La fabbrica dei sogni “politicamente corretti.”
La fabbrica dei sogni “politicamente corretti.”
ilpost.it-
Redazione- (11 novembre 2021)- ci dice :
La
parola finita in prima pagina su Repubblica indicava un atteggiamento
consapevole delle ingiustizie sociali, ma oggi ha una connotazione spesso
dispregiativa e sarcastica.
( Una
protesta di Black Lives Matter a Londra nel 2020).
Nell’ampio
dibattito che ha interessato i paesi anglosassoni negli ultimi anni sulle
rivendicazioni delle cosiddette minoranze, che si parli di orientamento
sessuale o identità di genere, di origini etniche o di disabilità, sono emerse
diverse nuove parole che hanno poi cominciato ad affiorare nelle discussioni anche
in Italia, prima nelle nicchie e poi in modo sempre più trasversale.
Giovedì per esempio Repubblica ha pubblicato in prima
pagina un editoriale del giornalista statunitense Bret Stephens, che era uscito
pochi giorni prima sul New York Times, dal titolo “Perché l’ideologia woke
fallirà”.
L’articolo
dà per inteso il significato di woke, una parola che in realtà non si è
mai davvero affermata nel dibattito italiano, nel quale solitamente si fa
ricorso ad altre espressioni che rientrano più meno nello stesso campo
semantico, come “politicamente corretto” oppure “cancel culture”. Peraltro, negli stessi Stati Uniti
l’aggettivo
woke e il sostantivo wokeness sono parole sempre meno usate, se non con una chiara
connotazione dispregiativa: a complicare ulteriormente la spiegazione non solo
del suo significato, ma anche degli sviluppi nelle sue accezioni e usi.
“Woke” non è davvero traducibile in
italiano – vuol dire qualcosa come “consapevole” – ma indica, o almeno indicava
originariamente, l’atteggiamento di chi presta attenzione alle ingiustizie
sociali, legate
principalmente a questioni di genere e di etnia, e non ne rimane indifferente,
solidarizzando ed eventualmente impegnandosi per aiutare chi le subisce.
Nel
Novecento l’espressione “woke” esisteva già ed era usata soprattutto tra gli
afroamericani, sia con l’accezione di “stare all’erta” rispetto a un pericolo,
sia con quella più generica di essere a conoscenza di qualcosa.
La sua
diffusione col significato attuale però risale allo scorso decennio, quando fu usata nell’ambito delle
proteste di Black Lives Matter per esprimere il concetto a cui è stata poi
associata negli ultimi anni: cioè la consapevolezza su una serie di questioni e problemi
legati al razzismo e al sessismo sistemico – nel senso di radicati nelle
istituzioni e nelle dinamiche sociali – della società americana (e per
estensione di quelle occidentali).
Un
termine quindi con un’accezione positiva, per chi lo usava riferendosi a un
obiettivo e un’ambizione: si definivano woke per esempio le persone – perlopiù della
cosiddetta generazione dei “millennial”, cioè i nati tra gli anni Ottanta e
l’inizio dei Novanta – che facevano attivismo in piazza e sui social network,
che partecipavano alle proteste antirazziste o alle marce per i diritti delle donne,
che sensibilizzavano sull’importanza di utilizzare un linguaggio rispettoso e
inclusivo per riferirsi alle minoranze.
Man
mano che la diffusione della parola è uscita dalle proteste di Black Lives
Matter, ha iniziato a essere usata in altri modi.
Con l’aumentare
del coinvolgimento dei giovani americani nelle battaglie per i diritti, woke è
diventata un’espressione riferita spesso a persone che sono considerate
“alleate” delle minoranze ma che appartengono a categorie identitarie ritenute
in una posizione di maggiore potere.
Per
esempio perché bianche, di sesso maschile, eterosessuali, cisgender (cioè che
si riconoscono nel genere associato al sesso di nascita) o ricche, tutte caratteristiche che nell’ambito
dei discorsi su questi temi vengono associate spesso al concetto di
“privilegio”, inteso come vantaggio nella società contemporanea occidentale.
Più
recentemente, però, woke è diventata sempre meno una parola rivendicata dalle
persone che teoricamente dovrebbe descrivere, e sempre più usata invece dai
loro critici e dai conservatori americani per indicare quella che considerano
una pericolosa tendenza della sinistra, dei progressisti e più in generale dei
Democratici.
Con woke, cioè, la destra americana intende
solitamente quello che identifica come un atteggiamento di dogmatismo
intollerante e censorio, applicato nei confronti delle parole e delle idee che vanno
contro le più moderne sensibilità sulle questioni delle minoranze e dei diritti
civili.
Woke
quindi è diventato un termine perlopiù negativo, usato con l’intento di
ridicolizzare e attaccare i movimenti giovanili progressisti, associandoli alle
loro espressioni più intransigenti e aggressive, presenti principalmente sui
social network.
Per
esempio le campagne portate avanti in diversi campus universitari americani per
allontanare professori accusati – spesso pretestuosamente o ingiustamente – di
aver usato parole offensive, oppure quelle che chiedono il licenziamento di
personaggi pubblici di vario tipo per via di dichiarazioni considerate controverse,
o che mobilitano grandi e bellicose masse di account contro qualcuno che abbia
detto una cosa considerata disdicevole rispetto alle suddette sensibilità.
Queste
dinamiche, che sono oggetto di riflessioni e studi anche preoccupati,
soprattutto in ambito accademico, fanno più precisamente riferimento al
fenomeno della “cancel culture”, e sono legate secondo molti non tanto all’impostazione
ideologica woke quanto alle modalità con cui le piattaforme dei social network
hanno reso il confronto tra idee diverse spesso violento, intollerante e
polarizzato.
Questi
aspetti non sono soltanto discussi e criticati dai conservatori, tutt’altro: è in corso un vivace dibattito anche
tra progressisti e persone di sinistra sui problemi che derivano da questo tipo
di approccio al confronto politico e alla ricerca accademica.
Anche
tra opinionisti liberal, la parola woke viene talvolta usata per riferirsi
genericamente a questo atteggiamento ritenuto in contrasto con i valori di
tolleranza e dialogo a cui si ispira storicamente la sinistra.
Ma
insieme all’intenzione offensiva, negli Stati Uniti i principali utilizzatori
del termine woke oggi se ne servono anche spesso come strumento di propaganda e
polemica, evocando con un termine efficace un pericolo disegnato come
universale e prevalente, “un’ideologia” estremista che governerebbe il pensiero
progressista.
È una minaccia che sfrutta la particolare e minacciosa
visibilità degli atteggiamenti e dei toni aggressivi e perentori usati nelle
polemiche virali sui social network, e ha permesso in più occasioni di
mobilitare il complesso di persecuzione e la reazione di parte dell’elettorato
conservatore (una pratica di comunicazione simile è quella, familiare anche in
Italia, attivata
dai predicatori contro “la teoria gender”).
Nel
suo editoriale tradotto da Repubblica, Stephens usa la parola woke in senso
evidentemente dispregiativo. È un autore conservatore, i cui interventi sul New York Times
sono stati spesso contestati, e tra le altre cose è noto per le sue posizioni scettiche
riguardo alle responsabilità dell’uomo nella crisi climatica.
Nel
suo editoriale, dice in sostanza che quella che chiama “ideologia woke” non
avrà successo in quanto movimento che «distrugge, divide gli americani, rifiuta
e sostituisce i valori fondanti della nostra nazione», e che agisce «in modo prescrittivo, non per
un vero dibattito o una vera riforma ma per indottrinamento e sradicamento».
Stephens
se la prende in particolare con la “critical race theory”, una teoria accademica che interpreta la
storia, la cultura e le strutture politiche statunitense indagandone il ruolo
nel razzismo sistemico della società.
Da tema di nicchia, recentemente la “critical race theory” è diventata effettivamente un punto
importante della campagna elettorale per il governatore dello stato della
Virginia.
I
Repubblicani l’hanno usata come spauracchio, distorcendola e ingigantendola e
insistendo sulle intenzioni dei Democratici di introdurla nelle scuole. Secondo alcuni analisti, questo
aspetto della campagna elettorale ha effettivamente avuto un ruolo nell’esito
delle elezioni, vinte dai Repubblicani, per quanto ci siano opinioni
discordanti su quanto sia stato effettivamente determinante.
All’editoriale
di Stephens ha risposto il giorno dopo Charles Blow, editorialista del New York
Times di orientamento liberal (liberal Dem Usa), che ha scritto che «la wokeness è stata descritta nei modi
più iperbolici immaginabili, da ideologia a religione a culto» e per questo è stata abbandonata dai
giovani che la usavano, ed è oggi prerogativa principalmente di chi vuole
ridicolizzarla sottolineandone certi aspetti contraddittori, difficilmente
comprensibili, elitari.
In
ogni caso, perlomeno quando non aveva ancora una connotazione così
politicizzata, anche l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama aveva criticato
alcuni aspetti dell’atteggiamento di chi «si sente sempre politicamente woke»,
e ha «quest’idea di purezza, che non si debba mai scendere a compromessi». Aveva invitato i giovani a superare
questo approccio:
«Il
mondo è incasinato, ci sono ambiguità, le persone che fanno cose molto buone
hanno dei difetti, le persone contro cui combattete possono amare i loro figli
e avere cose in comune con voi. Penso che un pericolo che vedo nei giovani e in
particolare nei campus, accelerato dai social media, è l’idea che il
cambiamento passi attraverso l’essere il più giudicante possibile verso le
altre persone, e che questo basti.
Se
twitto o uso un hashtag su come hai fatto qualcosa di sbagliato, o hai usato la
parola sbagliata, allora posso sedermi e sentirmi molto bene con me stesso
perché avete visto quanto sono woke?
Ti ho sgridato. Non è attivismo. (…) Se tutto quello che fai è lanciare
pietre, probabilmente non vai molto lontano. È facile fare così.
“Woke
supremacy”, la nuova
deriva
della sinistra liberal Usa.
It.insideover.com-
Roberto Vivaldelli- (11 GIUGNO 2021)- ci dice :
A far
tornare di moda il termine “woke” – nel senso di “essere consapevoli”, “ben
informato” – è stato senza ombra di dubbio il movimento antirazzista Black
Lives Matter, ma la sua origine è un po’ più complessa.
Come
spiega La Repubblica, dal punto di vista grammaticale, woke è semplicemente il passato del
verbo to wake: svegliare. Politicamente, evoca l’idea di un risveglio di stampo
progressista:
la “consapevolezza di problemi sociali e
politici come il razzismo e la diseguaglianza”, secondo un dizionario dello
slang di Washington. Secondo una definizione dell’Urban Dictionary, la “woke supremacy” riportata da
Newsweek è la convinzione che le persone “woke” siano “superiori a quelle di
tutte le altre razze, in particolare quelli che appartengono alla razza nera” e
dovrebbero “quindi dominare la società”.
Woke,
la parola chiave dei progressisti liberal Usa.
Come
spiega Fox News, Merriam-Webster ha aggiunto la parola al suo dizionario nel
2017, definendo la persona “woke” come “consapevole e attivamente attenta a
fatti e questioni importanti (in particolare questioni di giustizia razziale e
sociale).”
Il
dizionario di Oxford l’ha adottata lo stesso anno, definendo “woke” come
“originariamente, ben informato, aggiornato. Ora principalmente, attento alla
discriminazione e all’ingiustizia razziale o sociale”.
“La
parola woke si è intrecciata con il movimento Black Lives Matter; invece di
essere solo una parola che segnalava la consapevolezza dell’ingiustizia o della
tensione razziale, è diventata una parola d’azione”, secondo Merriam-Webster.
Di
fatto, “woke” è diventata la nuova parola d’ordine della sinistra progressista
internazionale, la stessa sinistra liberal che negli Stati Uniti ha
abbracciato, negli ultimi decenni, la politica dell’identità, ma soprattutto
quella che secondo l’illustre politologo Francis Fukuyama ha deciso di esaltare
“particolari forme di identità” anziché “costruire solidarietà attorno a vaste
collettività come la classe operaia o gli economicamente sfruttati”, e si è
concentrata “su gruppi sempre più ristretti che si trovano emarginati secondo
specifiche modalità”. Da qui la guerra culturale e identitaria che sta
dividendo la società americana in “tribù” – etniche, di genere – in
competizione fra loro.
La
Woke supremacy é evocata dal senatore repubblicano Tim Scott.
Benché
si tratti di un’espressione piuttosto vaga ritornata in auge negli ultimi anni
grazie alla popolarità di Black Lives Matter, l’essere “woke” non è una novità
assoluta per la sinistra mondiale, anzi: è la solo versione più moderna e
modaiola di quell’antico vizio di molti attivisti di sinistra, i quali credono
– spesso a torto – che le loro opinioni siano più importanti, significative e
intelligenti di chi la pensa diversamente, il vecchio mantra della superiorità
morale – e culturale – della sinistra rispetto alla destra conservatrice.
Quella
intollerabile spocchia che il senatore repubblicano di colore Tom Scott ha
definito “Woke
Supremacy”.
Scott ha coniato la geniale espressione rispondendo alle osservazioni Joy Reid
di MSNBC, secondo
il quale il senatore stava presenziando a una conferenza stampa del Gop
solamente per “dare una patina di diversità al partito”.
Ospite
di Trey Gowdy su Fox News, Scott ha sottolineato che “la woke supremacy è un male tanto
quanto la supremazia bianca” E ha esortato le persone a leggere un versetto del vangelo
Matteo 5:44, che insegna ad amare i propri nemici. In un editoriale pubblicato sul
Washington Post, Scott ha spiegato che la woke supremacy “è l’intolleranza
della sinistra ‘tollerante’ per il dissenso. È una concezione progressiva della
diversità che non include la diversità di pensiero. È una discriminazione
falsamente spacciata come inclusione” spiega Scott.
Il
senatore di colore della Carolina del Sud, eletto per la prima volta nel 2013,
ha sottolineato che questa supremazia continuerà a dividere gli Stati Uniti “o
possiamo scegliere di creare pari opportunità e accesso al sogno americano per
tutti”.
La reazione della sinistra alle sue parole è
stata piuttosto scomposta: l‘editorialista liberal del Washington Post, Jonathan
Capehart, lo ha definito uno “sciocco” e complice nel mettere a tacere le voci
che chiedono giustizia razziale, mentre il collega del Post Colbert King ha scritto che Scott era “la prova vivente che né la
diversità razziale né quella di genere sono garanti dal progressismo.”
Un
altro editorialista liberal, Leonard Pitts, ha affermato che l’osservazione di
Scott era “profondamente stupida”. Commenti che, di fatto, danno ragione proprio al
senatore di colore. Non a caso, nell’ambiente conservatore, l’espressione “woke supremacy” viene
ora associata al fenomeno della “cancel culture” e, in generale, a chi vuole
tappare la bocca all’avversario politico.
Così
il mondo dell’intrattenimento
si
ribella alla dittatura “woke.”
It.insideover.com- Roberto Vivaldelli-(2 GIUGNO 2022)- ci dice :
Le
grandi società statunitensi si stanno rendendo sempre più conto che seguire i
dormi dell’ideologia “woke” non conviene. Accontentare una piccola fetta di
spettatori fortemente ideologizzati, con la paura di finire nel mirino della
cancel culture e dei relativi boicottaggi, non convince quella maggioranza silenziosa di
americani che non intendono bersi la propaganda progressista sulle minoranze.
Il caso di Netflix è emblematico: “troppo woke” e
“inguardabile” secondo Elon Musk, che aveva così definito la piattaforma
streaming lo scorso aprile, quando il titolo azionario è crollato del 35,1%
sulla borsa di New York a causa degli ultimi dati diffusi circa il calo delle
sottoscrizioni ai servizi di streaming dell’azienda, pari a 200 mila unità in
meno tra gennaio e marzo.
Certo, il problema principale è – soprattutto
– l’affiorare di una concorrenza sempre più spietata, partendo da Disney+ ed
Amazon Prime Video fino a per Apple Tv, ma di sicuro i titoli “inclusivi” non
hanno aiutato Netflix a superare le turbolenze (basti pensare al flop fragoroso
di Troy, Fall of a city”, con il famoso Achille nero).
Netflix
sfida l’ideologia “woke”.
E così
la società ha deciso di cambiare rotta, prima difendendo il celebre Dave
Chappelle dalle accuse di “transfobia”, poi invitando i dipendenti a
licenziarsi, se non gradiscono la nuova “linea editoriale” della piattaforma,
che ora vuole premiare la libertà artistica, contro l’oppressione woke.
Come
già sottolineato dal Giornale.it, infatti, il gigante dello streaming ha invitato i suoi dipendenti a lasciare
l’azienda se si sentono offesi dai contenuti che Netflix sta producendo.
L’azienda
osserva che intrattenere il mondo è “un’opportunità straordinaria” e anche una
sfida perché gli spettatori hanno “gusti e punti di vista” molto diversi. Il gigante dello streaming offre
dunque una “varietà di programmi TV e film, alcuni dei quali possono essere
provocatori”, si legge nella nuova sezione. “Per aiutare gli utenti a fare
scelte informate su cosa guardare, offriamo valutazioni, avvisi sui contenuti e
controlli parentali facili da usare”.
(La cancel culture
esiste, ed è un problema.
La furia della
cancel culture contro i Padri Fondatori.
I crociati del
politicamente corretto.
La visione di Ted
Sarandos in difesa della libertà.)
L’ultimo
a finire sulla graticola della correttezza politica è il geniale Ricky Gervais,
che nel suo spettacolo Super-nature in onda su Netflix ha deciso di non
risparmiare nessuno dal suo caustico umorismo.
Nemmeno
quelle minoranze – transgender, Lgbtq- che si sentono intoccabili e non
ammettono che un comico possa scherzare su di loro, per nessun motivo.
Le
battute di Gervais, manco a dirlo, sarebbero “transfobiche” e intolleranti, quando l’unica grave forma di
intolleranza sembra essere proprio quella delle minoranze.
Anche in questo caso Netflix ha deciso di
difendere l’artista, segnando un’ulteriore inversione di tendenza rispetto al
passato. In
un’intervista rilasciata al New York Times, il ceo di Netflix, Ted Sarandos, ha
affermato che i comici possono testare i confini solo “attraversando il limite
ogni tanto”. Ha poi aggiunto: “Credo che sia molto importante per la cultura americana in
generale garantire la libertà di espressione. Abbiamo in programma prodotti per
molte persone diverse che hanno opinioni diverse e gusti e stili diversi.
Vogliamo qualcosa per tutti, ma non tutto sarà per tutti”.
Il
capo di Netflix ha aggiunto che la decisione di continuare a lavorare con
Chappelle non è stata difficile. “Dave è, in ogni caso, il comico della nostra
generazione, sicuramente il comico più popolare di Netflix”, ha detto
entusiasta. “Nessuno direbbe che quello che fa non è premuroso o intelligente.
Semplicemente puoi non essere d’accordo con lui”. Una presa di posizione fondamentale a difesa della libertà d’espressione,
sempre più minacciate dalla follia progressista, quella dei libri spediti al rogo,
delle statue che vengono vandalizzate e buttate giù, del totalitarismo della
cultura della cancellazione.
“Se
censuriamo negli Stati Uniti, come difenderemo i nostri contenuti in medio
oriente?” si chiede infatti Sarandos.
Una
questione di libertà di espressione e di parola perché come scrive Andrea
Indini su IlGiornale.it, difendere oggi comici, come Dave Chappelle o Ricky
Gervais, significa difendere la nostra libertà di domani.
DALLA
GERMANIA- Woke: quando
il
politicamente corretto
è
l’anticamera della dittatura.
Ilsussidiario.net-
(15.04.2021)
- Edoardo Laudisi- ci dice :
A
Berlino pubblicata una guida politically correct sull’inclusione per i
dipendenti pubblici. Le differenze non omologate non sono più tollerate.
(Una
manifestazione “Lgbt” a Colonia).
DA
BERLINO – Recentemente il Senato di Berlino a maggioranza rosso-rosso-verde ha
pubblicato una guida per i dipendenti pubblici che dispone l’uso corretto della
lingua, in modo da renderla più inclusiva. La guida di 44 pagine fa parte di un
programma nazionale sulla diversità, che mira a formare i dipendenti degli
uffici pubblici per renderli in grado di comunicare con le persone
indipendentemente dal loro sesso, origine etnica o colore della pelle, età,
disabilità, religione, ideologia e identità sessuale.
L’Ufficio
statale per la parità di trattamento contro la discriminazione, con sede presso
l’ufficio del senatore della giustizia Dirk Behrendt (Verdi), si è occupato di
stilare il regolamento.
Alle
linee guida, che istruiscono sui corretti comportamenti ai quali il funzionario
dovrà attenersi per essere più inclusivo, è allegata una lista con le parole da
evitare o sostituire con termini politicamente corretti.
Le
persone con un background migratorio, ad esempio, diventano “persone con una storia di
migrazione” o “persone con una storia internazionale”.
Non si
potrà più dire “stranieri”, ma piuttosto “residenti senza cittadinanza tedesca”. Anche il termine “richiedente asilo”
dovrà essere sostituito perché fuorviante. Infatti esiste un diritto fondamentale
all’asilo e quindi per chiarire il concetto e fissarlo bene nelle menti va
usato il termine corretto di “persona avente diritto alla protezione”.
Secondo
gli autori della neolingua impiegatizia, nero (schwarz in tedesco) non è la
descrizione di un colore della pelle, ma la definizione politica di
“persona che subisce il razzismo”. Per renderlo più chiaro, la “s” di schwarz va scritta
rigorosamente in maiuscolo, come se fosse un sostantivo e non un aggettivo.
Inoltre,
termini come “colorato” o “pelle scura” sono banditi, a causa del loro
significato razzista, coloniale e discriminatorio.
In questo contesto l’espressione “fare il portoghese”, che in tedesco si dice comunemente schwarzfahren, cioè viaggiare in nero, non si può
nemmeno pensare e va cancellata dalle menti e rimpiazzata con la meno colorita
“viaggiare senza un biglietto valido”.
Più
avanti le istruzioni si avventurano in quella specie di labirinto di Cnosso che
sono le espressioni dell’identità di genere, dedicandovi ben undici delle 44
pagine.
Qui i dipendenti statali berlinesi vengono
istruiti su
concetti come “desiderio sessuale indipendente dal genere” e termini come
“cissessualità”.
Il
prefisso “cis” indica che una persona “vive secondo il genere assegnato alla
nascita”,
cioè che gli uomini si sentono uomini e le donne donne, cosa per nulla scontata
nel terzo millennio, mentre con il termine pansessualità vengono prese in
considerazione anche le persone transgender e intersessuali, nonché le persone
“non binarie”.
La
ragione di questo accanimento linguistico è un principio caro alla
programmazione neurolinguistica, che mira a rieducare i comportamenti
rimodellando il linguaggio. Opinioni e azioni sono influenzate e guidate dal
linguaggio: agendo su di esso con un meccanismo di ricompensa (far parte dei
buoni) / punizione (essere escluso dalla vita sociale), si può cambiare
l’impronta culturale di un individuo e, se si fanno le cose in grande, di una
società. Per
ottenere l’effetto desiderato, però, la tecnica ha bisogno di una entrata che
tutti possano accogliere a braccia aperte.
Molti
sottovalutano la natura e gli obiettivi di quella che è a tutti gli effetti una
ideologia importata in tempi relativamente recenti dagli Stati Uniti e il suo
metodo invasivo di fare propaganda.
Funziona
così: inizialmente si genera un’approvazione spontanea da parte del pubblico
tendenzialmente progressista, avanzando delle richieste che tutti possono solo
accettare, come l’antirazzismo o l’anti-sessismo.
Dopodiché,
una volta che il pubblico ha associato gli attivisti con la categoria morale di
causa buona e giusta, accogliendoli come i difensori degli oppressi, si apre il
cavallo di Troia e zac, saltano fuori una serie interminabile di teorie estremiste, prevaricatorie,
razziali, intolleranti, violente o semplicemente assurde come quella che nega
la base biologica dei sessi.
A
questo punto il sottoscrittore progressista va in confusione: non aveva dato il
suo consenso per tutta quella roba, però non si può tirare indietro, perché la
causa è pur sempre buona e giusta e poi hanno aderito tutti. Incapace di opporre ragionamenti
critici, l’anima in pena finisce per affidarsi ai precetti politicamente
corretti, esattamente come un tempo si affidava alla verità divulgata dal
partito.
(Chi
segue il politamente corretto è in definitiva …un nazista!Ndr.)
Un
esempio pratico serve a chiarire. Prendiamo gli Antifa, un gruppo di attivisti sedicenti
antifascisti presente in tutte le grandi città del mondo occidentale. Nessuno può seriamente avere
qualcosa contro le persone che si oppongono al fascismo. Che l’Antifa, tuttavia, emuli di
volta in volta ideali collettivisti o sovversivi, perseguiti chiunque la pensi
in modo diverso proprio come un nazifascista, compia atti violenti contro cose
e persone e non solo rifiuti l’ordine di base democratico, ma lo combatta
apertamente, ha poco a che vedere con l’antifascismo e molto con la criminalità
urbana.
Ma
siccome in fondo si tratta di bravi ragazzi che combattono contro i cattivi,
beh, si può sempre chiudere un occhio e magari anche due.
Nel
suo libro “L’opinione
pubblica e i suoi nemici “Bernd Stegemann, drammaturgo al teatro Berlin Ensemble e
professore di Storia del teatro presso la scuola di recitazione Ernst Busch di
Berlino, sostiene
che il movimento americano Woke, i risvegliati, che si occupa di questioni
identitarie, di giustizia sociale, razziale – Black life matters – e
discriminazioni contro la comunità Lgbt, stia “cercando eventi sui quali
mettere in scena la propria indignazione”.
Secondo
Stegemann, non
c’è l’intenzione di migliorare la società, ma quella di rappresentare uno
scandalo che aumenti i sostenitori del gruppo facendo vergognare gli altri.
“Solo
una parte esigua dell’opinione pubblica è ancora interessata a questioni serie
trattate con ragionamenti razionali”, scrive Stegemann. “Per contro, il clamore sui temi
della razza e del genere ha raggiunto vette altissime”.
I sostenitori della politica identitaria
vogliono che i gruppi umani siano ancora una volta differenziati in base alle
caratteristiche di sesso, genere, colore della pelle, etnia, origine e
religione.
Per loro non si tratta di uguaglianza, ma di
trattamento preferenziale.
La “Generation
Offended”, come la definisce la pubblicista e regista francese Caroline
Fourest, vorrebbe passare dalla polizia di stato alla polizia del pensiero.
Pochi
media si oppongono a questa tendenza e l’impressione è che nella società
contemporanea la libertà di espressione, la libertà di stampa e le capacità
individuali siano meno importanti delle battaglie per la corretta morale.
E allora ecco la smania di purificazione dei discepoli
risvegliati che scrutano i social media per trovare tracce di un razzista, sessista,
fascista e punirne i peccati.
Gli
articoli di fede degli svegliati (WOKE) non possono essere discussi, sono
verità rivelate. I critici sono razzisti, sessisti o malvagi. Quindi devono essere messi a
tacere, per il momento con shit storms organizzati ad arte, in futuro chissà.
Per
fortuna la politica identitaria alla base del fenomeno Woke inizia a trovare
degli oppositori.
Intellettuali
come lo scrittore britannico Douglas Murray o gli accademici afroamericani
Glenn Loury, Coleman Hughes e John McWhorter, il matematico James Lindsay, il
filosofo Peter Boghossian o lo psicologo canadese Jordan Peterson, ad esempio. In generale nei paesi anglosassoni la
critica all’ossessione identitaria è più articolata rispetto all’Europa
continentale, dove però iniziano ad alzarsi voci di dissenso. Una di queste è
del drammaturgo berlinese Bernd Stegemann citato prima.
In un
passaggio della sua “Storia della filosofia”, Bertrand Russell si sofferma
sulle discussioni estenuanti dei dotti patristici intorno alla natura delle
entità spirituali, mentre intorno a loro l’Impero romano andava in frantumi. Il filosofo britannico sospende per
un attimo la sua indagine filosofica e annota laconicamente come invece di
discutere di sesso degli angeli, costoro avrebbero fatto meglio a impiegare le
loro energie per provare a riformare l’Impero romano.
Il
servizio sanitario britannico
chiude
la clinica Tavistock che
sfornava
bambini transgender.
tempi.it-
Caterina Giojelli -(30 Luglio 2022)- ci
dice :
(Salute
e bioetica).
Un'indagine
definitiva conferma tutti i timori e le denunce di medici e pazienti. La gender
clinic di Londra che somministrava farmaci sperimentali a migliaia di minori
sarà smantellata.
Entro
la primavera il Gender Identity Development Service (Gids) della Tavistock & Portman di Londra non esisterà più: dopo
avere avuto accesso alle cartelle cliniche degli oltre 9 mila minori curati per
disforia di genere negli ultimi dieci anni, il team di esperti guidato dalla
pediatra in pensione Hilary Cass ha messo la parola fine all’incubo di Keira
Bell e migliaia di ragazzini bollati come transgender e costretti a «un
percorso tortuoso e inutile, permanente e che cambia la vita»: «L’attuale modello di cura – scrive
Cass – espone i ragazzi a un rischio considerevole di disagio mentale e non
rappresenta un’opzione sicura né praticabile a lungo termine».
L’inchiesta
definitiva contro la Tavistock.
Davanti
alle prove schiaccianti raccolte dagli esperti sulla quantità indescrivibile di
trattamenti sperimentali ormonali prescritti ai bambini al di fuori dei
consueti standard clinici e di tutela, il servizio sanitario inglese ha
finalmente deciso:
il Gids verrà chiuso, i suoi servizi verranno
trasferiti ai centri regionali supervisionati dai principali ospedali
pediatrici, come Great Ormond Street e Alder Hey.
Ma ci
sono voluti più di tre anni, le dimissioni di massa di molti medici, le denunce
dei pazienti in tribunale, le prime pagine del Times per porre fine al furto
dell’infanzia e alla mercificazione dei corpi dei minori (cinquemila pazienti
nel 2021, erano 250 solo dieci anni prima): «È in atto un esperimento di massa
sui bambini, i più vulnerabili».
Tra di
loro, Keira Bell, la ragazzina che a soli 16 anni e nel giro di tre soli
appuntamenti, si trovò ad assumere bloccanti della pubertà, poi iniezioni di
testosterone e a vent’anni a subire una doppia mastectomia. Fino a realizzare
che ad essere sbagliato non era il suo corpo e decidere di ricorrere con tanti
altri detransitioners come lei all’Alta Corte inglese contro la clinica.
(Il servizio
sanitario britannico chiude la clinica che sfornava bambini transgender
30 Luglio 2022.
La chiesa del Sacro
Cuore di Maria a Boulder, Colorado, vandalizzata con slogan pro aborto
Se il mito dell’autodeterminazione
diventa violento.
24 Luglio 2022.
Il dottor Bell: «Non
potevo far finta di niente».)
Lo
scandalo della Tavistock era venuto alla luce alla fine del 2018, quando un rapporto
sui metodi discutibili del Gids steso dallo psichiatra e psicanalista David
Bell, responsabile dei servizi per gli adulti presso la Tavistock (che lo
ostacolò e sanzionò in tutti i modi), era arrivato ai giornali.
Tempi
aveva ripercorso l’intera vicenda qui: dieci medici (un terzo dei clinici alle
prese con i bambini avviati alla clinica) avevano bussato alla porta del
luminare più anziano per chiedere aiuto.
Al
Gids, spiegavano, i bambini erano sempre più provati, e non sempre
condividevano il senso di urgenza dei genitori. I loro capi liquidavano come
“casi semplici” quelli di piccoli pazienti a cui diagnosticare immediatamente
la disforia di genere e somministrare di default bloccanti della pubertà e
ormoni sessuali incrociati.
Alcuni
piccoli erano stati avviati al trattamento dopo due soli appuntamenti, bollati
come trans, e da allora mai più seguiti.
Secondo i medici il Gids stava inoltre
arruolando troppi psicologi inesperti (e poco costosi). Il caso più grave riguardava un
bambino, spedito da un endocrinologo per iniziare il trattamento a soli 8 anni.
«Non potevo far finta di niente», raccontò Bell al Guardian.
«Volete
un figlio vivo o una figlia morta?».
Quell’anno
in 18 si licenziarono per “ragioni di coscienza” («questo trattamento
sperimentale viene effettuato non solo sui bambini, bensì su bambini molto
vulnerabili, che hanno avuto problemi di salute mentale, abusi, traumi
familiari. Ma a volte questi fattori vengono semplicemente insabbiati»,
raccontarono al Times) seguendo l’esempio dello psicanalista Marcus Evans, il
primo a contestare ciò che la clinica propinava come “trattamento reversibile”
a minori con disturbi dello spettro autistico, nonché a genitori, già convinti
da attivisti, celebrità ed influencer che la transizione fosse cosa normale,
facile e indolore.
L’inchiesta
del Times fece tremare il Regno Unito: i medici denunciarono le pressioni della
clinica per avviare al percorso di transizione il più gran numero di bambini
possibile dopo sedute di sole tre ore.
Nella
fretta di accettare e celebrare la nuova identità transgender venivano ignorate
storie familiari complesse, di ragazzi gay o autistici diagnosticati di default
come “transgender”, avviati ai bloccanti ormonali a partire dai sedici anni.
E raccontarono come le charity transgender avessero avuto responsabilità fondamentali
nel promuovere tra madri e padri la transizione di genere come unica “cura” per
i loro figli, citando la potentissima Mermaids: «Mermaids dice sempre ai genitori che
è una questione di vita o di morte. “Preferiresti un ragazzo vivo o una ragazza
morta?”: la narrazione di Mermaids è ovunque».
«Un
esperimento dal vivo e non regolamentato sui bambini».
Molti
professori e colleghi si unirono ai medici, editoriali affrontarono il tema
della pericolosità dell’uso off-label dei farmaci, «un esperimento dal vivo non
regolamentato sui bambini».
L’inchiesta
sui servizi di riassegnazione aprì diversi contenziosi in tribunale, Tavistock
diventò il centro di un’intensa attività di ispezione e monitoraggio da parte
del ministero della Sanità, intervenne anche la politica.
Lo
scorso anno un rapporto della Care Quality Commission bollò il Gids come
«inadeguato», il punteggio più basso che può ottenere un operatore sanitario. Nel rapporto si denunciava la
mancanza di registri, l’assenza di numeri, documenti di consenso dei pazienti,
le valutazioni sommarie, liste di attesa assurde: 4.600 i giovani che si
dicevano transgender cercavano di prenotarsi per un appuntamento.
Il
rischio di avere interrotto lo sviluppo cerebrale dei bambini.
Eppure
la verità è alla fine venuta a galla ed è ancora più terribile di quella che
lasciavano immaginare le inchieste. Non solo nel rapporto di Cass – qui
ben ripreso nei suoi passaggi più importanti dallo Spectator – si evince che
per anni l’Nhs ha trattato bambini vulnerabili, angosciati e incerti sul loro
genere, come transgender e con farmaci che avranno un impatto irreversibile
sulla loro vita, senza sapere se quei farmaci potessero produrre i risultati
attesi o, al contrario, rendere loro più difficile risolvere disagi e
incertezze. Non solo i bloccanti della pubertà potrebbero aver avuto l’effetto
opposto a quello che è stato così strenuamente rivendicato.
Ma: «Un
ulteriore motivo di preoccupazione è che gli aumenti di ormone sessuale in
adolescenza potrebbero innescare l’apertura di una fase critica per la
rimappatura sulla base dell’esperienza dei circuiti neurali responsabili della
funzione esecutiva (ossia la maturazione della parte del cervello coinvolta nel
pianificare, prendere decisioni e giudicare). Se le cose stanno così, la
maturazione del cervello potrebbe essere temporaneamente o permanentemente
interrotta dai bloccanti della pubertà, cosa che potrebbe avere un impatto
significativo sulla capacità di assumere decisioni complesse che comportano
rischi, così come possibili conseguenze neuropsicologiche nel lungo periodo. A
oggi, sono state condotte ricerche molto limitate sull’impatto di breve, medio e
lungo periodo dei bloccanti della pubertà sullo sviluppo neuro-cognitivo».
In
altre parole una revisione dell’Nhs ha dimostrato che i farmaci che lo stesso
servizio sanitario ha somministrato ad alcuni bambini possono interrompere lo
sviluppo cerebrale e lasciarli ancora meno in grado di prendere decisioni
complesse. Tali
farmaci potrebbero avere conseguenze a lungo termine per il funzionamento
mentale dei bambini a cui sono stati somministrati.
Tre
anni di «paura di essere accusati di transfobia».
«Tutto
ciò solleva molte domande tristi – scrive lo Spectator -. Eccone solo due. Data la mancanza di prove a sostegno
dell’uso dei bloccanti della pubertà e la quantità di preoccupazioni sollevate,
perché ci è voluto così tanto tempo prima che le incertezze e i rischi legati
al loro uso fossero ufficialmente riconosciuti? In quale altro contesto le
autorità responsabili – mediche, governative e politiche – sarebbero state così
lente a intervenire su un così scandaloso disprezzo per il benessere dei
bambini?».
Già
Bell, sconcertato dall’assenza di “teste rotolate” alla Tavistock dopo la sua
denuncia, si
era detto scioccato dalla riluttanza della sinistra ad occuparsi della
questione:
«Pensano che questo abbia a che fare con l’essere liberali, piuttosto che con
la preoccupazione per come vengono curati i bambini.
Mermaids
e Stonewall hanno fatto temere alle persone anche solo la possibilità di
ascoltare un altro punto di vista». «Ciò che conta è la verità. Ma la paura di
essere additato come transfobico ora prevale su tutto».
Il
Times: i bloccanti come le lobotomie per la cura delle malattie mentali.
«Quando
alla fine il servizio sanitario nazionale ha deciso di indagare, il rapporto
della dottoressa Hilary Cass è stato spaventoso – scriveva ieri il Times
sull’epilogo di una vicenda seguita dai suoi giornalisti per oltre tre anni -.
La
clinica non era riuscita a tenere registri accurati di tutti i bambini trattati
con ormoni dopo la loro crescita. Non c’è stato un monitoraggio a lungo termine
degli esiti, nessun tentativo di guardare ad altri fattori che influenzano il
benessere mentale e nessuna distinzione tra esperienza clinica e lo stridente
attivismo di coloro che hanno insistito sul fatto che i diritti dei trans
fossero soprattutto una questione di accettazione sociale e politica.
La scienza non dovrebbe mai essere prigioniera
dell’ideologia, né gli scienziati dovrebbero essere intimiditi per smorzare i
dubbi sulla pratica attuale.
La dipendenza della Tavistock dai bloccanti
della pubertà è stata paragonata alla mania del Ventesimo secolo per la cura
delle malattie mentali con le lobotomie. Si basa su poche prove cliniche ma
diventa una cura universale. I bambini sono soggetti a una miriade di fattori
che influenzano la loro salute mentale: anoressia, autolesionismo, isolamento e
relazioni interrotte.
La dismorfia corporea dovrebbe essere inserita
nel contesto dell’assistenza pediatrica generale, come sarà ora. Le
preoccupazioni per l’ottusa ideologia del Tavistock sono state a lungo
evidenziate dagli scrittori del Times. Finalmente il governo ha ascoltato».
In
Italia al Saifip del San Camillo di Roma opera indisturbato un istituto
“Gemello “ del Tavistock di Londra che applica anche oggi gli stessi
protocolli.
(L’Italia
è ancora uno scandalo : siamo rimasti
gli ultimi nuovi nazisti !Ndr).
La
cancel culture e
il
woke capitalism.
Rivistapaginauno.it- Giovanna Baer –( 3 Luglio-settembre 2021)- ci dice :
I
valori progressisti come strumento di branding delle imprese, il “radicalismo
sociale” e il “radicalismo economico”.
Il 7
luglio dello scorso anno un gruppo di giornalisti, scrittori e docenti
universitari (e fra loro alcune delle più celebrate menti del dibattito civile
americano, fra cui Noam Chomsky) ha pubblicato su Harper’s Magazine un
documento condiviso dal titolo” A letter on justice and open dibate” (“Una lettera sulla giustizia e la
libertà di dibattito”)) che ha fatto molto discutere.
La lettera parla di una dinamica esplosa sulla
scena pubblica americana solo in tempi recenti, ma i cui effetti – secondo i
firmatari – rischiano di paralizzare l’esercizio del libero pensiero. Le
istituzioni culturali statunitensi stanno in effetti affrontando un momento di
dura prova.
Le
proteste per la giustizia razziale di Black Lives Matter e in generale dei movimenti che
chiedono una maggiore uguaglianza e inclusione sociale sono riuscite a ottenere
grandi risultati (per esempio la riforma dei Corpi di polizia), ma hanno anche
“intensificato
una nuova serie di atteggiamenti morali e di impegni politici che tendono a
indebolire le nostre norme sulla libertà di espressione e di tolleranza delle
differenze in favore del conformismo ideologico”.
Il
libero scambio di informazioni e idee, la linfa vitale di una società liberale,
sta diventando ogni giorno più ristretto, sostituito, secondo i firmatari,
dall’intolleranza verso i punti di vista opposti, il facile ricorso alla
pubblica gogna e all’ostracismo, e la tendenza a dissolvere questioni politiche
complesse in un’accecante certezza morale.
“I
redattori vengono licenziati per aver pubblicato pezzi controversi; i libri
vengono ritirati per presunta inautenticità; ai giornalisti viene impedito di
scrivere su certi argomenti; i professori vengono indagati per aver citato
opere di letteratura in classe; un ricercatore viene licenziato per aver fatto
circolare uno studio accademico sottoposto a revisione paritaria; e i capi
delle organizzazioni vengono estromessi per quelli che a volte sono solo errori
maldestri. Qualunque siano le argomentazioni su ogni particolare incidente, il
risultato è stato quello di restringere costantemente i confini di ciò che può
essere detto senza la minaccia di rappresaglie”.
La
lettera si riferisce alla cosiddetta “cancel culture”, un termine che deriva dallo slang
afroamericano e si è diffuso su Black Twitter per significare la decisione
personale, talvolta seria, talvolta scherzosa, di ritirare il supporto dato in
precedenza a una persona o a una causa.
Intorno al 2015, il movimento femminista #MeToo ha fatto sua questa forma di protesta
e l’ha utilizzata nella sua battaglia contro i predatori sessuali, come Harvey Weinstein o Robert Kelly. Da allora, la cancel culture è vista,
soprattutto in prospettiva liberal Dem Usa , come lo strumento ideale per dar
voce alle minoranze (le donne, i singoli gruppi razziali, i movimenti lgbt,
ecc.), che
possono, attraverso l’enorme cassa di risonanza del web, denunciare abusi e
chiedere a coloro che detengono ricchezza, potere e privilegi di assumersi
finalmente le proprie responsabilità e rimediare alle ingiustizie.
Come
scriveva l’opinionista nera Danielle Butler nel 2018: “What people do when they invoke dog
whistles like ‘cancel culture’ is illustrate their discomfort with the kinds of
people who now have a voice and their audacity to direct it towards figures
with more visibility and power” . Purtroppo, i social media sono passati molto velocemente
dal chiedere responsabilità (accountability) a pretendere che i cattivi (reali
o immaginari) vengano puniti per le loro colpe (anche d’opinione)
immediatamente, in modo esemplare e senza contraddittorio.
Ligaya
Mishan del New York Times spiega che
l’azione di denuncia iniziale è deflagrata in una vasta gamma di interventi on
e off line (dalle minacce allo stalking, dall’ostilità all’intimidazione, per
arrivare in qualche caso addirittura alle lesioni personali) portati avanti nei
confronti di individui percepiti come “tossici” (cioè il cui pensiero o
comportamento viene ritenuto pericoloso da una determinata comunità di
individui), con l’obiettivo di convincere il presunto reo a fare ammenda e a
“non peccare più”, oppure a essere permanentemente bannato dai circoli sociali.
La cancel
culture, in altre parole, si è trasformata in una moderna caccia alle streghe.
Il 28
maggio dello scorso anno, David Shor, un analista politico, ha avuto l’idea di
pubblicare via Twitter una considerazione. Era passato poco tempo dalla morte di
George Floyd, e accanto a pacifiche proteste di massa si erano verificati molti
saccheggi e altri atti vandalici sia a Minneapolis che altrove.
Shor,
citando una ricerca del politologo di Princeton Omar Wasow, ha suggerito che la
reazione dell’elettorato moderato a questi gesti violenti avrebbe potuto aiutare
la rielezione di Trump .
Ari
Trujillo Wesler, la fondatrice di OpenField, una app di propaganda democratica
Dem Usa , lo ha subito accusato in una serie di tweet di essere “anti-nero”.
Il giorno seguente Shor si è scusato per il
tweet (e perché mai?, ci chiediamo) e tuttavia poco dopo è stato licenziato.
Shor
ha firmato un accordo di non divulgazione che gli impedisce di parlare
liberamente della vicenda, e Civis, la società per cui lavorava, non intende
commentare, ma la consecutio temporum degli avvenimenti non lascia spazio a
dubbi .
Emmanul
Cafferty è un uomo alto, calmo e muscoloso, sulla quarantina, nato e cresciuto
in una comunità operaia multirazziale a sud di San Diego, e lavorava come
autista per la San Diego Gas & Electric Company. Alla fine di una giornata
di lavoro del giugno 2020 stava guidando verso casa sul suo camioncino, con un
braccio fuori dal finestrino, quando una macchina l’ha pericolosamente superato
a un incrocio. Al semaforo successivo il guidatore lo ha aspettato e ha iniziato a
insultarlo facendogli il gesto che significa “ok” e fotografandolo con lo
smartphone, al che Cafferty, perplesso, gli ha ricambiato il gesto e se ne è
andato sperando di togliersi dai guai .
Due
ore dopo Cafferty è stato chiamato dal suo capo: gli è stato comunicato che qualcuno
aveva postato su Twitter delle foto che lo ritraevano alla guida del furgone
della società mentre faceva il gesto dell’“ok” alla telecamera, un gesto che,
secondo il misterioso delatore, era “tipico dei suprematisti bianchi” , e dozzine di persone stavano
chiamando la società per chiedere le sue dimissioni. Alla fine della telefonata il
malcapitato si è ritrovato sospeso senza stipendio e il lunedì successivo è
stato licenziato in tronco. Tuttavia sarebbe stato perlomeno strano che
Cafferty simpatizzasse per la supremazia bianca: le sue origini sono al 75%
latine (lo sono sia la madre che la nonna paterna), non si è mai interessato di
politica (non è nemmeno iscritto al registro elettorale) e la San Diego Gas
& Electric Company, a cui ha fatto causa, non è riuscita a presentare in
tribunale alcun precedente razzista che lo riguardi. Eppure, il suo impiego non
gli è stato ancora restituito.
Isabel
Fall ha pubblicato nel 2020 sulla rivista Clarkesworld un racconto intitolato I Sexually Identify as an Attack Helicopter (“Mi identifico sessualmente in un
elicottero d’attacco”), che parla della disforia di genere, cioè del malessere
che si sperimenta quando non ci si riconosce nel proprio sesso biologico.
Il racconto ha fatto infuriare molti lettori: la Fall è stata accusata di
transfobia, è stata molestata, i suoi dati personali sono stati pubblicati
online ed è stata bannata dai social media. Peccato che Isabel Fall fosse lo pseudonimo usato da una scrittrice
trans per raccontare la sua lotta personale alla disforia di genere, e che la vicenda l’abbia obbligata
a rivelare la sua vera identità e a fare outing per difendersi dalle accuse .
Niel
Golightly, 62 anni, il capo delle comunicazioni della compagnia aerea Boeing,
si è dimesso il 2 luglio del 2020 con una lettera di scuse per un articolo che
aveva pubblicato nel 1987, quando era un giovane ufficiale di Marina.
In
quest’articolo, Golightly si schierava contro la presenza delle donne
nell’esercito americano. Un dipendente molto zelante ha portato all’attenzione dei
vertici della società il vecchio pezzo (peraltro scritto in un periodo in cui
l’argomento era culturalmente molto controverso, anche da parte femminile),
chiedendo la testa del dirigente.
Dopo
l’omicidio di George Floyd da parte della polizia di Minneapolis nel mese di
maggio, l’amministratore delegato della Boeing, David Calhoun, aveva dichiarato
che l’azienda non avrebbe tollerato “bigottismi di qualsiasi tipo” e che la
società avrebbe “raddoppiato la determinazione per eliminare comportamenti che
violano i nostri valori e feriscono i nostri colleghi”.
“L’articolo
che ho scritto – e che conteneva opinioni che ho successivamente cambiato – è
una lettura dolorosa. Dolorosa perché [queste opinioni] sono sbagliate. Dolorosa perché sono offensive per le
donne” afferma Golightly nella lettera di dimissioni, pubblicata sul New York
Times. Sempre Golightly ha dichiarato in un’intervista successiva che le
opinioni che ha espresso quando era un giovane pilota non rappresentano in
alcun modo ciò in cui crede oggi, e che le persone dovrebbero avere spazio per
maturare e cambiare le loro idee man mano che le loro carriere progrediscono
senza essere giudicati per ciò che pensavano decenni fa. Del resto, quante
opinioni degli americani del 1987 reggerebbero a un esame secondo gli standard
di oggi?
Gli
esempi possibili di cancel culture sono tantissimi, e il boicottaggio non si ferma a
persone che vivono nel presente, ma si estende a personaggi storici, libri,
opere d’arte, in uno sforzo a tutto tondo di riscrivere la storia:
le
statue di George Washington e Thomas Jefferson vengono divelte o imbrattate
perché i due Padri Fondatori possedevano schiavi, libri contro la
discriminazione razziale come Huckleberry Finn di Tom Sawyer e How to Kill a
Mockbird (Il buio oltre la siepe) di Harper Lee vengono tolti dalla lista dei
libri di scuola perché contengono la “n word”(nigger), il film Via col vento
(vincitore di nove premi Oscar) è stato rimosso dalla piattaforma HBO perché
giudicato razzista, e così via, in un trionfo di mob justice sempre meno
condivisibile.
Loretta
Ross, 67 anni, è davvero una figura improbabile contro cui ingaggiare una
guerra culturale. Professoressa allo Smith College (i suoi corsi sono
Supremazia bianca nell’era di Trump e Giustizia riproduttiva), Ross è una
femminista nera radicale che lavora per i diritti civili da quarant’anni ed è
una dei firmatari della lettera di denuncia su Harper’s Magazine, per la quale
lei stessa è stata called out. “C’è una tale ironia nell’essere chiamata fuori per
aver chiamato fuori la cultura del call-out”, ha detto. “È stato davvero
esilarante” . A suo parere, cancel culture significa che “le persone cercano di
espellere chiunque non sia perfettamente d’accordo con loro, piuttosto che
rimanere concentrate su coloro che traggono profitto dalla discriminazione e
dall’ingiustizia”.
Mantenere
il focus sulle piccole violazioni individuali del contratto sociale non aiuta
gli invisibili, le minoranze, l’inclusione sociale.
La
teoria dei criminologi George L. Kelling e James Q. Wilson (che postulava come
la repressione dei crimini minori avrebbe impedito quelli più grandi) messa in pratica dalla polizia USA negli anni
Ottanta non ha ridotto il tasso di criminalità, ma ha condotto alla piaga dello
stop-and-frisk: la gente comune, innocente e il più
delle volte di colore, viene costantemente trattata come sospetta, e di
conseguenza viene fermata, perquisita e interrogata senza alcuna vera ragione.
E non
è nemmeno un fenomeno nuovo, a dire il vero. In una conversazione del 1972 con
Michel Foucault, il filosofo francese Benny Lévy (che allora utilizzava il nom
de guerre di Pierre Victor) sottolineava l’ingiustizia profonda fra il
trattamento riservato, alla fine della seconda guerra mondiale, a “quelle giovani donne la cui testa fu
rasata perché erano andate a letto con i tedeschi”, mentre un gran numero di coloro
che avevano collaborato attivamente con i nazisti (industriali, politici,
intellettuali) rimanevano impuniti: “Così al nemico fu permesso di
sfruttare a suo favore questi atti di giustizia popolare: e non parliamo del vecchio nemico –
le forze di occupazione naziste – […] ma del nuovo nemico, la borghesia
francese” .
“Nonostante
gli ingegneri libidici del capitale rivendichino l’egualitarismo dei social
media… questi sono allo stato attuale un territorio nemico, dedicato alla
riproduzione del capitale” ha scritto il critico culturale britannico Mark
Fisher nel suo saggio del 2013 Exiting the Vampire’s Castle , che ha profetizzato la cancel culture
attuale.
Twitter non è l’equivalente digitale della
pubblica piazza, per quanto venga propagandato come tale. Pensiamo che sia uno spazio aperto
perché non paghiamo l’ingresso, dimenticando che è un’impresa commerciale,
impegnata ad ammassarci al suo interno, in cui siamo clienti ma anche
lavoratori a costo zero costantemente impegnati a rendere la piattaforma sempre
più preziosa. E la prima legge del Castello dei Vampiri (CDV) è individualizzare e
privatizzare tutto: “Mentre in teoria sostiene di essere a favore della critica
strutturale, in pratica il CDV non si concentra mai su nulla se non sul
comportamento individuale. […] L’attuale classe dirigente propaga ideologie di
individualismo, mentre tende ad agire come una classe. Il Castello dei Vampiri
fa l’opposto: a parole gli importa solo di ‘solidarietà’ e ‘collettività’, mentre
agisce sempre come se le categorie individualiste imposte dal potere reggessero
davvero”.
Secondo
Fisher, una sinistra che non ha la classe al suo centro può essere solo un
gruppo di pressione liberal Dem Usa, a maggior ragione oggi che i valori
progressisti sono diventati un potente strumento di branding.
L’editorialista
del New York Times Ross Douthat, in riferimento a quelle aziende che usano il
sostegno a cause considerate di sinistra come uno strumento di marketing, ha
coniato il termine woke capitalism.
Invece
di riformare le proprie politiche e strategie, queste aziende gravitano verso
segnali a basso costo e alta risonanza. Scrive Helen Lewis su The Atlantic
:
“Coloro
che detengono il potere all’interno delle istituzioni amano gesti progressisti
vistosi, come pubblicare sui social media post solenni e monocromatici che
deplorano il razzismo; nominare la loro prima donna nel consiglio di
amministrazione; licenziare impiegati di basso livello stigmatizzati dalle
community online; perché ciò li aiuta a preservare il proprio potere. A quelli
che stanno in cima, invece, sproporzionatamente bianchi, maschi, ricchi e
altamente istruiti, non viene chiesto di rinunciare a nulla”.
In
altri termini, la cancel culture, dipinta come lo strumento a lungo atteso dalle minoranze
per far finalmente sentire la propria voce, è in realtà una dimostrazione
dell’indisponibilità delle istituzioni a tollerare qualsiasi controversia.
Lewes lo definisce attivismo sintetico: fa sentire i membri dei social
media pieni di entusiasmo, buoni sentimenti e impegno sociale quando in effetti
costoro non cambiano una virgola del mondo reale.
Negli
Stati Uniti, il diversity training (la formazione alla diversità) vale 8 miliardi di dollari
all’anno, secondo Iris Bohnet, professore di Politica pubblica alla Kennedy
School di Harvard. Eppure, dopo aver analizzato i programmi di ricerca condotti
sia negli Stati Uniti che in Paesi in una situazione di post-conflitto come il
Ruanda, ha concluso:
“Purtroppo
non ho trovato un solo studio che abbia rilevato che il diversity training porti effettivamente a una maggiore
diversità”.
Ma le aziende adorano questi strumenti,
prodotti da un approccio concettuale che considera il pregiudizio come un
difetto morale degli individui piuttosto che un prodotto dei sistemi, e che
pertanto incoraggia il pentimento personale, piuttosto che la riforma
istituzionale. Perché aumentare i salari a minoranze e donne, quando si può far seguire
ai dipendenti un seminario?
Ciò
che è vitale comprendere, secondo Lewis, è la differenza fra radicalismo
economico e radicalismo sociale, che potrebbe essere descritta, con un
linguaggio più simile a quello di Fisher, come la differenza tra identità e
classe. In
sintesi, tutto ciò che non altera la struttura di classe o la distribuzione del
reddito è socialmente radicale, mentre tutto ciò che costa realmente potere o denaro
alla classe dominante è economicamente radicale.
La parità di salario è economicamente
radicale, mentre assumere un amministratore delegato donna o appartenente a una
minoranza è socialmente radicale.
Cambiare
il nome di un edificio in un’università è socialmente radicale, mentre
aumentare del 5% la quota di ammissioni destinate ai neri ed eliminare il
sistema delle “ammissioni ereditate”
sarebbe economicamente radicale.
Il
capitale ha sottomesso la working class organizzata distruggendo la coscienza
di classe, soggiogando ferocemente i sindacati e convincendo i lavoratori a
identificarsi con i loro interessi individuali invece che con gli interessi
della classe cui appartengono.
Per
mantenere lo status quo cosa c’è di meglio di una ‘sinistra’ che sostituisce la
politica di classe con un individualismo moraleggiante e che, lungi dal costruire
solidarietà, diffonde paura e insicurezza?
La
cancel culture, invece di aiutare le classi deboli a ottenere giustizia sociale e
condizioni di vita più accettabili, mira a dividerci gli uni dagli altri,
illudendoci di contare qualcosa quando in effetti abbiamo sempre meno potere.
Jodi Dean, teorica politica e professore di
Scienze Politiche allo Smith College di New York, ha isolato una nuova entità
che ha definito capitalismo comunicativo .
Il capitalismo comunicativo consiste nella fusione fra
democrazia
e capitalismo in un’unica formazione neoliberista, realizzata sul web, che sovverte gli impulsi
democratici delle masse incoraggiando l’espressione emotiva rispetto al
discorso logico.
Secondo
Dean, da un lato le nostre pratiche quotidiane di ricerca, collegamento e
comunicazione online intensificano la nostra dipendenza dalle reti di
informazione cruciali per il dominio finanziario e aziendale del neoliberalismo.
Dall’altro,
il capitalismo
comunicativo cattura i nostri interventi politici, formattandoli come contributi di
intrattenimento, in un processo che li svuota di ogni efficacia, ma fa sentire noi protagonisti e
coinvolti.
Divide et
impera: il motto è sempre quello.
L’ideologia
Gender e
la
distruzione della famiglia.
Notiziecristiane.it- Redazione- Disinformazione.it-(11
Luglio 2015)- ci dice:
Dopo
gli ultimi ddl presentati in Parlamento su omofobia, pseudo-diritti delle
coppie gay, ecc.
Vorrei sottolineare la pericolosissima deriva
culturale, sociale e quindi spirituale che sta interessando l’Occidente e che
contempla, tra le altre cose, la distruzione della famiglia per arrivare in
ultima istanza alla legittimazione della pedofilia. Una deriva che ha l’obiettivo occulto
di distruggere in tutti i suoi aspetti l’uomo e la concezione che noi abbiamo
di esso, per creare il cosiddetto Uomo Nuovo, un individuo privo di identità.
Ideologia
di genere (gender).
I
Poteri Forti stanno spingendo e promuovendo a suon di dollari l’idea di genere (gender).
Potremo
dire addio all’identità dell’essere umano, nel suo naturale dimorfismo maschile
e femminile, perché per l’ideologia gender le differenze sessuali tra maschio e
femmina non avrebbero più alcuna importanza, se non dal punto di vista culturale.
Pertanto non hanno senso di esistere!
L’obiettivo
è rimodellare l’immagine stessa dell’uomo, imponendo a tutti, partendo dai più
piccoli, una nuova concezione di sessualità ideologica.
Tra il
maschio e la femmina vi sarebbero un numero indefinito di altri “generi” o
“orientamenti sessuali”, tra cui l’omosessualità, il lesbismo, la bisessualità
e la pedofilia; generi che sarebbero normalissimi né più ne meno come
l’eterosessualità.
Questa
pericolosa e assai deviante ideologia viene sovvenzionata, foraggiata e promossa dall’élite
dominante (ora tutta convinta dal progressismo
Liberal Dem Usa.Ndr) in una vastissima e immensa operazione socio-culturale.
Il
braccio militante di questo processo culturale sono i movimenti gay e
omosessualisti.(Ora anche i progressisti liberal Dem Usa.Ndr.)
Questi
gruppi, una volta minoritari e soprattutto squattrinati, negli ultimi anni
hanno acquisito un potere enorme e visto affluire fiumi di finanziamenti
pubblici e privati, da parte di lobbies di altissimo livello. Per quale motivo?
Semplice:
l’ideologia
di genere funge da “cavallo di Troia” per manipolare e sradicare la natura
stessa dell’uomo.
Lo
scopo è, come detto prima, creare un Uomo Nuovo, completamente diverso
dall’attuale e assolutamente innaturale: privo di ogni identità, sessuale ma
non solo…
Il
padre ufficiale dell’ideologia di genere è lo psichiatra sessuologo della John
Hopkins University, John William Money (1921-2006), secondo il quale “l’identità sessuale è
sostanzialmente un prodotto della società e pertanto duttile e malleabile alla
nascita”.
Il suo
sogno era una sorta di democrazia sessuale in cui ogni tipo di rapporto
sessuale, compresa la pedofilia, sarebbe stato promosso e legalizzato!
Money
scrive: “La
pedofilia e la efebofilia (amore per gli adolescenti) non sono una scelta
volontaria più di quanto lo sia il fatto di essere mancini o daltonici”.
La
pazzia di questo psichiatra ha raggiunto l’apoteosi quando interveniva
chirurgicamente nei bambini che avevano dei peni di dimensione ridotta,
operandoli per trasformarli in “bambine”. Lo scopo era dimostrare che
l’identità sessuale è una “sovrastruttura culturale”.
I suoi
allucinanti esperimenti ovviamente sono stati un fallimento su tutta la linea,
ma nonostante questo ancora oggi qualcuno azzarda a tirare fuori le sue teorie.
La
perversa visione di Money sta diventando tristemente reale, perché dopo 50 anni
in cui la pedofilia è sempre stata considerata dalla psichiatria una
“malattia”, oggi sembra essere un banale “orientamento sessuale”.
Lo
denuncia in America l’A.F.A., l’American Family Association, una organizzazione
no-profit fondata nel 1977. Secondo l’Associazione famiglia americana, la potentissima casta degli
psichiatri americani (A.P.A.), distingue per la prima volta tra pedofilia e
atto pedofilo: solo l’atto sessuale viene considerato “disordinato” per le
conseguenze che ha sui bambini.
Possiamo
accettare che «il desiderio sessuale verso i bambini è un orientamento» come
tutti gli altri? La casta degli psichiatri statunitensi sta cercando di
sdoganare e rendere l’atto più tremendo e miserabile che si possa commettere ai
danni di un bambino, un banalissimo orientamento, una scelta sessuale?
Se non
è oggi sarà domani, ma anche questo rientra nel progetto…e le pressioni sono
enormi.
La
stampa di regime, cioè il cane da guardia che invece di controllare la politica
e il potere, controlla il popolo, è stata attivata. Il 9 febbraio scorso il libero
quotidiano La Repubblica esce con una indagine Ipsos, commissionata da “Save
the children” il cui risultato sarebbe agghiacciante, se ovviamente fosse vero:
1 italiano su 3 considera “accettabile” il sesso con minori.
Siamo
nella più becera propaganda: far credere alle masse, cioè al gregge
disorientato, che la maggior parte degli italiani “accetta” la pedofilia.
I
Poteri Forti.
I loro
nomi li abbiamo già elencati innumerevoli volte.
Il
filantropo ebreo ungaro-statunitense George Soros non manca mai, è
onnipresente.
Questo
pericoloso individuo e la sua Open Society Institute, oltre a elargire quantità
industriali di soldi in tutte le primavere arabe, le rivoluzioni colorate e
quelle antirusse, da un po’ di anni si è rivolto anche alle organizzazioni gay.
Non
potevano mancare i colleghi filantropi Bill Gates, patron della Microsoft e
Jeff Bezos, patron di Amazon; il Goldman Fund, della banca ebraica privata più
potente al mondo; la Rockefeller Foundation e la Fondazione Ford.
Poi vi
sono alcune società molto quotate come Kodak, Chevron, JP Morgan, Toyota,
Pepsi, Ubs, Ibm, Johnson&Johnson, Merril Lynch, Apple, AT&T, Nike,
Chrysler, Xerox, ecc.
Per
quali motivi queste società donano a fondo perduto moltissimi soldi alla causa
omosessuale, ai matrimonio tra gay? Lo fanno per un ritorno economico, di
immagine, per ripulirsi la coscienza? O forse c’è dell’altro…
Distruzione
di famiglia e scuola.
Lo
scopo, come detto, è l’omologazione globale: cancellare le differenze, le
diversità per renderci tutti uguali. Demolire le identità sociali,
religiose, politiche, culturali e ovviamente sessuali.
Il passaggio
che sta avvenendo in questo periodo è la distruzione del concetto di famiglia,
perché questa strana e antiquata istituzione è un ostacolo enorme ai loro
progetti.
Un
uomo privo di valori e senza punti di riferimento è un uomo in balia degli
eventi e quindi facilmente manipolabile.
Una
raccomandazione del 2010 del Comitato dei Ministri Europeo invita ad introdurre
nelle scuole appositi momenti di “sensibilizzazione” degli studenti sulle
tematiche della “discriminazione” verso i gay e le lesbiche.
In
Francia dall’anno 2013/2014 è stato reso obbligatorio in tutte le scuole di
ogni ordine e grado un corso di insegnamento basato sull’ideologia di genere,
con lo scopo esplicito di “trasformare la mentalità dei giovani”. Trasformarla in che senso e in quale
direzione? Da noi le cose non sono tanto migliori. A Venezia gli insegnanti saranno
affiancati da controllori chiamati a correggere le espressioni ritenute
“discriminatorie” e quindi offensive.
Tale
progetto ha lo scopo di “promuovere un’educazione oltre gli stereotipi di
genere, acquisendo la capacità di coglierli e saper andare oltre”.
In
Veneto quindi, se qualche insegnante vorrà parlare di gay e generi sessuali,
potrà farlo soltanto con l’assistenza di un tutor deputato a valutarne le
parole onde correggere quelle eventualmente considerate non conformi alla linea
di principio antidiscriminatoria.
Si è
iniziato anche a modificare i termini della lingua italiana, sempre nella
direzione del politicamente corretto:
in alcuni comuni italiani nei moduli sono
misteriosamente sparite le parole “padre” e “madre” per far posto alle parole
molto più corrette: “genitore 1”, “genitore 2” o “coppie di fatto”. Nel
progetto di legge “Matrimoni e adozione per tutti”, all’articolo V si
stabilisce che le parole “marito” e “moglie” saranno sostituti da un più neutro
“sposi”, mentre “padre” e “madre” dal termine genitori. Il tutto per non discriminare…
Il
ruolo dell’OMS.
Anche
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO) da un po’ di anni ha
iniziato ad occuparsi dello sviluppo sessuale dei bambini europei.
In un
documento ufficiale, a cura dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA
(Federal
Centre for Health Education, Centro Federale per l’Educazione e la Salute –
Germania)
intitolato “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa”, l’ente sovranazionale prescrive
alcune direttive a dir poco inquietanti.
Il
documento in italiano, scaricabile in formato pdf, è stato curato della
Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica.
Da 0 a
4 anni l’OMS prescrive l’apprendimento del “godimento e piacere quando
giochiamo con il nostro corpo: la masturbazione della prima infanzia”.
Da 0 a
4 anni è l’età ideale per “la scoperta del corpo e dei genitali”.
Da 0 a
4 anni è l’età ideale per “esprimere i bisogni, i desideri e i limiti, ad
esempio nel gioco del dottore”.
Da 0 a
4 anni è l’età ideale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per
“consolidare l’identità di genere”.
Da 4 a
6 anni è l’età ideale per la “masturbazione” e si può tranquillamente “parlare
di argomenti inerenti alla sessualità”.
Da 6 a
9 anni è l’età ideale per conoscere e difendere i “diritti sessuali di bambini
e bambine”.
Da 6 a
9 anni è l’età ideale “l’amicizia e amore verso persone dello stesso sesso”.
Da 9 a
12 anni è l’età ideale per sapere tutto sulla “riproduzione e pianificazione
familiare”, oltreché i “diversi tipi di contraccettivi” e i “rischi e
conseguenze del sesso non protetto (gravidanze indesiderate)”.
Cambiamento
di sesso on demand.
Proposta
choc: “Blocchiamo
la pubertà e indirizziamola”.
Chiesto
il via libera alla Regione Toscana per aprire il fronte della diagnosi precoce
nei bimbi che manifestano i disturbi. “Nei bimbi si tratta di capire se
giocano ad esempio con le bambole o indossano i vestiti della sorella”.
Con
questa diagnosi si potrebbe seguire la crescita prima dello sviluppo di tutti
gli organi sessuali: “Ci sono farmaci che bloccano la pubertà precoce e abbiamo
chiesto di estenderli anche sulla pubertà inadeguata, in modo da indirizzare
subito la pubertà verso il sesso che veramente sente il paziente”. In alcuni
Paesi europei questo sta già avvenendo.
Il Vu
Medical Center alla periferia di Amsterdam per esempio ha sviluppato un metodo
che prevede la “sospensione della pubertà” per teenager. Farmaci appositi bloccano la
produzione degli ormoni sessuali e dopo un periodo che può arrivare al massimo
a 4 anni gli adolescenti possono venire reindirizzati, grazie ad un’altra
terapia ormonale, verso la pubertà dell’altro sesso.
In
Gran Bretagna i bambini potranno cambiare sesso (sempre grazie a farmaci noti
come bloccanti ipotalamici) già all’età di 9 anni.
I
medici del Tavistock and Portman NHS Foundation Trust (ora chiuso in GB, ma non in Italia
.Ndr)
hanno appena completato un esperimento durato tre anni che ha coinvolto ragazze
tra i 12 e i 14 anni.
Il
marchio più noto di farmaco bloccante è il Gonapeptyl Depot usato nell’uomo per il trattamento
per il cancro alla prostata e nella donna per miomi uterini ed endometriosi.
Non
tutti sanno che il Tavistock Institute è formalmente una clinica di ricerca
psichiatrica ed “è stato il laboratorio della guerra psicologica per l’armata britannica
durante la seconda guerra mondiale”.
L’oggetto
degli studi più accaniti del Tavistock in questi ultimi anni è la creazione di
“salti di
paradigma” (paradigm shifts), ossia del mezzo per indurre nelle società valori
“nuovi”, attraverso eventi traumatici collettivi (turbulent environments).
Non è
tutto, perché l’intelligence britannica ha progettato e creato l’L.S.D. negli
anni ‘50 proprio nei laboratori del Tavistock Institute di Londra.
Negli
anni ’60 tale droga psichedelica fu usata nelle masse per deviare e bruciare il
cervello a centinaia di migliaia di persone che proprio in quel periodo si
stavano risvegliando…
John
Money è morto ma le sue teorie continuano a fare danni.
Vita
in affitto.
In
tutto questo bailamme pochi prendono in seria considerazione un altro problema:
l’utero in
affitto.
La
Vita è la Vita e da che mondo è mondo il bambino nasce da un uomo e una donna. Così avviene in Natura da milioni
di anni.
Oggi
invece l’establishment al potere sta mettendo in discussione questa Verità e ci
vorrebbe convincere del contrario, anche e soprattutto grazie a Hollywood.
Sono
infatti tantissimi i film in cui si vede un futuro oscuro dove i bambini sono
scelti a tavolino.
I
motivi di questo indottrinamento sono tanti: economico, controllo sociale e
instaurazione di un Ordine Internazionale globalizzato.
Una
coppia di gay o una coppia di lesbiche che vogliono avere un figlio dovranno
per forza di cose appoggiarsi a banche del seme private, istituti di
inseminazione e uteri in prestito. Questo perché tale famiglia non è naturale
dal punto di vista biologico e genitoriale.
Questa
neo-famiglia per le lobbies della chimica-farmaceutica e del biotech è molto più interessante della
famiglia tradizionale.
Giro
d’affari miliardario.
Il
giro di affari in miliardi di dollari all’anno è incommensurabile. Secondo
Research and Market istituto leader di ricerche, il business della fecondazione
artificiale si attesta nel 2012 intorno ai 9,3 miliardi di dollari e potrebbe
diventare nei prossimi anni 21,6 miliardi!
Solo
negli USA ci sono oltre 400 cliniche per la procreazione assistita. In questo paese il commercio di
organi o parti del corpo è vietato, ma chissà come mai spermatozoi e ovuli non
rientrano in tale legge…
In
Ucraina, con sede a Kiev, c’è la BioTexCom – Center for Human Reproduction, una
società privata per la riproduzione umana in cui è possibile scegliere nel
catalogo online il tipo di fecondazione artificiale. Sapete quanto costa una
Vita umana? Con soli 6.900 euro ti offrono la fecondazione eterologa con ben
due tentativi; se invece siete dei poveri squattrinati c’è il pacchetto
economico da 4.900 euro con però un unico tentativo, o la va o la spacca.
Se
infine il conto in banca per voi non è un problema c’è la formula “All inclusive”. Qui si va sul sicuro
perché si affitta direttamente l’utero di una donna (disperata e disgraziata)
che per soldi genera una vita per poi venderla al miglior offerente.
Però
state tranquilli!
La BioTexCom è una ditta molto seria che si impegna “a
controllare che la madre surrogata (detta locataria) non svolga attività che
possano mettere in pericolo la gravidanza una volta avvenuta”. Un investimento
serio, nulla da dire…
Se
avete tantissimi soldi da spendere potete sempre andare negli Stati Uniti e
rivolgervi per esempio all’American Society for Reproductive Medicine (ASRM). Qui con 50-60 mila dollari potete
anche scegliere gli ovuli di donne belle e intelligenti.
Cosa
volete di più? Eugenetica alla portata di tutti!
(Ma
questi studi eugenetici non erano caratteristi dei medici nazisti? Ndr ) .
E’
questa la futura famiglia che tutti i progressisti e democratici anelano?
Due gay o due lesbiche padri-padri o
madri-madri di un bambino/a, comperato e
fatto crescere dentro l’utero di una donna che non lo può amare perché non è
suo per contratto, e che dovrà sbarazzarsene dopo nove mesi…
Questi
sono i figli arcobaleno, i figli dell’amore? O sarebbe meglio chiamarli i figli
dell’egoismo umano?
Conclusioni.
Per
evitare assurde (o volute e ignoranti) incomprensioni è bene precisare che qui
non si stanno discutendo i sacrosanti diritti degli individui, di tutti gli
individui. Neppure si sta correlando l’omosessualità con la pedofilia, due cose
assolutamente diverse.
Una
unione, intesa come famiglia, può essere tranquillamente costituita da persone
dello stesso sesso, con tutti i diritti di qualsiasi altra unione, ma quando di mezzo ci sono dei
bambini le cose hanno un altro risvolto.
Un
bambino, per crescere e diventare un adulto sano e libero, ha bisogno di due
figure ben precise: la madre (l’uovo) e il padre (il seme).
Questi due ruoli, con tutte le difficoltà dei
casi, con tutte le discordanze e i condizionamenti si possono criticare
all’infinito, ma da che mondo e mondo sono sempre state le due figure basilari, il
modello da trasmettere e che verrà emulato a loro volta dai bambini.
In natura
la prole viene partorita e nutrita da una madre e protetta da un padre. -La
dicotomia maschile-femminile è sempre esistita e sempre esisterà: Luna (madre)
/ Sole (padre); Terra (madre) / Cielo (padre), ecc.
In
Natura non è così semplice osservare due animali dello stesso sesso che
prendono in affitto un utero di un altro animale per aumentare il focolare
domestico…
Ecco
perché nel Disordine Organizzato che ai piani alti stanno instaurando, sarebbe
più corretto parlare di anti-natura, di antiuomo.
Si sta
instaurando passo dopo passo la distruzione completa dell’essere uomo, partendo
dalle fondamenta della famiglia stessa, ma arrivando a tutti gli altri ambiti
(spirituale, culturale, economico, ecc.).
Un
uomo privo di storia e di cultura è un uomo che non conosce il passato e non sa
cosa aspettarsi nel futuro, quindi non può vivere bene il presente.
Un
uomo scollegato dalla propria vera e unica origine, i mondi spirituali, è un
uomo che vive una falsa esistenza proiettata nella materia e per la materia,
gestito e manipolato da forze molto basse.
In
questo livello attecchiscono benissimo la pornografia e la corruzione delle
anime grazie all’illusione del successo e del denaro…
Un
uomo sradicato dalla famiglia e privo di identità sessuale è un uomo facilmente
controllabile e manipolabile.
Questo
Nuovo Uomo è in sintesi il suddito ideale.
Questo
mondo è la fotocopia di quello descritto nel romanzo fantascientifico “Il Mondo
Nuovo” del 1932, dal visionario Aldous Huxley.
L’essere
umano privato di tutta l’eredità del passato, in cui ogni aspetto della vita è
omologato fino dalla nascita, in cui perfino la riproduzione viene separata dal
sesso; ogni
creatività e ogni spiritualità vengono annegate nella droga o nel mero piacere
sessuale, sia etero che dello stesso sesso, e dulcis in fundo, praticato senza
limiti di età (pedofilia).
Ecco
quello che si sta affacciando al nostro mondo se non interverremo e ci
sveglieremo quanto prima.
L’arcobaleno
che
violenta
i bambini.
Azionetradizionale.com
-Comunità Militante Furor –(Aprile 2020)-
ci
dice :
Ne
abbiamo parlato sulla nostra Web-TV “Anti-Virus” insieme a Toni Brandi e lo
ribadiamo in queste righe: STOP all’ideologia gender.
I dittatori del pensiero unico, abbiamo più
volte ribadito, sono sempre pronti a parlare di solidarietà e diritti (della
morte), ma dietro questa maschera buonista si nascondono azioni infernali che
non risparmiano nemmeno i bambini.
Abbiamo avuto in Italia il caso Bibbiano, ma
quello che succede in Inghilterra forse è anche peggio.
Non è
“libertà” attuare violenza psicologica su un bambino per indurlo a cambiare
sesso. Non è davvero progresso rifiutare il disegno di Dio per accettare uno scenario
diabolico in cui i generi non esistono e i bambini vengono torturati per
accettarlo.
Esprimiamo
inoltre il nostro elogio a quei medici che hanno avuto il coraggio di
dimettersi in nome del buon senso. E a voi, individui senza identità, ribadiamo il fatto
che il vostro arcobaleno verrà bruciato dal Sole.
(ilgiornale.it)
– Esperimenti
gender sui bimbi, in Gran Bretagna si dimettono 5 medici. Il Gender Identity
Development Service è finito nella bufera. Gravi preoccupazioni sul trattamento
dei bambini vulnerabili che arrivavano in clinica.
Secondo
un’inchiesta del Times, ben cinque medici si sono dimessi, per motivazioni
legate all’etica e alla sicurezza, a causa delle preoccupazioni sul trattamento
dei bambini vulnerabili che arrivavano in clinica presentandosi come
transgender.
Gli
esperti che hanno rassegnato le dimissioni hanno parlato di centinaia di
interventi medici, che possono cambiare la vita dei bambini, attuati senza
prove sufficienti dei loro effetti a lungo termine.
Mentre
nel 2010 erano stati solo novantaquattro, lo scorso anno i giovani che sono
stati indirizzati alla clinica del Gender Identity Development Service (Gids), che ha sede presso la Tavistock
Center e
la Portman Clinic nella zona nord ovest di Londra (e una sede succursale a
Leeds), sono
stati più di due mila e cinquecento.
La
grave accusa lanciata dai medici dimissionari è relativa al fatto che alcuni
bambini che “lottano” con la loro sessualità sono stati erroneamente
diagnosticati come “trans-identifying” dalla clinica londinese.
Tutti e cinque gli ex membri dello staff
facevano parte della squadra che decideva la somministrazione di farmaci per
interrompere lo sviluppo dei giovanissimi prima della pubertà, decidevano cioè con quali bloccanti
ormonali dovevano essere trattati per arrestare il loro sviluppo sessuale.
I
medici che hanno lasciato il Gids hanno parlato, in particolare, di diagnosi
errate sulla disforia di genere e temono che alcuni giovani siano stati
sottoposti a pressioni per ottenere un trattamento di cambiamento di genere
dopo aver sofferto di bullismo omofobico.
Uno
dei cinque dimissionari ha affermato che l’unico motivo per cui molti sono
rimasti così a lungo fedeli al loro incarico è stato quello di evitare che altri
bambini ricevessero il trattamento.
Secondo
i dati del Times almeno altri diciotto membri dello staff hanno lasciato la
controversa clinica negli ultimi tre anni, sempre per le paure che non siano
stati effettuati tutti i controlli sufficienti per diagnosticare correttamente
le difficoltà dei bambini. Anche altri esperti temono che i trattamenti vengano dati
senza esplorare la ragione alla base della confusione dei bambini sulla loro
sessualità.
Carl
Heneghan, direttore del Center of Evidence-based Medicine dell’Università di
Oxford, ha dichiarato al Times che “data la scarsità di prove, l’uso
off-label di farmaci (per esiti non coperti dalla licenza del farmaco) nel
trattamento della disforia di genere significa in gran parte un esperimento dal
vivo e non regolamentato sui bambini”.
La
Gids ha negato le accuse spiegando che nei casi complessi sono state fatte
accurate diagnosi e continua a spiegare sul suo sito web che “molti, ma non
tutti, i bambini e i giovani che vediamo non sono contenti di aspetti delle
caratteristiche sessuali primarie o secondarie del loro corpo.
Alcuni bambini registrati come maschi quando
sono nati, potrebbero non sentirsi maschi quando sono più grandi o
preferirebbero vestirsi con abiti o giocare con giocattoli che altre persone
dicono essere ‘per ragazze’.
Allo stesso modo, alcune bambine registrate
come femmine alla nascita potrebbero sentirsi dopo dei maschi.
Altri
potrebbero dire che né ‘ragazzo’ né ‘ragazza’ sembrano le parole giuste per
quello che provano per se stessi. […]
Cerchiamo di aiutare i giovani e le loro famiglie a
far fronte all’angoscia e a ridurla. Il nostro obiettivo è comprendere gli
ostacoli che si frappongono tra i giovani e lo sviluppo di un’identità di
genere più stabile e sicura. […] Lavoriamo anche con un piccolo numero di
bambini che hanno un genitore trans, e le cui difficoltà sono legate alla loro
esperienza nell’identità di genere o nella transizione del genitore”.
Già a
febbraio erano stati gli stessi medici della clinica ad avvertire che i giovani
pazienti avrebbero potuto essere esposti a “danni a lungo termine” a causa di
gruppi di pressione e di “genitori invadenti”. Secondo un rapporto dell’ex
governatore dello staff, David Bell, alcuni bambini assumono un’identità trans
come soluzione “a molteplici problemi come l’abuso storico di minori in
famiglia, il lutto, l’omofobia e un’incidenza molto significativa del disturbo
dello spettro autistico.
Molti
bambini che mettono in discussione la loro identità possono aver imparato
attraverso risorse online o sono stati istruiti dai genitori su cosa dire per
ottenere i risultati che vogliono”.
Recentemente,
sempre in Gran Bretagna, era stata scoperta una clinica abusiva che
predisponeva bambini al cambio di sesso (attraverso trattamenti ormonali
miranti a determinare il mutamento delle rispettive identità sessuali), gestita da una donna radiata
dall’ordine dei medici.
La
tragica storia di David Reimer,
il
bambino cresciuto come una bambina.
Nicolaporro.it- Umberto Camillo Iacoviello –(7 Giugno 2022)-
ci dice:
Una
storia vera, un esperimento finito male: il sesso biologico non è qualcosa che
si possa manipolare a piacimento fin dalla giovane età.
Recentemente
ha fatto discutere il caso di Keira Bell, ventitreenne pentita di aver cambiato sesso a 16 anni. La
ragazza ha deciso di fare causa alla clinica Tavistock and Portman NHS perché –
a suo giudizio – le autorità mediche avrebbero accettato con troppa leggerezza
di realizzare il suo desiderio di cambiare di sesso.
Questo
caso tragico dovrebbe far riflettere e aprire un serio dibattito sul tema del
cambio di sesso precoce. Il sesso biologico non è un semplice “accidente”, qualcosa
che si può cambiare a piacimento, come una parte dell’ideologia arcobaleno si
ostina a propagandare.
Per
rispondere all’ideologia occorre parlare di storie vere. Una di quelle che vale la pena
conoscere è la storia di David Reimer, raccontata da John Colapinto nel libro
“Bruce, Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza” (San
Paolo, 2014).
I
gemelli Reimer.
Il 22
agosto 1965 nacquero a Winnipeg (Canada) due gemelli monozigoti: Bruce e Brian
Reimer, figli di Ron e Janet. Dopo il compimento del loro settimo mese, la
madre si accorse che i due provavano dolore quando urinavano, notò che i
prepuzi sembravano stringersi rendendo difficoltosa l’espulsione dell’urina. Il pediatra spiegò che avevano un
problema chiamato fimosi, facilmente risolvibile con la circoncisione.
I
genitori portarono i gemelli in ospedale per l’intervento, il primo fu Bruce,
ma a causa di un errore l’operazione andò male e il pene del bambino venne
letteralmente carbonizzato.
Dopo l’incidente i medici decisero di non
operare il fratello Brain. Ron e Janet fecero visitare Bruce da diversi
specialisti, tutti arrivavano alle stesse conclusioni:
il recupero del pene come organo funzionale
era fuori questione, potevano solo ricostruire un semplice condotto urinario.
Il
dolore dei genitori crebbe con la guarigione spontanea del fratello Brian. Dieci mesi dopo l’incidente, nel
febbraio del 1967, Ron e Janet videro in televisione lo psicologo John Money, il quale parlava dei miracoli della
trasformazione di genere in corso al Johns Hopkins Hospital di Baltimora.
Ad
attirare ulteriormente la loro attenzione fu l’arrivo in trasmissione della
signora Diane Baransky, nato uomo col nome di Richard. Ron e Janet non credevano ai loro
occhi, quella che a tutti gli effetti era una donna, quattro anni prima era un
uomo. Il
messaggio di Money era semplice: il sesso con il quale una persona nasce non ha
importanza, si può scegliere di cambiarlo. Janet decise di contattare Money.
Profilo
di John Money.
All’epoca
John Money era l’indiscussa autorità mondiale in tema di ripercussioni
psicologiche dei genitali ambigui, ed era noto per la fondazione della pioneristica
clinica per la chirurgia transessuale del John Hopkins. Conoscere la sua vita,
ci aiuta a comprendere il personaggio.
L’infanzia
di Money venne segnata dal rapporto burrascoso col padre, uomo violento che lo
frustò all’età di quattro anni per aver rotto una finestra. Da quel momento,
scrive lo stesso John, si consolidò in lui un rifiuto della “brutalità della virilità”. Il padre
morì quattro anni dopo. Crebbe con la madre e le zie nubili.
In
casa si parlava male degli uomini, al punto che Money soffriva “la colpa di
essere maschio”, e più tardi arrivò ad affermare “mi chiedevo se il mondo non
sarebbe stato un luogo migliore per le donne se non solo gli animali da
allevamento, ma anche i maschi umani fossero stati castrati alla nascita”.
In
piena rivoluzione sessuale Money promuoveva il matrimonio aperto, il nudismo e
altre forme di cultura sessualmente disinibita, ad esempio scrisse che “il gruppo
bisessuale può essere altrettanto soddisfacente a livello personale che una
relazione di coppia”.
Money
affermava pubblicamente che il tabù della pedofilia sarebbe scomparso in futuro. Nel 1987 scrisse una prefazione
“piena di ammirazione” al testo “I ragazzi e i loro contatti con gli uomini”, scritto
dal professore olandese Theo Sandfort, scrive Money “per coloro che nasceranno
e riceveranno la loro istruzione dopo il 2000, noi rappresentiamo la loro
storia ed essi saranno sconcertati dalla nostra presuntuosa e moralistica
ignoranza dei principi dello sviluppo sessuale ed erotico nell’infanzia”.
Money
sosteneva la teoria secondo cui alla nascita vi era una “neutralità
psicosessuale” e che il sesso poteva essere cambiato a piacimento. Scrive Colapinto:
“Money
proponeva una visione secondo la quale gli esseri umani sviluppano una
percezione di sé come maschio o come femmina a seconda che siano vestiti di
azzurro o di rosa, che sia dato loro un nome maschile o femminile, che vengano
fatti loro indossare pantaloni o abitini, che si diano loro armi o Barbie per
giocare”.
Per
Money i bambini – dal punto di vista psicosessuale – sono tabulae rasae. Lo
psicologo godeva di notevole autorità, riceveva finanziamenti pubblici per le
sue ricerche.
Bruce
diventa Brenda.
I
genitori di Bruce parlarono con Money. Per lo psicologo cambiare il sesso
del bimbo era l’unica soluzione. Spiegò che dopo l’operazione avrebbe avuto una vagina
perfettamente funzionale “idonea per avere rapporti sessuali e per il piacere
sessuale, incluso l’orgasmo”. Non avrebbe potuto avere figli, ma sarebbe cresciuto
psicologicamente come una donna.
Ciò
che Money non disse ai genitori di Bruce era che si trattava di una procedura
puramente sperimentale, fino a quel momento le operazioni di “riassegnazione
sessuale” erano state eseguite solo su bambini ermafroditi, Bruce sarebbe stato
il primo a subire l’operazione avendo genitali e sistema nervoso normali. Money
assicurò l’efficacia della procedura.
Ron e
Janet si convinsero, iniziarono a lasciar crescere i capelli del bambino e a
chiamarlo Brenda. Il 3 luglio 1967 Bruce fu sottoposto a castrazione chirurgica. Money impose ai genitori di non
svelare mai la verità a Brenda, non doveva sapere di essere nato maschio.
Ron e
Janet la trattavano come una bambina, dai vestiti ai giocattoli, tuttavia, fin
dall’inizio Bruce-Brenda rifiutava i vestitini, orinava in piedi, non voleva
farsi truccare dalla madre, preferiva giocare con i maschietti con macchinine e
armi giocattolo; anche se fisicamente sembrava una bambina, quando parlava, si
muoveva, camminava o gesticolava, la femminilità svaniva. Il dissidio tra corpo femminile e
mente maschile portò Brenda ad avere difficoltà a socializzare con i suoi
coetanei, veniva continuamente presa in giro.
Quando
Janet comunicava le inclinazioni maschili di Bruce-Brenda a Money, lo psicologo
rispondeva che si trattava di un semplice “comportamento da maschiaccio”. La madre trovava confortante questa
spiegazione e cercava di autoconvincersi che tutto sarebbe andato per il
meglio.
Money
riportò il caso dei gemelli Reimer in un libro “Uomo, donna, ragazzo, ragazza”
(1972) e in conferenze in cui descriveva l’esperimento come un grande trionfo.
Due
gemelli nati maschi, di cui uno cresciuto con successo – cosa non vera – come
una femmina, confermava la sua tesi secondo cui i fattori primari che guidano
la differenziazione psicosessuale sono l’apprendimento e l’ambiente, non la
biologia. La
tesi di Money venne ripresa da manuali di sociologia e utilizzata dal movimento
femminista per contestare la base biologica delle differenze sessuali.
Convinzioni che si basavano su di una menzogna.
Ogni
anno Money interrogava i gemelli per controllare gli sviluppi. Fin da quando i
fratelli Reimer avevano sei anni, lo psicologo poneva domande sessualmente
esplicite, mostrava immagini di adulti nudi e chiedeva ai gemelli di
spogliarsi, di ispezionare i genitali l’uno dell’altro e di simulare i
movimenti dell’accoppiamento mentre Money li fotografava. Era convinto che i giochi sessuali
aiutassero a formare una identità sessuale.
Inoltre,
consigliò ai genitori di avere rapporti sessuali davanti i figli. Janet si
rifiutò categoricamente, tuttavia iniziò a girare nuda in casa per essere vista
da Brenda. Lo
scopo era quello di convincerla a sottoporsi all’operazione chirurgica per
sistemare la sua vagina. Nonostante ciò, la ragazza continuava a rifiutare
l’operazione. Non voleva essere una femmina.
I
genitori, quando Brenda aveva sette anni, capirono che l’esperimento stava
fallendo, ma non potevano tornare indietro. Continuavano a seguire i consigli
dello psicologo. A dodici anni dovevano convincerla ad assumere gli estrogeni, ormoni
femminili che avrebbero simulato gli effetti della pubertà femminile. Anche su questo, Brenda non voleva
saperne di assumere farmaci e farsi crescere il seno, “non voglio indossare un reggiseno”,
disse al padre la prima volta che parlò degli estrogeni.
Money
mise in testa a Brenda che se non avesse preso i farmaci i suoi arti sarebbero
cresciuti in modo sproporzionato. Dopo un po’ venne convinta a prendere i
farmaci. Oltre
alla crescita del seno, cambiò la voce che invece di diventare femminile, era
sempre più simile a quella del fratello Brian. All’epoca nemmeno i medici
sapevano spiegare il perché.
Brenda
diventa David.
Brenda
continuava a rifiutare l’operazione di chirurgia vaginale e non dava alcun
segno di femminilità. Viveva male nel suo corpo e questo creava disagi in famiglia. Nel 1980, quando Brenda aveva
quindici anni, il padre le disse la verità. Brenda esternò subito la sua voglia
di tornare al suo sesso biologico originale. Decise anche il suo nuovo nome
maschile, David come “il ragazzo che affrontò un gigante alto due metri e
mezzo. Mi ricordava il coraggio”.
Iniziò
a fare iniezioni di testosterone, si sottopose a mastectomia bilaterale
(asportazione chirurgica delle mammelle). La famiglia Reimer interruppe i
rapporti con Money, quest’ultimo smise ben presto di parlare del caso Brenda e
successivamente giustificò il fallimento dell’esperimento con la religiosità di
Ron e Janet, un’altra menzogna dal momento che nei rapporti di Money emergono
sempre giudizi positivi sulla gestione della transizione da parte dei genitori.
In
preda alla rabbia, David comprò una pistola per uccidere il medico che gli
aveva carbonizzato il pene. Quando si trovò davanti l’uomo che gli aveva rovinato la
vita, il medico iniziò a piangere e David rinunciò alla sua vendetta.
Il 2
luglio 1981, un mese prima di compiere sedici anni, David si sottopose ad un
intervento chirurgico per la creazione di un pene rudimentale. Venne ricoverato diciotto volte in un
anno e negli anni successivi venne ricoverato con regolarità. David per i due anni successivi
trascorreva gran parte del suo tempo nascosto nello scantinato. Quando riuscì regolarmente allo scoperto,
i due gemelli inventarono una storia: Brenda era morta in un incidente aereo,
David era il cugino di Brian, i suoi continui ricoveri servivano a curare le
ferite riportate in un incidente in moto.
I
problemi non erano finiti, a diciotto anni si ritrovava con un pene che non
aveva l’aspetto di uno vero e non poteva avere un’erezione.
Quando iniziò ad uscire con una ragazza, per
non andare oltre i baci, beveva tanto e utilizzava sempre la scusa “sono
stanco, sto per svenire”.
Una
volta si ubriacò per davvero e svenne, al suo risveglio trovò la ragazza con
una strana espressione, capì che aveva guardato tra le sue gambe. Gli raccontò
dell’incidente. Nel giro di qualche giorno, lo sapevano tutti.
Tornò
il vecchio incubo, al suo passaggio seguivano risatine, borbottii, prese in
giro. Decise
di togliersi la vita con una dose massiccia di antidepressivi presi dalla
madre. Quando i genitori lo trovarono disteso sul letto, Janet pensò di
lasciarlo morire perché la sua era una vita segnata dalla sofferenza, ma subito
ci ripensò e insieme al marito, portarono David in ospedale.
Una
settimana dopo provò di nuovo a suicidarsi ingerendo gli antidepressivi per poi
dirigersi in bagno e affogarsi nella vasca da bagno. I medicinali fecero subito
effetto e svenne sul divano. Questa volta fu il fratello Brian a salvarlo. Dopo i
tentativi di suicidio si ritirò per un anno in un bungalow nei boschi.
Poco
prima del suo ventiduesimo compleanno subì un’operazione che migliorò la
sensibilità del pene, ma ci vollero altri due anni per permettergli di avere
rapporti sessuali. David soffriva perché non avrebbe potuto avere dei figli. Due
mesi più tardi conobbe Jane, una venticinquenne madre di tre figli avuti da tre
uomini diversi. I due andarono subito d’accordo. Il 22 settembre 1990, due anni
dopo essersi incontrati per la prima volta, si sposarono.
Quando
la storia di David Reimer divenne pubblica – nel 1997 – emersero altri casi
simili. La
teoria di Money non funzionava nemmeno per i bambini intersessuali (nati con
entrambi i sessi scarsamente sviluppati), molti di questi avevano subito
operazioni chirurgiche per assegnare loro un sesso, ma in età adulta non si
riconoscevano con il sesso che gli avevano conferito, o si riconoscevano come
intersessuali. Anch’essi avevano avuto un’infanzia difficile.
Il 5
maggio 2004, John Colapinto ricevette una chiamata da Ron Reimer, “David si è
tolto la vita. Si è sparato nella sua auto”. I fattori che lo portarono al suicidio erano
diversi. Nel
2002 era morto improvvisamente Brian, il fratello di David, caduto in una
spirale di depressione e alcolismo, morì per una combinazione tossica di
antidepressivi e alcool.
David
aveva perso il lavoro, anche se la sua situazione economica non era ancora
disastrosa, aveva i proventi del libro e un accordo cinematografico. Senza un lavoro restava in casa e
ripensava al passato, i vecchi demoni non lo avevano mai abbandonato. Fu
vittima di una truffa che gli costò 65 mila dollari.
La
moglie Jane era la sua unica ancora. La donna diventava sempre più indipendente
dopo aver trovato lavoro, il marito aveva paura di perderla. Il 4 maggio litigarono, David prese
un vecchio fucile in garage, segò la canna, raggiunse un parcheggio e pose fine
per sempre alle sue sofferenze.
Fratelli
d’Italia vuol fare
«la
destra di governo». E attacca
ambientalismo,
«gender» e green pass.
Editorialedomani.it-Redazione-(30
aprile 2022) – ci dice :
Seconda
giornata di conferenza programmatica per Fratelli d’Italia. Obiettivo:
disegnare un centrodestra «attorno a Fratelli d’Italia» e alternativo alla
sinistra.
Un
centrodestra «attorno a Fratelli d’Italia» e alternativo alla sinistra. Così il senatore Luca Ciriani disegna
il perimetro della «destra di governo» nell’esordio della seconda giornata
della conferenza programmatica di FdI a Milano.
IL
DISCORSO INTRODUTTIVO.
Ciriani
comincia con una presa d’atto: «Eravamo uno sparuto gruppo, ringraziamo Giorgia
Meloni che ci ha condotti fin qui. Ora ci ha dato un compito non facile:
parlare di crescita, mentre andiamo in recessione».
Ciriani
indica tra le battaglie di cui andar fiero l’opposizione al reddito di
cittadinanza: «Siamo l’unico partito che non ha votato per lo scandalo dei miliardi al
reddito di cittadinanza». Ricatto assegno di stato clientelare e assistenzialistico: invece di regalare la mancia bisogna
pensare ai talenti e quindi al merito.
«La
parola più democratica che esista».
L’ECOLOGIA
ANTI-AMBIENTALISTA.
L’eurodeputato
Nicola Procaccini comincia citando «uno spettro che si aggira per l’Europa» e
poi affonda: «Ora è l’ambientalismo, che ha rimpiazzato il comunismo. Ma mantiene
l’anticapitalismo, l’internazionalismo come odio per le patrie e per le
identità. Anche una certa violenza nel modo di affermare le proprie idee».
Presenta il “Manifesto dell’ecologia conservatrice per lo
sviluppo armonico della società” e contrappone ambientalismo a ecologia, «che
viene da oikos, casa»: «L’ecologia è la quintessenza dell’ideologia
conservatrice».
«Se
bisogna difendere il soffio vitale e la vita nelle tartarughe, anche la vita
umana»: un riferimento all’anti-abortismo. La conclusione del discorso va su
Pasolini: sostiene Procaccini che «Pasolini regala il suo testamento a un
fascistello e non a caso, perché vede in lui qualcosa di puro, quantomeno in
prospettiva, e gli ripete ossessivamente: a te voglio lasciare il testamento.
“Difendi, conserva e prega”.»
ATTACCO
ALLA «SINISTRA ARCOBALENO».
I
globalisti attaccano la nostra identità per tenerci in pugno, perché se non hai
identità sei alla mercè dei potenti.
«Ecco cosa vuole questa sinistra».
Le
parole vengono da Fabio Roscani, presidente di Gioventù Nazionale.
Che se
la prende con chi sostiene i diritti lgbt e i Fridays. «Davvero il leader dei giovani è
Mattia Santori? Le sardine? Gli sbandieratori folli della sinistra arcobaleno?
Bevono champagne e parlano di Greta col suv parcheggiato sotto casa».
Attacchi
anche al ministro della Salute: «Roberto Speranza ha studiato a Pechino per limitare
la nostra libertà, ci ha dato degli untori. Farete campagna sui giovani ma dove
eravate? Negli ultimi cinque anni 250mila under 35 hanno lasciato la nostra
nazione, e non per vezzo, anche se esistono anche quelle persone lì, i radical
chic».
Roscani
prosegue con gli affondi «alla sinistra». Difenderanno «il diritto dei giovani
di fumarsi uno spinello legalmente, questo è il loro inganno: noi vogliamo
difendere il diritto a una società basata sul merito».
Chiede
«zero burocrazia, zero tasse per chi lavora fino ai 26 anni, questi
investimenti contribuiranno alla crescita della nazione. Non il reddito di cittadinanza, che
non ha prodotto un solo posto di lavoro».
LA
FAMIGLIA, I FIGLI E «IL GENDER».
Sul
tema della famiglia interviene Isabella Rauti, senatrice, in qualità di
responsabile “Pari opportunità, Famiglia e Valori non negoziabili” del partito.
«Ha ragione Meloni quando dice che la famiglia
è l’energia che tutto genera. Senza figli, senza la gioia di essere continuati,
non c’è futuro, non c’è niente. Se non si inverte questo declino demografico
niente ha più senso, c’è il disincantamento».
Per
Rauti, il Pnrr con le sue «misure spot» non affronta il grande tema di «una
Europa che rischia di scomparire dal punto di vista demografico: il Pnrr va
riformato, serve un asse per demografia e famiglia».
Poi si
spinge contro «la pervasività dell’ideologia gender, la maledizione del
politicamente corretto: la povera Biancaneve non si può svegliare perché il
principe non la può baciare. La politica malfatta si concentra sul suicidio assistito e
non sulle cure palliative… Donna e famiglia sono bersaglio dei nostri avversari
che vogliono trionfo indistinto del fluido e del neutro».
“CONTRO
IL GREEN PASS”.
Francesco
Lollobrigida, il presidente dei deputati FdI, imposta il suo intervento sulla
chiave della «libertà» e arriva a utilizzare una citazione di Piero Calamandrei
per fare polemica sul green pass, «un nuovo documento che ci viene imposto per poter
vivere una vita normale. Magari ci sono venute in mente le parole di
Calamandrei, quando dice che la libertà è come l’aria: ti accorgi della sua
importanza quando ti manca».
La
guerra e l’Italia.
Mentre
Lollobrigida dice che la guerra in Ucraina risveglia in noi il valore
dell’Occidente, a margine dell’evento Giorgia Meloni rilascia alcune
dichiarazioni sul tema. «Io credo che in questa fase l'Italia non debba discostarsi
dai suoi alleati internazionali ma si debba dimostrare leale e che con la
stessa fermezza il presidente del Consiglio debba chiedere ai suoi alleati
internazionali solidarietà, perché in questa crisi inevitabilmente ci sarà chi
pagherà di più e di meno. Bisogna distribuire equamente onori e oneri. Quindi, Draghi dovrebbe porre con
forza il
tema di un fondo di compensazione per le nazioni più colpite dalle sanzioni e
una di quelle nazioni dovremmo essere noi».
Esultanza
arcobaleno e
cretineria
sinistrese.
Siniostrainrete.info-
Vincenzo Morvillo-(9-7-2022)- ci dice :
E ci
risiamo…
Siamo
oramai alla più completa cretineria sinistrese. Chiusa in una bolla
ego-centrata e tramata dall’auto-referenzialità più spicciola.
La
comunità Lgbtq+, l’Arci e tutto il variopinto mondo della “sinistra” – da
quella arcobaleno a quella in salsa rosa, tipo crema di scampi – esultano da
qualche giorno sui social e sui media di regime, per il matrimonio
Turci-Pascale.
Ossia
per un atto privato assolutamente legittimo ma che, proprio per la sua
“normalità”, non dovrebbe sollevare più di una benevola curiosità.
Esultanza
che è l’ennesima conferma, laddove ve ne fosse ancora bisogno, di uno smantellamento
ideologico della sinistra stessa.
Prodotto
della retorica dei diritti civili e della completa sussunzione nel paradigma
capitalistico globalista delle multinazionali.
Forgiato
dallo “spettacolo”, quale modello immaginario e simbolico imposto dal capitale
al suo più alto grado di sviluppo.
Lo
scollamento con la realtà sociale e i ceti di riferimento – gli interessi dei
quali si dovrebbe tutelare – è tale da non riuscire neanche a riconoscere che
quel matrimonio, lungi dall’essere l’affermazione di un diritto, è viceversa
l’attestazione di un privilegio esclusivo.
Di cui
la Turci e la Pascale possono godere, appunto, in quanto Vip.
Non vi
è insomma, dal nostro personalissimo punto di vista di “classe”, alcunché per
cui esultare.
Turci/Pascale,
nel nostro mondo – fatto non di privilegi, ma di vita vissuta e purtroppo
spesso crudele, per chi è relegato ai margini delle metropoli di questo
fantastico sistema demo-oligarchico – non sono differenti dai Ferragnez.
Ancorché
si riconosca alla Turci un talento musicale di cui Fedez è, sempre a nostro
opinabile parere, sprovvisto.
Ma
insomma, le due signore arrivano in Jaguar, spendono 6.000 euro per una suite,
una fortuna per il matrimonio al Castello di Montalcino, e la “sinistra” plaude
all’unione civile?
Praticamente
Beautiful!
Intanto
però, a Napoli, Carmela ‘o masculone di Forcella, continua a spacciare la roba
per campare, schifata e sfottuta dall’enclave del quartiere, in quanto lesbica.
Mentre
Cloe Bianco, in Veneto, si uccide perché demansionata e poi allontanata dal suo
lavoro d’insegnante, grazie all’inderogabile, intransigente, infame
provvedimento dell’assessora leghista Donazzan.
Venendo
emarginata dal consesso civile, ovviamente in quanto trans.
In
conclusione, una “sinistra” – tanto quella liberal (Dem Usa ) quanto quella cosiddetta radical(sempre Dem Usa) – accecata dallo sfolgorante mondo
del gossip e dell’audience, costruita esclusivamente sui diritti civili (che non costano nulla ai ricchi
comandanti globalisti. Ndr.)
Di chi
può.
Ma
intanto sorda alle grida di aiuto che si levano da ampi settori di classe, oramai ridotti alla fame o allo
schiavismo nel
sempre più umiliante emisfero del lavoro.
Mi sia
consentita perciò, a questo punto, una chiosa in lingua napoletana.
Ma
jate a fa’ ‘e pezz. Vuje ‘a Turci e la Pascale!
Le
risorse del PNRR contro
la “dispersione implicita”,
il
nuovo indicatore creato da “Invalsi”.
Rasenazioanle.it-
Gianmarco Capogna- (Luglio 19, 2022)- ci dice :
Il
M.I. con il DM 170 del 24 giugno 2022,ha definito i criteri di riparto delle
risorse del PNRR destinate alle azioni di prevenzione e contrasto della
dispersione scolastica, ed ha assegnato alle scuole secondarie di I e II grado
500 milioni di euro, quota parte del complessivo finanziamento di un miliardo e
mezzo.
Il
decreto, pubblicato senza alcun confronto con le parti sociali e con le
Regioni, senza alcuna informativa alle OO.SS, prevede la realizzazione di
attività in favore di alunni a rischio di “fragilità degli apprendimenti”, la “dispersione implicita” in base ai risultati delle prove
INVALSI.
La
dispersione implicita è la quota di studenti che terminano il loro percorso
scolastico senza aver acquisito le competenze fondamentali in nessuna delle tre
materie monitorate dall’Invalsi (italiano, matematica e inglese).
Perché
“dispersione”?
Perché
questi ragazzi rischiano di avere limitate prospettive di inserimento nella
società, molto simili a quelle di chi è rimasto vittima della dispersione vera
e propria, ovvero della dispersione esplicita, cioè di coloro che si sono
fermati al diploma di terza media.
Nel
2019 la dispersione scolastica implicita si attestava al 7,5%, per salire al 9,8% nel 2021, molto
probabilmente a causa di lunghi periodi di sospensione delle lezioni in
presenza. Nel 2022 si osserva una minima inversione di tendenza sia a livello
nazionale, dove si ferma al 9,7% (-0,1 punti percentuali) sia a livello
regionale.
Secondo
l’Invalsi sommando i dati, avremmo il 23,2% (13,5+9,7) di diciannovenni
dispersi tra espliciti e impliciti, e inoltre – tra i maturati non considerati
dispersi impliciti – un’altra percentuale di diplomati che comunque non
raggiunge risultati “adeguati”, valutabile attorno al 30% abbondante.
Statistiche,
numeri, ecco cosa è diventata la valutazione di sistema, che, invece, era stata
concepita e promossa come supporto alle decisioni politiche; c’è stata la valutazione dei
ritardi e degli squilibri della scuola italiana, che si è andata certamente
affinando, ma
è mancata la politica scolastica che ha sempre considerato gli investimenti per
la SCUOLA, solo come costi.
Tornando
al decreto, dalla distribuzione dei 500 milioni di euro saranno escluse le scuole con
percentuale inferiore all’8% perché la distribuzione si basa sulla percentuale di studenti
con risultato L1 (mai esplicitato dall’INVALSI) nelle prove di italiano e
matematica.
Il risultato
finale è che solo il 39% delle scuole italiane risulta beneficiaria dei fondi
con incongruenze all’interno dei territori regionali e provinciali e con
effetto paradosso:
sono
finanziati licei classici e non ricevono contributi gli Istituti Comprensivi appartenenti a zone in cui le
percentuali della dispersione esplicita sono elevati e consolidati nel tempo. Le Scuole secondarie di secondo grado
sono un numero maggiore degli Istituti Comprensivi, dove si riscontrano
maggiori difficolta di apprendimenti e da dove si deve partire per il recupero; mancano i CPIA perché non si
svolgono le prove INVALSI, ma anche questi Istituti sono a rischio dispersione.
Il
decreto ministeriale (170 del 24.06.2022) attribuisce, quindi, 500 milioni di
euro, risorse del PNRR, alle scuole in funzione del recente indicatore, la “dispersione implicita, senza
tener conto di altri indicatori, quali il contesto e i bisogni, la mancanza di
interventi strutturali e di sistema.
(Mariolina
Ciarnella – Presidente IRASE Nazionale).
Quanto
fin qui posto in evidenza è stato oggetto di riflessioni del Segretario
Generale della UIL Scuola Turi che ha dichiarato quanto segue:
“La
dispersione scolastica, così come la formazione, subisce da tempo una
progressiva azione intesa a ridurla a mera materia economica, generando una
prospettiva che non tiene in alcun conto la persona e il contesto in cui vive:
la Scuola.
Investire risorse senza un progetto di massima e senza
alcun dibattito, ci sembra, con amara evidenza, solo un modo per attivare e sostenere
clientele eludendo la risoluzione del problema della dispersione scolastica,
grave piaga da combattere.
Quando
il criterio base si esplicita nell’offrire soldi, senza comprendere né il
contesto né i bisogni, non misurabili “un tanto al chilo” come fa l’invalsi,
siamo in presenza di un ennesimo spreco.
Non si
trovano soldi per aumentare gli stipendi del personale e poi si buttano via a
piene mani preziose risorse.
Numerose
sono le scuole che si mostrano più ” attente ” ai finanziamenti dedicati ad
azioni straordinarie che a favorire l’ordinario. In questo solco si collocano le
risorse dispensate da regioni e Stato per risolvere un problema che andrebbe
osservato e approcciato nelle sue premesse e non negli effetti.
Si
punta sui progetti e si trascura l’attività di istituto che è una delle premesse per
prevenire la dispersione, piuttosto che inseguirla.
È la
povertà, quella vera, a generare anche quella formativa, ma non è così che si
può invertire la tendenza. Spendere è l’approccio del governo per dimostrarci che ha
affrontato il problema della dispersione scolastica, per affermare che ha agito
bene sciorinandoci le risorse impegnate. Sarebbe meglio e più opportuno
partire da un’idea di intervento strategico sulla base dei dati.
Il
guaio è che il neo liberismo (della cricca globalista al potere anche in Europa.Ndr) non produce idee se non omologate al pensiero unico, quello di amministrare risorse, con
il modello del mercato: Il più bravo prevale gli altri soccombono.
La
scuola ha un mandato che muove da principio differente: chi rischia di soccombere, se messo
nelle condizioni di agire, diviene contribuito alla risoluzione del problema.
Per
questo diciamo che la scuola non è un’azienda e la distribuzione delle risorse deve
seguire strade diverse, magari quella dei bisogni. Viceversa si allargherà la
forbice delle disuguaglianze, vero humus su cui cresce la dispersione e la
povertà educativa”.
(Pino
Turi – Segretario Generale della UIL Scuola).
Il
Pnrr rilancia
la sanità
privata
con i soldi pubblici.
Transform-italia.it-
Dott. Edoardo Turi-(17/11/2021)- ci dice :
Diritto
alla salute.
Con Def e
Ddl Concorrenza una riforma dall’alto del Servizio sanitario nazionale, dopo la shock
economy dell’epidemia.
La sinistra (non liberal Dem Usa! Ndr .) deve fermare la ri-mutualizzazione.
Il
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), il Documento in bozza dellAgenzia
Nazionale dei Servizi Sanitari (Agenas, Ente gestito da Regioni e Ministero
della salute), il Documento di Economia e Finanza (Def), la sua Nota di Aggiornamento
(NaDef) e il
Disegno di Legge (Ddl) Concorrenza, sono un tentativo di riforma del Servizio Sanitario
Nazionale (Ssn) a invarianza di normative e con variabili indipendenti: l’ospedale e la
medicina di base (medico e pediatra di famiglia, specialistica ambulatoriale
convenzionata, non costituita da operatori dipendenti e nei bilanci posti sotto
la voce:«acquisizione
di beni e servizi»).
Come
tutto il settore privato convenzionato-accreditato (Rsa, lungodegenze, Hospice,
riabilitazione, assistenza domiciliare) e le esternalizzazioni (CupP, pasti, pulizie, manutenzione,
informatica, lavoratori atipici),
Pubblico
e privato fanno «sistema» come detta il “pensiero unico dominante”: “white economy” fonte di nuovi
profitti, anche tramite assicurazioni sostitutive, ormai presenti in molti
CCNL.
Tra
2010 e 2019, chiusi 173 ospedali e 837 ambulatori, il personale sanitario cala
di 42 mila unità su 642.636 (-6,56%) con il blocco delle assunzioni nella Pubblica
Amministrazione (P.A.).
Il
settore privato va dal 53,6% al 58,65%. Il blocco è aggirato spostando la spesa
dalla voce «personale» a «acquisizione di beni e servizi» con il ricorso al
privato: un falso in bilancio legalizzato.
Medicina
del territorio e prevenzione sono state vittime della carenza di personale, di
gigantismo di Asl e Distretti, molto diversi da quelli della L. n. 833/1978
(20-40.000 abitanti), oberati di competenze amministrative, senza salute
mentale e prevenzione in Dipartimenti autonomi, deboli di fronte al progressivo
invecchiamento della popolazione con aumento di patologie croniche ed enorme
offerta diagnostica e farmacologica, schiacciati tra ospedale e medicina di
base.
La
NADEF descrive la spesa sanitaria rispetto al totale delle spese della P.A.: da 123,474 milioni di euro nel
2020 (14,4%) a 129.449 milioni nel 2021 (14,5%, picco con l’epidemia), con
valori decrescenti fino al 2023 per 124.428 milioni pari al 14,0%.
In
rapporto al Pil si va dal 7,5% nel 2020 al 6,1% nel 2024. Cifre che vanno solo per il 50% al
SSN pubblico e il restante al privato convenzionato/esternalizzato.
Il
Pnrr Missione 6 (ma la sanità è presente in altre Missioni, come i finanziamenti alla
farmacie ove non vi siano altri servizi sanitari) vede 7 miliardi di euro, 1,50 React
EU e 0,50 Fondo complementare per l’assistenza territoriale sanitaria (reti di prossimità, telemedicina,
case e ospedali di comunità, centrali operative territoriali); l’innovazione tecnologica è 7,4
miliardi (l’85,4%), formazione di operatori e ricerca sanitaria 1,26 miliardi.
Nulla per assunzioni di personale: solo ristrutturazioni di edifici pubblici e
acquisti.
Sono
previste future norme legate alla Legge di bilancio, con disegni di legge:
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Patto per la salute 2019-2021 e per il
potenziamento dell’assistenza territoriale, anziani non autosufficienti,
disabilità, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs),
autonomia regionale differenziata.
Punto
preoccupante, non impugnabile con referendum (impossibile su norme
finanziarie), perché la sancirebbe in una legge di bilancio, dopo la riforma
del titolo V della Costituzione del 2001: 21 diversi Servizi sanitari
regionali, il divario Nord-Sud fin dalla L. n. 833/1978, il finanziamento
iniquo basato su quota capitaria pesata per età, che favorisce il «turismo
sanitario» indebolendo ulteriormente le Regioni del Sud con trasferimento dei
corrispettivi di spesa alle Regioni del Nord per le prestazioni lì erogate.
Quali
risposte del Pnrr? La Casa della comunità (CdC) non differisce dalla Casa della
salute (CdS), ma sorvola sui risultati impietosi fotografati in un Dossier
della Camera dei Deputati (del 2020): 493 in 13 Regioni.
La CdS
fu pensata da Giulio Maccacaro come luogo di partecipazione in un Distretto di
piccole dimensioni. Di fronte al gigantismo di Asl e Distretti, inaugurato in
Toscana, la Cgil la ripropone in quella Regione nel 2004, come risposta a quel
gigantismo e come strumento di riforma della medicina di base e poi prevista
sperimentalmente dalla Ministra Livia Turco nella Legge di bilancio nel 2007.
La CdC
deriva invece il suo nome da un convegno del 2020 dell’associazione “Prima la
Comunità” (Don Colmegna, Livia Turco): ambiguo ma funzionale al privato sociale
in mancanza di assunzioni.
L’ospedale
di comunità (oggi 163 in 10 Regioni) si presta ad accordi con il privato
accreditato. Le centrali operative territoriali: un’invenzione che tende ad una
ingegnerizzazione informatica dei servizi, smistando la domanda, più che
prenderla in carico, pensata per un cittadino consumatore abituato a comprare
su internet. Ingegneria istituzionale calata dall’alto.
Il DDL
Concorrenza sancisce il ruolo del privato, portando a compimento il processo
iniziato con le «bombe a orologeria» già inserite nella L. n. 833/1978 (artt.
25, 26) dai suoi avversari, attraverso la «ri-mutualizzazione» del SSN.
La
pandemia ha fatto esplodere le contraddizioni già presenti nel Ssn innescando
quella che Naomi Klein ha definito «Shock economy», il capitalismo dei disastri: approfittarsi di uno stato di shock
politico, sociale o economico per effettuare un cambiamento rapido, permanente
ed irreversibile nella società.
L’intento
è depurare il Ssn da quell’aspetto costituzionale di «riforma di struttura», «elemento di
socialismo»
(come prefigurava il Pci) o «obiettivo prefigurante» (per il manifesto), che la sinistra
aveva ottenuto in due decenni di lotte operaie e studentesche a cavallo del
lungo Sessantotto italiano.
Nel
suo discorso di insediamento, Mario Draghi, alfiere del pensiero
neo-liberale-liberista, ha citato Cavour, e i partiti che lo sostengono (Pd,
Lega, 5Stelle) sono ormai tutti nell’orbita liberale-liberista, seppure con
declinazioni diverse tra loro. Sono Liberal-liberisti con i soldi pubblici.
Siamo
alla spallata finale dopo anni di definanziamento e ricorso al privato,
responsabili anche governi di centrosinistra nazionali e regionali (pur con la
sinistra radicale), in mancanza di nuove elaborazioni e pratica sociale.
(Edoardo
Turi è medico, Direttore di Distretto Asl, attivista di Medicina democratica e
del Forum per il Diritto alla Salute.).
FINANZA
E POLITICA.
L’errore
nel Pnrr è costato
caro a
Draghi e al Pil”.
Radiomaria.it-(26
Luglio 2022)-Lorenzo Torrisi int.
Gustavo Piga – Il Sussidiario- ci dice :
La
caduta del Governo è stata causata dal Pnrr. E se l’Europa non cambierà le
politiche fiscali presto si riaffaccerà lo spettro dell’Italexit.
Il
Governo resta in carica per gli affari correnti, e la sua azione, come previsto
dalla circolare firmata da Draghi venerdì scorso, sarà concentrata “nell’attuazione legislativa,
regolamentare e amministrativa del Piano nazionale di ripresa e resilienza
(Pnrr) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari (Pnc)”.
Tuttavia,
come spiega Gustavo Piga, sta proprio nella volontà di attuare pedissequamente
il Pnrr l’origine della crisi che ha portato il premier a rassegnare le
dimissioni.
“C’è
una lezione di 30 anni fa che i politici e le istituzioni italiane ed europee
dovrebbero andare a recuperare”, ci dice il professore di economia politica
all’Università Tor Vergata di Roma.
A che
cosa si riferisce?
Nel
1992, Bill Clinton riuscì a sconfiggere George Bush sr. in una campagna
elettorale importantissima per la storia degli Stati Uniti, alle prese con una recessione, grazie anche allo slogan: “It’s the economy, stupid!”.
La lezione da imparare è che i cittadini votano anche
in funzione delle politiche economiche che sono state adottate da chi li ha
governati. E c’è qualcosa che è andato
veramente storto nella politica economica italiana, e anche in quella europea
che la influenza, se siamo arrivati al punto di dover perdere un leader della
portata potenziale di Draghi.
Lei ha
idea di che cosa sia andato storto?
Basta
guardare a quali sono state le mosse del premier in politica economica.
Draghi ha avuto un costante e unico pensiero:
rispettare missioni e traguardi del Pnrr, insieme a tutte le sue condizionalità.
Comunemente
si pensa che il Pnrr garantisca risorse in cambio di riforme, in realtà occorre
anche portare a termine un piano di aggiustamento fiscale identico a quello del
Fiscal compact e il presidente del Consiglio ha perseguito quest’obbligo con
scientificità.
Per
capirlo è sufficiente confrontare le mosse di politica fiscale dell’attuale
esecutivo con quelle di chi l’ha preceduto, il Governo Conte-2, che aveva
cominciato a mettere a punto il Pnrr.
Cosa
emerge da questo confronto?
Entrambi
i Governi sono stati mostruosamente austeri, quello di Draghi più di quello di
Conte.
Quest’ultimo
promise una riduzione dal 2020 (ricordiamoci in che condizioni eravamo) al 2023
del rapporto deficit/Pil pari al 7,8%, qualcosa come 130 miliardi di euro.
L’attuale presidente del Consiglio non solo ha
aumentato questa percentuale di rientro (tra il 2021 e il 2024) all’8,4% nel
Def del 2021, ma nella Nadef ha cambiato il punto di partenza, cioè il
deficit/Pil del 2021, portandolo dall’11,8% al 9,4%.
I
numeri sono chiari. Resta però da capire cosa c’entrino con la crisi di Governo…
C’entrano
tantissimo, perché la politica fiscale portata avanti dall’esecutivo ha
generato costanti mal di pancia e sofferenze nella popolazione e, dunque, a
valle nei partiti e poi plasticamente si è riflessa nello scontento sulla
questione dello scostamento di bilancio che veniva chiesto a gran voce già
dalla fine dello scorso anno.
Quindi,
la decisione di attuare una determinata politica fiscale è stata certamente
foriera di tensioni altissime all’interno della coalizione di Governo. L’Europa, che si lamenta oggi nel
vedere l’Italia come un potenziale rischio per il proprio futuro, deve capire
che tale rischio è stato generato in larga parte dall’ottusità dei suoi
burocrati e dei tecnici italiani che hanno voluto seguire una politica
economica opposta a quella necessaria in un momento così grave, con una
pandemia, una guerra e una crisi energetica.
Se
l’Europa ci vede come un rischio è anche perché lo spread è salito parecchio
negli ultimi giorni.
Lo
spread indica quanto il resto del mondo si fida di noi. È molto interessante notare che ai
tempi del Governo Conte, prima che si abbozzasse il Pnrr, viaggiava a dei
livelli simili a quelli degli ultimi mesi prima della crisi di Governo, poco
sopra i 200 punti base. Poi è crollato, ancora con Conte a palazzo Chigi.
Perché?
Perché
era cominciata la procedura che avrebbe portato in seguito all’approvazione del
Pnrr.
C’era una fortissima fiducia sul fatto che sarebbe
stato lo strumento giusto per salvare il nostro Paese, ma ha fallito. In parte perché l’abbiamo accompagnato con quelle
politiche fiscali di cui abbiamo parlato poc’anzi, in parte perché si è
cominciato a vedere che i soldi arrivati non venivano spesi oppure erano
utilizzati in ritardo.
Il
ministro Franco, nel corso di un’audizione parlamentare, ha spiegato che dei 15
miliardi da utilizzare per vecchi progetti ne sono stati spesi solo 5, e non
sappiamo nemmeno in che modo, perché non c’è trasparenza al riguardo.
Ormai
è voce comune che i soldi legati al Pnrr rischiamo in gran parte di spenderli
male o in ritardo, andando contro le prescrizioni europee. Questo per un motivo molto
semplice.
Quale?
Per
spenderli, e bene, come abbiamo detto tante volte, occorre la madre di tutte le
riforme per avere una classe di acquirenti pubblici, di responsabili delle
stazioni appaltanti, all’altezza della loro missione.
Invece
abbiamo pensato di gestire l’immensa massa di risorse del Pnrr come se nulla
fosse, con la stessa struttura che ha fallito negli ultimi 30 anni.
Il
Governo non ha pensato di prendere i migliori giovani laureati, pagarli bene,
farli lavorare in squadra, lungo tutto il territorio, per realizzare al meglio
le gare per gli appalti.
Ed eccoci quindi al punto che lo spread risale
perché il mondo si rende conto che l’Italia non riesce a tirarsi fuori dalla
palude economica per mancanza di riforme e politiche fiscali giuste.
Il
Pnrr sembra, quindi, da bocciare…
Lasciando
da parte il fatto che prevede una marea di riforme, le quali solitamente
andrebbero realizzate in periodi di espansione economica, il punto principale è che tutto
questo ambaradan che ci portiamo appresso da quasi due anni non ha dato luogo
ai successi che avrebbe dovuto generare. Basta constatare che, secondo la
Commissione europea, l’Italia a fine 2023 sarà cresciuta, rispetto al
pre-Covid, dell’1,4%, contro il 2,8% della media dell’Eurozona. Quindi, ci
troviamo ancora una volta con un Paese relativamente più povero degli altri.
E
senza più Governo.
Il
Governo è caduto perché non ha saputo generare crescita, opportunità e
occupazione.
La lezione da trarne è che vanno fatte le
riforme prioritarie, non centinaia di riforme, e che, soprattutto, vanno messe
a disposizione del Paese risorse abbondanti per realizzare investimenti
pubblici.
Il
Paese questo l’ha sentito, i politici l’hanno avvertito, ci sono state
fibrillazione interne e il Governo non ha tenuto: la sua caduta è solo la presa
d’atto di un fallimento di politica economica.
Non
c’è stata allora la percezione, da parte del capo del Governo, di questo
malessere del Paese. Anzi, ha evidenziato che erano gli italiani a chiedere che
restasse in carica…
Lei mi
provoca, ma io sono solo un povero economista, non capisco nulla della scienza
della politica.
Dopo
il 25 settembre ci sarà ancora il Pnrr, inoltre lo scudo anti-spread della Bce
ha condizionalità legate alla politica fiscale. Sembra dura, dunque, uscire dal
pantano per l’Italia, chiunque vincerà le elezioni.
Se
così è, e devo dirle che purtroppo non dò una probabilità zero a questo
scenario, prepariamoci a uno spread che tornerà a salire terribilmente, con
l’austerità e l’aumento dei tassi di interesse, prepariamoci a trovare un Paese
che diventerà sempre più irritato dalle soluzioni proposte dall’Europa, perché
fallimentari, prepariamoci a vedere uno Stato membro come l’Italia pronto a
discutere, con certe maggioranze, di una fisiologica uscita dall’euro. Il rischio non è piccolo, è già
prezzato nella recente risalita dello spread. Se continuiamo come se nulla
fosse rispetto a quello di cui ha bisogno questo Paese per tornare a crescere,
se tutto prosegue “business as usual”, il disastro è dietro l’angolo.
L’ideale
sarebbe, quindi, che il nuovo Governo, qualunque esso sia, cercasse di
ridiscutere il Pnrr, soprattutto nella parte relativa alla politica fiscale…
Ed è
fattibile.
Il Governo giallo-verde riuscì a rivedere
incredibilmente il ritmo di riduzione del deficit/Pil per aiutare il Paese. Esultai anch’io per questo.
Purtroppo
dovetti poi prendere atto che tutti quei soldi liberati vennero sperperati per
Reddito di cittadinanza e Quota 100 senza contribuire alla crescita
dell’economia.
Liberare l’Italia dal morso del Fiscal compact
è una pre-condizione, occorre poi spendere le risorse per investimenti pubblici
ben realizzati, tramite quindi la madre di tutte le riforme: la spending review volta a spendere
bene inserendo nella Pubblica amministrazione più vecchia d’Europa una marea di
giovani bravissimi che non aspettano altro che contribuire alla rinascita del
loro Paese anziché essere costretti a emigrare.
Da
parte europea si può lasciar spazio a politiche fiscali diverse da quelle
finora prescritte per l’Italia?
Ripeto,
c’è un precedente: quello del Governo giallo-verde, cui l’Europa alla fine
concesse un ridimensionamento dell’austerità. Si può quindi modificare il cammino
di riduzione del deficit, senza abbatterlo in tre anni verso il 3% del Pil,
soprattutto se insieme si presenta un piano credibile su come utilizzare le
maggiori risorse a disposizione.
Ci vuole ovviamente grande leadership, grande
intelligenza a livello europeo e italiano, ma è fattibile.
Siamo arrivati sull’orlo del burrone e non
perché arriveranno al Governo certi partiti piuttosto che altri, ma perché ci hanno portato lì certe
politiche economiche che sono state attuate in questi ultimi dieci anni da
tutti i Governi, con alcuni che hanno fatto più danni di altri.
(Lorenzo Torrisi).
Il
PNRR sbaglia a svalutare
la
cultura umanistica: ecco
perché
c’è bisogno di più pensiero critico.
Agendadigitale.eu-Prof.
Giovanni Dursi- (18-3-2022)- ci dice :
Cultura
tecnico-scientifica alla ribalta nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza,
ma viene negata alla cultura “umanistica” la stessa possibilità d’essere
“famosa per quindici minuti”. Davvero è l’unica strada?
Si è
appurato che la messa in cantiere del Piano nazionale di ripresa e resilienza (
Recovery
and Resilience Facility) che “per l’Italia rappresenta un’opportunità imperdibile di
sviluppo, investimenti e riforme”, prevede l’impiego di personale tecnico portatore di
competenze in specifiche discipline: Matematica, Statistica, Informatica,
Economia, Ingegneria, Giurisprudenza.
Nel
testo del PNRR, la parola “cultura” (e sue derivazioni) è abbondantemente usata
; al
contempo, risulta sempre associata ad una semantica tecnico-economica e
privata, conseguentemente, della sua autonomia concettuale.
Le
competenze (quindi, non i “contenuti” di conoscenza) della Filosofia (da sempre
ha assunto il significato di “madre delle altre scienze”), ad esempio, sono
assenti, espunte.
Ma è
proprio dalla Filosofia, iniziando a dialogare efficacemente con la Scienza,
che invece arrivò l’attacco decisivo all’arretratezza socio-culturale del
Paese; dalla valorizzazione del pensiero scientifico in funzione antidealistica
si realizzò, in particolare con Ludovico Geymonat (1908-1991) e Giulio Preti
(1911-1972), una vera innovazione, nell’immediato dopoguerra e proprio in
sintonia con una rigenerazione della mission – intervento pubblico per lo
sviluppo economico italiano – attribuita all’I.R.I. dopo il 1950.
La
gestione tecnocratica delle ingenti risorse del PNRR.
Il
Next Generation EU, come è altrimenti definito il Piano, contiene aree
tematiche principali su cui intervenire, individuate ritenendo possano essere
l’occasione per “riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo
rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi
decenni”.
S’aggiorna,
in tal modo, l’utopia tecnocratica della prima rivoluzione industriale, si consolida il trend relativo alla
formazione di gruppi sociali ove prevalgono tecnici, manager, esperti nelle
discipline scientifiche, direttori amministrativi, grands commis che, pur nella
diversificazione delle competenze, tendono a coalizzarsi nell’operatività a
loro attribuita, in sintonia con il potere politico-istituzionale nel
conseguimento di status stabili per la direzione economico-sociale nazionale.
Se, da
un lato, sembra scontata la stellare lontananza dall’impostazione medievale
della formazione socialmente richiesta – ricordiamo le artes liberales (in tal
modo definite da Seneca) che costituivano i due gradi dell’insegnamento, l’uno
letterario, l’altro scientifico, comprendenti la grammatica, la retorica e la
dialettica (il Trivio); l’aritmetica, la geometria, la musica, l’astronomia (il
Quadrivio) – è pur vero che, sebbene embrionalmente, un’impostazione
interdisciplinare o, meglio, transdisciplinare, le istituzioni culturali
operanti dal 476 (caduta dell’Impero romano d’Occidente) al 1492 (approdo
europeo nel Continente americano) in qualche modo la prevedevano, a differenza dell’ambiziosa vision
del PNRR.
La
gestione tecnocratica attuale delle ingenti risorse del PNRR – 235,12 miliardi
di euro complessivi, di cui stanziati 49,86 miliardi per “Digitalizzazione,
Innovazione, Competitività, Cultura” – riversate su tre assi strategici
condivisi a livello europeo, digitalizzazione e innovazione, transizione
ecologica, inclusione sociale, è affidata ad un gruppo ristretto di
professionisti unilateralmente preparati.
Tutte
le competenze dimenticate dal PNRR.
L’esecuzione
del PNRR non prevede affatto la messa in valore di:
competenze
logiche (capacità
di riconoscere, usare e sviluppare i vincoli logici, di lavorare con e sui
concetti),
linguistico-comunicative
(capacità
di definire e chiarire i termini in uso, di crearne di nuovi, di adeguare l’uso
di quelli esistenti, di usare di volta in volta quelli più adatti)
all’argomento e al contesto, critiche (capacità di mettere in discussione, di
relativizzare, di confutare),
analitiche (capacità di individuare differenze
e analogie e di esplicitare presupposti di significato e di valore, di
costruire e decostruire definizioni),
ermeneutiche
(capacità
di comprendere, dare senso e orientarsi negli universi concettuali),
dimostrative (capacità di far comprendere
concetti e dimostrare ipotesi attraverso argomentazioni, racconti, aforismi,
metafore),
sistematiche
(capacità
di costruire sempre più ampie cornici di senso, mappe trasversali e
multidisciplinari, entro le quali inserire l’esperienza e connettere tra loro
le varie teorie che la interpretano; capacità di orientarsi e muoversi al loro
interno e negli spazi tra loro),
valutative
(capacità
di distinguere e gerarchizzare valori, di determinare fini, di giudicare, di
sospendere il giudizio),
riflessive
(capacità
di effettuare metacognizioni di livello sempre più elevato, di spiegare
pensieri con pensieri più astratti, di guardarsi dall’esterno, di esplorare e
sfruttare le risorse delle paradossalità metalinguistiche),
creative (capacità e desiderio di andare
oltre il già noto e istituzionalizzato, di cercare il nuovo, di riconoscerlo,
di rischiare nella sua attuazione).
La
discriminazione della cultura umanistica.
All’inizio
del terzo decennio del XXI secolo, si ripropone – sul piano macroeconomico e
politico sovranazionale – una divergenza netta tra la cultura tecnico-scientifica e
quella cosiddetta “umanistica”, molto simile ad una discriminazione, ad una
ignobile ed anacronistica presunta subalternità della seconda.
Ciò
sulla scorta di convincimenti circa l’indisputabile imprinting – causato dal
nesso “struttura
economica - modi di produzione e riproduzione”, tecnicamente evoluti – ricevuto
dalla dimensione sovrastrutturale, culturale del vivere associato.
Quest’ultima
è in grado di incorporare progrediti saperi tecnico-scientifici, quali unici
fattori fondamentali di maturazione antropologica guidata dall’uso dell’ICT
permettendo la produzione di massa, a sostegno di una presunta gerarchia esistenziale
delle popolazioni mondiali, ed implementando un’ingente frammentazione
lavorativa a favore delle “hard skills” rilevatrici di circoscritte abilità e
specializzazioni.
La
supremazia della tecnologia sulla base di una presunta gerarchia esistenziale
delle popolazioni mondiali.
Dunque,
la “tecnologia” (ambito nel quale precipitano e vengono centrifugate le istanze
economiche e finanziarie del “mercato”, habitat che rende prioritarie le
attività di determinati rapporti sociali d’affari o, sotto altro aspetto,
l’insieme delle operazioni relative a un determinato bene o gruppo di beni come
matrice di ulteriori relazioni interindividuali o inter-gruppali, con quelle
politico-amministrative) appare qualificare i livelli di civiltà auspicata,
storicamente riparametrata grazie ad indicatori quali il diffuso e competitivo
impiego di metodi e strumenti scaturiti dalla ricerca tecnico-scientifica. Quest’ultima risulta politicamente
finalizzata a delineare tutti i percorsi riorganizzatovi del sistema vigente di
produzione di beni e servizi, pervadendo tutte le forme umane di vita e
l’ecosistema nel quale sono collocate.
S’avvera,
in questa guisa, l’ulteriore rivoluzione innescata dalla proceduralizzazione
della cosiddetta modalità “digitale”. Dopo quella “copernicana”, dopo
l’evoluzionismo che riguarda la mutazione delle specie viventi e la
meccanizzazione delle produzioni, a loro volta caratterizzate dall’uso di
vapore o da combustibili fossili, da elettricità, petrolio e prodotti chimici
e, successivamente, da informatica e telecomunicazioni nell’industria, si giunge alla generazione e
fruizione dei
big data, cloud e IoT, utili alla realizzazione del Cyber Phisical System e all’orizzonte è in itinere una
originale “pragmatica
dell’Intelligenza Artificiale” che dilata esponenzialmente le proporzioni dell’Information and Communication
Technology nell’impatto
ristrutturale dei processi economici e sociali.
Non a
caso, Klaus Schwab, principale esponente di rilievo del WTO (World Economic
Forum), ha definito (2016) questo nuovo paradigma – l’archetipo “digitale” – come “una
trasformazione che, per grandezza, portata e complessità, sarà differente da
qualsiasi cosa l’umanità abbia mai sperimentato”.
Tuttavia,
a ben guardare, si può notare un contrasto profondo tra la dimensione sempre
più omologante e totalizzante delle necessità economiche e la modesta
consapevolezza collettiva circa il rilievo di “senso” dell’operare lavorativo. Siamo in presenza di un’abiura circa
implicazioni sul piano conoscitivo e socio-culturale di miliardi di persone e
rispetto alle dilaganti povertà post-materialistiche.
Il
bisogno di un heideggeriano Destruktion.
Nel
Paese, in particolare, si registra su tutti i piani e in tutti i settori non
tanto un bisogno insoddisfatto di cultura tecnologica e scientifica, che ai
livelli basici è oggettivamente carente, ma, soprattutto, un heideggeriano
Destruktion. Del resto, paradossalmente, lo stesso PNRR ammette che la
“digitalizzazione è un abilitatore trasversale ad ampio spettro: dalla
piattaforma per la selezione e il reclutamento delle persone, alla formazione,
alla gestione delle procedure amministrative e al loro monitoraggio” a
dimostrazione che il “comando” è situato in territorio economico, riguarda il
soggetto “impresa” e non la “collettività”.
Si
riaccende il fuoco dell’analisi polemica.
Ecco
perché, in campo culturale, si sta riaccendendo il fuoco dell’analisi polemica
in grado di revocare in dubbio, di “criticare” adeguatamente la destrutturazione
cognitiva in atto che oggi afferma – senza alternativa alcuna – la metafisica
influente del “mercato” e della “tecnica”, il cui primo evidente risultato è il
successo planetario dell’asservita riscrittura dei metodi relazionali e
(dunque) cognitivi.
Espressioni,
queste ultime di una socialità coartata, sussunta nel dominio ideologico
economico-produttivo che agisce come agente di riduzione in schiavitù cognitiva ed
emotiva.
Vanno
esperiti sforzi per affrontare coraggiosamente, “de-costruttivamente”, la
situazione descritta ed esprimere l’atto del cercare oltre le cose così come si
presentano, oltre la loro superficie, per rischiarare le complicazioni che si
celano dietro l’organizzazione profonda del reale multiforme.
Qui
può intervenire esclusivamente il dileggiato sapere “umanistico” – in primis la
Filosofia – per colmare questo deficit culturale anche nello “spazio comune”
europeo, essendo necessario e urgente assumere iniziative efficaci per
allineare il “fare” al “pensare”, la produzione di beni e servizi anche ad alto
tasso tecnico all’elevazione culturale di massa, l’emancipazione economica alle
libertà civili, gli algoritmi dell’interdipendenza economico-commerciale alla
formazione umana onnilateralmente e politecnicamente promossa.
Una
caratteristica fondamentale da ascrivere alla difficoltosa opera di
decostuzione è la sua natura epocale: la decostruzione non è un’operazione
mossa da un impeto individuale o da una gruppo sociale, ma un accadimento, una
circostanza storica dell’evoluzione civile secondo la quale l’impianto generale
del consorzio collettivo dovrà essere complessivamente revocato in dubbio.
Il
ruolo del pensiero critico della decostruzione.
La
narrazione che l’approccio tecnico-economico fornisce all’analisi della
condizione umana semplifica la complessità del vivere e può risultare sviante, nociva,
menzognera.
Il
ruolo del pensiero critico della decostruzione, è quello di smontare le
semplificazioni ideologiche omologanti, la standardizzazione delle idee, la
banalizzazione della realtà.
In una
lettera al suo traduttore giapponese,
Toshihiko Izutsu, il filosofo Jacques Derrida comunica: “[…] Bisognava
disfare, scomporre, desedimentare delle strutture (di ogni tipo: linguistiche,
fonetiche, logocentriche). […] Ma disfare, scomporre, desedimentare delle
strutture, non era un’operazione negativa. Più che distruggere, si trattava di
capire come si fosse costruito un certo “insieme”, e per farlo bisognava
ricostruire”.
Davvero
è oggi prioritario saper corrispondere a un’urgente necessità di congetture e
quadri concettuali che consentano di comprendere come l’umanità e il suo
“ambiente” debbano continuare ad evolvere senza soccombere .
(Prof.Giovanni
Dursi-docente di Filosofia e Scienze umane).
Il
Green Pass serve solo
a dimostrare
che sei UBBIDIENTE.
Italiador.com-(16
aprile 2022)- Redazione- ci dice :
(Covid-19
-16 aprile 2022).
Il
green pass non serve a dimostrare che sei sano, serve a dimostrare che sei
ubbidiente. Una volta misurate la debolezza e lo spirito di sopportazione agli
abusi di stato, la popolazione é pronta per le fasi successive, arrivare
all’Identità Digitale, passando in Italia per “IDPay”.
Obiettivo: schedare elettronicamente il cento per
cento della popolazione mondiale entro il 2030, come definito nell’agenda
“ID2020 di Bill Gates”.
L’Europa
é a buon punto per l’implementazione, grazie alla spinta maniacale di Von der
Leyen e l’Italia tra Maggio 2022 ed il 2023 avrà l’IDPay (nome temporaneo), una
carta di servizi digitale propedeutica che potremmo già definire Identità
Digitale 1.0.
Il 5G
per la trasmissione dati ad altissima velocità è a buon punto, a seguire il
riconoscimento facciale con le web cam
in strada e nei luoghi pubblici, poi il gran finale con il credito sociale,
modello cinese …. e siamo belli che buggerati. Diventiamo schiavi, SE non lo
impediamo in TUTTI i modi possibili ed immaginabili.
Come
abbiamo già affermato il Green Pass NON è mai servito per motivi di salute ed
arginare la finta pandemia, volevano
solo dividere la popolazione, effettuare una prova generale e misurare le
possibili reazioni.
Allo
stato dei fatti, con le novità sopra anticipate, Vaxxinari e No-Vax dovranno
scegliere, se essere punturati a vita con cadenza semestrale-annuale per
diventare OGM controllati, oppure se diventare “ribelli” per mantenere la
Libertà, riaffermare la Legalità e lo Stato di Diritto.
DAL
GREEN PASS ALLO “SMART CITIZEN WALLET”:
QUANDO
ABITUARSI ALLA FRUSTA
VI
RENDE SCHIAVI.
Italiamensile.it-
Redazione-Allenza anti-globalista-Redazione-(23-giugno 2022)- ci dice :
Arriva,
in via sperimentale promossa dalle amministrazioni comunali di Bologna e di
Roma, lo
“Smart Citizen wallet” che tradotto significa letteralmente “borsellino elettronico del
cittadino”.
Questo
sistema prevede una sorta di tessera a punti per ottenere pregi e servizi
aggiuntivi offerti dall’amministrazione comunale e dai suoi partners, e già
partendo da questo concetto viene evidentemente meno il ruolo della buona
amministrazione della cosa pubblica la quale dovrebbe operare scevra da distinzioni
di cittadini di serie A e di serie B, proprio per la sua natura di “pubblica”.
Questo
sistema basato su un concetto di premialità subordinata all’ubbidienza altro
non è che il preludio di un credito sociale in pieno stile cinese!
Già mi
immagino chi si dimenticherà o ritarderà nel pagare il bollo auto al momento
della scadenza, preferendo pagare le bollette in quanto fa fatica ad arrivare a
fine mese e, invece di poterne rimandare il pagamento semplicemente affrontando
una mora di entità accessibile cumulabile nel tempo, si ritroverà preclusi
altri servizi pubblici, magari essenziali, per i quali in realtà aveva già
pagato profumatamente grazie a una pressione fiscale che in Italia si aggira
intorno al 70%.
Inoltre,
questo metodo basato sulla premialità subordinata alla virtuosità, crea una serie di dinamiche affinché venga sdoganato il credito
sociale in stile cinese, volto alla continua divisione in caste e sotto-caste e propedeutico al controllo sempre più
stringente sulle scelte di vita di ogni singolo cittadino, trattandoci tutti
alla stregua di sudditi con al collo un guinzaglio a strozzo.
“Non è
necessario che tu sia un delinquente” si dirà poi “ma basta tu non sia un cittadino
modello e ubbidiente in tutto e sarai quindi emarginato”; in pratica il green pass è stato solo
l’antipasto di una deriva sociale molto più discriminante che i governanti
mirano ad attuare rendendola perpetua.
Ecco
perché questo esperimento sociale che inizierà a settembre nei comuni capofila,
ovvero Bologna e Roma, deve essere assolutamente fermato sul nascere divulgando
consapevolezza tra i cittadini di queste due grandi città (magari con
manifestazioni di entità nazionale in loco), affinché non aderiscano facendo
fallire questo progetto violentatore della libertà personale e della dignità di
ogni cittadino, esattamente come orgogliosamente noi italiani facemmo fallire
mesi fa la famigerata App Immuni non scaricandola perché lesiva delle basi
della privacy.
Ogni
nostra azione porta a conseguenze; la legge di mercato siamo ognuno di noi con le nostre
scelte; la
comodità è la valuta con cui svendiamo la libertà e la nostra dignità ed è per
questo che i diritti, così come i servizi pubblici, non si elemosinano ma si
esercitano e si pretendono in quanto dovuti a priori.
SUL
DOVERE COSTITUZIONALE
E
COMUNITARIO DI DISAPPLICAZIONE
DEL CD
DECRETO GREEN PASS.
Generazioonifuture.org-
Osservatorio per la legalità costituzionale-(4 AGOSTO 2021) -ci dice :
L’Osservatorio
permanente per la legalità costituzionale composto da giuristi di formazione e
sensibilità diverse, (fra i quali i professori costituzionalisti Alberto
Lucarelli, Marina Calamo Specchia i civilisti Ugo Mattei, Piergiuseppe
Monateri, Luca Nivarra, l’amministrativista Sergio Foa e l’internazionalista
Pasquale de Sena) ha realizzato uno studio sul Green pass, un tema centrale
della Democrazia che, a partire dai prossimi giorni, sarà al centro del
dibattito parlamentare, ma che già costituisce, anche con toni talvolta settari
ed eccessivi, motivo di confronto e scontro nell’opinione pubblica.
Si
tratta di un tema estremamente complesso, introdotto in Italia con un
decreto-legge, che si snoda attraverso il rapporto tra ordinamento europeo ed
ordinamento interno, coinvolgendo una pluralità di istituti e principi che sono
alla base della nostra forma di Stato e che pongono in delicato e precario
equilibrio le garanzie delle libertà fondamentali con i doveri di solidarietà
economica e sociale, con immediate ricadute sul principio di eguaglianza.
L’
obiettivo dello studio è di analizzare la natura giuridica del Green pass, la
sua capacità d’incidere sulle libertà fondamentali, la sua sostenibilità all’interno
del perimetro costituzionale;
di
contribuire, al di là degli slogans e semplificazioni, al dibattito ed al
confronto a livello istituzionale, nella comunità scientifica e tra gli
operatoti del diritto.
Lo studio, che verrà pubblicato mercoledì su Questione
Giustizia decreta
l’ illegittimità Costituzionale del Green pass e la sua contrarietà al diritto
Europeo ipotizzandone la disapplicazione giudiziaria. Esso sarà fatto pervenire alle più
alte cariche dello Stato, a tutti i parlamentari, ai membri della Corte
Costituzionale e a tutti i magistrati.
(CLICCA
QUI PER LEGGERE IL DOCUMENTO).
Alla
ricerca del meraviglioso.
Green
Pass, Passaporto biometrico...
Ucraina.
Tutto collegato?
Michelaganz.com-Michela Ganz-Stefano Manera –(17 marzo
2022) -ci dice :
Sulla
pagina face-book di Stefano Manera ho trovato questo post che vorrei
condividere con voi .
Mi
sono meritato un posto nella super-classifica dei complottisti italiani su
Rolling-Stone e ora voglio tenermi stretto questo primato.
Oggi
lo faccio grazia all'amico David Cane (che ringrazio) da cui prendo spunto per
questo post.
Stiamo
tutti cercando di capire cosa stia davvero accadendo in Ucraina e nel mondo in
generale.
Con
un’unica granitica certezza: la verità non è quella che ci raccontano i narratori
ufficiali.
Osserviamo
una polarizzazione ideologica di rara memoria con tanto di epurazioni
eccellenti, intellettuali derisi pubblicamente, scienziati umiliati e
giornalisti fatti tacere.
Quello
che possiamo osservare oggi, il nuovo tassello, è questo in estrema sintesi:
- Viene fuori che l’Ucraina è stato il
PRIMO paese al mondo a introdurre una vera e propria identità digitale, che
incorpora carta d’identità, patente, PASSAPORTO BIOMETRICO, certificato di
nascita, dati medici, dati fiscali e molto altro.
L’app si chiama DIIA ed è stata presentata in pompa magna
da Vladimir Zelensky il 6 Febbraio 2020, quando in Ucraina nessuno (almeno fra
la gente comune…) aveva mai sentito parlare di pipistrelli, bacilli e punture.
- Dopo lo scoppio della pandemia, l’app
DIIA è stata trasformata anche in certificato vaccinale, ovvero l’equivalente
ucraino del Green Pass, necessario per accedere a determinati luoghi, eventi e
servizi.
- E’ utile ricordare che, nel momento
in cui è scoppiata la guerra, l’Ucraina era il paese meno vaccinato d’Europa.
- La settimana scorsa, col paese messo
in ginocchio dai recenti eventi e una maggioranza sempre più ampia della
popolazione ucraina letteralmente vicina alla fame, il governo Zelensky ha
annunciato un importante programma di “ristori” per coloro che sono stati
colpiti economicamente dall’attuale conflitto. Per usufruirne è sufficiente
fare domanda attraverso la comoda app DIIA.
L’unico requisito è
aver completato il ciclo vaccinale.
Quando a far la fame
saremo noi, cosa pensate che accadrà?
Non avete forse
sentore che il piano sia esattamente questo anche qui?
Sul
fatto che il qr-code sarà utilizzato nel prossimo futuro per accedere ai
"benefici" per chi ne ha bisogno (e saranno sempre di più) è già stato
annunciato da esponenti di questo governo.
La
chiamano IdPay ma è la stessa cosa.
L'infrastruttura
è unica.
Non
fanno altro che sfruttare le opportunità, che siano casuali o
"causate", poco importa.
Anche una guerra può
risultare funzionale al disegno, non c'è dubbio.
Di emergenza in
emergenza, altrimenti la bolla esplode.
E' la stessa tattica
utilizzata in Canada: se ti ribelli ti cancello economicamente.
Lì ha bloccato i
conti correnti, alla Russia sono stati congelati 670 miliardi di dollari di
riserve valutarie.
Poi, certo,
annunciano il default perché non può "onorare" gli impegni presi.
Chi si terrà i soldi
sui conti correnti sapendo che possono toglierteli con un click?
E ancora, chi si
terrà i loro soldi, sapendo che possono fare lo stesso, a poco a poco tramite
l'inflazione o comunque facendo crollare il potere d'acquisto in un amen?
Sono soldi creati
dal nulla, Euro e Dollari. Sganciati dall'economia reale. Una montagna
incredibile di massa monetaria che serve a tenere in piedi un'economia che è
arrivata alla fine di un ciclo epocale.
Come li hanno creati
possono farli scomparire.
Digitalizzazione
economica e digitalizzazione dell'identità vanno di pari passo.
L'uomo
reso schiavo ubbidiente perché ricattabile con un semplice click: rompi le
palle? ti cancello.
Nel
caos si può operare al meglio.
E'
nelle condizioni di grande instabilità che si fanno i migliori guadagni, sia in
termini di soldi, sia di potere. In guerra le battaglie si vincono e si
perdono, si guadagnano posizioni e si arretra.
Gente questa è già
una guerra mondiale in atto, aprite gli occhi.
E la propaganda è
attivissima più che mai.
(Michela
Ganz).
GIOVANI
ESCLUSI DALLO SPORT.
GENITORI
RACCOLGONO FIRME
E
SCRIVONO AL GOVERNO.
Byoblu.com-(6 Gennaio 2022)- Miriam Gualandi - ci dice:
Tutti
indistintamente sono stati colpiti dagli effetti negativi dell’emergenza
sanitaria e dalle misure sempre più restrittive che di decreto in decreto
riducono al lumicino la speranza di tornare a una vita normale.
Ma le
vittime principali di questi due anni sono i bambini e gli adolescenti, che
improvvisamente non hanno più potuto frequentare la scuola serenamente, hanno
perso gli amici e sono stati catapultati in una realtà distopica
irriconoscibile.
Giovani
a rischio.
Più
volte abbiamo parlato degli allarmi che però restano perlopiù inascoltati, e
anzi le misure per costringere alla vaccinazione sono anche quelle che
probabilmente avranno un impatto più drammatico sulla crescita dei nostri
ragazzi.
Dopo
gli episodi di discriminazione in classe tra studenti vaccinati e non, con il
fantasma della DAD, ora viene meno anche lo sport.
Il
decreto legge 221 del 24 dicembre 2021 infatti estende l’obbligo di Green pass
rafforzato dal 10 gennaio 2022 e fino alla fine dell’emergenza epidemiologica,
anche a piscine, palestre e sport di squadra al chiuso.
La
lettera aperta dei genitori.
Ieri 5
gennaio oltre tremila genitori del gruppo Telegram Gli Sportivi, che ne conta
quasi seimila, hanno inviato una lettera aperta al Presidente della Repubblica,
al Presidente del Consiglio, al ministro della Salute, a varie Istituzioni
italiane ed internazionali e a tutte le federazioni sportive italiane, per
accendere i riflettori sulla condizione dei figli minorenni che da lunedì non
potranno più partecipare alle attività sportive perché non vaccinati o con
Green pass in scadenza. Come Lucio, per esempio, che fa nuoto agonistico o Matilde,
ballerina classica, ragazzi sani e controllati con tamponi negativi che però
non potranno continuare ad allenarsi.
Considerando
il crescente numero di contagi che avviene proprio tra vaccinati, le misure
governative appaiono inefficaci dal punto di vista sanitario e dimostrano
invece la logica punitiva e discriminatoria che è alla base di tutte le misure
sin qui adottate.
Nella
lettera si legge che “pare curioso che il Ministero della
Salute non sappia o dimentichi quanto lo sport sia fondamentale nella crescita
dei nostri giovani e nella formazione dei futuri cittadini italiani. Pare
curioso che il Ministero della Salute non ritenga doveroso mettere in atto ogni
sforzo perché nessuno sportivo debba essere fermato, bensì incoraggiato,
sostenuto ed aiutato ad andare avanti”.
Oltre
al Governo, i grandi assenti sono anche le Federazione sportive che per anni si
sono fatte portavoce del concetto di inclusione attraverso lo sport e che
rispondono al grido d’aiuto delle famiglie con il silenzio.
La
lettera porta a esempio anche due studi uno a cura del Centro Clinico di
Psicologia di Monza e l’altro promosso dal Dipartimento di Neuropsichiatria
infantile dell’Ospedale Gaslini di Genova, in cui vengono presentati dati
allarmanti circa la condizione di molti adolescenti in seguito al secondo
lockdown.
“I
curatori di tali ricerche”, prosegue la lettera, “hanno inoltre evidenziato che
l’attività fisica e ludica, svolta insieme ai propri pari, è in grado di far
produrre neurotrasmettitori benefici per la salute psico-fisica”.
La
lettera termina con una domanda, alla quale Ministri e Federazioni sportive
avrebbero l’onere morale di rispondere: “è davvero sensato lasciare a casa
dei ragazzi sani?”.
Quando
verrà
tolto il Green Pass?
Finnianson.tumblr.com-
Master Chalk- ( 25 ottobre 2021)- ci dice :
Il
Green Pass non verrà mai più tolto.
Mi
spiego meglio.
QUESTO
tipo di Green Pass legato alla sorte del Corona Virus sparirà con esso.
Ma la
direzione impressa all'evoluzione delle società occidentali punta verso una
ulteriore implementazione di tecnologie elettroniche basate sulle nuove potenti
reti 5G, sui QR Code, sul riconoscimento vocale e facciale.
Il
Green Pass è solo il primo passo di una evoluzione del Capitalismo occidentale
verso la sua prossima fase.
Il
primo passo verso una digitalizzazione totale delle nostre vite, in cui ogni
dato relativo alla nostra esistenza: dai dati dei nostri esami medici a quelli
della velocità e dal consumo dei nostri automezzi, fino ad arrivare alla
quantità stimata di CO2 causata dalle nostre abitudini di consumo, il movimento
retinico sugli schermi e la misura delle nostre risorse di attenzione.
Ebbene
tutto ciò sarà a disposizione di grandi banche dati, e in determinate
circostanze, specie se emergenziali, potrà condizionare il nostro accesso a
determinati tipi di servizi e diritti.
Siamo
diretti in quello che alcuni sociologi hanno chiamato “Capitalismo della sorveglianza”.
Se
finora infatti la tendenza evolutiva dell'Occidente è stata quella di una
generale americanizzazione della società, d'ora in avanti si aggiunge agli
ingredienti che già conosciamo:
(
Individualismo crescente, svuotamento della democrazia, distruzione del mercato
interno, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, concorrenza,
smantellamento del welfare, libero mercato e crisi dello Stato-nazione).
Anche
la nuova influenza costituita dal modello Cinese , che porta in dote al vecchio
modello il rafforzamento delle forme di controllo esercitabili dal potere, il
rafforzamento del distanziamento fisico tra i cittadini attraverso lo smart-working
e attraverso la velocizzazione delle transazioni, dal vivo e a distanza,
effettuabili in pochi istanti attraverso l'uso delle tecnologie..
Assieme
alle “ Certificazioni” vedremo un aumento degli strumenti di governo come i
DPCM e le Task-force, che velocizzano i provvedimenti aggirando le discussioni
parlamentari.
La
prossima emergenza in programma durante la quale vedremo in atto nuove
tipologie di Green Pass , nonché l'avanzamento del quadro sopra delineato, sarà quella già annunciata da
Draghi , di tipo ambientale..
Vi
lascio immaginare lo spazio che sarà lasciato disponibile al dissenso in questo
nuovo mondo che ci aspetta.
Ricomincerà la Civiltà nel Mondo?
E Che
Civiltà?
Marcotosatti.com-
Marco Tosatti- Paolo Deotto-(25 Settembre 2021)- ci dice :
Marco
Tosatti:
Cari
Stilum-curiali, l’amico e collega Paolo Deotto ci regala queste riflessioni,
che mi sembra giusto condividere alla vostra attenzione. Buona lettura.
Ricomincerà
la civiltà nel mondo? Ma cosa vuol dire “civiltà”?
La
catastrofe prosegue, giorno per giorno. Ho detto catastrofe, lo confermo.
Oggi
le cronache ci parlano, in termini quasi mistici, dell’intervento di Adolfo
Draghi all’assemblea di Confindustria. Il ministro Giorgetti, mirabile esempio
di umiltà e riconoscenza verso il genio assoluto del Capo, anzi del Conducator,
addirittura ha rinunciato a parlare perché, ha spiegato, avrebbe detto le
stesse cose. Perché Adolfo non sbaglia, dice la verità, sempre. Anzi, lui è la verità.
La gara per il titolo di Gran Piaggiatore per il 2021 è aperta.
Il
Green Pass non è uno strumento di oppressione, una sporca vigliaccata, un
ricatto: se non ce l’hai, ti trovi sospeso dal lavoro, senza stipendio. Crepa
di fame, sporco revisionista. No, si dice anti-vax, che se ho ben capito è
quasi peggio di fascista.
Il
Green Pass è libertà.
L’Italia
è a tocchi, ma c’è chi veglia su di noi, elaborando progetti che ci salveranno.
Spinello libero, eutanasia libera, suicido assistito.
Insomma,
sarai libero di rincretinirti con la droga, e poi ti aiuteremo anche a crepare.
Sei vecchio, malato, magari anche un po’ rompiscatole. E crepa, c’è il suicidio
assistito e l’eutanasia, tutto gratis.
Non
c’è il rischio che l’Italia si spopoli, perché ogni giorno facciamo sbarcare
centinaia di clandestini. E poi siamo tranquilli anche perché Letta ci ha
assicurato il massimo impegno per lo ius soli e per l’approvazione del DDL Zan.
Il
popolo è considerato come un gregge da usare finché farà comodo?
Ma va,
siamo assistiti dai deputati e dai senatori, i nostri rappresentanti, che ora,
felici di essere “uguali” a tutti gli altri, decidono di auto-castrarsi,
auto-imponendosi l’obbligo del Green Pass per entrare nelle aule parlamentari.
Resta
il bastione della libertà, la libera informazione.
Libera, liberissima di osannare il Capo. Stabilito e chiarito che Adolfo ha
sempre ragione e che Vidkun è l’illuminato custode sommo del Bene, la libera
informazione è liberissima di tenerci informati sui pericoli atroci del Covid e
sulle ultime vicende della famiglia dei Ferragnez.
Andiamo
avanti? Meglio di no, perché si rischia di piangere o di vomitare, o di fare le
due cose assieme.
Quello
che vediamo giorno dopo giorno va ben al di là della cattiva politica, anche
della politica dei traditori e dei felloni. Siamo alla pazzia come pane
quotidiano, un pane avvelenato che però tutti mangiano e ci spiegano che è
tanto buono.
Se a
qualcuno quel pane fa schifo, viene coperto di insulti, emarginato, e se appena
è possibile, indagato, inquisito, arrestato. Questa è pazzia. Ma non è strano
questo scivolamento da manicomio delle “libere istituzioni”, che peraltro non
colpisce solo l’Italia. Non c’è nulla di strano, perché da troppo tempo tutta
la politica, tutta l’organizzazione dello Stato – che dovrebbe, in teoria, esistere
per il bene dei cittadini – è scivolata in una deriva che non poteva che
portare alla follia, perché si tratta di una deriva contraria a ogni
razionalità e in lotta folle con il Padreterno.
Lo
“Stato laico”, prima di diventare Stato laicista, ha retto per lungo tempo a
livello sociale e civile, perché, piaccia o meno, esisteva una morale
fondamentale che era unanimemente accettata.
Ed era, piaccia o meno, la morale cristiana,
tradotta in quei comportamenti nella vita quotidiana dettati da norme non
codificate, anche perché così evidenti alla retta ragione, da non necessitare
di dimostrazioni e codificazioni.
Guarda
caso, la civiltà in Europa, sconvolta e ridotta alla barbarie dopo il crollo
dell’Impero Romano, fu riportata da quei monaci, che, guidati dallo Spirito
Santo, si imbarcarono dall’Irlanda e vennero, senza armi ma con l’Arma
potentissima della Fede, a ripulire la nuova barbarie.
Portarono
di nuovo la Fede cristiana, l’unica Fede, perché Cristo non è venuto tra noi
per dirci di accogliere e considerare uguali a noi gli eretici e i pagani di
ogni specie. Cristo ci ha detto con assoluta chiarezza: “IO sono la Via, la Verità e la
Vita”. Come ci ha detto: “Senza di Me, non potete fare nulla”. Come ci ha
detto: “Chi sarà battezzato sarà salvo”.
I
monaci portarono la Fede cristiana e con essa riportarono la civiltà nel vivere
quotidiano.
Ci
siamo scordati che le principali opere che assicurano e assicurarono assistenza
e conforto soprattutto ai più deboli, nascono dalla carità cristiana tradotta
in opere? Gli ospedali, l’istruzione, la solidarietà, lo stesso esercizio del credito (con le casse rurali), da dove
nascono?
E ci
scordiamo che la Fede e l’autorità della Chiesa, quando essa era ancora
cattolica e aveva un Pontefice cattolico, hanno sempre agito da argine contro
le pretese dei governanti dispotici?
Insomma,
ci siamo scordati che la civiltà – e questo ce lo insegna la Storia – o è
cristiana o non è?
Ce lo
siamo scordati. Ci siamo scordati di essere creature, non creatori e ci siamo
scordati del Creatore. Il serpente, almeno per ora ha vinto.
Ma
fermiamoci un attimo a riflettere. Come poteva non crollare nella mostruosità una Società
che ha reso lecito l’aborto? Un crimine mostruoso, l’uccisione di un innocente.
Di milioni di innocenti.
E sul
cammino della pazzia, nella convinzione di essere diventati creatori, abbiamo
dato spazio e propaganda alle perversioni più ripugnanti, ai deliri sessuali,
anch’essi celebrati come diritti. E vogliamo legalizzare il “diritto al suicidio”, ossia il diritto a quell’atto di
superbia, seppur disperata, con cui si vuole affermare che la vita non appartiene
a Dio, ma all’uomo, che la può far cessare quando vuole.
E la mostruosità dell’eutanasia? E la follia
mostruosa della fecondazione “in vitro”, dell’uso della donna come
“contenitore” di un embrione?
Senza
dubbio usciremo da questo periodo di pazzia. Un Draghi, un Mattarella e tutta la
loro compagnia di tristi servitori, non sono che una corte dei miracoli che
crollerà presto.
Ma
poi?
Sarà
sufficiente ricominciare come prima, indire delle belle elezioni – che pur sono
un sacrosanto diritto dei cittadini, negato da troppo tempo – e festeggiare i
fasti della democrazia?
Non
credo proprio. Abbiamo davanti agli occhi la catastrofe della Stato laicista,
dello Stato che ha voluto far guerra a Dio e che la sta rovinosamente perdendo,
come era inevitabile.
Avremo
qualche speranza di tornare alla civiltà solo se ci ricorderemo dei ruoli che
ciascuno ha. Se riconosceremo i diritti di Dio. Se riconosceremo la nostra condizione
di creature, bisognose di salvezza e che tale salvezza hanno già ricevuto dal Sangue
di Cristo.
Torneremo
alla civiltà solo se smetteremo di sculettare davanti alle mille false
religioni che impestano il mondo, solo se la Chiesa tornerà ad essere la
lampada accesa e messa nel porta-lampade per illuminare tutti.
Quando
ci sarà il crollo del mostruoso castello di follia e menzogne in cui viviamo,
l’urgenza non sarà rifondare la “democrazia”, ma ritrovare la ragione stessa
della nostra esistenza e la ragione dell’esistenza necessaria dello Stato.
Se
sapremo rivedere nel Volto di Cristo la salvezza e nel Suo insegnamento la
regola del nostro vivere quotidiano, se la Chiesa ritroverà il suo primato
e smetterà di essere una congrega di opportunisti vigliacchi, se le false religioni saranno, al
più, tollerate, se la politica ritroverà la morale cristiana come regola e come
barriera assolutamente non discutibile, allora rivedremo anche la civiltà.
Guardiamo
ai Paesi dell’Est, in particolare alla Russia e guardiamo a quei pochi Stati che hanno iniziato, ad esempio,
seppur timidamente, a introdurre nelle loro legislazioni limitazioni al crimine
dell’aborto.
La
strada è quella. Ritroviamo la Legge di Dio, la morale cristiana.
Oppure
accodiamoci anche noi a quelli che già seguono gioiosi il Pifferaio di Hamelin
e rassegniamoci alla fine di tutto.
Bill
Gates, il più grande proprietario
di
terreni agricoli d’America.
Italiador.com-
(27 luglio 2022)- redazione- ci dice :
Bill
Gates, quarta persona più ricca del mondo, ha silenziosamente accumulato
242mila acri di terreni agricoli in tutti gli Stati Uniti. Abbastanza per fare
di lui il più grande proprietario agricolo privato d’America.
Da
anni uscivano notizie secondo cui il fondatore di Microsoft stava acquistando
terreni in Florida e lo stato di Washington, ma ora The Land Report ha rivelato
che Gates, il cui patrimonio è di quasi 121 miliardi di dollari secondo le
stime di Forbes, ha costruito un gigantesco portafoglio di terreni agricoli
sparsi in 18 stati.
I suoi più grandi possedimenti sono in
Louisiana (69.071 acri), Arkansas (47.927 acri), Nebraska (20.588 acri) ed ha una partecipazione in 25.750
acri in fase di trasformazione a ovest di Phoenix, in Arizona, che diventeranno
un nuovo sobborgo.
Secondo
la ricerca di The Land Report, Gates possiede i terreni direttamente e o via
enti terzi tramite Cascade Investments, il veicolo di investimento
personale di Gates.
Altri
investimenti di Cascade comprendono Ecolab, una società che si occupa di
sicurezza alimentare, Vroom, un rivenditore di auto usate, la compagnia
ferroviaria Canadian National Railway e la Cottonwood Ag Management, una
sussidiaria di Cascade, è membro di Leading Harvest, un’organizzazione
no-profit che promuove le politiche di “agricoltura sostenibile” che danno la
priorità alla protezione dei raccolti, del suolo e delle risorse idriche.
Può
forse sorprendere infatti che un miliardario della tecnologia sia anche il più
grande proprietario di terreni agricoli degli Stati Uniti, ma non si tratta
della prima incursione di Gates nell’agricoltura.
Nel
2008, la Bill
and Melinda Gates Foundation annunciò sovvenzioni per 306 milioni di dollari per
promuovere “l’agricoltura
sostenibile ad alto rendimento” tra i piccoli coltivatori dell’Africa sub-sahariana
e dell’Asia meridionale attraverso quella che è passata alla storia come la “rivoluzione verde”, un progetto distopico nato nel 2007
grazie ai profitti generati dalla bolla speculativa immobiliare in cui l’imprenditore Warren Buffet fu in
grado di mettere al sicuro diversi milioni di dollari in una nuova iniziativa
lanciata dalla Fondazione Bill e Melinda Gates insieme alla Fondazione
Rockefeller: l’Alleanza per la Rivoluzione Verde in Africa o Agra.
Gates,
insieme alle aziende private, ha lavorato per ridefinire completamente tutti i
livelli del sistema alimentare africano in favore della chimica, dei monopoli
agroalimentari, degli Ogm e dell’agricoltura digitale, facendo leva
sull’assunto secondo il quale l’Africa sarebbe “indietro” dal punto di vista
dello sviluppo a causa di un accesso insufficiente alla tecnologia. Una
scusante per poter imporre il suo controllo e, come direbbe Vandana Shiva,
“l’imperialismo alimentare”.
Infatti
la fondazione ha compiuto ulteriori investimenti nello sviluppo e nella
diffusione delle “super-colture resistenti ai cambiamenti climatici” e di “vacche da latte ad alto rendimento”.
Lo
scorso anno, l’organizzazione ha annunciato la nascita di Gates Ag One,
un’organizzazione dedita alle frontiere dei “cibo sintetico”.
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