I CYBORG GLOBALISTI DEL NUOVO ORDINE
I CYBORG GLOBALISTI DEL NUOVO ORDINE
VINCERANNO LA GUERRA CONTRO GLI UMANI ?
Nato,
via alla Forza di risposta "Invitate"
Svezia
e Finlandia. Scontro aperto anche all'Onu.
Ilgiornale.it-
Valeria Robecco- (26 Febbraio 2022)- ci dice :
I
leader della Nato sono compatti nella loro condanna senza appello, e al termine
del vertice fanno sapere che procederanno "a tutti i dispiegamenti
necessari per assicurare una forte e credibile deterrenza e difesa attraverso
l'Alleanza ora e in futuro".
New
York. La
decisione di Vladimir Putin di attaccare l'Ucraina è «un terribile errore
strategico per il quale la Russia pagherà un prezzo severo nei prossimi anni in
termini politici ed economici».
I leader della Nato sono compatti nella loro
condanna senza appello, e al termine del vertice virtuale di emergenza fanno
sapere che procederanno «a tutti i dispiegamenti necessari per assicurare una
forte e credibile deterrenza e difesa attraverso l'Alleanza ora e in futuro»,
ma «le nostre misure sono e restano preventive, proporzionate e non sono
improntate a un'escalation».
Per la
prima volta in assoluto è stata attivata la Forza di risposta della Nato come
misura difensiva in risposta all'invasione russa.
Un
segnale forte e chiaro. «É un momento storico - ha commentato il comandante supremo
dell'Alleanza, generale Tod Wolters - Queste misure di deterrenza sono prudenti
e migliorano la nostra velocità, reattività e capacità di protezione del
miliardo di cittadini che abbiamo giurato di difendere».
Il
presidente americano Joe Biden - che ha sentito nuovamente il collega ucraino
Volodymyr Zelensky - continua a coordinare la risposta occidentale ribadendo
l'intenzione di difendere «ogni centimetro del territorio Nato» rafforzandone
il fianco orientale.
Nel
comunicato al termine del vertice, diffuso dalla Casa Bianca, i leader hanno
precisato di aver «attivato i piani di difesa per prepararci a rispondere ad una
serie di evenienze e rendere sicuro il territorio dell'Alleanza», ribadendo
l'impegno «di ferro» verso l'articolo 5 del trattato, quello sulla mutua
difesa.
Il
segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha precisato che per
rafforzare il fianco Est dell'Alleanza sono stati già dispiegati migliaia di
uomini e 100 aerei, a cui si aggiungono circa 20 unità navali nel Mediterraneo.
«La
Russia ha ridotto in frantumi la pace sul continente europeo. Ciò contro cui
abbiamo messo in guardia per mesi è arrivato nonostante tutti i nostri sforzi
per trovare una soluzione diplomatica», ha affermato sempre Stoltenberg,
sottolineando che Mosca ha la totale responsabilità della deliberata e
premeditata invasione a sangue freddo.
«Invitiamo
la Russia a cessare immediatamente la sua azione militare», ha aggiunto
parlando ai leader dei 30 paesi membri dell'Alleanza.
Stoltenberg
ha anche fatto sapere che «ci stiamo preparando all'evenienza di attacchi informatici
agli stati Nato, che possono tecnicamente innescare l'articolo 5 del trattato, e
siamo concentrati per evitare una crisi a riguardo».
Al
vertice, su suo invito, hanno partecipato oltre all'Ue anche Finlandia e la
Svezia, suscitando l'immediata reazione di Mosca. La portavoce del ministero
degli Esteri Maria Zakharova ha avvertito che la Russia «non può non notare i
persistenti tentativi della Nato» di allargarsi includendo Finlandia e Svezia,
compiuti «in particolare dagli Usa», e sottolineando che il suo Paese considera
«un importante fattore della sicurezza la politica di non-allineamento» di
quegli Stati.
Al
Palazzo di Vetro dell'Onu, intanto, la Russia intende bloccare con il veto la
bozza di risoluzione americana in Consiglio di Sicurezza che condannava «con la massima fermezza l'aggressione
di Mosca», chiedendo di «cessare immediatamente l'uso della forza» e di
«ritirare subito, completamente e incondizionatamente tutte le sue truppe
militari dal territorio ucraino entro i suoi confini internazionalmente
riconosciuti».
Il
fallimento era scontato, ma Washington puntava ad ottenere la più estesa maggioranza
possibile per dimostrare che Mosca è isolata a livello internazionale.
Il
voto su un testo simile dovrebbe seguire nei prossimi giorni in Assemblea
Generale, dove le risoluzioni non sono vincolanti ma i 193 membri non hanno il
diritto di veto.
La
notte più lunga: "Attaccheranno".
E Kiev
cerca la tregua.
Ilgiornale.it-
Federico Giuliani-(26-febbraio-2022)- ci dice :
Fonti
ucraine sostengono che Volodymyr Zelensky sia pronto a parlare di cessate il
fuoco e pace con la Russia. Ma intanto l'avanzata di Mosca continua.
Un
colpo di scena che potrebbe cambiare le sorti della crisi in Ucraina. Il
presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, si dice pronto a parlare di cessate il
fuoco e pace con la Russia.
Zelensky
pronto a parlare di pace?
Secondo
quanto riportato da Skynews, citando un portavoce del presidente, Kiev è pronta
a praticare la via del dialogo con Mosca.
Ricordiamo che Zelensky in precedenza aveva
rifiutato la proposta di incontrare Vladimir Putin a Minsk, e che gli ucraini
avevano infatti rilanciato chiedendo che l'incontro si tenesse in Polonia e non
in Bielorussia.
Adesso le agenzie di stampa russe riferiscono
che sarebbero in corso discussioni sulla data e il luogo di un eventuale
incontro; segno che la diplomazia potrebbe aver fatto importanti passi in
avanti.
È proprio il portavoce della presidenza
ucraina, Sergy Nykyforov, che attraverso un messaggio sui suoi canali social ha
comunicato la svolta. "In queste ore le parti si stanno consultando su luogo e
data" per iniziare i negoziati, ha spiegato.
Mentre
le fonti ucraine fanno filtrare una timidissima speranza, tutto tace sul fronte
russo.
Fino a
questo momento da Mosca non sono arrivate né conferme né smentite. In ogni caso, l'apertura di Zelensky
è arrivata dopo che il suo omologo russo aveva paventato l'eventualità di una
trattativa tra Russia e Ucraina, chiedendo ai militari di Kiev di ribellarsi al
loro governo e trattare con il Cremlino per la pace.
Intanto,
in queste stesse ore, da Israele sta rimbalzando un'altra indiscrezione. Il New York Times ha scritto che il
leader ucraino ha chiesto al primo ministro israeliano, Naftali Bennett, di
mediare nella crisi in corso.
"Crediamo
che Israele sia l'unico Paese democratico che abbia buone relazioni sia con
l'Ucraina, sia con la Russia", ha detto l'ambasciatore di Kiev a Tel Aviv
Yevgen Korniychuk.
L'avanzata
russa non si ferma.
La
situazione è paradossale perché se è vero che i media parlano di un possibile
dialogo tra Zelensky e Putin, è altrettanto vero che le truppe russe continuano
nella loro avanzata.
È per
questo che il presidente ucraino si è nuovamente rivolto alla nazione per dire
ai connazionali che "questa sarà una notte difficile" perché nella
notte Mosca lancerà un assalto.
"Il
nemico userà tutto il suo potere su tutti i fronti per spezzare la nostra
difesa. Adesso si decide il destino dell'Ucraina", ha aggiunto.
Il capo dello Stato ha quindi affermato che
"Kiev non può cadere" e che nelle scorse ore è stato raggiunto un
accordo con i leader mondiali che garantirà aiuti significativi all'Ucraina.
Intanto
lo stato maggiore di Kiev ha diffuso un bollettino che segnala come il
tentativo principale delle forze di Mosca sia quello di circondare la capitale
dell'Ucraina.
"Le
forze di difesa dell'Ucraina stanno frenando l'invasione russa. In questo
momento, l'avversario non ha raggiunto gli obiettivi strategici
prefissati", si legge nel comunicato.
Le
forze di difesa della città di Kiev mantengono saldamente le loro posizioni, ma
l'esercito russo è entrato a Melitopol, città situata nel sud dell'Ucraina.
Altre informazioni non verificabili che
circolano sui social parlano di un caccia russo SU-25 abbattuto nella regione
occidentale di Vinnytsia.
Il
durissimo avvertimento della Nato:
"Quando
scatta l'articolo 5..."
Ilgiornale.it-
Federico Giuliani- (25 Febbraio 2022)- ci dice :
Il
segretario della Nato Jens Soltenberg ha dichiarato che un attacco cibernetico
contro le infrastrutture di un Paese alleato può far scattare una risposta
militare collettiva dei membri.
L'articolo
5 del trattato dell'Alleanza Atlantica, invocato una sola volta dagli Stati
Uniti all'indomani dell'11 settembre, implica l'assistenza militare dell'intera
Nato nel caso in cui un membro dovesse subire un attacco.
Il tema della difesa collettiva è stato
sbandierato nelle ultime ore da Jens Stoltenberg, il segretario generale
dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord.
Il
rischio di un cyber attacco russo.
Nel
corso di una conferenza stampa a Bruxelles, Stoltenberg ha dichiarato che un
attacco cibernetico contro le infrastrutture di un Paese alleato può far
scattare l'articolo 5 della Nato.
Il segretario, dopo aver sottolineato che la Nato "protegge ogni alleato e
ogni centimetro del suo territorio", non ha voluto precisare "a che
punto esatto (dell'attacco) questo avverrebbe". Certo è che le sue parole sono un
chiaro avvertimento alla Russia, che nei giorni scorsi si è scatenata contro i
sistemi ucraini.
Il
malware che ha creato diversi problemi a Kiev si chiama Hermetic Wiper o
KillDisk.NCV.
Ma è ben poca roba rispetto a quello che,
secondo alcuni analisti, potrebbero fare gli hacker di Mosca.
"Dopo
la tempesta di DdoS (anagramma di Distribuited denial of service) dei giorni
scorsi, proseguita per parecchie ore, è stato lanciato questo malware. Ma temo
sia solo una parte del vero attacco", ha spiegato Alessandro Curioni, tra
i massimi esperti di cyber security in Italia.
La
Russia potrebbe quindi alzare il tiro e colpire le infrastrutture dell'Ucraina
ancora più duramente di quanto fatto fino ad ora. Ecco perché Stoltenberg ha
richiamato il citato articolo 5, affiancato dall'articolo 4.
L'articolo
4 e 5.
Stoltenberg
ha, di fatto, annunciato l'attivazione dei piani di difesa dell'Alleanza
Atlantica citando gli articoli numero 4 e 5 del suddetto trattato dell'Alleanza
Atlantica.
Ma che
cosa includono?
Il primo afferma che i membri della Nato –
tutti – sono chiamati a consultarsi qualora uno di loro denunci una minaccia
nei confronti della propria integrità territoriale, indipendenza politica o,
più in generale, sicurezza.
Il
secondo, ed è quello sul quale vale la pena soffermare la nostra attenzione,
prevede una risposta militare collettiva e congiunta di tutti i membri Nato se
uno di loro viene attaccato.
Unendo
i punti, tra avvertimenti e messaggi indiretti, è facile intuire come la Nato
abbia voluto sferrare uno schiaffo al Cremlino.
Non
solo invitando Svezia e Finlandia alle ultime consultazioni mentre la Russia
chiedeva che non entrassero a far parte dell'Alleanza.
Ma
anche paventando l'ipotesi di un attacco collettivo a fronte di determinate
situazioni. Il summit di Pratica di Mare del 2002, quello che sancì il disgelo
tra Nato e Russia, appare ormai come un ricordo lontanissimo e sbiadito.
"La
decisione presa da Putin di attaccare l'Ucraina è un terribile errore
strategico che costerà caro alla Russia nei prossimi anni sia in termini
economici che politici", ha ribadito Stoltenberg, senza usare mezzi
termini.
"Il Cremlino sta cercando di far sì che la Nato e
l'Ue forniscano meno sostegno ai nostri partner. Quindi la nostra risposta
collettiva deve essere più supporto: in Paesi come Georgia, Moldova e Bosnia ed
Erzegovina, per aiutarli ad avere successo con le loro riforme democratiche, e
seguire la strada che hanno liberamente scelto", ha aggiunto.
Il problema è che non sappiamo quanto lo schiaffo
sferrato dalla Nato abbia spaventato la Russia. È probabile che abbia invece
contribuito a farla ulteriormente irritare.
"Ecco
chi tira i fili del terrore
per sovvertire l'ordine mondiale."
ilgiornale.it- Andrea Indini- (11 Settembre 2014).
Daniel
Estulin: "Il Bilderberg non è più così importante, la vera politica si
svolge a un livello sovranazionale, al di sopra dei governi". E fa i nomi
di chi governa il mondo da dietro le quinte.
"Ecco
chi tira i fili del terrore per sovvertire l'ordine mondiale."
"Tutti
gli eventi sono tra loro interconnessi. A leggere i giornali sembra che gli
scontri in Ucraina siano un problema a sé, completamente slegati dagli scontri
razziali di Ferguson o dalle persecuzioni razziali e religiose in Iraq e
Siria".
Prima
di entrare nel merito delle tensioni tra la Russia e la Nato, Daniel Estulin
(controverso autore del libro La vera storia del club Bilderberg) ci tiene a
spiegare che "la Terra è un pianeta piccolo" e che, per andare fino
in fondo, è fondamentale capire chi tira le fila. Perché "noi siamo solo
burattini".
Estulin
nasce nel 1966 a Vilnius. Della sua vita non si sa molto. Ma, chiacchierando, è
lui stesso a raccontare delle battaglie del padre per una Russia più libera,
della fuga in Canada e della passione per la politica, senza divisione tra
interni e esteri, perché "la vera politica si svolge a un livello
sovranazionale, al di sopra dei governi, tra quelle persone che governano il
mondo da dietro le quinte". Li chiama "shadow master" (signori
dell'oscurità) e cerca di smascherarli nei suoi libri, da L'istituto Tavistock
in avanti.
Perché
la Nato sta alzando i toni con la Russia?
"Per
capirlo bisogna guardare a Detroit, uno scenario post-apocalittico degno di un
film di Will Smith. Le persone che tirano le fila del mondo vogliono che le
guerre, la crescita zero e la deindustrializzazione ogni città del mondo
assomigli a Detroit."
Progresso
e sviluppo non dovrebbero essere direttamente proporzionali alla densità di
popolazione?
"Grazie ai progressi tecnologici, le
società si sviluppano, creano di ricchezza e costruiscono. Ma chi tira le fila
del mondo sa che la terra è un pianeta molto piccolo con risorse naturali
limitate e una popolazione in continua crescita. Ora siamo 7 miliardi e stiamo
già esaurendo le risorse naturali. Ci sarà sempre abbastanza spazio sul
pianeta, ma non abbastanza cibo e acqua per tutti. Perché i potenti sopravvivano, noi
dobbiamo morire."
Come
intendono fare?
"Distruggendo le nazioni a vantaggio
delle strutture sovranazionali controllate dal denaro che gestiscono. Le
corporazioni governano il mondo per conto dei governi che esse controllano.
Così è successo con l'Unione Europea."
E
Putin non rientra in questo disegno...
"Pensavano
di poterlo controllare..."
Perché
non ci riescono?
"La
Russia è una superpotenza nucleare. È questo che la rende tremendamente
pericolosa agli occhi di questa gente. La Cina, per esempio, ha una grande
popolazione ma non è una grande potenza nucleare. E per questo non è un
pericolo. Mentre l'economia cinese può essere distrutta nel giro di un minuto,
le tecnologie russe non possono essere annientate."
Dove
vogliono arrivare col conflitto in Ucraina?
"Togliere
il gas all’Europa per farla morire di freddo… Quando parlo di potere, non lo
identifico con persone che siedono su un trono, ma con un concetto
sovranazionale. L’idea è appunto distruggere ogni nazione."
Alla
fine non ci sarà più alcuna patria?
"L’alleanza
è orientata verso una struttura mondiale che per essere controllata ha bisogno
di nazioni deboli."
È
possibile fare qualche nome?
"Christine
Lagarde, Mario Draghi, Mario Monti, Petro Oleksijovyč Porošenko…ecc. tutte
queste persone sono sostituibili. Prendete Renzi: la sua politica conduce alla
distruzione dell’Italia. Perché lo fa, dal momento che dovrebbe fare
l’interesse del vostro Paese? Non è logico."
Non è
poi tanto diverso da Monti…
"I
vari Renzi, Monti, Prodi ecc. sono traditori dell’Italia, non lavorano
nell’interesse del Paese”.
(Draghi
oggi -2022- non ha mandato politico, nessuna legittimazione, non è stato
eletto.Ndr.)
L'ultimo
premier eletto democraticamente è stato Berlusconi.
"E
questo è il motivo per cui c’è stato uno sforzo così ben orchestrato per
distruggerlo."
È il
Bilderberg a tirare le fila?
"Il
Bilderberg era molto influente negli anni Cinquanta, nel mondo postbellico. Ora
è molto meno importante di quanto non si creda. Organizzazioni come il Bilderberg o
la Trilaterale non sono il vertice di nulla. Sono la cinghia di trasmissione. I
veri processi decisionali hanno luogo ancora più in alto. L'Aspen institute è
molto più importate del Bilderberg."
Nessuno
ne parla.
"I
giornali mainstream fanno parte di questo gioco. Pensare che media come il New
York Times, il Washington Post o Le Monde siano indipendenti, è da idioti. I
giornalisti lavorano per azionisti, che decidono la linea editoriale del
giornale."
Vale
anche per l'Italia?
"Il
Corriere della Sera, la Stampa e il Sole 24Ore siedono spesso alle riunioni del
Bilderberg. Non c’è metodo più efficace che far passare le loro idee nella
stampa mainstream."
Anche
l'estremismo e il terrorismo islamico rientrano in questo disegno?
"Certamente.
Non è possibile credere che Obama lavori nell'interesse degli Stati Uniti. Come
è impensabile credere che un'organizzazione come l'Isis sia passata, nel giro
di poche settimane, dall’anonimato più assoluto a rappresentare la peggiore
organizzazione terroristica del mondo."
Come
si "costruisce" un nemico?
"Con
gruppi come Isis, Hamas, Hezbollah o Al Qaeda, succede quello che chiamiamo blow-back, cioè quello che succede quando soffi
il fumo e ti torna in faccia.
L'effetto
è sempre lo stesso: si costruisce e si finanzia un gruppo terroristico, in
Ucraina come in Medioriente, e dopo un certo periodo di gestazione questo ti
torna indietro e ti colpisce. In ogni operazione non c’è mai un solo obiettivo,
ma sempre molti obiettivi. Un obiettivo lavora per te, un altro contro di
te."
Tutto
già calcolato?
"Un
qualsiasi attacco implica l'uso dell'esercito e, quindi, la necessità di
investire soldi nell'industria bellica. La formula è la stessa, cambiano solo i
giocatori. Oltre alla guerra ci sono modi diversi per ottenere lo stesso
risultato: la
fame, la siccità, droghe, le malattie, le Pandemie.
Li
stanno usando tutti. Così da un lato distruggono il mondo economicamente, dall’altro usano i soldi per
sviluppare tecnologie così potenti e futuristiche da creare un gap tra noi e
loro sempre più marcato."
Eppure
faticano a contrastare l'ebola...(ora- nel 2022- il Covid 19 !Ndr).
"Macché!
È solo un esempio per vedere la reazione della popolazione mondiale. Viene
presentata come un'epidemia ma ha ammazzato appena tremila persone negli ultimi
dieci anni. Ogni anno raffreddore, tosse e influenza ne uccidono 30mila solo
negli Stati Uniti. La prossima volta che ci sarà una vera epidemia, conosceranno già le
reazioni umane."
“Bavaglio
all'informazione”.
Il Tribunale del Riesame “censura” la procura di
Roma:
ordinato
il dissequestro del mio cellulare.
Lacrunadellago.net-
Cesare Sacchetti - (24 Febbraio 2022 )-
ci dice :
La
vicenda kafkiana che mi ha visto involontario protagonista ha avuto una recente
evoluzione alquanto positiva.
Il
Tribunale del Riesame di Roma ha accolto pienamente l’istanza di ricorso che
avevo presentato contro il decreto di perquisizione che la procura di Roma
aveva disposto per la mia abitazione e contro il sequestro del mio cellulare.
Per
coloro che volessero conoscere tutti i dettagli della surreale vicenda, rimando
all’articolo precedente dove i lettori potranno trovare anche il provvedimento
disposto nei miei confronti dai magistrati romani.
Prendiamo
adesso in esame quanto deciso dal Riesame presso il quale l’avvocato che mi
assiste, Emanuela Galati, ha presentato l’istanza per annullare il
provvedimento del magistrato.
Il
Riesame ha accolto completamente la tesi presentata dalla mia difesa e
nell’ordinanza firmata dal presidente del Tribunale, Maria Agrimi, e dal
giudice estensore, Fabio Mostarda, viene fatta immediatamente notare l’irritualità, per
usare un eufemismo, e la completa mancanza di motivazioni che hanno portato al
sequestro del mio cellulare.
I
togati in questa occasione fanno notare citando la giurisprudenza della Corte
di Cassazione, in particolare la sentenza 36072 emessa a sezioni unite nel 2018, come debba esistere un “nesso di
pertinenzialità” tra le ipotesi di reato che il pubblico ministero elabora e i
sequestri degli oggetti che vengono ritenuti.
In
altre parole, se il magistrato dispone il sequestro di un apparecchio
informatico è perché deve ritenere che questo in qualche modo possa contenere
degli elementi di prova che possano suffragare i reati per i quali la persona
viene sottoposto a indagine.
In
questo caso specifico, le ipotesi di reato sono quelle degli articoli 290 e
656, che riguardano rispettivamente il vilipendio della Corte Costituzionale,
della Repubblica, del Governo, e la diffusione di notizie false atte a turbare
l’ordine pubblico.
Ora
non occorre essere un raffinato giurista per comprendere che il mio articolo
sullo stato di salute di Draghi non investe né il primo né il secondo articolo
dal momento che in nessun modo nel mio scritto c’è una qualche diffamazione
delle cariche citate prima, né tantomeno scrivere dello stato di salute di una
persona che occupa un incarico pubblico può costituire un qualche turbamento
dell’ordine pubblico, sempre ammesso che questa notizia sia falsa e non si
comprende bene su che basi il PM possa fare una simile affermazione.
Accertato
questo passaggio, i giudici del Riesame scrivono chiaramente che il sequestro è
completamente infondato proprio perché mancano quelle motivazioni essenziali a
giustificare un simile provvedimento.
Queste
le parole dei magistrati su questo punto.
“Occorre
rilevare che il PM non ha indicato quale fosse il nesso di pertinenzialità tra
i telefoni e i supporti informatici dell’indagato e le ipotesi di reato sopra
descritte, o, in altri termini, non vi è alcuna indicazione degli elementi in
base ai quali è stato affermato il collegamento tra tali apparati e l’attività
illecita (vale a dire che la pubblicazione del post); nesso che -— sebbene
ipotizzabile — andava comunque esplicitato.”
La
prima cosa che i magistrati avrebbero dovuto fare quindi era quella di spiegare
perché mai era necessario sequestrare il mio cellulare anche a fronte delle
improbabili, se non surreali, ipotesi di reato da lui elaborate.
Il
Riesame poi prosegue nella sua ordinanza e si chiede a cosa sia servito il
sequestro visto che l’unico “scopo” sulla carta era quello di accertare se io
fossi o meno l’autore dell’articolo su Mario Draghi.
A parte il fatto che è “pacifico” come afferma lo
stesso tribunale ma se il PM voleva accertarsi della paternità dell’articolo
poteva incaricare la postale di fare i dovuti accertamenti senza disporre una
perquisizione del mio appartamento alle sei e trenta del mattino, e senza
procedere ad un sequestro del tutto infondato.
I
giudici che hanno accolto il mio ricorso si sono espressi in questo modo su
questo punto.
“Vi è
poi una motivazione meramente apparente in ordine alle specifiche esigenze
probatorie per le quali è stato imposto il vincolo di indisponibilità,
essendosi il PM limitato a dire, in maniera del tutto vaga e generica, che i
beni in sequestro avrebbero potuto essere oggetto di non meglio precisati
“accertamenti di natura tecnica” (dei quali non veniva però indicata né la
natura né lo scopo).
ll decreto del PM non contiene dunque
un’indicazione della finalità probatoria perseguita in concreto — finalità
probatoria che, peraltro, appare, nel caso specifico, tutt’altro che intuitiva
visto che non è dato comprendere quale accertamento istruttorio potrebbe essere
svolto sui cellulari, tenuto anche conto del fatto che la riconducibilità del
post incriminato al Sacchetti era abbastanza pacifica essendo stato pubblicato
sulla sua pagina del social media e avendone l’indagato rivendicato la paternità
anche in sede di perquisizione.”
Dunque
non sussisteva alcuna seria e valida motivazione per procedere ad una
perquisizione tantomeno ad un sequestro del mio cellulare dal momento che, come
scrivono gli stessi giudici del Riesame, era chiaro che io fossi l’autore del
post “incriminato” e non si comprende nemmeno bene cosa fossero questi
fantomatici “accertamenti di natura tecnica” che la procura di Roma aveva tanta
urgenza e premura di fare sul mio cellulare.
La
domanda legittima che ci si deve porre a questo punto è quella relativa a quali
siano state le motivazioni che hanno portato il PM Amelio a firmare un atto talmente
lacunoso sotto il profilo giuridico che i suoi colleghi del Riesame non hanno
potuto fare a meno di censurare.
Alla
fine dell’ordinanza difatti i giudici non sono affatto teneri con la procura e
affermano chiaramente che sussistono delle “radicali mancanze motivazionali” di questo
decreto di sequestro che “non solo inficiano la validità del decreto impugnato
ma sono tali da non poter essere “sanate” da questo Tribunale.”
È
quindi questa una condanna senza appello di tutto il debole e contradditorio
impianto del provvedimento firmato dal PM, e a questo punto non possiamo non
tornare alle domande che mi sono posto nel precedente articolo.
A cosa
è servita questa perquisizione e questo sequestro? A fare qualche tipo di pressione nei
confronti di chi fa un tipo di informazione completamente indipendente e non nelle mani dei poteri finanziari
che controllano la totalità dei media mainstream Italiani?
Se era
questo lo scopo, l’operazione è miseramente fallita perché non solo questa vicenda ha
gettato luce su una notizia che qualcuno ai piani alti riteneva scomoda ma non
ha fatto altro che mostrare tutte le debolezze di un potere che ormai attraverso
queste “azioni” crede di poter fermare il meccanismo che si è messo in moto da
diversi mesi a questa parte.
Quanto
accaduto dimostra soltanto che ormai coloro che abitano la palude dello stato
profondo Italiano non riescono ad accettare una semplice evidenza.
Il potere che avevano in mano fino a poco tempo fa gli
sta scivolando tra le mani, e non c’è nulla che possano fare per cambiare
questa realtà.
Bavaglio
all'informazione .
Il
sequestro del cellulare e la visita della
DIGOS all’alba:
i colpi di
coda
di un
sistema all’ultimo stadio.
Lacruandellago.net-
Cesare Sacchetti-(28 Gennaio 2022 )- ci
dice :
Il
protagonista del romanzo “Il processo” di Frank Kafka, Josef K., si è svegliato
un giorno per ritrovarsi accusato di un crimine del quale lui stesso non sarà
mai informato durante il corso del dibattimento.
Josef
K. quindi non può difendersi dalla macchina processuale che lo ha messo sul
banco degli imputati perché non sa nemmeno la ragione per la quale quella
macchina si è messa in moto.
Quello
che mi è successo nella mattinata di ieri può dirsi sotto certi aspetti persino
più paradossale di quanto accaduto a Josef K.
Prima
delle sette del mattino, alle 6:40 per la precisione, gli uomini della DIGOS si presentano
con un decreto di perquisizione del mio appartamento per acquisire in realtà
ciò che interessava particolarmente agli agenti, ovvero il mio telefono
cellulare.
A
quell’ora, immagino come molti altri lettori, dormivo un sonno profondo e
quindi ritrovarsi buttato giù dal letto per vedersi davanti questo decreto è un
risveglio traumatico.
Gli
agenti chiedono di vedere i miei documenti, controllano la vettura che utilizzo
generalmente per gli spostamenti e poi alla fine acquisiscono il mio computer e
il mio telefono cellulare.
Cerco
di raccogliere le idee e capire che cosa mi si contesta, e questo è quello che
leggo nelle motivazioni che hanno portato al sequestro dei miei strumenti
informatici, che sono anche gli strumenti attraverso i quali svolgo la mia
attività di giornalista.
Leggo
nell’intestazione del decreto che mi vengono contestate le violazioni dei reati
290 e 656 del codice penale.
Prendo
allora il codice penale e scopro che l’articolo 290 riguarda il vilipendio
della Corte Costituzionale, della Repubblica, del Governo ma in nessuno dei
miei articoli, tantomeno in quello contestato, mi sono espresso in maniera
ingiuriose nei confronti di queste cariche, se non nei limiti del mio legittimo
diritto di critica, che mi rendo conto che di questi tempi non è poi più tanto legittimo.
L’altro
articolo che mi viene contestato, il 656, è quello invece relativo alla “pubblicazione di notizie, false,
esagerate o tendenziose” che possono costituire un turbamento dell’ordine pubblico.
Per
scoprire quali sarebbero queste notizie false o tendenziose dobbiamo leggere il
capoverso seguente del decreto di perquisizione.
Se
qualcuno di voi dovesse trasecolare per quello che sto per scrivere voglio
rassicurarvi fin da subito che non si tratta di un errore. Lo hanno proprio
scritto.
Queste
le motivazioni addotte.
“perché,
sul canale Telegram avente vanity name “Cesare Sacchetti” divulgava un
messaggio riportante notizie false notizie in merito a presunte precarie
condizioni di salute dell’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi, con
conseguente prevedibile istigazione ad una reazione nel contesto eversivo
antigovernativo “NO VAX”.
La
prima cosa da notare è che siamo di fronte ad una ipotesi di reato inesistente,
ovvero quella che descrive un “contesto eversivo antigovernativo NO VAX.”
No vax
non vuol dire assolutamente nulla.
È una
espressione priva di senso inventata dalla carta stampata per bollare delle
persone che non di rado non sono nemmeno contro i vaccini in linea di
principio, ma
si limitano semplicemente ad esprimere delle lecite perplessità e forti denunce
sulla opportunità di distribuire dei sieri sperimentali e di condizionare la
vita sociale alla loro ricezione.
Nella
cosiddetta Repubblica
costituzionale questa contestazione non dovrebbe nemmeno esistere perché siamo nel seminato della
libertà di opinione e di pensiero ma questa è una delle numerose ipocrisie dei sistemi
democratici che promettono libertà di espressione per poi revocarla quando questa
minacci gli interessi di chi sta dietro le quinte dei palazzi del potere.
L’altra
cosa da far notare è che il fatto che io abbia ricevuto da fonti molto
qualificate e informate la notizia che Mario Draghi avrebbe una patologia e
si starebbe curando non è fino a prova contraria falso, e il fatto che questo
possa turbare l’ordine pubblico è una ipotesi del tutto assurda.
Soprattutto
poi sarebbe interessare sapere dove sarebbe il nesso tra la pubblicazione dello
stato di salute di Draghi e l’istigazione di un immaginario contesto eversivo NO VAX?
In chi
modo il primo porterebbe ad una alimentazione del secondo?
Questo
è comunque l’articolo “incriminato” che ho pubblicato su Telegram lo scorso 24
gennaio e, come si può vedere, non contiene nessun “vilipendio” contro Draghi come mi
viene contestato nel decreto emesso dalla procura di Roma.
Da
quando infatti riportare notizie sullo stato di salute di una carica pubblica
costituirebbe in qualche modo una violazione dell’ordine pubblico?
Sono
pieni gli stessi media cosiddetti “mainstream” a riportare notizie sulla salute
di Capi di Stato o pontefici come successo lo scorso anno nel 2021 quando
alcuni organi di informazione riportavano che lo stato di salute di Bergoglio
non era affatto dei migliori, e nessuno all’epoca gridò ad un allarme per un
presunto turbamento dell’ordine pubblico.
Fare
il giornalista significa riportare delle informazioni che vengono da fonti che
si ritengono affidabili e tra queste informazioni ci sono certamente le
condizioni di salute di chi ricopre una carica pubblica, dal momento che per
questi personaggi non vige la privacy come per qualsiasi altro privato
cittadino.
Al
tempo stesso è diritto dei cittadini sapere se chi ricopre delle cariche
pubbliche ha eventuali problemi di salute perché questi potrebbero pregiudicare
lo svolgimento di quegli incarichi così delicati e importanti per gli interessi
di una nazione e della sua collettività.
Un’altra
cosa che mi ha colpito è la “tempestività” di questa perquisizione che secondo
quello che mi riferiscono diversi legali è del tutto immotivata specialmente
per delle ipotesi di reato del tutto infondate.
Gli
agenti della Digos alla fine mi chiedono di venire con loro negli uffici della
polizia postale. Quando arriviamo sul posto mi restituiscono il computer e le schede sim
presenti nel mio telefono.
Nelle
circostanze che hanno dato vita a questi surreali fatti devo dire al tempo
stesso che gli agenti sono stati tutto sommato corretti e cortesi.
Ciò
che si sono limitati a fare è fotografare il post del mio canale Telegram per
accertarsi che io sia la persona che l’abbia pubblicato.
L’articolo
porta la data dello scorso 24 gennaio e io ho subito il sequestro del mio
cellulare solamente tre giorni dopo.
Generalmente
la macchina della magistratura è molto più lenta e macchinosa per mettere in
moto un procedimento simile, ma in questo caso ho constatato che c’era una
particolare fretta di avviare delle procedure che in circostanze ordinarie
richiederebbero tempi molto più lunghi.
Quello
che mi chiedo è questo. Qualcuno aveva premura di farmi arrivare un messaggio?
Qualcuno ha voluto farmi sapere che ho parlato di ciò che non dovevo parlare e che
ho toccato un nervo scoperto?
In
questi giorni è lo stesso Draghi che sta trattando per la sua ascesa al
Quirinale e non sono io a dirlo, ma persino i media in mano a quei poteri
finanziari che hanno srotolato il tappeto rosso al suo governo.
A
giudicare dai risultati questa trattativa sembra avviata al fallimento perché i
partiti non ne vogliono proprio sapere di trasferirlo su al Colle.
Draghi
fa comodo a palazzo Chigi per tutta una serie di ragioni che abbiamo già
spiegato in precedenti contributi, ma soprattutto la ragione principale è che
la classe politica vuole lasciare immutato lo status quo e cercare di tirare a
campare ancora un po’ nella speranza di rinviare l’appuntamento del suo sempre
più vicino naufragio.
La
fine dell’operazione terroristica del coronavirus avrà le conseguenze di uno
tsunami e si porterà via con sé con ogni probabilità ciò che resta di un
sistema politico completamente incancrenito, e allo sbando più completo.
La
voce nei palazzi del potere è ormai una sola: si salvi chi può. Queste sono le ragioni per le quali
i partiti vogliono che Draghi resti lì, ma Draghi non sembra intenzionato a
restare in ogni caso, e sono sempre i suoi “portavoce” a riferirlo sugli
schermi nazionali.
A
questo punto torno al quesito che proponevo poco fa. A chi o cosa ha disturbato il mio
articolo? Quale negoziazione in corso potrebbe essere stata compromessa in
seguito alla sua pubblicazione?
Altre
fonti altrettanto ben informate avevano riferito che l’uomo del Britannia
vorrebbe cercare riparo a Bruxelles tra i palazzi delle istituzioni comunitarie
qualora le porte del Quirinale dovessero restare chiuse per lui.Non so se ciò
che ho scritto possa aver irritato determinati poteri che stanno trattando
eventuali buonuscite e vie di fuga. Non ho ancora risposte definitive, ma se
dovessi trovarle le condividerò volentieri come ho fatto in precedenza.
So
però che non è normale che la polizia entri in un’abitazione privata per delle
ipotesi di reato inesistenti, così come so che quando si arriva a queste
pressioni nei confronti di giornalisti, allora devono essersi necessariamente
toccati gli interessi delle sfere più alte del potere.
So
anche al tempo stesso che chiunque abbia messo in moto questo meccanismo ha commesso un errore madornale perché questa storia non farà altro
che aumentare l’attenzione su ciò che ho scritto.
Nel
frattempo, continuerò a fare il mio lavoro finché mi sarà consentito farlo. Finché
ci saranno lettori che leggono i miei articoli e sostengono la mia informazione
libera e indipendente, questo spazio resterà aperto.
C’è
comunque una consapevolezza in me che è sempre più profonda e che è corroborata
dai fatti che stiamo vedendo.
Un
sistema che dà vita ad un’azione del genere è un sistema che è ormai
all’angolo. È una bestia ferita che si dimena e che tenta di dare gli ultimi
morsi prima della sua definitiva dipartita.
Il
tempo e la storia sono dalla parte di chi si è schierato per la libertà e
contro questo piano per ridurre in polvere il Paese così tanto odiato dalla
massoneria, ovvero l’Italia.
Non
saranno pressioni di questo tipo a fermare la macchina della storia.
John
Elkann a Palazzo Chigi, incontro con Draghi
Il
premier ha ricevuto il presidente di Stellantis.
Ansa.it-Redazione-
(20-1-2022)- ci dice :
(ANSA)
- ROMA, 20 GEN - Il presidente di Stellantis John Elkann è stato ricevuto
intorno alle 13 a Palazzo Chigi.
Elkann,
da quanto si apprende a Torino, ha incontrato il premier Mario Draghi.
L'appuntamento
- secondo quanto si è venuto a sapere - rientra nell'ambito delle attività di
relazioni istituzionali di Elkann. Nessun dettaglio è emerso sul merito
dell'incontro. (ANSA).
"Niente più green pass né quarta dose:"
la "svolta" nella pandemia.
msn.com-ilgiornale.com
-Alessandro Ferro - (26-2-2022)- ci dice
:
In
linea con la fine dello stato d'emergenza, a breve potremo mettere "per sempre " il green pass nel cassetto,
dimenticandoci di dover utilizzare il Qr code ogni volta che ci rechiamo in un
qualsiasi luogo e stracciare il foglio di carta del certificato vaccinale.
È quello che ha detto chiaramente l'immunologo Guido Rasi, professore ordinario di
Microbiologia all’Università di Roma Tor Vergata e consulente del generale
Figliuolo per la campagna vaccinale.
"Il Green Pass ha l’unico senso di
motivare le persone a vaccinarsi, per cui al momento non serve più a molto", ha dichiarato a La Stampa,
sottolineando come debba essere mantenuto soltanto se ritenuto
"indispensabile" per "vaccinare tutti, altrimenti se ne può fare
a meno".
"Non
ringraziamo i no vax..."
Le
vaccinazioni calano, i non vaccinati tra gli over 50 rimangono circa 1,2 milioni e
4,8 milioni in totale quelli che non hanno mai ricevuto alcune dose del siero
anti-Covid.
Nonostante
questi numeri, però, siamo quasi fuori dalla pandemia grazie alla stragrande
maggioranza degli italiani che sta procedendo anche con il booster.
"A un certo punto però ai non vaccinati
bisognerà dire: 'Signori, andiamo molto meglio, anche se non grazie a voi'.
Con il
calo della curva la loro parassitosi diventa più sopportabile", specifica
Rasi. Il green pass, quindi, potrà essere
definitivamente eliminato "a giugno, verificando bene prima la stabilità della
situazione".
La
situazione tra i bambini.
Non è così
rosea, invece, la campagna vaccinale nella fascia d'età pediatrica 5-12 anni
ancora ritenuta insufficiente dagli esperti: in questa fascia di popolazione,
per fortuna, i ricoveri si riducono ma il virus continua a circolare con
conseguenze a lungo termine anche per chi ha contratto forme lievi della
malattia.
"Negli
adulti vediamo il Long Covid, che si dimostra peggiore dell’inizio, ma sui
piccoli rimaniamo molto ignoranti.
E allora la cosa migliore da fare è
prevenire".
Il ruolo dei genitori è fondamentale: sono praticamente loro preposti a
decidere se var vaccinare i figli o meno.
"Il consiglio medico resta di vaccinare i
bambini a partire da 5 anni", afferma il microbiologo, al di sotto di
quell'età non è stato ancora autorizzato.
"Quarta
dose non ha senso."
Capitolo
quarta dose:
sebbene la direzione attuale sia quella di indirizzarla soltanto ai pazienti
oncologici, immunodepressi e fragili, c'è chi vorrebbe estenderla a tutta
la popolazione a partire dall'autunno. "Quella di massa, con questi vaccini e
la situazione attuale, non ha senso", aggiunge Rasi a La Stampa.
Se ne
potrà riparlare soltanto se "si registrasse un calo dell’immunità in
autunno o se si trovasse un nuovo vaccino che coprisse dal contagio oltre che
dalla malattia."
Dopo le tre dosi, comunque, si è maggiormente
protetti rispetto al ciclo vaccinale con due anche se dopo quattro mesi gli
anticorpi iniziano a calare ma l'immunità a lungo termine rimane.
Per
quanto, ancora, non si sa.
"I
primi studi parlano di 15 mesi, ma potrebbero essere molti di più.
Vedremo". Uno dei membri del Cts, Sergio Abrignani, ha affermato che la
terza dose aumenta e cambia, in positivo, la risposta dell'organismo creando
"molta memoria" in caso di attacco del virus. "È probabile - conclude Rasi - questo
almeno suggerisce l’esperienza immunologica".
Rinnovabili,
gas, carbone: Draghi cambia la politica energetica italiana. Ecco come e perché.
msn.com-Redazione
-Firstonline- (26-2-2022)- ci dice :
Ucraina:
armi micidiali russe in arrivo verso il confine.
Ucraina, informativa del presidente Draghi in
Parlamento venerdì 25 febbraio 2022.
L’Italia
non ha mai avuto una seria politica dell’energia, almeno dai tempi del
referendum sul nucleare del 1987. E quella che ha avuto negli ultimi decenni è
stata quantomeno imprudente. La guerra in Ucraina ha messo a nudo tutte le
nostre fragilità in questo settore strategico. Ora si cambia, ma come? Lo ha spiegato il premier nella sua informativa in
Parlamento, di cui riportiamo qui sotto la parte cruciale dedicata all’energia.
Gas, rinnovabili e rotte strategiche: Draghi
cambia la politica energetica dell’Italia.
Basta
Nimby e fine della burocrazia.
Maggiori
quantitativi di gas da Tap (Azerbaijan), TransMed (Algeria) e GreenStream
(Libia). E nell’emergenza della guerra Ucraina- Russia, anche carbone. Con
buona pace del M5S – che è stato feroce avversario del Tap in Puglia – e della
Lega, da sempre appiattita su Putin.
Rinnovabili
e gas, torna il carbone? L’emergenza.
Il
ritorno in auge del carbone è solo un’opzione – al momento – in caso di
emergenza, se la Russia chiudesse i rubinetti del gas per ritorsione nella
guerra con l’Ucraina.
La
crisi Ucraina-Russia non sarà breve né facile da risolvere. Occorre prepararsi
da un lato a fronteggiare l’emergenza, dall’altro a promuove interventi
strutturali. E’ questo il senso del discorso di Mario Draghi.
Partendo
dal carbone, le centrali in Italia sono sette e, secondo il Piano nazionale
(Pniec), dovranno essere chiuse o convertite entro la fine del 2025 per
rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione della Ue.
(Dobbiamo
precisare che l’ordine sulla politica energetica della UE è partito dal l’”uomo
di Davos” ,ossia il Presidente Klaus Schwab. Ha scritto e spiegato che la sua “Quarta
Rivoluzione Industriale “ non ammette
deroghe in merito per nessun Governo degli
stati europei .Ndr.).
Ne
abbiamo una in Liguria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Puglia e altre
due in Sardegna. Cinque di queste sono targate Enel, una A2A e una è del gruppo
cecoslovacco EPH.
In
caso di crisi di fornitura, nell’immediato è prevista anche una maggiore
“flessibilità” nei consumi di gas. Il che vuol dire sospensioni per le industrie o anche
per la produzione elettrica, con ricadute anche sui consumi domestici.
Rinnovabili
e gas, tre pilastri per cambiare.
L’informativa
del presidente Mario Draghi ha richiamato la necessità di interventi
importanti. Cerchiamo di spiegare quali, leggendo tra le righe del suo
discorso.
Prima
di tutto diversificare i flussi, potenziando il corridoio Sud. Il che vuol dire
fare passare più gas algerino, libico e azero nei gasdotti italiani e ridurre
l’import dalla Russia nel contempo. Poi bisogna riportare il volume della
produzione italiana di gas almeno al 20% dell’import (oggi intorno ai 70
miliardi complessivi). Ravenna e Sicilia sono le aree a cui guardare. Il punto
è chiaro: il gas sarà indispensabile nella transizione energetica che sarà
lunga. E quindi è illusorio pensare di poterne fare a meno nel breve-medio
periodo.
Nella
diversificazione bisogna pensare ad aumentare i rigassificatori. Vale ricordare
che per quello di Rovigo ci sono voluti 12 anni (anziché 2-3) e battaglie
campali per vincere le resistenze.
Per le
rinnovabili, la battaglia è sulla burocrazia che rallenta le autorizzazioni o
le blocca. Quindi sono da prevedere semplificazioni o anche sostituzione dello
Stato centrale sugli enti locali inadempienti.
Ma
ecco, qui di seguito, le parole di Mario Draghi pronunciate alla Camera venerdì
mattina 25 febbraio.
Il
testo dell’informativa di Mario Draghi in Parlamento:
“La
maggiore preoccupazione riguarda il settore energetico, che è già stato colpito
dai rincari di questi mesi: circa il 45% del gas che importiamo proviene
infatti dalla Russia, in aumento dal 27% di dieci anni fa.
Le
vicende di questi giorni dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato
maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi
decenni.
In
Italia, abbiamo ridotto la produzione di gas da 17 miliardi di metri cubi
all’anno nel 2000 a circa 3 miliardi di metri cubi nel 2020 – a fronte di un
consumo nazionale che è rimasto costante tra i 70 e i 90 miliardi circa di
metri cubi”.
“Dobbiamo procedere spediti sul fronte della
diversificazione, per superare quanto prima la nostra vulnerabilità e evitare
il rischio di crisi future.
Il
Governo monitora in modo costante i flussi di gas, in stretto coordinamento con
le istituzioni europee e le istruzioni in merito di Klaus Schwab (Ndr).
Abbiamo
riunito diverse volte il Comitato di emergenza gas, per regolamentare e
analizzare i dati operativi e gli scenari possibili”.
“Gli
stoccaggi italiani beneficiano dell’aver avuto, a inizio inverno, una
situazione migliore rispetto a quello di altri Paesi europei, anche grazie alla
qualità delle nostre infrastrutture.
Il
livello di riempimento aveva raggiunto il 90% alla fine del mese di ottobre,
mentre gli altri Paesi europei erano intorno al 75%.
Gli
stoccaggi sono stati poi utilizzati a pieno ritmo e nel mese di febbraio hanno
già raggiunto il livello che hanno generalmente a fine marzo. Questa
situazione, che sarebbe stata più grave in assenza di infrastrutture e
politiche adeguate, è simile a quella che vivono altri Paesi europei tra cui la
Germania”.
“La
fine dell’inverno e l’arrivo delle temperature più miti ci permettono di
guardare con maggiore fiducia ai prossimi mesi, ma dobbiamo intervenire per
migliorare ulteriormente la nostra capacità di stoccaggio per i prossimi anni.
L’Italia
è impegnata inoltre a spingere l’Unione Europea nella direzione di meccanismi
di stoccaggio comune, che aiutino tutti i Paesi a fronteggiare momenti di
riduzione temporanea delle forniture.
Ci
auguriamo che questa crisi possa accelerare finalmente una risposta positiva
sul tema”.
“Il
Governo è comunque al lavoro per approntare tutte le misure necessarie per
gestire al meglio una possibile crisi energetica.
Ci
auguriamo che questi piani non siano necessari, ma non possiamo farci trovare
impreparati.
Le
misure di emergenza includono una maggiore flessibilità dei consumi di gas,
sospensioni nel settore industriale, e regole sui consumi di gas nel settore
termoelettrico, dove pure esistono misure di riduzione del carico”.(Insomma siamo rovinati a seguito
degli ordini ricevuti da Klaus Schwab tramite
la sua “Quarta rivoluzione industriale”-Ndr.)
“Il
Governo è al lavoro inoltre per aumentare le forniture alternative.
Intendiamo
incrementare il gas naturale liquefatto importato da altre rotte, come gli
Stati Uniti. Il Presidente americano, Joe Biden, ha offerto la sua
disponibilità a sostenere gli alleati con maggiori rifornimenti, e voglio
ringraziarlo per questo”.
“Tuttavia,
la nostra capacità di utilizzo è limitata dal numero ridotto di rigassificatori
in funzione.
Per il
futuro, è quanto mai opportuna una riflessione (tramite Klaus Schwab) anche su queste infrastrutture”.
“Il
Governo intende poi lavorare per incrementare i flussi da gasdotti non a pieno
carico – come il TAP dall’Azerbaijan, il TransMed dall’Algeria e dalla Tunisia,
il Green-Stream dalla Libia.
Potrebbe
essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali
mancanze nell’immediato”.
“Il
Governo è pronto a intervenire per calmierare ulteriormente il prezzo
dell’energia, ove questo fosse necessario. Sì, è necessario”.
“Per
il futuro, la crisi ci obbliga a prestare maggiore attenzione ai rischi
geopolitici che pesano sulla nostra politica energetica, e a ridurre la
vulnerabilità delle nostre forniture.
Voglio
ringraziare il Ministro Cingolani per il lavoro che svolge quotidianamente su
questo tema così importante per il nostro futuro”.
“Ho
parlato del gas, ma la risposta più valida nel lungo periodo sta nel procedere
spediti, come stiamo facendo, nella direzione di un maggiore sviluppo delle
fonti rinnovabili, anche e soprattutto con una maggiore semplificazione delle
procedure per l’installazione degli impianti.
A
questo proposito vorrei notare che gli ostacoli a una maggiore speditezza su
questo percorso non sono tecnici, non sono tecnologici, ma sono solo
burocratici“
“Ma il
gas resta essenziale come combustibile di transizione.
Dobbiamo
rafforzare il corridoio sud, migliorare la nostra capacità di rigassificazione
e aumentare la produzione nazionale a scapito delle importazioni.
Perché
il gas prodotto nel proprio Paese è più gestibile e può essere meno caro.
La
crisi di portata storica che l’Italia e l’Europa hanno davanti potrebbe essere
lunga e difficile da ricomporre, anche perché sta confermando l’esistenza di
profonde divergenze sulla visione dell’ordine internazionale mondiale (ordinato da Klaus Schwab-Ndr) che non sarà facile superare”.
Putin:
“Ci impegniamo per la Smilitarizzazione
e la Denazificazione dell’Ucraina.”
Conoscenzealconfine.it-
Redazione-(25 Febbraio 2022)- ci dice :
Putin:
“L’obiettivo è proteggere le persone che sono state sottoposte ad abusi e
genocidio da parte del regime di Kiev per 8 anni”.
L’attacco
è stato sferrato dopo l’annuncio in tv poco dopo le sei del mattino di ieri 24
febbraio, orario di Mosca. Il presidente russo Vladimir Putin, in un discorso
ai russi, ha fatto sapere di aver deciso un’operazione militare speciale nel
Donbass, scrive Il Tempo.
“Le
circostanze richiedono un’azione decisa e immediata. Le Repubbliche popolari
del Donbass si sono rivolte alla Russia con una richiesta di aiuto. A questo
proposito, ai sensi dell’articolo 51, parte 7 della Carta delle Nazioni Unite,
con l’approvazione del Consiglio della Federazione e in virtù dei trattati di
amicizia ratificati dall’Assemblea federale e di mutua assistenza con DPR e
LPR, ho deciso di condurre un’operazione militare speciale“, ha detto Putin in
un discorso televisivo ai russi.Una “versione” in contrasto con quanto denunciato
dall’Occidente con Europa e Stati Uniti che condannano quella che appare come
una invasione militare a tutti gli effetti.
Il
presidente russo Putin ha avvertito che un attacco alla Russia “porterebbe a gravi conseguenze per
qualsiasi potenziale aggressore”. “Nessuno dovrebbe avere dubbi sul fatto che un
attacco diretto al nostro Paese porterà alla sconfitta e a terribili
conseguenze per qualsiasi potenziale aggressore”, “coloro (i globalisti della Cricca di
Davos,ndr)
che rivendicano il dominio del mondo, pubblicamente, impunemente e, sottolineo,
senza alcun motivo, dichiarano noi, la Russia, il loro nemico”.
“Hanno
davvero grandi capacità finanziarie, scientifiche, tecnologiche e militari. Lo
sappiamo e valutiamo oggettivamente le minacce che ci vengono costantemente
rivolte in ambito economico, così come la nostra capacità di resistere a questo
ricatto sfacciato e permanente”, ha continuato.
“Per
quanto riguarda la sfera militare, la Russia moderna, anche dopo il crollo
dell’Urss e la perdita di una parte significativa del suo potenziale, è oggi una delle più potenti
potenze nucleari del mondo ed è in vantaggio in numerosi degli ultimi tipi di
armi“, si legge su Il Tempo.
“I
nostri piani non sono di occupare l’Ucraina, non abbiamo intenzione di imporci
a nessuno”, ha spiegato Putin che si muove su un crinale molto pericoloso. “L’obiettivo è proteggere le persone
che sono state sottoposte ad abusi e genocidio da parte del regime di Kiev per
8 anni. E
a tal fine,
ci impegneremo per la smilitarizzazione e la ‘denazificazione’ dell’Ucraina, nonché per consegnare alla giustizia
coloro che hanno commesso numerosi e sanguinosi crimini contro i civili,
compresi i cittadini russi“, le parole del presidente russo.
(lapekoranera.it/2022/02/24/putin-ci-impegniamo-per-la-smilitarizzazione-e-la-denazificazione-dellucraina/).
Credit
Suisse: Vaticano, Narcos e Trafficanti
di
Esseri umani tra i “Clienti Speciali”.
Conoscenzealconfine.it -Redazione-( 24 Febbraio 2022) ci dice:
L’ennesimo
scandalo ha travolto Credit Suisse. Una fuga di dati ha svelato clienti ed
affari di una delle principali banche della Svizzera.
Nell’elenco
de-secretato spuntano nomi grossi e anche pericolosi, ma a sorpresa tra i
clienti c’è anche il Vaticano. La Santa Sede – si legge sulla Stampa – compare
nell’elenco incriminato, in compagnia di dittatori, narcotrafficanti, evasori
fiscali, trafficanti di esseri umani.
C’è
anche la Segreteria di Stato del Vaticano tra i “clienti speciali” di Credit
Suisse svelati dall’inchiesta Suisse Secrets. Clienti per i quali non valgono le
regole e i controlli standard e le cui procedure di gestione non seguono i
canali standardizzati di una prudente attività bancaria. Non manca neanche un conto del
Vaticano, usato per investire 350 milioni di euro nell’acquisizione sospetta di
un immobile a Londra, ora al centro di un processo con vari accusati, tra cui
un cardinale.
I
nominativi emersi, circa 18 mila – riporta Repubblica – comprendono tra gli altri:
il
trafficante di esseri umani svedese (nelle Filippine) Stefan Soderholm,
condannato all’ergastolo;
faccendieri della finanza come il “padrino della Borsa di Hong Kong” Ronald Li Fook-shiu;
il
politico e miliardario egiziano Hisham Talaat Moustafa, accusato di avere pagato un sicario
nel 2009 per eliminare l’ex fidanzata, una pop star libanese; sospetti
criminali di guerra, dittatori di Paesi in via di sviluppo come Ferdinando e Imelda Marcos nelle Filippine, o il
nigeriano Sani Abacha.
L’inchiesta,
che mette in dubbio l’efficacia dei controlli dei rischi e delle regole, può
avere ripercussioni sulla banca, peraltro già in difficoltà per i tanti ruoli
avuti nei più gravi scandali finanziari recenti: dal crac del fondo Archegos a
quello del gruppo Greensill, fino alla corruzione sui prestiti in Mozambico.
(imolaoggi.it/2022/02/21/credit-suisse-clienti-speciali-vaticano-narcos/).
Il
nuovo appello di Viganò a Trump
contro il Grande Reset del “Nuovo Ordine Mondiale”:”preghiamo
per lei, Presidente, le forze della luce prevarranno.”
Lacrunadellago.net- Cesare Sacchetti -(30 Ottobre 2020 )- ci dice :
Dopo
l’appello dello scorso giugno nel quale monsignor Viganò metteva in guardia il
presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sui piani della massoneria e dei
figli delle tenebre di trascinare il mondo verso il totalitarismo del Nuovo
Ordine Mondiale, arriva una nuova potente missiva dell’ex nunzio apostolico
contro il Grande Reset, l’assalto finale del mondialismo.
Sono
ore decisive per le sorti dell’umanità e del mondo. Viganò spiega perfettamente
come Trump in questo momento rappresenti l’ultimo bastione politico contro
l’avvento definitivo della dittatura mondiale fondata su una neo-religione
esoterica e anti-cristiana.
Ancora
una volta si sta rafforzando e consolidando quella che è tutti gli effetti una
alleanza spirituale e politica contro il Nuovo Ordine Mondiale tra Viganò e
Trump.
Questa
battaglia non è infatti solo contro le istituzioni politiche asservite a questo
piano. E’ molto di più. Sono le parole stesse di San Paolo nella sua lettera
agli Efesini a spiegare qual è il vero senso di questo scontro.
“La
nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma
contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di
tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.”
Questa
è la battaglia nella quale si trova l’umanità in questo momento storico. Viganò
si dice convinto che alla fine le forze della luce prevarranno. Il male
contiene in sè il seme della sua stessa distruzione.
Ecco
il testo integrale della sua missiva.
“Al
Presidente degli Stati Uniti d’America Donald J. Trump.
Domenica
25 Ottobre 2020-Solennità di Cristo Re.
Signor
Presidente,
mi
consenta di rivolgermi a Lei, in quest’ora in cui le sorti del mondo intero
sono minacciate da una cospirazione globale contro Dio e contro l’umanità. Le
scrivo come Arcivescovo, come Successore degli Apostoli, come ex-Nunzio
apostolico negli Stati Uniti d’America. Le scrivo nel silenzio delle autorità
civili e religiose: voglia accogliere queste mie parole come la «voce di uno
che grida nel deserto» (Gv 1, 23).
Come
ho avuto modo di scriverle nella mia Lettera dello scorso Giugno, questo
momento storico vede schierate le forze del Male in una battaglia senza
quartiere contro le forze del Bene; forze del Male che sembrano potenti e
organizzate dinanzi ai figli della Luce, disorientati e disorganizzati,
abbandonati dai loro capi temporali e spirituali.
Sentiamo
moltiplicarsi gli attacchi di chi vuole demolire le basi stesse della società:
la famiglia naturale, il rispetto per la vita umana, l’amore per la Patria, la
libertà di educazione e di impresa. Vediamo i capi delle Nazioni e i leader
religiosi assecondare questo suicidio della cultura occidentale e della sua
anima cristiana, mentre ai cittadini e ai credenti sono negati i diritti
fondamentali, in nome di un’emergenza sanitaria che sempre più si rivela come
strumentale all’instaurazione di una disumana tirannide senza volto.
Un
piano globale, denominato Great Reset, è in via di realizzazione. Ne è artefice un’élite (comandata da Klaus Schwab, della cricca di Davos-Ndr.) che vuole sottomettere l’umanità
intera, imponendo misure coercitive con cui limitare drasticamente le libertà
delle persone e dei popoli. In alcune nazioni questo progetto è già stato
approvato e finanziato; in altre è ancora in uno stadio iniziale. Dietro i
leader mondiali, complici ed esecutori di questo progetto infernale, si celano
personaggi senza scrupoli che finanziano il World Economic Forum e l’Event 201,
promuovendone l’agenda.
Scopo
del Great Reset è l’imposizione di una dittatura sanitaria finalizzata
all’imposizione di misure liberticide, nascoste dietro allettanti promesse di
assicurare un reddito universale e di cancellare il debito dei singoli. Prezzo
di queste concessioni del Fondo Monetario Internazionale dovrebbe essere la
rinuncia alla proprietà privata e l’adesione ad un programma di vaccinazione
Covid-19 e Covid-21 promosso da Bill Gates con la collaborazione dei principali
gruppi farmaceutici.
Aldilà
degli enormi interessi economici che muovono i promotori del Great Reset,
l’imposizione della vaccinazione si accompagnerà all’obbligo di un passaporto
sanitario e di un ID digitale, con il conseguente tracciamento dei contatti di
tutta la popolazione mondiale. Chi non accetterà di sottoporsi a queste misure
verrà confinato in campi di detenzione o agli arresti domiciliari, e gli
verranno confiscati tutti i beni.
Signor
Presidente, immagino che questa notizia Le sia già nota: in alcuni Paesi, il
Great Reset dovrebbe essere attivato tra la fine di quest’anno e il primo
trimestre del 2021. A tal scopo, sono previsti ulteriori lockdown,
ufficialmente giustificati da una presunta seconda e terza ondata della
pandemia. Ella
sa bene quali mezzi siano stati dispiegati per seminare il panico e legittimare
draconiane limitazioni delle libertà individuali, provocando ad arte una crisi
economica mondiale.
Questa
crisi serve per rendere irreversibile, nelle intenzioni dei suoi artefici, il
ricorso degli Stati al Great Reset, dando il colpo di grazia a un mondo di cui
si vuole cancellare completamente l’esistenza e lo stesso ricordo. Ma questo
mondo, Signor Presidente, porta con sé persone, affetti, istituzioni, fede,
cultura, tradizioni, ideali: persone e valori che non agiscono come automi, che
non obbediscono come macchine, perché dotate di un’anima e di un cuore, perché
legate tra loro da un vincolo spirituale che trae la propria forza dall’alto,
da quel Dio che i nostri avversari vogliono sfidare, come all’inizio dei tempi
fece Lucifero con il suo «non serviam».
Molti
– lo sappiamo bene – considerano con fastidio questo richiamo allo scontro tra
Bene e Male, l’uso di toni “apocalittici”, che secondo loro esasperano gli
animi e acuiscono le divisioni. Non c’è da stupirsi che il nemico si senta
scoperto proprio quando crede di aver raggiunto indisturbato la cittadella da
espugnare.
C’è da
stupirsi invece che non vi sia nessuno a lanciare l’allarme. La reazione del
deep state a chi denuncia il suo piano è scomposta e incoerente, ma
comprensibile. Proprio quando la complicità dei media mainstream era riuscita a
rendere quasi indolore e inosservato il passaggio al Nuovo Ordine Mondiale,
vengono alla luce inganni, scandali e crimini.
Fino a
qualche mese fa, sminuire come «complottisti» coloro che denunciavano quei
piani terribili, che ora vediamo compiersi fin nei minimi dettagli, era cosa
facile. Nessuno, fino allo scorso febbraio, avrebbe mai pensato che si sarebbe
giunti, in tutte le nostre città, ad arrestare i cittadini per il solo fatto di
voler camminare per strada, di respirare, di voler tenere aperto il proprio
negozio, di andare a Messa la domenica.
Eppure
avviene in tutto il mondo, anche in quell’Italia da cartolina che molti
Americani considerano come un piccolo paese incantato, con i suoi antichi
monumenti, le sue chiese, le sue incantevoli città, i suoi caratteristici
villaggi.
E
mentre i politici se ne stanno asserragliati nei loro palazzi a promulgare
decreti come dei satrapi persiani, le attività falliscono, chiudono i negozi,
si impedisce alla popolazione di vivere, di muoversi, di lavorare, di pregare.
Le disastrose conseguenze psicologiche di questa operazione si stanno già
vedendo, ad iniziare dai suicidi di imprenditori disperati, e dai nostri figli,
segregati dagli amici e dai compagni per seguire le lezioni davanti a un
computer.
Nella
Sacra Scrittura, San Paolo ci parla di «colui che si oppone» alla
manifestazione del mistero dell’iniquità, il kathèkon (2Tess 2, 6-7). In ambito
religioso, questo ostacolo è la Chiesa e in particolare il Papato; in ambito
politico, è chi impedisce l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale.
Come
ormai è evidente, colui che occupa la Sede di Pietro, fin dall’inizio ha
tradito il proprio ruolo, per difendere e promuovere l’ideologia globalista,
assecondando l’agenda della deep church, che lo ha scelto dal suo gremio.
Signor
Presidente, Ella ha chiaramente affermato di voler difendere la Nazione – One
Nation under God, le libertà fondamentali, i valori non negoziabili oggi negati
e combattuti. È Lei, Caro Presidente, «colui che si oppone» al deep state,
all’assalto finale dei figli delle tenebre.
Per
questo occorre che tutte le persone di buona volontà si persuadano
dell’importanza epocale delle imminenti elezioni: non tanto per questo o quel
punto del programma politico, quanto piuttosto perché è l’ispirazione generale
della Sua azione che meglio incarna – in questo particolare contesto storico –
quel mondo, quel nostro mondo, che si vorrebbe cancellare a colpi di lockdown.
Il Suo avversario è anche il nostro: è il Nemico del genere umano, colui che è
«omicida sin dal principio» (Gv 8, 44).
Attorno
a Lei si riuniscono con fiducia e coraggio coloro che La considerano l’ultimo
presidio contro la dittatura mondiale. L’alternativa è votare un personaggio
manovrato dal deep state, gravemente compromesso in scandali e corruzione, che
farà agli Stati Uniti ciò che Jorge Mario Bergoglio sta facendo alla Chiesa, il
Primo Ministro Conte all’Italia, il Presidente Macron alla Francia, il Primo Ministro
Sanchez alla Spagna, e via dicendo.
La
ricattabilità di Joe Biden – al pari di quella dei Prelati del “cerchio magico”
vaticano – consentirà di usarlo spregiudicatamente, consentendo a poteri
illegittimi di interferire nella politica interna e negli equilibri
internazionali. È evidente che chi lo manovra ha già pronto uno peggiore di lui
con cui sostituirlo non appena se ne presenterà l’occasione.
Eppure,
in questo quadro desolante, in questa avanzata apparentemente inesorabile del
«Nemico invisibile», emerge un elemento di speranza. L’avversario non sa amare,
e non comprende che non basta assicurare un reddito universale o cancellare i
mutui per soggiogare le masse e convincerle a farsi marchiare come capi di
bestiame.
Questo
popolo, che per troppo tempo ha sopportato i soprusi di un potere odioso e
tirannico, sta riscoprendo di avere un’anima; sta comprendendo di non esser
disposto a barattare la propria libertà con l’omologazione e la cancellazione
della propria identità; sta iniziando a capire il valore dei legami familiari e
sociali, dei vincoli di fede e di cultura che uniscono le persone oneste.
Questo Great Reset è destinato a fallire perché chi lo ha pianificato non
capisce che ci sono persone ancora disposte a scendere nelle strade per
difendere i propri diritti, per proteggere i propri cari, per dare un futuro ai
propri figli.
L’inumanità
livellatrice del progetto mondialista si infrangerà miseramente dinanzi
all’opposizione ferma e coraggiosa dei figli della Luce. Il nemico ha dalla sua parte
Satana, che non sa che odiare. Noi abbiamo dalla nostra parte il Signore
Onnipotente, il Dio degli eserciti schierati in battaglia, e la Santissima
Vergine, che schiaccerà il capo dell’antico Serpente. «Se Dio è per noi, chi
sarà contro di noi?» (Rm 8, 31).
Signor
Presidente, Ella sa bene quanto gli Stati Uniti d’America, in quest’ora
cruciale, siano considerati l’antemurale contro cui si è scatenata la guerra
dichiarata dai fautori del globalismo. Riponga la Sua fiducia nel Signore,
forte delle parole dell’Apostolo: «Posso tutto in Colui che mi dà forza» (Fil
4, 13). Essere strumento della divina Provvidenza è una grande responsabilità,
alla quale corrisponderanno certamente le grazie di stato necessarie,
ardentemente implorate dai tanti che La sostengono con le loro preghiere.
Con
questo celeste auspicio e l’assicurazione della mia preghiera per Lei, per la
First Lady, e per i Suoi collaboratori, di tutto cuore Le giunga la mia
Benedizione.
God
bless the United States of America!
+
Carlo Maria Viganò-Arcivescovo Titolare di Ulpiana.
CHE
GUERRA È QUESTA?
di
Moreno Pasquinelli.
Sollevazione.it-
Moreno Pasquinelli- (21-2-2022)- ci dice <.
Scriviamo
mentre le agenzie battono la notizia dell’attacco dell’esercito russo
all’Ucraina. Le lacrime di coccodrillo dei leader del blocco NATO, il baccano
dei media occidentali, non spostano di una virgola le vere cause del conflitto
e la soluzione per disinnescarlo — ben indicate nell’essenziale nel comunicato
di Liberiamo l’Italia.
Che la
situazione volgesse al peggio era chiaro da molto tempo, come minimo dalla
rivoluzione colorata di Euromaidan, per finire con le gravissime dichiarazioni
di due giorni fa di Zelensky che l’Ucraina sarebbe entrata nella NATO.
Il 13
febbraio scorso si è svolto un seminario teorico-politico della direzione
nazionale di Liberiamo l’Italia. Uno dei due temi in agenda aveva il titolo “la situazione internazionale, i
rischi di guerra e la posizione di Lit”.
Pubblichiamo di seguito la parte conclusiva della relazione
introduttiva.
«Con
il crollo dell’Unione Sovietica l’élite americana (sia neocon che clintoniana)
scatenò un’offensiva a tutto campo per trasformare l’indiscussa preminenza
degli U.S.A. nei diversi campi — economico, finanziario, militare, scientifico,
culturale — in supremazia geopolitica assoluta. L’offensiva si risolse in un
fiasco. Invece del nuovo ordine monopolare sorse un disordinato e instabile
multilateralismo. [Liberiamo l’Italia, Tesi sul Cybercapitalismo] .(…).
Se in
una prima fase la svolta globalista e liberoscambista assicurò all’imperialismo
nordamericano una momentanea supremazia mondiale, ben presto, anche a causa
della crisi del collasso finanziario del 2007-2009 e nella forma di una vera e
propria nemesi storica, si è capovolta nel suo contrario.
Tre
sono i fattori che attestano il tramonto della globalizzazione a guida
americana:
(1)-
malgrado l’avanzata verso Est della NATO e della UE, è fallito l’obiettivo di
colonizzare la Russia;
(2)- è fallito l’obiettivo di ristabilire
l’indiscussa supremazia in Medio Oriente;
(3)- proprio sfruttando il vento della
globalizzazione neoliberista la Cina e diventata una grandissima potenza
economica e militare che ambisce a sfidare gli Stati Uniti come prima
superpotenza mondiale.
Simili,
giganteschi mutamenti, non potevano non riverberarsi in modo devastante
all’interno degli Stati Uniti. Ecco quindi la grande frattura prodottasi con
l’ascesa al potere di Donald Trump e la sua successiva defenestrazione. Alle
prese col proprio declino, davanti al rischio di un terzo catastrofico
conflitto su larga scala, l’élite dominante si è spaccata in due opposte
frazioni: quella trumpiana la quale, pur sempre immaginando di conservare agli
USA la propria supremazia, vede nella Cina il nemico principale da battere — se
necessario anche stipulando un accordo strategico con la Russia putiniana —, e quella per ora vincente che vede
invece nella Russia il pericolo maggiore, quindi disposta ad un accordo tattico
di non belligeranza con la Cina.
Il
“disordinato e instabile multilateralismo”, segnato dalla ripresa delle
tensioni e della conflittualità tra grandi potenze declinanti ed emergenti,
potrebbe sfociare in un terzo catastrofico conflitto su larga scala. La
principale causa di questa tendenza è il rifiuto degli Stati Uniti di essere
spodestati dalla posizione di prima superpotenza. Quale che sia infatti la
frazione che prenderà il sopravvento negli Stati Uniti, nessuna delle due
accetterà passivamente di lasciare ad altri la supremazia mondiale. Il
posizionamento della Russia potrebbe decidere chi sarà il vincitore. Per il momento Mosca e Pechino
sembrano essere saldamente alleati, ciò che rappresenta una potente diga alle
ambizioni nordamericane di riconquista della loro supremazia mondiale.
Tre
sono i principali teatri di scontro tra le potenze: quello mediorientale,
l’indo-pacifico e l’europeo.
In
tutti e tre i teatri gli Stati Uniti sono presenti direttamente con le loro
forze militari strategiche d’attacco, alimentano le controversie tra potenze
regionali (divide et impera), e sono alla testa di alleanze con stati vassalli.
Se in Medio Oriente c’è uno stato di belligeranza permanente nella forma di
guerre per procura (proxy war), sia nell’indo-pacifico che in Europa i
conflitti latenti potrebbero diventare dispiegati e frontali.
In un sistema-mondo a vasi comunicanti uno
scontro diretto tra grandi potenze in uno di questi teatri potrebbe coinvolgere
gli altri due, in questo caso e solo in questo avremmo un terzo catastrofico
conflitto su larga scala.
Il
Medio Oriente è la scacchiera dove nell’ultimo decennio si sono svolti
importanti prove generali della contesa tra Stati Uniti e Russia.
Le insormontabili divisioni del mondo
islamico, con i due principali campi ostili, quelli capeggiati dall’Iran e
dall’Arabia Saudita (con Israele dalla parte di quest’ultima e la Turchia di
Erdogan come terzo incomodo), sono sfociate in una lunga “guerra dei
trent’anni”, segnata da offensive e controffensive, da tregue seguite da nuove
battaglie.
Combattuta
anzitutto in Siria, la “fitna”, o mattanza fratricida tra frazioni e potenze
regionali islamiche, si è poi estesa allo Yemen e alla Libia. Questo conflitto
insanabile è destinato non solo a riconfigurare da cima a fondo l’intera
regione medio-orientale, avrà pesanti ripercussioni su tutta l’area
mediterranea, coinvolgendo giocoforza anche il nostro Paese.
La
doppia catena dell’alleanza NATO e dell’appartenenza all’Unione europea,
l’avere al potere un’élite di ferventi euro-atlantisti, come hanno dimostrato
gli avvenimenti in Libia, impedisce all’Italia di giocare un ruolo
indipendente, interdice ogni politica di coesistenza pacifica e di proficua
collaborazione con gli stati del Nord Africa e del Medio Oriente, pregiudica
l’interesse nazionale e, peggio ancora, potrebbe trascinare il nostro Paese nel
vortice di una nuova sciagurata guerra imperialista d’aggressione (vedi Iraq e
Afghanistan).
Non è
la Cina che provoca gli Stati Uniti schierando micidiali flotte aeronavali
davanti alle coste della California ma sono gli Stati Uniti, al contrario, che
minacciano la Cina con una potente cintura di accerchiamento strategico fatta
di paesi alleati (Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia, Australia e
Nuova Zelanda), da una fitta rete di basi aeree e navali (Filippine, Guam,
Singapore), e da flotte aeronavali e sottomarini.
Si può
non credere alle assicurazioni di Pechino che la Cina non ha alcuna finalità
imperialistica e aggressiva, di sicuro c’è che una guerra con gli Stati Uniti
porrebbe fine alla sua avanzata in ogni campo — per questo la stessa pretesa di
riportare all’ovile Taiwan sembra più un modo di tenere sveglio l’ambizioso
nazionalismo cinese che un evento altamente probabile, come vorrebbe far
credere Washington. D’altro canto per gli Stati Uniti è vero l’esatto
contrario, continuando così le cose essi sono condannati a perdere l’egemonia
in Asia.
Per
questo sono proprio gli USA il principale pericolo che minaccia i fragili
equilibri in Asia. In questo contesto, considerando le ambizioni indiane, è da
escludere che New Delhi si presti ad assecondare gli Stati Uniti partecipando a
loro fianco in un eventuale conflitto contro la Cina —vedi le amichevoli
relazioni con Mosca.
E’
tuttavia in Europa orientale che oggi più spirano venti di guerra. L’isterica
campagna russofoba che dilaga in Occidente, tendente a presentare la Russia
come decisa a scatenare il conflitto, serve ad intossicare l’opinione pubblica
per intrupparla e schierarla a favore di un attacco alla Russia.
La storia, anche recente, insegna infatti che
la guerra guerreggiata è sempre preceduta dalla guerra di propaganda.
La
verità è che il principale fattore di conflitto è la protervia con cui
Pentagono e NATO proseguono la loro avanzata ad Est, la loro strategia di
accerchiamento strategico della Russia.
Non è
bastato alla NATO e alla UE aver inglobato nell’alleanza militare i paesi
dell’Est Europa che facevano parte del Patto di Varsavia.
Hanno anche afferrato i paesi baltici portando
le loro truppe a ridosso di San Pietroburgo e, imperterriti, hanno infine
scatenato il caos in Ucraina spingendo al potere forze nazionaliste ostili alla
Russia in vista dell’ingresso del paese nell’alleanza NATO.
E’
quindi la NATO, su istigazione del Pentagono, a seguire una ostile politica di
assedio strategico della Russia.
Mosca
chiede agli USA, alla NATO (e quindi alla UE) assicurazioni che l’Ucraina mai
entri a far parte della NATO, che mai ospiterà basi militari offensive, ed
infine di ridiscutere gli equilibri di sicurezza europei come sanciti nel 1975
ad Helsinki. Visto quanto accaduto dopo il 1989 — la promessa disattesa che mai
i paesi dell’Est Europa sarebbero entrati nella NATO — le richieste russe sono
quanto mai legittime.
Vale
ricordare che un paese minacciato da un letale accerchiamento militare non può
stare a guardare inerme ma ha il diritto di difendersi, ove questa difesa può
anche implicare la necessità di sferrare attacchi preventivi per impedire al nemico
di attuare i suoi piani.
In un
contesto contrassegnato da psicosi collettiva da covid 19, dal rafforzamento di
dispositivi polizieschi di controllo e repressione, dalla sofferenza economica
del popolo lavoratore, da una generale avversione per l’impegno politico e
dalla scomparsa di movimenti per la pace e antimperialisti; è illusorio pensare
possa sorgere in tempi brevi un forte movimento contro la minaccia di guerra.
Cinque cose dovremmo concretamente fare come
Liberiamo l’Italia:
(1) d’ora in poi, nelle nostre discussioni
interne e nella nostra comunicazione politica, si dovrà dare la dovuta
importanza ai diversi aspetti concernenti gli affari internazionali e la
geopolitica;
(2) appunto nella prospettiva del “salto
politico”, dovremmo agire affinché il movimento contro il green pass e le
politiche liberticide adotti una posizione a difesa della pace e quindi di
contrasto ad ogni eventuale adesione italiana alla guerra contro la Russia;
(3) proporre a tutte le forze politiche,
sindacali e intellettuali disponibili, di unire le forze per costruire un nuovo
movimento in difesa della pace;
(4) promuovere, ove possibile, anche nella
forma di sit-in, azioni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, anche in
vista di vere e proprie manifestazioni di massa;
(5)
attivare i diversi contatti internazionali che abbiamo magari in vista di una
conferenza internazionale per la pace.
(Liberiamo
l’Italia).
PER LA
PACE LA SOLUZIONE C’È
di
Liberiamo l’Italia.
Ogni
nazione ha il dovere di rispettare l’indipendenza altrui, ma possiede anche il
diritto di proteggersi dall’eventuale minaccia di accerchiamento da parte di
potenze apertamente ostili.
Ha
ragione la Russia a sentirsi minacciata dalla NATO?
La
risposta è sì.
Venendo
meno alla solenne promessa fatta da Bush a Gorbaciov nel 1991 che la NATO si
sarebbe fermata sul fiume Elba, gli Stati Uniti (col pieno appoggio dell’Unione
europea), calpestando gli Accordi di Helsinki del 1975, hanno invece
incorporato nella NATO: prima la Germania Est; poi Polonia, Cechia, Ungheria
(1999); quindi Slovenia, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Lituania, Lettonia,
Estonia (2004); infine Croazia (2009) e Montenegro (2017). Nel mezzo di questo
sfrontata politica imperialistica la sanguinosa aggressione alla Jugoslavia
(1999).
Questo
micidiale allargamento della NATO non si spiega se non allo scopo di circondare
la Russia.
Come
se non bastasse NATO e Unione Europea vogliono stravincere assimilando Georgia,
Moldavia e Ucraina.
Chiunque,
al posto del popolo russo, riterrebbe una minaccia esiziale l’avanzata ai
propri confini della più potente alleanza militare del mondo. Chiunque al posto
del popolo russo definirebbe questo accerchiamento come aggressione, poiché
aggressione non è solo un attacco militare proditorio e violento, ma pure una
condotta fatta di gesti ostili progressivi. La condotta di USA-NATO-UE si spiega
soltanto a patto di ammettere che rafforzano i loro dispositivi offensivi
perché si preparano a colonizzare la Russia e se necessario ad attaccarla al
momento opportuno.
L’élite
russa aveva sperato che una volta restaurato il capitalismo globalista si
sarebbe finalmente avuta la pace con l’Occidente, si era insomma illusa che
Stati Uniti e Unione Europea avrebbero accolto la Russia come alleata e
rispettato il suo rango mondiale.
La
Russia putiniana — lasciatasi alle spalle le umiliazioni del periodo
eltisiniano e gli inganni da parte dell’Occidente — ha deciso di tracciare una
linea rossa invalicabile fatta di due punti:
(1)- Ucraina, Moldavia e Georgia non debbono
entrare nella NATO e restare stati neutrali e
(2-)
visto che gli equilibri che furono sanciti con gli Accordi di Helsinki del 1975
sono stati stracciati, va sottoscritto un nuovo accordo complessivo per assicurare
pace e sicurezza durature in Europa.
Chiunque
voglia davvero la pace deve convenire che queste due richieste della Russia
sono ragionevoli e legittime.
Avendo
a cuore gli interessi del nostro Paese Liberiamo l’Italia respinge nuove sanzioni
anti-russe e chiede l’abrogazione di quelle già esistenti; respinge ogni
ulteriore allargamento della NATO e agisce per stabilire accordi di
cooperazione e fratellanza con la Russia; chiede lo scioglimento della NATO in
quanto è il principale ostacolo per relazioni pacifiche e amichevoli con la
nazione e il popolo di Russia così come con altri popoli ribelli; in quanto è
un pericolo per il futuro dell’Italia e dell’Europa.
Non ci
facciamo illusioni sul governo Draghi (di provata fede atlantista ed europeista-globalista
agli ordini della “Cricca di Davos” di Klaus Schwab).
Come
Liberiamo l’Italia rivolgiamo un appello a tutte le opposizioni patriottiche e
democratiche a costruire una mobilitazione per impedire al governo di sostenere
le provocazioni del Pentagono e dei comandi NATO.
Direzione
nazionale di Liberiamo l’Italia.
21
febbraio 2022: (liberiamolitalia.org).
GIANLUIGI
PARAGONE L’ATLANTISTA
di
Sandokan.
Che
Gianluigi Paragone fosse un atlantista globalista ero venuto a saperlo proprio da SOLLEVAZIONE,
per la precisione leggendo un articolo di Moreno Pasquinelli.
Nell’articolo
si riportava questa affermazione di Paragone medesimo:
«Certi
scenari geopolitici implicano fondamentali chiari e netti. Le mie posizioni
sono assolutamente filoamericane.
La
Russia è un pezzo della cultura europea e non ho paura ad ammetterlo e ad
apprezzarlo. Alcune sfaccettature culturali russe, come la letteratura, sono
chiaramente più affini a noi italiani di un Kerouac.
Però
va riconosciuto che gli Stati Uniti d’America, a prescindere dall’orientamento
politico del governo di turno abbiano sempre riconosciuto un ruolo, talvolta
centrale, all’Italia e alla sua cultura.
Non sono mai stato particolarmente affascinato
dalle sfide cinesi piuttosto che russe. Sono interlocutori importanti però il
posizionamento deve esser chiaro. Insomma, un filo-atlantismo globalista chiaro per rivendicare la centralità
dell’Italia nel Mediterraneo, mettendola nel solco di una tradizione che è
sempre stata riconosciuta strategicamente dagli USA. Mentre la Cina, ad
esempio, vorrebbe utilizzare l’Italia e lo farebbe con un atteggiamento di non
reciprocità, gli USA hanno sempre capito e apprezzato il ruolo del Bel Paese,
senza metterle il guinzaglio».
Mi colpì
soprattutto questo concetto: “gli USA hanno sempre capito e apprezzato il ruolo del Bel
Paese, senza metterle il guinzaglio”.
Un’affermazione
strabiliante!
Solo
un cretino può infatti sostenere che gli USA non hanno mai messo il guinzaglio
all’Italia. Ma siccome Paragone non sembra, almeno fino a prova contraria, un
cretino, come spiegare questa cazzata?
Evidentemente
per partito preso, per adesione ideologica globalista a ciò che gli USA
rappresentano.
Qui
non si tratta di avere un debole per questo o quel paese — che so, uno può
amare il Brasile col suo carnevale, mentre un altro il Tibet con la sua
spiritualità buddista. Qui si tratta di sostegno politico alla principale
superpotenza imperialista del pianeta, ad un Paese che dallo sterminio dei
nativi ad oggi esercita la sua supremazia a forza di guerre d’aggressione
contro ogni popolo ribelle e nazione ostile.
Chi ha
sperato che Paragone si sarebbe ricreduto (come ha fatto ad esempio davanti
all’Operazione Covid: inizialmente non aveva capito un fico secco), che avrebbe
corretto il suo indecente atlantismo, è rimasto deluso.
Mentre
ai confini dell’Ucraina si rischia una guerra devastante, anzitutto a causa della
protervia con cui USA e NATO vogliono proseguire nella politica di
accerchiamento della Russia; mentre ci si aspetterebbe, anche dai
filo-americani, un distacco dall’oltranzismo atlantista; il “sovranista”(ma
globalsita) Paragone, imperterrito, ribadisce la sua pornografica posizione,
non solo di pregiudiziale ostilità alla Russia, di adesione servile e
fideistica all’imperialismo a stelle e strisce. E lo ribadisce malgrado sia
evidentissimo quanto dannosa sia per il nostro Paese una posizione anti-russa.
Non ci
credete? leggete questo vergognoso articolo apparso pochi giorni fa sul sito IL
PARAGONE.IT: «Il piano segreto di Mosca per invadere l’Ucraina”. Biden svela le
interazioni di Putin»
Un
articolo che sembra ricopiato da Repubblica, peggio! da un dispaccio del
Pentagono. Un articolo che farà piacere ad un altro atlantista globalista di
nome Draghi che “per caso” è stato fatto diventare Presidente del Consiglio.
La
morale della favola la capisce anche un bambino: non si può essere allo stesso
tempo sovranisti e atlantisti globalisti. Un sovranismo-atlantista globalista non
è solo un paradosso logico, è un assurdo politico. Per dirla tutta, un
atlantista globalista che si spaccia per sovranista vi sta sicuramente
prendendo per il culo.
RUSSIA,
NATO E GUERRA LIMINALE
di
O.G.
Avevo
scritto un mese fa, quando si attendeva solo il colpo di fuoco iniziale , che
non vi sarebbe stato alcun conflitto su modello tradizionale per l’Ucraina o in
Ucraina. Tentavo di spiegare le grandi mobilitazioni militari a cui la
Federazione russa aveva dato avvio da un lato nella logica tattica del nuovo
patriottismo identitario russo, interno, Wagneriano, dall’altro in quella della
Guerra Liminale, su cui mi ero anche successivamente soffermato parlando del
più grande stratega della storia russa, il nazionalista Svechin . Tentavo di
rilevare la quintessenza geo-politicistica, non militarista, della pratica
russa di guerra liminale.
Lucio
Caracciolo,
un esperto analista geopolitico sempre sul pezzo, descrive così in “Libero”
15.02.2021 la “Guerra Liminale” russa (“Putin non attaccherà perché ha già
vinto”):
“La
guerra la stanno già facendo i russi con altri mezzi, a cominciare dal cyber,
dalla propaganda, dalla disinformazione. Insomma, vediamo già uno scontro in
atto che non ha più molto a che vedere con le guerre che abbiamo conosciuto nel
‘900…
Io non
credo che Putin abbia molto interesse alle classificazioni politologiche dei
regimi. Ha interessi a che i regimi che gli stanno intorno siano se non amici o
alleati quanto meno non siano nemici. Oggi l’Ucraina non può più essere, come è
stata a lungo, nella sfera di influenza russa, ma i russi pensano che possa non
entrare in quella Usa. Dopo di che, tra 20 anni se ne riparla”.
Queste
importanti precisazioni di Caracciolo meritano di essere commentate. Va però
sempre presupposto, nel lettore, un organo di comprensione geopolitica
assolutamente non economicistico, ma al limite storicistico.
L’economicismo globalista , marchio di
fabbrica dell’UE coloniale e post-storica, è stato definitivamente cancellato
dalla storia contemporanea con la vittoria del nazionalismo identitario pashtun
(estate 2021) contro il globalismo imperialistico occidentale.
Vittoria a lungo negata anche da un grande
analista italiano di statura mondiale come Dario Fabbri, ma ogni giorno in
verità sempre più chiara ed evidente. Non si può negare l’innegabile.
Continuare perciò a voler interpretare la storia contemporanea con il metodo
economicistico globalista o
astrattamente politologico significa voler rimanere nello spirito del ‘900,
quando di contro il nuovo secolo è in marcia.
Identitarismo
russo e globalismo.
In
base alla visione della Russia nazionale identitaria, il nemico strategico è il
globalismo.
Chi
volesse aver più chiara la questione dovrebbe rileggersi con attenzione i
grandi discorsi fatti da Putin a Davos e Valdai nel 2021.
Gli
analisti occidentali hanno frettolosamente definito “nazional-conservatrice” la
visione esposta da Putin in quei consessi. In realtà il “nazional-conservatorismo”
è una categoria politologica ma, come precisa Caracciolo, in ambito di guerra
liminale – da Limen, Soglia, Ingresso non da Limes, Confine – non hanno eccessiva importanza i
concetti economici, politologici, istituzionali, storiologici, non hanno più
importanza destra sinistra o centro, democrazia o autoritarismo, bensì ciò che
effettivamente conta è individuare dove realmente passa la linea del fronte e
concretizzare poi il proprio decisivo e essenziale Interesse Identitario.
Solo chi non conosce l’intima psicologia
russa, il sentimento collettivo antropologico, può pensare che i russi in
profondità non amino gli Ucraini come parte originaria e primordalistica di se
stessi. “Noi,
Ucraini, Bielorussi siamo lo stesso Popolo e la stessa Nazione e un giorno ci
riunificheremo” ha detto Putin pochi giorni fa.
L’infinito torrente di sangue che investì il
limes ucraino negli anni ’30 dello scorso secolo ancora non è stato del tutto
purificato. Mosca non ha fretta, può attendere il ritorno della sua stessa
nazione nei propri estesi confini dei propri più cari fratelli.
Pensare che Mosca veda il nemico strategico a
Kiev significherebbe offendere la dirigenza militare e politica russa.
La linea del fronte non passa certo per Kiev
né passa per il limes ucraino. Ne mai vi passerà.
MI6
assieme ad attivisti “ecumenici” e uniatisti, storicamente vicini
all’imperialismo cattolico e al nazionalismo polacco, hanno avuto buon gioco in
questi anni recenti a fomentare uno pseudo-identitarismo posticcio separatista
banderita che non hanno di certo creato loro, che vive ancora nelle corde
inconsce di chi sogna una “Grande Ucraina” indipendentista, ma le recenti
manifestazioni di patrioti ucraini di protesta “nazionale” di fronte alle
ambasciate di Gran Bretagna e Stati Uniti debbono far pensare che l’aria stia
cambiando.
Il
dato statistico che ci dice che il 67% di Ucraini non vorrebbe assolutamente il
conflitto con Mosca qualcosa ci dice.
Dopo
Kabul 2021 chi ha più il coraggio di fidarsi realmente di britannici ed
americani?
E chi mai può veramente pensare che i patrioti
russi agiscano per combattere con Kiev?
Il nemico
strategico dell’identitarismo russo è sempre Londra Globalistica o al limite il
tradizionale imperialismo cattolico-gesuita russo-fobico. Le mobilitazioni militari russe,
come tentavo di spiegare un mese fa, rappresentavano per Mosca soprattutto un fatto
di Sicurezza Nazionale e di tensione psicologica interna. Nessuna invasività
anti-ucraina.
Identitarismo
russo e la Germania amica.
E’
significativo che Vladimir Putin, che ha di fatto umiliato in questa sessione
geo-politicistica ucraina Biden e Macron e i Britannici tutti, abbia
volontariamente lasciato le luci del palcoscenico all’amico tedesco Scholz. Quest’ultimo ha del resto
dichiarato:
“L’espansione
a est della NATO non vi sarà finché noi, io e il Presidente Putin, saremo in
carica. Non è questo un problema che incontreremo mentre saremo in carica”.
L’unico
screzio con l’omologo tedesco si è avuto quando Putin ha ricordato che l’UE globalista
(soggetta agli ordini di Klaus Schwab) spesso parla di pace ma è poi
guerrafondaia come i Britannici, ricordando i grandi crimini compiuti a fianco
della NATO a danno di un popolo cristiano-ortodosso come quello serbo, crimini
che in Kosovo non accennano peraltro a desistere. Anche in questo caso, ciò che
andrebbe colto è il significato geopolitico. Mosca ha di fatto spaccato il
fronte della NATO, la Germania ha mostrato di essere se non più vicina a Putin
comunque geopoliticamente ben equidistante tra atlantismo globalista e Mosca
identitaria.
Equidistanza
che per Berlino significa preferire il “nemico vicino” a quello lontano.
Questo, oltre la propaganda dei vari fronti, è il segnale più significativo in
atto. L’identitarismo nazionale e culturale dei vari fronti geopolitici, da
quello russo all’afghano, dal vietnamita all’indiano, dall’iraniano all’ungherese,
dal giapponese al brasiliano, farà il suo ingresso anche all’interno
dell’Unione Europea, contrapponendosi anche qui all’Anglo globalismo ormai in
ritirata irreversibile ed anche ad ogni nuova eventuale forma di Globalismo che
potrebbe questa volta arrivare dall’Estremo Oriente rosso, con la possibile
benedizione del Vaticano universalistico, di fazioni dell’élite finanziaria e
militare occidentale e di Davos di Klaus Schwab.
La
partita tra Identitari e Globalisti sarà lunga e secolare, è appena iniziata.
Che si chiamino ora Narendra Modi, Putin, Raisi, Bolsonaro in un fronte, Great
Reset, Klaus Schwab ed anche PCC(?) dall’altro,
i protagonisti di questa lotta: ciò è per ora secondario.
Occorrerebbe
anzitutto, soprattutto comprendere dove passino le linee del fronte e come dai
fatti e con i fatti si radicalizzino e polarizzino le tensioni strategiche
dirimenti.
Tutto
sembra quindi dirci che l’entità posticcia definita Unione Europea diventerà,
se non centro strategico, comunque privilegiata faglia tettonica del conflitto
politico liminale tra identitaristi e globalisti del terzo millennio.
L’élite
tedesca ha già ben fatto capire, ben oltre lo pseudo-neutralismo, da che
parte starà. Non vuole fare la fine del fanatico e crudele globalista Trudeau(allievo di Klaus Schwab e della sua
“Quarta Rivoluzione industriale “ accettata in pieno anche dalla “UE” globalista e dall’ Italia
.Ndr.).
IL
MONDO VISTO DALLA RUSSIA di O.G. (sollevazione.it).
ALEKSANDR
SVECHIN E LA SCUOLA MILITARE RUSSA di O.G. (sollevazione.it).
“ALEKSANDR
SVECHIN” E LA SCUOLA MILITARE RUSSA di O.G.
|
“Il
grande stratega militare Alexander Svechin una volta ha scritto: “Per ciascuna guerra è necessario elaborare
una linea differente di elaborazione strategica”. Ogni guerra è un caso unico, che
richiede il superamento dello schema predefinito…Il nostro Paese ha pagato con fiumi
di sangue il non aver dato ascolto a questo professore dell’Accademia dello
Stato Maggiore”.
(Valerij Gerasimov, attuale generale
capo di stato maggiore.).
Nel
precedente articolo in cui si accennava alla Guerra Liminale non ci si poteva soffermare come dovuto sul
pensiero di Svechin. La Russia, nel ‘900, ha prodotto la più avanzata scienza
matematica, con la “Teoria del Caos”, con la “Teoria dei Sistemi Complessi” (Andrej Nikolaevic Kolmogorov,
Pavel Aleksandov e il famoso teorema KAM) e la più avanzata scienza militare.
Sul piano dell’arte militare prima con la
“guerra lampo” attuata dall’offensiva Brusilov del 1916 (Брусиловский прорыв) –
plagiata in seguito dallo Stato Maggiore nazionalsocialista tedesco – poi con
la teoria della Guerra di difesa e di resistenza nazionale di Svechin, che è antagonista alla dottrina della “guerra
lampo”, il pensiero strategico russo fa enormi passi in avanti.
Svechin
era solito definirsi un “ideologo della nazione russa”, non un burocrate. La figura storica di Svechin è una
dignitosa personificazione del fatto che la tradizione pedagogica, culturale e
morale del corpo degli ufficiali russi ha fortissime radici storiche; le forze armate russe, a differenza
della maggior parte delle forze militari delle altre potenze, sono
intrinsecamente politiche.
E’ fuori dalla portata della realtà storica la
definizione invalsa nei circoli accademici militari occidentali di Svechin come
del “Clausewitz
russo”.
Quest’ultimo influenza decisamente tuttora le narrazioni ideologiche delle
“tecnocrazie” militaristiche e militarizzate che, nelle loro forze di sicurezza
nazionale dalla Cina all’Occidente, molto debbono appunto al Clausewitz .
Svechin, nonostante le sue ricerche sulla
scuola militare prussiana e nonostante la sua biografia di Clausewitz in cui
non nasconde l’ammirazione per quest’ultimo, non è un militarista e non segue
il modello sociale e civile dell’egemonismo militaristico in ambito
politico-civile.
Nel
concetto sveciniano della guerra moderna è molto più importante il pensatore
Hans Delbruck, uomo politico nazionalista prussiano, piuttosto che il
Clausewitz. Svechin non a caso rifiuta il concetto di “guerra totale”, la sua
concezione anticipa le odierne tesi strategiche fondate sulla pratica della
“guerra liminale” o “guerra ibrida”; la “guerra senza limiti” praticata da
decenni dalle forze militari cinesi, con notevole successo almeno sino a oggi, è invece
chiaramente clausewitziana avendo reso l’economia, la tecnologia, la cultura
igienico-sanitaria un privilegiato campo di battaglia militare geopolitico e
trascendendo sistematicamente e astrattamente la fase propriamente politica.
Brevi
cenni storici e strategici della vita e del pensiero di Svechin Aleksandr Andreyevich Svechin. Nasce a Odessa
nell’anno 1878, ma il giorno di nascita è oscuro, talune fonti riportano il
giorno di nascita del 7 aprile, altre quello del 17 agosto. La sua è una
famiglia militare, il padre conclude la carriera come generale dell’esercito
imperiale russo. A 17 anni il giovane Svechin si diploma al “secondo corpo
cadetti”, a 19 anni nella I° categoria della scuola di artiglieria
Mikhailovsky. Dal 1903 inizia a far parte dello Stato Maggiore Imperiale e
pubblica regolarmente saggi su problemi strategici, con pseudonimo o più
abitualmente con le sole iniziali AS. Partecipa al conflitto russo-giapponese
del 1904- 1905. Un bollettino dell’archivista della truppa da campo riporta:
“Nella notte sul fiume Yalu nelle vicinanze di Y-chzhu e Shakhedza tra il 13 e
il 14 aprile il 22° reggimento fucilieri della Siberia orientale…perde il tenente
capo Semenov. Allo stesso tempo, il capitano Svechin, inviato sulla sponda
opposta del fiume dello stato maggiore, scoprì la presenza di un grande campo
nemico a sud di Yi-zhu”.
Nel
giugno 1907 Alexander sposa Irina Viktorovna che si situa anche lei su
posizioni di patriottismo russo molto spinto. Nel corso del primo conflitto
mondiale viene insignito dell’Arma di San Giorgio (1916) per il fatto di
“essere comandante del reggimento nominato con il grado di colonnello nella
battaglia del 17 agosto 1915, mentre ristabiliva la posizione che avevamo perso
il giorno prima…attaccò rapidamente con il suo reggimento….ribaltando il
reggimento di fanteria tedesco”. Il suo ultimo grado nell’esercito imperiale zarista è
quello di maggiore generale.
Svechin
è probabilmente
l’unico ufficiale nella storia dell’esercito monarchico russo ad essere messo
in prigione militare su ordine diretto dell’imperatore a causa di un articolo
molto critico riguardo alla strategia del monarca.
Alexander
ha un carattere particolare: pur rispettando da militare le gerarchie, non
esita a bollare come “anti-nazionale” il lassismo e la corruzione di certe
figure vicine all’imperatore Nicola II.
Rifiuta
promozioni e innalzamenti di grado, non è particolarmente sensibile alle
lusinghe, caratterizza la sua missione sia durante la monarchia che sotto come
quella di “un
piccolo soldato della Santa madre Russia”.
Con la
rivoluzione russa e la nascita del regime sovietico, Svechin seguendo le
direttive del Ministero della Guerra passa dalla parte dei bolscevichi. Questo
fatto è dovuto a due eventi politicamente molto importanti. Il primo è
rappresentato dall’indubbio carisma militare di Trockij, il quale è molto abile
e furbo nel teorizzare di fronte ai migliori ufficiali e generali patrioti o
nazionali che il nuovo stato sovietico saprà anzitutto lottare per il bene
della nazione russa, ben più che per quello dell’internazionalismo proletario
comunista . Il secondo elemento è spiegato da Pavel Miljukov, leader dei
“cadetti” – il partito democratico costituzionale – che legge l’ingresso di
militari nazionali del rango di Svechin nelle fila bolsceviche come una
vendetta storica e politica per la sconfitta politica del “nazional-patriota”
bianco Lavr G. Kornilov, ucciso a Ekaterinodar il 13 aprile 1918. Dalle fonti
emerge che Svechin era da una parte un grande sostenitore del “nazionalista”
Kornilov, durante il governo provvisorio sostiene su tutta la linea la
“ribellione di Kornilov”, e che dall’altra avrebbe deciso di passare con i
bolscevichi proprio tra la fine di marzo e aprile nell’imminenza della fine del
“sogno” korniloviano.
Da
agosto a dicembre 1918 dirige lo stato maggiore. Già nel 1919 iniziano però i
problemi dello stratega russo; in seno al partito bolscevico si fa strada la
presenza di un fronte militare patriottico anti-universalista che starebbe
conquistando dall’interno l’Armata rossa, il trockista Grigorij Jakovlevič
Sokolnikov denuncia un progetto “bonapartistico” e ultra-nazionalista che
sarebbe guidato dal generale Svechin. Tuchacevskij rincara la dose
definendo Svechin un teorico antimarxista, agente del nazional-patriottismo e
nemico della rivoluzione mondiale (voluta ora in occidente dalla “Cricca di Davos” e dal
presidente Klaus Schwab .Ndr).
Per
quanto vi possano essere esagerazioni e lotte di frazione è indubbio che
Svechin cospiri in qualche modo per portare il nazionalismo russo in posizione
di supremazia ideologica interna.
Dalla
fine del 1918 sino alla fine degli anni ’20 è docente a tempo pieno presso
l’Accademia militare dell’Armata rossa.
Il fratello di Aleksandr, frattanto, anche lui
un militare, unitosi all’esercito bianco durante la guerra civile dopo la
rivoluzione fa parte della grande “emigrazione bianca” che abbandona la Russia.
Il
concetto nazionalista e sorprendentemente attuale, moderno, di “difesa
strategica”, che negando il concetto clausewitziano di “guerra totale” supporta
la pratica della guerra liminale ai fianchi, sino all’esaurimento delle risorse
strategiche o informative dell’avversario, è destinato a non fare proseliti in
ambito bolscevico, nemmeno allorquando si impone l’egemonismo teorico del
“socialismo in un solo paese”.
Uno
degli strateghi sovietici per eccellenza è l’offensivista Tuchaveskij e il
modello strategico sovietico, anche dopo l’esecuzione del futuro maresciallo,
rimane questo stesso.
Quando nel 1930 Svechin si trova in prigione,
il futuro maresciallo Tuchaveskij lo attacca pubblicamente e rimaneggia un
significativo opuscolo che viene diffuso tra le élites militari: “Contro le teorie reazionarie sul
fronte militare. Critica delle visioni strategiche del Professor Svechin”. Il paradosso è che nel corso degli
anni Trenta, Tuchaveskij coltiva come Stalin il progetto di unità strategica
russo-tedesca che Svechin, ben più realista sul piano geopolitico, dichiara
impossibile non solo perché sa che da Bismarck al Fuhrer, il Pangermanismo vede
la Russia come l’“Africa tedesca” (la definizione è appunto del Bismarck) ma
anche perché sostiene apertamente che, come già nella prima guerra mondiale
dominò la linea nazionale su quella economicista di classe, il proletariato
europeo non si farà problemi di alcun tipo a combattere contro quello
sovietico, o viceversa, nel sacro nome della Nazione.
Svechin
contesta, come fece del resto lo stesso Trockj, l’offensiva sovietica ordinata
da Lenin, condotta, tra gli altri, dallo stesso Tukhacevskij, già nella
campagna di Polonia nel 1920.
Nel
mondo odierno, in cui le tesi di Samuel Huntington, che non vanno assolutamente confuse
con i neocons o con le folli e criminali guerre senza fine di Bush e Blair(globalisti), e quelle di Eisenstadt S.N. sulle
modernità nazionali multiple de-secolarizzate e differenziate, sono le più
significative per comprendere i nostri giorni, la figura teorica dello stratega
russo emerge come quella di un autentico luminare padre putativo.
Svechin
nel 1926, quando la memoria della guerra civile in Russia è ancora molto
fresca, arriva alle seguenti conclusioni. Anzitutto, nella premonizione
sveciniana la seconda inevitabile guerra non sarà che una continuazione della
prima e non un fatto a se stante, l’esercito nipponico sarà all’offensiva,
vengono predette con gran precisione sia Pearl Harbor sia l’uso massiccio
dell’aviazione da parte giapponese, è in atto il grande risveglio storico
dell’Oriente che caratterizzerà i futuri secoli; le opere di Svechin vengono da
allora bandite sulla stampa aperta sovietica, in quanto il comando di
intelligence dell’Armata rossa ha fondati timori che i militari in Giappone,
dove conoscono bene Svechin, potrebbero trarne utili conclusioni .
Taluni
ricercatori russi dei nostri tempi vedono una prefigurazione di Danzica ’39 in
un passo dello Svechin riguardante il confine polacco come fattore di
instabilità permanente che avrebbe portato alla guerra, ma si tratta di una
evidente forzatura. Il generale russo pensa a una guerra Occidente versus
Oriente ben al di là del marginalissimo contenzioso polacco.
Svechin contesta apertamente il pressapochismo
strategico staliniano secondo cui la guerra si combatterà in territorio
straniero, non toccherà minimamente il territorio russo grazie al sostegno
delle classi operaie dei paesi occidentali; la teoria staliniana “poco sangue
interno e guerra rapida” è sconfessata su tutta la linea da Svechin.
Quest’ultimo
prevede anzi che il nemico arriverà alle porte di Mosca – inizialmente pensa
all’imperialismo francese ma poi, già prima della presa del potere
nazionalsocialista, vira sulla marcia verso oriente del pangermanismo anche se
non scarterà mai convintamente la pista francese- e che impostare la difesa strategica su
Leningrado, proprio ciò che farà Stalin, sarebbe una follia in quanto gli
svantaggi della posizione strategica della città di Lenin sono ulteriormente
esacerbati dalla sua distanza dalle fonti di carburante, grano e materie prime;
il generale invita genialmente il potere sovietico, che per ricompensa lo
spedisce di nuovo nei Gulag nel febbraio 1931 (“Caso Primavera”) dopo il
precedente arresto del 1930, a spostare la produzione industriale negli Urali e
nelle regioni orientali più distanti dai confini occidentali.
Tutto
ciò sarà imposto dal regime stalinista a costo di un numero innumerevole di
vittime dal ’41, ben circa 15 anni dopo la prudente premonizione di Svechin.
Infine Svechin, poco prima della morte, con una veridica concezione politica
patriottica, afferma con sorprendente percezione del reale storico, rara
capacità di comprensione (e ancora una volta in sintonia con Trockj) che la Russia avrebbe trionfato in tutti
i conflitti basati sulla “resistenza nazionalista” o sulla guerra di difesa mentre sarà
sconfitta in tutte le guerre d’avanzata o proiezioni offensive.
Allo
stadio attuale, la Russia non sta facendo guerre offensive dal ’79 afghano.
Piccolo necessario excursus, la presenza dei Wagneriani russi in Siria, in
Africa, in Donbass non può essere considerata una forma di guerra offensiva o
“imperiale” in quanto i soldati russi sono stati direttamente chiamati dai
ministeri della difesa o degli interni dei paesi teatri di conflitto.
L’anti-universalismo
radicale e il non eurasianesimo del “Gruppo Wagner” emergono tra l’altro da un foglio
educativo interno trovato in Mali pochi mesi fa dalla BBC, foglio diviso in 7
punti, dove i concetti di “mito russo”, “sacrificio russo”, gloria russa”, “nazione
grande-russa”, sono costantemente, metodicamente ribaditi sopra e contro ogni
altro elemento concettuale o storico. Non vi è altro motivo di sacrificio
che il
“mito nazionale russo”, dunque, per il wagnerismo.
Tornando
a Svechin, il generale vive gli ultimi anni della sua breve ma intensa vita al
numero 34 della Sofiyskaya embankment app. 116. Gli vengono sequestrati, poco
prima dell’arresto del ’37, i 1800 voll. della biblioteca, molti dei quali
riguardanti discipline matematiche e filosofiche, altri specifici di arte
militare e strategia.
I
testi di storia del fascismo italiano presenti nella biblioteca, sottolineati,
con appunti del generale, attesterebbero per gli inquisitori staliniani
“l’ultra-nazionalismo” svecinista!
Questi
volumi non saranno peraltro mai restituiti alla famiglia. Oggi i moscoviti che
passano di fronte al n. 34 di Sofiyskaya nab. non osano immaginare che qui
visse uno dei più grandi eroi nazionali della millenaria storia russa.
Svechin è arrestato, sarà il suo ultimo arresto…!,
il 30 dicembre 1937, non si fa più alcuna illusione, è nell’elenco, n. 107, dei
139 militari del Centro di Mosca accusati di preparare una “cospirazione militare fascista e
ultra-nazionalista”.
Tutti i 139 sono soggetti a condanna categoria
1°, ovvero esecuzione rapida. L’ordine di esecuzione di Svechin, caso unico tra
i 139, è firmato direttamente da Stalin e
Molotov. Il generale Svechin è fucilato il 29 luglio 1938 nel villaggio
di Kommunarka, già poligono di tiro per le forze armate, regione di Mosca e ivi
sepolto. I giorni precedenti alla imminente fucilazione vedono un uomo
tranquillo, attivo, pronto al suo destino. Nei momenti immediatamente
precedenti alla fucilazione il generale indossa la divisa militare, si segna
sul corpo con la mano destra, al modo di Cristo, fa appena in tempo a gridare
al cielo “Viva la Russia immortale” prima che gli schizzi copiosi di sangue
ondeggianti sulla divisa e sull’erba volino infine nell’atmosfera e divengano
sul piano invisibile, ma concreto, mito russo.
La
schizofrenia del regime che uccide il generale è tale che appena un anno dopo
aver martirizzato l’ “ultra-nazionalista fascista” Svechin lo stalinismo corre ad abbracciare il
nazionalsocialismo tedesco coprendogli costantemente le spalle nella conquista
d’Europa.
Svechin,
che aveva predetto la ascesa al potere mondiale del nazionalismo orientale
giapponese, il risveglio storico di Cina, India e Persia e l’inevitabilità del
conflitto, su base nazionale non ideologica, tra Urss e Germania, non c’è ormai
più quando il Fuhrer lancia, nel giugno ’41, l’Operazione Barbarossa e il
tentativo di conquista di Mosca.
Stalin
calpestando la dottrina marxista e ogni utopismo internazionalistico ritira
fuori la lezione di Kutuzov e dell’eterna nazione russa. E’ la stessa teoria della “difesa
strategica” come assoluto nazionale, la teoria sveciniana negata dalla
strategia sovietica sino a un attimo prima ma infine imposta dai fatti.
Solzenicyn
dirà: “con
la lunga guerra di resistenza patriottica, buttammo finalmente nel fosso la
bandiera rossa. E vincemmo”. Non è stata sufficiente nemmeno questa manifestazione
storica straordinaria – “una pura esplosione di amore per la nostra patria, niente
altro che questo!” dice sempre Solzenicyn – perché stalinisti e sovietici
abbandonassero finalmente il messianismo globale ed astrattamente
universalistico. La patria russa, a parte il famoso brindisi al popolo russo, sempre in
seconda linea.
Svechin
e la Russia di oggi. Il problema identitario.
La
visione secondo cui una Russia strategicamente nazionale e difensivistica
vincerà tutti i conflitti esterni, una universalistica o imperiale li perderà
tutti, costituisce un punto strategico e tattico assolutamente attuale del
pensiero sveciniano, che sarà ripreso nel contesto odierno solo da Solzenicyn,
che si sofferma su Svechin nel ciclo “La ruota rossa”; lo scrittore di “Una
giornata di Ivan Denisovic” si è più volte richiamato al pensiero storico,
politico e militare sveciniano, la sua proposta politica nazionalista grande-russa
degli anni ’90 è certamente neo-svecinista e proprio negli anni ’90 spinge i
ricercatori di storia militare russa alla ripubblicazione integrale delle opere
del generale .
Per
quanto oggi la Russia tenti con alcune sue fazioni di integrare i concetti strategici
sveciniani all’interno della “guerra liminale” (da Limen, Soglia, non da Limes,
Confine), Svechin non gode in patria dell’importanza che meriterebbe. Se nel
sito dell’Accademia militare americana di West Point compaiono nella biblioteca
online le maggiori opere sveciniane, nelle biblioteche di molte scuole militari
russe vi è ancora spazio per le opere militari di Friedrich Engels, un
pensatore che per usare un eufemismo non aveva eccessivo amore verso il popolo
russo e ivi il nome di Svechin non compare quasi mai.
Il
presidente Putin, che ha coraggiosamente riabilitato nobili figure, ma
quantomeno assai divisive per la memoria identitaria russa, come Ivan Ilyn,
Nikolaj Berdjaev, Lev Gumilev, Aleksandr Solzenicyn, Anton Denikin e Aleksandr
Vasil’evic Kolcak, non ha invece mai parlato di Svechin, figura al massimo
grado unificatrice del patriottismo grande-russo, molto simile per taluni
specifici versi a quella eroica e straordinaria del martire nazionale russo
Pavel Florenskij. In questo senso ha sicuramente ragione Sergio Romano, se
esiste una ideologia di Putin i suoi massimi riferimenti sono effettivamente
Lev Gumilev e Dughin . Ciò non significa, naturalmente, che Vladimir Putin
prenda lezioni da Dughin o che la Russia odierna sia esclusivamente eurasiana,
ma di fatto tra una proiezione nazionale grande-russa o quella eurasiatica
Putin sembra aver concretamente privilegiato quest’ultima via. Le stesse elite
della Chiesa ortodossa russa e del patriarcato di Mosca sono strategicamente di
tendenza eurasiana, probabilmente vedono inverarsi i tempi prefigurati nel
romanzo “L’anno 4338” del principe Vladimir Odoevski, scritto nel 1835 ma che
già prevedeva i computer, i voli spaziali e i viaggi aerei, le fotocopiatrici,
la dissoluzione interna d’Europa, il primato mondiale di cinesi e russi.
Se vi
è però un elemento di estrema debolezza da non trascurare nell’odierna azione
di Stato putiniana è rappresentato dal fatto che, nonostante tutti sforzi
dell’amministrazione, non si è stati capaci di arrestare quel declino
demografico russo che ha avuto inizio dall’epoca sovietica e che non si è più
fermato. C’è chi già parla, forse estremizzando tendenze che sembrano comunque
sempre più invadenti, di un irreversibile inverno demografico russo che non
lascerebbe spazio che al peggiore pessimismo.
La
visione proposta da Vladimir Putin riguardo alla cultura nazionale del Paese
sembra molto equilibrata, differenziando correttamente un patriottismo
nazionale identitario, positivo, da un nazionalismo regressivo e contestando lo
slogan “la Russia ai russi” come pericoloso per il destino della nazione,
storicamente multietnica e multiculturale (17.02.21). Corretto e sacrosanto, ma
ancora di più degno di nota il fatto che il maggior rischio strutturale della
Russia di questi tempi è incarnato dal fatto che dopo essere riuscita nella
difficoltosa impresa di aver debilitato e demistificato il progetto globalista
a trazione anglo-americanista, la nazione si trovi privata di quel prezioso
patrimonio morale giovane e dinamico, indispensabile nella sempre più
stringente Guerra Liminale tra superpotenze.
Senza
voler riportare in auge il famoso slogan “il numero è potenza”, il potere
globale cinese e indiano qualcosa dovranno pure al fatto in questione, così
come la sorprendete resistenza iraniana al globalismo qualcosa deve pure al
fatto di essere quello persiano un popolo tra i più giovani che vi siano.
Il
risveglio identitario della nazione russa associato nell’era putiniana a quello
dei popoli eurasiatici non ha purtroppo
incentivato uno sviluppo demografico e un sano rinnovamento endogeno,
tutt’altro ed è stato per taluni versi anche alla base della pesante ritirata
da Kiev.
In
conclusione, la guerra di resistenza patriottica, la guerra sveciniana dei
tempi odierni è, in primo luogo, per ciò stesso guerra assoluta identitaria:
conflitto ibrido e liminale per la conservazione identitaria e per una nuova
affermazione e manifestazione del mito identitaristico. In tal senso va detto
chiaramente che se volessimo oggi radicalizzare la prospettiva nazionale
svecinista, una eventuale alleanza strategica tra Russia e Cina sarebbe il più
grande tradimento della grande lezione storica dello Svechin. Avrebbe lo stesso
infausto significato, mutatis mutandis, del Ribbentrop-Molotov!
La
Resistenza e la qualità della resistenza nella logica della guerra liminale
svecinista è data infatti dalla concentrazione assoluta, identitaria, della
forza morale militare. Al tempo stesso, lo stratega russo deriderebbe chi oggi
si perde in astrazioni e in fumisterie su presunte guerre spaziali, centrali e
decisive. Svechin è ancora lì a insegnare che solo il sangue e il sacrificio,
oltre alle fondamenta economiche e sociali basate sul Lavoro concreto e sulla
modernità ben impostata, portano avanti una nazione o una comunità. Disperdere
totalmente le proprie energie strategiche in presunte guerre spaziali o
macchiniche è infatti il modo migliore per dichiararsi sconfitti senza
guerreggiare. I combattenti nazionali debbono lottare e essere pronti ogni momento
alla lotta, ciò ci dice Svechin. Non avere una elite di tal tipo significa
essere i sauditi dei nostri tempi. Meglio sarebbe essere i ribelli Houthi,
allora, come i fatti storici e geopolitici ci rivelano ancora una volta.
Chi
non ha identità nazionale sparisce, sempre più è, e sempre più sarà la legge
principale della politica internazionale. Il discorso di Putin di Monaco del
2007 aprì una nuova epoca storica e pose le basi della fine del Globalismo
anglosassone. Il discorso del presidente russo del 2021 a Valdai, quattordici
anni dopo Monaco, discorso storico al pari di quest’ultimo, pone le basi del
nuovo ordine politico internazionale, tutto fondato sulla missione degli
spiriti nazionali e sulla incipiente neo-nazionalizzazione identitarista. Tale
orientamento dovrebbe al riguardo essere indicativo di una nuova strategia
russa, fortemente identitaristica appunto, dopo la definitiva morte del
globalismo anglosassone e occidentale decretata proprio dal discorso
“nazionale” putiniano a Valdai, appena pochi mesi fa. Un identitarismo russo
che potrebbe da ora in poi basarsi su una pedagogia di massa assolutamente e
organicamente nazionale-patriottica e non messianica, superando qualsivoglia
tentazione storica o storiografica di eccessiva positività attribuita alle
precedenti esperienze universalistiche (zarismo, comunismo), continuando perciò
sentimentalmente a descrivere dostoevskianamente i russi come coloro i quali si
sarebbero sacrificati per il mondo, per poi ritrovarsi però sempre a terra
impietosamente sconfitti nei momenti decisivi, 17’ o 89’ che sia.
E’
tempo di Rinascita della Grande Russia, come dicono i volontari nazionali
wagneriani presenti nei vari continenti nel nome della patria amata.
Gli
europei non vogliono i russi, i cinesi in fondo disprezzano i russi, gli
anglosassoni vedono nella Russia odierna un nemico strategico? Non è forse un
meraviglioso punto di forza, nella logica matematica dell’effetto farfalla,
cosa c’è da recriminare? Non significa forse questo che la Russia è all’avanguardia
oggi, timidamente seguita solo da India e Iran? La Russia è più avanti di tutte
le altre nazioni nell’esperienza storica, tragica e ammonitrice, di tale
evidenza del fallimento inevitabile di ogni forma di universalismo, ha detto
proprio Putin a Valdai rivolgendosi ai signori di Davos e del Pentagono.
Aleksandr Svechin, il nome del Mito russo grande come quello di Kutuzov, rimane
il capitale più prezioso in tale direzione. E’ perciò ancora tra noi. Sette
vite per Aleksandr Svechin, mille anni per la Grande Russia.
NOTE
IL
MONDO VISTO DALLA RUSSIA di O.G. (sollevazione.it)
Anche
Lenin stratega fu, a differenza di Svechin, decisamente seguace del Clausewitz.
V. Sorine, nella “Pravda” n. 1 del 1923, scrisse nell’articolo “Marxismo,
Tattica, Lenin” che il leader bolscevico sosteneva il principio che “la tattica
politica e la tattica militare sono due campi quasi identici….perciò i
militanti del Partito studieranno non senza frutto le opere di Clausewitz”.
Radek,
Portrety i pamflety, Ritratti ed opuscoli, Mosca 1927, p. 33.
Svechin,
Postizhenie voennogo iskusstva, Comprensione dell’arte militare, Accademia
Militare Mosca 1999, pp. 303 e sgg.
Sappiamo
che il concetto politico di “nazionalismo” nella Russia dei nostri giorni può
essere problematico e potrebbe ideologicamente rimandare alla nota marcia del 4
novembre in cui a fianco dei “neo-zaristi” marciano anche i suprematisti
etnici, pericolosi politicamente e ben distanti dal concetto di coscienza
nazionale russa. Il concetto di “patriottismo”, per altri versi certamente più
corretto, non è però di per sé indicativo di quell’Unione grande-russa sempre
più storicamente necessaria per impedire la catastrofe demografica e la
possibile estinzione culturale russa.
A.
Svechin, Op. Cit., p. 690.
Romano,
Putin e la ricostruzione della Grande Russia, Milano 2016, pp. 81-86.
Россия
заглянула в демографическую пропасть: Население сократилось рекордно за 15 лет
| 28.01.21 | finanz.ru
LA
QUARTA TEORIA POLITICA di O.G.
|
Riceviamo
e volentieri pubblichiamo
Alexander
Dughin è un capitale ideale molto prezioso di cui oggi dispone la Russia. La
sua vita stessa può essere paragonata sul piano ideologico e storico odierno a
quella dell’indiano Subrahmanyam Jaishankar, min. degli esteri di Delhi machiavelliano
e ideologo della Nuova India, a quella del massimo teorico dell’egemonia
neo-marxista globale, l’hegeliano Wang Huning, o seppur in parte a quella del
nazionalista nipponico Mishima, la cui eccezionale ed epica vicenda
esistenziale è stata alla base della rinascita identitaria giapponese dalla
fine degli anni ’70 con l’egemonia della revisionistica “Nippon Kaiji” che ha
de-americanizzato sempre di più il Sol Levante e riabilitato i “kamikaze”.
Dughin
fu infatti negli anni ’90 uno dei più convinti e determinati oppositori del
percorso di occidentalizzazione della Russia; la sua posizione al riguardo è
stata ed è chiara. Dughin è spesso accostato a Putin, lo stesso diplomatico
Sergio Romano lo considera il Lev Gumilev dei nostri giorni, l’ideologo russo è
molto rispettato generalmente anche da quelle correnti “nazionalistiche” che
non condividono affatto la sua linea eurasiana.
La
quarta teoria politica è un saggio del Dughin tradotto nelle principali lingue
internazionali, dal portoghese all’inglese, dal persiano al serbo, che vorrebbe
dare un nuovo indirizzo antagonista all’egemonia liberal occidentale. E’ una
quarta teoria politica superamento definitivo delle tre grandi narrazioni
ideologiche che hanno contraddistinto il Sec. Ventesimo. Dughin considera
sostanzialmente morte queste dottrine. Il liberalismo prima teoria politica è
identificato con l’utilitarismo privatistico, il comunismo seconda teoria
politica con il mito globale della classe, il fascismo terza teoria politica
con il mito della nazione e dello stato etico, ma è inserito nella terza teoria
lo stesso nazionalsocialismo con il mito della razza.
Dughin
legge le odierne tensioni sociali conflittuali come conseguenze dell’egemonia
economicistica “neo-liberale” fondata sulla logica del mercato globale e dei
Big Tech. Da prima teoria politica il neo-liberalismo diviene unica pratica
politica consentita. Al posto di strateghi politici abbiamo al comando manager
e tecnici che dovrebbero ottimizzare la razionalizzazione sociale e la
digitalizzazione algoritmica del politicamente corretto globalista. Il
capovolgimento e la trans-valutazione relativistica di tutti i valori operati
dal neo-liberalismo occidentale conduce, per il filosofo russo, alla nascita di
una nuova pseudo-religione artificiale basata su un ecumenismo sfrenato e su un
concetto astratto di tolleranza. Tale impostazione generalistica di politically
correct corrisponde in verità più alla hegeliana, sanguinaria furia del
dileguare che alla bontà sentimentale umanitaristica. Il globalismo cancella il
Dasein di Heidegger e la soggettività trascendentale di Husserl, plasmando il
post-mondo e la post-storia composta da simulacri e strutture virtuali
collettivistiche: gli sviluppi nel progetto del genoma umano, le clonazioni,
gli esperimenti con i robot e le nuove generazioni di cyborg ci porteranno,
secondo il filosofo russo, all’avvento della postumanità. E’ il post-modernismo
ultra-nichilistico, è la mezzanotte dell’Essere nella sua fase più acutamente
tenebrosa.
Qui
Dughin introduce concetti, rielaborandoli però in profondità, appartenenti al
pensiero filosofico di Martin Heidegger e a quello tradizionalistico di Julius
Evola, da quest’ultimo espressi in particolare in un saggio pubblicato nel
1961: “Cavalcare la Tigre”, con sottotitolo “Orientamenti esistenziali per una
epoca della dissoluzione”. Il linguaggio sostanzialistico e non nominalistico
usato da Dughin pertiene a una certa temperie dell’esistenzialismo tedesco, non
ultimo Max Scheler, ma emerge in modo netto il debito verso la rivoluzione
conservatrice di Evola e Heidegger: questi due pensatori osano individuare
proprio nel nichilismo il loro precipuo campo d’azione, non ponendosi in una
logica di stagnazione oppositiva o di semplice antagonismo al nulla dei valori
capovolti.
Benvenuto
sarebbe dunque il nichilismo più virulento e dissolvitore per l’autentico uomo
della Tradizione sacrale, egli non teme la sfida esistenziale desiderandola
anzi ardentemente. Il filosofo russo teorizza, in modo genialmente suggestivo,
una sorta di nuovo esistenzialismo sacrale sulle macerie dell’attuale vuoto
nulla, sull’attuale deserto scavato dalla Scienza e dalla Tecnica. L’Occidente
è il focus privilegiato di Dughin, che provocatoriamente dice di voler leggere
Evola e Heidegger da Sinistra, non da destra, probabilmente riferendosi anche
ai misteri tantrici della via della mano sinistra che sarebbero in grado di
trasformare in farmaco il veleno nichilista. Focus privilegiato dughiniano è
perciò l’uomo occidentale poiché essendo
piombato nell’abisso potrebbe essere il primo a risalire. L’uomo differenziato
evoliano, che cavalcando la tigre si immerge nel caòs del post-modernismo senza
esserne dilaniato, il selbst del Dasein di Martin Heidegger, divengono il
Soggetto Radicale di Dughin, colui che incarna la dimensione originaria
dell’Eroico sacrale nell’abisso dei giorni più oscuri e infami della storia
d’Occidente. Il Logos originario ellenico, l’intelletto solitario del genio
occidentale affonda nella dimensione spettrale e tecno-specialistica così ben
simboleggiata dalla estrema algidità faustiana delle metropoli americane o
della valle del silicio. La “Resurrezione dell’Intelletto” dal suo stato di
morte da qui ripartirà, probabilmente.
Tale
strategia “occidentale” della quarta teoria non è stata ben compresa dagli
studiosi della filosofia dughiniana. L’eurasianesimo dughiniano contrappone,
sul piano della politica internazionale, il multiporalismo differenzialistico,
del quale la quarta teoria politica dovrebbe appunto la filosofia di supporto
sul piano della visione del mondo, e il “personalismo comunitario assoluto” al
globalismo e alla polverizzazione sub-nucleare individualistica. Ciò è vero. Ma
nella sua essenza la filosofia pratica e morale del Soggetto Radicale è tipica
di un’ “atmosfera ideale” iper-futuristica e ultra-modernistica, che può
esclusivamente valere per taluni ambienti estremo-occidentali o giapponesi.
L’Intelletto Occidentale del Soggetto radicale è il centro sperimentale
dughiniano nel contesto della più avanzata rivoluzione tecnologica; essendo
ormai isolato è definito dal filosofo “l’Intelletto per la morte” che può però
Risorgere. L’Intelletto per la morte può accettare il verdetto nella decisiva
“guerra angelica” tra forze della luce spirituale e tenebre, ma poco di più. Il
volontarismo idealistico della tradizione politica machiavelliana italiana non
sembra appartenere al Dughin. E’ ora però necessario individuare tre punti
molto critici della quarta teoria politica.
L’Occidente
ha vinto la guerra fredda?
Dughin
dà per fatto assodato che Reagan e la Thatcher abbiano trionfato nella guerra
fredda. Fa propria così la retorica occidentalistica. Da questa errata
interpretazione della Storia, tipicamente economicistica e eurocentrista,
derivano successivi errori nella sua analisi. Il reaganismo o il thatcherismo
son stati di per sé insignificanti nella storia del Novecento; in quel contesto
storico, per fermare la nuova ascesa al potere globale del nazionalismo
nipponico, furono necessari agli Usa e alla Gran Bretagna i “pre-trumpiani”
accordi del Plaza (1985) e l’integrazione della Cina Marxista di Deng nella
catena del valore globale. La parola d’ordine dell’originario Globalismo
angloamericano fu non a caso: “Japan Bashing!” (Distruggere il Giappone!).
Anche grazie al sabotaggio mirato degli occidentali e degli europei contro la
nuova ascesa nipponica, il Partito Comunista Cinese di fatto iniziava ad
accendere il motore della globalizzazione. Il Giappone, considerato morto dagli
Stati Uniti, risorgeva di nuovo dalle macerie degli anni ’90. Identificare
dunque la globalizzazione con l’americanismo è antistorico e tipico della
propaganda occidentale. Al tempo stesso, durante il processo di
globalizzazione, l’Islam tornò al centro. La globlizzazione è stata un processo di ampia de-occidentalizzazione
dell’universo mondo. Il globalismo anglo-americano fu un tentativo politico e
militare dell’Occidente estremo di cavalcare la globalizzazione asiatica e in
parte islamica. Tentativo che oggi possiamo dire fallito e sconfitto
soprattutto grazie alla rinascita del “nazionalismo” della Russia ed alla sua
Guerra Liminale. Vi sarà ora il rischio che ci troveremo ad affrontare il
globalismo del Partito Comunista Cinese? Assai probabile, ma non è tema di
questo articolo.
Il
neo-liberalismo è egemone? La quarta teoria considera egemone il
neo-liberalismo. Non sarebbero dovuti però servire Covid 19 e stati di
emergenza neo-schmittiani, altroché liberalisti o liberisti, per vedere
legittimata l’antica profezia del populista russo Herzen secondo cui
l’Occidente intero sarebbe divenuto una sorta di Grande Cina semi-coloniale. Il
liberalismo occidentale è defunto nel 1914: se oggi vivesse Benedetto Croce, il
più grande filosofo liberale del sec. ventesimo, sarebbe di certo alla
opposizione sia verso il globalismo sia verso queste tecnocrazie occidentali di
esportazione cinese. Appartiene forse ai “Liberali” il potere decisionistico in
Occidente? Non si direbbe proprio. La situazione in sostanza è sempre quella
dei “Comandanti” civili-militari di Bob Woodward. Apparati federali, Pentagono, Cia, MI6,
agenzie di intelligence hanno il potere di veto sulla strategia, divulgando la
narrazione pseudo-liberalistica, il “Complottismo” sull’11/9, sugli Ufo e sui
Big Tech al comando. E’ più facile che determinate strategie sociali
occidentali siano il frutto di guerra tra bande di vari rami spionistici
interni piuttosto che tra bande finanziarie. Il controllo sociale oggettivo e
il sistema della sorveglianza sono di pertinenza militare, solo formalmente dei
Gafam. La stessa monarchia britannica è da decenni subalterna a tali agenzie di
intelligence. Se in Occidente comandasse Big Tech o Big Pharma, come molti
pensano, vi sarebbe già da anni un blocco strategico globalista tecnocratico
tra Cina e Stati Uniti in funzione anti-Russia; se comandasse la Casa Bianca o
il potere politico avremmo invece un asse tra Occidente e Russia in funzione
anticinese e anti-orientalistica (1). Non abbiamo né l’uno né l’altro. Gli
apparati federali e di sicurezza coltivano viceversa il progetto assolutista
unipolare solo accarezzato, ma sfuggito di mano, in questi ultimi decenni. La
frazione globalista e utopica di Davos, a favore del blocco tecnocratico con la
Cina Comunista, è presa in considerazione solo dentro le antistoriche e
neo-kantiane cancelliere europee o nei circuiti “Complottisti”; lo stesso Biden
è un nemico esplicito del globalismo di Davos e si è rifiutato di incontrare
Schwab. Riguardo al sistema sociale e politico occidentale, ben più che
Liberale o Liberista, sarebbe il caso di definirlo una misteriosa Cina in
fieri. Herzen centrò il punto.
Comunismo
e fascismo sono veramente stati sconfitti? La quarta teoria politica considera
fuori dalla storia sia il comunismo sia il fascismo. Ammesso ciò sia vero,
meriterebbe di essere discusso. In Cina, Nepal, Corea del Nord, Vietnam, Cuba,
Laos, Transinistria abbiamo al potere da decenni partiti politici
esplicitamente marxisti. In India, Giappone, Taiwan, nonostante le furiose
proteste delle ambasciate americane, i governanti egemoni non hanno fatto né
faranno nulla per nascondere il loro rapporto carnale identitario e anche
ideologico-spirituale con il fascismo storico. Pejman Abdolmohammadi, il più
grande studioso della dottrina politica iraniana dei nostri giorni, non esita a
definire “fascismo iraniano” il nazionalismo egemone tra le cerchie militari
persiane e lo stesso baathismo siriano di Assad se non è propriamente fascista
non ha fatto nulla per nascondere in tutti questi anni recenti una esplicita
affinità ideale con taluni elementi fascisti, dal corporativismo al
terzaforzismo. Sono stati citate nazioni quasi tutti più importanti e decisive
di quelle europee nell’economia geopolitica e geo-militare globale, gravitanti
verso comunismo e fascismo. Questa noncuranza, assai economicistica, pare un
forte limite della quarta teoria dughiniana.
NOTE
1) Non
si sarà scordato che la Hillary Clinton, considerata a Mosca un falco
antirusso, fu tra il 2008- 2009 la maggiore interprete della linea filorussa e
anti-orientalistica della politica statunitense. Dopo la esplicita liason con
il min. degli esteri Lavrov della primavera 2009, partirono mezzo stampa
attacchi furiosi contro la Clinton, che si iniziò guarda caso a posizionare
stabilmente alla guida del fronte interno antirusso e fu assai moderata e
benevola verso il Socialismo pechinese. Stessa involuzione del Clinton
presidenziale, che fu costretto a diventare “amico dei terroristi jihadisti” e
impietoso bombardatore della “Serbia cristiana e patriottica”. Medesimo è il
copione che abbiamo in questi giorni contro Biden, stupidamente ridicolizzato
per le sue gaffes, e verso Kamala
Harris, colpevole di essere per i canali mondiali di “Informazione” obbedienti
a fazioni di MI6 e del Pentagono addirittura una “nazionalista dura e pura”
come Donald Trump e di non dare garanzie nella logica mondiale di assedio
frontale contro Putin e contro la Russia. Il Pentagono e la sicurezza
Britannica avevano molto puntato sulla Russofobia di Kamala, ma quest’ultima
non ci sta a passare dalla loro parte. MI6 ha fatto in questi mesi il vuoto
attorno a Kamala portando alle dimissioni uno dopo l’altro i suoi più validi
consiglieri e denigrandola mezzo stampa come “drogata”, a causa di un ridicolo,
presunto precedente di cannabis.
IL
MONDO VISTO DALLA RUSSIA di O.G.
|
Riceviamo
e volentieri pubblichiamo.
Che
significano le mobilitazioni russe?
Macron
contro la NATO
Il
Presidente della Repubblica Federale Tedesca Frank-Walter Steinmeier dice in
relazione ai fatti ucraini che il concetto storico e politico di Occidente è
morto. Sappiamo come dietro a questa dichiarazione vi possa anche stare la
privilegiata declinazione verso Oriente (Cina, Giappone, India) della grande
industria tedesca. Il Presidente francese Macron dice addirittura che la NATO
non ha più motivo di esistere, che l’Ue vuole la stanza privilegiata con la
Russia e che gli europei devono costruire “un nuovo ordine di sicurezza” senza
la NATO. Gli inglesi, i cui più importanti quotidiani ormai dichiarano
pubblicamente che Biden sarebbe “demente”, Harris “una favolosa incompetente”,
Obama una “disgrazia mondiale”, sono rientrati nella fase di “potenza globale”
e provocano Putin sperando di poterlo trascinare in un conflitto caldo.
Isolazionismo
e elite “nazionale”
La
Russia ha reagito alle provocazioni anglosassoni in Ucraina con un notevole
dispiegamento di forze militari, segnalato oltre ogni ragionevole criterio di
buon senso dalla stampa anglosassone, di seguito da quella americana ed
europea. Le fazioni del Pentagono e della Cia più vicine a Londra segnalano da
settimane questa possibile invasione di Putin in Ucraina, in realtà stanno giocando
una guerra psicologica sperando che i russi cadano nel tranello. Le
implicazioni geopolitiche di un simile azzardo russo per Londra e per il
Pentagono dovrebbero essere l’isolamento assoluto del Cremlino e una politica
mirata e globale di sanzioni che riporterebbe la Russia alla fame degli anni
’90 o peggio a quella della guerra civile. Il grande obiettivo strategico di
Londra e dei Rothschild rimane – come abbiamo sempre tentato di specificare in
passato – la nuova Yalta tra Usa e Cina con la conseguente spartizione del
grande continente russo e dunque dell’intera Europa. Ora, però, stupisce che gli strateghi
anglosassoni non abbiano chiaro un elemento fondamentale: Putin, in concerto
con lui l’elite “nazionale” russa, ha impostato da almeno sette anni una
strategia “isolazionistica” sia sul piano militare sia su quello economico. La
Russia è dunque pronta sia psicologicamente sia militarmente ad affrontare le
prove con cui i militari britannici e il Pentagono, almeno nelle fazioni che
rispondono ai Rothschild, la vorrebbero definitivamente umiliare ed affossare.
Da anni l’elite nazionale- i cosiddetti “guardiani della Grande Russia”- ha via
via esteso il proprio potere interno emarginando sempre di più i lobbisti
economicisti e gli ex comunisti eurasiani che vorrebbero un blocco militare con
Pechino. Per lo più militari o vicini all’Intelligenza offensiva militare, i
“nazionalisti” sono però i più lontani da facili e improvvisate opzioni
militariste. Rappresentano la fazione più Identitaria e nazionale grande-russa
ma anche la più politica. Di qui l’intesa privilegiata con il Presidente russo.
Possibilmente vorrebbero una Russia attivamente e storicamente collaborativa
con l’Europa, ma non con l’Ue globalista, tecnocratica e gender, al limite con
un’Europa gollista; vogliono soprattutto una relazione forte con il grande
nazionalismo indiano dell’Hindutva, storicamente vicino a Mosca in funzione
anti-britannica. Nel settembre 2021, ad esempio, lo Stato Maggiore russo ha
rifiutato la partnership strategica proposta dalla forza omologa del Partito
Comunista Cinese e ha di contro approfondito la relazione con l’India di
Narendra Modi. “L’isolazionismo nazionale” russo rimanda chiaramente alla
visione sociale e politica di Alexander Solzenicyn, che bocciò sia la
esperienza storica zarista sia quella bolscevica in quanto basate sulla visione
imperiale universalistica a danno della “gloria” nazionale patriottica e a
danno del “mito russo”. Il messianismo basato sul sogno della “Terza Roma” era
infatti per lo scrittore di “Una giornata di Ivan Denisovic” utopico e quanto
di più distante vi fosse dall’idea nazionale russa. La salvezza russa sarebbe
venuta invece, contro ogni impossibile utopismo universalistico, dalla
riscoperta nazionale identitaria forte, incardinata sul discorso del Nord-Est
interno. Guarda caso quanto sta facendo da due anni il min. della Difesa
Shoigu.
Guerra
liminale e Wagnerismo
Tale
elite nazionale russa, rielaborando – come spiegò anni fa il gen.Valery
Gerasimov – i presupposti strategici di Alexander Svechin brutalmente ucciso
nel 1938 dagli sgherri stalinisti, stratega sconosciuto in Occidente, ha
concepito come adatto a questo odierno contesto di civiltà il concetto di
“Guerra Liminale”. Gli analisti occidentali errano a definire questa opzione
russa “guerra ibrida”. Il concetto di “Guerra Liminale” ha il fulcro della
propria strategia proprio nella tattica della “fase di transizione” la quale è
per l’avversario la preparazione all’azione ma per i Russi costituisce invece
il principio decisionistico liminale, che è molto più importante dello stesso
inizio del conflitto e della stessa azione conflittuale che potrebbe, come si
suol dire, dare fuoco alle polveri. Se dunque sia il concetto strategico cinese
di “guerra senza limiti” sia quello occidentale di “guerra ibrida” tradiscono
una impostazione militaristica
“bonapartistica” di fondo, il presupposto dell’elite “nazionale” di
Mosca è assolutamente antitetico, è politico più che militarista. Vittoria e
sconfitta sono perciò nel campo della politica, l’elemento politico è decisivo
ben più di quello militare. La Russia è consapevole di essere su questo piano
di pensiero strategico molto avanti sia rispetto alla Cina sia rispetto
all’Occidente, per quanto sia economicamente più indietro. La cultura
materialistica del benessere, la ossessione del Welfare, la logica utopica dei
diritti assolutistici individuali sopra la Nazione (quest’ultimo almeno il caso
di Ue e Occidente), finiscono per emarginare l’essenza identitaria, il più
grande capitale dello spirito nazionale. E’ difficile, se non impossibile,
continuare a fare guerre se già dopo i primi morti le società civili interne si
ribellano e rivogliono i propri soldati a casa. Le guerre tramite droni e
intelligenze artificiali, tramite laser e missili ipersonici sono sì importanti
ma hanno un valore limitato se al primo posto non vi sarà, come sempre è stato,
il “sacrificio nazionale” dei singoli individui e reparti. La straordinaria ed
epica vittoria del Nazionalismo afghano Pashtun sul globalismo imperialista
statunitense e anglosassone ha confermato la visione dello Stato Maggiore di
Mosca su tutta la linea. La Cina, per ora, ha trasceso questo ostacolo decisivo
vincendo una battaglia economica e sociale dopo l’altra, ma i russi sono
convinti che prima o poi anche i cinesi dovranno lasciare il sangue dei propri
giovani nelle trincee. Allora in quel momento si vedrà se Pechino, con il suo
tessuto comunitario, potrà esser la prima potenza mondiale, dato che per ora lo
è ma solo in potenza.
Queste
mobilitazioni militari russe di cui si parla sono dunque fondamentali in
particolare per la psicologia nazionale interna; è del tutto secondario per
Putin e per l’elite “nazionale” se ciò significherà conflitto militare o meno.
La Russia non cadrà nel tranello ma è comunque pronta a qualsiasi opzione. Si
consideri infatti che su questo piano, la motivazione di settori molto ampi di
giovani russi è di gran lunga superiore e ben più “idealistica” a quella dei
loro coetanei cinesi e americani. Lo dimostra la fortuna “sociale” che stanno
ottenendo da un lato i volontari della Wagner, dall’altro gli hacker
patriottici che si distinguono, secondo la solita retorica del Cremlino, in
“azioni di difesa nazionale”. Ciò denota la evidente presenza di una Intelligenza
politica, più che militarista, capace di affermare l’identitarismo nazionale e
l’interesse patriottico sopra a tutto il resto. Pochi giorni dopo le sanzioni
dell’Ue, un documentario serbo ha rivelato al pubblico la storia del “Gruppo
Wagner” di cui tanto si parla. Questo Gruppo sarebbe nato nella Repubblica
serba bosniaca anni fa come “Corpo slavo nazionalista” o “Corpo di difesa
slavo” per gli uomini politici di Banja Luka minacciati di morte e talvolta
colpiti dal terrorismo jihadista e dall’ultranazionalismo croato, vi erano con
serbi e russi anche europei di altre nazionalità (greci, italiani, spagnoli).
Con la Siria (2013) e con il Donbass (2014) sarebbe arrivata la
specializzazione wagneriana sul piano della “Guerra Liminale”. Veri o meno che siano questi elementi di
storiografia interna di un battaglione militare, Wagner rimarrebbe un nome
simbolico fine a se stesso e inconsistente se non vi fosse alla base un’azione
politica concreta il cui fine è avere punti di pressione nelle opportune sedi
diplomatiche, dalla politica energetica allo stato d’emergenza internazionale e
geopolitico. La “Crisi liminale”, di conseguenza, è il territorio privilegiato
per la politica nazionale e antiglobalista del Cremlino. Anche perché finisce
per mettere gradualmente fuori gioco le “democrazie oligarchiche” occidentali
più ostili a Mosca, che non riescono a comprendere la strategia dell’elite
nazionale russa e perdono sempre più terreno sul piano della politica
internazionale.
HEGEL
A PECHINO di O.G.
La
lotta mondiale per le Identità Nazionali.
Abbiamo
scritto che nella Guerra Liminale Globale che vede contrapposte le Potenze
sovrane, ossia la Cina ormai egemone, poi i declinanti Stati Uniti e infine la
Russia come terzo incomodo, se lo spirito imperiale e tecnocratico
americanistico rimane caratterizzato dal messianismo isterico
giudaico-cristianista – sia nella versione “sovranista” e populista che in
quella altrettanto “sovranista” e pseudo-elitista bidenita – la santa Russia è
già, e sempre più sarà, Wagneriana più che putinista (sollevazione.it/2021/12/il-putinismo-e-lo-spirito-nazionale-russo-di-o-g.html).
Ma
cosa è oggi la Cina? Gli analisti occidentali, che non hanno ancora compreso
che il Conflitto mondiale novecentesco fu tra Oriente e Occidente ( Tsushima
1905- Hiroshima Nagasaki 1945) e non fu perciò una “guerra civile europea”, potrebbero non ben comprendere
cosa oggi voglia incarnare o stia incarnando lo spirito nazionale han .
Dunque
classificare oggi la Cina come turbocapitalista o neo-marxista, come fanno i
nostri analisti che osservano lo spazio mondo con un eurocentrismo
ottocentesco, potrebbe essere fuorviante.
Cosa è
oggi l’Anima Cinese?
Le
Anime Nazionali, già contemplate dalla metafisica dei padri della Chiesa,
furono filosoficamente giustificate da Hegel, che rappresentò il Machiavelli
come il più grande genio politico della storia moderna. L’Anima Nazionale non è statica ma
un divenire, è perciò uno sforzo come tendere perenne della volontà spirituale
e dell’autocoscienza comunitaria verso il regno dell’Assoluto. L’Egemonia Cinese, dopo decenni di
nichilismo americanista, sta riportando al centro gli spiriti nazionali. Cosa è
dunque la Cina?
Perché
la Cina è neohegeliana.
Il più
grande ideologo dello Xiismo e del nuovo Nazionalismo han, Wang Huning, ha non
a caso recuperato esplicitamente la filosofia politica di Hegel per legittimare
il disegno mondiale di Pechino.
Gli Stati Uniti avrebbero esportato la loro
globalizzazione all’insegna della negatività nichilista corrosiva e
disgregatrice in quanto l’americanismo materialistico costituisce di per sé una
negazione violenta e furiosa dello Spirito Assoluto.
Già
nel 1991, poco dopo il crollo del Comunismo sovietico, Wang Hunin previde il
declino dell’Occidente, il crollo americano e la mondializzazione dello spirito
asiatico cinese quale nuovo Spirito del Tempo (America aganist America).
Oggi,
partorito dagli eventi il tempo dell’Egemonia che l’élite nazionalista
denghista stava con così solerte saggezza preparando dalla fine degli Anni ’70
dello scorso secolo, vediamo l’élite han dividersi, in una guerra silenziosa di
fazione dai non certi esiti, sulla missione della Cina:
lo
stratega Qiao Liang, portavoce della fazione confuciana più tradizionalista e
militarista, sostiene esplicitamente che la nuova Cina non ha la forza e la
capacità di proiezione mondiale per rappresentare lo Spirito Assoluto e punta
così a blindare un futuro mondo multipolare con Russia e Stati Uniti in una
possibile nuova Yalta a 3, l’ideologo Wang Hunin invece – capo della
Commissione della Civilizzazione spirituale e influentissimo membro del
ristretto club dei 7 della Commissione permanente – teorizza un modernismo confuciano han
ispirato al motivo hegeliano dell’unità organica e dell’Assoluto universale nel
quale dileguano le antinomie multi-polariste, incontrando paradossalmente il
totale consenso della benestante borghesia cinese e della burocrazia mandarina
più che quello dell’élite militare.
A differenza degli Stati Uniti, dove il potere
decisionista di ultima istanza rimanda al Pentagono e alla vera e propria casta
militare a cui debbono rispondere anche Big Pharma e Big Tech, la saggezza
millenaria cinese rimette hegelianamente il potere alla casta di funzionari
politici, che traducono in atto le massime dei Saggi come Wang Hunin.
Lo
Xiismo è così il mandatario dello Stato Etico universale hegeliano, moderna
cinghia di trasmissione della Tradizione spirituale han. Se in Europa proprio lo spirito
borghese, dopo i furori giacobini e risorgimentali, ha finito per contrastare
ogni soluzione decisionista, machiavelliana o nazionalistica puntando tutto
sulla democrazia rappresentativa e oligarchica, se negli Usa la borghesia ha
finito sempre nei momenti topici per rimettersi alla volontà del Pentagono
purché il business non si fermasse, vediamo in Cina avanzare un fenomeno
sociologicamente opposto, come in parte già si vide e forse tuttora si può
vedere nella storia del Giappone contemporaneo.
La borghesia confuciana in perenne ascesa
diviene la spada più affilata e più avanguardistica del nazionalismo Xiista che
rappresenterebbe l’avanzamento cosmico dello Spirito del Tempo.
La delegittimazione individualistica e
atomistica della logica borghese del Credito Sociale diviene di fatto l’attacco
al patto sacro nazionale tra Confucio e il moderno spirito assoluto che già
Deng identificò come il nuovo Risorgimento di Pechino, che si sarebbe definitivamente
concluso solo con il rientro a casa della ribelle Taiwan.
Perché
la Cina ha vinto .
Lo
Stato Etico della Città Proibita – che non va confuso con quello del neo-idealismo o
del neo-machiavellismo che tentò di attuare il regime fascista italiano o con
lo “Stato di polizia” prussiano (Polizeistaat) figliastro del von Ranke – è ciò che i deboli e incerti “statisti” europeisti
stanno tentando di riportare in auge in questa fase emergenziale e
post-democratica nella quale ci troviamo.
La Cina ha dunque di fatto già vinto, sul
piano della idea politica: non solo perché l’Occidente e l’Europa partono con
più di quarant’anni di ritardo rispetto alle Quattro Modernizzazioni
etico-hegeliane di Deng (1978), ma perché la crisi da COVID 19 ha finito per
rivelare che i sistemi politici e sociali occidentali – a differenza di quello
Xiiista – facevano di fatto acqua da tutte le parti. Non vivevamo dunque nel “migliore dei
mondi possibili” come si amava propagandare.
Infine se l’Unione Europa vorrebbe oggi
imitare le disposizioni sociali cinesi, in quanto più efficienti e produttive,
lo fa con scarsa saggezza. I burocrati europei non hanno infatti capito che la Cina
è sostanzialmente una Idea, solo
formalmente una tecnocrazia.
La filosofia politica hegeliana viene di fatto piegata
a una Idea di Egemonia su base nazionale e sociale han, ma ciò che mette in
moto più di un miliardo di cinesi è comunque una Idea e una volontà di Spirito
Assoluto.
Quanto
di più distante vi possa essere dal nichilismo pratico e dalla furia del
dileguare dei sovvertitori burocrati di Bruxelles, che gioiscono nel disgregare
e non nel costruire ed edificare.
La
Cina ha vinto sull’Occidente intero: prende se ne prende consapevolezza totale,
meglio sarà. In Vaticano e in Israele ne sono certi. Con l’Islam arriverà
volentieri a patti, senza eccessivi problemi.
Il Partito Cinese, nell’intero Occidente –
compresi gli Stati Uniti – è molto forte, più forte di quanto si pensi. Le uniche barriere che si pongono di
fronte allo Stato etico hegeliano di Pechino sono rappresentate dagli spiriti
nazionali russo (Wagneriano) e indiano (Hindutva), che sembrano per ora gelosi
esclusivamente della propria sovranità e della propria logica neutralistica.
Il grande successo cinese e il grande fallimento europeistico mostrano infine che proprio in tempo
di tecnocrazia naturalistica la conoscenza filosofica politica e la cura del
pensare sono indispensabili per superare determinate prove: con il “politicamente corretto” si va
verso l’abisso.
IL
PUTINISMO E LO SPIRITO NAZIONALE RUSSO di O.G.
La
Russia di Vladimir Putin non ha una propria identità nazionale?
L’ultimo
numero di Limes, “Rivista italiana di geopolitica”, “CCCP: un passato che non
passa”, afferma che non solo vi sarebbe una continuità diretta tra zarismo,
Stalin e Putin ma addirittura che i russi non vedrebbero l’ora di ritornare a
un regime simile a quello marxista e internazionalista sovietico.
In realtà Zjuganov, il comunista internazionalista
filocinese, ha avuto nelle recente elezioni un significativo incremento ma la
Duma è rimasta saldamente nelle mani dei “nazionalisti” putiniani.
Gli analisti e gli autori del presente saggio
affrontano la storia sovietica senza nemmeno citare “Le fonti e lo spirito del comunismo
russo” di Berdjaev, un capolavoro teorico che in poche decine di pagine è
capace di delineare l’essenza del marxismo-leninismo applicato al progetto
sovietico.
Gli
autori non citano nemmeno Ivan Ilyn e le motivazioni profonde, religiose, del
suo antimarxismo radicale e della sua aperta apologia di regimi quali quello
fascista, nazionalsocialista, franchista.
Sarebbe
stato però necessario in quanto Vladimir Putin ha costantemente interpretato “gli spiriti della rivoluzione russa”
con la
medesima visione di Berdjaev da una lato, di Ilyn dall’altro.
In sostanza per Putin e per i verticalisti del
potere l’Urss ha fallito laddove fallì prima ancora lo zarismo. Non fu in grado
di salvaguardare e modernizzare l’eterna identità nazionale grande-russa. Dire perciò oggi che il passato
sovietico non passa significa condannare storicamente il Putinismo e darlo già
come sconfitto nell’odierna guerra di civiltà.
Vladimir
Putin, per gli analisti di “Limes”, ha dunque fallito laddove fallirono Nicola
II e i burocrati sovietici: proprio sulla questione dell’ Identità Nazionale
grande-russa.
La
Resistenza nazionale russa come fattore imprevisto.
Limes
pochi mesi fa, in corrispondenza con i marginali moti navalnyani di scuola
britannica e atlantica – che guarda caso incontrarono consensi e tra le
sinistre radicali interne neo-sovietiche e tra alcune fazioni delle destre
estreme filoucraine e filoazoviane -, dava come assai probabile il crollo del
Putinismo e della Russia, che sarebbe stata inghiottita e spartita
dall’Imperialismo Cinese a Est, da quello Atlantico a Ovest (CFR Limes 6/2021).
Il limite delle analisi che si susseguono
sulle riviste specializzate da mesi sulla Russia pare sempre il medesimo: se
correttamente l’identità nazionale americana viene letta alla luce dello sforzo
militaristico-tecnocratico che ne ha caratterizzato l’ascesa con il suo
universalizzatore balzo di coscienza, se correttamente la Cina di Xi Jinping è
caratterizzata per il suo nuovo impeto di nazionalismo Han panasiatico e
neo-confuciano il cui motivo principale è riportare la Grande Cina millenaria
al centro, si sbaglia di grosso qualora si applicano allo spirito nazionale
russo questi medesimi punti di osservazione.
Ai giornalisti che un giorno, alla fine degli
Anni ’90, gli chiesero come la Russia si sarebbe potuta salvare dalla
catastrofe incombente, Solzenicyn rispose pacatamente: “La madre di Dio non si è dimenticata
della nostra Russia”.
Per
tentare di interpretare la nuova identità della Russia, nella guerra liminale
tra le tre potenze sovrane (Cina, Usa, Russia), è quindi necessario non
trascurare quell’elemento immateriale e misterioso che gli stessi Berdjaev e Ilyn posero al centro dell’Apocalisse che
ebbe inizio nel ’17 e che si sarebbe ampliata negli anni successivi.
Oggi la Resistenza nazionale russa di fronte
ai due Imperialismi (Est e Ovest), e a
differenza dei due Imperialismi, gode sicuramente di questo capitale storico
immateriale e adamantino. Tale Resistenza ha rappresentato non a caso il fattore
imprevisto della storia contemporanea, mandando in frantumi il disegno
globalista di Davos ( quindi della cricca di Davos con a capo il presidente Klaus Schwab -Ndr) e delle tecnocrazie orientali e
occidentali.
Solzenicyn
aveva ragione!
Bolscevichi
o Wagneriani?
Gli
analisti italiani prendono assai sul serio gli ideologi della Tecnocrazia
Eurasiana, come ad esempio Sergej Karaganov, o i rampanti manager filocinesi come
Kuznecov e Voskresenskij.
In
realtà, con la nomina di Mikhail Misustin
– un tecnocrate cultore della digitalizzazione – al premierato e con la
partnership economica e finanziaria tra Mosca e Pechino sempre più radicata, vi
sarebbero validi e seri motivi per interpretare gli ultimissimi anni del
Cremlino come
contrassegnati da una definitiva “svolta asiatica” sulla via di una tecnocrazia
simile a quella di Pechino.
Vi è
dunque, sul campo, la possibilità sperimentale, fortemente caldeggiata dai
Comunisti di Zjuganov e da altre fazioni di Sinistra radicale da un lato, dai
Tecnocrati eurasiani dall’altro, che si arrivi a una irreversibile integrazione
di civiltà tra Mosca e Pechino.
In realtà Tatjana Stanovaja, la maggiore
analista delle lotte di fazioni tra i vertici russi, in recenti articoli
pubblicati in Russia ha ben rilevato come lo spirito della “Brigata Wagneriana” si vada fortemente facendo strada
anche tra le élite russe più gelose della propria storia.
Il constante e obbligatorio conflitto con l’Occidente genderista e moralmente
perverso non deve significare – per i Wagneriani – lo scioglimento del millenario
spirito nazionale russo, della sua gloria, in una vaga e “neo-socialista” e
orwelliana civilizzazione neo-eurasiana.
Il
Wagnerismo, che possiamo considerare il guardiano dei più profondi e radicati
valori dello spirito nazionale russo, è secondo la Stanovaja la fazione più
potente e influente tra quelle presenti ai vertici; quella wagneriana non solo sarebbe la
falange più “conservatrice” e patriottica, ma anche quella che avrebbe ormai
l’ultima parola su questioni politiche e militari decisive. In un contesto di guerra globale
liminale sempre più avanzata – dal fronte caldo militare a quello batteriologico
e informatico – è facile immaginare che la “falange Wagneriana” sarà sempre
di più, ben al di là delle analisi di Limes e ben al di là dei “tecnocrati”
vicini al Cremlino, il guardiano dei destini della santa Russia.
11
SETTEMBRE 2001: LA SCONFITTA DEL PENTAGONO.
Michael
Morell, due volte capo della Cia, ha dichiarato che Osama Bin Laden ha vinto la
guerra con gli Stati Uniti d’America e il Pentagono deve correre ai ripari.
Jason Burke, il più grande ricercatore occidentale su al Qaida, ha scritto nel
The Guardian pochi giorni fa che l’Occidente ha perso e perderà tutte le sfide
strategiche con l’Islam politico in quanto l’MI6 (reputato il miglior servizio
segreto al mondo con il GRU russo e con l’ISI di Islamabad) non è in grado di
distinguere le molteplici fazioni politiche musulmane.
Dopo
venti anni, è forse un pochino più facile avere una visione chiara dei fatti
svoltisi dal 9/11. Ciò che dopo il 1945 fu il punto di forza dell’americanismo,
l’essere stato una “ideocrazia machiavelliana”
elitista e una “democrazia militarista di Dio” (non una democrazia liberale, a
differenza di quanto la retorica liberal continuava e continua a volerci far
credere)
basate perciò sull’azione politica del Pentagono, come teorizzava già nel 1943
con la solita lucidità il Burnham nel suo fondamentale saggio “The Machiavellians, Defenders of
freedom”,
è oggi diventato una debolezza strategica.
Consigliamo
di vedere attentamente questo video per comprendere come tale élite burocratico-militare, un
tempo dinamica e attiva, gravi al momento odierno come un cancro all’ultimo
stadio non solo sul popolo americano ma su tutti i popoli del mondo: (youtube.com/watch?v=G5eK4u4FUgY).
Il
Pentagono, con le sue multiformi ramificazioni, è il tanto famigerato Stato
profondo più profondo che vi sia. I vari Kissinger o Brzezinski così come i neo-con
del caso sono
gli ideologi della burocrazia militaristica, gli Zdanov dei nostri giorni, di
gran lunga meno colti e meno perspicaci di quanto lo fosse un James Burnham. Lo stesso 1984 di Orwell fu
probabilmente un plagio delle tesi di Burnham e Bruno Rizzi sul collettivismo
burocratico e sulla rivoluzione manageriale.
Non
v’è quindi bisogno di eccedere in complotti e dietrologie, gli stessi Rothschild o Soros non
sono altro che i garanti di ultima istanza del potere politico e militare del
Pentagono e delle miriadi di compagnie mercenarie private sguinzagliate dal
complesso militare in giro per le metropoli americane a fare danni.
Cacciato
Donald Trump con mezzucci e falsificazioni eclatanti da Stato fallito, ora il
Pentagono ha fatto sapere di essere già scontento di Joe Biden e di Kamala
Harris: il
“capitalismo della sorveglianza” diretto da una élite militarista, non
tecnocratica o scientifica, è quanto si vuole applicare all’intero Occidente.
Non è
Amazon e non sono i Gafa a guidare le danze, naturalmente. Sono solo i classici utili idioti che
silenziano Trump perché lo ordinano dalla Nasa, dalla CIA, dalla FBI o da
Arlington.
Chi ha del denaro di suo, di solito, non sa fare politica e non deve sforzarsi
molto nell’arte del pensiero.
L’unica
salvezza del Pentagono, e forse degli stessi USA, vi sarà probabilmente se il
famoso complesso arriverà a insediare direttamente un militare dei suoi alla Casa Bianca, spazzando via i
vari Biden, Trump, Pence o Harris.
Per il resto i dati tragici su cui riflettere sono
proprio quelli datici in questi giorni dai “veterani” Usa:
la
guerra senza fine dei Bush e dei Blair, degli Obama e dei Clinton, del
Pentagono e dei neocon ha prodotto qualcosa come centinaia di migliaia di
vittime musulmane innocenti, mutilati, sfollati, bambini orfani privati di
qualsivoglia futuro, bambini bruciati vivi con ferite permanenti irreparabili,
campi della morte e delle torture insediati in vari luoghi di Europa e Usa, ma
soprattutto, il soprattutto è naturalmente per il Pentagono e per i “veterani”,
circa 20 mila soldati occidentali – per lo più americani – uccisi spesso per
mano diretta di al Qaeda e Taliban ma in altri casi per mano di altre fazioni
islamiche, un numero imprecisato che cresce di giorno in giorno, si viaggia
sulle decine e decine di migliaia, di soldati americani che soffrono di “stress da al Qaida” o disturbo
psicologico post-traumatico.
Molti marines rientrati da Iraq e Afghanistan
abbandonano le famiglie e scelgono la vita da barbone e vagabondo sotto i
ponti, altri si suicidano, altri ancora spariscono dalla circolazione e
divengono irreperibili per i loro stessi famigliari.
Il
destino dei suoi figli, dei suoi “patrioti”, dei suoi soldati è il destino di
un Impero declinante e umiliato su tutti i fronti. La crisi d’identità della
“democrazia di Dio” e del fondamentalismo giudeo-cristiano nordamericano ha
prima prodotto l’antiglobalismo
trumpiano, ora addirittura il rifiuto dell’intera storia americana (Cancel Culture), concepita da una nutrita schiera
di giovani o professori americani come storia di esclusiva barbarie e regresso.
La
teoria del complotto mostra il fiato corto di fronte all’ascesa sul piano del
dominio globale dell’Asse Confuciano-Islamico.
Leggevamo
con difficoltà il 9/11 alla luce del radicale scontro di posizioni e fazioni
della Repubblica Islamica dell’Iran: se i riformisti filo-occidentalisti e i
“populisti” di Ahmadinejad spiegavano l’attentato alle Torri Gemelle alla luce
della teoria del complotto, la fazione rivoluzionaria dei Pasdaran che
rispondeva e risponde direttamente alla Guida Suprema rafforzò viceversa il
dialogo politico e militare con la Resistenze sunnite, afgana e irakena in
particolare, subito dopo l’invasione di civiltà del 2002. Lo stesso si potrebbe
dire dell’Hezbollah libanese.
Peraltro,
il fatto che l’esponente più rilevante dell’intelligence italiana rispondente
proprio al Pentagono, Francesco Cossiga, avesse sposato la teoria del complotto
sul 9/11 finì per suscitarci più d’un punto interrogativo in proposito.
Di
recente, Gioele Magaldi, interessante analista di sponda atlantista e
keynesiana che ha promosso l’operazione “Draghi sovranista” e antiglobalista
dal febbraio 2020, ha addirittura paragonato l’incendio di Notre-Dame (15
aprile 2019) al 9/11 di Macron. La teoria del complotto è diventata così un minestrone
dai mille sapori, di fatto inservibile e non potabile. E’ politicamente del tutto inutile
perderci ancora tempo.
Parlano
perciò i dati, le strategie di civiltà, le identità profonde e reattive che non
solo non muoiono ma avanzano più dei complotti mandati in frantumi sui campi
afgani, irakeni, siriani, yemeniti, libanesi e iraniani. I dati interessanti,
gli unici veramente tali e storicamente decisivi che si ricorderanno tra un
secolo, ricorderanno che l’Occidente ha perso la guerra di civiltà con l’Islam.
Tra un
secolo non sappiamo come e se parleranno di Coronavirus ma sicuramente sappiamo
che parleranno dell’Islam politico su cui si è schiantato il Pentagono con
tutti i suoi sogni di dominazione globale. E ora?
Le
nuove prospettive.
Come
detto, vediamo anzitutto l’avanzata strategica di un fronte Confuciano-Islamico,
ormai nuovo soggetto di civiltà e di civilizzazione.
L’Iran del Generale Hajj Qasem Soleimani e del
legislatore Sayyd E. Raisi e la Kabul di nuovo taliban dall’11 settembre 2021,
nuovi padroni delle frontiere insanguinate del Grande Medio Oriente e nuovi
arbitri degli spazi geopolitici intercontinentali in via di definizione, sono
ora disponibili alla cessione di una fondamentale fetta del potere mondiale al
mandarinato Confuciano e Nazionalista dell’Impero di Mezzo.
Vediamo
la Turchia di Recep Erdogan conquistare spazi strategici, con un equilibrismo
tattico che deve al suo grande statista.
E’ in
marcia altresì un esercito infinito e inarrestabile, un movimento perpetuo del
mondo come lo definisce Parag Khanna, in base al quale l’Europa, vittima della
bomba demografica africana e asiatica, sarà destinata a sparire come
soggetto culturale a meno che non sappia ridefinire la propria identità in
senso euro-russo. Vediamo tra l’altro a lato due significativi elementi strategici che
potrebbero entrare a breve termine in campo.
Il
primo è rappresentato dal nuovo Global Britain successivo alla Brexit. Il nuovo Nazionalismo britannico sta ormai dando segnali di chiara
autonomia strategica dagli storici alleati yankee, siano essi trumpiani o bideniti.
E’ il tentativo
storico, in atto, da parte di Londra di riprendere sulle proprie mani il
destino di un Occidente ormai allo sbando e privo di guida.
Il
secondo è rappresentato dall’ascesa silenziosa ma attivistica, come è nelle
corde di un genio di Stato come Narendra Mohdi, dell’Hindutva sul piano
dell’assalto al nuovo potere globale Confuciano-Islamico.
Mohdi,
che non è un avventuriero, che non è un sionista, ne un atlantista, ne un
liberista come i panzer d’attacco della propaganda sinistrata internazionalista
con una ottica sum-prematistico-occidentale amano ripetere, il semaforo verde
di Mosca per lanciare il possibile assalto al nemico di civiltà e riportare la
gloriosa millenaria India al centro degli spazi mondiali.
L’uomo
forte della Federazione russa, Sergej Sojgu, il massimo rappresentante politico
di quelle élite
combattentistiche wagneriane che hanno vinto in Siria, in Libia, in Sudan, in Birmania, a
Caracas e hanno riconquistato determinanti spazi vitali nell’Ucraina russofila
(unica pesante sconfitta in Mozambico dovuta agli insorti islamici), saprà di
sicuro – se necessario – coadiuvare il leader nazionalista indiano meglio di
chiunque altro.
L’eventuale
formazione di un blocco Anti-egemonico russo indiano che dall’attuale fase
tattica si concretizzi in un vero e proprio Asse Storico e Strategico dipenderà
soprattutto dalla proiezione di profondità del Nazionalismo Confuciano di
Pechino.
Ove la Cina confuciana, spinta dalla crescente
pressione sociale e demografica interna, ripeterà l’errore del Giappone
Shintoista degli Anni trenta e quaranta trasformando l’iniziale, legittimo,
ideale di armonia nazionalistica differenzialista panasiatica in Imperialismo
egemonico han – sia esso economico, politico o militare non cambia in sostanza
molto – la
fase tattica di attuale coordinamento militare tra Mosca e Dehli si consacrerà
in vero e proprio fronte politico intercontinentale.
Tesi
sul cybercapitalismo
di
Liberiamo l’Italia.
Preceduta
dalle conferenze dei Comitati Popolari Territoriali, si è svolta il 13 e 14
novembre 2021 la II. Conferenza nazionale per delegati di Liberiamo l’Italia.
Tra i documenti discussi e approvati le Tesi sul cybercapitalismo, approvate
all'unanimità.
1.)-
Con il crollo dell’Unione Sovietica l’élite americana (sia neocon che
clintoniana) scatenò un’offensiva a tutto campo per trasformare l’indiscussa
preminenza degli U.S.A. nei diversi campi — economico, finanziario, militare,
scientifico, culturale — in supremazia geopolitica assoluta. L’offensiva si risolse in un fiasco.
Invece del nuovo ordine monopolare sorse un disordinato e instabile
multilateralismo.
2.)-
La grande recessione economica che colpì l’Occidente, innescata dal disastro
finanziario americano del 2006-2008, fu un punto di svolta dalle molteplici
conseguenze. Indichiamo le principali:
(1)-
il “capitalismo
casinò” —
contraddistinto dalla centralità della finanzia predatoria: accumulazione di
denaro attraverso denaro saltando la fase della produzione di merci e di valore
— dimostrava di essere una mina vagante per il sistema capitalistico mondiale;
(2)- il modello economico neoliberista, quello che aveva consentito la
metastasi della iper-finanziarizzazione, esauriva la sua spinta propulsiva ;
(3)- la globalizzazione liberoscambista a
guida americana giungeva al capolinea sostituita da una “regionalizzazione” delle
relazioni economiche mondiali e dalla rinascita di politiche protezionistiche;
(4)- la Cina, uscita dallo sconquasso come principale motore del ciclo
economico mondiale, occupava il ruolo di nuovo alfiere della globalizzazione;
(5)- una profonda scissione maturava in
senso alle élite occidentali: la crisi di egemonia delle frazioni mondialiste alimentava
il fenomeno del populismo. Così ci spieghiamo la vittoria di Donald Trump negli
Stati Uniti, l’avanzata dirompente di nuove forze politiche “sovraniste” in
diversi paesi europei (Italia in primis), la Brexit.
3.)- Le élite mondialiste non si arresero,
prepararono una controffensiva su larga scala. Raccolti attorno al World Economic Forum e ad altri think tank, guru visionari
e falangi di intellettuali ispirarono all’élite un piano strategico di
contrattacco. Il piano prese forma:
(1)- riprendere prima possibile le postazioni
governative e istituzionali in mano agli avversari ad ai populisti;
(2)- riconquistare egemonia etico-politica
e il consenso perduti con una nuova e penetrante narrazione ideologica
ultra-progressista: l’idea di una svolta di civiltà grazie alla potenza della
scienza e della tecnica;
(3)- spingere fino alle estreme
conseguenze la radicale trasformazione sistemica interna già in atto grazie
alla “Quarta
Rivoluzione Industriale” di Klaus Schwab ed alla digitalizzazione della vita;
(4)- proporre una nuova versione
consociativa non conflittiva della globalizzazione, non più basata sulla
preminenza americana e liberata dalla metastasi della iper-finanziarizzazione;
(5)- per spianare la strada ad una simile
palingenesi, vincere le resistenze e far accettare a grandi masse il salto nel
buio della nuova civiltà tecnocratica e cibernetica, occorreva tuttavia un
evento traumatico globale, occorreva “il grande reset”.
Operazione
Covid: il banco di prova italiano.
4.)- La pandemia influenzale Sars-CoV-2 è
stata, per l’establishment mondialista occidentale, provvidenziale. Una volta spacciata come una
catastrofe epocale — “Siamo in guerra, nulla sarà come prima” —, seminati terrore e paura, la
pandemia è stata utilizzata come uno rullo compressore per spianare la strada
all’ambizioso piano strategico.
5.)- L’Operazione Covid ottiene presto un
doppio e grande successo. Negli U.S.A. l’élite neo-globalista, pur grazie ad un
blocco alquanto eterogeneo, riesce a cacciare Trump ed a riconquistare la Casa
Bianca.
In
seno all’Unione europea, addomesticati i populisti e costruita una coalizione
ancor più eterogenea, un corifeo della confraternita mondialista come Mario Draghi
diviene addirittura Presidente del consiglio.
6.)- L’Italia, da sempre anello debole
dell’Unione europea e spina nel fianco dell’élite, è stata scientemente
utilizzata dall’élite neo-globalista come banco di prova per sperimentare
l’efficacia e le criticità della grande trasformazione.
Qui ci sono stati i lockdown più duraturi e sono state
adottate durissime misure restrittive, fino all’imposizione del passaporto
sanitario (“green pass”) quindi dell’obbligo vaccinale di fatto.
Misure
estreme che non hanno avuto alcuna efficacia per fermare la pandemia ma hanno contribuito a
scatenare la più grave recessione economica programmata dalla nascita dello
Stato unitario.
In
nome del dogma liberista della distruzione “creativa” abbiamo avuto come conseguenza una
distruzione su larga scala di forze produttive, lo smantellamento di aziende e comparti
considerati “obsolescenti e non competitivi”, la scomparsa di un milione di
posti di lavoro, una gran massa di cittadini gettata sotto la soglia della
povertà, l’aumento
delle emarginazioni sociali mentre enormi ricchezze si sono accumulate in cima
alla piramide sociale dell’élite straricca.
7.)- Senza precedenti, se non quelli
inferti dal fascismo, i colpi alla già menomata democrazia parlamentare. Col pretesto di tutelare la salute
pubblica, formalizzato
lo Stato
d’emergenza,
è stato attuato un vero e proprio regime change.
Il
governo Conte prima, quello Draghi con più ferocia, hanno adottato inedite e
autoritarie misure biopolitiche: interdizione in massa delle libertà personali e
civili, cancellazione di diritti politici, criminalizzazione del dissenso,
distanziamento interpersonale e soffocamento della vita sociale, terapie
sanitarie obbligatorie.
Lo
Stato di diritto è stato sospeso per fare posto ad un peculiare Stato
d’eccezione segnato dalla esautorazione delle prerogative del Parlamento, da una verticalizzazione senza
precedenti della catena politica di comando e dalla cessione all’Unione europea di
ulteriori pezzi di sovranità nazionale (Next generation Eu, Pnrr, ecc).
Infine,
in nome della infallibilità della “scienza”, il decisore politico ha definitivamente inglobato
nella cabina di regia la casta degli “scienziati”, dei manager e dei banchieri, consolidando i tratti tecnocratici
del sistema.(Adottato da Klaus Schwab ,che ha scritto il libro “la quarta Rivoluzione
Industriale “, tutti i paesi della UE -compresa l’Italia-lo hanno fatto proprio
!ndr).
8.)- Nel nostro Paese, grazie ad una martellante
campagna di sacralizzazione della “scienza” e col pieno appoggio della comunità
medica e scientifica, più forte è stata la vaccinazione di massa con farmaci a
mRNA (proteina Spike) sfornati dai laboratori di biotecnologia e manipolazione
del Dna in mano a Big Pharma, a loro volta posseduti dai grandi colossi della
speculazione finanziaria (Black Rock, Vanguard, State Street).
9.)-
Non meno cruciali, proprio grazie alla digitalizzazione, i mutamenti indotti in
tutti i comparti del lavoro, nella scuola, nella vita di ogni giorno. Sono
state sperimentate e applicate nuove forme e modalità di lavoro, di consumo, di
vita: smart working, telelavoro, telemedicina, didattica a distanza, comandi a
controllo remoto, consegna a domicilio (delivering). Il tutto nella direzione della
cosiddetta “contactless society”.
10.)- Sulla scia di paesi quali Cina, Corea
del Sud e Israele, sono stati infine collaudati, dispositivi digitali di
sorveglianza e spionaggio di massa (contact tracing e contact tracking). Svolgendo la funzione di apripista
nell’edificazione di un sistema di segregazione sociale, il governo Draghi ha imposto la
vaccinazione di massa con l’istituzione di un passaporto sanitario e relativo
Qr-Code senza i quali non si potrà circolare, lavorare, vivere.
E’
proprio in Italia che si sono così sviluppate, contro il nascente Leviatano, le
proteste democratiche più massicce e durature. Il rischio concreto è che al
“Green Pass” vengano collegati in futuro nuovi obblighi, per poter godere delle
libertà costituzionali.
Ora il requisito per il rilascio del certificato è
l’essere vaccinato, ma in futuro potrebbe essere, ad esempio, non avere
pendenze col fisco, o debiti privati, o magari mantenere certi comportamenti
“ecologici”, non diffondere “disinformazione” ecc. Il principio da difendere,
invece, è che la Costituzione garantisce i diritti fondamentali a tutti (salvo
le eccezioni normate dal diritto penale), e non solo a chi dimostra di essere
un “buon cittadino”.
11.
Stabilito il precedente le classi dominanti difficilmente torneranno sui loro
passi. L’infrastruttura
costruita con lo Stato digitale d’eccezione potrà essere riutilizzata in ogni
momento, tanto più davanti a disordini sociali e sollevazioni popolari.
Posto
che lo “Stato minimo” di matrice liberista si è rivelato una mera illusione —
nessuna formazione sociale, tantomeno quella capitalistica globalista , può
fare a meno di uno Stato forte —, la tendenza dominante che va emergendo dalla
grande trasformazione sistemica è quella che vede la definitiva sostituzione
della forma statuale formalmente liberal-democratica con una che potremmo
definire liberal-nazi-fascista — un sistema sociale che si regge su quattro
pilastri:
(1)- neo-corporativismo mercatista (vedi il cosiddetto “stakeholder
capitalism”) sul piano dei rapporti economici;
(2)- tecnocrazia su quello
politico-istituzionale;
(3)- invasivi e sofisticati apparati
tecno-polizieschi di controllo e sorveglianza sociale;
(4)- riproposizione del tanto vituperato
(dai liberisti) Stato etico sul piano ideologico: il sovrano Draghi (assieme al teorico Klaus Schwab) torna a stabilire la nuova morale
pubblica, sanzionando quelle considerate illecite.
Cybercapitalismo.
12.)- Il “Grande reset” anticipa e spiana
la strada a questo nuovo stadio del sistema capitalistico globalista .
Si
deve parlare di passaggio da uno stadio ad un altro ove si tratti non di
mutamenti epidermici ma di avvento di un nuovo modello sociale — diversa
divisione del lavoro, diversa composizione delle classi, diversi blocchi
sociali, diversa ideologia, diversi assetti statuali, diversi equilibri
geopolitici. Quando dunque, dal conflitto in seno ai dominanti, emerge come egemone la
frazione che meglio asseconda le forze oggettive e intrinseche del mutamento.(La frazione intellettuale degli uomini di Davos che fa
capo al Klaus Schwab.Ndr ).
13.)- Il capitalismo globalista , per sua stessa natura, è
un sistema condannato a crisi economiche ricorrenti. Esso ha tuttavia mostrato una
straordinaria capacità di superare anche quelle più catastrofiche che si
rivelano dunque come fasi necessarie di ristrutturazione, rilancio e trapasso
da un assetto sistemico ad un altro.
La
tesi secondo la quale il capitalismo globalista avrebbe definitivamente cessato
di sviluppare le forze produttive, si è dimostrata, ad oggi, priva di
fondamento. Esso, proprio per superare le crisi, deve invece sviluppare le forze
produttive anche grazie alle innovazioni scientifiche e tecniche.
Abbiamo
infatti che ogni rivoluzione industriale è stata concausa di relative
trasformazioni sistemiche. La “Quarta Rivoluzione Industriale” (digitalizzazione
dispiegata, intelligenza artificiale, internet delle cose) scatena forze potenti destinate a
riplasmare in tempi brevi l’intero sistema sociale, così dice il profeta Klaus
Schwab!
Cybercapitalismo è il nome che diamo a questo nuovo
stadio evolutivo del sistema capitalistico globalista.
14.)- Questi i suoi tratti fondamentali:
(1)-
Tutte le sfere della vita sono messe a valore — il profitto, proprio grazie
alle nuove tecnologie digitali che consentono di monitorare, scandagliare e
conoscere i movimenti ed i bisogni degli umani, viene estratto anche da ogni
aspetto della loro vita;
(2)-
in forza della potenza di calcolo degli algoritmi le aziende possono compiere
un’analisi predittiva dei mercati, così da prevedere e addirittura determinare
ex ante la domanda, programmando l’offerta così da ridurre al minimo, sia lo
scarto tra input e output, sia il grado di incertezza dell’investimento — è una
forma capitalistica globalista della
tanto vituperata “pianificazione”;
(3) -con
l’automazione di ultima generazione — Robotic Process Automation, machine
learnings technologies, internet of things, algorithm engineering, high
frequency trading, ecc. — avremo due effetti principali:
la
trasformazione degli umani in “robot di carne” per cui non saranno più gli uomini ad
usare macchine intelligenti bensì queste ultime ad usare gli umani; centinaia
di milioni di posti di lavoro verranno cancellati e intere professioni
scompariranno;
(4)- prevarranno rapporti sociali di
produzione di tipo neo-feudale ove i salariati saranno come nuovi servi della gleba obbligati a fornire alle aziende
lavoro gratuito nella forma di una tangente sul proprio reddito — uberizzazione
del rapporto di lavoro,
(5)- avremo la dominanza del modello di Gig economy, basato sul lavoro a chiamata,
occasionale e temporaneo, con la fine di rapporti di lavoro stabili difesi da
garanzie contrattuali; (6) -grazie alla digitalizzazione la sfera finanziaria conserverà
nel cybercapitalismo un posto centrale, potrebbe anzi accrescerlo vista la
tendenza all’abolizione del contante, alla eliminazione del monopolio statale
dell’emissione monetaria e alla creazione di cripto valute private;
(7)-
dietro alla scorza progressista la “Quarta Rivoluzione Industriale” nasconde una vera
e propria controrivoluzione sul piano politico.
Sul solco tracciato dalle disposizioni repressive
succedute all’11 settembre e grazie all’uso massivo delle tecnologie
informatiche, saranno potenziate infrastrutture senzienti e intrusivi
dispositivi d’identificazione biometrica, per mezzo dei quali gli umani sono
spiati, monitorati in ogni loro movimento, sorvegliati.
(8)- Terrore sanitario, vaccinazione di
massa, “green pass” con Qr-code, sono mezzi propedeutici in vista di questa trasformazione(voluta
da Klaus Schwab).
9) La neo-confuciana Cina sta un passo
avanti sulla via del Leviatano e indica la via per istituire un compiuto
sistema di segregazione sociale o apartheid disciplinare.
Si
tratta del segregazionista “Sistema di Credito Sociale” per cui i cittadini sono schedati e
classificati, così che, in base al punteggio, si misura il loro tasso di obbedienza al
regime, di osservanza delle sue insindacabili prescrizioni morali.
Banali violazioni comportamentali sono
equiparate a reati così che ogni persona o gruppo sociale devianti o anomali
finiscono in una lista nera, sanzionati e puniti con la privazione di diritti
fondamentali di cittadinanza e di vita.(Così detta il Profeta Karl Schwab!
Ndr).
15.)- Tra i principali strumenti di
attuazione del Grande Reset vi sono le applicazioni dell’intelligenza
artificiale e le biotecnologie in campo neuro scientifico già disponibili e
sperimentate ed oggetto di investimenti da miliardi di euro da parte della stessa
Unione europea. (Seguace convinta delle tesi strampalate del ridicolo Karl Schwab ,che già
oggi ci portano ad una inflazione da tempo di Guerra …vera! Ndr).
Tali
applicazioni biotecnologiche sono già in grado di interferire con il
funzionamento del cervello umano alterando la coscienza il pensiero ed il
libero arbitrio. Pertanto il nostro compito dovrà essere quello di tutelare i cosiddetti
“neuro-diritti” (una particolare categoria di diritti umani attinenti alla
sfera neuro-cognitiva), stimolando e promuovendo una riflessione bioetica e bio-giuridica
in grado di produrre una legislazione capace di regolamentare le applicazioni
neuro scientifiche limitandone e vietandone l’utilizzo per scopi diversi dalle terapie
mediche.
Capitalisti
globalista di tutti i paesi unitevi!
16.)-
Si deve insistere sull’importanza che riveste il fattore ideologico per l’élite
neo-globalista occidentale — in altre parole il “soft power” di cui dispone per
contrastare i suoi avversari interni ed esterni. Molte cose sono state già dette.
Qui si deve segnalare il fondamento ontologico e filosofico che sottostà al
miscuglio di fondamentalismo progressista, feticismo tecnologico e
divinizzazione della scienza (di qui la venerazione dei suoi apostoli).
(Ma
Klaus Schwab non è uno scienziato, ma
tutti i governi dei paesi europei sono
sempre ai suoi ordini distopici !Ndr.).
17.)-
Questo fondamento riesuma e rimaneggia tre principali paradigmi:
(1)- un’idea apocalittica della storia e
del futuro —
anarchia sociale incombente, letali pandemie in successione, catastrofici
cambiamenti climatici di natura antropica;
(2)-
una concezione antropologica meccanicistica e nichilistica dell’essere umano
per cui: da una parte esso è considerato, sulla scia delle neuroscienze, una macchina biologica imperfetta
per ciò stesso manipolabile, dall’altra, sul piano morale sarebbe un essere
altrettanto difettoso, votato al male e all’autodistruzione, quindi incapace di
esercitare e buon fine il libero arbitrio;
(3)- a questi due paradigmi, fa da contraltare una visione mistica
e sacrale della natura, come cosmo dotato d’intrinseca razionalità, natura di
cui proprio l’uomo sarebbe non solo nemico ma principale minaccia.
Parliamo
di un ecologismo radicale che colpevolizzando l’uomo in realtà assolve un
sistema capitalistico globalista che ha
sempre sfruttato il pianeta, gli esseri viventi che lo abitano (compreso
l’umano) e la natura tutta.
18.)-
Senza questi tre pilastri né la fede nelle miracolose capacità della
tecno-scienza, né la promessa di una palingenesi progressista della civiltà,
avrebbero solidi punti d’appoggio.
Né si
giustificherebbero come necessari e inderogabili la radicale “transizione
ecologica”, il passaggio dalla democrazia alla tecnocrazia, l’idea della
devoluzione del comando sociale delle facoltà decisionali dall’uomo alle
macchine intelligenti.
19.)- L’ibridazione uomo-macchina,
spacciata come “potenziamento”, in verità implica il rischio di un annichilimento delle
funzioni cognitive, delle facoltà concettuali e la destrutturazione e
l’impedimento del pensiero creativo capace di operare astrazioni e distinzioni
che reggano alla prova del principio di coerenza e della produzione sociale di
senso.
In
altre parole, col “Cybercapitalismo di Klaus Schwab” il capitale sembra giunto a porre in
questione la possibilità stessa, per i soggetti dominati e anche per i suoi
stessi funzionari, di poter elaborare (al di sopra dell’enorme cappa degli
algoritmi propri dei sistemi automatici) una forma di pensiero che rispetti i
principii di ragion sufficiente, di identità e di non contraddizione.
Il
che, oltre a inenarrabili e nefaste conseguenze sul piano della comunicazione
sociale, veicola il primato globale della logica versatile, del bis-pensiero e di una miriade di nuove tendenze
psicotiche a livello sociale e culturale, le quali si ergono davanti a noi come
ostacoli effettivi alla costruzione della visione d’insieme di un nuovo
umanesimo che sappia fuoriuscire dall’orizzonte della società del capitale.
E’
imprescindibile avere consapevolezza di questi mutamenti per provare davvero a
costruirci come forza politica all’altezza dei tempi.
20.)- L’Operazione Covid è stata un’arma
micidiale per avvalorare questa narrazione ideologica di matrice trans-umanistica.
Questa
non avrebbe fatto molta strada se non fosse stata sponsorizzata e abbracciata
da una nuova potente e trasversale santa alleanza.
Il
grosso dell’intellighenzia culturale, transitata dal nichilismo postmodernista
al fondamentalismo scientista e progressista; pressoché tutta la comunità
scientifica; i vertici della Chiesa cattolica bergogliana e le sinistre
politiche che hanno spacciato le prescrizioni biopolitiche autoritarie come
misure benemerite poiché ispirate ai valori della fratellanza e della
solidarietà verso i fragili ed i deboli;
la
maggioranza delle destre politiche liberali (Dem. Usa)oramai senza principi e
da tempo diventati meri comitati d’affari della grande borghesia neo-globalista
—borghesia che è la vera spina dorsale di questa alleanza.
21.)-
Va evidenziato non di meno che questo tentativo di instaurare un regime
biopolitico totalitario può poggiare le basi anche su due fenomeni sociali
radicatisi negli ultimi decenni:
1)- da
un lato la scomparsa dei “corpi sociali intermedi”, cioè degli organismi di
aggregazione sociale e vario titolo: la società è stata atomizzata e ridotta ad
individui isolati e, come tali, facilmente dominabili;
2)- dall’altro l’assoggettamento psicologico
della popolazione a processi di medicalizzazione che hanno invaso sempre più
campi del vivere umano e che spingono le persone ad attendersi dagli apparati
sanitari, con fede cieca, la risposta ad ogni loro paura.
22.)-
Ma l’avanguardia di questa alleanza, quella che traccia la linea strategica, è
composta da una super-classe ultra ricca la cui prima linea è composta a sua
volta da coloro che amministrano le vere e proprie superpotenze della Silicon
Valley (GAFAM: Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft). La loro tremenda
forza d’urto è economico-finanziaria, politica e ideologica.
Nel
suo delirio
messianico progressista
nazi-comunista, massonico, gesuitico e delinquenziale , questa super-classe si
spinge a perorare l’idea di fabbricare, grazie a manipolazioni genetiche e
all’ibridazione uomo-macchina (cyborg), una nuova specie post-umana, una
razza di super-uomini destinati a dominare il mondo, per il resto abitato da un’immensa
maggioranza di paria.
Di qui il paradigma della Queer Theory di superare e cancellare i generi
biologico-naturali, l’apologia del gender fluid spacciato come aspirazione al
perfezionamento bio-antropologico e simbolo libertario di emancipazione e
autodeterminazione.
E’ la
vera e propria distruzione del soggetto per fare posto all’uomo come oggetto
privo d’identità, in perenne metamorfosi e geneticamente manipolabile. Il
tutto, ovviamente, smerciato come salvifica rivoluzione antropologica.
23.)-
C’è un altro aspetto ideologico da tenere in considerazione.
Non
parliamo a caso di élite neo-globalista.
Questa
considera davvero gli stati nazionali come anticaglie da smantellare (da rimpiazzare con governi
periferici trasformati in prefetture), e immagina un mondo in kantiana pace
perpetua diretto da un governo mondiale tecnocratico cosmopolitico, nel quale la nuova razza di super-capitalisti globali, siano essi americani o russi,
europei o asiatici, coabitino in armonia grazie al vincolo di solidarietà che
viene dall’appartenenza al medesimo comitato d’affari, proprio come accade nei consigli di
amministrazione delle grandi corporation transnazionali.
In
questo contesto ci spieghiamo la comparsa negli Stati Uniti d’America del
movimento ideologico della cosiddetta “cancel culture”,e “ideologia gender “ ultime e
fondamentaliste propaggine del “pensiero globalista politicamente corretto”.
Questo movimento, che apparentemente si
manifesta come sintomo di una freudiana pulsione di morte cresciuto nelle
viscere degli Stati Uniti e dei paesi anglosassoni, è in realtà funzionale ai
desiderata della super-classe:
che si
getti pure, assieme all’acqua sporca del colonialismo, del razzismo e
dell’americanismo, anche il bambino delle tradizioni più nobili e delle
conquiste rivoluzionarie della civiltà occidentale, visto che quelle tradizioni
e quelle conquiste sono ostacoli al catartico salto di civiltà.
24.)-
Nascosta dietro alla maschera di un umanitarismo filantropico avanza infine
l’esaltazione dei flussi migratori, che l’élite neo-globalista considera
indispensabili per realizzare la società melting pot.
Buffa
idea questa dell’élite, si auspica avvenga in basso ciò che immagina debba
accadere in alto. I fatti indicano che andrà diversamente: lo smembramento dei popoli storici e
il dissolvimento degli stati nazione sono sostituiti da reti etnico-claniche
condannate dilaniarsi a vicenda nella lotta per sopravvivere.
25.)- Potrà realizzarsi questa rivoluzione
controrivoluzionaria? No se le attuali resistenze cresceranno e si allargheranno,
se le forze del rifiuto sapranno unirsi in un grande fronte democratico
strappando ai nuovi dominanti l’egemonia che essi hanno consolidato grazie al
“Grande reset”.
Se
matureranno politicamente opponendo una diversa visione del mondo e dell’uomo.
Nel nostro Paese, proprio grazie alle sue radici storiche, spirituali e
culturali, questa diversa visione si va facendo strada come “nuovo umanesimo” bergogliano.
Si tratta di una idea che va però sviluppata
politicamente, affinché non sia un’hegeliana “pappa del cuore” ed esca dal
guscio poetico e utopistico.
26.)- Di sicuro il disegno dell’élite
neo-globalista incontra potenti resistenze esterne. E’ da escludere infatti che la classe
dominante cinese — ispirata all’organicismo autoritario neo-confuciano e
animata dall’irriducibile nazionalismo suprematista han —, possa accettare di essere inglobata
come socio di minoranza nel mondo nuovo immaginato dalla borghesia
neo-globalista occidentale.
La classe dominante cinese sembra infatti decisa a
contrastare i GAFAM cinesi, i colossi privati dell’informatica Baidu, Alibaba e
Tencent (BAT) a cui va aggiunto Huawei, che da tempo ha superato la stessa
Apple.
Come i
concorrenti della Silicon Valley questi giganti, per vocazione e interessi,
brigano infatti per un governo mondiale tecnocratico cosmopolitico.
Tra i
fattori di resistenza esterna al piano dell’élite neo-globalista il principale
è rappresentato dai popoli oppressi del terzo e quarto mondo condannati a
subire miseria e sfruttamento perpetui e che, per ciò stesso, sono i naturali
alleati delle forze oppositive occidentali. Ma fattori di resistenza, posta la
posizione ambigua e oscillante dell’India, sono sia la civiltà russa che quella
islamica.
27.)-
Queste resistenze esterne al piano strategico dell’élite neo-globalista
agevolano quelle interne all’Occidente e in particolare quelle che stanno
crescendo nel nostro Paese.
Sarebbe
un grave errore, tuttavia, scambiare questa convergenza tattica per consonanza
strategica.
Lo
scontro tra grandi potenze geopolitiche è anche conflitto tra civiltà.
Noi
scongiuriamo questo conflitto, auspichiamo anzi il dialogo, e se non vogliamo
essere pedine di altrui potenze, né finire per essere arruolati in guerre per
qualche Re di Prussia, abbiamo bisogno, non solo di uno Stato nazionale sovrano e
forte, abbiamo necessità di essere il lievito di una grande “riforma morale e
intellettuale” della civiltà a cui apparteniamo, rivitalizzando le sue radici
democratiche e rivoluzionarie, proponendo un’idea di progresso opposta a quelle
delle classi e delle potenze dominanti, un progresso come emancipazione dalle
condizioni di antica abiezione sociale e di futuristica perversione macchinina.
L’Unione europea.
28.)-
Se negli U.S.A. le resistenze alla grande trasformazione sono forti e
molteplici, l’Unione europea è il secondo luogo dove si decide se essa sarà coronata
da successo.
E’ in
Unione europea che col pretesto della pandemia è stato portato l’attacco più profondo
alla democrazia, che sono state sperimentate le misure biopolitiche più
radicali.
E’ in
Unione europea che l’eurocrazia, col motivo della “transizione ecologica”, sostiene
politiche strategiche di ristrutturazione per accelerare l’avvento del cyber-capitalismo.
(L’Europa vuole applicare quanto Klaus
Schwab ha indicato loro per realizzare la “Quarta Rivoluzione Industriale” .L’
Italia è già rovinata economicamente da
quanto è stata obbligata a fare dall’UE tramite il “matto” Schwab. L’unica
soluzione possibile è mettere lo Schwab in condizioni di non poter più nuocere
all’ Italia. Ndr).
E’ in Unione europea che il processo di smantellamento
degli stati nazionali e di sradicamento delle identità storiche è più avanzato.
E’ l’Unione europea il posto dove l’élite neo-globalista sta testando l’ambizioso progetto di un nuovo ordine mondiale con a capo un governo di tecnocrati e
senza essere stati votati da nessun
Parlamento, come è stato fatto con l’attuale
Presidente del Consiglio italiano.
29.)- Effettivamente l’élite eurocratica
esce più forte dalla crisi pandemica.
Superata
la crisi dell’euro e dei debiti sovrani, lasciatasi alle spalle la Brexit,
fermata l’avanzata dei populismi e dei sovranismi, essa è ora più salda al
comando ed è stata capace di lanciarsi in un ambizioso piano strategico (Next Generation Eu e Recovery Plan) che punta appunto a fare dell’Unione la punta di diamante di
una nuova globalizzazione. In preda al delirio di onnipotenza, l’élite eurocratica si spinge
addirittura ad immaginare di costituire un esercito europeo per dare corpo,
assieme a quello americano in crisi, al nuovo poliziotto mondiale telecomandato
“dal pazzoide Klaus Schwab”.
30.)-
Per riuscire in questa impresa epocale si deve passare da una litigiosa confederazione ad un vero e proprio euro-stato federale
con un forte potere centrale tecnocratico, governi nazionali trasformati in
agenzie d’intermediazione e stati nazionali diventati province imperiali vassalle.
31.)- Un passaggio che si presenta tuttavia
complicato, irto di ostacoli, di difficile se non impossibile realizzazione,
ciò che offrirà alle forze oppositive la possibilità di sabotarlo e
interromperlo.
RESETTIAMO
IL RESET –
CAPITOLO
PRIMO: IL
MACRO RESET.
Lafusione.it-Paolo
Ospici -redazione Fusione- ( 1-12-2021)- ci dice :
Un
fantasma si aggira per l’Europa (e non solo), quel fantasma è “the Great Reset” di Klaus
Schwab e Thierry Malleret.
Mentre
del primo sapevo già fin troppo, del
secondo non avevo mai sentito parlare ma grazie alla pagina 5 apprendo che è un
tizio che vive a Chamonix con la moglie (sic!), con la faccia da ex
sessantottino pentito e che ha scritto alcune cosucce non solo in materia di
economia ma anche novelle.
Vorrà
dire che lo candideremo per il Nobel, all’economia, alla letteratura o a tutt’e
due. Questo
fantasma, va detto, agita i sonni di diverse persone, sia di quelle che ne
seguono le indicazioni sia di quelle che non vogliono proprio saperne di
seguirle, e sia di quelle che credono di sapere di che si tratta pur non
avendolo letto.
Poiché ritengo che parlare per sentito dire
sia una pessima abitudine, mi sono preso la briga di leggerlo tutto, alla fin
fine sono un centinaio di pagine, prima di esprimermi su questo progetto. Tra l’altro, invito tutti, almeno
tutti quelli che hanno una buona conoscenza dell’inglese, a non accontentarsi
dei commenti, incluso il mio, andate a leggervi il testo originale con molta
attenzione e fatevi l’idea vostra.
La
lettura del testo mi porterebbe a scriverne utilizzando la tecnica del “passo a
passo” ma, per ragioni di lunghezza, procederò per punti in modo sintetico e
stringato.
Una ragione in più per andarsi a leggere
l’originale .
Già nell’introduzione i nostri ci fanno sapere che il
mondo è destinato a cambiare in modo irreversibile e poche delle attuali aziende
esistenti (companies) sopravviveranno.
Cominciamo
bene verrebbe da dire. Il problema è che il seguito è anche peggio, e gli autori ci
annunciano che nessuna catastrofe precedentemente abbattutasi sull’umanità può
minimamente paragonarsi a questa.
Né la
peste nera, né la seconda guerra mondiale, la crisi del ’29 o quello che vi
pare. Questa
le batte tutte e già qui sorgono i primi dubbi poiché non se ne capisce il
motivo visto che, lo dicono sempre loro , tutta questa catastrofe non sembra
proprio essere, almeno da un punto di vista epidemiologico.
Perché
dunque dobbiamo rassegnarci a subirla?
Ma è
ovvio, perché si tratta di un’opportunità unica e irripetibile per mettere in
piedi il grande reset che potrebbe rendere il mondo molto migliore (almeno speriamo,
forse, chissà) ; che culo che abbiamo avuto a trovarcela bella apparecchiata lì
questa splendida opportunità!
(Io
dico che Klaus Schwab e Thierry Malleret andrebbero denunciati e condannati ad
essere condannati a vivere in un
manicomio criminale : tutto perché l’Europa erudita ed aggiornata segue i loro insegnamenti come
se fossero dettati religiosi. Ndr).
Ma
abbandoniamo poscia l’introduzione e avventuriamoci alla scoperta della
splendida opportunità cominciando dal capitolo 1:
Capitolo
primo: Il Macro Reset.
Dove
si spiegano anche i presupposti della catastrofe.
1.1-
La struttura concettuale.
L’interdipendenza:
apprendiamo subito una cosa fondamentale: il mondo non è solo interconnesso, è
iperconnesso.
Insomma,
la farfalla quantistica che sbattendo le ali da qualche parte del mondo provoca
terremoti altrove.
Qualcuno
potrebbe pensare che lo sapevamo già ma tiriamo oltre. Ne consegue che anche i rischi, ed
in particolare i rischi pandemici, coinvolgono tutti e tutti gli aspetti della
vita con un gigantesco effetto domino che è destinato a sconvolgere le nostre
vite.
Da qui
la catastrofe . L’altra conseguenza dell’iper-connessione è la difficoltà a vedere
tutte queste connessioni da parte degli specialisti, economisti, virologi ecc.,
essendo ognuno portato a vedere le cose dal proprio esclusivo punto di vista, e
così i poveri politici non sanno che pesci prendere visto che chi dovrebbe dare
loro i giusti suggerimenti non ha una visione univoca .
Adesso
ho capito finalmente perché anche il nostro governo ha poche idee ma molto confuse,
colpa dell’iper-connessione!
La
velocità:
tralascio il commento della lunga
dissertazione sulla tirannia dell’urgenza che caratterizza il nostro tempo,
sono cose note e risapute, voglio solo focalizzare un punto importante: l’accelerazione data dalla pandemia
ha colmato il gap esistente tra i tempi richiesti dall’emergere dei problemi e
quelli burocratici imposti dalla ed alla politica. In altre parole, chi prende le
decisioni ha scoperto, sempre grazie alla splendida opportunità fornita dalla
pandemia, che
le decisioni si possono tranquillamente prendere in quattro e quattr’otto,
basta che ci sia un’emergenza, vera o presunta.
La
complessità:
qua i
nostri amici ci spiegano che i sistemi complessi non sono prevedibili per loro
natura essendo troppe e troppo interconnesse le variabili in gioco . Ma va?
La conseguenza diretta della pandemia è che
l’iper-connessione aumenterà senz’altro rendendosi necessari scambi di
informazioni, laboratori dislocati ovunque per raccogliere dati ecc. e quindi
anche le previsioni saranno più difficili e questo non facilita l’analisi.
Ai
malpensanti non sarà sfuggito che a questo punto gli autori, assieme all’OMS,
al CEPI e a Bill Gates avevano profetizzato tutto questo già nel 2017 e se lo
rivendicano pure.
Evidentemente sono dotati del potere di
prevedere l’imprevedibile, per questo sono profeti!
Anzi, sono così bravi come profeti che il CEPI
lo hanno inventato loro stessi e lanciato a Davos sempre nel 2017, evidentemente
col fine di preparare il mondo alla pandemia. Peccato però che come profeti
saranno pure bravi ma come coordinatori ed organizzatori di risposte efficaci
proprio no, visti i risultati.
1.2)-
Il reset economico.
1.2.1)-
L’economia
al tempo del Covid-19:
ci viene spiegato qui che le pandemie sono da sempre
il motore di ogni reset delle economie mondiali. Inoltre, a differenza delle guerre,
le pandemie non distruggono capitali, abbassano i tassi d’interesse mentre le
guerre li innalzano e riducono le attività economiche mentre le guerre le
aumentano.
Inoltre,
la storia ci insegna che, una volta finite le pandemie, la classe lavoratrice
ne esce trionfante a scapito del capitale. Si citano un paio di esempi a
supporto di questa strampalata teoria: i lavoratori tessili di Saint-Omer in Francia
che strapparono aumenti salariali dopo la peste nera del quinquennio 1347-1351
e un paio di anni dopo molti lavoratori strapparono riduzioni d’orario ed
aumenti salariali maggiori anche di un terzo a quelli esistenti prima della
pestilenza .
Figo,
viene da pensare, non ci resta altro né di meglio da fare che sederci
comodamente in salotto in attesa che tutto questo finisca, dopodiché saremo
tutti ricchi, in particolare i lavoratori salariati.
Curioso
però che non una parola venga spesa sul come sia accaduto tutto questo
nonostante la risposta sia davanti agli occhi:
la
peste nera ha ucciso il 40% della popolazione europea, avete letto bene, il
40%, di conseguenza finita l’epidemia semplicemente non c’era gente disposta a
lavorare per poco visto che la domanda eccedeva di gran lunga l’offerta.
Non ci
vuole un genio per capire che quando la richiesta di lavoro è alta e la forza
lavoro disponibile estremamente scarsa il prezzo del lavoro sale e pure
parecchio, l’esatto contrario di quello che è avvenuto negli ultimi decenni.
Del
resto questa pandemia ha un tasso di mortalità talmente lontano da quello della
peste nera che la possibilità che si ricreino quei presupposti è non solo
remota ma ritengo molto probabile che si verificherà l’esatto contrario, ci troveremo cioè con un’offerta di
lavoro nettamente eccedente la domanda con conseguente ulteriore contrazione
del reddito da lavoro, con buona pace di Schwab e Malleret come avremo modo di
vedere anche in seguito.
Per
completezza d’informazione, neanche gli autori sono tanto convinti che le cose
andranno così per la classe lavoratrice, stavolta per colpa della tecnologia .
1.2.1.1)- L’incertezza:
L’incertezza
renderebbe difficile prendere le giuste decisioni. Quali incertezze però?
Diverse: quanti anni durerà la pandemia, avrà andamenti a picchi e valli oppure
no, andrà scemando oppure no ecc. Quel che conta è che finché non ci saremo
lasciati alle spalle il virus non sarà possibile rilanciare completamente
l’economia . Sì ma perché? I nostri ci annunciano che ce lo spiegheranno dopo.
1.2.1.2)-
La
fallacia economica del sacrificare poche vite per garantire la crescita:
secondo
gli autori la contrapposizione tra crescita economica, che passa attraverso una
significativa riduzione delle misure prese per evitare il contagio, e la tutela della salute pubblica è
una falsa contrapposizione.
Ci dicono infatti che finché il contagio si
diffonde più lavoratori si ammaleranno,
meno si produrrà e sempre più persone eviteranno di recarsi al lavoro per paura
di contagiarsi.
Inoltre,
sul fronte della domanda, finché perdurerà la sensazione di essere in pericolo, l’attitudine alla spesa ed al
consumo tenderà a scemare . Questo è possibile, ma che la scelta di imporre restrizioni,
come gli autori sostengono sia invece necessario per salvare vite, sia davvero
decisiva nello sconfiggere la pandemia è tutto da dimostrare, checché ne dicano
loro e gli studi da loro portati come argomento .
1.2.2 )-Crescita e impiego:
qui si aprono i sigilli dell’apocalisse economica; ci viene annunciato senza mezzi
termini che questa sarà la madre di tutte le crisi .
1.2.2.1)-
La
crescita economica.
Perché
in questo capitoletto si parli di crescita economica non è dato sapere. Casomai più proprio sarebbe stato
parlare di crollo economico visti i numeri che qui vengono sciorinati.
Si parla candidamente ed impunemente di un
crollo del PIL mondiale variabile dal 20 al 30%, robetta!
Inoltre ci viene detto che il ritorno alla
normalità non sarà possibile finché non sarà approntato il vaccino.
Perché proprio un vaccino e non, che so, un
nuovo farmaco oppure una terapia efficace? Anche questo non è dato sapere.
Ci
viene anche reso noto che l’industria dei servizi è quella che ha subito e
subirà i danni peggiori al punto che verrà fortemente ridimensionata .
Verso
la fine del capitoletto ci viene poi spiegato che più a lungo dureranno le
misure restrittive maggiore sarà l’impatto sul crollo del PIL con andamento
addirittura esponenziale .
Ma
come! Non
ci avevano appena spiegato al punto 1.2.1.2 che le misure non contraddicono la
crescita economica anzi, l’esatto contrario visto che le misure rallentando il
contagio rendono possibile un ritorno più rapido alla normalità? Niente ,niente
si sono scordati quello che hanno scritto poche righe prima? Mah…
1.2.2.2)
L’impiego.
Ecco
che finalmente i numeri della catastrofe
prendono corpo; si dice qui che nei soli USA in due mesi sono andati in fumo 36
milioni di posti di lavoro e sempre qui ci fanno sapere che ci vorranno decenni
affinché il tasso di disoccupazione torni a livelli accettabili.
Si fa
rimarcare, giustamente, come la situazione europea, grazie a vari meccanismi di
protezione sociale tipo cassa integrazione ec.c sta soffrendo molto meno attualmente
però, e anche questo è ovvio, in questo modo si pospone il problema nel tempo,
non lo si risolve.
Il crollo del numero di lavoratori impiegati sarà
peraltro aggravato dalla rapida e progressiva sostituzione, laddove possibile e
conveniente, di persone con macchine e robot, e quindi, quel poco lavoro che
sarà rimasto, non avrà bisogno di lavoratori, o almeno li richiederà in numero
decisamente inferiore.
Con
questi presupposti la vedo molto ma molto dura che si verifichi la stessa
situazione del post peste nera del 1351, sarà grasso che cola se qualcuno
riuscirà a portare a casa la pagnotta.
Di
nuovo, sarà il vaccino a farci uscire dal tunnel, oppure, stavolta lo dicono,
una terapia efficace. A merito dei nostri va però detto che concludono il
capitoletto con una nota di ottimismo, sebbene costellata di forse e potrebbe. Potrebbe accadere cioè che proprio
l’innovazione tecnologica, apparentemente responsabile dell’aggravarsi del
disastro, divenga invece il motore di un nuovo sviluppo che potrebbe sorprenderci
. Potrebbe…
1.2.2.3)-
Come
potrebbe essere la crescita futura:
apprendiamo subito che nell’era post-Covid la
crescita del PIL mondiale potrebbe essere molto inferiore a quella delle decadi
passate (di nuovo si noti l’uso del condizionale) nonostante una forte
accelerazione iniziale.
Potrebbe anche accadere che molte persone si
rendano conto che alla fin fine non è poi così importante che la crescita
economica sia sostenuta e fa niente se non potremo tornare ai livelli
pre-pandemia.
Vuoi
vedere che si sta meglio quando si sta peggio? E non venitemi a dire che è un
ossimoro, ditelo a Schwab e Malleret!
Infatti,
non è importante che ci sia crescita del PIL, l’importante è che emerga una
nuova economia che sia più giusta e più verde.
Ma si può fare un’economia più giusta e verde con meno
risorse di quelle attualmente disponibili? I nostri sostengono di sì.
Si badi bene, non creare risorse in modi nuovi,
piuttosto fare economia meglio con meno. Vediamo come; bisogna per riuscirci
dare risposta a due domande: la prima, come si giudicherà il vero progresso in
futuro; la seconda, quale sarà il volano di questa nuova economia (per inciso,
ma allora le risorse economiche servono!) . Prima di tutto sarà necessaria una
svolta nel modo di pensare dei governanti finalizzata ad occuparsi maggiormente
del benessere di tutti i cittadini e del pianeta.
Di nuovo, non è dato sapere come questo sarà
possibile con meno risorse disponibili e nemmeno è dato sapere perché mai i
principali responsabili del disastro economico e sociale, che peraltro precede
di gran lunga la pandemia, dovrebbero redimersi come folgorati sulla via di
Damasco.
Evidentemente
si confida molto nello Spirito Santo. Comunque, tanto per taroccare un
po’ i numeri, potremmo cominciare a calcolare nel computo del PIL anche il
lavoro domestico ingiustamente oggi escluso.
Vale
lo stesso discorso anche se si va a pesca?
O a
giocare a calcetto?
Eppoi piantiamola una buona volta di includere
nel calcolo transazioni monetarie che il più delle volte non sono altro che
spostamento di capitali (questo peraltro è vero) ! Le cose importanti sono ben
altre, come dimostra l’inclusione della Nuova Zelanda nella top 10 dei posti
dove si vive meglio. Questo è stato reso possibile dalle politiche improntate su temi sociali del Primo Ministro
che hanno reso manifesto che l’incremento del PIL non garantisce un
miglioramento della qualità della vita .
Ma che
bella scoperta, e chi lo avrebbe mai detto! Si sta per altro anche cominciando
a riflettere su come coniugare soddisfazione di bisogni materiali con rispetto
del pianeta, ad esempio ad Amsterdam.
Aggiungono gli autori che se tutti ci rendiamo
conto che la felicità (avete letto bene, la felicità) dipende più da una buona
assistenza medica e da un robusto tessuto sociale che non dai consumi potremmo
far guadagnare terreno a valori quali la tutela dell’ambiente, il mangiare
responsabile, l’empatia e la generosità e uscire finalmente dalla dittatura del
PIL ).
Mi
viene da chiedere se per caso questa dittatura del PIL non sia stata imposta
dagli stessi che dovrebbero abbatterla, ma vabbé, tiriamo oltre. Vediamo adesso quali saranno i volani
di questa nuova felicità: prima di tutto, l’economia verde.
Riutilizzo,
fabbricare prodotti che abbiano una durata più lunga (addio quindi
all’obsolescenza programmata), energia più pulita.
Eppoi
creare lavoro con finalità sociali come servizi alla persona, salute ed
istruzione. Così facendo si guadagnerebbero 2 punti percentuali sul PIL
(calcolati come?).
L’innovazione poi permetterà di fare prodotti a più
alto valore aggiunto creando nuovo lavoro e prosperità.
Tutto
questo è richiesto anche dagli autori del manifesto per la decrescita
pubblicato nel maggio 2020 ). Quindi, PIL negativo ma miracolosamente risorse per la sanità,
l’istruzione e la cura della persona, tutto quello cioè che è stato massacrato
sistematicamente negli ultimi decenni in nome della mancanza di risorse dagli
stessi che dovrebbero destinare risorse a questi scopi.
Da
dove verrà fuori questa clamorosa inversione di tendenza finalizzata a reperire
le risorse per finanziare tutto questo in decrescita di nuovo non è dato
sapere. Per fortuna il pasticciaccio brutto di questo capitoletto si chiude
qui, non ne potevo davvero più di contraddizioni ed incongruenze.
1.2.3)-
Politiche
fiscali e monetarie: Con lo scopo di contenere la pandemia, sovvenzionare con
fondi emergenziali le famiglie e sostenere la domanda aggregata, sono state
messe in campo misure fiscali e monetarie senza precedenti. Questo comporterà un aumento del rapporto debito
pubblico PIL di circa il 30% nei paesi ricchi e del 20% su scala globale.
Per
ragioni che non sto a ripetere, saranno proprio i paesi più poveri a pagare il
prezzo più alto in futuro. Di conseguenza, una moratoria sul debito non solo
sarà necessaria ma sarà un punto critico. Finalmente una proposta
condivisibile, ma i creditori saranno così generosi dal rimettere i debiti in cambio di
nulla? Chissà perché ho i miei dubbi.
Un po’
più in là i nostri ci fanno sapere che la pandemia ha abbattuto le barriere tra
governi e banche centrali mettendo le seconde al servizio dei primi. Mi sa che ho visto un altro film
vista la perdurante confusione sul recovery found e la marcata ritrosia della BCE a
concedere prestiti a fondo perduto o quasi.
Infatti,
quel che viene proposto è un meccanismo di finanziamento degli stati attraverso
l’acquisto di bond da parte delle banche centrali.
Così
avremo in sostanza venduto alle banche
anche il bilancio dello Stato, altro che dipendenza delle banche da esso!
Ma non basta, ci viene anche annunciato che
sarà concepibile che anche in futuro si possa continuare su questa strada. I governi potranno adottare politiche neokeynesiane di
deficit spending e le banche centrali li finanzieranno con grande gioia . Ma, come al solito c’è un ma di
mezzo, simili politiche potrebbero portare l’inflazione fuori controllo e
sapete perché? Perché i cittadini, una volta accortisi che il denaro volendo si trova,
finirebbero col chiedere sempre più generando inflazione. Che ingrati! Non si
fa in tempo a dargli un biscottino che subito questi ti chiedono una pagnotta !
1.2.3.1)-
Deflazione
o inflazione?
Siamo
di fronte ad un dilemma: il futuro sarà inflattivo o deflattivo? O, per meglio dire, è più pericolosa
l’inflazione o la deflazione?
Secondo
gli autori e diversi analisti economici un’inflazione anche al 4-5% non sarebbe
un problema, anzi.
Pericolosa
lo sarebbe solo se arrivasse a livelli molto alti. Invece, il rischio deflattivo
implicito in questa apocalisse economica e dovuto al collasso del mercato del
lavoro che farà crollare i prezzi dei beni di consumo con tutto quel che ne
consegue è molto più reale e pericoloso.
Inoltre
la combinazione di alto tasso di disoccupazione, minori entrate per vasti strati
di popolazione e l’incertezza per il futuro spingeranno verso casomai una
ripresa del risparmio i quali, aggiunti
all’innovazione tecnologica ed all’invecchiamento della popolazione, che sono
deflattivi per loro natura, renderanno il rischio inflazione molto basso e
remoto nel tempo . Pertanto qualunque politica che immettesse denaro
incrementando il PIL, anche portando ad un aumento del debito pubblico, è
praticabile.
Senza esagerare, s’intende, facciamo in modo che si accontentino del biscottino
e dimentichino la pagnotta. Ma non dovevamo decrescere appena due capitoletti fa? Adesso
ci viene suggerito di rilanciare il PIL anche a costo di creare nuovo debito?
1.2.3.2)-
Il destino del dollaro USA:
il fatto che il dollaro sia usato come valuta
di riserva in molte parti del mondo abbinato al fatto che gli scambi
internazionali vengono fatti praticamente sempre in dollari ha dato agli USA
senza alcun dubbio una posizione di forte privilegio.
Per
questo alcuni analisti pensano che l’egemonia del dollaro debba
progressivamente scemare e la pandemia, tanto per cambiare, sembra essere il
catalizzatore giusto per il cambiamento giacché produrrà, causa aumento
vertiginoso del debito pubblico USA, una progressiva perdita di fiducia nel
resto del mondo sulla capacità egemonica degli USA stessi. Già, ma con che cosa
sostituire il dollaro?
Non certo con la moneta cinese visto che non ne
vogliono sapere di ridurre il controllo ed accettare che la loro valuta sia
quotata sul mercato, e nemmeno con l’euro visto che l’eurozona minaccia di
implodere da un momento all’altro .
Ma ecco che proprio la Cina ci offre la
soluzione: valuta
digitale! Facciamo
una bella valuta digitale ed il problema di come sostituire il dollaro è
risolto. Mica
sarà un regalo alle lobby finanziarie vero? Quasi quasi è meglio tenersi il
dollaro…
1.3)- Il reset della socialità:
nell’introduzione
a questo capitolo si cerca una risposta ad un quesito non da poco: come mai la pandemia ha colpito così
intensamente alcuni paesi o alcune regioni e non altri? Le risposte: erano più preparati,
hanno preso le decisioni rapidamente, hanno un sistema sanitario inclusivo,
sono società nelle quali i cittadini hanno grande fiducia nei loro leader ed in
ciò che dicono, sanno essere solidali e anteporre il bene comune alle
aspirazioni individuali.
Ne consegue che
in Italia, che è stata duramente colpita stando ai numeri, alcuni o
tutti questi presupposti sono venuti
meno e, all’interno dell’Italia, qualcosa deve essere andato ulteriormente
storto in Veneto e Lombardia.
Ne
consegue inoltre che società più inclusive e solidali sanno fronteggiare meglio
una pandemia.
Pertanto,
nell’era post pandemica, assisteremo ad un massiccio trasferimento di risorse
dal capitale al lavoro e, contestualmente, alla fine del neoliberismo per il
quale la pandemia ha suonato la campana a morto . Speriamo che
quest’auspicabile esito ci venga argomentato più in là.
1.3.1)-
Le
disuguaglianze:
il Covid-19
ha tutt’altro che ridotto le disuguaglianze, al contrario le ha accentuate
colpendo non solo economicamente, ma anche nella salute, gli strati più poveri
della popolazione.
Inoltre,
lavoratori mal pagati o sottopagati come infermieri, addetti nelle imprese di
pulizie, riders che ci portavano il cibo a casa si sono pure accollati la
maggior parte dei rischi pur essendo necessari per portare avanti le attività
essenziali.
Ma
questa tendenza potrebbe invertirsi riducendo le disuguaglianze e questo perché
potrebbe esserci sempre più gente a chiedere maggiori investimenti per la
sanità e a ripensare quali siano i lavori davvero importanti e quindi ad
adeguare il reddito dei lavoratori di questi comparti.
Di
nuovo ricompare il condizionale, le certezze elencate nell’introduzione si sono
già ridotte al rango di mere possibilità ed in aggiunta, ci dicono gli autori,
tutto questo sarà possibile solo se ci saranno dei
massicci tumulti sociali .
1.3.2)-
Disordini
sociali: quel
che era auspicabile appena poche righe fa adesso diventa un pericolo elevato: i
disordini sociali.
Se ne
può dedurre una sola cosa: i tumulti vanno bene, i disordini no.
Perché
i disordini possono portare alla disintegrazione sociale ed al collasso
politico (chissà perché i tumulti no). Del resto i presupposti ci sono
tutti, con un tasso di disoccupazione al 20-30% ed un calo del PIL dello stesso
ordine di grandezza garantire la stabilità sociale e scongiurare disordini è
quasi impossibile.
Ed
infatti alcuni esempi ci sono già stati come per esempio i disordini
conseguenti all’uccisione di George Floyd. Inoltre, le proteste “ibernate” dal
lockdown come il movimento dei gillet gialli in Francia probabilmente
torneranno protagoniste non appena si uscirà dall’emergenza.
I
rischi di disordini gravano maggiormente sui paesi fortemente individualisti
come gli USA ma possono coinvolgere chiunque. L’unica misura che si può
intraprendere per mitigare il rischio è quello di mettere in campo politiche
capaci di ridurre le disuguaglianze . Ecco che finalmente si spiega perché
ci saranno aumenti salariali per alcuni lavoratori e politiche sociali più
inclusive per tutti, per scongiurare disordini sociali e quindi salvare il
deretano ai governanti.
A me,
più che una proposta suona come un avvertimento alle classi dominanti, come dire o
farete così o dovrete fare i conti con folle inferocite.
1.3.3)-
Il ritorno
del “grande” governo: qua viene fuori tutto l’impianto neokeynesiano della
proposta.
Si
inizia sottolineando come storicamente le guerre hanno aumentato da un lato la
tassazione, arrivando a punte del 99,25% in Gran Bretagna durante la seconda
guerra mondiale e dall’altro l’intervento statale in economia. Questo è accaduto ogni qual volta si
è dovuto far fronte ad uno shock violento proveniente dall’esterno, e questo
senz’altro lo è. Del resto, anche la narrazione ufficiale paragona la lotta al Covid-19 ad
una guerra. Nel prossimo futuro lo Stato avrà un ruolo sempre più centrale nel
garantire la sopravvivenza alle masse di disoccupati, implementare la sanità
pubblica ecc. e così anche le società più orientate verso il mercato, tipo GB o
USA, dovranno adeguarsi e rassegnarsi ad un sempre più forte intervento statale
in economia.
Torneranno le nazionalizzazioni, ed anche le
aziende private dovranno accettare un sempre più forte controllo statale
finalizzato ad orientare gli investimenti verso beni sociali quali la salute e
la lotta ai cambiamenti climatici.
Quest’ultimo
punto però sembra molto debole perché i cambiamenti climatici sono un problema
globale e non possono essere affrontati efficacemente a livello locale, a meno
che non si stia pensando ad una qualche forma di coordinamento o addirittura di
governo su scala mondiale.
Comunque, per tutte queste ragioni e per finanziare
tutti questi sforzi ed investimenti, il livello di tassazione dovrà
necessariamente salire, in particolare per le fasce più abbienti della
popolazione.
1.3.4)-
Il
contratto sociale: la
pandemia porterà per forza di cose ad una ridefinizione del contratto sociale.
Negli
ultimi anni si è assistito ad una progressiva erosione dei benefici dovuti al
patto sociale per tenere l’inflazione a livello basso o addirittura a livello
zero. Con l’eccezione significativa dell’aumento dei costi per le classi meno
abbienti di salute, educazione e costo delle abitazioni. Questo comporta una
perdita di fiducia nelle istituzioni che potrebbe portare, in alcuni paesi,
anche a dimostrazioni violente ). Finora le risposte dei governi sono state del
tutto insufficienti ma le soluzioni esistono e bisognerà adottarle per un nuovo
e più giusto contratto sociale. A parte le differenze tra paese e paese alcuni
tratti comuni comunque si possono delineare: una più ampia se non universale
copertura per assistenza sociale, sicurezza sociale, salute e servizi base di
qualità nonché una maggiore protezione per i lavoratori in particolare quelli
più vulnerabili.
Bisognerà
pertanto implementare la sanità pubblica e prevedere coperture finanziarie per
chi sta in malattia, cosa che avviene in alcuni paesi e non in altri.
L’altro
aspetto critico è l’aumentato controllo sociale dovuto alla pandemia.
Misure
emergenziali che limitano le libertà personali sono e saranno accettabili solo
se limitate nel tempo ed universali. C’è poi il problema
delle nuove generazioni, le più colpite da queste misure, e che hanno bisogno
di trovare ascolto affinché trovino risposte alle loro insicurezze. Già ora i giovani hanno la
prospettiva di guadagnare meno ed avere meno in futuro dei loro genitori con
probabilità di poter acquistare la propria casa o di avere figli molto minori.
Per evitare quindi che i giovani si convincano
che questo sistema sia ormai irriformabile bisognerà andare incontro alle loro
esigenze. Di
nuovo, viene fuori tutto l’impianto neokeynesiano ma permane l’impressione che
lo si invochi più per necessità di salvare il salvabile che per reale e
profonda convinzione.
1.4- Il reset geopolitico: la pandemia ha fatto esplodere il
bubbone dell’assenza di un governo mondiale.
Infatti,
una situazione che richiederebbe risposte globali ottiene solo risposte locali,
dovute anche al risorgere dei nazionalismi che impongono ai governi di guardare
in casa propria . Inoltre, la crescente rivalità tra Cina e USA se non risolta
porterà a caos, disordine ed incertezza per molti anni in futuro. Ne consegue una sola possibilità: se non si sarà in grado di imporre un
nuovo ordine allora il disordine regnerà sovrano .
I veli
di ipocrisia sembrerebbe comincino a cadere: qua si invoca apertamente un
ordine mondiale capace di gestire le emergenze, questa e quelle future. E’
questo il grande governo al quale si fa riferimento al punto 1.3.3?
1.4.1)-
Globalizzazione
e nazionalismo: la globalizzazione, che ha portato centinaia milioni di persone fuori
dalla soglia di povertà (sic!), sta recedendo . Poiché i globalisti non sono
stati capaci di darsi delle regole, l’effetto combinato dei costi sociali
dovuti alla disoccupazione nei paesi ricchi (quindi la globalizzazione mentre
portava fuori dalla povertà centinaia di milioni di persone ce ne gettava altre
nei paesi sviluppati) e i rischi connessi con la globalizzazione finanziaria
resasi evidente nel 2008 hanno prodotto come effetto il ritorno di
protezionismi e nazionalismi.
Pur
essendo l’economia globale fortemente interconnessa la globalizzazione può
essere rallentata o addirittura riportata all’indietro. La pandemia accentua
questa tendenza. L’introduzione di misure protezionistiche, vuoi per contenere
la pandemia o l’immigrazione, porta al trilemma di Dani Rotrik, dove si dice che
dei tre assi portanti, globalizzazione economica, democrazia e stato nazionale
solo due su tre sono compatibili essendo il terzo contraddetto dagli altri due).
Esempio
ne sia l’UE dove integrazione economica e democrazia ha portato allo
svuotamento dello stato nazionale.
Dove
l’abbiano vista poi tutta questa democrazia sarebbe interessante saperlo.
Invece, la Brexit e l’elezione di Trump rendono chiaro come il risorgere del
nazionalismo porta ad un arretramento della globalizzazione.
Che
peccato! Che vuoi farci però baby? Il capitalismo è così per sua natura,
contraddittorio.
A fare
gli interessi di una parte si finisce con lo scontentarne un’altra col rischio
di risorgenti nazionalismi incluso.
Spinte
verso la deglobalizzazione possono provenire dalla necessità di non dipendere
da paesi altri a livello industriale e a livello politico dalle pressioni che
vengono sia da destra che da sinistra, in particolare dai movimenti
ambientalisti. Ci sono già esempi di stati che hanno incoraggiato economicamente i propri
industriali a de-investire all’estero e reinvestire in patria. Probabilmente l’esito sarà un
potenziamento del ruolo e delle funzioni delle organizzazioni regionali quali
ASEAN NAFTA, UE ecc.
Nei
momenti di maggior crisi la storia ci insegna come si siano praticate maggiori
misure protezionistiche e, molto probabilmente, ad un maggiore e più stringente
intervento statale nei settori definiti strategici e nel controllare il flusso
di capitali. Ma una deglobalizzazione eccessiva, ci avvertono gli autori, potrebbe
essere estremamente dannosa (per chi?) per questo si dovrà limitare quanto
possibile questa tendenza .
Per
questo ci vuole una globalizzazione più inclusiva ed equa sia sul piano sociale
che su quello ambientale (mi piacerebbe sapere come si fa questa bella
globalizzazione sostenibile) e, per contenere i rinascenti nazionalismi, una
qualche efficace forma di governance globale.
Non
c’è tempo da perdere, secondo gli autori, se non sviluppiamo istituzioni
globali capaci di agire il mondo diventerà ingestibile e pericoloso . In
pratica, per scongiurare pericoli di nazionalismi o rivolte, si imponga un nuovo ordine mondiale
che sia in grado di imporre le scelte fatte a tutti. Il velo dell’ipocrisia
cade qui in maniera definitiva.
1.4.2)-
La governance
globale:
se non fosse bastato tutto quello che ci hanno
detto nel capitoletto precedente ecco che arrivano ulteriori precisazioni sulla
necessità di una governance a livello globale.
Prima
di tutto, la governance globale e la cooperazione internazionale sono
strettamente interconnesse per questo, in un mondo diviso, ogni governance è
impossibile.
Ma
ecco che il Covid-19 rende chiaro anche ai muli più ostinati che problemi
globali vanno affrontati da un governo globale, che siano pandemie, cambiamenti
climatici, terrorismo o commercio mondiale pena il fallimento delle misure
prese dai singoli stati. Insomma, governo mondiale o barbarie!
Sempre
il Covid-19 ha reso chiaro cosa può succedere in assenza di un governo globale
(sembrerebbe proprio che questa pandemia caschi come il cacio sui maccheroni
per i nostri, ndr): misure caotiche prese alla rinfusa e totale assenza di un
coordinamento internazionale persino in UE dove, all’inizio, ognuno è andato
per conto suo salvo poi correre ai ripari anche attraverso misure di sostegno
finanziario .
La
governance globale ha fallito al punto che gli USA hanno smesso di finanziare
l’OMS pur essendo questa l’unica organizzazione in grado di coordinare una
risposta globale alle pandemia, lo dice pure Bill Gates !
Di
nuovo il capitoletto si conclude con la minaccia che se non si farà il governo
mondiale il mondo diverrà molto pericoloso e di nuovo mi piacerebbe sapere pericoloso per
chi.
1.4.3)- La crescente rivalità tra USA e
Cina: il Covid-19 ha anche segnato il punto di svolta nel “nuovo tipo di guerra
fredda” tra USA e Cina.
I
cinesi essendo spinti a voler primeggiare dall’umiliazione subita con la guerra
dell’oppio e successiva invasione straniera, gli USA dalla volontà di mantenere
i propri valori ed il proprio ruolo di supremazia rispetto al resto del mondo.
Strano che nessuno dei due combatta il nuovo
tipo di guerra fredda semplicemente per portare avanti i propri interessi,
misteri dell’era pandemica . Chi vincerà?
Ci sono tre opzioni possibili: vincono i
cinesi, vincono gli americani, nessuno dei due essendo l’opzione tutti e due
ovviamente impossibile (bisogna essere veramente dei geni per giungere a queste
conclusioni!).
Vediamo
le ragioni a sostegno dei tre possibili esiti:
vincono
i cinesi perché, punto primo, la potenza militare USA si è rivelata irrilevante
nel combattere un nemico invisibile, punto due perché la risposta debole del
governo USA è da incompetenti, punto tre ha reso manifesti alcuni aspetti
scioccanti della società americana quali le profonde diseguaglianze, l’assenza
di un sistema di protezione medico universale ed il razzismo interno verso i
neri.
Insomma, se vinceranno i cinesi sarà per
demerito degli americani.
In aggiunta, i cinesi sono anche arrivati per
primi nell’offrire aiuto durante la pandemia come mostrano i 31 medici cinesi
arrivati in Italia a marzo 2020. Tuttavia, saranno le scelte del “resto del
mondo”, in sostanza con chi si alleeranno, a determinare l’esito finale dello
scontro .
Seconda
opzione, vincono gli americani:
l’egemonia
USA, sebbene in declino, non sembra essere tuttavia sufficientemente indebolita
per abdicare al suo ruolo.
Se poi
ci mettiamo il ruolo del dollaro come bene rifugio ecco che prevedere la
sconfitta degli USA appare esagerato.
Mettiamoci
poi le debolezze strutturali cinesi ed il gioco è fatto .
Terza
opzione, nessuno dei due: secondo i sostenitori di questa tesi, la pandemia avrà
talmente colpito duro entrambi che alla fine ne usciranno fortemente
indeboliti.
Inoltre, il virus ha mostrato come le
superpotenze hanno peggio gestito la crisi mentre realtà molto piccole come
Singapore, Islanda o Israele le hanno sapute gestire al meglio). Chissà se questa terza opzione piace
agli autori visto che piccolo è bello è l’esatto contrario di un mondo più o
meno globalizzato e dotato di una governance efficace che auspicavano poco
prima. Comunque sia, l’unica cosa certa è che la rivalità tra USA e Cina è
destinata a crescere.
1.4.4)-
Stati
fragili e in fallimento:
per molte economie fragili, soprattutto quelle
basate sul turismo e sulle rimesse degli emigrati, ma non solo, la pandemia
potrà essere il colpo di grazia.
La conseguenza sarà un aumento dei disordini sociali,
con tumulti, fazioni armate in lotta e fame. Il crollo del commercio globale,
con conseguente crollo del prezzo delle materie prime, sarà un elemento critico
anche per economie che si basano ad esempio sull’esportazione del petrolio.
Mai
previsione fu più errata, al momento di scrivere il prezzo del Brent è di 69,46
$ a barile, alla faccia del crollo del prezzo!
Resta
il fatto che per gli stati che vivono di turismo, rimesse dall’estero e materie
prime il cui prezzo cala o calerà, le conseguenze saranno molto severe
portandone diversi al fallimento.
Questo
si rifletterà anche sui paesi ricchi provocando nuove migrazioni di massa
simili a quelle viste negli anni precedenti . Vuoi vedere che la governance globale
debba servire anche a tenere a bada queste masse di disperati, magari con il
metodo del bastone e della carota stavolta sotto forma di un pugno di riso
“generosamente” elargito dai ricchi?
Del
resto chi vorrebbe trovarsi davanti alla porta di casa la fastidiosa vista di
gente affamata e disperata?
Ultima domanda: perché mai non una parola,
nemmeno una, viene spesa sul come evitare che gli stati fragili siano poi così
fragili o addirittura destinati a fallire? Forse non interessa?
1.5)- Il reset ambientale:
pandemie,
cambiamenti climatici e collasso dell’ecosistema sono più concatenati di quanto
comunemente si creda e presentano diversi tratti comuni sebbene permangano
delle importanti differenze. I
tratti comuni sono:
primo, sono rischi che si conoscono bene e
che si propagano velocemente in un mondo interconnesso come il nostro.
Secondo, non hanno un andamento lineare e
possono produrre effetti catastrofici da qualche parte.
Terzo,
è quasi
impossibile misurare le probabilità e la distribuzione del loro impatto che li
rende difficili da gestire politicamente.
Quattro, sono globali per loro natura e
possono essere indirizzati solo in modo globalmente coordinato.
Cinque, colpiscono in modo sproporzionato i
paesi e le fasce di popolazione più deboli .
Che
cosa li differenzia?
Le più
importanti differenze sono: l’orizzonte temporale ed il problema della
causalità.
L’orizzonte
temporale fa sì che, mentre il rischio pandemico è quasi istantaneo e richiede
misure immediate che portano a risultati immediati, il rischio ambientale richiede azioni
immediate ma porta a risultati nel medio e lungo termine .
La
causalità rende chiaro, nel caso della pandemia, il nesso tra SARS-CoV-2 e
Covid-19, mentre nel caso del rischio ambientale i nessi sono tutt’altro che
chiari e gli stessi scienziati non sono concordi nell’indicarli.
In una
pandemia, la maggioranza dei cittadini accetta di buon grado misure coercitive
ma sarebbe molto meno disposta ad accettarle in caso di politiche restrittive
finalizzate alla tutela dell’ambiente sull’efficacia delle quali si potrebbe
discutere (vuoi vedere che ce le vorranno imporre con la forza?). Inoltre, lottare contro una pandemia
non necessità profondi cambiamenti socio-economici, lottare contro i rischi
ambientali sì.
1.5.1)-
Coronavirus
e ambiente.
1.5.1.1
Natura e malattie zoonotiche: ci viene detto quanto le attività umane e la conseguente
erosione di ambenti naturali abbia drammaticamente accorciato la distanza tra
animali selvatici e uomo, costringendoli a frequentare ambienti per loro
innaturali quali le città e favorendo il salto di specie, quel passaggio da
animale a uomo di un virus che, visto dal suo punto di vista, rappresenta
l’unica via di uscita date le condizioni.
Se continuiamo così, ci avvertono, le malattie
zoonotiche aumenteranno ulteriormente con nuove pandemie da affrontare. Se da un lato la difesa dei suoli è
cosa sacrosanta, dall’altro le ragioni addotte a pretesto, alla luce
dell’emergere quasi ufficiale dell’origine artificiale del virus SARS-CoV-2,
suonano risibili e datate. Non è colpa di pipistrelli e pangolini se ci
troviamo in questa situazione, si puntino i riflettori altrove.
1.5.1.2)-
Inquinamento
dell’aria e rischio pandemico: che l’inquinamento atmosferico causi decessi era cosa nota
ma che provocasse un esacerbarsi delle infezioni da coronavirus con conseguente
aumento della letalità provocata da questa famiglia di microrganismi è divenuto
chiaro dal 2003 quando si è reso manifesto il nesso tra mortalità da SARS e
inquinamento .
Da
allora diversi studi hanno palesato i nessi, soprattutto per quel che riguarda
i nessi tra particolato e malattie. Questo spiegherebbe (condizionale)
l’elevato tasso di mortalità rilevato in Lombardia, una delle regioni più
inquinate d’Europa (una delle, ma le altre? ndr). Se a qualcuno fossero venute in mente
altre cause o per lo meno concause sappia che è fuori strada, disinquinate e
non capiterà più.
1.5.1.3)-
Lockdown
ed emissioni di carbonio: si stima che le emissioni di carbonio diminuiranno del 2020
di circa l’8% (si ricordi che il libro è
stato pubblicato a giugno 2020, ndr) e questo è sconfortante.
Infatti,
l’impatto dell’agricoltura, dell’industria e del consumo di elettricità,
attività proseguite anche durante il lockdown, è di gran lunga più importante
rispetto alle attività individuali tipo usare l’automobile.
In
più, l’emissione di carbonio generata dal consumo di elettricità dovuto
all’accensione delle apparecchiature elettroniche usate per trasmettere dati
equivale alle emissioni prodotte dall’intera industria aerea.
Se ne
conclude che misure efficaci per ridurre le emissioni possono essere solo,
prima di tutto, produrre energia in modo radicalmente diverso, cambiare
abitudini di consumo, andare a piedi e non in macchina, lavorare di più da
remoto, vacanze vicino casa (a questo punto direi proprio a casa, ndr) .
Visto
che non si dice una parola su come produrre energia in modo radicalmente
diverso mentre se ne spendono diverse sul come dobbiamo cambiare abitudini ne
deduco che dovranno essere prevalentemente le nostre vite a dover cambiare.
1.5.2)-
L’impatto
della pandemia sui cambiamenti climatici ed altre politiche ambientali:
la
pandemia rischia di oscurare per molti anni le tematiche ambientali e spingere
i governi ad adottare politiche che stimolino produzione e consumi nel post
pandemia per recuperare quanto più velocemente i danni subiti dal tessuto
economico.
Ma
esiste un’altra possibilità legata a quest’unica finestra di opportunità per
spingere verso un’economia sostenibile per il bene delle nostre società. La tentazione di recuperare velocemente
terreno sul piano economico può essere contrastata da alcune cose: primo,
leaders illuminati.
Alcuni di loro potrebbero esortarci a fare
buon uso della pandemia (di nuovo appare la stessa come un specie di
benedizione) come ha fatto il Principe di Galles (sic!) ad Andrew Cuomo
(arisic!) ed il ministro danese Jorgensen (sic! alla terza) suggerendo che
la transizione ad un’energia pulita aiuterebbe anche l’economia .
Secondo,
la pandemia ci ha reso chiaro che corriamo gravi rischi. A fronte del fatto che ci saranno
altre pandemie (altra profezia) dobbiamo riconoscere che i cambiamenti
climatici sono un tema più grande ed urgente . Terzo, cambiamento di comportamenti.
Il
lockdown ci ha costretti a vivere in modo più verde (clamorosa menzogna, basti
pensare al gigantesco aumento del consumo di plastica e altri materiali usati
per le consegne a domicilio nonché all’indecoroso aumento dei rifiuti gettati
per strada a partire dalle mascherine che stanno insozzando ancor di più anche
i nostri mari) e focalizzare l’attenzione sul necessario (tipo la
televisione?).
Inoltre,
potremmo renderci conto che il telelavoro è bello e che pandemia ed
inquinamento dell’aria sono strettamente intrecciati ed allora tutti ci
comporteremmo in modo più responsabile.
Che
poi chi a suo tempo mise in relazione l’alto numero di contagi ad esempio delle
province di Bergamo e Brescia con l’alto livello di inquinamento atmosferico
sia stato tacciato di complottismo appare un dettaglio trascurabile.
L’importante
è che a dirlo siano i nostri due eroi .
Quarto.
l’attivismo.
Alla
fine gli attivisti del clima potranno trarre nuovo vigore dalla pandemia e
mettere maggior pressione alle politiche future. Possiamo immaginare dimostranti che
manifestano fuori dalle centrali ed investitori che negano l’accesso ai
capitali alle centrali stesse .
Ma che
figo questo connubio tra attivisti ed investitori!
Ma
tutta questa sensibilità sociale questi fantomatici investitori da dove la
tirerebbero fuori visto che finora casomai hanno brillato per cinismo e
spregiudicatezza?
Comunque,
alcuni segnali, tra cui l’europeo Green Deal, inducono all’ottimismo e a pensare che l’economia del futuro
sarà più verde. Si può imprimere una
direzione decisa ed irreversibile a questo processo attraverso ingenti
interventi pubblici che spingano i privati attraverso il meccanismo dei
finanziamenti per la ripresa vincolati a politiche più verdi.
In
questo modo si potrebbero creare fino a 17 milioni di posti di lavoro attorno a
questa nuova economia.
Quello che non capisco però è perché mai il
pubblico dovrebbe finanziare i privati a questo scopo.
Non sarebbe più semplice che dell’interesse
pubblico se ne occupasse appunto il pubblico e non il privato?
Non è per caso l’ennesimo esempio di trasferimento
di risorse pubbliche in mani private, ovvero l’ennesima rapina a danno di molti
ed a favore di pochi?
1.6)- Il reset tecnologico:
questo
capitolo è il più inquietante di tutti.
A
parte le ovvie considerazioni legate all’immensa accelerazione dello sviluppo
tecnologico e del suo rapidissimo e massiccio ingresso nel mondo della
produzione, fenomeno destinato ad aumentare ulteriormente e non poco, mi preme
sottolineare due punti: il primo, si fa chiaro ed aperto riferimento della
possibilità di intervenire con le biotecnologie sulla genetica , immagino degli
esseri umani, secondo, si rivendica la necessità del tracciamento continuo
delle persone sebbene, bontà loro, possa diventare uno strumento di
sorveglianza di massa (perché, che altro potrebbe essere?) .
1.6.1.)-
Accelerando
la rivoluzione digitale:
non vale la penna soffermarsi tanto su questo
capitoletto, si ripetono cose ovvie tipo la trasformazione digitale ha subito
una brusca accelerazione. Tuttavia si dice che alcuni cambiamenti quali
telelavoro, DAD, acquisti online, cure ed intrattenimento potrebbero divenire
digitali per sempre .
1.6.1.1.)-
Il
consumo:
qua si
saluta con favore, sottolineando la maggior economicità e ecologicità dell’
online rispetto all’outline, di certe abitudini acquisite durante il lockdown:
per chi studia essere davanti ad uno schermo non inficia la convivialità dello
stare in una classe ed è più economico e sicuro, come lo è il non recarsi di
persona ad un meeting di lavoro oppure il non fare km per un week end coi
parenti, tanto c’è whattsapp family group!
Tutto ciò si può tranquillamente fare online.
Se vi piace questa prospettiva allora tenetevi il grande reset.
1.6.1.2)-:
Il
regolatore:
qua ci viene spiegato tramite un paio di
esempi, telemedicina e uso di droni per consegne, che le accelerazioni imposte
dalla necessità hanno forzato i governi a mettere in pratica rapidamente quello
che prima veniva fatto molto lentamente. Né i pazienti né gli enti regolatori
che l’hanno resa possibile vorranno tornare indietro una volta sperimentato
quanto semplice e conveniente sia la telemedicina (davvero?) . Insomma, abituiamoci a vederci
consegnate le cose che ordiniamo e magari pure la posta da un drone. Molto
meglio, è più veloce!
1.6.1.3)-:
L’impresa: per chi non l’avesse ancora capito
e si illude che distanziamento fisico e sociale siano misure temporanee si
disilluda al più presto, ci viene annunciato che in un modo o in un altro sono
misure destinate ad essere permanenti.
Di
conseguenza, il bisogno di minimizzare i contatti umani sul posto di lavoro
imprimerà un’ulteriore accelerazione al processo di automazione.
Secondo
uno studio di Oxford, entro il 2035 l’89% dei posti di lavoro nella
ristorazione, il 75% nella vendita al dettaglio ed il 59% nell’intrattenimento
potranno essere automatizzati.
Se poi
qualcuno non dovesse fidarsi del sommelier robotizzato si rassegni, questa è la
minestra che dovremo ingoiare .
Eserciti
di robotini sono pronti a riversarsi sulle nostre strade per le consegne e così
la telemedicina automatizzata permetterà diagnosi e terapie nel tempo di uno
starnuto, con buona pace dei medici che si ostinano a visitare i propri
pazienti. Tutto
questo naturalmente per il nostro bene, così non ci contagiamo!
1.6.2)- Tracciamento dei contatti, monitoraggio dei contatti e
sorveglianza:
naturalmente,
il controllo della pandemia necessita di tracciamento e monitoraggio continui
per individuare al più presto i contagiati e poterli isolare ed in questo senso
la tecnologia può essere di grande aiuto .
Tracciamento
e monitoraggio sono così essenziali per sconfiggere una pandemia che viene il
dubbio di come abbia fatto l’umanità a cavarsela finora senza tutte queste
belle novità!
Tutto
questo è facile da realizzare: è sufficiente tracciare i movimenti delle
persone attraverso il telefonino oppure dove viene utilizzata la carta di
credito (ma che succede se qualcuno si dimentica il telefonino da qualche parte
e quel giorno non usa la carta di credito?).
Qualcuno
ha richiesto addirittura l’obbligo di indossare un braccialetto elettronico in
certe circostanze ! Segue un lungo panegirico dell’app immuni e similari, le
quali però, come ben sappiamo, hanno miseramente fallito come ben si intuiva
già un anno fa. Tuttavia non tutto è perduto, la paura di nuove pandemie potrebbe
far ricredere molti di quelli che non hanno voluto farsi tracciare con le app e
permettere anche alle imprese un maggior controllo digitale sui loro lavoratori
(ecco a che servono le app!).
1.6.3)-
Il rischio
distopico:
nei
prossimi mesi ed anni ci ritroveremo di fronte una discussione animata tra chi
sosterrà che è da matti non barattare un bel po’ di privacy in cambio di una
maggior efficacia in situazioni di vita o di morte e chi invece sosterrà, come
già accaduto dopo l’11 settembre, che misure di limitazione alla libertà
personale diverranno permanenti e non verranno rimosse mai .
Diversi
pensatori, come Yuval Noah Hrari sostengono che dobbiamo scegliere tra
totalitarismo della sorveglianza e potere ai cittadini .
Evgeny
Morozov si spinge anche oltre preconizzando un futuro tecno-totalitario .
Quindi,
sostengono gli autori, il rischio distopico esiste.
Ma perché, quello di cui hanno scritto prima
prefigura un futuro bello ed armonioso?
Disoccupazione di massa, miseria,
distanziamento fisico e sociale ecc. ecc. sono un sogno da realizzare?
A me sembra che tutto il libro fin qui prefiguri un
futuro distopico e non solo se si realizzerà la tecno-dittatura.
Il capitolo si conclude con una curiosa ed inquietante
citazione di Spinoza:
“la
paura non può esistere senza la speranza e nemmeno la speranza senza la paura”.
Insomma,
grazie alla paura, seminata a piene mani in questi 15 mesi, le priorità saranno
salute e star bene, per quel che riguarda il resto, e cioè che non si arrivi
alla tecno-dittatura, confidiamo nei governanti, dei quali, notoriamente,
possiamo fidarci ciecamente . Insomma, continuate a spaventarli e vedrete che
accetteranno tutto.
(Paolo
Ospici).
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