E lo scandalo continua contro i popoli.

 

 E lo scandalo continua contro i popoli.

 


Lo scandalo della Torre

e il senso di Giustizia.

infoaut.org – (21 novembre 2023) -Riscatto – Informazioni di parte – ci dice:

 

Venerdì 17 novembre, a Pisa, un partecipato corteo composto da un migliaio di studenti e lavoratori in sciopero ha attraversato determinato e rabbioso le strade della città, è arrivato in Piazza dei Miracoli e ha occupato per un’ora uno dei monumenti più famosi del mondo, la Torre di Pisa, calando dalla sua cima una gigantesca bandiera della Palestina.

(Riscatto).

Migliaia di persone presenti nella piazza, provenienti da ogni parte del mondo, hanno girato foto, video, espresso solidarietà e consenso rispetto all’azione simbolica di portare all’attenzione mediatica l’urgenza di una presa di posizione collettiva e di massa rispetto al genocidio che lo stato di Israele sta conducendo contro il popolo palestinese.

 L’immagine della bandiera che sventola dalla Torre pendente ha fatto il giro del pianeta, dai media mediorientali come “Al Jazeera” agli “influencer statunitensi”, con le parole d’ordine che in questo momento stanno infuocando e attivando centinaia di milioni di persone in tutto il mondo:

libertà per la Palestina, cessate il fuoco ora!

In tutta Italia, e in proporzione ancora più significativa in molti altri Paesi, dal Canada all’Indonesia, si sta sviluppando un’esigenza inedita e larga di azione e mobilitazione per richiedere il cessate il fuoco ai propri governi, che racchiude le contraddizioni e le necessità di lotta e trasformazione imposte dal mostruoso contesto di Terza Guerra Mondiale che stiamo attraversando.

 Ciò che sta accadendo in Palestina e la complicità internazionale che sostiene Israele, capeggiata dagli USA, condensa insieme l’oppressione più brutale che la civiltà capitalista riesce a riversare sulla società e sui popoli colonizzati e la filiera effettiva che la consente:

traffici di armi, sostegno politico dei governi, parzialità della conoscenza accademica e scientifica posta al servizio di fini militari e coloniali, supporto commerciale delle grandi aziende, interessi economici di multinazionali come ENI, manipolazione mediatica su scala globale, inettitudine degli organismi sovranazionali come l’ONU (corrotta!)

Allo stesso tempo, l’esempio storico di vita e resistenza del popolo palestinese, sta suscitando un’esigenza di giustizia e di riscatto di massa, diffusi in ogni ambito della società, che stanno mobilitando e spingendo le persone a opporsi in ogni forma a ognuna di queste filiere, nella ricerca di incisività e di una risposta politica e di lotta al crimine che Israele sta compiendo.

 In Italia si susseguono le piazze da decine di migliaia di persone, le università e le scuole vengono occupate, i porti bloccati, i monumenti risignificati per messaggi di giustizia e solidarietà e non come merci, le ambasciate, i consolati, i negozi complici vengono sanzionati.

Di fronte all’enormità del massacro in corso a Gaza, è evidente la sproporzione tra la narrazione mediatica che viene fatta di questo processo di ribellione nella società e il genocidio in atto:

 il giornalismo locale ha raccontato l’iniziativa di venerdì a Pisa come un gesto di un gruppetto di persone, presto individuate e indagate, fortunatamente concluso senza danni, senza violenza, senza troppi problemi per i turisti se non un po’ di apprensione.

Si parla di dettagli, di come è possibile che degli studenti siano riusciti a salire sulla torre eludendo i controlli, del loro numero e dell’impatto sull’apertura o meno della Torre al pubblico, con toni scandalistici.

 Su molto altro che sta accadendo in Italia, dalla stampa nazionale cala il silenzio o la solita narrazione ideologica dell’estremismo pro Hamas.

Si parla, invece, di cosa fa il governo italiano?

 Di ciò che accade in Palestina ogni minuto in questi giorni, ogni giorno negli ultimi 75 anni?

 Si parla dei milioni di persone che protestano nel mondo, di ospedali bombardati, bambini morti nelle incubatrici, di gente assassinata e rapita dai coloni israeliani?

È la sproporzione, tra la realtà e la sua comunicazione, è il cortocircuito di una stampa conservatrice, se non reazionaria, che cerca di governare, gestire, soffocare un senso di giustizia che non appartiene a pochi, ma che è domanda di molti e spinta a uscire di casa e manifestare.

Ma è anche la cifra che ciò che è necessario e che è richiesto effettivamente da milioni di persone può e deve essere molto di più, che non ci si può accontentare, ma ricercare la concretezza di questo “senso di giustizia” e superare lo smarrimento di fronte a un sistema che propone sfacciatamente il bene come il male e il male come il bene.

Nel frattempo, l’immagine della Torre di Pisa gira nei” tiktok” e “instagram” di tutto il mondo, perché migliaia di turisti in vacanza hanno colto il senso e l’urgenza della manifestazione degli studenti, perché il senso di giustizia è più vero della stampa e dei grandi discorsi, perché le immagini hanno un peso quando un problema è sentito con questa forza e urgenza.

Cosa fa la classe politica di fronte a questa situazione? Cosa fanno i giornalisti? Cosa fanno intellettuali, accademici, scienziati, medici, università?

Queste sono le domande che vanno poste, le responsabilità reali di chi non parla, se non in minoranza, del crimine storico di Israele, di chi non agisce se non per sostenerlo o farsi in disparte per non cadere nei rischi del prendere una parte.

Con confusione, sono anche altre le domande che molti si fanno in diversi modi e a diverse latitudini:

cosa si può fare per tendere a un mondo diverso, più giusto?

In cosa potrà consistere la vendetta per quello che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania e che mai potrà essere cancellato?

 Chi ha interesse a lottare per la Palestina e perché?

Quanto ancora si può fare nei quartieri, nelle scuole, nelle università, nei posti di lavoro, nei luoghi di comunicazione, nelle fabbriche, nei Carrefour e McDonald, ovunque passa la vasta catena che conduce alla macchina di morte israeliana?

 È la ricerca di queste possibilità, non come occasioni ottusamente strumentali, ma come effettivi luoghi in cui può concretizzarsi una domanda di cambiamento, il baricentro e la direzione a cui tendere.

Quello che si sta facendo è ancora pochissimo:

 cos’è una bandiera calata da un monumento, mentre le moschee vengono bombardate?

 Ma è già qualcosa che fa paura a un sistema di comunicazione e potere decadente e in crisi, perché raccoglie un sentimento di maggioranza, di centinaia di studenti che a Pisa hanno scioperato, di altre migliaia che lo potrebbero fare la prossima volta e che i media non possono nominare ma neanche possono negare completamente.

Perché esprime l’energia e la ricerca di un senso profondo della propria azione nel mondo che non sia chiusa nella impoverente e opprimente quotidianità di ognuno, ma aperta all’esperienza di una connessione con i problemi più urgenti e orribili del nostro tempo e a un’esigenza di dover fare la propria parte per trasformare le cose.

 Sciopero per la Palestina, sciopero contro la cultura della guerra, sciopero contro la riforma Valditara, tutto si mescola perché unico è il senso di cambiamento che sempre più persone ricercano e perché non c’è più aderenza, neanche minima, tra le parole e i fatti del Potere e la Vita delle persone.

 E la Palestina ne è l’esempio.

 

 

 

Addio al petrolio?

L'Opec mette il veto.

 msn.com – il giornale – (Sofia Fraschini) – (11-12-2023) – ci dice:

«Rifiutate qualsiasi testo o formula (nel documento definitivo della Cop 28 di Dubai, ndr) che miri all'energia, cioè ai combustibili fossili, piuttosto che alle emissioni».

È questo, in sintesi, il messaggio di una lettera inviata dall'Opec ai suoi 13 membri (i principali esportatori di petrolio) scatenando una vera e propria bufera internazionale.

 

La lettera parte dall'assunto che «la pressione contro i combustibili fossili potrebbe raggiungere un punto critico con conseguenze irreversibili».

 E fa il paio con le recenti esternazioni, sempre alla Cop28, di “Sultan Al Jaber”, presidente della Cop28 di Dubai, ma anche della società emiratina petrolifera, secondo cui «senza petrolio torniamo alle caverne».

 Ma se il ministro francese dell'Energia, “Agnes Pannier-Runacher”, si è detta «sbalordita» e «arrabbiata», la spagnola Teresa Ribera non ha esitato a dirsi «disgustata».

Per il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica italiano, “Gilberto Pichetto Fratin”, c'è poco da meravigliarsi:

 «La Cop28 ha la rappresentanza dei Paesi ma anche la rappresentanza di tanti blocchi di interesse, sarebbe da stupirsi se l'Opec, che rappresenta i Paesi produttori e venditori di petrolio, non tutelasse i propri interessi».

È poi pur vero che «la Cop deve dare un percorso che è la decarbonizzazione e che quella dell'Opec è una mossa di puro interesse di parte».

Da tempo si parla della necessità di rendere sostenibile la transizione energetica e non si tratta di negare il cambiamento climatico.

 La lettera dell'Opec dunque indigna, ma apre a un dibattito inevitabile:

chi non vede ciò ha fette di prosciutto sugli occhi, perché i 13 hanno molto da perdere.

 Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Algeria, Nigeria, Angola, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Venezuela possiedono l'80% delle riserve petrolifere globali e hanno prodotto circa il 40% del petrolio mondiale negli ultimi dieci anni.

 Da questa fonte dipende gran parte della loro economia e il recente prezzo del petrolio in calo (il Brent è a quota 75 dollari) li preoccupa, tanto da voler impedire che nella decisione finale della Cop28 si preveda l'eliminazione graduale dei combustibili fossili:

 scelta che nasce dalla necessità di tenere entro il limite di 1,5 gradi l'innalzamento di riscaldamento globale al 2050.

In particolare c'è molta attenzione ai prezzi nel breve termine e l'Opec è sotto pressione perché, nonostante i tagli già decisi, i prezzi restano bassi.

Questo anche a causa degli Usa:

dagli ultimi dati dell'”Energy Information Administration americana”, a settembre la produzione di greggio degli Stati Uniti (13 milioni di barili/giorno) ha stabilito un nuovo record assoluto.

Fatto che rivela come tra Washington e Riad, sia sfida all'ultimo barile.

 A pesare sul futuro greggio sono anche l'economia globale debole e le difficoltà della Cina.

 Gli analisti, infatti, vedono il greggio “Wti” dirigersi verso i 40 dollari al barile. Quanto basta ai Paesi interessati per alzare le barricate.

 

Lo scandalo eterno della guerra.

 Volerelaluna.it - (28-02-2022) - Gianni Tognoni – ci dice:

L’unica cosa “vera”, cioè fattuale, attesa, pianificata, documentabile, marginale nelle cronache e nelle considerazioni politiche su quanto sta succedendo in queste ore che diventano giorni, senza una fine prevedibile, in Ucraina, sono le vittime, militari e civili, dirette e indirette.

Sapendo bene, come si dice per tutte le guerre, che la prima vittima certa è la verità, da tutte le parti in causa.

Ma è una guerra – quella “scoppiata”, ma sorvegliata e accompagnata negli infiniti dettagli, come un parto ad alto rischio in un luogo (enclave, regione, Stato nuovo, indipendente, neo-coloniale) – di cui si può dire solo che coincide, da tanti anni, con intervalli di altri “scoppi”, sanguinosissimi, ma interni, e non qualificabili come guerre.

 Ed è guerra di chi, contro chi, e per che cosa?

È chiaro l’aggressore materiale: e l’aggredito (oltre alle vittime sul campo)? Il diritto internazionale? La comunità degli Stati? La “civiltà” occidentale?

 

Quale posto occupa questa guerra-in-cerca-di-un-nome tra i tanti scoppi, acuti e cronici, con equivalenti o molte più, o meno, vittime di cui è così ricca e variata la mappa del mondo, spesso con attori molto simili, o coincidenti, con quelli che occupano il primo piano, e soprattutto le prime pagine, delle news in questi giorni?

Dagli scenari, tanti, permanenti, a singhiozzo dell’area Kurda, della Siria, della Libia, del Sahara Occidentale, dello stillicidio palestinese… solo per rimanere “dalle nostre parti”?

Ma senza dimenticare il Myanmar, il Kashmir, il Mali…

E se tutto quanto avviene-avverrà in Ucraina fosse solo (con costi intollerabili in termini di vite e di diritti umani: ma molto più calcolati e decisivi a livello economico-finanziario e di macro investimenti militari) una delle mosse – azzardate? arroganti? spiazzianti? –

di una partita a scacchi permanente, giocata sui tavoli riservati di diplomazie che giornalmente “digeriscono” senza batter ciglio le guerre ai migranti da ogni guerra, i bombardamenti sul futuro dell’ambiente e delle generazioni presenti e future degli affamati-scartati, gli algoritmi neutrali che decidono ciò che è legale-permesso, e cancellano le vite concrete dei popoli, che sono disturbanti perché introducono la variante dei diritti umani di ognuno?

 

Nulla di nuovo, dunque, in Ucraina.

Le domande si sono fatte più esplicite, perché geograficamente ed emotivamente vicine.

Come era stata un tempo la ex-Jugoslavia e i suoi genocidi accompagnati da guerre umanitarie, che ci aveva aggiornato sulla “prossimità” di quanto era accaduto in Rwanda, e nella guerra del Golfo.

Ma avevamo dimenticato presto:

Iraq, Isis, Sri Lanka, il genocidio lungo 70 anni della Colombia che continua nel silenzio perfetto di tutti gli attori, anche noi, dell’Ucraina.

 

Il punto di vista del “Tribunale Permanente dei Popoli” —piccolo, senza potere né mediatico né ancor meno politico – ha come unica funzione irrinunciabile quella di essere un promemoria della sola inviolabilità su cui misurare la “civiltà” dei tanti diritti ufficiali, nazionali e internazionali.

 La inaccettabilità della guerra-in-cerca-di-un-nome che occupa l’orizzonte globale documenta ancora una volta l’incapacità programmata di non trasparenza e di “dire la verità ai potenti” (è il tema ricorrente nella letteratura anche scientifica nel tempo della “guerra dei vaccini”: con quante vittime? e certi, pochi, potentissimi, umanitari vincitori) delle democrazie:

anche quelle che si sprecano in qualificazioni accusatorie per “gli altri”, o “il nemico”.

Biden è reduce dall’Afghanistan, e le conseguenze di quella guerra pesano oggi, non sulla coscienza, ma certo sulla responsabilità di tutti “noi” alleati, in termini di “morti per fame”:

 più silenziosi e noiosi di quelli per bombe o missili o droni.

E le risposte sono sempre (quando e se gli interessi, delle banche o delle strategie energetiche lo permettono) “sanzioni devastanti” (per chi, a che scopo, con quale attenzione ai popoli soggetti di storia, trasformati in mosse di partite a scacchi?).

 

Questo testo non voleva essere scritto, perché l’unica cosa da dire è «no a tutto ciò che rimanda, coincide, rende di fatto protagonista la guerra, in tutte le sue forme e sotto qualsiasi nome. Senza se e senza ma».

Nel ricordo di tutti i popoli che, nella sua storia “permanente”, hanno chiesto al “Tribunale permanente dei popoli” di dare loro una voce più forte e indipendente di quella di tutti gli aggressori, il “no” ha provato ad articolarsi, traducendosi in domande che sono allo stesso tempo ovvie e imprescindibili. Permanenti.

 Finché la “civiltà” delle nostre società non avrà la lucidità (sempre più rara…) di prendere sul serio la proibizione della guerra, così chiaramente presente nella Dichiarazione universale dei diritti umani e nella nostra Costituzione e così ovviamente violata in nome di non importa quale menzogna o scusa dettata dal potere.

È l’augurio del “Tribunale permanente dei popoli”, anzitutto perché tutte le vittime inutili di questa guerra, unite a quelle dei tanti altri conflitti di cui è fatta la guerra mondiale per frammenti (di cui parla Papa Francesco) si trasformino in un grido permanente di “basta”.

Se, ancora una volta, il “piacere” di giocare a scacchi sarà la regola del diritto internazionale, per le nuove generazioni sarà ancor più vera la tragica verità della Ninna nanna della guerra di Trilussa, così come recitata (parola per parola, sguardo per sguardo…) da un indimenticabile, disincantato, dolcissimo Gigi Proietti.

 

 

 

 

Emiri, nucleare e Istituto Luce.

Volerelaluna.it - (11-12-2023) - Angelo Tartaglia – ci dice:

Un osservatore situato in una galassia lontana, ma in grado di assistere in tempo reale alle vicende terrene troverebbe la situazione irresistibilmente comica.

Riassumiamo:

la comunità scientifica del nostro pianeta segnala in maniera inequivocabile (nel senso scientifico del termine, con misurazioni effettuate in molti modi diversi da gruppi diversi in luoghi diversi, con raffinatissimi sistemi di calcolo, con stime delle incertezze e così via) che il clima è ormai prossimo a un tracollo, ovvero a un brusco riassestarsi della circolazione atmosferica e marina, nonché del regime e della violenza delle precipitazioni;

 i prodromi di questo collasso sono peraltro già visibili attraverso il manifestarsi a ritmo accelerato dei cosiddetti “eventi estremi”;

danni e sofferenze connessi con questi eventi estremi sono molto ingenti e si scaricano più drammaticamente sulle popolazioni più fragili (la stragrande maggioranza dell’umanità).

Tutto questo è direttamente connesso col fatto che l’umanità sta modificando le proprietà fisiche dell’atmosfera con l’immissione a ritmo accelerato dei cosiddetti gas climalteranti, in particolare la CO2, che provengono, in grandissima misura, dall’uso dei combustibili fossili come carbone, petrolio e gas naturale:

oggi come oggi essi coprono l’81% del fabbisogno energetico dell’umanità.

 Dopo decenni da che i primi razionalissimi allarmi sono stati lanciati, i governi – e, più in generale, coloro che hanno potestà di assumere decisioni relative alle politiche energetiche e all’economia della terra intera – hanno cominciato a prendere atto e a riunirsi per concordare il percorso da seguire per riprendere il controllo della situazione e porre fine in primo luogo all’uso di combustibili fossili e poi, comunque, alle devastazioni ambientali che comportano pesanti ricadute sull’umanità come tale e su tutta la biosfera.

Sono così nate le “Conferenze delle Parti” (COP) che anno dopo anno hanno portato alla redazione di importanti dichiarazioni e liste di buoni propositi, cui non sono seguite per lo più azioni concrete, tanto è vero che la quantità di CO2 in atmosfera ha continuato a crescere in maniera accelerata e altrettanto ha fatto il riscaldamento globale.

 

Bene.

Siamo così arrivati alla COP28, ospitata negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai, uno fra i paesi col più alto consumo di energia pro capite che deve l’oceano di denaro in cui nuota proprio ai combustibili fossili.

 A presiedere la conferenza viene chiamato un signore (Sultan Ahmed Al Jaber) che è anche a capo della compagnia petrolifera nazionale di Abu Dabi e che in un’intervista dichiara che non ci sono evidenze scientifiche che il mutamento climatico in atto si fermerebbe abbandonando i combustibili fossili e che facendo a meno del petrolio torneremmo all’epoca delle caverne.

Per altro la città di Dubai (come altre tra Arabia Saudita ed Emirati) è uno splendido esempio dell’opposto di quel che bisognerebbe fare per gestire in modo concreto ed equo la situazione:

l’esaltazione dello spreco, del lusso e delle differenze è in ogni angolo.

Chissà se l’importanza di questa conferenza è confermata dalla straordinaria partecipazione da tutto il mondo.

Qualche decina di migliaia di persone (!):

 tutti competenti ed esperti di questioni climatiche e di economia, naturalmente. Qualche migliaio sono i tipici lobbisti retribuiti dalle grandi imprese dei fossili: chissà cosa saranno lì a difendere?

Naturalmente nessuno ha fatto il bilancio del carbonio di questa gigantesca scampagnata planetaria.

Già così il nostro remoto osservatore della galassia menzionata all’inizio avrebbe abbondantemente di che sollazzarsi, ma, per noi che ci siamo dentro, la situazione ha decisamente molto più del tragico che del comico.

Tuttavia bisogna riconoscere che già dal secondo giorno la COP28 un risultato lo ha ottenuto:

22 paesi si sono impegnati a triplicare la produzione di energia nucleare entro il 2050, perché questo sarebbe il modo più veloce per liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili.

 Il nostro osservatore galattico sgrana gli occhi:

per realizzare una nuova centrale a partire da oggi ci vogliono, dicono le statistiche ed esempi recenti, una quindicina di anni e un sacco di soldi (da 10 a 15 miliardi di euro o, se preferite, dollari a centrale);

moltiplicando per tre la produzione mondiale di energia nucleare si arriverebbe a un 12% dell’attuale consumo dell’umanità.

 Insomma l’energia nucleare in sé non sarebbe risolutiva;

non solo, ma gli ingentissimi investimenti (tutti pubblici) richiesti sarebbero in competizione con lo sviluppo delle cosiddette rinnovabili, che, tra l’altro, se consideriamo il sole, hanno una potenzialità pari ad alcune migliaia di volte il fabbisogno umano.

 Consideriamo anche che le tecnologie richieste dalle rinnovabili (sole, vento e idroelettricità in primis) sono ben note e in generale l’installazione di impianti di produzione è estremamente più rapida della costruzione delle centrali nucleari; anche il problema dell’accumulo dell’energia per trasferirla dalle fasi di sovrapproduzione a quelle di penuria o assenza di produzione ha svariate soluzioni concrete ed è un tema in rapida e positiva evoluzione tecnologica.

 

Ovviamente i 22 dell’accordo di Dubai sono tutti paesi che hanno già in casa delle centrali nucleari.

Per lo più (sicuramente nel caso della Francia, degli Stati Uniti e del Regno Unito) una buona parte delle loro centrali sono “vecchie” ossia prossime alla data della dismissione (la vita utile di una centrale a fissione è dell’ordine dei 40 anni anche se in qualche caso la si prolunga di un’altra decina d’anni a scapito della sicurezza), con la prospettiva di costi elevatissimi legati allo smantellamento o decommissioning che dir si voglia.

 Ecco che qui, come accade a un tossicodipendente, questi governanti si danno da fare per illudersi di superare le difficoltà lanciando una nuova dose che gli permetta, secondo loro, di gestire economicamente i costi indotti della vecchia.

 È ormai risaputo che, dal punto di vista dell’economia tradizionale, il nucleare non è competitivo e nemmeno conveniente:

lo si può mantenere in vita solo con grandissime iniezioni di denaro pubblico erogato a debito delle generazioni future (sempre che le future generazioni non vengano prima travolte dall’imminente collasso climatico).

Sul nucleare in sé non starò qui a ripetere cose già scritte in questa o in altra sede (cfr. A. Tartaglia, Spaccare l’atomo in quattro. Contro la favola del nucleare, Edizioni Gruppo Abele, 2022) e su cui c’è ormai una vasta letteratura.

 Mi limito a ricordare che la fissione nucleare lascia necessariamente in eredità le scorie che comprendono i prodotti della fissione, sono radioattive e costituiscono un problema per migliaia di anni.

Nella propaganda lanciata alla grande in tutte le sedi questo aspetto come tutti quelli connessi con la sicurezza, la connessione con le applicazioni militari e le diseconomie viene minimizzato o liquidato con favole prive di consistenza scientifica prospettando meravigliose soluzioni che “è vero che non ci sono ancora ma che di certo arriveranno”.

 L’offensiva mediatica dei nuclearisti internazionali è realmente a tutto campo con articoli di giornale, interviste, dichiarazioni, “consigli” discretamente forniti a coloro che contano, e chi più ne ha più ne metta.

Sono arrivati anche ad arruolare un noto regista come” Oliver Stone” con il suo “Nuclear now”, lungo documentario propagandistico che sarebbe interessante comparare a quelli prodotti ai tempi di Stalin per esaltare le conquiste del socialismo reale.

“ Nuclear now,” presentato al “Turin Film Festival” e già rilanciato da circuiti televisivi come” La7”, illustra le magnifiche sorti e progressive del nucleare, vera energia pulita e l’unico antidoto agli incombenti mutamenti climatici;

naturalmente non viene riportata nessuna analisi, tecnicamente fondata, sui problemi e sulla insostenibilità a breve e lungo termine dell’energia da fissione e si riproducono solo roboanti elogi da Istituto Luce:

 quanto ai problemi, be’ la radioattività non è poi così pericolosa (?!); le scorie sono poche e sono ben custodite (?!); a Chernobyl non è poi che ci siano stati così tanti morti (sic!), certo di meno di quelli dovuti ai combustibili fossili;

in futuro prolifereranno i piccoli reattori da condominio (proprio così!). In complesso poi si adombra elegantemente l’idea che dietro l’opposizione popolare alle centrali ci siano i grandi operatori del fossile.

In realtà è facile verificare che le lobby internazionali del nucleare includono proprio i potentati del fossile:

tra i 22 paesi dell’accordo intercorso alla COP28 ci sono anche gli Emirati Arabi Uniti (quelli del già citato Sultan Ahmed Al Jaber);

tra i fautori a spada tratta del nucleare, qui da noi, c’è ENI, che intanto trivella mezzo mondo per ricavare sempre più petrolio e gas da vendere (e da bruciare).

La logica è abbastanza semplice:

l’economia globale non si tocca, la crescita materiale è ineludibile e sacrosanta, per l’intanto si va avanti a bruciare più fossili possibile facendo affari alla grande; siccome però si sa che le fonti fossili, continuando al ritmo di sfruttamento attuale, avranno i giorni contati (la durata delle riserve economicamente sfruttabili è stimata essere di qualche decennio) ci si muove per promuovere a larga scala una fonte che possa permettere di continuare in primis a fare affari con l’energia e le opere correlate (sia pure a carico delle finanze degli Stati) e poi di alimentare uno stile di vita fisicamente insostenibile che però assicura condizioni di assoluto privilegio a chi controlla flussi e investimenti.

Ciò che dà estremamente fastidio, per lo meno a me, è utilizzare come ostaggi per le argomentazioni pro nucleare i poveri di questo mondo:

“non vorremo mica impedir loro di diventare come noi”.

Eppure le statistiche (e la fisica) dicono che l’economia della crescita competitiva, del consumismo irrazionale, dell’usa e getta fanno dovunque crescere le disuguaglianze.

Se si vuole recuperare l’equilibrio occorre porre mano al paradigma economico dominante:

questo però in primo luogo mette in discussione la posizione di coloro che hanno i massimi vantaggi diretti e immediati e questi, che dispongono di enormi risorse monetarie, investono alla grande nella disinformazione di massa e nelle azioni di lobbying nei confronti dei decisori istituzionali a vario titolo piuttosto sensibili anch’essi al qui e ora (domani si vedrà…).

 La società ideale prospettata da “Mr. Stone” è quella americana (senza far caso al fatto che tocca rilevanti record di iniquità interna e di sistematico spreco di risorse) intesa come modello universale per altro ineludibile e necessario.

 

Fra l’altro il nucleare (pulito, s’intende) che dovrebbe alimentare quel modello, ahimè, avrebbe a sua volta una durata misurabile in decenni, più o meno come il petrolio, ma, decennio dopo decennio, con un po’ di gas-petrolio-carbone e di pulitissimo nucleare un po’ avanti si va.

Finito questo tempo senza cambiar nulla, be’, qualcos’altro si troverà (la “scienza” magica farà qualche miracolo) e si potrà continuare imperterriti sulla strada del “sempre di più soprattutto per me”.

Insomma: cambiare tutto perché nulla cambi.

C’è da dire che questa offensiva generalizzata, a tutto campo, per la promozione e il rilancio del nucleare ha anche un po’ una connotazione vagamente isterica. Sembra che chi è ai vertici del vero potere, quello del denaro, cominci a sentirsi un po’ inquieto di fronte alle minacce di tracollo climatico e a una sia pur lenta e a volte non del tutto razionale presa di coscienza della natura del problema dell’insostenibilità del nostro paradigma sociale ed economico globalizzato.

Nell’aria si annusa l’odore di cambiamenti necessari che, fuori dagli aspetti tecnologici, rischiano di risultare ineludibili.

Se la transizione di cui tanto si parla viene gestita con saggezza l’intera umanità ne trae vantaggio, ma se la logica del “qui e ora” e del “prima io” prevale, allora ci si può aspettare che, in parallelo e ancor prima del tracollo climatico, si arrivi a forme di collasso politico sociale oltreché materiale (tradotto: conflitti e guerre più o meno devastanti) che possono trasformare l’evoluzione in una catastrofe.

Ormai la COP28 è divenuta un’enorme tragedia buffa che funge o vorrebbe fungere da oppio dei popoli ed è del tutto in mano a chi, avendo moltissimo, non intende rinunciare a nulla e anzi vorrebbe avere sempre di più.

E poi, come diceva Luigi XV di Francia: “après moi le déluge” o meglio “dopo di me il collasso climatico”.

 Una progressiva presa di coscienza potrà aiutarci ad evitare i guai peggiori e a mitigare l’impatto di quelli che sono ormai ineludibili o già in corso.

 

 

 

 

Il corpo e la politica:

repressione del dissenso,

patriarcato e guerra.

  volerelaluna.it - (08-12-2023) - Monica Quirico – ci dice:

 

La presenza ex-ante e le cariche ex-post della polizia al Campus Einaudi dell’Università di Torino suggeriscono un’analisi su più livelli:

 politico e insieme intellettuale, locale e al contempo globale.

Il primo è quello della repressione del dissenso (volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/12/07/antifascismo-e-repressione-il-barometro-non-segna-bel-tempo/), il cui inasprirsi sotto un governo post-fascista è stato preparato – bisogna ricordarlo, per evitare distorsioni ottiche – da una gestione del conflitto sociale come mero problema di ordine pubblico lungo tutta la storia repubblicana.

Del resto, se non si fanno i conti con il proprio passato (fascista), non ci si può aspettare un esito diverso.

All’interno di questo quadro, esiste – come più volte rammentato su questo sito – una specificità torinese, che, a partire dagli anni Novanta (ossia quando l’onda lunga della radicalizzazione è finita da un pezzo), nel susseguirsi di giunte di centrosinistra, si esplicita nell’ostinazione a zittire tutto ciò che si muove a sinistra del Pd (prima Pds e Ds) e dei suoi alleati:

che sia il “movimento No Tav”, quello studentesco (perfino quando a manifestare sono studentesse e studenti delle superiori) e, più recentemente, l’attivismo ambientale e climatico.

Se la riuscita del corteo del 1° maggio – dove per riuscita va inteso che, per la prima volta dopo molti lustri, lo spezzone sociale non è stato caricato per impedirgli di raggiungere piazza San Carlo – aveva suscitato qualche illusione, bene, torniamo con i piedi per terra.

E facciamoci qualche domanda sulla pervicacia di questa criminalizzazione della protesta sociale nella città dell’Autunno caldo:

è stata Torino di nuovo un laboratorio, ma stavolta della gestione del dissenso in un’epoca in cui, sconfitti il movimento operaio e i gruppi rivoluzionari, la borghesia “illuminata” ha deciso che la partecipazione politica, il conflitto – in una parola: la democrazia – andavano trattati semplicemente come un costo, da abbattere il più possibile?

 D’altronde, la città è stata, soprattutto con le giunte Chiamparino (due comunali e una regionale), la palestra del radicale cambio di rotta del partito succeduto al Pci nella scelta dei suoi referenti sociali: dal lavoro dipendente all’impresa.

Ben venga che oggi alcuni suoi parlamentari chiedano conto al ministro dell’Interno di quanto accaduto al Campus, ma il loro partito negli ultimi trent’anni non abitava su Marte.

 

Qualche riflessione va fatta anche sulla polizia:

 non solo per capire a quali criteri risponda la loro condotta in piazza e dentro le Università, ma perché nulla sappiamo di come venga formata;

su quali testi e metodi e visioni della società.

Alessandra Agostino, la docente manganellata dagli agenti insieme con la collega Alice Cauduro, ha fatto notare, in un’intervista a il manifesto del 7 dicembre (ilmanifesto.it/picchiata-dalla-polizia-insieme-ai-miei-studenti), il divario fra la lentezza con cui le forze dell’ordine rispondono alle denunce delle donne e la sollecitudine con cui la polizia ha fatto da angelo custode agli studenti del FUAN (rompendo anche un braccio a una studentessa).

Divario amplificato dalla manciata di ore intercorse fra i funerali di “Giulia Cicchetti “e le cariche al “Campus Einaudi”.

Ma questa concomitanza assume un valore simbolico ancora più tetro: perché dopo giorni in cui media e politica hanno pronunciato, con un unanimismo alquanto sospetto (volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/11/22/femminicidi-qualche-riflessione-scomoda-ma-necessaria/), parole altisonanti contro la violenza di genere, i tutori dell’ordine hanno colpito – per giunta a tensioni archiviate – due donne, che si erano interposte con i loro corpi fra agenti e studenti/studentesse.

Poteva forse capitare anche a docenti uomini (a proposito: i colleghi dove erano?), ma resta il fatto che lì c’erano Alessandra e Alice.

L’ennesima conferma che, quando si parla del corpo delle donne, il confine tra la sua disponibilità (l’asservimento alla società patriarcale) e la sua dispensabilità (la condanna all’irrilevanza, qualora si sottragga alle regole del gioco) può essere molto sottile.

E opporsi, con il proprio corpo, alla violenza delle istituzioni è in sé e per sé un atto politico:

 l’esserci; per affermare un diritto, esprimere solidarietà.

 

La reazione dell’Università di Torino è stata cerchiobottista: una condanna di tutte le forme di violenza che però non nomina quella poliziesca.

Convocare un’assemblea straordinaria del personale, o – incredibile a dirsi – indire uno sciopero di solidarietà almeno con le colleghe restituirebbe un po’ di quel prestigio che non si misura solo sulla base di “parametri” decisivi per l’assegnazione di fondi.

Va detto che da molto tempo le Università europee, con le dovute eccezioni, sono silenti al cospetto delle catastrofi della nostra epoca (migrazioni, clima, guerre): spendono più tempo a inseguire finanziamenti privati (compresi quelli dell’industria bellica) che non a contribuire al dibattito pubblico, e quando lo fanno non di rado introiettano la polarizzazione del lessico mediatico.

Tuttavia la complessità della conoscenza e il suo pluralismo si affievoliscono anche per l’attacco globale a filoni di studi come quelli postcoloniali e di genere (da noi arrivati con vent’anni di ritardo) nonché al pensiero critico in generale.

 La destra – negli USA come in Ungheria, in Svezia come in Francia – sta tentando di estirparli dalle Università, stigmatizzandoli come discriminatori o addirittura criminalizzandoli come fucina di terrorismo.

 Nel Regno Unito pochi mesi fa è stata approvata la “Legge per la libertà di espressione nelle Università” per consentire a individui e gruppi politicamente scorretti di partecipare al confronto pubblico.

Il moderatissimo Labour Party ammoniva, nel dibattito precedente l’approvazione dell’atto, che i gruppi antisemiti ne avrebbero approfittato.

 Oggi a essere zittiti sono docenti e studenti e studentesse che chiedono l’immediato cessate il fuoco a Gaza.

Già, perché da anni e anni la crescita dell’antisemitismo va di pari passo con l’aumento dell’islamofobia: due facce della stessa cultura discriminatoria e dunque antidemocratica.

 Le comunità ebraiche che, traumatizzate dal 7 ottobre, ricevono esponenti istituzionali dell’estrema destra dimenticano una regola preziosa: il nemico del nostro nemico non è necessariamente nostro amico.

Soprattutto se è figlio o nipote, politicamente parlando, di chi, in Italia o altrove, ha consegnato le famiglie ebraiche ai nazisti.

Oltre alla concomitanza fra i funerali di Giulia Cecchetti e le manganellate alle due docenti, mi colpisce un’altra analogia.

Prima del 7 ottobre – leggo sull’ottimo sito “Jewish Currents” – attivisti israelianɜ e internazionali ricorrevano a quella che viene definita “presenza protettiva”: sfruttavano la loro nazionalità, che li rendeva non facilmente perseguibili, per fare da scudo con i loro corpi alle famiglie palestinesi in Cisgiordania, contando sull’effetto deterrente che il loro esserci avrebbe avuto sulla violenza dei coloni e dell’esercito israeliano.

Immagino che anche Agostino e Cauduro abbiano pensato, qualificandosi come docenti, di poter spendere la loro posizione di relativo privilegio per garantire i diritti di soggetti in quel momento vulnerabili (studenti e studentesse).

 Sappiamo come è andata a finire.

Mutatis mutandis, la dinamica è la stessa che le e i militanti non violenti israeliani hanno sperimentato.

Il 12 ottobre Ta’ayush, una delle tante associazioni miste israelo-palestinesi che si oppongono fisicamente, e pacificamente, all’occupazione israeliana, ha avuto un’amara sorpresa:

 non solo la presenza di cinque suoi militanti non ha affatto dissuaso i coloni dall’attaccare il villaggio di Wadi a-Seek, ma gli israeliani sono stati a loro volta sequestrati, al pari dei tre palestinesi che cercavano di proteggere.

Questi ultimi sono stati torturati, mentre le persone di nazionalità israeliana, in virtù del loro relativo privilegio, sono state “solo” legate, strattonate e chiuse in una stanza.

L’accaduto ha reso più pericolosa e meno efficace una forma di solidarietà che, soprattutto negli ultimi anni, quando la violenza coloniale si è intensificata, ha determinato il rinvio o addirittura l’annullamento della prevista distruzione di alcuni villaggi.

Repressione del dissenso, patriarcato, guerra:

sono tre dimensioni dell’oscurità che stiamo attraversando;

il regime di guerra impregna episodi locali così come tragedie internazionali. Mentre scrivo, la polizia, alla stazione Porta Nuova di Torino, ha caricato le e i manifestanti diretti alla marcia No Tav a Bussoleno. Ma solo perché – a detta della polizia – non avevano il biglietto…

(In homepage Giorgio de Chirico, Le Muse inquietanti, 1917, olio su tela, Milano, Collezione Mattioli)

Un esempio di ritorno al terrore staliniano.

Lettera aperta di “Novaja Gazeta”:

"Libertà per Kara Marza."

Huffingston.it - Memorial Italia – (11.4.2023) – Redazione -  ci dice:

Un esempio di ritorno al terrore staliniano.

Lettera aperta di Novaja Gazeta: Libertà per Kara Marza

"Chiediamo con decisione che le autorità russe, le forze dell'ordine e i giudici ritrovino la strada della giustizia. Che perseguano assassini e criminali, e non quei cittadini onesti e responsabili che osano pensare e dire la verità. E che fermino questa nuova deriva della Russia verso lo stalinismo e il totalitarismo"

Giornalisti e attivisti russi per i diritti umani chiedono l'immediata cessazione della politica di terrore contro i cittadini e il rilascio di “Vladimir Kara-Marza”.

 

Il pubblico ministero ha chiesto 25 anni di detenzione per Vladimir Kara-Marza, politico attualmente in carcere per una lunga serie di accuse infondate.

Vladimir Kara-Marza è un patriota nel senso vero del termine, e fin dai primi giorni di guerra si è espresso più volte contro l'aggressione russa che ha causato tragedie senza fine al popolo ucraino, fagocitando anche le vite dei soldati russi e dei nostri concittadini mobilitati.

 In Russia, però, ora come ora dichiarare di volere la pace e la fine della guerra è un reato penale.

 

In aggiunta all'accusa suddetta - antigiuridica e vergognosa - Kara-Marza ne ha anche una seconda per alto tradimento.

Avrebbe tradito il suo paese, insiste il procuratore, intervenendo nei forum internazionali con parole di condanna per la guerra e parlando delle persecuzioni di cui sono vittime gli oppositori nella Russia di Putin.

Parole e opinioni che il procuratore ha paragonato, per gravità, a un omicidio con fior di aggravanti.

Per quanto ha detto contro la guerra, Kara-Marza è in carcere e in attesa di una condanna verosimilmente mostruosa quanto a ferocia – l'ergastolo, di fatto.

Nel frattempo è sopravvissuto a due attentati alla sua vita: hanno provato ad avvelenarlo due volte.

 Fortunatamente falliti, i due avvelenamenti hanno comunque inferto un duro colpo alla sua salute.

 Ciò non di meno, malgrado i medici del carcere – persino loro! -abbiano messo nero su bianco una diagnosi grave e progressiva (polineuropatia con minaccia di paralisi agli arti inferiori) e nonostante la diagnosi in questione sia nell'elenco delle malattie che dovrebbero esentarlo da una pena detentiva, il giudice continua a non revocare la sua detenzione nella struttura attuale, in cui Kara-Marza non ha modo di ottenere cure adeguate.

È nostra precisa convinzione che tutte le accuse mosse a Vladimir Kara-Marza abbiano un fondamento politico, e che quella di alto tradimento sia di un cinismo inaudito, essendo stato proprio lui, Vladimir Kara-Marza, a dimostrare ai politici dei Paesi occidentali che la colpa delle azioni repressive dello Stato russo e della sua politica di aggressione non è dell'"intero Paese", ma di singoli individui.

Le accuse - completamente infondate - e la condanna richiesta sono un esempio lampante di come la Russia di oggi sia tornata alle pratiche del terrore staliniano.

Nel secolo scorso le misure repressive contro gli oppositori e il proprio popolo sono costate alla Russia diverse centinaia di migliaia di vite.

Anche allora, il terrore staliniano era iniziato con i processi-farsa contro gli oppositori politici e i dissidenti, finendo poi con le fucilazioni di massa e le incarcerazioni di cittadini comuni, ivi compresi coloro che avevano accolto con entusiasmo i primi processi-farsa e avevano collaborato a istituirli.

Chiediamo con decisione che le autorità russe, le forze dell'ordine e i giudici ritrovino la strada della giustizia.

 Che perseguano assassini e criminali, e non quei cittadini onesti e responsabili che osano pensare e dire la verità.

E che fermino questa nuova deriva della Russia verso lo stalinismo e il totalitarismo.

(Libertà per Vladimir Kara-Marza!)

 

 

 

 

Il Fatto di domani. Dopo lo scandalo

consulenze Sgarbi traballano. Caso Giambruno,

guerra aperta tra Meloni e Mediaset (nonostante Marina).

E altri articoli.

Ilfattoquotidiano.it – FQ extra (25 ottobre 2023) – Redazione con altri articoli – ci dice:

 

 

 

BUFERA SU SGARBI, IL GOVERNO VERSO LA REVOCA DELLE DELEGHE DA SOTTOSEGRETARIO.

Sono “consulenze saltuarie”, quelle che Vittorio Sgarbi avrebbe fatto da febbraio a oggi mentre era regolarmente in carica come sottosegretario, come dice il suo avvocato?

Sul Fatto di oggi abbiamo pubblicato la lista di servizi e compensi relativi.

A “Thomas Mackinson” risulta che “in funzione della posizione e delle deleghe Sgarbi sia oggetto di continue sollecitazioni di soggetti pubblici e privati che chiedono il suo diretto intervento per iniziative d’ogni tipo”.

E a quanto risulta dall’intervista al “ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano”, il governo e “Giorgia Meloni” sono al corrente della vicenda.

“Valeria Pacelli” ha raccontato invece che “Sgarbi” risulta indagato dalla Procura di Roma per l’acquisto di un’opera d’arte:

deve 715 mila euro al fisco.

Dopo la diffida a mezzo stampa inviata ieri dal suo avvocato, oggi il diretto interessato ha smentito, e addirittura ha dichiarato che l’intervista a Sangiuliano è falsa (ovviamente non è così).

 Da Palazzo Chigi però tira un’aria di tempesta: il governo ha fatto sapere che sul caso sono in corso “approfondimenti” e come ha scritto “Giacomo Salvini” sul “Fatto.it” è molto vicina la revoca delle deleghe a Sgarbi.

Revoca che in Parlamento ha già chiesto il Movimento 5 Stelle, con una mozione depositata alla Camera.

Sgarbi ha smentito che si dimetterà, ma come vedremo sul Fatto di domani il caso è tutt’altro che chiuso.

 

 

 

CASO GIAMBRUNO:

MARINA B. PROVA A STEMPERARE, MA È GUERRA APERTA TRA MELONI E MEDIASET.

 “In questi giorni ho letto e sentito di tutto: retroscena inventati di sana pianta, ricostruzioni totalmente prive di senso logico e spesso anche contraddittorie.

 La verità è una sola: stimo molto Giorgia Meloni.

 La trovo capace, coerente, concreta.

La apprezzo sul piano politico e come donna, ancor più in questi giorni”:

con queste parole Marina Berlusconi ha provato oggi a placare il vento gelido che si respira nel governo dopo i fuori onda dell’ex compagno della premier, “Andrea Giambruno”, mandati in onda da “Striscia la Notizia”.

Non è un’uscita a caso: Meloni è convinta che dietro l’operazione di “Antonio Ricci “ci sia una sorta di “complotto” di “Mediaset” e di “Forza Italia” contro la sua leadership.

 Le parole di Marina, però, potrebbero non rivelarsi abbastanza efficaci:

domani sarà in edicola un nuovo numero del settimanale “Chi” che, in copertina, riporta una foto della ex coppia presidenziale con il titolo “Perché ha detto addio a Giambruno”.

Già in passato Alfonso Signorini, che dirige la rivista, aveva avuto modo di scherzare sul “blu estoril” del giornalista.

 Il quale ieri ha accettato di lasciare la conduzione del programma “Diario del giorno” su” Rete4” (quello da cui sono stati presi i fuori onda) e oggi s’è fatto ritrarre dal barbiere che gli aveva appena tagliato il ciuffo della discordia.

 Sul giornale di domani vedremo come sta proseguendo la lotta intestina nella maggioranza:

 a differenza di quanto affermato dalla premier ieri in Parlamento (“Fatevene una ragione, la maggioranza è compatta”), il clima è talmente teso che la stessa Meloni, infuriata, avrebbe impedito ai suoi ministri di andare ospiti nelle trasmissioni del Biscione.

 

AUMENTANO GLI ITALIANI POVERI (E IL GOVERNO HA TAGLIATO IL REDDITO). ISTAT, IL PEGGIORAMENTO DOVUTO A GUERRA E INFLAZIONE.

Gli effetti di un anno sulle montagne russe in conseguenza (principalmente) della guerra in Ucraina si vedono nell’ultimo rapporto Istat.

Nel 2022 i poveri assoluti in Italia sono aumentati vertiginosamente rispetto all’anno prima, dove pure c’era stato il Covid (ma anche i sussidi per proteggere gli individui).

L’anno scorso erano in povertà assoluta 2,18 milioni di famiglie, l’8,3% del totale, in deciso aumento rispetto al 7,7% del 2021.

 Nella stessa condizione si trovano oltre 5,6 milioni di individui, in crescita di 357 mila unità, passando così dal 9,1% del 2021 al 9,7%.

Come sempre, le famiglie in povertà assoluta sono di più nel Mezzogiorno. Secondo l’Istat il peggioramento “è imputabile in larga misura alla forte accelerazione dell’inflazione”.

E va considerato che fino all’anno scorso era ancora disponibile “il Reddito di cittadinanza”.

Visto che la fiammata dei prezzi non si è ancora placata, e che nel frattempo il governo ha tagliato il “Rdc” e introdotto misure spot come il “carrello tricolore”, c’è da chiedersi se il 2023 non sarà ancora peggio.

Sul Fatto di domani ne parleremo con la sociologa esperta di povertà “Chiara Saraceno”, e leggerete una nostra analisi dei numeri dell’istituto nazionale di statistica.

 

ISRAELE-GAZA, IL PRESIDENTE TURCO ERDOGAN:

 “MILIZIANI DI HAMAS LIBERATORI, NON TERRORISTI”.

GUTERRES (ONU): “NON HO GIUSTIFICATO LE VIOLENZE”.

LAPID, LEADER CENTRISTA: “QUANTI EBREI DEVONO MORIRE ANCORA?”.

Al 19° giorno di guerra, dopo il raid di “Hamas del 7 ottobre”, che ha provocato 1.400 morti nello Stato ebraico, si alzano i toni del confronto politico.

Il presidente turco Erdogan, sostenitore dell’islamismo, ha definito i militanti di Hamas “liberatori” e “non terroristi”. Lo Stato ebraico replica:

“Sono parole crudeli, “Hamas” è come l’”Isis”.

Yair Lapid, leader dell’opposizione israeliana, sul social X-Twitter rivolge tre domande “all’estrema sinistra globale”, accusata di antisemitismo:

“Quanti ebrei devono morire prima che la smettiate di darci la colpa per tutto quello che succede?”.

Prosegue la polemica tra Israele e i vertici dell’Onu;

il segretario delle Nazioni Unite, Guterres, è tornato sul caso provocato dalle sue dichiarazioni:

“Sono scioccato da come le mie affermazioni di ieri sono state interpretate da alcuni, come se io stessi giustificando il terrore di Hamas. Questo è falso. Era l’opposto”.

Sul “fatto.it” abbiamo pubblicato il suo discorso integrale.

Sul campo si continua a morire: il ministero della Sanità palestinese aggiorna le cifre, 6.546 morti e oltre 17.439 feriti.

Israele colpisce anche in Cisgiordania, a Jenin, mentre in Libano si ritrovano i capi di “Hamas”, di “Hezbollah” e della Jihad islamica per una comune strategia contro lo Stato ebraico.

Di tregua non si parla e anche l’Unione europea ritiene che un ‘cessate il fuoco’ non sia proficuo dato che gli estremisti islamici continuano a bersagliare Israele con i razzi.

Resta poco chiara la tattica che vuol usare l’esercito di Tel Aviv;

aveva annunciato l’offensiva di terra ma entrare a Gaza non è la migliore opzione per l’alleato americano.

 La” Cnn” riporta che i vertici militari degli Stati Uniti vogliono evitare che si ripetano i loro errori commessi in Iraq, con scontri in aree urbane all’ultimo sangue.

 Inoltre, l’invasione metterebbe a rischio gli ostaggi in mano ad “Hamas”, provocherebbe altre morti tra i civili palestinesi e potrebbe essere sfruttata dall’”Iran” e da “Hezbollah” in Libano per aprire un nuovo fronte.

 A questo, si aggiunge il disaccordo tra il premier Netanyahu da un lato, e dall’altro diversi suoi ministri e i vertici militari.

Sul “Fatto di domani” leggeremo altri particolari sulla giornata, la storia delle tensioni tra Onu e Israele, e i diari da Tel Aviv e Gaza.

LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE SU FQ EXTRA.

 

Ascolti ai minimi e monologo pro-Meloni, il caso De Girolamo.

 Non si assesta la caduta televisiva di Nunzia De Girolamo:

il suo “Avanti popolo” su Rai3 ha raccolto solo 432.000 spettatori con il 2.6% di share.

L’ex parlamentare è stata doppiata da “E’ sempre CartaBianca” (5%) e “Belve” (5,8%), triplicata da “Le Iene” (8,8%) e “DiMartedì” (8,1%).

 Battuta anche da Tv8, Iris e canale 20. E va segnalato il suo monologo d’apertura, di tre minuti, a favore della premier che “avrebbe potuto stare zitta, e invece ci ha messo la faccia con coraggio”.

 

Scossa di terremoto nel rodigino, nessun danno.

Una scossa di magnitudo 4.3 si è verificata nei pressi di Calto (Rovigo), a una profondità di 20 chilometri alle 15.45.

 Il sisma, registrato dal Centro di Ricerche Sismologiche di Trieste, è stato avvertito anche a Bologna e Modena.

Non sono stati segnalati danni in Veneto o in Emilia Romagna.

Report Rai 3, la destra vota per portare Ranucci in vigilanza per la puntata su Berlusconi.

Dopo le polemiche sulle ultime puntate di Report, la maggioranza fa mettere ai voti e ottiene la convocazione in commissione di Vigilanza del direttore Approfondimento della Rai, Paolo Corsini e del conduttore della trasmissione di inchiesta in onda domenica sera Sigfrido Ranucci.

Si è opposta la presidente Barbara Floridia.

La data dell’audizione dev’essere stabilita.

 

OGGI LA NEWSLETTER A PAROLE NOSTRE.

“Judith Butler”:

“La destra crea fantasmi per fame di potere. La democrazia non può che essere femminista e antirazzista”

di Maria Cristina Fraddosio.

“Non ha senso considerare l’identità di genere come un’assegnazione naturale e necessaria per tutti.

Accettare la complessità umana ci renderebbe più umani”.

 Lo afferma la filosofa americana Judith Butler, fondatrice degli studi di genere e docente dell’Università di Berkeley, insignita per la prima volta nel nostro Paese del “dottorato honoris causa” in “Gender studies” dall’”Università di Bari Aldo Moro”.

 

 

 

 

"Non confondere i terroristi

con il popolo palestinese".

I distinguo di Conte e Schlein.

Ilfoglio.it - REDAZIONE – (13 OTT. 2023) – ci dice:

    

Le opposizioni chiedono che “Hamas” venga fermato attraverso "il diritto internazionale" in quanto la pace "è valore irrinunciabile".

E il leader grillino annuncia querele contro il presidente della comunità ebraica di Milano” Walker Meghnagi” che aveva accusato i 5 stelle di antisemitismo.

Sullo stesso argomento:

Lo scontro fra Fazzolari e Tajani sulla risoluzione pro Israele.

L'invito di Meloni: toni moderati.

 

"Capisco il Pd, ma su Israele non ci può essere ambiguità". Intervista a Giovanbattista Fazzolari.

 L'”onlus filo Hamas”: “Rapporti con M5s e FdI”.

 

A poche ore dalla richiesta di evacuazione di Gaza da parte di Israele per consentire l'attacco sul territorio, M5s e Pd intervengono per precisare la loro posizione.

In due lunghi messaggi il presidente Giuseppe Conte e la segretaria Elly Schlein chiedono che non si confonda il popolo palestinese e l'organizzazione terroristica “Hamas” e si arrivi a sconfiggere quest'ultima proteggendo i civili palestinesi.

Già i distinguo nelle risoluzioni approvate in Parlamento per il sostegno a Israele hanno svelato che la posizione nei “confronti del conflitto Israele palestinese” è tutt'altro che priva di sfumature:

a differenza di quanto accaduto per l'Ucraina, quando la risoluzione era unica, in questo caso ne sono state approvate quattro.

E allora ecco che mentre la crisi umanitaria a Gaza si fa più delicata Schlein precisa:

"Ci siamo tutti schierati dalla parte di Israele senza ambiguità ma ora è il tempo della politica e di fare ogni tentativo per evitare un’escalation del conflitto".

Per farlo, secondo la segretaria, bisogna che “Hamas” venga fermato attraverso "il diritto internazionale e proteggendo civili palestinesi, le cui vite non valgono di meno".

 "Hamas non è il popolo palestinese", continua la segretaria, spiegando come l'ultimatum di 24 ore per l'evacuazione dei civili nella parte settentrionale di Gaza "rischi di provocare ulteriori morti di innocenti e violazioni di diritti umani" oltre che "accrescere una spirale di odio e violenza, che potrebbe estendersi all’intera regione".

Giuseppe Conte – in una lunga lettera aperta su Facebook – ribadisce la condanna "senza esitazione agli efferati atti terroristici di Hamas".

 E continua:

 "Abbiamo ribadito che le azioni di terroristi ed estremisti, che condanniamo con la massima fermezza, non vanno confuse con i diritti e le legittime aspirazioni della popolazione palestinese.

Abbiamo invocato corridoi umanitari e riteniamo che qualsiasi reazione non valga a sospendere il diritto internazionale umanitario".

"Da giorni – continua Conte – per la stampa italiana, siamo 'filopalestinesi' solo per aver sostenuto che la risposta non sono le armi, ma la politica e i negoziati. Continueremo a dirlo perché la pace è il nostro valore irrinunciabile".

La denuncia contro Meghnagi.

La lettera del presidente del Movimento 5 Stelle tuttavia non finisce qui, anzi.

Il suo lungo messaggio arriva come risposta per chi "infama il M5S" e nello specifico al presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi.

Ieri 12 ottobre a Milano si è svolta una manifestazione in supporto a Israele (sostenuta anche dal “Il Foglio”) nella quale Meghnagi ha accusato gli esponenti del Movimento 5 Stelle di essere "antisemiti" e che Conte debba "leggere e studiare".

Il motivo dell'affermazione è stato che – come per quella organizzata dal “Il Foglio” a Roma – anche a Milano il partito non ha partecipato al sostegno collettivo.

 

Nella risposta pubblicata su Facebook Conte ha spiegato come quanto detto dal presidente della comunità ebraica milanese sia "un insulto gratuito, denigratorio, intollerabile. Una grave offesa alla dignità etica, morale e politica della nostra comunità".

Conte scrive che hanno "atteso e sperato in una resipiscenza, ma non c’è stata nessuna smentita", per cui procederanno per vie legali attraverso una denuncia per diffamazione "che getta fango sui valori, sulle idee e sulla storia dei rappresentanti, degli attivisti, dei cittadini che sostengono la nostra comunità politica".

Quella di Meghnagi non è l'unica accusa rivolta a Conte in questi giorni. Anche il deputato di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli alla Camera ha accusato il Movimento di antisemitismo.

Sulle pagine del Il Foglio – a cui Conte ha risposto – si sono trovate prove di convergenza di una “Onlus filo Hamas” e di alcuni esponenti pentastellati (oltre che di Fratelli d'Italia).

Oggi in Italia è diventato uno "scandalo parlare di pace", dice dunque Conte.

"Chi parla di pace ieri era filo-putiniano e, da oggi, diventa anche antisemita. Abbiamo chiesto – continua la lettera – un impegno affinché la risposta non sia una spirale di violenza e di morte contro i civili palestinesi".

Il messaggio si chiude con un ultimo invito per Meghnagi:

"Consiglio a lui qualche lettura, come quando nel 2019 in sinagoga ricordai a tutti che 'l’antisemitismo è il suicidio dell’uomo europeo'".

Impegnando il tempo in questa lettura forse può sottrarre qualche minuto a certe infamie", conclude.

 

 

 

 

GUERRA RADICALE.

La guerra è cambiata: così “AI”

e “social” trasformano i conflitti.

Agendadigitale.eu – (29 novembre 2023) – Mario Dal Co – ci dice:

(Mario Dal Co - Economista e manager, già direttore dell'Agenzia per l'innovazione)

 

 

Il “digitale” e l'”IA” hanno ridefinito gli scenari bellici, consentendo l'attuazione di strategie complesse che vanno oltre il semplice uso delle armi.

Cyberattacchi, propaganda e distruzione di infrastrutture informatiche sono solo alcune delle tecniche utilizzate nell'arena digitale.

Questa rivoluzione sta mettendo alla prova i confini etici e legali della guerra.

Guerra di notizie false.

L'avvento del digitale ha radicalmente trasformato il modo in cui vengono condotti i conflitti, dando vita ad una nuova forma di guerra dove l'informazione e le diventano strumenti strategici tanto quanto le armi tradizionali.

Al contemporaneo, “social media” e “nuove tecnologie” hanno introdotto un elemento di ambivalenza sul campo di battaglia:

 se da un lato hanno permesso una comunicazione più rapida ed efficiente

 , dall'altro hanno aperto la via a nuove forme di manipolazione dell'opinione pubblica.

 

L'”intelligenza artificiale”, con la sua continua evoluzione, sta inoltre ridefinendo il concetto stesso di arma, introducendo strumenti con potenziali impatti devastanti. Questo scenario pone interrogativi cruciali sul rischio di un predominio della tecnologia sulla politica nei contesti bellici, una domanda che richiede un attento esame nel complesso panorama delle dinamiche della guerra nel periodo digitale.

 

Indice degli argomenti:

 

Le nuove dinamiche della guerra nel contesto digitale.

Il ruolo delle immagini e dei sociali nei conflitti moderni.

La tecnologia nella relazione tra governo, esercito e popolo.

L'ambivalenza delle nuove tecnologie sul campo di battaglia.

Risale la minaccia nucleare.

L'evoluzione delle armi nell'era dell'intelligenza artificiale.

Il rischio del predominio della tecnologia sulla politica nei contesti bellici

Le nuove dinamiche della guerra nel contesto digitale.

Dopo il 201 , considerato dall'opinione pubblica occidentale e soprattutto statunitense il punto di svolta nella guerra globale al terrore (Global War on Terrorism), nel mondo ci sono state, fino al 2020, oltre 100 guerre.

Internet le rende più accessibili: secondo l'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, Agenzia delle Nazioni Unite, nel 2019 il 54% della popolazione mondiale usava internet, ma la percentuale di popolazione dotata di accesso attraverso un cellulare era del 97% nel 2021.

 

Questi dati illustrano la facilità di accesso alle informazioni che caratterizzano il nostro tempo:

sappiamo che la guerra viene commentata e documentata prima sui “social” che sulla stampa.

 

Da questo punto di vista si è compiutamente realizzata la profezia di coloro che prevedevano una democratizzazione della funzione del giornalista, una sua estensione verso forme di raccolta e pubblicazione delle informazioni diverse da quelle tradizionali.

 L'informazione viene prodotta e diffusa 24 ore al giorno tutti i giorni, senza sosta. L'informazione passa dalla rete al cellulare e al nostro cervello, ma non si sedimenta se non con l'approfondimento e non si fissa se non con la ripetizione: due possibilità che la rete ci offre, ma che la pressione stessa dei social media ci impedisce di esercitare.

La guerra radicale, nella visione degli autori citati, è quella guerra che ormai viene legittimata, combattuta, pianificata attraverso i “social media” e “la rete.”

 

Il ruolo delle immagini e dei sociali nei conflitti moderni.

Durante le guerre mondiali la documentazione diretta sulla guerra era scarsa:

la censura militare impediva le comunicazioni scritte, quelle telefoniche erano rare, la stampa era posta sotto il controllo della censura:

la comunicazione ha sempre svolto un ruolo centrale nella gestione della guerra, usando gli strumenti tecnologicamente disponibili in ciascun momento storico, ma con il doppio obiettivo di moralizzare il nemico e galvanizzare il proprio esercito e il proprio paese.

 

Oggi, con internet, le cose sono molto cambiate:

gli obiettivi della propaganda e contropropaganda rimangono gli stessi, ma la relazione tra guerra e opinione pubblica è molto cambiata.

Ci sono molte più informazioni dirette sul suo andamento.

Questo non vuol dire che esse siano verificate, tutt'altro.

Tuttavia è pressoché impossibile controllare e censurare la rete in modo tale da non far filtrare brandelli o anche significativi spezzoni della narrazione del nemico o della documentazione fornita dalla stampa e delle istituzioni culturali e umanitarie indipendenti.

La rete, inoltre, porta con sé un abbattimento delle barriere culturali e nazionali, pur potendo essere anche uno strumento di esasperazione del contrasto e del risentimento.

Il successo del richiamo nazionalistico o razzista, tipico delle guerre fino alle due mondiali, è destinato a funzionare sempre di meno, mentre aumenta l'efficacia del richiamo alle ragioni dell'indipendenza e della auto determinazione:

le due parole d'ordine principali delle ideologie irredentiste e delle correlate azioni terroristiche ed eversive.

La tecnologia nella relazione tra governo, esercito e popolo.

I governi aggressivi e determinati a “farsi valere” agli occhi delle proprie opinioni pubbliche si trovano di fronte ad un problema non nuovo, ma di dimensioni nuove.

Se anticamente (comprendendo nell'antichità anche le due guerre mondiali) bastava additare e punire disfattisti, disertori e traditori per cercare di mantenere l'ordine nella società e la lotta a combattere nell'esercito, già sul finire della seconda guerra mondiale, con l 'apparizione della bomba atomica, le cose sono cambiate.

Non solo perché si è approfondito e complicato, forte come non mai, il dibattito sulla neutralità della scienza e quindi sulla responsabilità morale dello scienziato, ma soprattutto perché la tecnologia ha oscurato completamente la relazione tra governo, esercito e popolo.

Da quel momento, come insegna la famosa scena di “Harrison Ford” che spara con calma al musulmano che lo minaccia con complicate e aggressive coreografie di scimitarra, i governi hanno pensato che la chiave della guerra fosse tecnologica: eserciti professionali, armi di attacco e difesa sofisticate, grande preparazione tecnica e logistica per occupare il campo e vincere, coltivando sotto l'antico sogno della “blitz krieg”.

Ma le nuove tecnologie, in particolare quella di oggi basata sulla digitalizzazione dei sistemi d'arma, sulla guerra cibernetica, sull'acquisizione di informazioni sulle mosse del nemico e sulla sua condizione sul campo, portano un regalo avvelenato.

 

Per questo molti sostengono che sia Putin con l'aggressione all'Ucraina, sia Israele, con la risposta spropositata ad “Hamas”, hanno già perso uno dei risultati più importanti della guerra, quello del consenso internazionale, ossia quello della sicurezza dello stato e del governo un lungo termine.

 

L'ambivalenza delle nuove tecnologie sul campo di battaglia.

Già l'esperienza esiziale del Vietnam, poi confermata in Afghanistan e Iraq ed oggi sotto gli occhi di tutti con la guerra in Ucraina e in Medio Oriente, dimostrava che la superiorità tecnologica era insufficiente se la risposta era in grado di eluderne la potenza.

Questa risulta sempre più concentrata, man mano che l'importanza tecnologica ed economica dei sistemi d'arma aumenta.

Ma risulta anche più costosa e difficile da controllare sia in termini di capacità operativa di chi la deve guidare, sia di flessibilità nel suo utilizzo.

 

Risale la minaccia nucleare.

È per questo che è ripresa la corsa al nucleare, con paesi medi o piccoli come “Israele” e la “Corea del Nord”, che vogliono dotarsi del deterrente in grado di proteggere i governi dal rischio di essere abbattuti da una minaccia proveniente dall'esterno.

“Israele ha introdotto la deterrenza atomica” contro gli attacchi da altri stati musulmani.

La tiene rigorosamente segreta e quindi per questo la rende più che mai efficace, ma pur sempre irrilevante rispetto alle minacce provenienti da forze parzialmente irregolari non riconducibili, neppure dal punto di vista finanziario, ad uno Stato e ad un governo.

Ma Israele ha anche fatto affidamento, secondo la scuola dominante nel secondo dopoguerra, sul fatto che la tecnologia fosse la risposta a questo rischio.

 Ha sviluppato capacità straordinariamente avanzate nel contrasto alla “cyberwar”, nello “spionaggio elettronico”, nello sviluppo di armi difensive molto efficienti:

 Iron Dome, il suo formidabile scudo missilistico intercetta 9 attacchi su dieci.

 Ma “la katiuscia palestinese vale circa 300 dollari, l'intercettore Tamir fino a 50 mila.

L'incubo degli strateghi israeliani era e resta la crescita esponenziale in numero, potenza, precisione e frequenza di lancio dei missili nemici…dieci giorni con lancio di diecimila razzi e centomila vittime.

Nemmeno “Iron Dome” sarebbe in grado di assorbire tanto volume di fuoco”.

L'evoluzione delle armi nell'era dell'intelligenza artificiale.

Sul fronte della “guerra dei chip” , l'amministrazione americana ha appena provveduto a stringere le maglie lasciate aperte dai provvedimenti restrittivi dell'anno scorso.

L'esportazione verso la Cina dei processori più veloci e potenti di “Nvidia”, quelli per l'addestramento H1000 e A100 era stato bloccato, con vivaci proteste della compagnia che realizza in quel mercato almeno un terzo del suo fatturato.

“Nvidia” ha prontamente sviluppato due prodotti alternativi, H800 e A800, più lenti, ossia capacità di elaborare 400 gigabyte al secondo invece di 600, aggirando il blocco e piazzando rilevanti forniture presso i giganti cinesi che lavorano nell'intelligenza artificiale:

“Bytedance” (TikTok), “Baidu”, “Alibaba” e “Tencent” hanno acquistato il processore H800 per un ammontare di 5 miliardi di dollari .

“Baidu”, gigante della ricerca online, ha annunciato una versione del modello di linguaggio,” Ernie 4” , con capacità simili a “ChatGPT” utilizzando decine di migliaia di processori per addestrarlo, confermando che si trattava di “chip Nvidia”.

Ora, con le nuove restrizioni, i processori H800 e A800 saranno sottoposti ad embargo.

Un ostacolo più sulla strada dell'allentamento delle tensioni tra Usa e Cina.

L'intelligenza artificiale avanza sul terreno della frontiera tecnologica, ma questo avanzamento si porta appresso la banalizzazione delle tecnologie più semplici e mature:

 la loro applicazione al settore degli armamenti rende molto più efficaci e meno costose le armi tradizionali, e molto più efficace il loro impiego.

 

Le nuove armi, come i droni e i missili guidati da intelligenza artificiale, sono sviluppate non solo negli Stati Uniti, in Cina e in Russia:

le tecnologie sono disponibili anche per paesi di medie dimensioni.

Le tecnologie divengono accessibili per aziende e gruppi che intendono venderle o usarle al di fuori delle giurisdizioni oggetto delle politiche di controllo e delle sanzioni.

Questa facilità di applicazione e di accesso produce un potenziale sviluppo di sistemi d'arma in cui, a fianco di mezzi costosissimi operati da soldati in carne ed ossa vi sono miriadi di armi dotate di qualche sistema di intelligenza artificiale più o meno avanzato, che affiancano i combattenti sul campo.

“Si può immaginare uno scenario in cui i droni oltrepassano il numero dei combattenti in modo considerevole.

Sarebbe un fattore di moltiplicazione delle forze, poiché oggi uno dei maggiori problemi della guerra moderna è il reclutamento”.

Il progetto segreto della difesa americana, “Next Generation Air Dominance” , si basa sulla collaborazione tra droni collaterali che affiancano i piloti in un rapporto 5/1.

Naturalmente vi è un elevato rischio di confusione ed errore, ma il rischio maggiore che l'intelligenza artificiale comporta è quello dei tempi di reazione:

essa può convincere il decisore che è possibile rispondere e agire in pochi secondi, rinunciando a quelle ore in cui, fino ad oggi è stato possibile con l'intervento umano evitare di precipitare nella catastrofe nucleare.

L'aiuto americano ad Israele, recentemente proposto al Congresso dall'amministrazione Biden, comprende 1,2 miliardi di dollari per sviluppare “l'Iron Beam” , un sistema di difesa basato su laser ad alta energia in grado di proteggere più efficace dei sistemi affidati ai razzi intelligenti di intercettazione.

Mentre il sistema americano è orientato ad intercettare missili a largo raggio, l'intenzione di Israele è di sviluppare il sistema in senso più distribuito, per essere in grado di difendersi dagli attacchi multipli e contemporanei di razzi e colpi di mortaio:

 “Il sistema israeliano ha un approccio tecnologico diverso, potrebbe essere una interessante integrazione” ha osservato “Doug Bush”, Sottosegretario alla Difesa per gli approvvigionamenti.

 In realtà è l'ennesimo tentativo di liberarsi dell'incubo dei 10.000 razzi che attaccano in modo coordinato, magari via semplici SMS.

Un altro tentativo che confida nell'effetto taumaturgico della tecnologia.

 

Il rischio del predominio della tecnologia sulla politica nei contesti bellici.

Ma il problema delle guerre moderne, ed in particolare di quelle che dal Vietnam in avanti sono state condotte da una superpotenza tecnologica e militare, con grande dispiegamento di mezzi, tecnologie e disponibilità logistica, è un problema diverso dalla semplice affermazione della superiorità tecnologica.

Contro il grande dispiegamento di mezzi e capacità, si leva una forza distribuita, quella di comunità o popoli che si mobilitano, accedendo a sistemi di comunicazione che riescono a non essere intercettati o che comunque hanno sistemi di comando decentrati e aggregati in modo tale da non essere facilmente prevedibili nelle loro scelte.

 La rete di diffusione dei terminali intelligenti è la chiave moderna di questa risposta.

Per avversari di questo tipo non si pone il problema del reclutamento e l'accesso ad armi comunque potenti e massicce è facile e poco costoso:

 sostenibile anche da chi ha relativamente pochi mezzi, comunque largamente inferiori all'avversario.

L'illusione che la tecnologia possa risolvere i problemi politici sposta solo avanti le modalità del conflitto, ma non risolve il suo esito.

 Anzi, più ci si affida alla tecnologia e meno si sviluppano le attività diplomatiche, culturali, le iniziative religiose e umanitarie, i programmi economici e finanziari che servono ad alleviare le tensioni e, nel lungo tempo a risolverle.

Se Israele si sente pericolosamente e intollerabilmente accerchiata dalla cintura di fuoco di “Hezbollah” a nord e di “Hamas” a sud, la rincorsa agli armamenti sempre più sofisticati e tecnologicamente avanzati può risultare inutile e forse dannosa.

“La religione della tecnologia consente forse di censire la capacità del nemico, non di conoscerne le intenzioni…La superiorità tecnologica trasmette sicurezza mentre prepara rovina”.

 

 

 

L'intelligenza artificiale sta

cambiando il modo

di fare la guerra.

Wired.it – (4-3-2023) – Andrea Indiano – ci dice:

Lo dimostra il conflitto in Ucraina, che vede il coinvolgimento di un colosso come “Palantir”, che sfrutta algoritmi di analisi dei dati per dire all'esercito di Kyiv cosa, dove e quando colpire.

L'interesse recente dell'opinione pubblica verso l'intelligenza artificiale si è concentrato soprattutto sugli aspetti ricreativi, ma la nuova tecnologia ha un'applicazione molto più seria e preoccupante che riguarda le guerre.

L'Ai viene già utilizzata in Ucraina:

 il conflitto ha di fatto anticipato l'uso dell'intelligenza artificiale in guerra, portando sul campo di battaglia strumenti e programmi ancora da perfezionare.

Ora l'innovazione è nell'agenda dei leader militari e politici di tutto il mondo; per questo si è svolto il primo vertice internazionale sull'uso militare responsabile dell'Ai che ha stimolato una discussione etica e le principali preoccupazioni riguardanti l'arrivo dell'Ai nei conflitti.

Il summit Reami in Olanda.

Ha avuto luogo a L'Aia, in Olanda, il Reami Summit, manifestazione organizzata dal governo olandese per posizionare il tema dell'Ai nel mondo militare più in alto nell'agenda politica internazionale.

All'evento hanno partecipato delegati di 50 Paesi, fra cui Stati Uniti e Cina, ma i Paesi Bassi e la Corea del Sud co-organizzatrice non hanno invitato la Russia.

Erano presenti anche aziende private:

 l'amministratore delegato di “Palantir”, compagnia statunitense specializzata nelle nuove tecnologie e nell'analisi di big data, non ha nascosto il coinvolgimento della propria azienda nel conflitto in Ucraina.

 “Siamo responsabili della maggior parte degli attacchi” ha detto “Alex Karp” di Palantir.

La sua impresa sfrutta l'intelligenza artificiale per colpire obiettivi russi ed è quindi a supporto della nazione di Kiev.

 Fra i servizi di “Palantir” la possibilità di analizzare i movimenti satellitari e i feed dei social media per aiutare a visualizzare la posizione di un nemico, consentendo all'esercito ucraino di prendere di mira carri armati e artiglieria nemica.

L'Ai riesce ad analizzare una grande quantità di dati in poco tempo, velocizzando gli attacchi e favorendo un approccio ostile in minor tempo.

"Siamo agli albori dell'intelligenza artificiale, ma una delle cose principali che dobbiamo fare in Occidente è renderci conto che questa novità è stata completamente compresa anche da Cina e Russia" ha affermato “Karp”.

Sul fatto che l'Ai in guerra sia una realtà non ci sono dubbi:

 i governi devono esaminare quale parte dei loro budget per la difesa sarà destinata ai progressi della tecnologia, soprattutto perché la conversazione è cambiata negli ultimi sei mesi.

Ai e guerre.

L'intelligenza artificiale offre un importante vantaggio strategico nei contesti di guerra, in quanto favorisce la possibilità di automatizzare compiti ripetitivi e consente una maggiore accuratezza e precisione nelle operazioni di combattimento.

Pertanto, non sorprende che sia una delle innovazioni più ricercate utilizzate oggi nelle guerre.

I sistemi di imaging basati sull'intelligenza artificiale possono fornire un'immagine precisa di ciò che sta accadendo in una situazione di combattimento, consentendo colpi più precisi e meno danni collaterali.

Inoltre, i sistemi di posizionamento basati sull'intelligenza artificiale consentono una maggiore precisione nel puntamento di munizioni esplosive e nella navigazione di aerei da combattimento e altre unità di combattimento.

Il software e gli algoritmi basati sull'intelligenza artificiale offrono la possibilità di elaborare grandi quantità di dati in modo rapido e accurato per ottenere informazioni preziose.

 

L'invisibile cyber guerra della Russia per piegare l'Ucraina.

Circa 4.500 attacchi informatici nel 2022, più del triplo rispetto all'anno prima. Bombardamenti coordinati con “infezioni malware” e “ddos” per aumentare i danni dell'offensiva.

Le infrastrutture energetiche nel mirino.

 I dati di un anno di conflitto informatico scatenato da Mosca contro Kyiv.

Già nelle innovazioni di tendenza di recente come “ChatGPT” e programmi simili, l'intelligenza artificiale ha dimostrato di assorbire i nostri” bia”s, i pregiudizi attraverso cui elaboriamo la realtà che ci circonda.

Lo stesso problema non può che essere aggravato in situazioni dove c'è di mezzo la vita di singoli individui.

Durante una tavola rotonda di Reami fra il capo della difesa olandese e un dirigente della azienda produttrice di armi” Lockheed Martin”, il segretario generale di “Amnesty International” “Agnès Callamard” ha respinto l'idea che sia possibile rimuovere i pregiudizi dall'Ai se utilizzata in un contesto militare.

E ha affermato che può portare alcuni gruppi a essere presi di mira più di altri. “Non possiamo semplicemente pensare che in questa stanza ci siano solo brave persone che useranno questa intelligenza per la difesa”, ha detto “Callamard”.

La maggior parte delle delegazioni presenti al summit olandese dovrebbe approvare una dichiarazione di principi nelle prossime settimane o mesi, anche se le regole internazionali o un trattato per limitare l'uso dell'Ai in guerra sono indicate come ancora lontane.

Intanto, gli effetti dell'uso bellico dell'intelligenza artificiale sono già evidenti nel territorio ucraino.

 

 

 

Comprendere il contesto

di Israele-Palestina: qual è la

"soluzione finale" di Israele?

 Unz.com - BARRY KISSIN – (2 NOVEMBRE 2023) – ci dice:

 

Soluzione finale: "Tutti i palestinesi espulsi o uccisi."

Stiamo assistendo, a tutti i resoconti, un massiccio massacro di civili palestinesi che negli ultimi 16 anni sono stati imprigionati nella Striscia di Gaza, bloccati e controllati da Israele.

Questo massacro viene compiuto come se fosse ordinato nell'Antico Testamento. Ciò deriva dalla convinzione da parte della parte fondamentalista e molto influente della coalizione di governo di Benjamin Netanyahu di avere il diritto divino di occupare e controllare il "Grande Israele", che include tutta la Palestina.

Netanyahu è stato recentemente registrato mentre citava “1 Samuele 15:3” in una clip che è diventata virale.

"Ora va' e colpisci “Amalek”, e distruggi tutto ciò che possiede, e non risparmiarli; ma uccidete l'uomo e la donna, il bambino e il lattante il bue e la pecora, il cammello e l'asino".

La fase successiva è descritta nel libro di “Jimmy Carter”:

"Senza tirare pugni, Carter prescrive i passi che devono essere presi affinché i due Stati condividano la Terra Santa senza un sistema di apartheid o la costante paura del terrorismo.

"I parametri generali di un accordo a lungo termine tra due Stati sono ben noti, scrive il presidente.

Non ci sarà una pace sostanziale e permanente per nessun popolo in questa regione travagliata fino a quando Israele violerà le risoluzioni chiave delle Nazioni Unite, la politica ufficiale americana e la "road map" internazionale per la pace occupando terre arabe e opprimendo i palestinesi.

Fatta eccezione per le modifiche negoziate reciprocamente accettabili, i confini ufficiali di Israele precedenti al 1967 devono essere rispettati".

Ci sono state più di 80 risoluzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro la politica israeliana, la maggior parte delle quali quasi unanimi, molte delle quali condannano il mancato rispetto da parte di Israele dei “confini pre -1967” da parte delle invasioni di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est.

Ad esempio, il 14 dicembre 2022, l'Assemblea Generale ha approvato con 159 voti favorevoli e 8 contrari una risoluzione diretta contro "la diffusa distruzione causata da Israele, la potenza occupante, a infrastrutture vitali, comprese condutture idriche, reti fognarie ed elettriche, nei territori occupati".

Territori palestinesi, in particolare nella Striscia di Gaza..." e invita Israele "a cessare la demolizione e la confisca delle case palestinesi, dei terreni agricoli e dei pozzi d'acqua... in particolare delle attività di insediamento israeliano...".

L'attuale movimento di coloni con il sostegno del governo israeliano continua espellere con la forza i palestinesi dalle loro case in Cisgiordania (vivono lì da generazioni) nonostante l'obiezione anche del presidente Biden.

L'attuale alternativa di Israele alla soluzione dei due Stati equivale a una Soluzione Finale:

tutti i palestinesi saranno espulsi o assassinati.

 

Deploro il terrorismo.

 Non conosco la portata del terrorismo perpetrato da “Hamas” il 7 ottobre. Praticamente la prima cosa che abbiamo sentito è stata la bufala secondo cui Hamas aveva decapitato 40 bambini.

Ciò è stato affermato dal governo israeliano e rapidamente adottato dal presidente Biden che ha mentito quando ha detto di aver visto una foto autenticata di questo.

Ora sui media israeliani sono emersi resoconti di sopravvissuti israeliani agli attacchi del 7 ottobre in cui testimoniano di essere stati trattati "umanamente" da “Hamas” e che molte delle vittime israeliane sono state uccise nel fuoco incrociato israeliano.

Una sopravvissuta israeliana di nome “Yasmin Porat”, riferendosi alle forze speciali israeliane: "Hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi".

“Tuval Escapa”, membro della squadra di sicurezza del “Kibbutz Be'eri”, ha dichiarato al quotidiano israeliano “Haaretz”:

"I comandanti sul campo hanno preso decisioni difficili, tra cui bombardare le case dei loro occupanti per eliminare i terroristi insieme agli ostaggi".

 

Un rapporto separato pubblicato su “Haaretzha” osservato che l'esercito israeliano il 7 ottobre è stato

"costretto a richiedere un attacco aereo" contro la sua stessa struttura piena di ufficiali e soldati dell'Amministrazione Civile israeliana all'interno del valico di Erez a Gaza "al fine di respingere i terroristi".

Il governo israeliano afferma che 1400 israeliani sono morti il 7 ottobre, cifra ripetuta dall'”Associated Press” su base giornaliera. Questo numero deve ancora essere confermato. Non importa quanto sia accurato questo numero, e non importa quante di queste morti siano state causate da “Hamas” o dal fuoco incrociato israeliano, questo non può in alcun modo giustificare o scusare il genocidio.

Il quotidiano dell'”Associated Press” definisce l'attacco del 7 ottobre "brutale", ma non descrive mai l'incessante bombardamento di Gaza.

Sganciare bombe da una tonnellata su una popolazione civile letteralmente intrappolata nella Striscia di Gaza, metà dei quali bambini, su ospedali, moschee, scuole, rifugi per rifugiati delle Nazioni Unite, blocchi residenziali – è anche questo terrorismo?

"Terrorista" è un insulto che il grande esercito usa per descrivere il piccolo esercito.

Ancora sul terrorismo:

i padri fondatori di Israele, i suoi eroi nazionali, molti dei quali in seguito eletti alla carica di Primo Ministro, erano terroristi.

Shimon Peres.

Shimon Peres si unì all'”Haganah” nel 1947, la milizia principalmente responsabile della pulizia etnica dei villaggi palestinesi nel 1947-49, durante la “Nakba”.

 Dal “Time Magazine” su Peres:

"Tutta la sua storia è stata dedicata alla creazione e allo sviluppo di uno stato fondato sull'espropriazione e sulla pulizia etnica [dei palestinesi]".

 Peres è stato eletto Primo Ministro dal 1984 al 1986 e dal 1995 al 1996, nonché Presidente dal 2007 al 2014.

Menachem comincia.

Menachem Begin era il leader dell'”Irgun”, una forza paramilitare che effettuò l'attacco terroristico del 1946 al “King David Hotel” in cui furono uccise 91 persone, nonché il massacro di “Deir Yassin del 1948 “che spazzò via una città popolata da arabi, uccidendo oltre 100 persone tra cui donne e bambini.

Gli inglesi inseriscono Begin in cima alla lista dei terroristi più ricercati.

Begin fu eletto Primo Ministro dal 1977 al 1983.

 

Yitzhak Shamir.

Ariel Sharon.

È stata la profanazione israeliana del 2023 di questa stessa “moschea di al-Aqsa” che ha fatto precipitare l'attacco di “Hamas” del 7 ottobre chiamato “Operazione Al-Aqsa Storm”.

 

Ehud Barak.

Nel 1998, “Ehud Barak”, ex commando delle forze speciali israeliane, capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane e ministro degli affari esteri, dichiarò:

"Se fossi un palestinese dell'età giusta, prima o poi mi unirei a uno dei terroristi". Barak è stato eletto Primo Ministro dal 1999 al 2001.

Nelle votazioni sopra menzionate sulle risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano la politica israeliana, gli Stati Uniti sono generalmente uno dei pochissimi paesi che votano con Israele. (Allo stesso modo, nei voti che condannano il blocco statunitense a Cuba, Israele si unisce agli Stati Uniti nell'opposizione.

Ad esempio, il 2 novembre 2023, quando l'ONU approvò per la trentunesima volta una risoluzione di condanna di questo embargo, 187 paesi votarono a favore, con la sola opposizione di Stati Uniti e Israele e l'astensione dell'Ucraina).

Il 27 ottobre 2023,120 paesi hanno approvato una risoluzione delle Nazioni Unite che chiede "una tregua umanitaria immediata, duratura e prolungata che porti alla cessazione delle ostilità "e la richiesta della "la fornitura immediata, continua, sufficiente e senza ostacoli di beni e servizi essenziali ai civili in tutta la Striscia di Gaza, compresi ma non limitati ad acqua, cibo, forniture mediche, carburante ed elettricità", e "sottolinea la necessità di istituire urgentemente un meccanismo per garantire la protezione della popolazione civile palestinese" e "ribadisce che un giusto e una soluzione duratura al conflitto israelo-palestinese può essere raggiunta solo... sulla base della soluzione dei due Stati".

Tra i paesi favorevoli c'erano i membri della NATO Francia, Turchia, Portogallo, Spagna, Belgio, Slovenia e Norvegia – solo 14 paesi contrari.

Nel frattempo, gli Stati Uniti, con un massiccio dispiegamento di forze militari nel Mediterraneo, stanno ora servendo a proteggere Israele da qualsiasi interferenza nella sua perpetrazione del genocidio in corso, sfidando chiunque a intervenire.

Il 2 novembre 2023, la Camera ha approvato un pacchetto di aiuti militari da quasi 14,5 miliardi di dollari per Israele, questo per il quinto esercito meglio equipaggiato al mondo, mentre perpetra un genocidio.

Un sondaggio di Data for Progress condotto tra il 18 e il 19 ottobre ha rilevato che il 66% degli americani sostiene un appello degli Stati Uniti per un cessate il fuoco, cosa che gli Stati Uniti si rifiutano di fare.

Non un solo senatore sostiene l'idea e solo 18 membri della Camera hanno firmato una risoluzione che chiede di cessare il fuoco. Per quanto riguarda la guerra e la pace, per quanto riguarda il sostegno militare all'impero americano, la democrazia è del tutto illusoria.

 

 

 

 

“Abbastanza da Far Piangere una Pietra”.

 Il Viaggio Straziante di una

 Famiglia Espulsa da Gaza.

Conoscenzealconfine.it – (11 Dicembre 2023) – Massimo Mazzucco per luogo comune.net – ci dice:

La seguente testimonianza è stata resa da “Zakaria Baker “l’11 novembre 2023.

 La testimonianza è stata raccolta da “Amplify Gaza Stories”, un’organizzazione che lavora sul campo per raccogliere e tradurre testimonianze degli abitanti di Gaza, per fare in modo che le loro storie di lotta, resistenza e sopravvivenza vengano conosciute al mondo.

“Mi chiamo “Zakaria Baker”, sono una delle persone sfollate dalle proprie case quattro giorni fa, intorno al 7 novembre 2023.

L’inizio dello sfollamento avviene così:

un ufficiale dell’intelligence israeliana ha chiamato uno dei miei cugini.

Eravamo circa una ventina, seduti sulle sedie.

Il bombardamento del “campo profughi di Al-Shati” non si è fermato un solo secondo.

 I missili lanciati contro il campo, non potevamo né vederli né sentirli.

Erano bombe a botte [barrel bombs].

Quando furono sganciate su un blocco residenziale di sei o sette case, le distrussero completamente.

La cosa più spaventosa e dolorosa è che questi missili vengono lanciati contro case piene di persone.

I corpi nel “campo di Al-Shifa” sono ancora sotto le macerie. Potevamo sentire l’odore dei cadaveri.

L’ufficiale dell’intelligence israeliana ha chiamato uno dei miei cugini che era seduto con noi e ha detto:

 “Bakers”, perché non ve ne siete andati?

 I vostri vicini sono stati evacuati.

Avete 30 minuti per andarvene, per la vostra sicurezza.

Se non ve ne andate, vi rovesceremo la morte addosso”.

 

Ok, mezz’ora… Cosa facciamo?

Siamo famiglie con bambini, e dobbiamo prepararci a partire? Dopo meno di mezz’ora, circa 20 minuti, forse meno, il bombardamento è iniziato a pochi metri da noi.

Stavano prendendo di mira edifici che erano a sole due o tre case di distanza da noi.

 Non potevamo portare nulla con noi, solo alcuni farmaci, perché avevo appena subito un intervento a cuore aperto.

Così ci siamo incamminati – donne, bambini e anziani – e mentre camminavamo i bombardamenti si avvicinavano alle nostre case.

Ogni volta che passavamo davanti a una casa, dietro a noi veniva distrutta.

Il bombardamento è continuato fino alla “moschea Rono”, vicino all’ospedale Al-Shifa.

Quando eravamo sotto la moschea, una bomba ha colpito il minareto.

C’erano in strada migliaia di persone. Alcuni di loro provenivano anche dall’ospedale.

Con noi c’erano molti anziani.

C’erano 160 persone della nostra famiglia in strada, e della nostra famiglia allargata erano circa 4 o 5mila.

Abbiamo iniziato tutti a camminare.

 Quando abbiamo raggiunto “Al-Shifa” c’erano migliaia di persone.

La maggior parte di loro erano residenti dai dintorni dell’”ospedale Al-Shifa”, o persone che cercavano rifugio all’interno dell’ospedale e sono fuggite perché l’ospedale è stato colpito.

Raggiungemmo lo “svincolo di Dola”, avevamo già percorso circa cinque o sei chilometri.

Abbiamo visto un autobus dall’aspetto trasandato, ma funzionava, e abbiamo chiesto all’autista di portarci allo svincolo di Dola.

Ha chiesto 80 shekel, eravamo circa 40 persone. Ci siamo accordati per 80 shekel per portarci alla rotonda di Dola, vicino a Salah al-Din.

Una volta raggiunto lo “svincolo di Dola”, siamo scesi dall’autobus, e abbiamo camminato per circa un chilometro dopo” la rotatoria Kuwait”, e abbiamo visto enormi folle, non dico centinaia o migliaia o decine di migliaia, ma centinaia di migliaia di persone e scene orribili:

donne di 80 e 90 anni, uomini anziani di 70 e 80 anni, alcuni di loro feriti, altri con bambini in braccio.

Abbiamo continuato a camminare finché non abbiamo incontrato un asino e un carro.

Il proprietario ci ha chiesto 20 shekel, e abbiamo caricato tutto su questo carro: donne, bambini, tutti i nostri bagagli, tutto ciò che potevamo mettere sul carro.

A metà salita l’asino faticava, quindi il padrone ci ha chiesto di spingere.

 Lo abbiamo spinto, per il bene degli anziani e dei bambini.

Abbiamo spinto finché non siamo stati a 100 metri di distanza dall’IDF israeliano. Siamo scesi, e ci hanno chiesto di mostrare i nostri documenti d’identità.

Ho preso in braccio mio nipote e ho giocato con lui, per rassicurarlo.

Abbiamo camminato fino a 10 metri dai soldati, poi ci hanno detto: “Stop”.

Ci siamo fermati. Abbiamo visto tre carri armati passare davanti a noi.

Una volta passati, ci è stato detto di proseguire.

Avevamo solo una valigia a testa.

 C’erano corpi ovunque. Alcuni in decomposizione, altri erano carbonizzati. Abbiamo visto un’auto con una persona morta dentro.

La sua metà inferiore era intatta, la metà superiore era decomposta.

Scene orribili, abbastanza da far piangere una pietra. Abbastanza da far piangere una pietra.

Abbiamo lasciato l’area con i carri armati e ci siamo spostati al “ponte Wadi Gaza”, e lì ci hanno detto che eravamo in una zona sicura.

Dalla zona dei carri armati fino a Wadi Gaza mio nipotino ha pianto, aveva fame. C’era un muretto e abbiamo lasciato che sua madre lo usasse per nascondersi dietro, così da poterlo allattare e farlo smettere di piangere per qualche minuto, circa cinque minuti.

In generale, ci siamo sentiti più tranquilli dopo che mio nipote aveva mangiato. Abbiamo continuato a camminare in un enorme flusso di umani incolonnati.

Sul ponte non ci era permesso fermarci.

Era vietato fermarsi.

 Una delle donne più anziane che erano con noi aveva 86 anni, e si chiamava “Kefah Bakr”, è crollata per la stanchezza ed è morta, non è riuscita a sopravvivere al viaggio, alla camminata.

È stata anche fortunata, perché è morta 10 metri dopo aver attraversato l’area controllata dall’IDF israeliano, e così è stata portata via, all’ospedale.

Tornando alla zona dei carri armati, non ci era permesso di guardare a sinistra o a destra. Dovevamo continuare a guardare dritto.

– Domanda di “Mohammed Ghalayini”, un volontario di “Amplify Gaza Stories”: le istruzioni dei soldati venivano date dagli altoparlanti?”

Risposta:

No, le istruzioni venivano passate da una persona all’altra. Le persone davanti ricevevano gli ordini, e li passavano a quelli dietro. In questo modo gli ordini arrivavano a tutti gli altri.

Molti anziani cadevano e venivano abbandonati sul posto.

 La gente passava oltre.

Una persona ha lasciato cadere la valigia, si chiamava “Alaa Abu-Stata”. Si è chinato per prendere la valigia e lo hanno ammazzato con un colpo di pistola.

Molte delle donne anziane non riuscivano a reggere la fatica e cadevano a terra. Nessuno osava fermarsi per aiutarle, perché avrebbero sparato a chiunque le avesse aiutate.

E così abbiamo dovuto sacrificare una persona anziana per salvare altre 10 o 20 persone dalla fucilazione o dall’umiliazione.

Una persona è stata chiamata per nome dagli altoparlanti.

 Lo hanno spogliato nudo, lo hanno arrestato e nessuno sa dove lo abbiano portato.

Nessuno sa più niente di lui.

Questo è quello che ho visto da una distanza di 100 metri, altri hanno visto casi simili di arresti.

Abbiamo continuato a camminare fino a “Burej”.

 Immaginatevi! Da Al-Shati’ al ponte sono qualcosa come 15 chilometri.

 A Burej non c’erano automobili, solo camion.

È arrivato un camionista e gli ho detto che volevamo andare a “Khan Younis” o nella zona di “Hamad”.

 Ci ha chiesto 300 shekel. Ho detto va bene, portaci via da qui.

Abbiamo raggiunto “Hamad” dopo un viaggio molto tormentato.

 

– Domanda: hai trovato alloggio a “Hamad”?

No, non siamo riusciti a trovare nessuna stanza.

 Abbiamo trascorso tre notti dormendo sul pavimento, senza copertura, a cielo aperto: notti fredde.

 La terza notte, solo la terza notte, abbiamo acceso le lucine per allontanare insetti e mosche dai bambini di otto e nove mesi.

Il 4° giorno siamo riusciti a raddrizzare la situazione.

Abbiamo rotto un tramezzo che appartiene al comune, circa 4 metri quadrati, e ci abbiamo messo 40 persone.

 È stata una mia idea. Ne ho ricavato una tenda improvvisata con teli di plastica usati, e lì hanno potuto ripararsi sei famiglie.

 

Dalle 12 di ieri non siamo più riusciti a trovare un pezzo di pane.

Facciamo un pasto al giorno, per due motivi: per evitare di andare al bagno, e perché non riusciamo a trovare cibo.

 È una guerra della fame.

Non c’è cibo in scatola. Abbiamo girato tutti i supermercati ma non abbiamo trovato niente.

 Le donne dormono con gli stessi vestiti con cui erano uscite di casa.

Quest’acqua mi è stata data da “Abu Mohammed”.

 Siamo stati sottoposti al dolore, alla sofferenza, alla rabbia, all’umiliazione. Non ce la faccio più a parlare di questo“.

Da quando questa testimonianza è stata raccolta, “Baker”, la sua famiglia e migliaia di altre persone in cerca di rifugio sono stati nuovamente costretti a lasciare il loro riparo nella città di “Hamad” a “Khan Younis”, il 2 dicembre, dopo aver ricevuto un nuovo ordine di evacuazione dall’esercito israeliano.

(mondoweiss.net/2023/12/there-were-bodies-everywhere-horrific-scenes-enough-to-make-a-stone-cry-one-familys-harrowing-journey-out-of-gaza-city/)

(Massimo Mazzucco per luogocomune.net)

(luogocomune.net/29-palestina/6389-%E2%80%9Cabbastanza-da-far-piangere-una-pietra%E2%80%9D-il-viaggio-straziante-di-una-famiglia-espulsa-da-gaza).

 

 

 

“Alex Jones” strappa la maschera

del "collasso globale progettato" dal

Nuovo Ordine Mondiale

nello show di “Tucker Carlson”.

Lifesitenews.com – (8 dicembre 2023) – Stephen Kokx – ci dice:

 

Le élite internazionali "sperano che alziamo le mani e scappiamo nelle campagne" in modo da poter avere il pieno controllo delle città e poi "marciare sulle campagne... e tirarci fuori", ha detto il fondatore di “Info Wars”.

 

( LifeSiteNews ) – Due uomini che i principali media americani hanno incessantemente attaccato per anni si sono seduti questa settimana per una conversazione avvincente per discutere del Nuovo Ordine Mondiale.

Giovedì, Tucker Carlson ha dato il benvenuto per la prima volta al fondatore di Info Wars, Alex Jones, al suo spettacolo “X”.

“Questa è una rottura della nostra volontà, una demoralizzazione… questo ha progettato il collasso globale”, ha detto Jones ad un estasiato Carlson.

 Le élite internazionali “sperano che alziamo le mani e scappiamo nelle campagne” così da poter avere il pieno controllo delle città e poi “marciare sulle campagne… e tirarci fuori”.

La franca conversazione di Jones e Carlson ha esplorato i piani che secondo loro vengono implementati dall'élite governativa mondiale.

Gli argomenti discussi includevano lo spopolamento, l'immigrazione, la guerra informatica, la censura, il razzismo, il cibo finto e la possibilità che Donald Trump e Joe Biden possano essere assassinati.

“Lo Stato Profondo uccide le persone. E questa è la loro unica mossa successiva”, predisse minacciosamente Jones.

Jones ha anche avvertito che una possibile interruzione di corrente a livello nazionale o un “massiccio attacco jihadista in America” potrebbe essere “il modo per introdurre la legge marziale” e annullare le elezioni presidenziali del 2024. “Il cielo è il limite”, ha esclamato.

Jones è stato bandito da “X” dal 2018.

La piattaforma, allora sotto la guida di “Jack Dorsey” e fortemente controllata dall'FBI, lo ha rimosso dopo aver affrontato il reporter di sinistra della “CNN Oliver Darcy “a Capitol Hill per i “suoi rapporti parziali su “Info War”s.

L'attuale CEO di “X”, “Elon Musk”, ha dichiarato di essere disponibile a reintegrare Jones.

 Su X questa settimana, “Musk” ha detto che guarderà l'intervista con Carlson per "ascoltarlo".

Durante la conversazione, “Carlson” ha ripetutamente espresso stupore per il fatto di essere ampiamente d'accordo con “Jones”, soprattutto alla luce delle osservazioni fatte in passato sull'11 settembre.

Jones ha detto a Carlson che semplicemente legge i documenti e guarda le conferenze che le istituzioni globaliste producono per fare le sue numerose affermazioni.

 

“Quando il primo mondo crolla, il terzo mondo muore.

E ciò che resta di loro ci inonda.

E così, proprio adesso la Terra sta entrando in un conto alla rovescia per il collasso”, ha detto Jones.

“Stanno conducendo una guerra contro la civiltà e la società per renderci poveri, per metterci sotto assedio e per tagliare le nostre energie – rendendo impossibile il costo della vita – per rompere il nostro vecchio sistema e introdurre qualcosa di ancora peggio”.

Jones ha inoltre sostenuto che “l’ultimo gruppo che non controllano è quello delle popolazioni rurali”.

Quindi la classe globale “dovrà demolire le culture e le società che esistevano prima e introdurre nella fase successiva, una società high-tech, senza contanti, un incubo controllato da robot droni”.

“Carlson” ha chiesto a “Jones” se lavorare nel mondo dell'informazione sia difficile, dato il prezzo che può avere su una persona.

Jones ha detto a Carlson che essere così coinvolto è stato difficile e che voleva semplicemente scrivere libri e trasferirsi in campagna con la sua famiglia, ma che spesso prega e riflette sulla morte, cosa che lo mantiene umile e in grado di fare ciò che fa.

“I globalisti sono così spaventati dalla morte, hanno tutto questo denaro, tutto questo potere, tutto questo controllo, sono ossessionati dall'idea di trovare la vita nella tecnologia, fondendosi con le macchine.

 Questa è la loro nuova religione.

Questo è transumanesimo”, ha detto. Sono “così persi” eppure “proiettano su di noi il loro odio verso sé stessi”.

"La morte è il grande equalizzatore", ha detto anche “Jone”s.

"Invecchierai... non importa quanto sei potente, non hai il controllo, e questo ti sintonizza con Dio."

“Carlson” ha risposto affermando di essere completamente d'accordo con la valutazione di “Jones”.

Carlson ha aggiunto che ogni volta che vedi "persone ubriache del proprio potere, che esagerano il loro controllo sulle cose, convincendosi di essere Dio", finiscono per "essere distrutte... è una legge [dell'umanità]".

Carlson e Jones hanno anche discusso della censura dei media e dell'influenza che l'”Anti-Defamation League” e il “Southern Poverty Law Center” hanno sugli inserzionisti per frenare la libertà di parola.

La coppia ha anche discusso di “Israele”, “Hamas” e di altri affari mediorientali, con “Jones” che alla fine sostiene che gli immigrati vengono inondati negli Stati Uniti per distruggere la cultura cristiana bianca.

 

“Questo “Grande Reset globalista”, la “presa del controllo del Nuovo Ordine Mondiale”, il mondo postindustriale – hanno tagliato le risorse, spopolamento forzato al 90%, distruggendo la civiltà secondo la progettazione, guerre di massa, carestia.

Nell’ultimo anno in tutto il mondo hanno già tagliato un terzo dei fertilizzanti”.

 “Vogliono ridurre la popolazione mondiale a 500 milioni”.

 

 

 

“IA”: LA GUERRA CHE STA PER

SCATENARSI NON SARÀ

COME CI ASPETTIAMO...

  Innovando.it - Edoardo Volpi Kellermann – (Novembre 21- 2023) – ci dice:

 

Il prossimo conflitto mondiale non sarà combattuto dagli uomini, né dai droni: in arrivo uno scontro verità-falsità, gestito da Intelligenze Artificiali.

L'immagine di una guerra futura, scontro fra verità e falsità, creata con l'intelligenza artificiale “Canva”.

L’immaginario in qualche modo imposto dalla maggioranza della narrativa fantascientifica ci prospetta un mondo dove l’umanità, prima o poi, dovrà fare i conti con l’Intelligenza Artificiale.

 Lo scontro esploderà non appena l’IA prenderà coscienza di se stessa e deciderà di sterminarci, o di trovare un modo di controllarci.

Se questa prospettiva è realistica (e ci sarebbe da discutere parecchio sull’argomento), la guerra che ci aspetta risulta piuttosto lontana nel tempo, vista l’assoluta mancanza di qualsivoglia consapevolezza nei sistemi generativi attuali. Possiamo quindi dormire sonni tranquilli, per adesso.

Oppure no?

“È urgente una regolamentazione sull’AI per fini militari”

Guerra russo-ucraina: è l’intelligenza artificiale a fare la differenza?

Complottismo, fake news e xenofobia: pericoloso mix digitale.

Le rappresentazioni artistiche dell’Intelligenza Artificiale tendono spesso a paragonarla al cervello umano, ma tale confronto può risultare fuorviante e non esaustivo.

I pericoli reali delle attuali Intelligenze Artificiali.

Vige ancora molta confusione sull’argomento Intelligenza Artificiale.

Confusione che, duole dirlo, è in buona arte alimentata da colleghi giornalisti entusiasti nello scriverne, ma spesso non altrettanto preparati nel comprenderne la reale natura, le potenzialità e i rischi.

Tale confusione è incoraggiata anche dalla nostra tendenza naturale a proiettare noi stessi su ogni ente esterno, sia esso un’altra persona, un animale o, come in questo caso, un oggetto software.

Da qui la nostra difficoltà a comprendere come un comportamento apparentemente intelligente non presupponga affatto un’autentica consapevolezza.

Così, incoraggiati dai fin troppi titoli “acchiappa click” dei giornali generalisti, ci arrovelliamo su problemi che ancora sono lontani nel tempo, ma non vediamo o sottovalutiamo quelli che già oggi ci riguardano direttamente.

Come sempre la tecnologia può essere applicata in modo da aiutare l’essere umano, ma anche in modo da danneggiarlo.

A livello sociale, ad esempio, l’Intelligenza Artificiale può essere utilizzata per ottimizzare processi e servizi, come il traffico nelle città, o i servizi burocratici e sanitari.

Oppure essa può aiutare i docenti a preparare lezioni o verifiche personalizzate sulle caratteristiche e peculiarità di ogni alunno.

A livello personale, può aiutare ognuno di noi a organizzare meglio il nostro lavoro e il nostro tempo, gestendo per noi le parti più noiose o ripetitive.

Oppure può aiutarci a esprimere meglio la nostra creatività, generando immagini, musica o filmati seguendo le nostre indicazioni.

L’Intelligenza Artificiale ben adoperata dovrebbe integrare, non sostituire, le nostre attività.

Ma poiché gli attuali sistemi generativi, capaci di produrre testo, immagini e video, si basano su enormi basi dati pescati soprattutto da Internet, spesso rispecchiano i nostri “bias” e, soprattutto, lavorano su delle medie statistiche.

Man mano che sempre più contenuti vengono generati dalle Intelligenze Artificiali stesse, il rischio è che si creino medie di medie di medie, con un livellamento verso il basso sempre più tangibile.

Questi sono tuttavia problemi che si possono affrontare e risolvere:

 il rischio più grande, di cui ancora non ho parlato, è il fattore umano.

(Innovazione e giornalismo: una convivenza spesso difficile

L’Intelligenza Artificiale è (anche) una rivoluzione del fotoritocco.)

 

La potenza dell’AI e il confronto bellico che verrà.

Finora ho trattato problemi già noti e, dopotutto, affrontabili senza troppe angosce.

Il bello (o il brutto) viene adesso.

Immaginiamo un’Intelligenza Artificiale ben addestrata, capace di riprodurre con realismo la voce di chiunque.

Esistono già sistemi del genere.

Uniamola a un’altra Intelligenza Artificiale capace di creare video credibili con protagonisti persone reali.

Anche questi sistemi esistono e, in alcuni casi, sono già stati adoperati.

Ecco che possiamo creare “deep fake” (video totalmente falsi ma del tutto credibili) con estrema semplicità, a danno di avversari politici, Paesi nemici o più semplicemente persone che ci stanno antipatiche.

Quindi creiamo migliaia (no, decine di migliaia) di “Chat Bot” che si fingono persone vere, si iscrivono ai social più diffusi e iniziano a condividere i video creati per calunniare, rovinare la carriera degli avversari o per creare più caos possibile nel Paese nemico, magari durante un periodo elettorale.

Così nasce la guerra della verità, e rischiamo fin d’ora di perderla tutti.

 

E dimenticatevi delle ultime elezioni americane, secondo alcuni analisti falsate da propaganda “inoculata” dall’esterno (leggi: Federazione Russa).

Rispetto alle potenzialità dei sistemi attuali e a quelle ottenibili nel medio futuro, gli eventuali tentativi di distorsione delle notizie del novembre 2020 erano giochi da bambini.

 

Così rullano i tamburi della Prima Guerra Mondiale dell’”AI”.

Dai pizzini ai social network: ecco come la mafia prolifera sulla Rete.

La “Battaglia di Morat” sarà il più grande oggetto digitale al mondo.

 

I deepfake tools alla portata di tutti.

Oggi i programmi per creare “deep fake”, ovvero immagini, audio e filmati realistici che rappresentino situazioni e fatti inventati, sono alla portata di chiunque dotato di un computer di potenza medio-alta.

Le allucinazioni usate come armi non convenzionali.

Le “Intelligenze Artificiali generative” hanno un difetto intrinseco nei loro principi di funzionamento: soffrono di allucinazioni.

Le ultime versioni, come ad esempio “ChatGPT-4”, stanno cercando di limitare e correggere questa tendenza, con più o meno successo.

Questa “potenzialità allucinatoria” potrebbe essere altresì sfruttata a proprio vantaggio da utilizzatori non ben intenzionati, per diffondere notizie apparentemente veritiere che cavalchino le convinzioni più o meno esplicite di determinati gruppi politici, rinforzandone i “bias”.

Il tutto con una “potenza di fuoco” immensamente superiore a quella disponibile fino a pochi anni fa.

Un gruppo ben organizzato (magari aiutato sottobanco da un governo compiacente) sfrutterebbe le vulnerabilità già note di una buona maggiorana dei computer in Rete per attacchi ottimizzati e prendere il controllo di milioni di apparecchi.

Lo farebbe utilizzandoli a loro volta come server per la creazione di falsi account social non facilmente distinguibili da quelli autentici.

I falsi account quindi diffonderebbero tesi e notizie pianificate per rinforzare le convinzioni dei gruppi di cui sopra.

E l’unico modo di combattere attacchi del genere è… utilizzare l’Intelligenza Artificiale.

(L’intelligenza artificiale e i conflitti in una raccolta di saggi inediti

Attori in sciopero: difesa dell’autenticità e della creatività contro l’AI

Video, è digitalizzato e conservato lo scontro svizzeri-borgognoni”

 

“Philip Kindred Dick”, visionario autore di fantascienza, ha anticipato molte delle problematiche legate all’Intelligenza Artificiale che oggi stiamo iniziando a vivere sulla nostra pelle.

La crisi e le opportunità di una simile evoluzione.

Chi vincerà la guerra futura?

 

Le Intelligenze Artificiali al servizio dei sabotatori sociali, o quelle demandate a difenderci?

Nessuno può dirlo, al momento.

Di una cosa possiamo essere certi:

 soltanto un Paese (o, ancora meglio, una federazione di Paesi) ben preparato, dalla popolazione dotata di capacità di pensiero critico e di conoscenza dei mezzi digitali, potrà affrontare queste sfide.

Serve che esso non viva l’Intelligenza Artificiale come un miracolo o una minaccia, ma impari a conoscerne meriti, potenzialità e problematiche, con una classe dirigenziale lungimirante e un’attenzione reale verso l’innovazione etica e la tecnologia.

Occorre, al più presto, partire da qui…

 

 

 

 

Geopolitica -Intelligenza Artificiale.

La “guerra fredda” dell’”AI.”

 Guerradirete.it - Antonio Dini – (14 Ottobre 2023) – ci dice:

 

Chi sta vincendo la guerra delle AI?

E poi, c’è veramente una guerra delle AI?

L’intelligenza artificiale come fattore di potenza e di ricchezza delle nazioni è difficile da decodificare a causa della complessità, segretezza e, paradossalmente, anche della eccessiva esposizione mediatica di questo settore.

Da un lato, infatti, c’è la ricerca pura, che è nata negli anni Cinquanta ed è arrivata a maturazione attorno al 2010 con la dimostrazione dell’efficacia delle reti neurali profonde.

 Un ambito che attrae una buona parte dell’attenzione e del discorso pubblico anche se è considerato già maturo:

le principali innovazioni sono già state fatte, adesso siamo in una fase di evoluzione e messa a terra della tecnologia.

Dall’altro, c’è appunto, la corsa alla commercializzazione, iniziata con il lancio pubblico di “ChatGPT” da parte di “OpenAI” lo scorso novembre.

È il piano che genera il maggior rumore mediatico e che viene alimentato dagli investimenti e dalla nascita di moltissime startup e da piccole e grandi iniziative di settore, senza contare i risvolti politici e regolamentari.

Nel mezzo, esiste un terzo piano di lettura delle AI che riguarda le politiche internazionali degli Stati e delle grandi corporation.

 È quella che nel 2018 la rivista americana “Wired” ha definito “la guerra fredda delle AI” e che “Henry Paulson”, ex segretario al Tesoro dell’amministrazione George W. Bush, poco dopo ha chiamato “Economic Iron Curtain”, la “Cortina di ferro economica”.

Ed è quella in realtà meno conosciuta e soggetta al maggior numero di fraintendimenti, distorsioni e pregiudizi, secondo le ricerche come quella condotta da “Joanna J. Bryson”, ed “Helena Malikova” per “Global Perspectives della “University of California Press”.

La percezione del pubblico, tra la novità commerciale e la fantascienza.

Il piano geopolitico, secondo diversi studi, è poco percepito dall’opinione pubblica occidentale, perché la narrazione mainstream è basata invece su una “hype” generata dalla meraviglia dei primi prodotti presentati, soprattutto “ChatGPT”, e dalla conseguente corsa alla realizzazione di prodotti e funzioni commerciali ricollegabili all’intelligenza artificiale.

 In questo campo gli investimenti delle aziende stanno “drogando” il settore dell’informazione, che a sua volta ha maggiore interesse a rincorrere le storie più sensazionalistiche per attrarre “click” ed “engagement” da parte del pubblico, soprattutto in una fase di crisi acuta per i media internazionali.

Secondo una ricerca condotta da “Columbia Journalism Review”, infatti, la copertura mediatica della” AI” ha già superato quella della maggior parte delle tecnologie e fenomeni tech presentati negli ultimi anni (realtà virtuale, metaverso, deep fake) raggiungendo sostanzialmente le vette della” copertura mediatica dei Bitcoin” e “della promessa delle criptovalute di cambiare il sistema bancario e commerciale così come lo conosciamo”.

In particolare, scrive il rapporto,

“a soli sei mesi dal lancio, “ChatGPT” sta già ricevendo un’attenzione simile a quella riservata alle “criptovalute nel 2021”, quando i prezzi del Bitcoin raggiunsero il picco, oltre un decennio dopo la sua diffusione al pubblico nel 2009”.

La qualità della copertura mediatica è però fuorviante perché in generale sottolinea gli aspetti più “fantascientifici” (come, tra le tante, l’ultima in ordine di tempo: l’intervista a “Geoffrey Hinton”, pioniere della “AI”, che ha dichiarato che “la AI può sterminare l’umanità e potrebbero essere impossibile fermarla”) e apre al rischio di non informare o sottovalutare l’impatto delle “AI” da un punto di vista etico, del futuro del mondo del lavoro e del rischio militare e geopolitico.

 

L’interesse degli Stati per l’AI.

La principale ragione per la quale l’intelligenza artificiale viene ritenuta uno strumento strategico dai Governi e dai colossi della tecnologia del pianeta è legata sostanzialmente a due ragioni:

da un lato il vantaggio industriale (e la conseguente ricchezza economica) che può generare e dall’altro la possibilità di essere utilizzata per scopi militari o di controllo interno.

L’interesse da parte dei Governi per lo sviluppo e l’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale è legato innanzitutto all’impatto che gli sviluppi futuri delle “AI” possono avere sulla ricchezza delle nazioni, ovvero il grande gioco competitivo su scala globale.

 

Secondo “Idc”, il valore complessivo del mercato delle AI crescerà del 19% all’anno e nei prossimi tre anni arriverà a sfiorare il valore di mille miliardi di dollari.

 Per la società di consulenza “Accenture” la ricchezza verrà generata dall’incremento del 40% della produttività del lavoro fatto usando la “AI”, che a sua volta porterà vantaggi a cascata in tutte le filiere produttive.

La società di servizi professionali e consulenza “PricewaterhouseCoopers” (PwC) in una ricerca ha quantificato questo effetto, sostenendo che la ricchezza generata utilizzando le” AI” supererà i 15mila miliardi di dollari.

Per questo grandi banche americane come “Bank of America” e “Goldman Sachs” ritengono che gli investimenti nel settore cresceranno in maniera rapidissima, superando i quasi 100 miliardi investiti nel 2021 (prima cioè dell’annuncio di ChatGPT), che a loro volta erano già cresciuti di cinque volte rispetto al quinquennio precedente.

Queste valutazioni derivano dal fatto che, a partire dal 2010, con i primi risultati positivi offerti dagli algoritmi di machine learning, le “AI” sono diventate un mercato in costante crescita, che produce valore aggiunto in vari settori:

dalla sanità al settore finanziario e assicurativo alla ricerca biotech.

Quest’ultimo è il comparto economico con il maggior valore aggiunto dell’economia occidentale, assieme al settore delle tecnologie digitali e al settore della produzione, gestione e distribuzione dell’energia.

 Che, non a caso, utilizzano anch’essi da tempo algoritmi di intelligenza artificiale per aumentare la redditività delle loro attività.

 

Uno scontro economico prima di tutto.

Con questa premessa, basandosi cioè sulla ricchezza che viene generata, lo scontro economico tra nazioni per il controllo e la gestione dell’intelligenza artificiale è già spiegabile e, dal loro punto di vista, pienamente giustificato anche da fattori geopolitici.

Sempre secondo “PwC”, ad esempio, la ricchezza generata dalle “AI” verrà distribuita in maniera piuttosto diseguale nel mondo:

 gli Usa e la Cina intercetteranno poco meno di due terzi degli oltre 15mila miliardi di dollari previsti nel 2030, mentre al resto del pianeta arriverà circa un terzo del totale.

 Anche qui, con una ulteriore divisione tra Europa e le altre economie sviluppate da un lato e i Paesi in via di sviluppo dall’altro, ai quali arriveranno sostanzialmente le briciole.

 

Rivalità Usa-Cina.

 

Questo scontro economico è alla base della narrativa che fa riferimento alla “Guerra fredda delle AI” tra Usa e Cina e si inserisce in un più ampio scontro legato all’accesso delle tecnologie digitali da parte della Cina (che, secondo alcuni studi, ha una limitata capacità di ricerca, sviluppo e produzione, anche se sta rapidamente colmando il gap).

 Gli Stati Uniti hanno bloccato l’esportazione di una serie di tecnologie e vietato la collaborazione alle aziende americane o straniere che vogliano portare avanti attività commerciali negli e con gli Stati Uniti nel settore delle tecnologie informatiche e per le telecomunicazioni a partire dall’amministrazione Obama.

Il “ban” alle tecnologie cinesi si è esteso durante l’amministrazione Trump (arrivando a comprendere ad esempio anche “Asml”, azienda olandese principale produttore al mondo di impianti litografici per la produzione dei “negativi” da cui vengono realizzati gli strati di microscopici transistor dei microchip) ed è stato sostanzialmente mantenuto dall’attuale presidente americano Biden.

Giustificato con ragioni di sicurezza nazionale, il divieto di esportazione ha avuto non solo l’obiettivo di bloccare i rischi di spionaggio, presunto o reale, da parte dei fornitori di tecnologia come “Huawei” (legati a Pechino) negli apparati e infrastrutture telematiche occidentali, ma anche di isolare la ricerca e sviluppo di nuove tecnologie da parte delle aziende cinesi.

Questo perché, secondo “Eric Schmidt”, ex numero uno di Google e oggi lobbista e consulente dell’amministrazione americana sui temi di intelligenza artificiale, e “Graham T. Allison”, professore di scienza politica di Harvard, oggi la Cina avrebbe una “capacità delle “AI” superiore a quella degli Usa” in molte aree critiche.

 E gli Usa non sarebbero in grado di “difendersi dalla Cina” sui mercati della tecnologia:

“La maggior parte degli americani – scrivono Schmidt e Allison – ritiene che il vantaggio del proprio Paese nelle tecnologie avanzate sia inattaccabile.

 E molti nella comunità della sicurezza nazionale statunitense insistono sul fatto che la Cina non potrà mai essere più di un “concorrente quasi alla pari” nell’IA.

In realtà, la Cina è già un concorrente alla pari a tutti gli effetti, sia in termini di applicazioni commerciali che di sicurezza nazionale dell’IA.

La Cina non sta solo cercando di padroneggiare l’IA, ma la sta padroneggiando”.

 

Il ruolo di “Eric Schmidt”.

La prima valutazione di Schmidt, che ha presieduto anche la “National Security Commission americana sull’Intelligenza artificiale”, risale al 2019 con un primo rapporto nel quale vengono indicati gli estremi del problema e la necessità di coinvolgere ricercatori universitari e i centri di ricerca aziendali per mappare lo stato dell’arte dello sviluppo dell’AI.

Un settore, nell’economia americana, in cui il peso della componente privata è il triplo per investimenti e numero di addetti rispetto a quello della ricerca universitaria (che venti anni fa invece dominava il settore).

Per questo, la commissione presieduta da Schmidt ha proposto di raddoppiare l’investimento americano nel settore privato entro il 2026, portandolo a 32 miliardi di dollari.

 

Schmidt è una figura chiave di questo particolare snodo:

 ha fatto da consigliere a due presidenti americani (Obama e Biden) oltre ad aver aiutato Hillary Clinton a creare la sua piattaforma politica per la tecnologia. Soprattutto, Schmidt è stato tra i primi sostenitori dell’utilizzo delle “AI” da parte del Governo militare americano per costruire un vantaggio in termini di armamento.

L’ex numero uno di “Sun Microsystems” e di “Google”, infatti, dopo aver lasciato la guida dell’azienda di Mountain View nel 2017 (dove aveva supervisionato i progetti legati all’intelligenza artificiale, alle auto a guida autonoma e ai computer quantistici), era stato invitato dall’allora segretario alla difesa di Barack Obama, “Ashton Carter” a presiedere un’altra commissione: il “Defense Innovation Board”.

A partire da questo momento Schmidt è stato il principale artefice dell’idea di trasferimento tecnologico dalla “Silicon Valley” verso “la Difesa americana”.

 Il manager, che ha recentemente scritto un libro con “Henry Kissinger” e lo scienziato informatico “Daniel Huttenlocher” intitolato “The Age of AI: And Our Human Future”, ritiene che le “AI” non solo cambieranno la nostra relazione con la conoscenza, la forma della società e quella della politica, ma anche le armi e gli eserciti del pianeta.

Nodo Taiwan e microchip

Per sviluppare le AI c’è bisogno di tre cose:

 algoritmi innovativi, una grande massa di dati per addestrare i modelli (punto sul quale la normativa Usa è estremamente permissiva) e una potenza di calcolo enorme per elaborarli.

Quindi: servono chip moderni e potenti, in grande quantità.

Qui si inserisce un rischio di tipo militare e geopolitico, perché il centro di produzione dei microchip nel mondo, attualmente, è a Taiwan.

Schmidt torna molto spesso sul “nodo di Taiwan”, cioè il problema della produzione dei microchip più avanzati.

 

Schmidt ha detto più volte che “la microelettronica è alla base di tutta l’intelligenza artificiale e gli Stati Uniti non producono più i chip più sofisticati del mondo.

Dato che la stragrande maggioranza dei chip all’avanguardia viene prodotta in un unico stabilimento separato da appena 110 miglia d’acqua dal nostro principale concorrente strategico, dobbiamo rivalutare il significato di resilienza e sicurezza della catena di approvvigionamento.”

Il concorrente è, ovviamente, la Cina, mentre lo stabilimento che si trova a sole 110 miglia dal territorio “nemico” è quello di un’azienda chiamata “TSMC”, “Taiwan Semiconductor Manufacturing Company,” che si trova nell’isola che la Repubblica popolare cinese considera una estensione del proprio territorio.

Se, da un lato, gli Usa hanno avviato durante la presidenza Trump una netta strategia di “re-internalizzazione”, per riportare in patria la produzione ad alto valore aggiunto di semiconduttori e altre componenti chiave nella produzione di computer (la stessa TSMC ha avviato la discussa ristrutturazione di un suo impianto per la produzione di microchip in Arizona dal costo di 40 miliardi di dollari), dall’altro la strategia nel settore delle “AI” della Cina e del blocco europeo (e dei pochi altri attori rilevanti al mondo, come Corea del Sud, Giappone, Iran e Vietnam) è più difficile da decodificare.

La Cina per mancanza di informazioni, il resto del mondo per difficoltà a elaborare una strategia coerente che riesca a competere con quella degli Usa.

L’Europa ha più volte tentato, nel corso degli ultimi venti anni, di avviare progetti di ricerca e sviluppo nel settore dell’intelligenza artificiale, ma senza raggiungere i risultati e la scala degli Stati Uniti.

Questo, anche a causa della mancanza di uno dei tre fattori necessari all’addestramento e allo sviluppo di sistemi ad alte prestazioni:

microchip sufficientemente potenti.

I più grandi produttori al mondo sono americani od operano in sinergia con gli americani:

oltre a “Tsmc” e a “Intel”, ha un ruolo chiave la statunitense “Nvidia”, produttrice di schede video che si è trovata in una posizione di naturale vantaggio nello sviluppo sia di processori nel settore della produzione di criptovalute che in quello dell’addestramento di modelli di “AI”.

Tuttavia, i principali produttori di tecnologia legate alle AI negli Usa sfruttano processori creati ad hoc.

 

L’innovazione nella “AI” dalla Silicon Valley all’Europa.

“Google” ha realizzato le “Tensor processing unit” (TPU), dei processori progettati su misura per il suo “cloud” che consentono di ottimizzare l’addestramento delle AI.

La stessa cosa ha fatto Amazon per i suoi “data center di AWS” (il servizio cloud dell’azienda).

 Più di recente anche Facebook, per tenere il passo nella corsa alle AI con Google e Amazon, ha iniziato a progettare dei “chip su misura” (e messo in open source gli algoritmi dei suoi sistemi di intelligenza artificiale).

Dal 2019 Microsoft ha sviluppato internamente il “chip Athena” mentre “OpenAi” si appoggia a processori di altri.

La stessa Apple, che ha un ruolo significativo nella realizzazione di apparecchi smart, ha realizzato dei” SoC” (System on a Chip) su misura, “Apple Silicon”, con una componente specializzata per l’esecuzione degli algoritmi di intelligenza artificiale chiamata “Neural Engine” che copre circa il 50% della superficie del chip stesso.

In Europa la strategia per le “AI” procede invece lungo due direttrici parallele: l’Unione europea ha effettuato una serie di stanziamenti per la ricerca software soprattutto nel settore accademico, da un lato, e sta spingendo sulle normative sia per la raccolta, il trattamento e l’elaborazione delle informazioni personali dall’altro.

Inoltre, la Ue sta avanzando anche una serie di normative miranti a disciplinare direttamente l’operatività del settore delle intelligenze artificiali, che sono legate però alla strategia di sviluppo degli scambi commerciali e al trasferimento tecnologico con gli Usa.

Dal punto di vista della ricerca, come ha spiegato  – durante un incontro a Milano cui abbiamo assistito – il presidente dell’associazione italiana dell’intelligenza artificiale, Gianluigi Greco, in Europa non possiamo competere con la potenza di calcolo degli Usa:

 “Attualmente i migliori sistemi hanno 17mila Gpu [unità di calcolo per accelerare le computazioni grafiche e delle AI, NdR], il più performante ne ha 43mila.

Non abbiamo questa potenza di calcolo o le risorse per costruirla.

 Dobbiamo affrontare i problemi nei settori in cui possiamo fare la differenza, cioè gli algoritmi, e trovare soluzioni più creative e innovative in questo ambito”.

I finanziamenti erogati dall’Europa nel settore sono relativamente consistenti. Come ha spiegato ancora in occasione del già citato evento “Vittorio Calaprice,” analista della rappresentanza italiana per la Commissione europea, gli investimenti vengono erogati tramite differenti piani, da “Horizon Europe”, “Next Generation EU”, fino al “Pnrr”.

 La Ue investe un miliardo all’anno e attrae altri 20 miliardi di euro di investimenti privati.

Gli Usa hanno un investimento di circa 55 miliardi di dollari.

La Cina si stima che investa circa 20 miliardi di dollari.

 In Europa, il Paese che investe di più è il Regno Unito (ma è fuori dalla Ue). Immediatamente dietro ci sono Germania e Francia, che però seguono un approccio integrato con i progetti europei.

L’investimento in Italia si aggira attorno ai 500 milioni.

Per l’Europa, oltre all’aumento della produttività, secondo le politiche dell’Unione europea l’AI dovrebbe essere in sinergia con lo sviluppo sostenibile e contribuire soprattutto alla trasformazione digitale per renderla, nelle parole della Commissione, una “Twin Transition”, una doppia transizione in cui oltre a una dimensione di diritti e regolamentazioni per gli individui ci devono essere anche indirizzi per quanto riguarda la sostenibilità.

 Una AI “non solo antropocentrica ma anche planeto centrica”, nelle parole dei dirigenti della Commissione.

La Commissione europea spinge anche per l’adozione di regolamentazioni specifiche che sono simmetriche alla richiesta di una “moratoria” sulle “AI” proposta dai big del tech negli Usa, che servirebbe però sostanzialmente a congelare lo status quo, cioè il vantaggio della coppia “OpenAI-Microsoft” rispetto a Google, Facebook e Amazon ma soprattutto a scapito della concorrenza delle startup e di altri potenziali “disruptor” del mercato, che ha visto per un decennio investimenti enormi da parte dei big che adesso devono monetizzarli con i primi prodotti e servizi.

Il modello asiatico.

Fuori dall’Europa, i Paesi asiatici investono sistematicamente nelle AI e nello sviluppo delle soluzioni di tipo differente.

 In Corea del Sud il gruppo “Naver”, che gestisce il primo motore di ricerca del Paese con una quota di mercato del 61% rispetto al 29% di Google, si è alleato con “Samsung” (una delle poche aziende al mondo dotate di impianti avanzati per la produzione di microchip) e il “Governo coreano” per la realizzazione di un modello di AI sofisticato (chiamato Hyper Clova AI) e un ecosistema di aziende e startup collegate.

“Naver” sta sviluppando delle AI localizzate per i Paesi del mondo arabo, nonché per i grandi Paesi non anglofoni, come Spagna e Messico, dove i Governi desiderano avere i propri sistemi di AI personalizzati in base ai loro contesti politici e culturali e “al sicuro” anche da possibili interferenze o atti di spionaggio da parte di aziende legate al governo americano.

“Sarà un business enorme, – ha detto al “Financial Times” “Sung Nako”, un dirigente di “Naver” responsabile dello sviluppo dell’AI – poiché la tecnologia AI sovrana sta diventando sempre più importante per la protezione dei dati”.

Un ruolo più defilato ma non meno importante in Asia è quello del Giappone, che nella “AI” vede uno strumento di aumento della redditività del lavoro e della produzione, ma anche un modo per automatizzare il già esteso parco di robot industriali (e in futuro per le cure domestiche).

La prima strategia è basata sul piano “Society 5.0” che mira a portare un impatto positivo delle tecnologie di AI assieme a d altre, nel tessuto sociale del paese.

 

Il convitato di pietra della corsa alle “AI” però è un altro: la Cina.

Il Paese viene percepito come un rischio in occidente soprattutto da quando, nel luglio del 2017, ha annunciato di voler raggiungere la leadership planetaria nel settore delle “AI” entro il 2030.

 La leadership di “Xi Jimping”, che sta perseguendo con determinazione una serie di primati scientifici e tecnologici, tra cui la messa in orbita del primo astronauta “civile” con un vettore cinese o la commercializzazione di un aereo di linea capace di fare la concorrenza nei trasporti a corto e medio raggio a Boeing e Airbus.

La Cina è anche da tempo il primo produttore e acquirente al mondo di auto elettriche e il piano “Made in China 2025” punta alla capacità di spingere ancora di più l’evoluzione industriale del Paese.

Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, il ruolo maggiormente conosciuto è quello del settore privato, guidato da pochi, grandi produttori:

“Tencent”, “Baidu” e il gruppo “Alibaba”.

Ma, come osserva lo “International Institute for Strategic Studies”, “Dopo la Silicon Valley il secondo centro al mondo di intelligenza artificiale è l’Accademia delle scienze cinese”.

Non sono noti gli usi interni sui sistemi d’arma autonomi sviluppati dall’esercito popolare cinese, ma sono più conosciuti quelli nell’ambito del controllo delle popolazioni.

Dai pionieristici sistemi di visione e riconoscimento dei volti per individuare nella folla delle persone di etnia uiguri e poi dissidenti politici e altre persone schedate, ai sistemi automatici di contenimento di milioni di persone durante la pandemia di Covid-19:

nella provincia di Hubei, abitata da 60 milioni di individui (leggermente superiore alla popolazione italiana), la Cina ha mantenuto un enorme cordone sanitario completamente impermeabile al passaggio delle persone grazie a una serie di algoritmi di intelligenza artificiale “per tracciare gli spostamenti dei residenti e aumentare le capacità di analisi mentre venivano costruite nuove strutture sanitarie”.

 

Chi sono i Paesi cyber-maturi.

Al di là della propaganda di Pechino e della narrativa della “Guerra fredda della AI” occidentale, non ci sono informazioni indipendenti e autonome che indichino quali sono i risultati raggiunti dalla ricerca militare e governativa cinese e quali sono le applicazioni concrete.

Esistono poche ricerche che forniscano un quadro completo sui sistemi d’arma descritti o pubblicizzati come “autonomi” o “intelligentizzati” che si basano sulla ricerca scientifica e militare e nello sviluppo di sistemi senza pilota e di tipo missilistico, ma anche di superficie (come i cani-robot autonomi da combattimento, ad esempio).

La guerra in Ucraina e la corsa agli armamenti “AI”.

Anche indirettamente, sia per quanto riguarda la capacità innovativa in questo settore della Cina o del’Iran e della Corea del Nord, oltre che della Russia stessa, non ci sono indicazioni concrete.

Il conflitto militare in corso tra Ucraina e Russia è stato sino a questo momento uno scontro a bassa intensità per quanto riguarda l’uso delle “AI”.

Al di là dell’utilizzo dei droni e di pochi sistemi simili, non sono state impiegate armi avanzate di tipo autonomo sia in volo che soprattutto sul terreno, come robot da attacco e altri sistemi d’arma autonoma che permetterebbero a ciascuna delle parti di ridurre le perdite e contrastare più efficacemente le forze avversarie.

Tuttavia, la narrativa sulla “Cortina di ferro” e il costante pericolo di un utilizzo militare dell’intelligenza artificiale da parte dei “paesi nemici”, cioè Russia e in generale Cina, è costantemente presente nel discorso pubblico.

In generale, negli ambienti conservatori americani si parla da tempo di “corsa agli armamenti delle AI” e il tema viene visto quantomeno come la chiave di volta per le future relazioni diplomatiche degli Usa con la Cina.

Anche nel conflitto militare in corso tra Ucraina e Russia sarebbe sempre possibile una escalation delle AI.

 Un timore che viene alimentato da varie testate internazionali, anche sulla base del fatto che già in passato le AI sarebbero state utilizzate durante dei conflitti, come segnalato da un rapporto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu riguardo alla seconda guerra civile in Libia.

 Si trattava, in quel caso, di sistemi d’arma letali e completamente autonomi del tipo” STM Kargu-2”, capaci di individuare e attaccare sino a distruggere bersagli di natura non predefinita, operando senza alcun tipo di connessione con gli operatori remoti.

Ancora lontani dall’utilizzo di robot con licenza di uccidere (o interi sciami di robot autonomi d’assalto dotati di forza letale sia via terra che in volo), il cui effetto sorpresa sarebbe riservato probabilmente a conflitti più vicini al cuore degli interessi geopolitici americani ed europei.

In conclusione, l’intelligenza artificiale come fattore di potenza militare oltre che come fattore di ricchezza economica è al centro degli obiettivi delle principali potenze planetarie.

I tentativi di comprensione e regolamentazione del fenomeno sono però ancora frammentati e divisi in ambiti diversi:

da quello militare a quello economico oppure alle regolamentazioni commerciali e per la privacy.

(ANTONIO DINI)

 

 

 

 

Israele distrugge Gaza per controllare

la rotta marittima più importante del mondo?

Il Canale del Ben Gurion che collega

il Mediterraneo orientale al Golfo di Aqaba

Globalresearch.ca – (02 dicembre 2023) - Richard Medhurst e Prof. Michel Chossudovsky – ci dicono:

                                                                             

Introduzione alla ricerca globale.

Incisiva e accuratamente documentata l'analisi geopolitica di “Richard Medhurst” relativa alla costruzione del “Canale Ben Gurion” che collega il Mediterraneo orientale al Golfo di Aqaba.

Il “Ben Gurion Canal Project” era inizialmente un progetto "segreto" (classificato) degli Stati Uniti formulato nel 1963 dal “Lawrence Livermore National Laboratory “LLNG”, un think tank strategico (focalizzato sulle radiazioni nucleari) sotto contratto con il “Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti”.

Il progetto” LLNG” è stato formulato in risposta alla nazionalizzazione del Canale di Suez nel luglio 1956 da parte del presidente “Gamal Abdel Nasser” (1956-1970). Il suo intento era quello di aggirare il Canale di Suez.

Secondo il documento "classificato" redatto dal LLNG (1963) citato da “Business Insider “, luglio 2023, era previsto un piano strategico:

"far esplodere un Canale di Suez alternativo attraverso Israele usando 520 bombe nucleari".

Il piano consisteva nell'utilizzare 520 esplosioni nucleari sepolte "per aiutare nel processo di scavo attraverso le colline nel deserto del Negev. Il documento è stato declassificato nel 1993". Non ho potuto consultare il documento "declassificato" sul GNL.

Il documento declassificato è citato da Richard Medhurst.

Questo piano degli Stati Uniti, negoziato per la prima volta con Israele negli anni '1960, è della massima rilevanza per lo svolgersi degli eventi in Palestina.

Il suo obiettivo è quello di ottenere il dominio marittimo USA-Israele contro i popoli del Medio Oriente.

 Nel contesto di una più ampia guerra in Medio Oriente guidata dagli Stati Uniti, il progetto del Canale Ben Gurion fa parte dell'agenda militare egemonica degli Stati Uniti.

 È coerente con il "Piano per cancellare la Palestina dalla carta geografica" di Netanyahu:

 

Il Canale Ben Gurion darà a Israele in particolare e ad altre nazioni amiche la libertà dal ricatto derivante dall'accesso al Canale di Suez.

Gli stati arabi sfruttano il Mar Rosso per fare pressione su Israele e, in risposta, Israele ha deciso di ottenere un maggiore controllo del Mar Rosso.

 Questi paesi africani hanno affinità culturali ed economiche con gli stati arabi. Uno dei principali vantaggi militari per Israele è che offre a Israele le opzioni strategiche, in quanto il “Canale Ben Gurion” toglierà totalmente l'importanza di Suez per l'esercito americano, se necessario negli aiuti a Israele.

Israele mira a spingere ulteriormente l'Egitto in un angolo eliminando Suez nel corridoio commerciale ed energetico globale e diventando un centro logistico globale per il commercio e l'energia.

Gli esperti ritengono che questa situazione scuoterà l'equilibrio strategico-energetico dell'iniziativa cinese “Belt and Road Project nel Mediterraneo”, insieme allo “Stretto di Hormuz”, che è il punto di trasferimento del 30% dell'energia mondiale.

Il Canale Ben Gurion avrebbe il solido sostegno dell'Occidente. (Eurasia Review, 7 novembre 2023)

Il presidente Biden sostiene ampiamente il genocidio guidato da Israele.

 Evidentemente ciò che è in gioco è un progetto egemonico degli Stati Uniti che mira all'espulsione dei palestinesi dalla loro patria e all'appropriazione di tutte le terre palestinesi.

Secondo “Yvonne Ridley”:

"L'unica cosa che impedisce al progetto recentemente rivisto [del Canale Ben Gurion] di essere ripreso e approvato è la presenza dei palestinesi a Gaza.

Per quanto riguarda Netanyahu, stanno ostacolando il progetto " ( Yvonne Ridley, 10 novembre 2023).

Mentre il progetto è contemplato da Stati Uniti e Israele, come delineato da Richard Medhurst, la validità del piano” LLNG” del 1963 è a dir poco dubbia.

Ciò che viene rivelato da Medhurst è la strategia dell'intelligence militare degli Stati Uniti di utilizzare Israele come "hub" in Medio Oriente al fine di assicurarsi il controllo egemonico sulle vie d'acqua internazionali strategiche.

In solidarietà con il popolo palestinese.

(Michel Chossudovsky, Richard Medhurst).

 

 

 

È contemplato un attacco pianificato

da Stati Uniti e Israele contro l'Iran.

Globalresearch.ca – Prof. Michel Chossudovsky – (2 -12-2023) – ci dice:

 

La guerra condotta dagli Stati Uniti contro il popolo della Palestina e del Medio Oriente è un'impresa criminale (Del Prezzo)

Introduzione.

Siamo solidali con la Palestina. Ma dobbiamo riconoscere che l'apparato militare e di intelligence degli Stati Uniti è fermamente dietro il genocidio di Israele diretto contro il popolo palestinese.

 

E questo deve far parte della campagna di solidarietà, vale a dire rivelare la verità sul ruolo insidioso di Washington, che fa parte di un'agenda militare attentamente pianificata diretta contro, vale a dire verso il Medio Oriente allargato.

Netanyahu è un procuratore, con precedenti penali.

Ha l'inflessibile sostegno della "Classe politica" dell'Europa occidentale.

Tutt'altro.  Prende di mira coloro che si oppongono alla guerra, che chiedono un cessate il fuoco.

Esercita un'influenza a favore della condotta dell'agenda militare degli Stati Uniti a sostegno di Israele.

 L'establishment dell'intelligence militare degli Stati Uniti, in coordinamento con potenti interessi finanziari, sta dettando legge per quanto riguarda l'intento genocida di Israele di "cancellare la Palestina dalla carta geografica".

La dottrina militare americana: prendere di mira e uccidere i civili.

L'attacco ai civili e l'uccisione di bambini a Gaza su l'attacco ai civili e l'uccisione di bambini a Gaza è modellato su (1945-2023), tra cui (Più di 30 milioni di morti, principalmente civili, nelle guerre guidate dagli Stati Uniti in quello che è (1945-2023) inclusa eufemisticamente chiamata "era del dopoguerra").

" Gli americani hanno invaso, agghiacciante: "casa per casa, stanza per stanza", facendo piovere morte e distruzione sull'orgogliosa e antica "Città delle Moschee".

I marines uccisero così tanti civili che lo stadio di calcio municipale dovette essere trasformato in un cimitero...

 

Un corrispondente ha scritto: "Non c'è stato nulla di simile all'attacco a Falluja dopo l'invasione e l'occupazione nazista di gran parte del continente europeo: il bombardamento e il bombardamento di Varsavia nel settembre 1939, l'attentato terroristico" di Rotterdam nel maggio 1940".

Falluja, 2004.

 

Gli Stati Uniti sostengono il genocidio israeliano diretto contro il popolo palestinese. Il primo ministro Netanyahu è un criminale. È il procuratore di Washington, approvato e sostenuto senza riserve dall'amministrazione Biden e dal Congresso degli Stati Uniti.

Il sionismo costituisce il fondamento ideologico dell'imperialismo statunitense contemporaneo e della sua guerra senza fine contro i popoli del Medio Oriente.

Il dogma sionista del "Grande Israele" – come in tutte le guerre di religione fin dagli albori dell'umanità – è lì per fuorviare le persone di tutto il mondo.

Il sionismo è diventato uno strumento utile che è incorporato nella dottrina militare degli Stati Uniti.

 La "Terra Promessa" coincide ampiamente con l'agenda egemonica dell'America in Medio Oriente, vale a dire ciò che l'esercito americano ha designato come il "Nuovo Medio Oriente".

Cui Bono: "A chi giova"

Ci sono obiettivi strategici, geopolitici ed economici dietro il genocidio di Israele diretto contro il popolo palestinese. "

I crimini sono spesso commessi a vantaggio dei loro autori":

Chi sono i colpevoli?

La guerra di Israele contro il popolo palestinese serve gli interessi del grande capitale, del complesso militare industriale, dei politici corrotti... Il genocidio è attuato da Netanyahu per conto degli Stati Uniti.

L'apparato militare e di intelligence degli Stati Uniti sono dietro i bombardamenti criminali e l'invasione di Gaza da parte di Israele.

 La guerra in corso in Medio Oriente è in gran parte diretta contro l'Iran.

 

Michel Chossudovsky e Caroline Mailloux.

MICHEL CHOSSUDOVSKY - GUERRA IN MEDIO ORIENTE IN ESPANSIONE: CHI C'È DIETRO NETANYAHU?

 

Antecedenti storici. Usare Israele come mezzo per attaccare l'Iran.

Nel 2003, il progetto di guerra contro l'Iran (Operazione Theatre Iran Near Term, TIRANNT)) era già Déjà Vu.

Era stato sul tavolo da disegno del Pentagono per più di 15 anni.

"Faranno i bombardamenti per noi" [parafrasando], senza il coinvolgimento militare degli Stati Uniti e senza che noi facciamo pressione su di loro "per farlo". Per ulteriori dettagli vedere il mio articolo qui sotto pubblicato per la prima volta da Global Research nel maggio 2005, così come l'intervista della PBS a Z. Brzezinski.

 

Questa opzione in stile “Dick Cheney” è attualmente (novembre 2023) ancora una volta sul tavolo di progettazione del Pentagono, vale a dire la possibilità che Israele, che sta già bombardando Libano e Siria, venga incitato a sferrare un attacco contro l'Iran (agendo per conto di gli Stati Uniti).

Risoluzione del Congresso degli Stati Uniti (H. RES. 559) Accusa l'Iran di possedere armi nucleari.

Tempistica Attenta: nel giugno 2023, la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha adottato   la risoluzione (H. RES. 559) che fornisce un "via libera" per dichiarare guerra all'Iran.

Risolto, che la Camera dei Rappresentanti dichiara che questa è la politica degli Stati Uniti...

(1) - che una Repubblica islamica dell'Iran dotata di armi nucleari non è accettabile;

(2) - che l'Iran non deve essere in grado di ottenere un'arma nucleare in nessuna circostanza o condizione;

(3) - utilizzare tutti i mezzi necessari per impedire all'Iran di ottenere un'arma nucleare;

(4) - riconoscere e sostenere la libertà d'azione dei partner e degli alleati, compreso Israele, per impedire all'Iran di ottenere un'arma nucleare.

 

L'arsenale di armi nucleari non dichiarate di Israele.

Mentre l'Iran è etichettato (senza prove) come potenza nucleare dalla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Washington non riesce a riconoscere che Israele è una potenza nucleare non dichiarata.

In recenti sviluppi, il Ministro israeliano per il Patrimonio Culturale Amichai Eliyahu,ha ammesso al mondo che Israele ha armi nucleari pronte per essere usate contro i palestinesi".

Il “Times of Israel” ha riferito che:

 "Amichai Eliyahu” ha detto domenica [5 novembre 2023] che una delle opzioni di Israele nella guerra contro “Hamas era quella di sganciare una bomba nucleare sulla Striscia di Gaza""

 

La guerra all'energia.

 Obiettivo non dichiarato di una guerra USA-NATO-Israele contro l'Iran: il gas naturale.

Riserve di gas naturale: l'Iran è al secondo posto dopo la Russia.

Russia, Iran e Qatar possiedono il 54,1% delle riserve mondiali di gas naturale.

-Russia 24,3%,

-Iran 17,3%,

-Qatar, 12,5 % (in partenariato con l'Iran)

contro

-5,3% per gli Stati Uniti.

Il presidente Joe Biden ha ordinato di "far saltare in aria" (settembre 2022) l'oleodotto Nord stream , il che costituisce un atto di guerra degli Stati Uniti contro l'Unione Europea.

Nelle parole di Joe Biden:

"Non ci sarà più un Nord Stream 2". Dichiarazione alla conferenza stampa della Casa Bianca (7 febbraio 2022)

L'obiettivo strategico dell'America è, nonostante le sue scarse riserve di gas naturale:

Obbligare l'Unione Europea ad acquistare GNL "Made in America".

Ciò implica che l'agenda militare americana contro Russia e Iran costituisce un mezzo per aumentare i prezzi dell'energia nell'UE, che è un atto di guerra economica contro i popoli europei.

 

 Il partenariato Iran-Qatar per il gas naturale.

Le riserve marittime di gas del Golfo Persico sono sotto una partnership (di proprietà congiunta) tra il Qatar e l'Iran .

 

L'amministrazione Biden è intenzionata a destabilizzare la partnership Iran-Qatar

Questa partnership è di sostegno al popolo palestinese.

Nel marzo 2022, "il presidente Joe Biden, in seguito a un incontro con l'emiro del “QatarSheik Tamim”,ha designato il Qatar come uno dei principali alleati non NATO degli Stati Uniti , mantenendo la promessa che aveva fatto al Qatar all'inizio di questo anno [2022], ha dichiarato la Casa Bianca" ( Reuters, 10 marzo 2022 )

"La designazione è concessa dagli Stati Uniti agli alleati stretti e non NATO che hanno relazioni di lavoro strategiche con le forze armate statunitensi”.

Biden ha promesso all'emiro del Qatar “Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani”, nel gennaio [2022] durante un incontro alla Casa Bianca che avrebbe concesso al Qatar lo status speciale".

Ciò che è in gioco sono coalizioni trasversali.

 Il Qatar è un "partner" dell'Iran in relazione alle riserve strategiche di gas marittimo nel Golfo Persico. Non esiste alcuna cooperazione militare formale tra i due paesi.

L'agenda inespressa di Washington è quella di rompere e/o destabilizzare la partnership del Qatar con l'Iran, integrando il Qatar nell'orbita militare USA-NATO.

"L'emiro del Qatar ha dichiarato oggi che è stata posata la prima pietra per il progetto di espansione del “Northern Dome”, in linea con la strategia del Qatar per rafforzare la sua posizione di produttore globale di GNL.”

Al momento in cui scriviamo, le implicazioni del progetto di espansione dello sceicco “Tamin” dell'ottobre 2023 al momento in cui scriviamo, le implicazioni del progetto di espansione dell'ottobre 2023 di “Sheik Tamin in” (che si trova nelle acque territoriali iraniane) e dell'alleanza militare "a status speciale" del Qatar con gli Stati Uniti rimangono poco chiare.

La base militare americana di “Al-Udeid”.

Lo status e le funzioni di “Al Udeid” sono cambiati dalla firma dell'accordo del marzo 2022 che designa il Qatar come "Principale alleato non NATO degli Stati Uniti"?

Il Qatar è una "polveriera"?

L'obiettivo della politica estera degli Stati Uniti è quello di distruggere e minare in definitiva quella "amicizia" con l'Iran che è molto apprezzata e sostenuta dai cittadini del Qatar.

L'esportazione del gas da “South Pars North Dome “transita attraverso Iran, Turchia e Russia.

Qatar, Russia e Iran (i 3 maggiori detentori mondiali di riserve di gas naturale) hanno raggiunto un accordo nel 2009 per creare una 'Gas Troika', un'entità di cooperazione trilaterale sul gas che prevede lo sviluppo di progetti comuni.

Un gran numero di paesi tra cui Corea del Sud, India, Giappone, Cina stanno importando GNL dal Qatar.

L'anno scorso (novembre 2022), "Qatar Energy” ha firmato un accordo di 27 anni per fornire gas naturale liquefatto alla cinese “Sinopec".

Il Qatar ha anche un'alleanza strategica con la Cina.

L'obiettivo di Washington, sotto le mentite spoglie della "Grande Alleanza Non-NATO" dell'America con il Qatar, è quello di:

Rompere la partnership Qatar-Iran.

Escludere l'Iran dal giacimento congiunto di gas marittimo.

Esercitare il controllo degli Stati Uniti sul giacimento di gas marittimo nel Golfo Persico.

Indebolire e disabilitare la "troika del gas" (Russia, Iran, Qatar)

creare il caos nel mercato globale dell'energia,

minare il commercio di gas naturale liquefatto (GNL) verso numerosi paesi.


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