatività
e innovazione:
Sebbene
i sistemi di IA possano generare risultati impressionanti sulla base di dati e
modelli esistenti, sono limitati a ciò che sono stati programmati o addestrati
a fare.
Gli esseri umani possiedono il potere
dell’immaginazione, dell’intuizione e della capacità di pensare fuori dagli
schemi, che consente loro di proporre idee e soluzioni innovative.
Intelligenza
emotiva:
Le
emozioni umane svolgono un ruolo fondamentale nel processo decisionale,
nell’empatia e nella creazione di legami significativi, mentre l’IA non riesce
a replicare l’intelligenza emotiva che gli esseri umani possiedono.
La
nostra capacità di comprendere e rispondere a emozioni complesse ci permette di
navigare in interazioni sociali intricate e di adattarci a situazioni
dinamiche, distinguendoci dagli algoritmi dell’IA.
Buon
senso e giudizio:
Uno
dei limiti principali dei sistemi di IA è la loro incapacità di esercitare il
buon senso e il giudizio in scenari ambigui.
“Danish”
sottolinea che gli esseri umani possono sfruttare le loro esperienze, i loro
valori e la loro etica per prendere decisioni informate, anche in assenza di
informazioni complete.
Questa capacità di pensiero critico ci
permette di analizzare situazioni complesse in modo olistico e di esprimere
giudizi basati su un contesto più ampio.
Comprensione
del contesto:
Gli
esseri umani possiedono una notevole capacità di interpretare le informazioni
in base alle circostanze e all’ambiente di riferimento.
Gli
algoritmi di intelligenza artificiale, invece, operano all’interno di parametri
predefiniti e faticano a comprendere le sfumature, le differenze culturali e
gli elementi soggettivi che influenzano pesantemente il processo decisionale
nelle diverse situazioni.
Moralità
ed etica:
Il processo decisionale etico è un aspetto
fondamentale della società. “Danish” sottolinea che l’IA non ha una coscienza
morale o la capacità di esprimere giudizi etici.
Gli
esseri umani sono guidati da valori, principi ed empatia, che ci permettono di
fare scelte che tengono conto del benessere degli individui e della società nel
suo complesso.
Adattabilità
e apprendimento:
I
sistemi di intelligenza artificiale eccellono nell’apprendere da grandi
quantità di dati, ma non hanno l’adattabilità e la flessibilità che possiedono
gli esseri umani. Questi ultimi sono in grado di adattarsi rapidamente a nuove
situazioni, di acquisire nuove competenze e di imparare continuamente nel corso
della loro vita. La nostra capacità di apprendere da esperienze diverse e di
applicare le conoscenze a vari contesti ci permette di affrontare le situazioni
più disparate.
Intuizione
e sensazioni viscerali:
L’intuizione, spesso definita “sensazione
viscerale”, è una potente capacità umana che sfida il ragionamento logico.
L’IA non può replicare questo processo
decisionale istintivo.
L’intuizione
nasce da una combinazione di elaborazione subconscia, riconoscimento di schemi
ed esperienze di vita, che consente agli esseri umani di fare scelte e giudizi
rapidi in situazioni di incertezza o di alta pressione.
Relazioni
interpersonali:
Costruire
e coltivare relazioni interpersonali è parte integrante della nostra vita
personale e professionale.
L’intelligenza
artificiale non ha la capacità di creare connessioni emotive autentiche o di
generare fiducia.
Gli
esseri umani possiedono empatia, capacità di ascolto attivo e comunicazione non
verbale, che ci permettono di entrare in contatto con gli altri a un livello
più profondo e di stabilire relazioni durature.
Risoluzione
di problemi complessi:
I
sistemi di intelligenza artificiale eccellono nel risolvere problemi ben
definiti con obiettivi chiari, ma faticano con problemi complessi e mal
definiti che richiedono creatività e pensiero critico.
Gli
esseri umani hanno la capacità unica di affrontare sfide complesse da più
angolazioni, integrare diverse prospettive e ideare soluzioni innovative.
Leadership
e ispirazione:
L’intelligenza
artificiale non ha il carisma, la visione e l’intelligenza emotiva necessari
per guidare e ispirare efficacemente i team.
I leader umani possiedono la capacità di
entrare in contatto con i loro collaboratori a un livello più profondo, di
comunicare una visione convincente e di navigare attraverso le incertezze,
promuovendo la collaborazione e guidando l’innovazione.
Abilità
fisiche e percezione sensoriale:
Sebbene l’intelligenza artificiale sia in
grado di elaborare grandi quantità di informazioni, non ha le capacità fisiche
e la percezione sensoriale che possiedono gli esseri umani.
I
nostri sensi ci permettono di interagire con il mondo in modo
multidimensionale. Queste abilità fisiche ci permettono di svolgere compiti che
richiedono destrezza, di adattarci ad ambienti fisici mutevoli e di prendere
decisioni complesse basate su input sensoriali.
Esperienza
e saggezza umana:
L’esperienza
e la saggezza umana sono risorse inestimabili che non possono essere replicate
dall’IA.
Gli
esseri umani accumulano conoscenza, saggezza e competenza nel tempo,
beneficiando della saggezza collettiva di generazioni.
Le nostre esperienze di vita plasmano le
nostre prospettive, permettendoci di fornire intuizioni sfumate, considerare le
implicazioni etiche e prendere decisioni che tengano conto del più ampio
contesto umano.
In
conclusione, nonostante i notevoli progressi dell’IA, e in questo concordiamo con “Danish,”
ci sono alcune qualità e capacità uniche che rendono gli esseri umani
insostituibili.
Dalla
creatività all’intelligenza emotiva, dall’adattabilità all’intuizione, gli
esseri umani possiedono una vasta gamma di competenze e attributi che non
possono essere replicati dagli algoritmi di IA.
Per
navigare nel futuro, è fondamentale sfruttare la potenza dell’IA ma sempre
riconoscendo il valore aggiunto che solo la magnifica imperfezione dell’ingegno
umano riesce ad aggiungere.
L’aveva capito, ancora una volta, “Steve Jobs”, che
nel suo memorabile discorso agli studenti di Stanford del 2005 diceva di
sognare per il futuro “l’avvento di ingegneri rinascimentali come Leonardo Da
Vinci, in grado di essere sia uno straordinario tecnico che un sublime artista,
coniugando insieme tecnica ed umanesimo”.
Insomma,
come si legge da più parti, “AI will not replace you, but the person using AI will”.
Intelligenza
umana e artificiale:
interazioni
e sfide regolatorie.
Altalex.com
- Marco Martorana -Avvocato – (05/02/2025) – ci dice:
Coesistenza
tra uomo e macchina, sfide etiche e giuridiche, automazione e necessità
normative.
(IP,
IT e Data protection.)
L'intelligenza
artificiale (IA) ha incapsulato il potenziale per trasformare ogni aspetto del
mondo moderno, interagendo in modi profondi e permanenti con l'intelligenza
umana.
Questa
interazione tra le capacità cognitive umane e le macchine intelligenti sta
ridefinendo il confine tra le competenze che erano un tempo esclusiva
prerogativa degli esseri umani e quelle che possono essere emulate o superate
dalle macchine.
Mentre
l'intelligenza umana si evolve attraverso un complesso intreccio di fattori
biologici, psicologici e socio-culturali, l'IA emerge da un contesto di
ingegneria e calcolo, progettata per replicare e ottimizzare processi
decisionali umani come il ragionamento, l'apprendimento e la risoluzione dei
problemi.
Sommario:
L'essenza
della coesistenza tra uomo e macchina.
Sfide
giuridiche e etiche.
Risvolti
etici dell'automazione.
L'importanza
della regolamentazione.
Verso
un futuro collaborativo.
Corso
online il trattamento dei dati personali nell'utilizzo dell'intelligenza
artificiale.
1.
L'essenza della coesistenza tra uomo e macchina.
Questa
coesistenza di intelligenza umana e artificiale solleva interrogativi di vasta
portata, estendendo il dibattito oltre i confini tecnologici per toccare
questioni giuridiche, etiche e sociali.
Le
problematiche emergenti spaziano dalla responsabilità legale nelle decisioni
autonome delle macchine, alla tutela dei dati personali in scenari dominati
dall'analisi predittiva, fino al potenziale impatto socio-economico derivante
dall'automazione avanzata.
Ogni
aspetto richiede un'esplorazione approfondita e una comprensione matrice per
sviluppare un quadro normativo che sia equilibrato e giusto, permettendo
all'innovazione di fiorire mentre si proteggono i diritti e le libertà
fondamentali.
2.
Sfide giuridiche e etiche.
Dal
punto di vista giuridico, le sfide sono immense.
L'IA,
con le sue capacità di elaborare e analizzare grandi quantità di dati a
velocità e con una precisione senza precedenti, pone problemi riguardanti la
privacy e la sicurezza dei dati.
Allo
stesso tempo, le decisioni generate da algoritmi di apprendimento profondo
possono risultare incomprensibili, anche per coloro che hanno progettato i
sistemi, sfidando così i principi di trasparenza e accountability.
La
questione della responsabilità è particolarmente spinosa in contesti come la
guida autonoma e il settore sanitario, dove errori di sistema possono avere
conseguenze gravi.
La
difficoltà di attribuire la responsabilità in modo chiaro e inequivocabile tra
sviluppatori, utenti e le macchine stesse suggerisce la necessità di ripensare
le leggi esistenti e, forse, di creare nuove categorie di responsabilità legale
specifiche per l'IA.
3.
Risvolti etici dell'automazione.
L'etica
dell'IA è altrettanto cruciale e complessa.
Le macchine, prive di coscienza, non hanno un
senso intrinseco di morale o etica; operano entro i parametri e i limiti
fissati dai loro programmatori.
Ciò
solleva questioni significative:
Chi decide quali valori incorporare in questi
sistemi?
Come
si possono gestire e mitigare i “bias”, soprattutto quando gli algoritmi sono
alimentati da dati che possono riflettere pregiudizi storici o culturali?
4.
L'importanza della regolamentazione.
Il
ruolo della regolamentazione in questo contesto è duplice: deve sia facilitare
l'innovazione tecnologica che assicurare che l'impiego dell'IA rispetti i
principi di giustizia e equità.
La normativa deve evolversi in modo da
riflettere la crescente complessità delle tecnologie IA e la loro integrazione
più ampia nella vita quotidiana.
La
creazione di leggi e regolamenti efficaci richiede una collaborazione tra
esperti tecnologici, giuridici, etici e policy-maker, oltre che un dialogo
continuo con il pubblico per assicurare che le normative siano ben comprese e
rispettate.
5.
Verso un futuro collaborativo.
Guardando
al futuro, l'armonia tra intelligenza umana e artificiale richiederà un impegno
proattivo per assicurare che le tecnologie IA siano sviluppate e utilizzate in
modi che valorizzino e arricchiscano l'esperienza umana, piuttosto che
minacciarla o sopraffarla.
Questo
implica non solo la creazione di sistemi IA che siano trasparenti, spiegabili e
liberi da “bias”, ma anche lo sviluppo di politiche pubbliche che stimolino
l'innovazione responsabile e inclusiva.
In
conclusione, mentre continuiamo a navigare in questa era di trasformazione
guidata dall'intelligenza artificiale, la nostra capacità di integrare con
successo queste tecnologie in società sarà definita non solo dalla loro
efficacia tecnica ma, più importantemente, dalla nostra saggezza collettiva
nell'assicurare che il progresso tecnologico serva il bene comune, rispettando
i diritti umani e promuovendo un futuro equo per tutti.
Sorvegliare
per Colpire: l’IA Assassina
di
Microsoft al Servizio
di
Stragi e Genocidi.
Conoscenzealconfine.it
– (12 Agosto 2025) - Francesco Galgani – ci dice:
Il
genocidio a Gaza ha una colonna portante invisibile: l’infrastruttura digitale
di Microsoft che rende possibile sorvegliare un’intera popolazione e
trasformare i suoi dati in obiettivi.
Ambienti
cloud dedicati e un supporto ingegneristico continuo hanno integrato “Azure”
(il cloud di Microsoft) nell’apparato militare israeliano come una componente
di fatto interna.
L’Unità
8200 dell’Intelligence d’Élite, l’equivalente israeliano della National
Security Agency (NSA) degli Stati Uniti, ha spostato su Azure archivi di
intercettazioni di dimensioni industriali – “un milione di chiamate l’ora” –
conservando e interrogando le conversazioni di palestinesi in Cisgiordania e
nella Striscia di Gaza.
Fonti
dell’intelligence descrivono un uso diretto, continuo e sistematico di queste
banche dati per la preparazione di attacchi, soprattutto in aree densamente
abitate.
La
linea operativa è sempre stata la distruzione di interi edifici e dei loro
abitanti per ogni individuo segnalato dall’IA.
L’infrastruttura Microsoft controlla i
movimenti di ogni singolo palestinese, facilitando l’aggancio rapido tra
individuo e domicilio: colpire “in casa” è il default operativo.
Stiamo
parlando di raccomandazione dei bersagli basati su IA con un controllo umano
minimo o nullo.
Strumenti
come “Lavender” hanno generato decine di migliaia di nominativi, mentre l’unità
“Ofek” dell’aeronautica ha gestito una “banca obiettivi” su servizi Azure.
A ciò si aggiunge l’accesso militare a modelli
avanzati di IA, incluso “ChatGPT-4”, senza restrizioni all’uso per uccidere e
massacrare.
Dopo
ottobre 2023, l’utilizzo di “Azure” da parte della Difesa israeliana è esploso.
Oltre alla capacità di calcolo e archiviazione, Israele ha acquistato migliaia
di ore di supporto tecnico Microsoft, con personale integrato nei flussi di
sviluppo dell’intelligence.
Il
risultato è una catena tecnico-militare che ha reso sistematica la produzione
di bersagli e la loro eliminazione, in contesti dove l’uccisione di civili
inermi e innocenti è prevista e voluta.
I
fatti delineano un quadro univoco:
Microsoft
non è un semplice fornitore di servizi, ma agisce come una propaggine
dell’esercito israeliano, fornendo piattaforme, competenze e continuità
operativa senza cui la macchina di sorveglianza e di attacco non avrebbe avuto
la stessa scala.
In questo, il suo ruolo nel genocidio è
imprescindibile.
Grazie
Bill Gates, hai reso un bel servizio all’umanità!
E
grazie per aver creato un modello iper-tecnologico e apocalittico che potrà
essere replicato ovunque!
Siamo
già tutti sorvegliati e monitorati, pronti per essere uccisi.
Grazie
ancora.
(Francesco
Galgani).
– Bill
Gates Architetto dei Genocidi.
– ‘A
million calls an hour’: Israel relying on Microsoft cloud for expansive
surveillance of Palestinians (The Guardian, inglese).
–
Génocide à Gaza, IA et complicité de Microsoft, Google et Amazon (Ligue des
droits et libertés, francese).
(informatica-libera.net/content/sorvegliare-per-colpire-lia-assassina-di-microsoft-al-servizio-di-stragi-e-genocidi).
(luogocomune.net/scienza-e-tecnologia/la-ia-assassina-di-microsoft-al-servizio-di-stragi-e-genocidi).
Si Fa
Presto a Dire Tregua.
Conoscenzealconfine.it
– (11 Agosto 2025) – Redazione - Il Simplicissimus – ci dice:
Una
speranza corre per l’Occidente e preoccupa persino qualcuno a Mosca: quella che
Putin caschi di nuovo nello stesso trappolone degli accordi di Minsk e si
accontenti di un cessate il fuoco senza garanzie.
Questa
illusione viene anche alimentata dallo straordinario parallelo con gli
avvenimenti del 2015, quando le truppe del Donbass, appoggiate da consiglieri
russi, riuscirono a sbaragliare l’attacco delle truppe di Kiev a “Debalceve” e
a ricacciarle indietro.
In quel momento tutto il progetto ucraino
sembrò vacillare perché l’assalto aveva violato la tregua concordata a “Minsk”,
nella convinzione di poter vincere facilmente e dunque di poter strappare i
fogli dell’accordo, facendo a Mosca uno sberleffo.
In
quel momento l’Occidente complessivo fece mea culpa e organizzò in tutta fretta
nuovi colloqui di pace che sfociarono nel “Minsk II”, facendo abboccare Putin
all’amo, come egli stesso ha confessato pubblicamente e più di una volta nel
2022:
“A
quanto pare ci hanno ingannato e l’obiettivo era solo quello di rifornire di
armi l’Ucraina e prepararla alle operazioni di combattimento.
Ce ne
siamo accorti tardi, a dire il vero”.
Infatti,
come abbiamo poi appreso dalla “Merkel,” si trattava di un tranello messo in
piedi per prendere tempo e poter riarmare l’Ucraina fino ai denti.
E non
solo:
diventò
anche il punto di svolta in cui si comprese che doveva essere direttamente la
Nato a gestire il conflitto, altrimenti non ci sarebbe stata speranza per il
governo fantoccio di Kiev.
In
realtà, proprio perché esiste questo precedente, è assurdo poter pensare che il
Cremlino ci ricaschi, come pure, in maniera velata, emerge dagli ambienti della
Nato.
Anzi
sono proprio gli occidentali che oggi fanno di tutto per chiedere una tregua e
impedire che la Russia sbaragli il loro fantoccio insanguinato, esattamente
come accadde dopo la battaglia di “Debalceve, ma senza più poter ripetere con
successo l’inganno.
Questo
perché Putin imporrà in cambio di un cessate il fuoco, magari parziale, che
finisca qualsiasi tipo di aiuto militare dell’Alleanza atlantica a Kiev, anzi
recida il legame organico che è stato creato, facendo dell’Ucraina un Paese
neutrale.
Molti
analisti pensano che l’incontro in programma il 15 agosto, sia solo il primo di
una serie per affrontare le molte questioni sul tappeto, ma il fatto è che gli
occidentali debbono in qualche modo riuscire a fermare l’avanzata russa adesso,
prima che sia troppo tardi.
Ora
l’interrogativo è:
Trump potrà accettare queste condizioni?
Da una parte difficilmente potrebbe evitare di
apparire uno sconfitto e dall’altra darebbe un dispiacere non piccolo al
complesso militar-industriale che sulla guerra ucraina ha fatto affari d’oro,
anche se il presidente è riuscito a ricattare gli europei perché comprino armi
statunitensi per 600 miliardi di dollari, una mossa che potrebbe favorire gli
appetiti insaziabili dei produttori di armi.
E poi
c’è da superare la resistenza di Zelensky che si sta mettendo di traverso, in
qualità di ventriloquo di Londra e della Ue che assolutamente non vogliono
alcuna pace:
dopo
aver rovinato economicamente il continente, il milieu politico dell’Unione non
potrebbe sopravvivere a una pace che la vedrebbe ormai come unico perdente.
Quanto
meno sarebbe politicamente smascherato e privato di qualsiasi credibilità
residua:
prima
il duce di Kiev si attaccava come una zecca ai leader europei e adesso sono
questi ultimi che si attaccano a lui nell’opera di sabotaggio dei colloqui.
Quindi
potrebbe anche darsi che russi e americani mettano completamente da parte la
questione ucraina per parlare di altri problemi:
secondo
il parere di alcuni, ci potrebbe essere uno scambio tra Ucraina e una maggiore
agibilità per gli Usa nell’Artico, la metà del quale è circondato dal
territorio russo.
Insomma
in questo modo le cose verrebbero in qualche modo pareggiate e Trump potrebbe
egualmente pavoneggiarsi.
Dopotutto
l’Artico è la nuova frontiera, il nuovo scrigno di risorse e in questo contesto
il territorio di Kiev perderebbe di importanza, diventerebbe insomma una
variabile minore.
(Il
Simplicissimus).
(ilsimplicissimus2.com/2025/08/10/si-fa-presto-a-dire-tregua/).
Trump
annuncia: «In Alaska ci saremo
solo
io e Putin». Poi apre
alle
richieste Ue.
Corriere.it
- Viviana Mazza – (12-8-2025) – ci dice:
Il
leader Usa: «Dopo il vertice con la Russia sentirò subito Zelensky».
NEW
YORK - «Sto parlando con i leader europei e parlerò con Zelensky, raccoglierò
le idee di tutti e arriverò ben carico. E vedremo cosa succede», ha detto ieri
Donald Trump in conferenza stampa, in vista del suo summit di Ferragosto con
Vladimir Putin.
«Abbiamo parlato molto, sono grandi leader....
Uno di loro mi ha detto che è andato in overdose cercando di risolvere la
situazione ucraina: sono stanchi, vogliono tornare a spendere per i loro Paesi.
Il mio rapporto con l’Unione europea è
bellissimo... Dipendono da me, la situazione non sarebbe mai stata risolta
sotto il precedente presidente».
Trump
ha spiegato che l’incontro in Alaska servirà a «sondare» che cosa «ha in mente»
il leader russo e se un accordo di pace sia possibile.
«Parlerò con Vladimir Putin, gli dirò: “Devi
porre fine a questa guerra”, non si prenderà gioco di me».
Il
presidente americano ha ripetuto di credere che Putin voglia porre fine al
conflitto ma ha ricordato che in passato lo ha «deluso».
Dunque ha minacciato che potrebbe abbandonare
i negoziati se capisce che un accordo è impossibile: è certo di capirlo «dopo
due minuti di incontro... perché è quello che faccio».
Trump
ha assicurato anche che subito dopo aver parlato con Putin, «mentre lascio la
stanza» telefonerà prima a Zelensky e poi ai leader europei.
Se
l’incontro andrà bene, pensa che potrà portare ad un cessate il fuoco,
«immediatamente o molto rapidamente», ma ha precisato:
«Non
sta a me fare l’accordo».
Ha
spiegato che solo Putin e Zelensky possono completare un accordo di pace, che
potrebbe includere uno scambio di territori tra i due Paesi.
Alla
fine il suo obiettivo è «mettere entrambi in una stanza, che io sia là oppure
no».
Se
invece l’incontro andrà male «potrei andarmene e dire: “Buona fortuna”, e sarà
la fine.
Potrei concludere che non ci sarà una
soluzione».
In tal
caso potrebbe chiamare Zelensky per dirgli «”Buona fortuna, continua a
combattere”.
Oppure
potrei dirgli che possiamo fare un accordo».
Un
giornalista ha chiesto ieri a Trump se abbia invitato Zelensky in Alaska.
«Non ne era parte — ha risposto il presidente
americano —.
Direi
che potrebbe andarci, ma è andato ad un sacco di incontri.
È là da tre anni e mezzo e non è successo
nulla».
Anche
il cancelliere tedesco Merz, domenica al telefono, gli avrebbe chiesto invitare
Zelensky, ma Trump avrebbe replicato che in questo stadio iniziale la
partecipazione del leader ucraino potrebbe deragliare gli sforzi per la pace,
secondo fonti del “Wall Street Journal”.
In un
lapsus ieri Trump ha detto che andrà in Russia per il summit, ma poco dopo ha
sottolineato di ritenere «molto rispettoso» che Putin abbia accettato di venire
«nel nostro Paese» anziché nel suo o in un Paese terzo.
Ha
affermato di avere «un ottimo rapporto» con Putin, pur non essendo lui «un
amico della Russia» (ha ricordato di aver posto fine al gasdotto Nord Stream 2
e di aver dato i Javelin agli ucraini).
Ha
affermato di andare «d’accordo» anche con Zelensky, ma si è detto «disturbato
dal fatto che dica che ha bisogno dell’approvazione costituzionale per uno
scambio di territori».
Ha
aggiunto che la situazione è complicata dal fatto che i russi hanno occupato
molti territori di valore («con vista oceano») ma ha assicurato: «Cercheremo di
riprenderne alcuni».
Le
parole del presidente americano arrivano dopo che alcuni alleati, preoccupati
che Trump possa fare un accordo con Putin senza gli ucraini e gli europei, lo
hanno invitato a un summit virtuale mercoledì 13 agosto alle 3 del pomeriggio
(ora italiana), su iniziativa di Merz.
I partecipanti includeranno i leader di
Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Finlandia, Nato e Ue, come
pure Zelensky.
Il
premier polacco Donald Tusk ha spiegato di nutrire «molte paure e molte
speranze» sottolineando la «tattica di imprevedibilità a volte adottata da
Trump».
L’obiettivo
del summit virtuale è di chiarire le «linee rosse» dell’Europa e di Kiev:
il cessate il fuoco sia il passo iniziale,
prima di scambi territoriali;
questi scambi siano reciproci e basati sulle
attuali linee del fronte; e ci siano garanzie di sicurezza di lungo periodo per
l’Ucraina.
Il
segretario della Nato “Mark Rutte” ha detto alla tv “Cbs” che le conquiste
russe non dovrebbero essere legalmente riconosciute e i colloqui dovranno
gestire «la situazione fattuale che controllano in questo momento parte dei
territori ucraini».
L’alta
rappresentante per la politica estera della Ue “Kaja Kallas” ha detto di
appoggiare l’iniziativa Usa ma pure che l’Unione prepara sanzioni.
Il
ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso appoggio agli sforzi di Trump
nella ricerca di un accordo non facile.
Guerra
Ucraina Russia. Vertice
Trump-Putin,
Ue: "Prematuro dire
se è
cattivo accordo" -LIVE.
Tg24-sky.it – Mondo – (12 ago. 2025) –
Redazione – ci dice:
Una
portavoce della Commissione Europea chiarisce: "Ci prepariamo al vertice,
la nostra posizione è chiara e lavoriamo con l'Ucraina perché la sua posizione
sia presente".
"In
Alaska mi vedrò soltanto con Putin, penso che si vada verso lo scambio di
territori", ha detto il presidente Usa.
"Poi sentirò Zelensky e gli
europei".
Da
parte sua il leader ucraino avverte: "Fare concessioni a Mosca non fermerà
la guerra".
Mercoledì
i leader del vecchio continente sentiranno Trump.
Ora è
"prematuro" parlare di un "cattivo accordo" per l'Ucraina
nel quadro del vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska, si tratta
solo di "speculazioni".
Lo ha detto una portavoce della Commissione
Europea nel corso del briefing con la stampa.
"Ci
prepariamo al vertice, la nostra posizione è chiara e lavoriamo con l'Ucraina
perché la sua posizione sia presente al vertice".
"In
Alaska mi vedrò soltanto con Putin, penso che si vada verso lo scambio di
territori', ha detto il presidente Usa.
"Poi
sentirò Zelensky e gli europei", ha aggiunto il presidente americano.
Da parte sua il leader ucraino avverte:
"Fare concessioni a Mosca non fermerà la guerra".
Perché
l'Europa è esclusa dal tavolo sull'Ucraina tra Trump e Putin.
A
Ferragosto si riuniranno Washington e Mosca in Alaska per trovare una via
d'uscita alla guerra.
Ma
nessuno ha invitato l'Ue alla riunione.
Quali
sono le ragioni strategiche e politiche.
Portavoce
Ue replica a Orban: "Senza unità si aiuta la Russia."
"Se
non abbiamo unità, ci sarà un solo attore a beneficiarne, e questo è la
Russia". Lo ha dichiarato la portavoce per gli Affari esteri dell’Unione
Europea, “Anitta Hipper”, commentando a Bruxelles la scelta dell’Ungheria di
non sottoscrivere la dichiarazione dei leader europei sui principi per la
negoziazione della pace in Ucraina.
La
portavoce ha ricordato che "non è una novità che abbiamo bisogno di unità
per essere forti", sottolineando come, nonostante le divergenze, i 27
abbiano approvato all’unanimità 18 pacchetti di sanzioni contro Mosca.
26
leader dell’Ue, senza la firma dell’Ungheria, hanno sostenuto la proposta di
pace del presidente statunitense Donald Trump, ribadendo che "sono gli
ucraini ad avere il diritto di scegliere il proprio destino" e che
qualsiasi accordo deve rispettare "indipendenza, sovranità e integrità
territoriale".
Il
primo ministro ungherese Viktor Orbán, restato fuori dalla dichiarazione, ha
avvertito del rischio di "dare istruzioni dalla panchina" in vista
del vertice in Alaska, chiedendo invece di avviare un incontro diretto con il
presidente russo e prendendo come "esempio" la riunione promossa
dalla Casa Bianca.
Vertice
in Alaska, Zuppi: "L'Ucraina non è un oggetto."
"L'Ucraina
non è un oggetto ma un soggetto, e sicuramente non si può fare a meno
dell'Ucraina nei colloqui di pace".
Così
il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha
risposto a Castel Volturno (Caserta) ad una domanda dei cronisti sul vertice di
Ferragosto in Alaska tra Trump e Putin.
Zuppi ha fatto visita a 50 ragazzi ucraini
arrivati al Centro Fernandes, struttura della Caritas che ospita migranti,
nell'ambito del progetto nazionale "È più bello insieme" - promosso
da Caritas Italiana con il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana.
Ue:
"Prematuro parlare di cattivo accordo per l'Ucraina."
Ora è
"prematuro" parlare di un "cattivo accordo" per l'Ucraina
nel quadro del vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska, si tratta
solo di "speculazioni".
Lo ha
detto una portavoce della Commissione Europea nel corso del briefing con la
stampa.
"Ci
prepariamo al vertice, la nostra posizione è chiara e lavoriamo con l'Ucraina
perché la sua posizione sia presente al vertice", ha sottolineato
ricordando la call di domani organizzata dal cancelliere tedesco Merz, alla
quale parteciperanno sia Trump sia Volodymyr Zelensky.
Russia-Ucraina,
quali regioni potrebbero essere scambiate per l’accordo di pace.
In
vista del vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin, convocato per il prossimo
15 agosto in Alaska e dal quale sembra esclusa la partecipazione di Volodymir
Zelensky, crescono le indiscrezioni sull'accordo che metterebbe fine a 3 anni e
mezzo di conflitto tra Mosca e Kiev.
Secondo
il capo della Casa Bianca la chiave passerebbe da uno scambio dei territori
contesi.
Ma
quali regioni potrebbero entrare nella trattativa?
Zelensky:
"Definire insieme le posizioni per non permettere a Mosca di ingannarci
ancora."
"Insieme
dobbiamo definire posizioni che non consentano alla Russia di ingannare ancora
una volta il mondo".
A
sottolinearlo, in un messaggio postato su “X”, è il presidente ucraino,
Volodymyr Zelensky, che si dice "grato ai leader europei per il loro
supporto", con cui ribadisce il sostegno "alla determinazione del
presidente Trump".
"Vediamo
che l'esercito russo non si sta preparando a porre fine alla guerra. Al
contrario, sta compiendo movimenti che indicano la preparazione per nuove
operazioni offensive. In tali circostanze, è importante che l'unità del mondo
non sia minacciata", aggiunge.
"Le
questioni relative alla sicurezza dell'Ucraina e dell'Europa vengono discusse
da tutti noi insieme.
Qualsiasi
decisione deve contribuire alle nostre capacità di sicurezza comuni.
E se la Russia si rifiuta di fermare le
uccisioni, deve essere ritenuta responsabile. Finché continueranno con la
guerra e l'occupazione, tutti noi insieme dovremo mantenere la nostra
pressione:
la pressione della forza, la pressione delle
sanzioni, la pressione della diplomazia. Ringrazio tutti coloro che ci stanno
aiutando.
Pace attraverso la forza", conclude.
Zelensky:
"Mosca si prepara per nuove offensive."
La
Russia si sta preparando per "nuove offensive" in Ucraina, a pochi
giorni dai colloqui di pace previsti tra Vladimir Putin e Donald Trump in
Alaska.
Lo
dice il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.
"Vediamo
che l'esercito russo non si sta preparando a porre fine alla guerra.
Al
contrario, è impegnato in movimenti che indicano la preparazione di nuove
offensive", ha scritto Zelensky sui social.
Media
Gb: "Zelensky ora è pronto a cedere territori."
Il
presidente ucraino Volodymyr Zelensky è pronto ad ammorbidire la sua posizione
negoziale e a rassegnarsi formalmente a cedere territori alla Russia in cambio
della pace (come l'amministrazione Trump considera inevitabile), a patto che il
negoziato includa le garanzie di sicurezza per Kiev evocate nei piani degli
alleati europei.
Lo
sostiene in apertura il britannico Telegraph, da sempre vicino alle ragioni
ucraine sul conflitto con Mosca.
Stando a fonti informate citate dal
corrispondente del Telegraph da Bruxelles, Zelensky ha fatto aperture esplicite
al riguardo nelle ultime conversazioni avute con i leader europei, sullo sfondo
dei timori legati al vertice del 15 agosto fra il presidente degli Usa, Donald
Trump, e quello russo, Vladimir Putin.
Sollecitando
gli alleati britannici e Ue a respingere ogni proposta di soluzione che dovesse
uscire in sua assenza dal summit a due in Alaska;
ma chiarendo nello stesso tempo d'essere ora
disposto a firmare un'intesa che lasci il controllo de facto dei territori che
Mosca già occupa militarmente sul terreno in toto o in buona parte (la Crimea
più le regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson) a patto di
associarla al "piano europeo".
Le
concessioni "possono riguardare solo l'attuale linea del fronte", ha
confermato un alto funzionario occidentale citato in forma anonima dal
quotidiano.
Zelensky:
"Grato ai leader Ue, sostegno alla determinazione di Trump."
"Sono
grato ai leader europei per il loro chiaro sostegno alla nostra indipendenza,
alla nostra integrità territoriale.
È
proprio un approccio così attivo alla diplomazia che può contribuire a porre
fine a questa guerra con una pace dignitosa".
A
scriverlo, in un messaggio postato su X, è il presidente ucraino, Volodymyr
Zelensky.
"In
effetti, sosteniamo tutti la determinazione del Presidente Trump",
aggiunge.
Kiev:
"Poderosa avanzata russa nel Donetsk."
Le
forze russe hanno effettuato un poderoso avanzamento nel Donetsk, circa 10
chilometri in due giorni, lungo il fronte a nordest di “Pokrovsk”.
Kiev
conferma che combattimenti sono in corso intorno al villaggio di “Kucheriv Yar”.
Il
corridoio ora sotto il controllo russo minaccia la città di” Dobropillya”, una
città mineraria da cui i civili stanno fuggendo e che è stata oggetto di
attacchi con droni russi.
Sotto
minaccia anche la città di “Kostiantynivka”, assediata e distrutta, che è una
delle ultime grandi aree urbane nella regione di Donetsk ancora sotto il
controllo ucraino.
Orban:
"Vertice Ue con Mosca unica mossa sensata."
"L'unica
mossa sensata da parte dei leader dell'UE è quella di convocare un vertice
UE-Russia, seguendo l'esempio del vertice USA-Russia.
Diamo
una possibilita' alla pace!".
Lo
scrive sui social il premier ungherese, Viktor Orban, unico leader Ue a non
aver firmato l'appello dell'Unione a Trump in vista dei colloqui in Alaska
sull'Ucraina.
"A soli quattro giorni dallo storico
vertice tra i presidenti Trump e Putin, l'Europa ha tentato di rilasciare una
dichiarazione a nome di tutti i Capi di Stato e di Governo dell'UE.
Prima che il coro liberal-mainstream europeo
ricominci a cantare "il burattino di Putin", vorrei condividere le
ragioni per cui NON ho potuto sostenere la dichiarazione a nome
dell'Ungheria", scrive Orban.
"1.
La dichiarazione cerca di stabilire le condizioni per un incontro a cui i
leader dell'UE non sono stati nemmeno invitati.
2. È di per sé triste che l'UE sia bloccata
sulla costa.
L'unica
cosa peggiore sarebbe se dessimo istruzioni anche solo dalla magistratura. 3.
L'unica mossa sensata da parte dei leader dell'UE è quella di convocare un
vertice UE-Russia, seguendo l'esempio del vertice USA-Russia.
Diamo
una possibilità alla pace!", conclude Orban.
Tass:
"Esercitazioni congiunte Russia-Bielorussia il 12-16 settembre."
Esercitazioni
congiunte delle forze armate di Russia e Bielorussia sono in programma dal 12
al 16 settembre:
lo ha dichiarato il capo del dipartimento per
la cooperazione militare internazionale del ministero della Difesa bielorusso, “Valery
Revenko”, citato dalla Tass.
"L'esercitazione
strategica congiunta delle forze armate della repubblica di Bielorussia e della
Federazione russa "Zapad-2025" si svolgerà dal 12 al 16 settembre
2025", ha affermato “Revenko”, secondo cui l'obiettivo delle esercitazioni
sarebbe quello di "testare le capacità della repubblica di Bielorussia e
della Federazione russa di garantire la sicurezza militare dello Stato
dell'Unione e la prontezza a respingere una possibile aggressione".
“Bremmer”:
"Putin cerca di allargare la frattura Usa-Ue."
"Trump
può utilizzare il viaggio di Putin in Alaska a suo favore, seppur con grandi
rischi.
Ma
bisogna capire che difficilmente ci sarà una fine delle ostilità in Ucraina.
Non
interessa a Putin, e Kiev non può rinunciare alla posizione che ha tenuto
finora".
Lo afferma in un'intervista a La Stampa, “Ian
Bremmer,” presidente del think tank statunitense “Eurasia Group”.
"La
disponibilità di Putin a viaggiare negli Stati Uniti - aggiunge Bremmer - è
simbolicamente deferente verso Trump.
È un
tratto caratteriale a cui Trump è vulnerabile e che potrebbe essere sfruttato,
però".
Per il
presidente di “Eurasia Group” Putin "vuole ampliare la frattura tra Stati
Uniti ed Europa" e aggiunge:
"L'obiettivo di Putin è duplice:
respingere la minaccia di tariffe doganali da parte di Trump e incrinare i
rapporti tra Washington e le capitali europee.
È una
strategia che avrebbe avuto più possibilità qualche mese fa, quando il fronte
europeo era meno coeso.
Oggi l'Europa ha rafforzato il sostegno a
Kiev, ma il Cremlino ritiene comunque utile provarci. E lo farà".
Quanto conta oggi l'Europa nel mantenere
l'equilibrio del conflitto?
"Oggi molto più di prima - va avanti
Bremmer -.
L'Ucraina
può continuare a combattere anche senza il sostegno diretto degli Stati Uniti,
grazie al fatto che l'Europa ha aumentato il proprio impegno.
Questo significa che Trump non ha più la leva
sufficiente per imporre un accordo o costringere Kiev a capitolare, come invece
ha lasciato intendere in campagna elettorale.
L'Ucraina
non è da sola".
Per
Bremmer il problema "è la capacità di resistenza a lungo termine".
"Kiev
non ha il numero di uomini necessari per mantenere indefinitamente le proprie
linee difensive.
Putin
lo sa bene, ed è uno dei motivi per cui non ha alcun interesse a un cessate il
fuoco:
sa che
il tempo gioca a suo favore" prosegue.
"Il
vero obiettivo di Putin è convincere Trump che la responsabilità per la guerra
sia di Zelensky" e "gli europei devono restare compatti e ridurre al
minimo la possibilità che Trump faccia proprio il racconto di Putin".
Media:
"Zelensky disposto a cedere controllo alla Russia di territori che già
occupa."
Il
Presidente ucraino Volodymir Zelensky avrebbe informato i suoi alleati europei
della disponibilità di Kiev a scambiare una tregua con la cessione del
controllo alla Russia dei territori che già occupa, ma non un lembo di terra in
più, scrive il “Daily Telegraph”.
Si tratterebbe quindi di congelare la linea
del fronte, con l'ulteriore richiesta ai Paesi alleati di garanzie di sicurezza
nella forma di rifornimenti di armi e di un percorso verso l'inclusione
dell'Ucraina nella Nato.
I
leader Ue: "Il percorso di pace non può essere deciso senza Kiev."
"Il
popolo ucraino deve avere la libertà di decidere il proprio futuro.
Il percorso per la pace in Ucraina non può
essere deciso senza l'Ucraina".
È
quanto affermano i leader dell'Unione Europea in una dichiarazione congiunta
pubblicata ore dopo la conferma da parte di Donald Trump che Volodymyr Zelensky
non sarà invitato al vertice di venerdì in Alaska con Vladimir Putin.
"Negoziati seri possono solo avvenire nel contesto di un cessate il fuoco
o di una riduzione delle ostilità", ribadiscono.
"Noi,
i leader dell'Ue - prosegue la dichiarazione alla quale non si è associata
l'Ungheria - accogliamo con favore gli sforzi del presidente Trump volti a
porre fine alla guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina e a
conseguire una pace e una sicurezza giuste e durature per l'Ucraina".
I capi
di Stato e di governo ricordano che "la guerra di aggressione della Russia
contro l'Ucraina ha implicazioni più ampie per la sicurezza europea e
internazionale:
condividiamo
la convinzione che una soluzione diplomatica debba tutelare gli interessi
vitali dell'Ucraina e dell'Europa in materia di sicurezza".
"L'Ue,
in coordinamento con gli Stati Uniti e altri partner che condividono gli stessi
principi, continuerà a fornire sostegno politico, finanziario, economico,
umanitario, militare e diplomatico all'Ucraina, che sta esercitando il suo
diritto intrinseco all'autodifesa.
Continuerà
inoltre a sostenere e ad applicare misure restrittive nei confronti della
Federazione russa", conclude la dichiarazione, ribadendo "il diritto
intrinseco dell'Ucraina di scegliere il proprio destino" assicurando che
"continuerà a sostenere l'Ucraina nel suo percorso verso l'adesione all'Ue".
Salvini:
"Gran parte dei media italiani tifa per la guerra, considera il vertice
Usa-Russia fallito."
''Comunque
vada a finire, si tratta di un incontro storico.
Eppure,
non so se avete letto gran parte della stampa italiana: il summit è fallito
ancor prima di arrivare...
La
cosa che mi sconvolge è che, per ignoranza o arroganza, parte dei media
italiani tifa per la guerra.
Il
tema vero è questo:
si
augura che l'incontro tra Trump e Putin finisca con una nulla di fatto e
sarebbe drammatico.
Non so
come andrà ma da giornalista professionista iscritto all'Albo, questo incontro
dovrebbe essere una grande notizia''.
Lo ha
detto Matteo Salvini ieri sera durante l'incontro al Caffè della Versiliana di
Marina di Pietrasanta, in provincia di Lucca, parlando del vertice previsto a
Ferragosto in Alaska per provare a mettere fine al conflitto in Ucraina.
Tutto
ciò che c’è da sapere sul vertice Trump-Putin in Alaska.
Il 15
agosto è stato fissato il vertice tra il presidente degli Stati Uniti Donald
Trump e il leader della Russia Vladimir Putin.
In vista del vertice il tycoon ha annunciato
che “parlerò con Putin, gli dirò di mettere fine alla guerra”, sottolineando di
attendersi un dialogo “costruttivo”.
"Sentirò gli europei e gli ucraini subito dopo" l'incontro, ha
aggiunto Trump. L’appuntamento è in Alaska, e secondo quanto fatto sapere dal
presidente Usa Volodymyr Zelensky non è parte dell'incontro.
Ucraina,
Orban all'Ue: "Niente istruzioni dalla panchina."
Niente
"istruzioni dalla panchina".
Scrive
così su “X” Viktor Orban rivolto ai leader europei, in vista dell'annunciato
incontro in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, dopo che il premier
ungherese si è sfilato dalla dichiarazione diffusa nelle ultime ore.
"Ad
appena quattro giorni dal summit storico tra il presidente Trump e il
presidente Putin, il Consiglio europeo ha tentato di diffondere una
dichiarazione a nome di tutti i capi di Stato e di governo dell'Ue. Prima che
il coro liberal inizi la sua nuova interpretazione della melodia preferita 'La
marionetta di Putin', ho deciso di condividere perché non ho potuto sostenere
la dichiarazione a nome dell'Ungheria", scrive Orban che indica tre punti.
"La
dichiarazione tenta di stabilire condizioni per un incontro a cui i leader
dell'Ue non sono invitati - si legge - Il fatto che l'Ue sia stata lasciata da
parte è già abbastanza triste e l'unica cosa che potrebbe peggiorare le cose
sarebbe se iniziassimo a dare istruzioni dalla panchina.
L'unica
mossa sensata per i leader Ue è promuovere un summit Ue-Russia sulla base
dell'incontro Usa-Russia".
E
conclude: "Diamo una chance alla pace".
Mosca,
abbattuti 25 droni di Kiev. Chiusi 7 aeroporti.
Le
difese aeree russe hanno abbattuto nella notte 25 droni ucraini ad ala fissa su
due regioni del Paese.
Lo ha riferito il Ministero della Difesa russo
sul suo canale Telegram.
"Tra
le 23:50 dell'11 agosto e le 3:40 del mattino, ora di Mosca del 12 agosto, 25
droni ucraini ad ala fissa sono stati intercettati e distrutti", si legge
nel comunicato.
L'esercito russo ha specificato che 23 aerei
sono stati abbattuti sulla regione di Rostov e i restanti due sulla regione di
Krasnodar.
Di
fronte alla minaccia di attacchi con droni, sette aeroporti in città russe
hanno temporaneamente sospeso le operazioni, secondo “Rosaviatsia”, l'agenzia
federale per l'aviazione civile.
Russia,
giovedì e venerdì il capo della Duma a Pyongyang.
Il
presidente della Duma, “Vyacheslav Volodin”, sarà giovedì e venerdì in visita
in Corea del Nord.
Lo
riferisce l'agenzia russa Tass mentre Mosca e Pyongyang continuano a
intensificare la cooperazione a livello militare sotto ai riflettori anche per
le implicazioni nel conflitto in Ucraina.
Volodin
andrà "a Pyongyang alla guida di una delegazione russa su invito
dell'Assemblea popolare suprema" nordcoreana "per partecipare alle
celebrazioni in occasione degli 80 anni della liberazione della Corea", si
legge in una nota della Duma.
“Haass”:
"Gravi ricadute se si cedono i territori."
"Con
il vertice Trump-Putin, passeremo dalle parole ai fatti, con conseguenze
geopolitiche per molti anni a venire, con implicazioni per il rapporto con la
Cina, per il futuro dell'Europa, per gli assetti del Medio Oriente.
È un vertice storico.
Spero
ancora che il presidente Trump faccia la cosa giusta".
Lo afferma in un'intervista al Corriere della
Sera il diplomatico americano, “Richard Haass”, già consigliere di quattro
presidenti statunitensi.
Per Haass, Trump "dovrà ottenere un
cessate il fuoco immediato e rimandare a un secondo tempo e a un contesto di
legalità e non ricattatori eventuali negoziati territoriali.
Invece
l'impostazione è bilaterale e si parla già di concessioni territoriali.
Se
andrà così, l'errore sarà grave per la credibilità della presidenza Trump e per
l'Occidente".
"Trump
capirà che svendere la fine di un conflitto in nome di una promessa elettorale
avrà ricadute drammatiche" aggiunge il diplomatico.
"Decadrà formalmente la sacralità dei
confini che ha segnato gli equilibri dell'ordine internazionale dalla fine
della Seconda guerra mondiale a oggi - va avanti il diplomatico Usa -.
Per
quella sacralità l'America nel 1991 andò al fronte per ripristinare la
sovranità al Kuwait occupata dall'Iraq.
Oggi
come allora siamo a un crocevia.
E
rischiamo di perdere la visione strategica se l'America cederà al ricatto di
Mosca".
"Concordo
con la posizione europea che chiede un cessate il fuoco e l'inclusione di
Zelenskyj" prosegue Haass.
A
parere del diplomatico "l'Europa oggi non ha la credibilità o la forza —
politica, economica e militare — per sostituirsi all'America nel tutelare
l'ordine che conosciamo.
Oggi
la vera battaglia è fra Cina e Stati Uniti su fronti come l'Intelligenza
artificiale, le nuove tecnologie militari".
Trump:
"Zelensky non sarà in Alaska, ma Putin deve vederlo."
Un
vertice in Alaska per tastare il polso della situazione.
Questo
secondo Trump il principale obiettivo del faccia a faccia con Putin venerdì. È
tutta una questione di feeling, così la vede, come spesso accade, il Presidente
americano:
"Putin
non farà il furbo con me", assicura, "gli dirò chiaro e tondo che
voglio un cessate il fuoco".
Sarà
un incontro costruttivo, prevede Trump, ma a scanso di equivoci ricorda che
questa, come dice spesso, è la guerra di Biden, non la sua.
Con Trump combattuto tra le aspirazioni da
pacificatore e la tentazione di sfilarsi, l'Ucraina teme un accordo ingiusto.
Il
Presidente americano ribadisce che entrambe le parti dovranno rinunciare a
qualcosa: "Ci sarà uno scambio di territori", spiega.
Capo
Pentagono: "Su Ucraina concessioni, nessuno sarà contento."
Il
presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha creato le condizioni per un
possibile accordo di pace con il leader del Cremlino Vladimir Putin, ma
"ci saranno concessioni" di cui "nessuno sarà contento":
lo ha detto il segretario alla Difesa
statunitense, “Pete Hegseth”, in un'intervista a Fox News.
"Il
presidente Trump ha già cambiato le regole del gioco.
Ha
creato le condizioni per una possibile soluzione pacifica, che è stato il suo
obiettivo fin dall'inizio, su un campo di battaglia molto difficile.
Non
credo che Vladimir Putin avrebbe accettato l'incontro se non si fosse sentito
sotto pressione... ", ha detto Hegseth.
"Potrebbero
esserci scambi territoriali in fase negoziale.
Ci saranno concessioni. Nessuno sarà contento.
Ma se
c'è qualcuno che può farlo, quello è il presidente Trump", ha aggiunto.
Leader
Ue: "Pronti a garanzie di sicurezza per l'Ucraina"
"L'Ue
e gli Stati membri sono pronti a contribuire ulteriormente alle garanzie di
sicurezza sulla base delle rispettive competenze e capacità, in linea con il
diritto internazionale e nel pieno rispetto della politica di sicurezza e di
difesa di alcuni Stati membri, tenendo conto degli interessi di sicurezza e di
difesa di tutti gli Stati membri.
L'Ue
sottolinea il diritto intrinseco dell'Ucraina di scegliere il proprio destino e
continuerà a sostenere l'Ucraina nel suo percorso verso l'adesione
all'Ue".
È
quanto dichiarano i leader dell'Ue in uno “statement” concordato dai 27 ad
eccezione dell'Ungheria.
Leader
Ue: "La pace non può essere decisa senza l'Ucraina"
"Una
pace giusta e duratura che porti stabilità e sicurezza deve rispettare il
diritto internazionale, compresi i principi di indipendenza, sovranità,
integrità territoriale e l'inviolabilità dei confini internazionali.
Il percorso verso la pace in Ucraina non può
essere deciso senza l'Ucraina.
Negoziati significativi possono aver luogo
solo nel contesto di un cessate il fuoco o di una riduzione delle
ostilità".
È
quanto dichiarano i leader dell'Ue in una dichiarazione congiunta concordata
nella notte dal presidente del Consiglio europeo e da tutti i Paesi membri ad
eccezione dell'Ucraina.
L’Europa
davanti alle elezioni americane:
l’impotenza
e l’irresponsabilità
delle
classi politiche nazionali.
Euractiv.it
- Roberto Castaldi - (5 nov. 2024) – Euractiv Italia -Redazione – ci dice:
Dovunque
ci giriamo vediamo l’impotenza e l’irresponsabilità della classe politica degli
Stati membri dell’Unione Europea.
Impotenti perché gli Stati nazionali sono
troppo piccoli per affrontare le grandi sfide.
Diventano
quindi anche irresponsabili, non facendo quanto potrebbero e dovrebbero, per
mettere l’Unione nelle condizioni di affrontarle.
Tutto
il mondo tiene il fiato sospeso per le elezioni americane.
L’Europa un po’ di più, timorosa che una
vittoria di Trump porti ad un disimpegno americano dalla NATO e dalla sicurezza
europea, nonché a una nuova guerra commerciale e al proprio impoverimento (per
non dire dei rischi che correrebbe la democrazia americana, dato che si parla
della persona che dopo aver perso le elezioni, ha incitato l’assalto al
Congresso il 6 gennaio 2001 per bloccare l’entrata in carica di Biden).
Ma le
classi politiche nazionali non hanno fatto nulla per mettere l’UE in condizioni
di provvedere da sola alla propria sicurezza e al proprio sviluppo.
E se guardiamo nel dettaglio nei vari Paesi,
ci accorgiamo che il passo dall’impotenza all’irresponsabilità è molto breve.
Il
Consiglio europeo e il fallimento delle leadership politiche nazionali.
Mentre
intorno all’Europa il mondo brucia i Capi di Stato e di governo degli Stati
membri dell’UE non si preoccupano di come spegnere le fiamme, ma di come
evitare che qualcuno di quelli che cercano di fuggire da esse possa …
In
Spagna il Governo della Comunità Valenciana, una delle regioni autonome della
Spagna, guidato dal Partito Popolare, non ha dato seguito agli iniziali allarmi
del governo spagnolo e non ha accettato il suo aiuto nel gestire l’emergenza
seguita all’alluvione della notte del 29 ottobre.
Cedendo
infine e accogliendo l’intervento del governo spagnolo solo il 2 novembre. Ciò
ha ulteriormente aggravato l’esito del disastro incredibile di Valencia con un
numero di vittime, dispersi e danni molto maggiori di quello che sarebbe stato
altrimenti.
Ma siccome i cittadini vengono educati al
nazionalismo metodologico, inizialmente il biasimo maggiore e gli insulti sono
andati al Premier socialista Sanchez e al re Felipe VI.
Ma poi
si è rivolto sul presidente della Comunità Valenciana.
Tanto
che per evitare che il discredito si estendesse a tutto il Partito Popolare
spagnolo, ieri il leader “Feijóo ha dichiarato di appoggiare il governo, di
condannare le violenze contro Sanchez e proposto di dichiarare lo stato
d’emergenza per poter utilizzare tutte le risorse in modo coordinato.
I
cittadini fischiano le autorità durante la visita nelle zone colpite
dall'alluvione a Valencia.
Il Re
di Spagna Felipe VI è stato accolto con ostilità dai residenti domenica (3
novembre) durante la sua visita a “Paiporta”, una delle città più colpite della
regione di Valencia, dove sta crescendo la frustrazione per i ritardi negli …
In
Germania la coalizione semaforo – composta da socialdemocratici, liberali e
verdi – è in crisi da tempo.
In
assenza di un accordo tra i 3 partiti sui dossier legislativi europei, la
Germania si astiene ormai molto spesso nelle decisioni legislative del
Consiglio dell’UE.
Forse
si arriverà alla fine del governo Scholz, che, contrariamente alla tradizione
tedesca, ha ignorato completamente gli impegni presi nel suo accordo di
coalizione.
Che
conteneva un programma con un forte profilo europeista firmato da tutti e tre i
partiti che proponevano una Convenzione Costituente dopo la Conferenza sul
futuro dell’Europa per creare un vero governo federale europeo.
Al
contrario oggi la Germania chiude le frontiere e mette a rischio Schengen,
inseguendo “Alternative fur Deutschland”.
Si
oppone all’integrazione in campo fiscale e al debito comune, così come ai
rapporti di Letta e Draghi per rilanciare l’economia europea.
Frena sull’integrazione in politica estera e
di difesa e sul sostegno all’Ucraina, inseguendo il Bündnis Sahra Wagenknecht.
Insomma, sostanzialmente ha preso una
posizione nazionalista che contribuisce a indebolire l’Europa di fronte a tutte
le crisi internazionali – geopolitiche, economiche, energetiche – che ha di
fronte.
Ed è una linea che non sta portando consensi
al governo tedesco.
Perché
non risolve i problemi dei cittadini tedeschi ed europei, ma insegue i
nazionalisti in salsa populista e si rivela fallimentare.
La
maggiorata tedesca vive la sua ora più buia, tra instabilità e rivendicazioni.
Il
governo tedesco potrebbe crollare mercoledì (5 novembre), quando l’Europa si
troverà ad affrontare l’incertezza delle elezioni statunitensi, mentre i
socialdemocratici e i verdi chiedono ai loro alleati liberali di agire in modo
responsabile.
La
settimana scorsa, il partito liberale FDP …
In
Francia abbiamo visto quello che è accaduto dopo le elezioni europee, con lo
scioglimento dell’Assemblea nazionale, l’ottimo risultato del “Rassemblement
National di Marine Le Pen” al primo turno, la desistenza tra Fronte Popolare di
sinistra e centristi macroniani, che ha funzionato al secondo turno.
La
loro incapacità di trasformare la desistenza in una collaborazione parlamentare
e la nascita di un governo di minoranza, guidato da Barnier, esponente del 5°!
Partito all’Assemblea nazionale, e completamente dipendente dalla benevolenza
del Rassemblement National.
Un
governo che sta cercando di rimettere in piedi le disastrate finanze pubbliche
francesi, con la netta opposizione e indisponibilità alla responsabilità
dell’Assemblea nazionale.
E di copiare le posizioni del RN
sull’immigrazione per cercare di sopravvivere.
Una
sequela di mosse caratterizzate da impotenza e irresponsabilità che sta
portando la Francia in una crisi politica e finanziaria spaventosa, e a non
riuscire a giocare un ruolo sul piano europeo.
Caos
nell'Assemblea nazionale francese sulla legge di Bilancio 2025 del governo
Barnier.
Il
nuovo governo francese di Michel Barnier si trova di fronte a una situazione di
caos nell’Assemblea nazionale dove, dopo una settimana di intense e a tratti
tumultuose discussioni sulla legge di Bilancio 2025 (ribattezzata Frankenstein
dall’emittente …
In
Belgio da mesi si protraggono i negoziati per la creazione di un governo senza
successo.
Come
se la situazione internazionale non fosse drammatica e non richiedesse un
sussulto di senso di responsabilità.
D’altronde,
parliamo di un Paese dove non esistono nemmeno partiti belgi, ma ogni famiglia
politica è divisa in due, con un partito vallone francofono, ed uno fiammingo.
Non si
raggiunge un accordo tra il primo ministro in pectore (di N-VA, membro dei
Conservatori e Riformisti) e Vooruit (socialisti fiamminghi, membri dei
Socialisti e Democratici) per una coalizione che includerebbe anche i
democristiani di entrambe le lingue e i liberali francofoni.
Se
cadesse questa formula‚ detta “Arizona”, si aprirebbe il rischio di una
maggioranza all‘olandese (dunque molto più a destra) con la partecipazione del
Vlaams Belang (membri dei Patrioti per l‘Europa), su una line fortemente
nazionalista e anti-europea.
Sarebbe
paradossale in uno Stato, il Belgio, che ospita le principali istituzioni
europee, e ad esse deve la sua precaria unità, ovvero l’impossibilità per
valloni e fiamminghi di divedersi del tutto, perché Bruxells non può essere
divisa o spartita, e ha un ruolo economico centrale per tutto il Paese.
Il
Belgio non riesce a formare un nuovo governo. Stallo delle negoziazioni.
I
colloqui per la formazione di un governo di coalizione belga sono saltati
giovedì (22 agosto) quando il capo negoziatore ha rassegnato le proprie
dimissioni a Re Filippo, minacciando un ulteriore stallo politico per il Paese
a due mesi dalle …
In
Polonia il premier Tusk ha invitato gli europei a prendere in mano il proprio
destino, specialmente nel caso in cui venisse eletto Trump.
Peccato che lo stesso Tusk avesse chiesto ai
suoi parlamentari europei di votare contro la proposta di riforma dei Trattati
nel novembre 2023 e si sia sempre detto contrario ad estendere e generalizzare
il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio dell’UE, senza il quale ogni
Stato membro può bloccare qualsiasi decisione.
In
Italia un partito di maggioranza come la Lega mette in dubbio il primato del
diritto europeo e presenta una proposta di legge per riaffermare il primato del
diritto nazionale.
Incurante del fatto che una simile legge
risulterebbe incostituzionale, alla luce degli art. 11 e 117, e della
giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’UE.
E la
maggioranza tutta si rifiuta di ratificare la riforma del Meccanismo Europeo di
Stabilità, che comunque non scompare, ma resta in vigore con le vecchie regole
che l’Italia critica ma che ha già ratificato al momento della nascita del MES.
La scelta italiana impedisce di migliorare il
funzionamento del MES, di utilizzarlo come strumento di ultima istanza a
sostegno del Fondo per la risoluzione delle crisi bancarie, finanziato dalle
banche, e quindi di procedere verso l’unione bancaria, che pure a parole il
governo auspicherebbe.
Al
raduno di Pontida i nemici dell'Italia e dell'Europa.
A
Pontida si sono incontrati i principali i nemici dell’Italia e dell’Europa.
Infatti i grandi ospiti dell’evento sono stati, la francese Marine Le Pen
(online), l’olandese Geert Wilders famoso per la sua posizione “neanche un euro
all’Italia”, l’ungherese Viktor Orbán …
E
potremmo continuare così guardando a quel che accade in molti altri Paesi.
Dall’Ungheria, dove ormai non esiste più lo stato di diritto, alla Romania
infiltrata dalla guerra ibrida russa, ecc.
Il
leader del PPE, Manfred Weber, ha chiesto ieri un Piano B per la difesa
dell’Europa in caso di elezione di Trump.
Ma dov’era negli ultimi anni, quando bisognava
predisporre quel piano, dopo l’invasione russa dell’Ucraina?
Dov’era
quando il PPE si è spaccato nel voto sulla proposta di riforma dei Trattati,
invece di sostenerlo compattamente per spingere verso una unione dell’energia,
della fiscalità e della difesa?
Comunque,
meglio tardi che mai. I leader degli altri partiti europei non sono riusciti a
chiederlo nemmeno adesso.
Il
messaggio di Draghi: sovranità europea o lenta agonia.
Mario
Draghi ha presentato il suo Rapporto.
Euractiv
Italia gli dedica uno Special Report che ne spiega il messaggio fondamentale e
ne sintetizza e analizza i vari aspetti.
Nel
primo articolo spieghiamo il messaggio fondamentale e il filo rosso che unisce
…
Insomma,
una situazione di irresponsabilità generalizzata che vediamo ovunque in Europa.
Di
fronte all’elezione americana l’impreparazione degli europei per un’eventuale
presidenza Trump è palese.
Segno
e frutto di una irresponsabilità a cui devono porre fine gli europei, creando
un governo federale, cioè un centro di responsabilità reale, che abbia le
competenze e i poteri per affrontare le sfide che ormai a livello nazionale non
si riescono ad affrontare.
Non è
un caso se solo la Commissione ha creato una Task force per predisporre un
piano di reazione ad un eventuale improvviso aumento generalizzato dei dazi che
Trump ha promesso in campagna elettorale.
Non è
un caso se sia stato il Parlamento Europeo a proporre una riforma complessiva
dei Trattati per superare l’unanimità.
Solo a
livello europeo si riesce a porsi al livello dei problemi che abbiamo di
fronte.
L’impotenza
nazionale è la causa dell’irresponsabilità della classe dirigente nazionale,
incapace di far fronte alle sfide.
Dotare
l’Unione degli strumenti istituzionali, finanziari, politici per affrontare
tali sfide e rispondere alle esigenze dei cittadini europei sarà il compito di
questa legislatura europea, indipendentemente che Harris o Trump sieda alla
Casa Bianca.
L’IMPOTENZA
EUROPEA
NELLA
QUESTIONE UCRAINA.
Opinione.it - Claudio Amicantonio – (17
febbraio 2025) – ci dice:
Analisi
di una marginalizzazione annunciata.
Nel
febbraio 2022, pochi giorni prima dell’invasione russa, scrivevo su queste
pagine che la crisi ucraina si sarebbe risolta “pacificamente” tra le due
superpotenze nucleari, con la precisazione che “l’unica eccezione possibile,
all’interno di una soluzione pacifica, è rappresentata dall’accentuarsi degli
scontri armati nella guerra già in corso nel Donbass” senza nessuna
proliferazione militare dello scontro.
La
recente telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin conferma la previsione
fondamentale di quell’analisi: lo scontro diretto tra Stati Uniti e Russia non
sarebbe mai avvenuto, proprio perché – scrivevo – “a Washington come a Mosca
sono consapevoli che qualunque prova muscolare non potrà mai essere portata
oltre il limite che comporterebbe uno scontro militare diretto”.
Gli
sviluppi degli ultimi mesi hanno dimostrato come la geometria del potere
internazionale continui a ruotare attorno all’asse Washington-Mosca.
Il
conflitto ucraino, lungi dall’essere una semplice guerra regionale, si è
rivelato il teatro di una complessa partita diplomatica dove le due
superpotenze nucleari hanno costantemente calibrato il livello di tensione,
mantenendolo sempre al di sotto della soglia critica.
Le forniture militari occidentali all’Ucraina,
le sanzioni economiche alla Russia e le contro-risposte di Mosca hanno seguito
un copione non scritto ma ben definito di escalation controllata.
La pax
economica di cui scrivevo allora, basata sull’accettazione unanime del
capitalismo come sistema di produzione della ricchezza, sta emergendo come il
vero architetto della soluzione del conflitto.
La
telefonata tra il presidente americano e il leader del Cremlino non è che la
manifestazione più recente di questa dinamica, dove gli interessi economici
prevalgono sulle ideologie e a maggior ragione sul livello di democraticità dei
sistemi istituzionali.
L’interconnessione dei mercati globali ha
giocato un ruolo determinante nel moderare le posizioni più estreme.
Le
sanzioni occidentali, pur significative, hanno sempre mantenuto canali aperti
per settori strategici, mentre la Russia ha continuato a onorare molti dei suoi
impegni commerciali internazionali.
Questa
trama di interessi incrociati ha creato un sistema di checks and balances
economici che ha impedito una rottura totale tra i blocchi.
Ancor
più esatta si è rivelata l’analisi sulla posizione dell’Europa. Scrivevo che
“le cancellerie europee sembrano oscillanti”, divise tra il “rafforzamento
della Nato” e un “progressivo avvicinamento alla Russia”.
Oggi,
mentre assistiamo alla debolezza strutturale dell’Unione europea nel
determinare le sorti del conflitto, quelle parole risuonano con particolare
attualità e pericolosità.
La
paralisi decisionale europea si è manifestata in numerose occasioni:
nella
difficoltà di coordinare una risposta unitaria alle forniture energetiche
russe, nell’incapacità di sviluppare una strategia autonoma di difesa
continentale e, più recentemente, nell’assenza di una voce europea autorevole
nel processo di pace.
La
frammentazione degli interessi nazionali nonché l’architettura istituzionale
europea hanno impedito l’emergere di una vera politica estera comune, lasciando
il campo libero al duopolio russo-americano.
L’Europa
si trova esattamente dove la collocava quell'analisi: in bilico tra un’alleanza
atlantica sempre più condizionata dagli umori americani e l’impossibilità di
costruire una vera politica autonoma verso Mosca.
Il “disinteressamento da parte degli Stati
Uniti” si è manifestato nella sua forma più evidente, con Washington che
dialoga direttamente con Mosca, ignorando completamente Bruxelles. Questo
bypass diplomatico rappresenta il culmine di un processo di marginalizzazione
del ruolo europeo che ha radici profonde nella mancata evoluzione dell’Ue verso
una vera unione politica e militare.
L’evoluzione
della crisi ucraina ha messo in luce una verità più profonda della semplice
contrapposizione tra blocchi geopolitici. Le dinamiche che abbiamo osservato
non sono il frutto di calcoli diplomatici tradizionali, né tantomeno il
risultato di analisi basate su vecchi paradigmi interpretativi come l’hegelo -marxismo
o il positivismo scientista.
Il
mondo contemporaneo si muove secondo logiche più radicali. Viviamo in un’epoca
dove il tramonto delle verità assolute ha lasciato spazio a un nuovo ordine
internazionale, dominato non più da principi ideologici ma dalla nuda realtà
della potenza.
È proprio questa assenza di fondamenti
metafisici condivisi che rende la deterrenza nucleare non solo uno strumento
militare, ma il vero architetto silenzioso degli equilibri mondiali.
La telefonata Trump-Putin non è che l’ultima
manifestazione di questa realtà: quando si tratta di decisioni cruciali, il
tavolo delle trattative si restringe automaticamente ai detentori della potenza
nucleare.
Non è un caso, né una scelta: è la logica
stessa del potere nell’era contemporanea che detta questa geometria delle
relazioni internazionali.
In
questo quadro, il diritto internazionale mostra il suo vero volto: non più
guardiano di principi universali, ma sofisticato sistema di gestione legittima
della forza.
Le potenze nucleari ne sono perfettamente
consapevoli, e proprio questa consapevolezza ha permesso loro di mantenere il
conflitto ucraino entro limiti controllati, al di qua della soglia
dell’apocalisse.
L’impotenza
europea emerge così in tutta la sua drammatica evidenza.
Non è tanto l’assenza di una politica estera
comune a paralizzare l’Unione, quanto la sua strutturale incapacità di porsi
come potenza militare e nucleare autonoma.
Bruxelles
può invocare il diritto internazionale, può richiamarsi ai valori democratici,
ma resta esclusa dalle stanze dove si decidono realmente le sorti del
conflitto.
Questa
marginalizzazione del Vecchio continente non è un incidente di percorso, ma il
prezzo dell’impotenza in un mondo dove la forza, nella sua forma più estrema,
determina ancora i reali confini del potere.
L’Europa,
stretta tra la dipendenza atlantica e l’impossibilità di un dialogo paritario
con Mosca, scopre così i limiti della sua costruzione puramente economica e
giuridica.
La
soluzione della crisi ucraina si sta delineando proprio secondo questa
implacabile logica di potenza, dove gli attori principali non sono determinati
dalla loro statura morale o dalla loro adesione a principi democratici, ma
dalla loro capacità di sedersi al tavolo della deterrenza nucleare.
Una
realtà che l’Europa, nel suo idealismo giuridico-economico, fatica ancora a
metabolizzare.
Ma la
geometria del potere che ha governato finora gli equilibri mondiali potrebbe
presto rivelare la sua fragilità.
Nuovi
attori emergono all’orizzonte, portatori di una potenza che sfugge alle
tradizionali categorie interpretative.
Non è più solo questione di equilibri tra
potenze nucleari storiche:
l’ordine bipolare sta cedendo il passo a una
realtà più complessa e imprevedibile.
La
stessa natura del potere sta mutando nelle sue forme fondamentali.
L’arsenale
nucleare, da supremo garante degli equilibri mondiali, rischia di diventare
solo uno dei tanti strumenti in un panorama dove la supremazia tecnologica
assume forme sempre più sottili e pervasive.
La moltiplicazione dei centri di potenza non
segue più le logiche territoriali degli Stati nazionali del secolo scorso, ma
si muove in spazi virtuali e dimensioni impalpabili, dove il confine tra guerra
e pace diventa sempre più sfumato.
Eppure,
al di là di questi scenari di possibile destabilizzazione, si intravede una
tendenza di più lungo periodo.
La
tecnica, nella sua inarrestabile espansione, sta plasmando un nuovo ordine
mondiale.
Al di
là degli alti e bassi di violenza e delle guerre locali, il pianeta sembra
muoversi verso una pax tecnica:
un
sistema dove l’interconnessione tecnologica ed economica diventa così pervasiva
da rendere sempre più costoso, se non impossibile, ogni tentativo di rottura
degli equilibri globali.
Questa
pax non è l’utopia di un mondo senza conflitti, ma piuttosto l’’emergere di un
sistema dove la potenza stessa si trasforma, assumendo forme sempre più
sofisticate e meno militarizzate.
La sfida del futuro non sarà tanto nel gestire
il potere nucleare, quanto nel governare questa transizione verso un ordine
mondiale dove la supremazia tecnologica diventerà il vero discrimine tra chi
decide e chi subisce le sorti del pianeta.
Il
pensiero critico diffuso
come
argine strategico al ritorno
della
politica di potenza.
Tuttoscuola.com
– (19 marzo 2025) - Gaetano Domenici – ci dice:
Come
ormai appare evidente dai fatti salienti accaduti nel mondo in questi ultimi
quattro-cinque anni, alcuni dei più importanti paradigmi di riferimento, sul
piano del diritto internazionale, nonché della organizzazione della vita
sociale interna a ciascun Paese, ereditati dal passato e/o via via elaborati e
condivisi dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale, sembrano quasi del
tutto infranti, “superati”.
Certo,
in forma più eclatante paiono trasgrediti e sorpassati quelli che a partire dal
primo dopo guerra hanno caratterizzato le relazioni internazionali tra i
diversi Paesi – democratici e non-. Da questo angolo visuale paiono
drammaticamente emblematici tanto l’invasione dell’Ucraina da parte della
Russia, nel febbraio del 2022, ovvero l’uso arbitrario della forza per
risolvere conflitti di interessi da parte di un Paese più forte a scapito di
uno pur indipendente e sovrano, ma militarmente più debole, quanto la messa a
ferro e fuoco della striscia di Gaza e di parte del Libano da parte di Israele.
Dichiarata
come logica ritorsione israeliana dell’eccidio del 7 ottobre del 2023
perpetrato da Hamas, ha già causato in quindici mesi la morte di oltre 46mila civili
inermi (stime ONU), in gran parte donne
e bambini, senza che si registrasse nel mondo quella indignazione e quella
reazione di cittadini e governi democratici (purtroppo non risolutive le pur
encomiabili manifestazioni interne a Israele) capaci di indurre i responsabili
a porre fine a quel massacro.
Particolarmente
preoccupante è apparsa in questo quadro, l’eccessiva cautela
politico-valutativa dell’Unione Europea
e dei paesi occidentali quando a violare quei paradigmi di civiltà è risultato
essere un Paese democratico, Israele, sostenuto dal più forte dei paesi
democratici.
E ciò a dispetto, si direbbe, delle raccomandazioni e delle risoluzioni
ONU, la cui inadempienza ha peraltro certificato l’impotenza effettiva di
questa pur meritoria organizzazione (esattamente come era già avvenuto un
secolo prima con la Società delle nazioni con l’avvento del nazismo), e
nonostante sia ancora viva la memoria della mostruosità aberrante del secondo
conflitto mondiale e la stessa l’UE
abbia posto a proprio fondamento non solo il benessere dei propri membri, ma
anche e soprattutto la cura e la difesa di valori quali l’equità, la libertà,
la pace e la democrazia.
Per
ultima, in ordine di tempo, in perfetta coerenza logico-politica con il mancato
rispetto delle regole del gioco democratico delle relazioni tra gli Stati e
dell’uso arbitrario della forza, cui prima si è accennato, la dichiarazione
minacciosa del nuovo presidente americano, Ronald Trump, nella sua recente
conferenza stampa del 7 gennaio, di impossessarsi – se necessario con la forza,
ha precisato – della Groenlandia, del
Canale di Panama, che dovrebbe rinominarsi
Canale d’America, di “scatenare” infine, l’inferno sulla striscia di
Gaza” se prima del suo insediamento alla Casa bianca, non saranno stati
liberati da Hamas i prigionieri israeliani.
Dichiarazioni
confermate, dopo che i giornalisti presenti avevano pensato ad uno scherzo, che
possono ben rappresentare, tra l’altro,
il viatico politico per l’annessione – senza clamore e senza la violazione
delle “nuove norme” (sic!) – della Repubblica indipendente di Taiwan da parte
della Cina.
Non è
dunque per caso che il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso tenuto il 13
di questo gennaio 2025 all’incontro nel Palazzo del Quirinale
con i vincitori del concorso per Segretari di Legazione, primo grado
della carriera diplomatica, – di cui qui
si riporta uno stralcio – abbia insistito sull’importanza e il rispetto delle
norme che regolano la civiltà dei rapporti tra Stati, anche al fine di
“promuovere la collaborazione e la reciproca comprensione”, “trovare soluzioni condivise” e pacifiche ai
conflitti e far fronte alle “sfide che
il mondo ha davanti”:
“Questo è un periodo pieno di grandi
incertezze e tensioni nella vita internazionale, di grandi tensioni a causa dei
conflitti e a causa di ritorni ottocenteschi a una politica di potenza.
Sembra
quasi che siamo in presenza di una sorta di ritorno a una visione di politica
di potenza, estranea ai tempi, ed estranea alla coscienza comune maturata dalla
civiltà in questo nostro tempo.
È una
condizione di conflitto stridente, di stridente contrasto tra le esigenze che
il mondo ha davanti, le sfide che deve affrontare: da quella della salute
globale, come la pandemia ci ha insegnato, a quella del mutamento climatico, a
quella delle distanze abissali di carattere alimentare nel mondo, a quella
della difficoltà provocata dagli squilibri che nel mondo vi sono, che
richiederebbero risposte comuni e condivise.
E, dall’altra parte, le tensioni, le guerre,
le aggressioni, la volontà di imporre agli altri Stati la propria volontà con
la forza.
È
davvero una singolare contraddizione tra esigenze dell’umanità e condizioni
che, in questo periodo, presenta la comunità internazionale.
Anche
per questo, contro questa deriva internazionale di violenza, di rifiuto del
dialogo e dell’attitudine alla collaborazione, alla reciproca comprensione, la
nostra diplomazia è sempre stata impegnata nella ricerca della pace, della
collaborazione, della comprensione reciproca, appunto, dell’intendimento di
trovare soluzioni condivise nelle difficoltà che inevitabilmente si pongono nei
rapporti internazionali.
E questo compito viene svolto dai nostri
diplomatici con grande sagacia, che merita riconoscenza.”
Parimenti
rilevante risulta – sul piano dei mutamenti “genetici”, si direbbe, rilevati in
questi anni – il superamento in corso dei “tradizionali” modelli paradigmatici
di analisi valutativa delle modalità d’uso e di governo dei sistemi informativi
e della comunicazione via via diffusi o adottabili dai diversi Paesi.
Un
superamento dei vecchi modelli di riferimento accentuato e accelerato dallo
sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA) e dell’IA-generativa, e dal
moltiplicarsi dei loro fronti applicativi (da quello del lavoro a quello dello
svago e del divertimento, passando per quello culturale, educativo, eccetera).
L’imprevedibilità del mutamento registrato e percepito, ma anche e soprattutto
la negatività di alcuni degli effetti che esso ha fin qui prodotto e ancor più,
forse, la percezione di impotenza nei processi di orientamento e di governo
dello stesso cambiamento, ha incrementato, non già ridotto, come alcuni
speravano, l’incertezza del futuro.
Il
pericolo maggiore parrebbe, ora, almeno per i Paesi democratici e per le loro
reciproche relazioni – qualunque sia il loro grado di democraticità –
l’influenza decisiva dell’uso commerciale privatistico delle informazioni e
della comunicazione, ovvero di costellazioni di satelliti per l’accesso a
internet globale, soprattutto nella determinazione dei processi e dei risultati
elettorali.
Si
teme, non a torto, che possa così venir indebolito, se non abolito,
quell’elemento costitutivo di ogni democrazia che è dato dalla libera
costruzione e strutturazione della volontà e dell’orientamento politico dei
singoli cittadini e/o di gruppi organizzati di essi. Il consenso, parrebbe
ormai che venga promosso primariamente – ahi noi impercettibilmente e
inconsapevolmente – dalla moderna tecnologia dell’informazione e della
comunicazione a livello globale, posseduta da singoli oligarchi del potere informativo
(il cui numero a livello mondiale non supera le dita di una mano), ovvero da
quello che è stato definito “capitalismo post democratico”.
Un consenso non più promosso, perciò,
attraverso uno spazio o foro pubblico pluralista, con cui secondo i vecchi
paradigmi, si favoriva la composizione
–certo non perfetta, ma abbastanza fedele –
dell’opinione pubblica.
Emblematiche, su questo versante, le ormai
frequenti ingerenze politiche nella vita democratica degli Stati esercitate da
parte di detentori privati, spesso monopolistici, delle più moderne e pervasive
tecnologie della comunicazione. Ingerenze che a differenza di quelle sempre
esistite, ora, anche in forza dell’Intelligenza artificiale, si caratterizzano
come strumentalmente capaci di creare, strutturare e sostenere una vera e
propria opinione pubblica in grado di determinare a sua volta processi e esiti
elettorali.
Paradigmatiche, di questa fattispecie, sono,
per fare qualche esempio, le richieste, le esortazioni, gli inviti e i
comunicati politici a livello globale oltre che dei singoli Paesi, da parte del
proprietario di Starlink e di X (il social network già noto come Twitter), ora
il più organico e ascoltato consigliere del nuovo presidente degli USA, alcuni
dei quali si sintetizzano qui di seguito: la richiesta di dimissioni e di
arresto del premier britannico per reati abominevoli, non comprovati;
l’invito a licenziare e incarcerare come
indegni i giudici italiani che in piena autonomia – quella giudiziaria è
garantita dalla nostra Costituzione – hanno assunto decisioni indipendenti, non
congruenti con quelle governative, su alcuni delicati problemi
dell’immigrazione;
la
“denuncia” di “incapacità mentale e politica” del cancelliere tedesco – con
contemporanea intervista ed esaltazione della segretaria del più potente
partito neonazista della Germania – e si potrebbe continuare, fino a quelli che
hanno orientato le stesse elezioni americane.
Certamente,
i contagiosi deliri di onnipotenza manifestatisi in questi anni recenti stanno
contribuendo non poco a far regredire a stadi antecedenti il grado avanzato di
civiltà raggiunto dall’uomo seppur in maniera disomogenea sul nostro pianeta.
La
drammaticità degli effetti sta tuttavia favorendo l’avvio di una analisi
critica tanto del problema della strutturazione democratica delle decisioni
politiche nei singoli Paesi e nelle organizzazioni internazionali, quanto degli
assetti proprietari e di impiego di beni e strumenti che per quanto risultato
dell’opera dell’ingegno umano, individuale e non, possono diventare, se lasciati al governo di pochi o di singoli
soggetti, mezzo di asservimento quanto non di possibile causa diretta o
indiretta di auto-distruzione della civiltà umana.
I
rischi possibili del cambiamento tecnologico davvero epocale che da qualche
anno stiamo vivendo non sono intrinsecamente organici alla modernità, ma
derivano, ancora, dall’uso che dei nuovi mezzi viene fatto.
Orientare e contribuire a governarne l’uso in
modo democratico dentro e tra i Paesi del nostro pianeta riveste dunque un
rilievo fondamentale.
A
parere di molti esperti – uno per tutti, il Rettore dell’Università dell’ONU, “Tshilidzi
Marwala” che gode di un osservatorio politico-culturale straordinario per
cogliere i fatti salienti del mondo – è proprio nei contesti appena descritti
che emerge la necessità, diventata già urgente, di promuovere le condizioni
educative, soprattutto formali, affinché venga incentivata la promozione, la
fioritura e la diffusione più estesa possibile del pensiero critico.
Si impone dunque una “rivisitazione critico-propositiva”, come è stata definita, delle funzioni e delle strutture educative deputate in genere, a istruire e a formare le nuove generazioni, magari a cominciare dall’Italia e dai Paesi UE.
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