Chi ha ragione e chi ha torto nel condurre l’umanità verso l‘Apocalisse.
Chi ha
ragione e chi ha torto nel condurre l’umanità verso l‘Apocalisse.
Lo
Zimbabwe Emette una
Nuova
Moneta Coperta da Oro.
Conoscenzealconfine.it
– (13 Maggio 2024) - Cosimo Massaro – ci dice:
Il
processo di de dollarizzazione avanza ulteriormente!
Ed
ecco che un altro Paese, in questo caso africano, lo Zimbabwe, si inserisce nel
processo di de dollarizzazione del pianeta.
Il
Paese sud-africano nell’ulteriore tentativo di mettere fine all’iperinflazione
di oltre il 50% che ha distrutto il dollaro locale, ha pensato di sostituirlo
con una nuova moneta denominata “Zig”, sostenuta da un paniere di valute estere
e da una riserva aurea.
“John
Mushayavanhu”, Governatore della “Reserve Bank “dello Zimbabwe in una sua
dichiarazione pubblica, ha affermato quanto segue:
“Stiamo
facendo quello che riteniamo utile per evitare che la nostra valuta locale non
muoia.
Come
ho detto, eravamo già in una situazione in cui quasi l’85% delle transazioni
venivano effettuate in dollari USA, poiché la nostra valuta locale non si stava
utilizzando per gli scambi commerciali.
Con
una valuta stabile non vedremo massicce oscillazioni dei prezzi giorno per
giorno.
Una
volta stabilizzata la nostra valuta, questa sarà maggiormente accettata
nell’economia e vedremo sempre più persone utilizzarla per effettuare
transazioni commerciali “.
Il
dollaro dello Zimbabwe ha rappresentato la peggior moneta a livello mondiale,
con una perdita di valore oltre il 70% in brevissimo tempo che ha spinto tutti
ad utilizzare quasi esclusivamente il dollaro statunitense.
L’attuale
contesto geopolitico, in questo momento storico però, non aiuta certamente lo
Zimbabwe ad uscire facilmente da questa crisi economico-monetaria, perché finché rimarrà sotto la”
colonizzazione della moneta fiat emessa a debito dall’usurocrazia globalista”,
le cose non saranno facili.
La
nuova moneta con copertura aurea sarà sicuramente fortemente osteggiata dai
globalisti perché, come al solito, chiunque metta in discussione il monopolio
monetario rappresentato dal dollaro USA non fa mai una buona fine.
Un
esempio per tutti è quello del presidente libico “Gheddafi” che nel momento in
cui decise di far utilizzare il “Dinaro d’oro” invece del dollaro statunitense
per l’acquisto del petrolio, sappiamo tutti la fine che gli hanno fatto fare.
In
pratica, lo Zimbabwe, per riuscire a portare avanti il suo piano di
decolonizzazione da parte del mondo globalista, deve necessariamente mettersi sotto
l’ala protettrice della Russia oppure della Cina, aderendo a quel mondo
multipolare che si sta contrapponendo al mondo unipolare che non ha nessun
rispetto di tutti gli altri popoli.
Sicuramente
esso dovrebbe conquistare una vera sovranità monetaria attraverso una propria valuta non emessa a
debito e
che rappresenti realmente la propria ricchezza nella sua complessità.
Così
come hanno già fatto ulteriori Paesi africani come il “Gabon” oppure il “Niger”
che, dopo il golpe avvenuto nell’estate scorsa, ad oggi ha tutto il sostegno
della Russia tanto che, notizia di questi giorni, delle truppe russe sono entrate in
una base aerea Usa dando praticamente lo sfratto ai Marines americani.
Infatti
nella” Airbase
101 di Niamey”
, il
Pentagono, ha dovuto procedere al ritiro delle sue truppe per metterle in
sicurezza.
La
base aerea statunitense era stata costruita in Niger nel 2021 per ospitare un
contingente americano, solo che dopo suddetto golpe tutto è cambiato e il nuovo
presidente, il generale “Abdourahamane Tchiani”, insieme alla sua giunta, ha preferito aprire una
collaborazione con la Russia e con la Cina estromettendo di fatto l’Occidente
tanto che, la scorsa settimana, il Paese africano ribellatosi ai globalisti ha
anche chiesto ufficialmente a Washington di ritirare tutti i soldati statunitensi dal proprio Paese.
(Cosimo
Massaro)
(cosimomassaro.com/2024/05/lo-zimbabwe-emette-una-nuova-moneta.html).
Quando
l’America divenne
la
nuova “Germania nazista” e
introdusse
la sua tirannia e l’ideologia fascista,
i
crimini di guerra e la sperimentazione umana:
i veri
“nazisti” divennero lo “Stato profondo”
degli
Stati Uniti.
Allnewspipeline.com-
(11-5-2024) – Stefan Stanford – ci
dice:
E ora ci portano in una corsa verso la terza
guerra mondiale e l'annientamento nucleare.
Mentre
molti americani forse non ricordano l'"Operazione Paperclip",
avvenuta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, precisamente tra il 1945 e
il 1959, quando più di 1.600 scienziati, ingegneri e tecnici nazisti tedeschi
furono deportati dall'ex Germania nazista negli Stati Uniti per Occupazione nel
governo degli Stati Uniti, molti dei quali sono ex membri e leader del partito
nazista, dobbiamo dare uno sguardo indietro a quel programma top secret di
intelligence degli Stati Uniti, soprattutto alla luce di ciò che sta accadendo
ora nel "mondo della guerra" di oggi.
Infatti
l'America corre verso la Terza Guerra Mondiale e l'annientamento nucleare, come
sentiamo nel primo video in fondo a questa storia con “Steve Quayle” sul
“Rapporto Hagmann” .
Con
questo sforzo intrapreso da quello che oggi è il nostro “Stato profondo” nel
1945, dopo che “gli Alleati” avanzarono in Germania e scoprirono una ricchezza
di talento scientifico e ricerca avanzata che avevano contribuito ai progressi
tecnologici della Germania in tempo di guerra, l’operazione top-secret portata
avanti da la “Joint Intelligence Objectives Agency” (JIOA), utilizzando agenti
speciali del “”Corpo di controspionaggio dell'esercito americano” (CIC), portò negli Stati Uniti gli scienziati coinvolti
nel programma missilistico nazista, nell'aviazione e nella guerra chimica e biologica e
li trasformò in cittadini statunitensi.
Portando
in America un totale di oltre 6.000 persone, comprese le loro famiglie, molte
delle quali con forti legami con il partito nazista, per la loro
"competenza", oltre a raccogliere oltre 10 miliardi di dollari in
brevetti e processi industriali , questo programma top-secret portò a
innumerevoli contributi ai progressi scientifici americani, ma fu estremamente
controverso a causa delle affiliazioni naziste di molte reclute e delle
implicazioni etiche dell'assimilazione di individui associati a crimini di
guerra nella società americana .
Con l'"Operazione Paperclip" eseguita anche in modo che
questa "competenza" nella guerra non cadesse nelle mani dell'Unione
Sovietica o di altre nazioni, sostenendo allora che l' "obiettivo"
era quello di "sostenere la giustizia e i diritti umani", tenete
presente che a questi "criminali di guerra" ed "esperti in
guerra biologica e chimica" fu data quasi subito una casa qui in America
per continuare a svolgere il loro lavoro e i loro esperimenti in segreto,
lavorando invece che per il partito nazista, il "profondo" americano
stato", e compiendo chissà esattamente quali tipi di "nuove
atrocità" con lo "stato profondo americano" che ora fornisce
loro una copertura.
E con
quegli scienziati nazisti tedeschi che hanno effettuato tutti i tipi di
"sperimentazione umana" su esseri umani reali nei campi di
concentramento prima che la” CIA” e la” NASA” li accogliessero felicemente e
dessero loro una nuova casa in America, compresi esperimenti di "controllo
mentale" che hanno continuato a svolgere qui negli Stati Uniti per la “CIA”
nell'ambito del” Progetto MKUltra “, conoscere la storia dell' “Operazione
Paperclip” rende sicuramente un po' più facile capire cosa sta succedendo in
America nel 2024 una volta che si conosce quella storia.
E
rende anche un po' più facile capire cosa sta succedendo ora in America e
Ucraina quando si capisce che i nazisti in realtà non hanno PERSO la Seconda
Guerra Mondiale, si sono semplicemente trasferiti in America, portando con sé
tutto il loro bagaglio compresi i loro crimini di guerra impuniti e
sperimentazione umana.
Chissà
perché, all'improvviso, l'America è diventata un vero e proprio governo di
fascisti antiumani?
Come
riporta “RT” in questa nuova storia a cui “Steve Quayle” aveva collegato
venerdì sul suo sito web, la Russia ora sta letteralmente combattendo la
“reincarnazione” del “fascismo”, con l’America e l’Occidente che alimentano e
sostengono letteralmente i nazisti moderni sostenendo l’Ucraina.
Da quella storia di “RT”.
L'operazione
militare della Russia in Ucraina è un passo avanti verso la sconfitta del
fascismo e del nazismo una volta per tutte, ha affermato l'ex presidente e capo
del Consiglio di sicurezza russo” Dmitry Medvedev”.
In un
articolo in occasione del 79° anniversario della vittoria sulla Germania
nazista, scrisse che il fascismo era stato ufficialmente sconfitto nella
seconda guerra mondiale, ma l’Occidente ha permesso ai suoi discendenti
ideologici di continuare a seminare caos sostenendo il regime di Kiev.
"Per
molti anni, anche la manifestazione dei simboli nazisti, per non parlare di
altri simboli e idee dell'hitlerismo, è stata legalmente vietata nella maggior
parte dei paesi del mondo", ha detto.
Ora,
tuttavia, ha affermato che la Russia è stata “costretta a combattere la
reincarnazione del fascismo, la sua progenie zombie, che incarna il disgustoso
e cinico pronipote dell’hitlerismo – il regime nazista di Kiev”.
Gli
Stati Uniti, l’UE e altri stati occidentali si sono fermamente schierati con
Kiev nel conflitto con la Russia.
I sostenitori dell’Ucraina hanno speso miliardi nello
sforzo bellico e le hanno fornito munizioni e armi, imponendo sanzioni
economiche senza precedenti a Mosca.
E
anche se NON siamo assolutamente sostenitori della Russia e del loro marchio di
tirannia sul loro popolo, non possiamo nemmeno sostenere ciò in cui i
globalisti e i veri nazisti hanno trasformato l’America da quando si sono uniti
segretamente alla CIA e ad altri Stati Uniti.
Tutto
tramite le "agenzie di intelligence
" nel secondo dopoguerra grazie all'" Operazione Paperclip" e
chissà di quanti altri programmi top secret di cui forse non abbiamo ancora
sentito parlare.
Poiché
l'"Operazione Paperclip" è la prova assoluta di cui abbiamo bisogno
che i veri nazisti e i loro crimini di guerra furono accolti in America e non
qualche "folle teoria della cospirazione", quell'operazione di
intelligence top-secret aiuta anche a spiegare come il governo degli Stati
Uniti sia passato da un un'agenzia di cui avremmo dovuto "aver potuto
fidarci" in una vera e propria agenzia di terroristi che ha intrapreso una
vera guerra contro il popolo americano.
E
mentre nel 2024 è certamente difficile credere a ciò che leggiamo sull’NPR “ora
svegliato” , solo pochi anni fa potevamo credere a gran parte di ciò che
riportavano.
Ad esempio, diamo un'occhiata a ciò che hanno riferito
nel settembre del 2019 in questa storia intitolata "La ricerca segreta della CIA
per il controllo mentale: tortura, LSD e un 'avvelenatore in capo'" per vedere un po' di cosa si tratta
dell'"Operazione Paperclip",e dove ci ha portato .
Durante
il primo periodo della Guerra Fredda, la CIA si convinse che i comunisti
avevano scoperto un farmaco o una tecnica che avrebbe permesso loro di
controllare le menti umane.
In
risposta, la “CIA” iniziò il proprio programma segreto, chiamato “MK-ULTRA”,
per cercare un farmaco per il controllo mentale che potesse essere utilizzato
come arma contro i nemici.
MK-ULTRA,
che operò dagli anni '50 fino all'inizio degli anni '60, fu creato e gestito da
un chimico di nome “Sidney Gottlieb”.
Il giornalista “Stephen Kinzer”, che ha
trascorso diversi anni indagando sul programma, definisce l'operazione "la ricerca più prolungata nella
storia di tecniche di controllo mentale".
Alcuni
degli esperimenti di “Gottlieb” sono stati finanziati segretamente da
università e centri di ricerca, dice “Kinzer”, mentre altri sono stati condotti
nelle carceri americane e in centri di detenzione in Giappone, Germania e
Filippine.
Secondo
la ricerca di Kinzer, molti dei suoi soggetti inconsapevoli hanno subito
torture psicologiche che andavano dall'”elettroshock” ad alte dosi di” LSD” .
"
Gottlieb” voleva creare un modo per prendere il controllo delle menti delle
persone e si rese conto che si trattava di un processo in due parti",
afferma “Kinzer”.
"
In primo luogo, dovevi spazzare via la mente esistente.
In
secondo luogo, dovevi trovare un modo per inserire una nuova mente in quel
vuoto risultante.
Non
siamo andati molto lontano con il numero due, ma ha lavorato molto sul numero
uno."
“Kinzer”
osserva che la natura top secret del lavoro di “Gottlieb” rende impossibile
misurare il costo umano dei suoi esperimenti.
"Non
sappiamo quante persone siano morte, ma un certo numero lo ha fatto e molte
vite sono state distrutte in modo permanente", afferma.
E
mentre quella storia concludeva che "alla fine, era impossibile
controllare le menti delle persone", hanno concluso la loro storia in
quel modo in modo da non dare TROPPI informazioni al popolo americano su ciò
che sta realmente accadendo intorno a noi, giusto?
Ora ?
Il
fatto che abbiano ammesso apertamente di aver finito per uccidere gli americani
attraverso questa vera e propria “sperimentazione umana” ci dice molto di
quello che dobbiamo sapere.
E
possiamo essere certi che c'è molto di più, nascosto dietro le quinte, che non
scopriremo mai.
L'identità
culturale dell'Europa:
ecco
ciò per cui combattiamo.
Politico.eu – (14 MAGGIO 2024) - JAN JAMBON – ci dice:
(Jan Jambon è il ministro-presidente
del governo delle Fiandre e ministro fiammingo degli affari esteri e della
cultura.)
Negli
ultimi tre decenni ci siamo concessi il lusso di non doverci chiedere cosa
rappresentiamo.
Ma quei tempi sono passati.
Deve
esserci qualcosa di più, qualcosa che ci unisca tutti, per quanto diversi siano
i popoli del continente.
E
sappiamo tutti che esiste.
Una
delle tante storie apocrife su” Winston Churchill” ebbe luogo subito dopo
essere diventato primo ministro della Gran Bretagna, mentre la” Blitzkrieg
infuriava” ancora in Francia e l'esito della guerra per le forze alleate
sembrava, nella migliore delle ipotesi, incerto.
Isolato
nella sua convinzione che la Gran Bretagna avrebbe respinto i nazisti e alla
fine avrebbe prevalso, Churchill presiedette una riunione di gabinetto
indisciplinata, durante la quale gli fu consigliato di trasferire i beni
britannici in luoghi più sicuri nel vasto impero:
i
ministeri in Australia, il monarca e la sua famiglia in Canada, il tesoro dei
Caraibi…
Churchill
rifiutò tutto, con calma ma decisione.
Fino a
quando, cioè, qualcuno suggerì di evacuare almeno i musei e trasportare le
preziose opere d'arte in Canada.
Ha battuto il pugno sul tavolo: "Allora
per cosa combatteremo?" chiese.
La
scrittrice italo-olandese “Ilja Leonard Pfeiffer” ha ricordato questa storia
durante la conferenza su “Cultura, patrimonio e identità in Europa”, che ho organizzato ad aprile in
qualità di “presidente del Consiglio Cultura dell’UE”.
E per
quanto storicamente dubbia possa essere la storia, il fatto che la raccontiamo
ancora e ancora per convincerci del valore e del valore della cultura, parla da
sé.
Alla
fine, quando sono state avanzate tutte le argomentazioni economiche,
tecnocratiche e politiche a favore della costruzione europea, ci chiediamo:
quando
arriverà il momento critico, è per questo che combatteremo?
La
risposta è probabilmente no.
Anche
il defunto “Jacques Delors”, ex presidente della Commissione europea e grande
sostenitore dell'integrazione europea, ha osservato che non ci si innamora
del mercato interno, del simbolo dell'euro o di qualsiasi altro atto
legislativo.
Deve
esserci qualcosa di più, qualcosa che ci unisca tutti, per quanto diversi siano
i popoli del continente.
E
sappiamo tutti che esiste.
In
quanto struttura economica e politica, l’UE è costruita su basi piuttosto
tecnocratiche.
E
sebbene estremamente efficaci nella loro attuazione, le politiche dell’UE non
sembrano mai suscitare molto entusiasmo da parte dei milioni di beneficiari.
Al contrario, il blocco può sperare
nell’apatia popolare nella migliore delle ipotesi, o in una totale ostilità
nella peggiore.
Eppure
la maggioranza degli europei si identifica proprio così: europea.
C’è
un’identità europea che oltrepassa le frontiere.
Un’identità
che si esprime in centinaia di culture distinte, che trascende i confini del
tempo e dello spazio e collega ogni europeo:
dall’Irlanda
e le isole britanniche alle trincee dell’Ucraina, dai tempi antichi fino ad
oggi.
L’Europa
non è solo il risultato casuale di una catena di coincidenze storiche.
Credo
fermamente che alla base dell’ideale europeo si trovi “una struttura meta culturale”,
nata da tre
tradizioni fondamentali che, nel tempo, hanno portato a quella che oggi
chiamiamo cultura europea.
Il
primo è la nascita del nostro pensiero politico nell’antica Grecia, in
particolare la concezione della democrazia ad Atene. L'idea che ogni cittadino abbia il
diritto di esprimere la propria opinione, esprimere il proprio voto e assumere
una carica ha avuto origine in questa grande città antica.
E generazioni di pensatori politici si sono
rivolti ad Atene come ispirazione per la democrazia come governo del popolo,
dal popolo, per il popolo.
Tuttavia,
la democrazia ateniese era fondamentalmente difettosa.
Il governo basato su un’opinione popolare
incontrollata ha portato alla polarizzazione, alla demagogia e all’instabilità
politica che, a loro volta, hanno portato al decadimento della democrazia e
infine alla tirannia.
Questo
mi porta alla nostra seconda tradizione di statista romano.
Roma
non è mai stata una democrazia, né nel senso ateniese né nella nostra moderna comprensione
del concetto.
Ma per
gran parte della sua storia non è stato nemmeno il regime oligarchico che
dipingiamo.
Le classi popolari costituivano una grande
potenza politica e giocarono in numerose occasioni un ruolo decisivo nel
processo decisionale romano.
Tuttavia,
erano tenuti sotto controllo da un complesso insieme di regole che garantivano
che lo Stato non fosse dilaniato da interessi politici privati.
Il
pensiero romano sulla cittadinanza, la comunità e la libertà – per quanto
ristretto nella sua applicazione – ci ha portato lo stato di diritto che oggi
consideriamo sacro.
E
questo porta al valore e alla dignità di ogni singolo essere umano, che
dobbiamo a una terza tradizione fondativa:
l’eredità giudeo-cristiana.
I nostri diritti umani fondamentali sono
diventati così evidenti che abbiamo dimenticato quanto fossero rivoluzionari.
La
nostra moderna comprensione della moralità, e la sua codificazione come diritti
umani universali, è nata da insegnamenti come il mite erediterà la terra,
porgendo l’altra guancia e amando il prossimo.
In un
processo durato oltre 2.000 anni, gli europei hanno costantemente
reinterpretato e rinegoziato queste tradizioni in un dialogo culturale che ha
portato alla democrazia, allo Stato di diritto e alla libertà individuale che
ci stanno così a cuore. Naturalmente, questo processo non è stato esente da
difetti:
la nostra storia è offuscata da carenze e
imperfezioni.
Tuttavia, per quanto imperfetti possano essere stati i
nostri predecessori, hanno mantenuto vivo l’ideale e si sono sforzati di
migliorare sé stessi. E la forza trainante dietro tutto ciò è stata una
comprensione culturale dell’Europa, non politica o economica.
Il
nostro patrimonio e le nostre culture riflettono tutte questo processo storico
in corso, che non si concluderà mai finché persisterà l’idea di Europa.
Ancora
oggi siamo coinvolti in un dibattito culturale che affronta queste tradizioni
fondamentali;
le pratiche artistiche attuali ne sono ancora
ampiamente influenzate – anche se critiche nel loro approccio – e anche se
sembra che abbiamo abbandonato il sistema educativo classico che era in gran
parte basato su di esse, ogni europeo ha una nozione di queste tradizioni.
Basta
fare una passeggiata per città come Londra, Parigi, Praga o Berlino per capire
come siamo stati ispirati da una grandezza che ci ha incoraggiato ad andare
oltre noi stessi.
Possiamo
vedere la passione delle generazioni passate ardere nelle cattedrali, nelle
statue, nelle piazze e nei ponti, ovunque siamo in Europa.
Ma
invece di adorare le ceneri, tocca a noi tramandare la fiamma.
L’UE
ha sempre evitato il dibattito su cultura e identità. Non solo perché è di competenza
esclusiva dei Paesi membri – come credo dovrebbe essere – ma soprattutto perché è considerato
un fattore di divisione piuttosto che qualcosa che ci unisce.
Molti
burocrati del “Berlaymont” ricordano con terrore i dibattiti del 2004 sul
riferimento al cristianesimo nella fallita Costituzione europea.
Tuttavia,
è mia convinzione che sia giunto il momento di parlare di identità.
Ecco
perché lunedì scorso ho ospitato l’incontro informale dei ministri della
cultura del blocco al” Museo delle Belle Arti di Anversa” per discutere il
ruolo della cultura, del patrimonio e dell’identità in Europa – proprio perché
sono convinto che ora dobbiamo rinvigorire maggiormente la nostra struttura
meta culturale, più che mai.
L’UE
ha goduto di un lungo periodo di prosperità, pace e sicurezza, un periodo in
cui c’erano poche minacce esterne al continente stesso e gli sconvolgimenti
interni e le crisi economiche non rappresentavano una minaccia esistenziale per
il blocco. Ma i tempi sono cambiati.
Ora siamo impegnati in una competizione
strategica con la Cina, l’incertezza avvolge l’Alleanza Atlantica e il regime
russo rappresenta una vera e propria minaccia militare che mette a dura prova
la stabilità delle democrazie europee.
Negli
ultimi tre decenni ci siamo concessi il lusso di non doverci chiedere cosa
rappresentiamo.
E,
sfortunatamente, è ancora una volta il momento di porre la domanda
Churchilliana: per cosa stiamo combattendo?
L’apocalisse
nell’uomo contemporaneo.
Intervista
a Luigi Maria Epicoco.
Biancamano2.einaudi.it
- Giulia Priore – (28 Dicembre 2023) – ci dice:
L'individualismo
e il nichilismo sono il problema che l'umanità tutta deve affrontare per poter
ritrovare la speranza.
L'apocalisse è solo un via di fuga, questo ci
dice “Luigi Maria Epicoco” nel suo libro sulla “fine del mondo” e” La strada”
di McCarthy.
Viviamo
in un momento in cui si parla molto di estinzione, di fine del mondo, di
catastrofi, quindi si potrebbe dire che è in corso una sorta di millenarismo
2.0.
Come
si manifesta l’apocalisse oggi?
L’apocalisse
in termini teologici non significa fine, ma rivelazione, eppure
nell’immaginario collettivo abbiamo ormai legato questa parola all’esperienza
di trovarci ai margini di una storia che finisce, alla sensazione diffusa di
abitare un’imminente fine.
Deve però consolarci sapere che questo sentire
comune non ha a che fare solo con la nostra epoca, ma più volte nella storia,
l’umanità ha vissuto questa sensazione di trovarsi ai margini della fine, nel
cuore della fine del mondo.
A mio
modesto parere, così come ho cercato di raccontare nel saggio dedicato a “McCarthy,
questo tipo di sensazione non dice qualcosa del mondo fuori di noi, che seppur
ci riserva fatti di cronaca non rassicuranti, non è niente di meno di quello
che molte volte le civiltà hanno vissuto nei cicli della storia;
questa
sensazione ci rivela un mondo dentro di noi.
È
nell’uomo contemporaneo un’apocalisse in atto.
Il
nichilismo che ha tanto avvelenato la nostra cultura ci ha convinti a
divorziare da un’esperienza di senso significativa, condannandoci a vagare
senza più uno scopo preciso.
La
vita umana, quando è scissa da un significato, regredisce.
L’arte, la letteratura, la musica e la stessa
religione sono alfabeti attraverso il quale noi tentiamo di balbettare la
fiducia che esista un significato attorno a cui la vita si struttura.
L’infelicità
diffusa non dipende più dalle condizioni fuori di noi, anzi siamo diventati
sempre più evoluti in termini tecnologici, ma abbiamo avuto una immensa
regressione a livello umano.
La
nostra malattia ha un nome: è la religione dell’individualismo.
E
nell’individualismo c’è l’idolatria dell’io che vuole salvarsi da solo,
prescindendo da quella che è la sua struttura principale, cioè le relazioni.
Le
pongo qui la domanda, che compare sulla copertina del libro: «Esiste ancora una speranza?».
Certo
che esiste una speranza.
Ma
quando pensiamo alla speranza non dobbiamo pensare a un’interpretazione
convincente della vita.
La
speranza non è una filosofia, né tanto meno un sistema ideologico
cristallizzato in un qualche movimento politico, culturale o persino teologico.
La
speranza è un fatto nascosto sotto le macerie di ciò che ci accade.
Non a caso il protagonista del “romanzo di
McCarthy” non è motivato ad andare avanti a partire da una circostanza attorno
a lui, o a un pensiero convincente nei propri ragionamenti.
La sua
speranza ha un volto, è il volto del figlio, è il fatto di una vita consegnata
nelle sue mani.
È questo che lo trattiene dalla morte.
La
vera educazione che dovremmo mettere in atto è quella di aiutare l’uomo
contemporaneo ad accettare la fragilità della vita senza fughe e senza la falsa
speranza di potersene liberare.
Immaginarci vite ideali significa non
accettare la vita reale. Ma è proprio nella vita reale un dettaglio messo lì
per salvarci.
Quando
si prende sul serio la concretezza della vita ci si accorge che in quella
imperfezione è nascosto anche un motivo valido per cui vivere, e che diventa il
vero fatto della propria speranza.
Ha
ritrovato negli ultimi due libri di “McCarthy” da poco usciti in Italia, “Il
passeggero” e “Stella maris”, la stessa miccia che ha acceso il suo
ragionamento sulla possibilità di salvezza, che aveva individuato invece in “La
strada”?
Il
dittico finale rappresentato dagli ultimi romanzi di McCarthy a mio modesto
parere ci offrono uno sguardo ancora più profondo sul mistero di questo autore.
La sua riluttanza ad interviste o a
partecipazioni pubbliche ci ha costretto tutti a dover capire McCarthy a
partire solo dalla sua scrittura.
In
questi ultimi due romanzi, legati tra di loro da una trama che lascia
finalmente spazio anche a un mondo femminile che sembra quasi assente nei
precedenti lavori, noi troviamo non solo una storia, ma troviamo una mescolanza
geniale di scienza, filosofia, esperienza, metafisica.
Il fondale di McCarthy è sempre un fondale di
natura religiosa nel senso più laico del termine.
Cioè
tutto si spalanca sempre a qualcosa di più grande, di più profondo, di più
alto.
Concordo
con chi ha detto che questa è un’opera di congedo che continueremo a citare
così come si cita il “libro del Qoelet” della Bibbia. Ogni frase ha una densità
che esige molto tempo per essere fatta propria.
Ma è
proprio questa la caratteristica di McCarthy:
egli
non ci conduce verso una fine, ma ci mostra costantemente un fine che è
presente in ogni cosa e che guida misteriosamente ogni cosa.
Un fine che quando si intercetta non lascia
fuori nulla del reale.
McCarthy
educa ad avere una profondità che l’uomo contemporaneo ha smarrito nella sua
superficialità.
È
nella profondità la via d’uscita di ogni buio.
È lì
che si tocca il cielo.
(Luigi
Maria Epicoco)
Cosa
significa “Pensare la fine”?
Chartasporca.it - 4 Maggio 2022 - Marco
Pacini – ci dice:
(Il
seguente articolo contiene alcuni estratti di “Pensare la fine”. Discorso
pubblico e crisi climatica “ed. Meltemi”), qui pubblicati a esclusione delle
note per gentile concessione di autore ed editore.)
Dovremmo
prendere sul serio la possibilità della Fine?
Ma soprattutto: siamo in grado di farcene carico?
Tra
una risposta affermativa alla prima domanda e una negativa alla seconda – con
le relative “prescrizioni” – si apre la possibilità della catastrofe, figlia
del doppio vincolo che ci paralizza, ci inchioda a una modernità che ci mostra
insieme la sua tossicità e la sua ineluttabilità.
Una
tarda-modernità “fuori controllo” che rende più evidente quello che” Günther
Anders” chiamava (in altro contesto, ma con un’espressione attualissima)
“dislivello prometeico”, per descrivere “l’asincronizzazione ogni giorno
crescente tra l’uomo e il mondo dei suoi prodotti”, o in altre parole
l’incapacità di “homo faber” di prevedere gli esiti del suo illimitato fare.
La “Fine”
maiuscola di cui parliamo naturalmente non riguarda la numerosa famiglia di
concetti di cui abbiamo già celebrato il funerale apponendo il prefisso “post”
sulla loro lapide (modernità, politica, democrazia, verità…), o almeno non
riguarda il “modo” in cui le abbiamo seppellite.
Riguarda,
più semplicemente, la fine del mondo (umano).
Una
Fine con cui intratteniamo contemporaneamente un rapporto di confidenza e
distanza, grazie a una sovrapproduzione letteraria e cinematografica, nella
doppia versione della distopia ecologica e tecnologica (si vedano, per esempio,
le saghe di Mad Max e Matrix):
un’autentica
industria della sublimazione che squadernando scenari di un “uomo senza mondo”
vela quello di un “mondo senza uomo”, vale a dire quello della nostra fine come
specie.
Le
ragioni per cui dovremmo prendere sul serio la parola “Fine sono da qualche
decennio fin troppo note e numerose per doverle qui ricordare.
“Déborah
Danowski” ed “Eduardo Viveiros de Castro” osservano – tra gli altri – che il
riscaldamento globale e la catastrofe ambientale in corso sono “uno dei
fenomeni meglio referenziati della storia della scienza”.
Il
monitoraggio dei processi biofisici del sistema-Terra segnala da tempo la
prossimità o l’oltrepassamento di “tipping points”, di limiti oltre i quali le
condizioni ambientali e la sopravvivenza di molte specie (tra cui la nostra)
sarebbero incompatibili.
Sono
soprattutto le scienze che la modernità aveva relegato tra le “minori” a
segnalarci la grande discontinuità, ad avvertirci che l’assenza di futuro
potrebbe essere già iniziata, per dirla ancora con” Anders”.
Sono
le retroazioni del sistema-Terra al progresso che sottraggono la parola Fine
all’ambito escatologico per consegnarla alla cronaca.
[…]
Farsi
carico della possibilità della Fine è un compito immane per il carattere
“iper-oggettivo” dei fenomeni come il cambiamento climatico e le tecnologie
fuori controllo.
Gli
Iper oggetti mettono in crisi il tempo e lo spazio, eccedono la nostra
capacità di comprensione con i loro effetti al di là della scala individuale.
Ma è
attraverso il pensiero di “Bruno Latour “che forse possiamo comprendere le
ragioni più profonde della difficoltà del compito e dell’inazione globale di
fronte alla prospettiva di una catastrofe globale.
Sì,
è vero, la scienza ci parla di sesta estinzione, di valori biofisici
incompatibili con la vita, di processi di feedback che potrebbero accelerare la
catastrofe climatica anche rispetto alle previsioni più allarmistiche di
qualche anno fa… ma anche se la prendiamo sul serio, la Fine non verrà.
Per la
semplice ragione che è già avvenuta.
Loro
sanno, sentono ma, in fondo, non ci credono.
Risiede
qui, ritengo, il punto in cui ricercare l’origine profonda del
clima-scetticismo.
Non si
tratta di uno scetticismo che poggia sulla solidità delle conoscenze ma di uno
scetticismo sulla posizione nell’esistenza. […]
Un “cambiamento di vita totale e radicale”? Ma
lo hanno già compiuto, proprio divenendo risolutamente moderni!
Se la
modernità non fosse così profondamente religiosa, l’appello ad adeguarsi alla
Terra sarebbe accolto con facilità.
Ma
poiché ha ereditato l’Apocalisse, semplicemente spostata di una tacca nel
futuro, non suscita altro che una scrollata di spalle o una risposta indignata:
“Come
potete venire ancora una volta a predicarci l’Apocalisse? Dov’è indicato nelle
Scritture che ci sarà un’altra apocalisse dopo la prima?
La
modernità è quel che ci hanno promesso, quel che abbiamo conseguito, quel che
abbiamo conquistato, talvolta con la violenza, e voi pretendete di
strapparcela?
Ci
state dicendo quindi che ci eravamo sbagliati sul senso della promessa!
Che la
Terra promessa della modernità doveva restare promessa!
È assurdo!”
(Bruno
Latour, “La sfida di Gaia”).
Dovremmo
invece, secondo il filosofo e antropologo francese, convenire tutti
sull’importanza di affrontare un’apocalisse “al tempo presente”.
Si
tratta di affrontare una Fine senza la promessa di un Regno (cristiano, o
marxista o sintetico).
Una
Fine senza nuovo inizio.
“Non
un altro mondo, ma questo stesso mondo colto in modo radicalmente nuovo”.
L’eredità
religiosa del pensiero escatologico resta tuttavia in gioco in influenti
correnti di pensiero: dall’accelerazionismo alla teoria della singolarità.
E al
traguardo del secolo di vita anche “James Lovelock”, al quale dobbiamo il
concetto di “Gaia, ha abbracciato un’escatologia hi-tech considerando
l’Antropocene il nostro destino ormai compiuto, mentre siamo già entrati nel
“Novacene”, l’era in cui, grazie alla tecnologia, la fine del mondo umano è in
realtà il suo compiersi, l’esaurirsi di un compito e l’inizio di un “al di
là” sintetico.
L’era
in cui “i cyborg viventi usciranno dall’utero dell’Antropocene”.
L’era
di una nuova Gaia “che indosserà un nuovo manto inorganico”.
Chi,
meglio di “Lovelock”, potrebbe prendere sul serio la parola Fine?
Ma
l’escatologia tecnologica del padre di “Gaia” non prevede una “cura” della
Fine, nel senso di cura delle retroazioni di Gaia all’agire umano per garantire
una persistenza-permanenza dell’umano.
È
già tutto scritto, il destino sta per compiersi, senza pianti né rimpianti:
Probabilmente
alla fine la” Gaia organica” morirà, ma proprio come non piangiamo per la
scomparsa delle specie nostre antenate, allo stesso modo i cyborg non saranno
distrutti dal dolore per la scomparsa degli esseri umani.
(James
Lovelock, Novacene.” L’età dell’iperintelligenza”)
I
tecno-evangelismi del nuovo mondo, che hanno i loro think-tank come il “Breakthrough
Institute”, si ostinano invece a preservare l’umano, rispondendo
affermativamente a entrambe le domande:
sì,
prendiamo sul serio la possibilità della Fine e stiamo mettendo in campo tutta
la potenza del Capitale per farcene carico, scongiurandola.
Ci penserà ancora una volta il dio mercato,
cogliendo tutto il potenziale dell’economia green e dell’ingegneria climatica!
“Alex
Williams” e “Nick Srnicek”, nel loro “Manifesto accelerazionista”, offrono una
variante “di sinistra” al potere salvifico del Capitale come creatore del mondo
nuovo o dell’uomo senza (vecchio) mondo, propugnando una “politica prometeica”
di massimo controllo sulla società e sul suo ambiente.
Ma
questa accelerazione intenzionale della macchina capitalista (per superarla),
posta come soluzione alla nostra attuale miseria antropologica, “si trova in
contraddizione oggettiva con un’altra accelerazione per niente intenzionale:
l’implacabile processo di retroazione positiva
delle trasformazioni ambientali deleterie per l’”Umwelt della specie”.
In
altre parole: non faremo in tempo.
Il
passaggio dalla storia alla geostoria, annunciato da “Dipesh Chakrabarty”, e il
“Nuovo regime climatico “(Latour) sembrano suggerire che siamo ancora (e di
più) in presenza di una asincronizzazione tra gli entusiasmi prometeici
tecno-religiosi e l’“intrusione di Gaia”, che è venuta per restare e cambierà
le nostre vite per sempre, avverte” Isabelle Stengers”.
Si
tratta allora di coltivare un pensiero della Fine, per evitarla, senza giocarci
tutto confidando “religiosamente” sul fatto che il rimedio arriverà prima del
veleno, che l’accelerazione tecnologica supererà quella della retroazione di
Gaia.
E
trascurando del tutto il monito:
“Non
possiamo continuare a credere al vecchio futuro, se vogliamo avere un
avvenire”.
Pensare
la Fine, sfuggendo alla trappola della nuova escatologia tecnologica figlia di
quella ebraico-cristiana (la promessa del Regno), è un compito immane.
Un
pensiero della Fine chiede, per cominciare, una reinvenzione metafisica, una
riconcettualizzazione di molte altre nozioni-parole, iniziando da quelle di
“umanità” e “mondo”, che nell’Antropocene – seguendo il pensiero di” Latour” –
non si ritrovano più di fronte come soggetto e oggetto:
il mondo non è più l’ambiente, la Natura, ma
un attore in lotta:
Ciò
che era rimasto finora quietamente sullo sfondo – il paesaggio servito da
cornice a tutti i conflitti umani – si è appena unito alla lotta.
Quella che era fino a oggi una metafora –
ossia, persino le pietre gridano di dolore dinanzi alle sofferenze che gli
umani hanno inflitto loro – è divenuta letterale.
(Bruno
Latour, La sfida di Gaia)
Pensare
la Fine chiede anche, come gesto preliminare, un’“euristica della paura” (Hans
Jonas), una postura radicalmente pessimista, apocalittica, ma nel senso
dell’“apocalittismo profilattico” di “Günter Anders”:
Se ci
distinguiamo dai classici apocalittici giudeo-cristiani non è solo perché
temiamo la fine (che loro hanno sperato) ma soprattutto perché la nostra
passione apocalittica non ha altro obiettivo che quello di impedire
l’apocalisse.
Siamo apocalittici solo per avere torto.
(Günter
Anders, “Le temps de la fin”)
Il
pensiero della Fine – come unica possibile alternativa alla mistica hi-tech –
con il suo materialismo radicale che sposta la parola dall’ambiente
escatologico a quello più prosaico della biofisica, si nutre di un pessimismo
preventivo perché ascolta Gaia piuttosto che le Trombe dell’Apocalisse.
E Gaia
parla da vicino.
Parla
di materia, dei suoi elementi impazziti, o “in lotta”.
A
rendere accidentato il percorso verso un pensiero della Fine è il suo
carattere “totalitario”, la sua pretesa di demolire l’intero universo del
discorso della contemporaneità, di “spezzare il sistema di coordinate dei
Moderni”, direbbe Latour.
Secondo
il quale non ci sono dubbi: “Bisogna mappare tutto di nuovo. E in più farlo
con urgenza, prima che i sonnambuli finiscano per calpestare nella loro fuga
cieca tutto ciò a cui teniamo”.
Ecco
allora che farsi carico della parola Fine, una volta presa sul serio, significa
prendere atto che nulla più è dato.
Che le
conquiste “liberali” potrebbero avere una scadenza ecologica.
La libertà, la democrazia, i diritti individuali
potrebbero dover subire una mutazione, perché nell’Antropocene gli esseri
umani sono “irrimediabilmente prigionieri della loro instabile relazione con il
funzionamento complessivo del Sistema Terra”.
Questa
nuova condizione di “prigionia” cui saranno costrette le prossime generazioni –
e che solo la nostra “grande cecità” (Amitav Ghosh) ci impedisce di vedere –
farà piazza pulita di gran parte degli ingredienti che riempiono l’agenda
politica della contemporaneità, e forse della stessa teoria politica, che è
“parecchio indietro rispetto alla chimica atmosferica e all’oceanografia
fisica”.
“Geoff
Mann” e “Joel Wainwright “parlano di “adattamento del politico”.
Che
qui potremmo tradurre in “smottamento” del vocabolario politico che la presa in
carico della parola Fine porta con sé.
Oltre
a quelle già esaminate, quali torsioni subiscono, nel “Nuovo regime climatico”
(vaste aree desertificate, ondate di calore incompatibili con la vita umana,
inondazioni frequenti, zone litoranee sommerse, migrazioni di proporzioni oggi
inimmaginabili…), parole come Stato, sovranità, giustizia…?
“La scala dei problemi è così grande che
sembra impossibile affrontarli senza lo Stato, ma sembra altrettanto
impossibile che lo Stato, per come è attualmente costituito, possa rivelarsi
efficace”, osservano “Mann” e “Wainwright”.
Prima
conseguenza:
si
può immaginare una sovranità che non sia planetaria?
Quale
sovranità potrà essere esercitata in un “nuovo regime climatico” se le
decisioni dovranno essere prese nel nome della specie e non di questo o quel
popolo “sovrano”?
E se
l’ingegneria climatica dovesse raggiungere i risultati promessi, a chi sarebbe
affidato il compito di regolare il “termostato globale”?
Ecco
un altro possibile scenario che spazza via l’idea di sovranità nel senso in
cui oggi nutre un discorso pubblico fermo al secolo scorso.
E la
parola giustizia dovrà essere aggettivata principalmente con “climatica”,
posto che – secondo un rapporto di “Philip Alston” dell’ONU – il 10 per cento
degli stati dovrà sopportare il 75 per cento degli effetti del cambiamento
climatico?
Lo
“smottamento” provocato dalla presa sul serio della parola Fine dovrà infine
coinvolgere le ultime due parole, decisive, per sottrarre le politiche globali
al doppio vincolo, tra doveri green e l’irrinunciabilità al benessere
materiale.
Si
tratta, naturalmente, delle parole “crescita” e “demografia”, che insieme
costituiscono il grande tabù, l’autentico cortocircuito psicologico e
culturale di cui sono vittime i Progressisti del Nord del mondo, quelli che
vorrebbero salvare la loro anima verde e combattere le minacce sovraniste alla
democrazia restando aggrappati a quelle due parole, che nell’Antropocene sono
la quintessenza del sovranismo, visto che ciò che “fa bene” al mio Paese
(maggiore ricchezza da distribuire e inversione del crollo della natalità) è
precisamente ciò che la mia coscienza ambientalista dovrebbe considerare
nocivo – se non fatale – una volta applicato su scala planetaria.
Sull’impossibilità
della crescita esiste una vasta letteratura. Più complicato affrontare il tabù
demografico.
Almeno
nei termini che un pensiero della Fine richiede.
Ha
provato a farlo” Donna Haraway” immaginando un mondo in cui la natalità è una
scelta collettiva che viene presa insieme proprio perché si conoscono le
conseguenze alle quali potrà condurre.
Un
mondo che dovremmo sperare abitato da non più di due o tre miliardi di
persone.
L’adozione
di un pensiero della Fine (per evitarla) che consenta di rispondere
affermativamente alla doppia domanda iniziale, non può che essere un gesto
radicale, radicalmente politico.
Una
rivoluzione dei Terrestri contro i Moderni, nei termini di “Bruno Latour”.
Anzi una guerra – secondo il filosofo francese
– combattuta in nome di una ritrovata razionalità finalmente sottratta
all’“appropriazione indebita”, al monopolio nefasto dell’economia.
Lasciamo
ancora una volta la parola a “Bruno Latour”, uno dei pensatori che per primi, e
più a fondo, hanno scandagliato la “condizione umana” nella nuova era,
prendendosi cura della parola Fine.
La
fusione dell’escatologia e dell’ecologia non è una caduta nell’irrazionalità,
una perdita di controllo o una sorta di adesione mistica a un mito religioso
ormai superato;
è, bensì, necessaria se vogliamo fronteggiare la
minaccia e smettere di giocare a compiacere i fautori della pacificazione che
continuano a differire, ancora una volta, l’imperativo di tenersi pronti alla
guerra.
L’apocalisse è un appello a essere finalmente
razionali, a tenere i piedi per terra.
(Bruno
Latour,” La sfida di Gaia”)
In
questo libro si proverà a suggerire l’adesione a quell’appello, indagando la
plausibilità di un diverso “pensiero della fine”, minuscolo.
Per
imparare a “tenere i piedi per terra”, in fondo, non basterebbe cominciare dal
rovesciamento del celebre adagio secondo cui “è più facile immaginare la fine
del mondo che la fine del capitalismo”?
I
donatori ebrei chiedono alle università
di
cancellare la libertà di parola o
di
perdere il sostegno finanziario.
Naturalnews.com – (13/05/2024) - Cassie B.- ci
dice:
Molti
ebrei sono indignati per le proteste filo-palestinesi che si svolgono nelle
università di tutta la nazione, e alcuni grandi donatori stanno ora
riconsiderando la possibilità di sostenere finanziariamente la loro alma mater
in risposta.
In
alcuni casi arrivano addirittura a chiedere alle scuole di limitare la libertà
di parola degli studenti su questo argomento, pena la perdita del sostegno
finanziario.
Fin
dall’inizio della guerra, nei campus di tutta la nazione si sono svolte
battaglie tra i sostenitori di Israele e coloro che sono inorriditi dal
genocidio di Gaza.
Si
tratta di un argomento estremamente controverso e che domina i titoli dei
giornali da mesi.
Tuttavia,
la situazione si è recentemente aggravata, spingendo alcuni istituti scolastici
a cancellare le lezioni per motivi di sicurezza e a trovare ragioni per
rimandare a casa i manifestanti.
Ora,
alcuni dei donatori più influenti delle migliori scuole della “Ivy League” come
l'“Università della Pennsylvania” e l'”Università di Harvard” hanno affermato
che ritireranno le loro donazioni alle scuole come forma di espressione del
loro disappunto per il modo in cui gli amministratori universitari hanno
risposto a ciò che affermano che è
l’antisemitismo nei campus.
Anche
se non si ritiene che tali iniziative possano causare un danno finanziario
significativo a scuole come queste che godono di dotazioni significative nel
breve termine, a lungo termine potrebbe esserci un impatto devastante.
Un
esperto di finanza per l’istruzione superiore, “Lee Gardner, ha osservato:
“È meno probabile che l’impatto sia immediato,
ma potenzialmente a lungo termine, su donazioni o donazioni che potrebbero non
essere state pianificate o che potrebbero essere realizzate per anni”.
La
conoscenza umana è sotto attacco!
I governi e le potenti aziende stanno usando
la censura per cancellare la base di conoscenze dell’umanità su nutrizione,
erbe, fiducia in se stessi, immunità naturale, produzione alimentare,
preparazione e molto altro ancora.
Stiamo
preservando la conoscenza umana utilizzando la tecnologia dell’intelligenza
artificiale mentre costruiamo l’infrastruttura della libertà umana.
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liberamente senza censura sul nuovo” Brighteon.io” decentralizzato e basato
sulla blockchain .
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biologici e non OGM testati in laboratorio.
Inoltre,
se i donatori più grandi e di più alto profilo tagliassero i legami con le
università, ciò potrebbe convincere anche i donatori più piccoli a smettere di
fornire contributi.
Potrebbe
anche avere un effetto sulle ammissioni al college e danneggiare le relazioni
con gli ex studenti.
Sebbene
le “scuole della Ivy League” siano molto ricche e godano di un significativo
isolamento finanziario dall’impatto di alcuni donatori che tagliano i legami,
le scuole private più piccole e le scuole statali più importanti sono molto più
vulnerabili alle ripercussioni finanziarie se questo tipo di reazione dei
donatori ebrei si diffonde.
Le
scuole della Ivy League sentono il caldo.
La
reazione si è già fatta sentire ad “Harvard”, dove la “Wexner Foundation”,
un'organizzazione no-profit fondata dal miliardario “Leslie Wexner”, ha
interrotto i rapporti con l'università a causa della sua posizione sulla
controversia.
Quando
una coalizione di gruppi studenteschi ha rilasciato una dichiarazione in cui
incolpava Israele per gli attacchi contro di esso da parte di “Hamas”, la
scuola ha reagito lentamente.
I
leader della fondazione hanno affermato:
“Siamo
sbalorditi e disgustati dal triste fallimento della leadership di Harvard nel
prendere una posizione chiara e inequivocabile contro i barbari omicidi di
civili israeliani innocenti”.
All'”Università
della Pennsylvania” , il miliardario “Ronald Lauder,” uno dei più potenti
finanziatori dell'università, ha minacciato di interrompere le donazioni se non
si faranno ulteriori passi nella lotta contro l'antisemitismo.
L’esperto
finanziario “Charlie Gasparino” avverte che le scuole che perdono le donazioni
per questo problema potrebbero finire per affrontare una “massiccia crisi di
liquidità”.
Ciò
potrebbe portare a un grave tracollo finanziario.
Ha
twittato:
“Molte dotazioni sono andate così pesantemente
nel private equity illiquido dove il profitto arriva anni dopo e usano le
donazioni per pagare le continue esigenze di liquidità”.
Una
potenziale crisi di liquidità alla @Columbia @Harvard ecc. non è fuori
discussione se le proteste continuano, qualcosa di simile a quello che sta
accadendo alle banche regionali come SVB, dicono le mie fonti.
Molte
università stanno già trovando scuse per limitare i diritti degli studenti alla
libertà di parola, spesso adducendo l'antisemitismo e l'incitamento all'odio
come scusa per chiuderle, anche quando tutti gli studenti stanno protestando
contro la morte di civili innocenti a Gaza.
A
quanto pare, tengono molto più alla loro sopravvivenza finanziaria che al
rispetto dei diritti fondamentali.
Storicamente,
i livelli del mare
erano
molto più alti con livelli
di CO2
più bassi, sfatando
l’isteria
climatica
naturalnews.com
– (13/05/2024) - Lance D Johnson – ci dice:
Gli
allarmisti del cambiamento climatico sostengono che il livello del mare sta
aumentando a causa dei livelli di anidride carbonica.
Il “culto del cambiamento climatico” denuncia che
l’innalzamento degli oceani distruggerà presto le città costiere della Terra se
l’umanità non ridurrà collettivamente i livelli di CO2 nell’atmosfera.
Tuttavia,
secondo gli scienziati della Terra e le prove paleontologiche, durante l’ultima
grande era glaciale della storia si è verificata la realtà opposta.
Durante
quel periodo, ci furono altri fattori, oltre alla CO2, che portarono a estati
più calde, causando infine il restringimento della piattaforma di ghiaccio e
l’innalzamento delle coste.
Le prove lungo le coste marocchine, ad
esempio, mostrano che il livello del mare un tempo era diversi metri più alto
di oggi.
Per
ironia della sorte, questi livelli del mare più alti erano evidenti quando i
livelli di CO2 erano molto più bassi (rispetto ai livelli di oggi “fine
del mondo”).
Le
prove dell’ultima era glaciale sfatano il mito dell’aumento della CO2 e
dell’innalzamento del livello del mare.
Durante
l'ultima era glaciale, durata circa 129.000 - 116.000 anni fa, le temperature
estive nell'Artico erano molto più elevate di quelle attuali.
Un
nuovo studi ha scoperto che durante questo periodo, la calotta glaciale della
Groenlandia si sciolse in modo significativo circa 121,9 mila anni fa,
contribuendo ad un innalzamento di 3 metri del livello del mare a livello
globale, rispetto al livello del mare odierno.
Secondo
lo studio, il livello del mare era da 6 a 9 metri più alto durante l’ultimo
periodo interglaciale, quando i livelli di CO2 raggiunsero il picco di 275 ppm.
Oggi,
i livelli di CO2 sono misurati a oltre 400 ppm, ma il livello del mare oggi è
molto più basso rispetto alle misurazioni storiche.
In
effetti, esistono prove globali che il livello del mare si sia effettivamente
ritirato nel corso del tempo.
Oggi,
alcune regioni costiere stanno semplicemente cambiando forma perché sono
colpite da uragani, terremoti e tsunami.
Se la
CO2 fosse la minaccia più grande qui, negli ultimi quattro decenni le coste si
sarebbero già innalzate di diversi metri, sommergendo molte delle nostre città
costiere.
Questo semplicemente non è il caso.
La
conoscenza umana è sotto attacco!
I
governi e le potenti aziende stanno usando la censura per cancellare la base di
conoscenze dell’umanità su nutrizione, erbe, fiducia in sé stessi, immunità
naturale, produzione alimentare, preparazione e molto altro ancora.
Stiamo preservando la conoscenza umana utilizzando la
tecnologia dell’intelligenza artificiale mentre costruiamo l’infrastruttura
della libertà umana.
I risultati delle simulazioni dello studio
indicano che la calotta glaciale della Groenlandia si è ritirata ad
un'estensione minima di 121,9 ka.
Ciò
equivale ad un aumento di 3 metri del livello del mare rispetto ad oggi.
La calotta glaciale si è poi ricostituita nel
tempo.
Ancora
più importante, il riscaldamento regionale avvenuto durante l’ultimo periodo
interglaciale è stato guidato da cambiamenti nella configurazione orbitale
della Terra, che hanno innescato anomalie di elevata insolazione estiva.
Questi feedback attraverso la criosfera,
l’oceano e l’atmosfera sono stati la forza trainante principale per le
temperature estive più elevate nell’emisfero settentrionale, e questi feedback
hanno consentito a queste temperature superficiali più elevate di rimanere
costanti, anno dopo anno nell’Artico e in Groenlandia.
Ciò suggerisce che i cambiamenti nell’oceano e nel
clima sono in gran parte fuori dal controllo umano, e che i livelli di CO2 non
sono lo spauracchio che si crede.
Le
prove paleontologiche mostrano che livelli del mare più alti si sono verificati
durante periodi di CO2 più bassi rispetto a oggi.
Inoltre,
i paleontologi hanno trovato impronte umane incise in formazioni rocciose che
un tempo facevano parte di una spiaggia sabbiosa ai margini del "flusso
oscillante" della riva del mare.
Affinché
le impronte potessero essere preservate, era necessaria una “crosta di sale” in
un luogo ai “limiti verso terra della zona di alta marea primaverile” e ai
“limiti del flusso oscillante”.
L'alta
marea precedente in questo sito era di circa 20-30 metri sopra l'attuale
livello del mare.
Le impronte possono essere datate a 90.000
anni fa.
Ulteriori
prove suggeriscono che circa 95.000 anni fa, il livello del mare lungo le coste
del Nord Africa (Marocco) era “20 m sopra il livello attuale”.
È
interessante notare che questa stessa costa marocchina, negli ultimi decenni, è
rimasta stabile, ed è addirittura avanzata verso il mare, ad un ritmo di +0,89
metri all’anno.
In
effetti, l’espansione costiera si è verificata a livello globale negli ultimi
decenni.
Dagli anni ’80, le coste stanno avanzando
verso il mare ad una velocità di 0,26 metri all’anno.
Questa
evidenza è in contrasto con l’”isteria del culto del clima” . (CO2.terra)-(Co2.eath).
Il
nuovo braccio destro di Putin
vuole bombardare l'Occidente
“per
salvare il mondo” da una
guerra
in piena regola.
Naturalnews.com – (14/05/2024) - Belle Carter –
ci dice:
Il
presidente russo Vladimir Putin ha recentemente riassunto il “professor
Doomsday” “Sergei Karaganov£ , il suo ex consigliere che pensa che il loro
popolo abbia un “DNA dispotico”, per garantire che il paese stia “scoraggiando
l’Occidente” in modo efficace.
Il
politologo 71enne ritiene che la Russia dovrebbe bombardare l’Occidente e
l’Europa “per salvare il mondo” da una guerra in piena regola.
Una mossa del genere metterebbe
presumibilmente alla prova la determinazione dell’Organizzazione del Trattato
del Nord Atlantico e l’impegno degli Stati Uniti nei confronti dei suoi
alleati.
L’anno
scorso, aveva affermato che nessun paese prenderebbe in considerazione la
possibilità di rispondere a un attacco perché lascerebbe il mondo in “rovine
radioattive”.
"Il
nemico deve sapere che siamo pronti a sferrare un attacco preventivo come
ritorsione per tutti i suoi atti di aggressione attuali e passati per evitare
di scivolare nella guerra termonucleare globale ", ha scritto in un saggio.
“Karaganov”
è stato anche consigliere presidenziale del predecessore di Putin, “Boris
Eltsin”.
Il
consigliere presidenziale ha espresso apertamente il suo disgusto per il mondo
occidentale e il modo in cui vedono la Russia come una nazione inferiore.
Era anche legato a diverse politiche estere russe come
la cosiddetta dottrina “Karaganov”, secondo la quale Mosca dovrebbe agire come
difensore dei diritti umani dei russi etnici che vivono nel "vicino
estero" per ottenere influenza politica anche in queste regioni.
Questo
come la Dottrina Putin, in cui l’elemento centrale è convincere l’Occidente a
trattare la Russia come se fosse l’Unione Sovietica prima del 1989, quando
competeva su basi forti con gli Stati Uniti negli affari internazionali.
Il
professore ha anche promosso l’idea di una “Grande Eurasia” e ha difeso legami
più stretti con la Cina, sostenendo che l’era del dominio occidentale è finita.
È stato anche un convinto sostenitore
dell'invasione dell'Ucraina da parte di Putin fin dall'inizio, avendo
contribuito a formulare una serie di idee chiave che hanno portato ad essa nel
2022.
La
conoscenza umana è sotto attacco!
I governi e le potenti aziende stanno usando
la censura per cancellare la base di conoscenze dell’umanità su nutrizione,
erbe, fiducia in se stessi, immunità naturale, produzione alimentare,
preparazione e molto altro ancora.
Stiamo preservando la conoscenza umana
utilizzando la tecnologia dell’intelligenza artificiale mentre costruiamo
l’infrastruttura della libertà umana.
"La
Russia è geneticamente una potenza autoritaria.
L'autoritarismo
russo non è stato imposto dall'alto, ma è il risultato della nostra storia che
ha formato il nostro codice genetico", ha affermato “Karaganov”.
Le
autorità russe hanno affermato che se l’Occidente continua ad aiutare l’Ucraina
si verificherà una “catastrofe mondiale”.
L'avvertimento
è arrivato dopo la commemorazione del Giorno della Vittoria, in cui il leader
russo ha presentato il suo arsenale nucleare in una parata come dimostrazione
di potenza.
Tre
dei suoi enormi lanciamissili atomici “Yars “tuonarono sui ciottoli di Mosca.
Gli “aiutanti in borghese” del presidente portavano la valigetta nucleare o
“calcio” – un atto di dimostrazione di ciò che potrebbe essere usato per dare
il via alla Terza Guerra Mondiale.
"La
Russia farà di tutto per evitare uno scontro globale.
Ma
allo stesso tempo, non permetteremo a nessuno di minacciarci.
Le nostre forze strategiche [nucleari] sono
sempre in stato di prontezza al combattimento", ha avvertito Putin durante
il suo discorso.
“Karaganov”
è uno dei fondatori del caro “think tank Valdai Club di Putin” e ricopre la
carica di supervisore accademico della” Facoltà di Economia Mondiale e Affari
Internazionali” presso la “Scuola Superiore di Economia”.
La
Russia terrà esercitazioni per l’uso di armi nucleari tattiche.
Diversi
leader europei hanno annunciato un forte sostegno militare al continuo
conflitto che l’Ucraina e i suoi alleati stanno conducendo contro la Russia.
In risposta, Mosca ha detto che terrà
esercitazioni che includeranno la pratica per l’uso di armi nucleari tattiche
in preparazione ad un’ulteriore escalation della guerra.
All'inizio
di maggio furono organizzate esercitazioni militari.
Ciò
includerà la pratica per la preparazione e il dispiegamento di armi nucleari
non strategiche intese ad "aumentare la prontezza... per adempiere a
compiti di combattimento" dopo "dichiarazioni provocatorie e minacce
di alcuni funzionari occidentali", ha affermato il Ministero della Difesa,
aggiungendo che le formazioni missilistiche nel sud alle esercitazioni, che
avranno luogo "presto", parteciperanno il distretto militare e le
forze navali.
Putin
ha anche effettuato un volo di prova a bordo del rinnovato bombardiere
strategico con capacità nucleare Tu-160M all’inizio di quest’anno, che ha
descritto come “eccellente”.
(Correlato:
OMBRELLO NUCLEARE: Macron impegna 300 MISSILI BALISTICI della Francia per
scoraggiare un possibile attacco russo.)
Mosca
possiede la più grande riserva mondiale di tali armi, con circa 5.580 testate,
una cifra addirittura superiore a quella degli Stati Uniti.
La Cina ha il terzo arsenale nucleare più
grande, seguita da Francia e Regno Unito.
22
Procuratori USA Contro l’OMS
Conoscenzealconfine.it
– (14 Maggio 2024) - Massimo Mazzucco – ci dice:
“22
procuratori generali” di altrettanti stati americani hanno scritto una lettera
al presidente “Biden” nella quale si dichiarano contrari all’approvazione da
parte degli Stati Uniti del “Piano Pandemico dell’OMS” (il procuratore generale di uno stato
americano equivale al nostro ministro di giustizia).
“Noi
ci opporremo a qualunque tentativo da parte dell’OMS di influenzare, in modo
diretto o indiretto, le scelte sanitarie per i nostri cittadini” – dice la lettera, redatta dal
procuratore del Montana “Austin Knudsen” a nome di tutti gli altri.
“Noi
ci opponiamo a tali accordi – prosegue la lettera – per diverse ragioni
importanti.
Innanzitutto,
gli strumenti proposti trasformerebbero l’OMS da un organo consultivo e di
beneficenza nel “governatore mondiale della sanità pubblica”.
L’OMS attualmente non dispone dell’autorità
per far rispettare le sue raccomandazioni.
In
base agli emendamenti proposti dal trattato pandemico, tuttavia, il direttore
generale dell’OMS otterrebbe il potere di dichiarare unilateralmente una
‘emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale’ in uno o più paesi
membri.
Tali
dichiarazioni possono includere emergenze percepite o potenziali di elementi
diversi dalle pandemie, come il cambiamento climatico, l’immigrazione, la violenza armata,
o anche ‘emergenze’ che coinvolgono piante, animali o ecosistemi.
In
secondo luogo, il governo federale non può delegare le decisioni sulla sanità
pubblica a un organismo internazionale.
La
Costituzione degli Stati Uniti non attribuisce la responsabilità della politica
sanitaria pubblica al governo federale.
Riserva
tali poteri agli Stati.
Anche
se il governo federale avesse tale potere, l’Articolo II, Sezione 2 richiede
l’approvazione da parte del Senato degli Stati Uniti.
In
terzo luogo, gli emendamenti proposti al “RSI” (Regolamento Sanitario
Internazionale) e il” Trattato sulle pandemie” getterebbero le basi per
un’infrastruttura di sorveglianza globale, apparentemente nell’interesse della
salute pubblica, ma con l’inerente opportunità di controllo (come nel caso del ‘sistema di
credito sociale’ della Cina comunista).”
La
pandemia di COVID-19 – conclude la lettera – ha messo in luce i difetti
fondamentali dell’OMS e di altre istituzioni sanitarie pubbliche.
Queste entità hanno tradito la fiducia del
pubblico e hanno senza dubbio bisogno di riforme.
Le
misure proposte, tuttavia, non farebbero altro che esacerbare i problemi di
fondo dell’OMS e consentirebbero ulteriori violazioni delle libertà civili in
future ‘emergenze’.
Di
conseguenza, resisteremo a qualsiasi tentativo di consentire all’OMS di
stabilire direttamente o indirettamente politiche pubbliche per i nostri
cittadini.”
Chissà
se anche da noi c’è qualche politico con mezzo testicolo rimasto per prendere
una posizione simile a quella dei procuratori americani?
(Massimo
Mazzucco).
(childrenshealthdefense.org/defender/22-attorneys-general-who-pandemic-agreement-uk-opposes/)
(luogocomune.net/21-medicina-salute/6517-22-procuratori-usa-contro-l-oms).
Processo
per genocidio.
Transform-italia.it
– (17/01/2024) - Luciano Beolchi – ci dice:
L’11
gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha ascoltato per bocca
della delegazione sudafricana il contenuto della denuncia del Sudafrica contro
Israele in merito alla violazione della Convenzione per la prevenzione e la
repressione del crimine di genocidio del 1948.
Tre
ore di udienza cui ha fatto seguito il giorno successivo la replica di Israele.
Della
prima le reti internazionali hanno dato ragguagli e l’hanno commentata.
La
seconda è stata trasmessa in diretta per tutta la sua durata.
Ad
ascoltare le due parti sono 15 giudici indicati dai rispettivi governi cui si
aggiungono due membri a rappresentare le due parti in causa: Dikgang Ernest Moseneke per il
Sudafrica e Aharon Barak per Israele.
Del
consesso di 15 magistrati fanno parte quelli nominati dai membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza:
USA,
Cina, Russia e Francia cui si aggiungono Giamaica, Australia, Brasile,
Germania, India, Giappone, Libano, Marocco, Slovacchia, Somalia e Uganda.
La
Corte Internazionale di Giustizia è un organo della Nazioni Unite e le sue
sentenze decisioni e pareri sono sottoposte – per l’irrogazione di eventuali
sanzioni – alle decisioni dell’Assemblea, e sono sempre condizionate dal
diritto di veto dei membri del Consiglio di Sicurezza.
Così è
stato nel 2003 quando l’Assemblea aveva chiesto alla Corte un parere urgente
circa la legalità o meno della costruzione del muro in Cisgiordania.
Nel
giro di poche settimane la Corte aveva rilasciato il suo parere denunciando la
grave illegalità di quell’atto che configurava un’annessione di fatto della
Cisgiordania, ma nessuna azione era seguita da parte delle Nazioni Unite a
causa del veto degli Stati Uniti.
Lo
stesso è prevedibile capiti nel caso attuale, sia che Israele non rispetti
l’eventuale ingiunzione della CIG a cessare le operazioni militari e ad
astenersi dal commettere atti genocidari;
sia che, alla fine di un lungo processo che
potrebbe durare anni, la Corte riconosca Israele colpevole del crimine
imputatogli.
In
questo caso tuttavia il riconoscimento di un intento genocidario, oltre a
essere una condanna morale di peso incalcolabile, potrebbe avere molteplici
ricadute sul piano delle relazioni internazionali;
e anche il recente dispositivo approvato dalla
Camera dei Comuni del Regno Unito che vieta qualsiasi campagna di boicottaggio
dei prodotti israeliani faticherebbe a ottenere lo stesso risultato alla Camera
dei Lord.
Diverso
il caso della Corte Penale Internazionale – l’Istituto che in marzo ha emesso
mandato di cattura contro Vladimir Putin.
La
Corte Penale Internazionale non è organo delle Nazioni Unite e, entro certi
limiti, è autonomo da essa ed è per questo motivo che il Procuratore Generale
Kahn è corso a rassicurare le autorità israeliane, in maniera del tutto
irrituale, che nessun provvedimento sarà aperto contro di loro;
né
alcuna inchiesta sarà avviata, qualunque cosa possano fare.
Ma
anche questa licenza di uccidere potrebbe soffrire di fronte a una pronuncia
della Corte di Giustizia sfavorevole a Israele.
Si cominciano
a fare i conti su come saranno deliberati i voti dei diciassette magistrati
rispetto a un provvedimento restrittivo d’urgenza (restraint) che sarebbe per
Israele una sconfitta devastante anche perché il procedimento non prevede
appello e tale decisione potrebbe giungere a breve.
I
magistrati giudicanti sono nominati in quella posizione dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite per la durata di nove anni – dopo essere stati indicati dai
rispettivi governi – ed è evidente, per quanto siano formalmente liberi nelle
loro decisioni, che quella posizione di dipendenza li subordina in qualche modo
non formale alle decisioni dei governi.
Israele
chiede ai governi amici di pronunciarsi come tali, in modo da esercitare
pressione sui magistrati da loro nominati.
I
magistrati nominati da Stati Uniti, Francia, per dire dei membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza, difficilmente voteranno per il “restraint”.
Lo
stesso vale per Germania, Giappone e Australia.
Dell’Uganda sono noti i rapporti d’affari di
lunga data con Israele.
Con il
voto di Israele sarebbero già sette voti su diciassette contro la condanna.
Dall’altra
parte dovremmo trovare Sudafrica, Somalia e Libano e probabilmente Giamaica.
Gli occidentali contano molto sugli scheletri
nell’armadio di Russia e Cina: ma sembrano non tenere conto che pur trovandosi
in una situazione per certi versi simile il governo turco non ha esitato a
schierarsi con la Palestina;
e
saremmo a 6.
Restano
da vedere le posizioni dell’India – che comunque è un pilastro dei BRICS – del
Marocco, della Slovacchia e del Brasile che difficilmente si schiererà contro
la Palestina.
E
saremmo con ciò 8 a 6, con tre incerti.
Ma il
Marocco fa parte di un mondo arabo e islamico che potrebbe abbandonare solo in
cambio del “Sahara”, isolandosi per i prossimi 50 anni e senza comunque avere
la sicurezza che gli occidentali rispettino l’accordo.
Corte
Internazionale di Giustizia e Tribunale Penale internazionale.
Come
abbiamo cercato di spiegare in numeri precedenti di questa rivista la sede
naturale in cui dibattere un procedimento come quello richiesto dal Sudafrica
sarebbe stata la Corte Penale Internazionale;
quella
stessa che ha emesso mandato di cattura internazionale contro Putin e che
avrebbe potuto fare la stessa cosa contro Netanyahu con almeno una trentina di
validi motivi per utilizzare nei suoi riguardi lo stesso trattamento usato per
Putin. Così non è stato e anzi il procuratore Khan si è precipitato in Israele
per rassicurare dirigenti ed esercito che hanno immunità permanente qualunque
cosa facciano.
Restava
la Corte Internazionale di Giustizia organo delle Nazioni Unite a differenza
del precedente che dal 1947 ad oggi ha trattato circa 200 casi, nella maggior
parte dispute frontaliere tra stati confinanti. In pochi casi è stata chiamata
in causa per problemi più strettamente politici.
Iniziativa
sudafricana.
Il 29
dicembre 2023, il governo del Sudafrica ha formalmente accusato lo Stato
israeliano di violazione della convenzione internazionale contro il genocidio.
Il governo israeliano ha riempito d’insulti
quello sudafricano, chiamandolo avvocato del diavolo e definendo l’accusa
un’assurda, sporca calunnia (absurd, bloody libel).
Ha
però deciso di intervenire nel procedimento, visto che non è riuscito a
cancellarlo, come invece ha già ottenuto dalla Corte Penale Internazionale che
ha concesso un provvidenziale salvacondotto nonostante lo Stato d’Israele non
abbia sottoscritto lo Statuto di Roma della Corte medesima.
Ben
vengano dunque le guarentigie graziosamente offerte dal procuratore Khan sempre
al servizio dei potenti.
Altra
faccenda quella della Corte Internazionale di Giustizia perché la Convenzione
del 1948 contro il genocidio è sottoscritta da entrambi gli stati e dunque il
procedimento andrebbe avanti anche se Israele non si presentasse, a differenza
di quanto prevede lo Statuto di Roma della CPI.
La ICJ
esiste dal 1946 ed è, a differenza della CPI, organo giudiziario delle Nazioni
Unite.
È dunque sorta precedentemente alla
Convenzione contro il genocidio che in linea di principio dovrebbe afferire
alla CPI.
La ICJ
è nota per dirimere le controversie tra stati e il Sudafrica ha dichiarato che
tale controversia esiste perché la RSA ha accusato Israele di genocidio con una
nota ufficiale, accusa che Israele si è limitato a respingere.
Avrebbe
potuto, per evitare il procedimento internazionale, avviare in base a quella
denuncia un procedimento interno, ma ha evitato di farlo. Entrambi gli stati aderiscono alla
Convenzione del 1948 contro il genocidio.
Il
Sudafrica ha dettagliato le violazioni commesse dallo stato ebraico.
Dal 7
ottobre nella Striscia di Gaza, Israele ha ucciso oltre 20.000 palestinesi di
cui il 70% donne e bambini (nel procedimento Israele cercherà di sostenere che
si sono uccisi da soli o che li ha uccisi Hamas);
ha causato l’evacuazione forzata di 2 milioni
di palestinesi (popolazione civile);
ha
costretto alla fame e alla sete la popolazione assediata, prodotto danni
fisici, traumi psicologici, trattamento inumano e degradante, non ha provveduto
e anzi ha deliberatamente compromesso adeguati vestiti, rifugi, igiene fino
all’uccisione dei rifugiati [e dei prigionieri];
ha devastato il sistema sanitario fino a
distruggere [più della metà] degli ospedali e ambulanze uccidendo medici e
infermieri, distrutto la vita comune dei palestinesi;
sradicato
la memoria storica e ucciso figure preminenti della società civile;
non
ultimo, ha compromesso la nascita stessa dei palestinesi attraverso la violenza
riproduttiva inflitta alle donne palestinesi, ai neonati, agli infanti e ai
bambini.
Per la
Convenzione del 1948: “Vi è genocidio se vi è l’intenzione di distruggere in tutto
o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale” (art. 2).
Per
dimostrare che vi è “dolus specialis” il documento riporta dichiarazioni di
esponenti israeliani dal presidente Herzog al primo ministro Netanyahu, ai
comandanti militari fino a esponenti le cui opinioni non sono state in alcun
modo contrastate (violando in tal modo l’obbligo alla prevenzione del
genocidio).
Riporta
a questo proposito espressione come “Lotta tra i figli della luce e i figli
delle tenebre”.
Si
evoca il destino di Amalek; i palestinesi sono disumanizzati, si nega la
distinzione tra miliziani e civili fino a “invocare la cancellazione di Gaza
dalla faccia della terra”.
Il
Sudafrica è consapevole che “l’atto di genocidio è parte di un continuum” come teorizzato
dall’intellettuale ebreo Raphael Lemkin che ha coniato l’espressione.
Il documento, che condanna l’attacco del 7 ottobre, lo
inserisce nel contesto di 75 anni di apartheid, 56 anni di occupazione e i 16
del blocco di Gaza.
Sulla
base dell’articolo 41 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, il
Sudafrica chiede “Provvedimenti provvisori che ingiungano Israele di fermare la guerra e
prevenire il genocidio”.
Sulla
base della sua giurisprudenza la Corte non deve stabilire se la violazione
della Convenzione “esiste”, ma solo se è “almeno plausibile”, ossia “fondata su
una possibile interpretazione della Convenzione”, se c’è insomma un rischio
reale di genocidio.
Su una
decisione di questo genere della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) non ci
sarebbero diritti di veto del Consiglio di Sicurezza.
Il
procedimento.
La
denuncia sudafricana è contenuta in un esposto di 84 pagine consegnato il 29
dicembre alla Corte Internazionale di giustizia dell’Aja.
I sei
legali della delegazione sudafricana che hanno parlato a favore della denuncia:
“Adila
Hassim”: rischio di atto di genocidio e vulnerabilità perpetua derivante.
“Tembeka
Ncgukatoibi”: sul presunto intento genocida.
“John
Dugard”: giurisdizione di merito.
“Blinne
Nì Ghràlaigh” (irlandese): urgenza e potenziale danno irreparabile.
“Max
du Plessis”: diritti attualmente minacciati.
“Vaughan
Lowe: misure provvisorie richieste.
Ad
aprire e a chiudere le argomentazioni legali è stato l’ambasciatore del
Sudafrica nei Paesi Bassi, “Vusimuzi Madonsela”.
Dopo
di lui è intervenuto il ministro della giustizia del Sudafrica “Roland Lamola”,
che ha dichiarato: “Il Sudafrica riconosce la continua “Nabka” del popolo
palestinese attraverso la colonizzazione israeliana a partire dal 1948”.
La
guida della difesa di Israele è affidata all’avvocato britannico “Malcolm Shaw
KC4”.
Secondo
il dissidente ebreo “Norman G. Finkelstein” bandito da Israele per aver
pubblicato “L’industria dell’Olocausto “dove definiva Israele stato
suprematista ebraico, c’è poco da aspettarsi dalla CIG che fotografa essa
stessa i rapporti di forza a livello internazionale anche nella composizione
del collegio giudicante.
Dopo
il procedimento orale, la Corte delibera a porte chiuse e pronuncia la sentenza in seduta pubblica.
La
sentenza è definitiva, vincolante per le parti in causa e inappellabile (al
massimo può essere soggetta a interpretazione o, alla scoperta di un nuovo
fatto, a revisione).
Ogni giudice che lo desideri può allegare un
parere alla sentenza.
Firmando
la Carta, uno Stato membro delle Nazioni Unite si impegna a rispettare la
decisione della Corte in ogni caso in cui sia parte in causa.
Inoltre,
poiché un caso può essere sottoposto alla Corte e deciso da essa solo se le
parti hanno in un modo o nell’altro acconsentito alla sua giurisdizione sul
caso, è raro che una decisione non venga applicata.
Uno
Stato che ritenga che la controparte non abbia adempiuto agli obblighi che gli
incombono in virtù di una sentenza pronunciata dalla Corte può sottoporre la
questione al Consiglio di Sicurezza, che ha il potere di raccomandare o
decidere le misure da adottare per dare esecuzione alla sentenza: da questo
punto di vista Israele è in una botte di ferro.
Precedenti
attività e coinvolgimenti della CIG.
Alla
Corte non viene chiesto di stabilire se la condotta di Israele costituisca
genocidio, ma
se gli atti presentati configurano violazione della Convenzione delle Nazioni
Unite sul genocidio, così come era stato per il caso Gambia contro Myanmar preso
in esame dalla stessa Corte nel 2022.
Negli
interventi della delegazione sudafricana, che hanno ridotto al minimo audio e
video per rispetto dei palestinesi, si sono citati:
centinaia di famiglie multigenerazionali
spazzate via, l’ordine di per sé genocida di evacuare oltre un milione di
persone (compresi bambini e anziani, feriti e infermi, in 24 ore senza alcuna
assistenza e con bombardamenti sulle vie dichiarate sicure). Umiliazione dei
prigionieri, sadismo dei soldati israeliani.
Negazione
all’ingresso di aiuti umanitari.
Nel
2023 l’”International Court of Justice” ha ammesso solo due casi:
quello di Gaza e Nicaragua vs. Colombia.
Il
precedente spesso citato, rispetto al quale si dice che Israele non accettò il
processo è relativo a un parere richiesto dall’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite nel 2003 sulla legittimità del muro costruito da Israele, potenza
occupante, nei territori occupati.
La
Corte dichiarò che la costruzione era illegale perché costituiva un’annessione
di fatto di territori occupati dello stato di Palestina.
In
quell’occasione Israele decise semplicemente di ignorare il parere della Corte
di Giustizia, sostenuto dagli Stati Uniti che bloccarono col loro veto
qualsiasi iniziativa delle Nazioni Unite.
Gli
europei e le violazioni del diritto internazionale.
Ai
tempi del “tribunale Russell,” che aveva messo sotto accusa gli Stati Uniti per
la guerra in Vietnam gli europei avevano un ruolo importante nella lotta per la
libertà, la pace e la giustizia.
C’erano
organizzazioni, comitati, giornali, partiti, governi e stati.
Oggi
l’Europa è finita tristemente in fondo al plotone degli stati reazionari
bianchi, con pochissime e traballanti eccezioni, in Irlanda, nella Penisola
Iberica e poco altro.
Il
fatto che il Sudafrica abbia preso coraggiosamente l’iniziativa di sfidare con
Israele le nazioni bianche coloniali e neocoloniali è significativo di dove va
il mondo progressista e di dove dovrebbero collocarsi i progressisti di tutto
il mondo, quale che sia il colore della pelle.
Del
resto i bianchi non si sono serviti per secoli di eserciti di negri?
E perché i bianchi non dovrebbero schierarsi
con i negri in nome di un ideale di libertà e progresso che l’Europa non
rappresenta più, né nelle sue componenti dichiaratamente reazionarie e
fasciste, né in quelle che si pretendono socialiste democratiche e liberali, ma
tutte quante schierati nei plotoni della NATO, al servizio dell’unico
imperialismo sopravvissuto in forze, quello americano, con i suoi vassalli,
valvassori e valvassini.
Siamo
alla prime battute del processo per genocidio ed è evidente che Israele e i
suoi sostenitori sono in imbarazzo.
Gli
europei ancora di più degli americani, anche perché il rapporto della maggior
parte degli europei e dei loro governi con Israele è un rapporto opaco dettato
da motivazioni inconfessabili e taciute.
Da una
parte sono tra i più scalmanati sostenitori di una politica genocida contro i
palestinesi, disposti ad accettare ogni eccesso e ogni violenza in nome di un
diritto alla difesa che toccherebbe solo agli israeliani, senza confini e
limiti;
e
contemporaneamente guardano con protettivo orgoglio a questa superstite colonia
bianca in terre barbare, degna erede di quattro secoli di colonialismo europeo.
Una di
quelle motivazioni inconfessabili di cui dicevamo.
Dall’altra
parte buona parte degli europei sono sostenitori di governi e partiti che si
dichiarano eredi diretti dei partiti che approvarono e appoggiarono lo
sterminio degli ebrei, tedeschi in testa, ma in buona compagnia.
Scalmanati
amici di Israele ed epigoni di massacratori di ebrei.
I
tedeschi non furono i soli a organizzare e praticare lo sterminio: con loro ci furono quasi tutti i
governi europei dell’epoca e non solo ristrette frange collaborazioniste.
I
governi sloveno, croato, ungherese e rumeno; i governi collaborazionisti
baltici, norvegese e francese; gli italiani e i belgi.
Alcuni
di loro agirono in proprio ed ebbero forte sostegno popolare quasi ovunque,
tanto è vero che ancora oggi si va ad onorare la minoranza – e non la
maggioranza – dei giusti.
Quegli
stessi partiti e i loro epigoni e eredi diretti promulgano leggi speciali
contro chiunque faccia mostra soltanto di dubitare che dei cittadini polacchi o
ungheresi o ucraini abbiano in qualsiasi modo collaborato allo sterminio degli
ebrei;
e sono quegli stessi governi che erigono
monumenti ed esaltano le virtù guerriere delle formazioni sterminatrici di
ebrei, comunisti e partigiani; gli ustascia, le croci frecciate, la guardia di
ferro, i banderas.
Sono
quegli stessi governi che sostengono in massa gli eredi e gli epigoni delle
formazioni fasciste ucraine e che accolgono a braccia aperte i nazisti
dichiarati di Azov e formazioni simili.
Ad
oggi in Ucraina, è fatto divieto di parlare del massacro di 500.000 ebrei tutti
ammazzati in loco.
E
infatti dall’Ucraina come dalla Romania non partirono i treni dell’olocausto:
ucraini e romeni fecero tutto in casa, con le loro mani.
E questo è il secondo motivo per cui il rapporto degli
europei con Israele non è onorevole e immacolato come si vorrebbe far credere.
E non
sono le uniche macchie sull’onore dell’Europa e degli europei che crimini sulla
coscienza ne hanno molti;
a cominciare dallo schiavismo e dal
colonialismo:
eppure
non rinunciano a voler insegnare le regole della democrazia all’universo mondo
a suon di cannonate.
Noi
siamo stati tra quelli che hanno riconosciuto il sacrificio dei popoli
sovietici, in quella che a giusto titolo i sovietici hanno chiamato grande
guerra patriottica e che li vedeva aggrediti in quanto razza slava inferiore,
sovietici, ebrei e comunisti; e ad assalirli non c’erano solo i tedeschi;
c’erano italiani, ungheresi e rumeni e in loro appoggio fascisti svedesi,
belgi, norvegesi, baltici, spagnoli e francesi.
La
storia ci dice che se l’Europa non venne sommersa dall’onda nera fu in massima
parte merito dell’Armata Rossa e della resistenza antifascista.
Quella
stessa resistenza della quale i tanti partiti fascisti europei – di governo e
non – tutti grandi sostenitori di Israele, sono i più grandi denigratori e
avversari.
E i
cosiddetti democratici e liberali gli tengono bordone:
non è
cancellata la vergogna del parlamento europeo che quasi all’unanimità
dichiarava i comunisti, anima e martiri di tutte le resistenze europee,
corresponsabili della Seconda guerra mondiale.
Eppure
a presiedere il parlamento in quel momento c’era una buona e onesta persona
come “David Sassoli”.
Purtroppo
quella connivenza sciagurata con le forze europee più reazionarie e fasciste
macchia la sua memoria, almeno quanto lo stravolgimento storico operato da
Benigni che nel suo film più celebre fa liberare Auschwitz dai carri armati
americani.
E forse non rimarrà nella storia ma non è affatto
onorevole la firma che dopo 100 giorni di massacri indiscriminato dei civili a
Gaza persone per bene hanno apposto per su un documento che denuncia le
violenze sulle donne ebree commesse il 7 ottobre, dopo che nei giorni
successivi all’attacco di Hamas tutti i giornali avevano titolato sui 50
neonati decapitati, orrore estremo di cui si è persa ogni traccia.
Adesso
viene sostituito al precedente un altro orrore estremo e persone equilibrato
dovrebbero quanto meno chiedere un’inchiesta su tutti i crimini che si stanno
compiendo, chiedere le prove, proporre quella commissione d’inchiesta che gli
israeliani hanno sempre negato: senza lasciarsi compromettere in affermazioni
propagandistiche incaute.
Le
colombe non stanno sempre dalla parte della ragione.
Lo
aveva imparato a sue spese “Colin Powell” la cui memoria è per sempre
disonorata dall’aver dichiarato il falso alle Nazioni Unite e sarà disonorata
anche la colomba “Aharon Barak” che Netanyahu ha scelto per rappresentare
Israele come giudice ad hoc in un processo di cui ci sono, tante, troppe prove.
Scelto tra gli avversari più accaniti delle
sue leggi liberticide, momentaneamente rinviate dalla Corte Suprema in attesa
che il governo le ripresenti a una Corte modificata nella sua composizione e
che si sa fin d’ora che sarà più disponibile dell’attuale.
Leggi
liberticide di Netanyahu.
L’11
gennaio è cominciato con il processo che dava seguito alla denuncia presentata
dal Sudafrica contro Israele il 29 dicembre.
Non è
un caso se il 1° gennaio la Corte Suprema ha respinto come liberticide una
parte delle norme approvate alla Knesset da Netanyahu e dalla sua coalizione e
che avevano provocato nel 2023 una vasta opposizione tra gli israeliani ebrei.
La
loro bocciatura che parte da una Corte che registra una maggioranza di misura
di giudici liberali sorprende fino a un certo punto.
Se era
prevedibile che a due giorni di distanza dal deposito dell’atto di accusa
sudafricano e a meno di dieci dall’inizio del processo la Corte non se ne
uscisse con l’approvazione di una legge liberticida, questo non è stato un gran
sacrificio per i conservatori che infatti hanno evitato di gridare
all’antisemitismo e al tradimento dell’ebraismo come avrebbero fatto in
condizioni ordinarie.
La Corte infatti è composta di 15 membri, otto
cosiddetti liberali e sette sicuramente ultra conservatori, ma a giorni due dei
cosiddetti liberali si ritirano – la presidente “Esther Hayut” e il giudice “Anat
Baron” – e saranno sostituiti da due candidati governativi, modificando il
rapporto di forza in 9 a 6 a favore dei conservatori e la legge sarà
ripresentata dalla” Knesset” con ottime probabilità di essere questa volta
ratificata diventando
così una delle 14 leggi fondamentali che sostituiscono la Costituzione che
Israele non si è data perché in quanto stato teocratico giudica che è già la
Bibbia la carta fondamentale del paese.
Del
resto fin dai tempi delle discussioni accanite sulla legge dello stato nazione,
tanto il presidente di Israele “Reuven Rivlin “che il procuratore generale di
stato avevano protestato dicendo, il primo, che la legge era un’arma nelle mani
dei nemici di Israele e il secondo mettendo in guardia contro le sue
conseguenze internazionali.
È
fuori di dubbio che se la Corte di Giustizia non avesse accettata la denuncia
del Sudafrica, la legge liberticida sarebbe passata sull’onda emotiva del 7
ottobre, mentre l’inizio del processo per genocidio, quale che sia il suo
esito, ha convinto a nascondere la spazzatura sotto il tappeto, in attesa di
tempi migliori per cui lavora unito tutto il blocco occidentale.
E c’è
da dubitare che la colomba “Barak”, che ha accettato di difendere Israele di
fronte alla Corte di Giustizia sia l’immacolata colomba che ci vogliono far
credere.
Dietro
la decisione della Corte Suprema c’è sicuramente un patto per cui Barack
accettava di esporsi nella delegazione israeliana in cambio del mantenimento di
quel criterio di ragionevolezza per la quale aveva lavorato negli 11 anni di
presidenza della corte suprema, dal 1995 al 2006.
A differenza di Colin Powell di cui non si
capiva se fosse ingenuo, un fesso o un complice.
Le
leggi liberticide di Netanyahu non sono l’unico caso tra le democrazie
occidentali di quello che il diritto anglosassone chiama “Constitutional
Backsliding,” arretramento Costituzionale, che dà un indirizzo autocratico ai
rapporti tra i poteri dello stato, in particolare tra magistratura e governo,
magistratura e parlamento.
Le
leggi liberticide presentate dal governo Netanyahu erano state approvate dalla “Knesset”
nonostante la considerevole opposizione popolare che aveva tenuto impegnato il
paese per i primi nove mesi dell’anno e sono la logica conseguenza della legge
fondamentale del 2018, quella che definisce Israele stato ebraico e democratico, una
contraddizione in termini perché, come scriveva Haaretz se lo stato è ebraico
non è democratico perché non esiste eguaglianza con quella parte considerevole
dei suoi cittadini che ebrei non sono e con quelli che volessero abbandonare la
religione ebraica;
e se è
democratico non può essere ebraico perché una democrazia non può garantire
privilegi e diritti speciali a una parte dei suoi cittadini sulla base della
loro origine etnica.
Così
si esprimeva il giornale israeliano.
Sempre
“Haaretz” il 24 luglio 2023 a proposito dell’approvazione da parte della
Knesset della legge sullo stato nazione (che definisce Israele la patria
storica del popolo ebraico, incoraggia la creazione di comunità riservate agli
ebrei, declassa l’arabo da lingua ufficiale a lingua a statuto speciale), scriveva che finalmente presenta il
sionismo per quello che è: nazionalismo su base etnica e razzista.
Creare
comunità riservate agli ebrei vuol dire dare loro la possibilità di espellere
gli elementi sgraditi, una “nakba” legalizzata e “democratica”, con tutti gli
sporchi affari che incalzano dietro questa libertà: saccheggi, furti, espropri
per cifre irrisorie la cui denuncia viene chiamata antisemitismo; e tanti
saluti.
Forse
che l’arabo è mai stato trattato come lingua ufficiale, come lo svedese in
Finlandia e il tedesco in Italia?
La
legge sullo stato nazione era stata approvata il 19 luglio 2018 dalla Knesset.
Cosa c’è di nuovo nel 2023?
La
riforma giudiziaria approvata dalla Knesset prevede tra l’altro di emendare il
comma 2 dell’articolo 74 della “Basic Law” sulla Knesset che vieta la
candidatura al parlamento di chi inciti al razzismo.
La
riforma in questione mirava a delimitare il potere della Corte Suprema di
Gerusalemme e in particolare il ruolo della Corte nello sviluppo ordinamentale
d’Israele, i cui portati la proposta riforma vuole espressamente delimitare.
La
proposta interviene su 5 fondamentali aspetti del sistema costituzionale
israeliano.
La
prima dimensione attiene alla modalità di selezione dei giudici
nell’ordinamento.
L’attuale
proposta mira a riservare alla maggioranza di governo potere esclusivo nella
nomina dei magistrati, compresi quelli della Corte Suprema.
La
seconda dimensione del proposto intervento sottrae alla Corte Suprema la
verifica di costituzionalità delle leggi fondamentali, quelle di valore
costituzionale.
In
terzo luogo, pur riconoscendo alla Corte Suprema la verifica di
costituzionalità delle leggi ordinarie, le si sottrae di fatto anche quella
prerogativa riconoscendo alla Knesset il potere di sovvertire a maggioranza
semplice le decisioni della Corte Suprema.
La
quarta dimensione del proposto intervento riguarda il criterio di
ragionevolezza, che è quello bocciato dalla Corte Suprema con decisione 1°
gennaio 2024.
Il criterio di ragionevolezza si può ridurre
grosso modo a “everythings is justiciable”:
anche
la sicurezza nazionale e le questioni militarie quindi anche Nethanyahu e tutto
il suo governo diventano perseguibili in Israele.
Il
quinto punto dell’intervento riguarda il ruolo dell’”Attorney General”, organo
monocratico di” Common Law”, ma che assume nell’ordinamento israeliano
originale postura:
un po’
dentro e un po’ fuori dall’autorità di governo.
La
proposta è di ridurne il ruolo da consigliere indipendente del governo a
consulente ed esecutore di disposizioni governative.
Qualunque
cosa possa succedere…
I
quindici magistrati della Corte Internazionale di Giustizia chiamati a decidere
della denuncia presentata dal Sudafrica contro Israele per reati gravissimi in
atto, hanno una responsabilità molto più grande di quella che media e governi
occidentali tendono a riconoscere loro, come se si trattasse di un ordinario
contenzioso tra stati per una questione di confini o per l’estensione delle
acque territoriali.
Così
non è, e il discorso vale soprattutto nel caso che in questa decisiva fase
preliminare venga respinto il “restraint”, cioè un provvedimento d’urgenza che
imponga il cessate il fuoco immediato.
Supponiamo
che il “restraint” non arrivi e tutto venga rinviato a una sentenza che se mai
fosse pronunciata arriverà forse tra vent’anni e forse mai e in ogni caso sarà
ignorata da una delle parti in causa.
Una
decisione di questo genere, una decisione pilatesca o non-decisione avrebbe un
impatto forte sull’opinione pubblica di tutto il mondo non occidentale, non
suonerebbe neutra e verrebbe letta così:
qualunque
cosa succeda, va bene così.
Nel
momento in cui un intero popolo chiuso come bestie in gabbia venisse lasciato
alla merce’ di massacri quotidiani spietati e sadici che sono sotto gli occhi
di tutti, i magistrati occidentali si prenderebbero una tremenda responsabilità
verso le popolazioni civili dei loro paesi, tanto più se i loro governi cedono
al ricatto di Israele prendendo una posizione formale che niente e nessuno
impone loro di prendere.
Una non decisione vorrebbe a significare che
non ci sono più regole e tanto meno c’è qualcuno che possa pretendere che siano
rispettate.
Nel
momento in cui tranquillamente seduti si propri scranni, quei quindici
magistrati decidessero che il più mostruoso sanguinoso e prolungato atto di
terrorismo non merita neanche l’invito a che si cessi la strage è evidente che
questa decisone presa a maggioranza da francesi, inglesi, americani, tedeschi,
australiani, senza considerare i loro possibili alleati, suonerebbe anche più
pesante di una formale ordinaria dichiarazione di guerra, di quelle che da
molti decenni non fa più nessuno.
E per
di più dichiarazione di guerra senza limiti e confini riguardo al
coinvolgimento di civili e di inermi.
Di
sicuro qualche anima bella tratterà queste nostre parole come una minaccia, ma
sia ben chiaro che l’autore non intende minacciare nessuno, tanto meno i
magistrati della corte di Giustizia ai quali auguriamo lunga e prospera vita.
Non ci
sembra neanche giusto diffondere il loro nome come di sicuro farebbe il governo
d’Israele a parti invertite se fosse nelle loro mani la decisione di continuare
la strage di cittadini israeliani inermi.
In quel caso potremmo star sicuri che Israele
garantirebbe loro vita lunga e prospera?
Chi
per mestiere o per qualsiasi ragione pratica la storia sa che in passato sono
bastati pretesti molto meno pesanti per scatenare guerre sanguinose e stragi
dell’umanità.
Per di più gli stati occidentali che la divinità rende
stupidi come suole fare con chi vuole rovinare sembrano orientati a rinunciare
anche alla foglia di fico dell’indipendenza della magistratura, lasciando in
capo ai soli magistrati le decisioni prese.
E
invece no, su minacciosa pretesa di Israele assumono in prima persona la
responsabilità delle decisioni da prendere, come hanno già fatto le Germania e
il Canada.
E la stessa opinione pubblica occidentale è
convinta che i morti di Gaza siano così poco importanti per il resto del mondo
come sono per gli occidentali, che alla perdurante strage non si ribellerà o
perché sono troppo deboli o pusillanimi o perché li si può comprare con poco.
O
semplicemente perché sono negri senz’anima e senza sentimenti come ha insegnato
per secoli il civile occidente mentre praticava schiavitù e colonialismo in
nome della sua civiltà superiore.
Sarà
un processo lungo.
E già
si sentono gli elogi per Israele che accetta di difendersi nel processo e non
dal processo, come ha fatto nei passati settantacinque anni ogni volta che ha
potuto.
Ma in
questo caso non può, perché il procedimento andrebbe avanti anche in
contumacia.
Israele ha sempre respinto ogni proposta di
indagini obiettive e neutrali sulle accuse di esecuzioni extragiudiziali,
rapimenti, torture, detenzioni arbitrarie, omicidi volontari di giornalisti e
di agenti di organizzazioni umanitarie.
Hanno
giustificato la distruzione di un ospedale ribattendo che Israele è una
democrazia e le democrazie non distruggono gli ospedali.
Forse non tirano neanche le bombe atomiche.
Hanno
pronunciato le frasi sciagurate della prima Intifada:
ai
ragazzini che tirano le pietre spezzategli gambe e braccia; ed era un primo
ministro laburista a dirlo, non era Netanyahu.
Sono
quelli che le inchieste se le fanno da soli e sono bastati due minuti per
chiudere quella sul bombardamento che ha ucciso più di cento civili in un colpo
solo a Gaza: qualcuno ha sbagliato bomba.
Spiacenti.
Quel
qualcuno ha un nome, ha ricevuto un ordine, doveva seguire un protocollo o in
Israele le bombe si distribuiscono dal droghiere?
Cosa
le è rimasto? Poca roba.
È andato via quasi tutto. Allora mi dia quel
che ha. A domani.
E così
ci si dispiace anche per i tre ostaggi israeliani uccisi con fredda
determinazione, in più fasi.
C’era troppo rumore, i soldati erano
stressati.
Queste
sono le indagini condotte dall’esercito, sullo 0.7 % delle denunce ricevute. Per il resto niente, sempre che uno
si arrischi a presentare denuncia ai soldati israeliani che i sudafricani
accusano di sadismo e torture sistematiche.
Per
una richiesta di commissione d’indagine internazionale
Il 7
ottobre la stampa e le televisioni annunciavano che 40 neonati erano stati
decapitati dai barbari assassini e tutti i giornali occidentali avevano dato al
fatto la massima evidenza. Poi la notizia era sparita.
Non c’erano prove, non c’erano foto, non
c’erano testimoni, non c’erano inchieste, non c’erano neonati, non c’era niente
di niente.
Dopo
quasi tre mesi da fatti esplode sui giornali un’altra notizia, anche se questa
volta solo i giornali di estrema destra non osano sbatterla in prima pagina.
I barbari assassini e disumani – e quindi ben
venga che siano trattati come tali – della decapitazione in serie dei neonati
erano passati ai più orrendi crimini di massa sulle donne.
Sono i
bianchi che rispettano le donne, non i negri palestinesi che sono tutti
assassini e meritano di andare in Congo con gli altri negri uguali a loro.
1.200
firme, secondo il Corriere della Sera, ha raccolto l’appello a riconoscere il
femminicidio di massa commesso da Hamas sulle donne il 7 ottobre.
L’obiettivo
è arrivare a una denuncia per crimini contro l’umanità che faccia da
contraltare alla denuncia ben più circostanziata e provata mossa dal Sudafrica
nei confronti dello Stato di Israele.
Nei
tempi recenti le balle più stratosferiche hanno fatto scuola:
dalla denuncia del possesso di armi di
distruzione di massa inventato da “Bush”, “Colin Powelli” e “Tony Blair” per
giustificare il massacro di “Saddam Hussein” e della sua famiglia ai quaranta
neonati con le teste mozzate.
“Qui
non si tratta di entrare nell’idea del conflitto e di immischiare giudizi
politici: non si può tacere”.
Queste
le parole di un abile propagandista come “Ruth Shammah”.
Parliamo
solo di noi, e di quello che noi vogliamo si dica di noi, non parliamo di
politica e di 75 anni di crimini e di duemila bombardamenti.
Sono
stati commessi abusi indicibili!
Più
indicibile di cinquanta neonati con le teste mozzate? Sono in corso delle
inchieste? Quelle inchieste che avrebbero dovuto fare gli oltre cento reporter
uccisi a Gaza e i 150 funzionari e dipendenti dell’ONU appositamente eliminati
per togliere di mezzo testimoni?
L’Onorevole
“Quartapelle” invoca:
“Il
governo italiano metta a disposizione risorse investigative per investigare su
questo tipo di crimine”.
Solo
quelli di cui è accusato “Hamas”, s’intende, a sostegno di chi risorse ne ha
più che in abbondanza, anche di tipo investigativo e in sovrappiù ha ricevuto
il pieno partigiano sostegno del procuratore della Corte Penale Internazionale
che ha garantito al governo israeliano che non deve avere nulla da temere.
Dietro
a loro “Ilaria Borletti Buitoni”: “In Occidente soffiano venti antisemiti fortissimi.”
Forse che le stragi di civili a Gaza ne abbiano
qualche responsabilità?
Sottoscrive
anche “Salvatores”, su un diverso generico bersaglio:
“È
stato un massacro inaccettabile. Penso che “Nethanyahu “sta sbagliando”.
Uno
sbaglio o una lucida politica criminale, sostenuta dalla maggioranza del popolo
israeliano?
E
perché dunque “esprimere dolore e riprovazione per le donne oggetto di
violenze”, ma senza una parola per donne e bambini palestinesi oggetto di mille
violenze?
Non
stupisce che tra le adesioni ci siano la “ministra della Pari Opportunità”, “Eugenia
Roccella”, MEB e “Mara Carfagna”, “Letizia Moratti” e “Giovanna Melandri”,
tutte monocole e strabiche di lunga data.
Né
altri sempre pronti a mobilitarsi dalla parte dei bianchi offesi:
Ambra
Angiolini, Vittorio Sgarbi, Marco Tronchetti Provera, Dacia Maraini, Ferruccio
De Bortoli, Carmen Llera Moravia, a conferma che c’è sempre un fronte
bipartisan di borghesia bianca pronto a consolidarsi quando si tratta di
difendere politiche razziali e razziste.
Dispiace per una persona per bene e di grande
correttezza come Augias.
Ma
perché non chiedere quanto meno un cessate il fuoco e una commissione
d’indagine internazionale, di quelle che Israele rifiuta di accogliere da 75
anni?
Che
significa fare un’inchiesta?
Significa
quanto meno accertare se è poi vero che il ministro della sicurezza nazionale
israeliana “Ben-Gvir” ha dato precise indicazioni dopo il 7 ottobre di
“vendicarsi contro i prigionieri palestinesi”, e se ha detto che “per ogni
giorno trascorso senza il rilascio di un prigioniero israeliano, un detenuto
palestinese deve essere giustiziato”.
E nel
caso queste direttive e dichiarazioni venissero accertate, gli omicidi dei
sette detenuti palestinesi giustiziati in carcere dal 7 ottobre potrebbero
trovare un mandante.
Il settimo ha un nome “Abdel Raman Bassem el Bash”, 23
anni di Nablus secondo la dichiarazione congiunta della Commissione per gli
affari dei prigionieri e il club dei prigionieri palestinesi.
Sette
sono i martiri ma centinaia le violenze e torture che vengono segnalate da
tutte le prigioni (Megiddo, Gilboa, Ofer, Beersheba e Damon, in particolare).
Contemporaneamente a queste morti, c’è un numero imprecisato di altri morti tra
i detenuti nel campo di Jde Taman a Gaza. Se è vero che viene utilizzato lo
stadio come prigione, perché la UEFA che sovraintende alla Federazione
israeliana non dice nulla?
I
detenuti sono sottoposti a torture, trattamenti umilianti e degradanti.
Fame, sete, privazione del sonno, aggressioni con i
cani, cibo gettato a terra e calpestato dalle guardie, il tutto alla ricerca
ossessiva dei combattenti di Hamas e per la scoperta e distruzione dei tunnel.
“Human
Rights Watch” ha un responsabile per il quale è già stata scritta la sentenza;
per ora continua a ripetere che “la ricerca
dei combattenti di Hamas non giustifica gli abusi sui lavoratori cui era stato
concesso il permesso di lavorare in Israele”.
Perché
su di loro?
Perché
sono quelli che gli israeliani conoscono meglio, perché sono in grado di
minacciare e maltrattare le loro famiglie, sono i più indifesi e, per gli
israeliani, l’anello debole della catena.
“Michelle
Randawa”, responsabile di “HRW” ha chiesto di loro, ma nessuna risposta è
venuta dagli israeliani.
“
Haaretz” riporta continue denunce di aggressioni, violenze, torture, ma le
riporta come fossero considerate eccezioni senza neanche domandarsi quale
livello bisognerà raggiungere per stabilire che c’è del metodo in quella follia.
Delle
oltre 200 detenute palestinesi vittime di torture e di aggressioni sessuali, le
anime belle di Occidente non si curano di loro come non si curano della
deputata del FPLP arrestata per la quarta volta perché “appartenente a
un’organizzazione terrorista e per propaganda sovversiva”, né si curano degli
oltre quattrocento morti e tremila arresti in Cisgiordania dal 7 ottobre anche
se l’ “Ong israeliana Hamoked” parla di uso sistematico della violenza nelle
carceri in sovrappiù ai 244 omicidi commessi a partire dal 1967.
(Luciano
Beolchi).
BlackRock
e la bancarotta dell’Ucraina:
i
Rothschild rischiano di non vedere un soldo.
Lacrunadellago.net
- Cesare Sacchetti – (14/05/2024) – ci dice:
Sono
tornati a bussare alle porte del governo ucraino in questi giorni, ammesso che
ancora esista un governo a Kiev per gli eventi di cui si dirà a breve.
Sono
gli investitori internazionali nei panni del famigerato fondo di investimenti
BlackRock che è riconosciuto universalmente come il fondo finanziario più
grande al mondo poiché nel suo ventre c’è praticamente tutto.
BlackRock
è proprietaria di una quantità sterminata di innumerevoli colossi dell’economia
mondiale, e soltanto per toccare un tema particolarmente caldo negli ultimi
anni dopo la fine della farsa pandemica, basti pensare che questo fondo,
assieme a Vanguard, risulta il proprietario di colossi farmaceutici quali
Pfizer, Moderna ed Astrazeneca.
È un
infinito dedalo di scatole cinesi quello della economia mondiale.
Non
appena se ne apre una, si trova dentro “BlackRock “e non appena si apre una
scatola che contiene il fondo di New York se ne trova un’altra che contiene
l’altro fondo citato,” Vanguard”, in un
interminabile successione il cui filo porta alla famiglie più potenti e influenti
del pianeta.
Sono i
nomi dei Rothschild, dei Rockefeller, dei Morgan, dei Warburg, dei DuPont e
degli Astor e sono coloro che sono stati i proprietari indiscussi della
economia mondiale.
Sono
gli stessi nomi che si leggevano nel corso della “farsa pandemica” poiché erano
queste famiglie che già in passato vagheggiavano di una crisi artificiale così
vasta ed estesa che avrebbe consentito di erigere la tanto, da loro, agognata
governance mondiale.
Adesso
si presenta però un grave problema per i signori della finanza, ed è quello
dell’Ucraina.
Definire
l’Ucraina uno Stato sarebbe avventato da parte nostra in quanto l’Ucraina non
ha per nulla le caratteristiche di uno Stato dotato di una sua sovranità e
indipendenza.
A
comandare a Kiev è il capitale da molto tempo, e già negli anni prima della
guerra, i
veri signori dell’economia nazionale erano quegli oligarchi di origine
askenazita che avevano in pugno la presidenza di Zelensky e che usavano quest’ultimo anche come
prestanome per riciclare soldi in America Latina, come avvenuto in “Costa
Rica”, dove nella “banca Dresdner” c’è un conto intestato a nome del presidente
ucraino ma la cui proprietà è dei citati miliardari ucraini.
La
guerra non ha fatto eccezione a questa regola. Il presidente ucraino non appena
è iniziato il conflitto con Mosca non ha esitato a invitare al banchetto della
spartizione del suo Paese” la finanza anglo sionista di New York” che come un
rapace avvoltoio si è subito precipitata sulle spoglie dell’Ucraina.
Zelensky
ha iniziato a contrarre dei prestiti con BlackRock che sono stati concessi sotto forma
di titoli emessi non nella valuta locale ucraina, la grivna, ma in dollari.
Il
Tesoro ucraino si è indebitato con questi capitalisti con una valuta straniera
e quando questo avviene si è nelle condizioni di una colonia che non è in grado
di stampare la sua moneta per poter garantire il pagamento dei suoi titoli di
Stato.
Si è
nella stessa condizione nei quali si trovano i Paesi dell’eurozona che si
ritrovano ad emettere titoli di Stato in euro, non avendo però la disponibilità
della sua emissione a differenza invece di quello che avviene per altri Paesi
fuori dalla moneta unica che hanno la loro valuta emessa dalla loro banca centrale.
Questa
evidenza susciterà probabilmente delle riflessioni nei lettori che si chiedono
quale sia il problema principale dell’avere l’euro in tasca, e non è altro che
questo.
È
quello di essere privi non solo della sovranità monetaria, ma anche di quella
economica.
Non si
può costruire una scuola, un ospedale o bandire dei concorsi senza prima
indebitarsi con i mercati di capitali.
Non si
hanno in mano le leve della propria politica economica.
L’Ucraina
è in condizioni similari perché i proprietari di questa nazione sono degli
emissari della finanza e sono i primi a trarre profitto dalle disgrazie del
“proprio” Paese.
Ora
però c’è un problema.
Lo
spauracchio del fallimento è sempre più imminente. L’Ucraina attualmente
detiene circa 20 miliardi di dollari di debiti in titoli e il 20% di questi
sono nelle mani del citato fondo BlackRock.
I
dirigenti del fondo americano dopo aver concesso un periodo di tolleranza per
la restituzione dei tassi di interessi su questi bond, hanno deciso di non
attendere oltre e hanno dato mandato allo studio legale “Weil Gotshal &
Manges” di trovare un accordo con Kiev.
La
soluzione allo studio sarebbe questa.
Il
governo ucraino dovrebbe riprendere il pagamento degli interessi maturati sui
propri titoli, e BlackRock, in cambio, potrebbe abbuonare a Kiev una parte dei
prestiti contratti.
La
trattativa sarebbe già partita nei giorni passati ma non c’è certezza alcuna
che questa vada effettivamente in porto.
A Kiev
la situazione è a dir poco incerta. Soltanto ieri, è caduta” Kharkov” ad una
rapidità sconcertante.
I
russi sono entrati nella città ucraina senza incontrare resistenza alcuna. Le
guardie di frontiera preposte al controllo della città si sono arrese
immediatamente senza sparare un colpo.
Nessuno
ha più voglia di farsi massacrare da un governo che considera i propri
cittadini come carne da macello da mandare al fronte dove da tempo ormai non ci
sono più vere e proprie ostilità in quanto i russi controllano stabilmente le
zone conquistate.
La
fantomatica “controffensiva” così tanto annunciata lo scorso anno dai media
Occidentali è stata un disastro assoluto e il conteggio delle perdite ucraine
ha raggiunto la spaventevole cifra di quasi mezzo milione di vite lasciate sul
campo di battaglia.
Zelensky
ha preso il “suo” popolo e lo ha messo in un tritacarne pur di compiacere la
volontà della “NATO” e di quei poteri che parlavano esplicitamente di “Nuovo
Ordine Mondiale” come avvenne quando, a guerra iniziata, su La7 veniva
trasmesso un programma dal titolo alquanto esplicito come “ A Kiev si lotta per
il Nuovo Ordine Mondiale”.
Questi
erano i fini e i padroni per i quali combatteva Zelensky ma adesso dell’Ucraina
ci sono soltanto macerie ed è forse su queste che BlackRock pensava di poter trarre
un profitto.
L’anno
passato infatti il presidente dell’Ucraina aveva firmato un altro accordo con
il fondo in questione che prevedeva l’esclusiva del business della
ricostruzione per il Paese a guerra finita.
La
ricostruzione però, per poter avere luogo, deve tenere conto di determinate
situazioni politiche.
Occorre essere sicuri che al governo ci sia un
referente che garantisca il contratto precedentemente firmato e questo appare
tutt’altro che certo in Ucraina, dove il futuro appare nebuloso e nel quale non
si intravede di certo una presidenza di Zelensky.
Non va
dimenticato che il mandato di Zelensky è già scaduto dal 31 marzo. L’ex comico
non ha più giuridicamente alcun diritto di esercitare le funzioni presidenziali
e una parte delle forze armate ucraine sembrano essere stufe della sua politica
che ha portato sul lastrico il Paese.
A
marzo di quest’anno, c’è stata già una prima manifestazione di questo malessere
quando ci fu un attentato contro di lui ad Odessa che non fu opera dei russi ma
di generali ucraini, e nessuno, tranne questo blog, rivelò esattamente quanto
accaduto quel giorno in Ucraina.
Adesso
è di recente la notizia che sarebbero stati arrestati altri due colonnelli
ucraini che pianificavano un altro attentato contro Zelensky, e il regime
nazista di Kiev ha pensato bene di dare la colpa a Mosca nel tentativo
maldestro di nascondere la fronda che c’è al suo interno.
Non
c’è solo quindi una sconfitta militare e geopolitica ma ce n’è anche una
finanziaria poiché se non si risolve presto la situazione, e non si vede bene
come, BlackRock rischia di perdere tutto in Ucraina che sarebbe costretta a
dichiarare il default finanziario sui propri titoli.
Il
mondialismo aveva puntato tutte le proprie fiches sull’Ucraina e ora rischia di
perderle tutte quante.
"Possiamo
essere sulla strada verso
l'UE o verso la Bielorussia": la cultura
politica
del delinquente attanaglia la Georgia.
Politic.eu
– (15-5-2024) - DATO PARULAVA e GABRIEL GAVIN – ci dicono
L’intimidazione
sta diventando una caratteristica della vita quotidiana, anche prima che entri
in vigore una nuova controversa legge in stile Cremlino.
I
sostenitori dell'opposizione georgiana protestano davanti al Parlamento contro
il progetto di legge sugli "agenti stranieri".
I
critici della nuova legge temono che il governo la utilizzerà per reprimere i
media, l’opposizione e la società civile.
TBILISI
– “Gia
Japaridze”, docente cinquantenne ed ex diplomatico, è caduto in un'imboscata
vicino alla sua casa a Tbilisi la sera dell'8 maggio da parte di diverse
persone che brandivano bastoni e quella che credeva fosse una mazza da
baseball.
“Sono
nato in Unione Sovietica. Non avevo paura dei comunisti. Non possono spaventare
nemmeno me. Non ho dubbi: so che dietro a tutto questo c'era il governo",
ha detto “Japaridze”, che ha avuto bisogno di punti di sutura, ha subito una
commozione cerebrale e ha riportato profondi lividi sulla schiena.
I suoi
aggressori hanno chiarito che lo stavano prendendo di mira a causa della sua
pubblica opposizione alla legge in stile russo sugli “agenti stranieri”
approvata martedì dal parlamento georgiano.
I
critici della nuova legge temono che il governo la userà per reprimere i media,
l’opposizione e la società civile in questo paese caucasico di 3,7 milioni di
abitanti.
Decine
di migliaia di manifestanti hanno riempito le strade, irritati dal fatto che il
loro governo sembri determinato a far naufragare le prospettive del paese di
aderire all'UE.
Bruxelles
temeva che la nuova legge avrebbe preceduto una brutale repressione del
dissenso, ma la violenza e le intimidazioni contro l’opposizione stanno già
aumentando, anche prima che la legge entri in vigore.
Martedì,
parlando a POLITICO durante una protesta, il fratello di Japaridze, il politico
dell'opposizione” Zurab Japaridze”, ha detto che non cederà alla violenza
perché è in gioco il futuro democratico del paese.
“Possiamo
essere sulla strada verso l’Europa o sulla strada verso la Bielorussia”, ha
detto.
“Zurab
Japaridze “ha anche detto che un gruppo di uomini ha tentato di attaccarlo in
tre occasioni da quando la legge sugli agenti stranieri ha iniziato a suscitare
resistenza.
Durante
un tentativo ha sparato in aria con una pistola per scoraggiare i suoi
aggressori.
Nel
mirino di qualcuno.
Anche
“Nino Zuriashvili” si è scontrato con la crescente minaccia politica.
Il
fondatore del canale investigativo Studio Monitor, uno dei canali che rischia
di essere etichettato come agente straniero, “Zuriashvili “ha ricevuto una
chiamata la scorsa settimana da un numero sconosciuto.
La
voce dall'altra parte della linea l'ha insultata per la sua opposizione al
disegno di legge.
Decine
di altri manifestanti e attivisti di spicco affermano di aver subito minacce
simili.
Pochi
giorni dopo, quando” Zuriashvili” arrivò nel suo ufficio, fu accolta da dozzine
di volantini con la sua faccia incollata sui muri fuori, accusandola di essere
"un agente venduto per denaro" e definendo l'organo investigativo una
"agenzia anti-georgiana".
“È
stata una sensazione molto spiacevole. Significava che ero nel mirino di
qualcuno”, ha detto a POLITICO.
Nino
Zuriashvili è arrivata nel suo ufficio, è stata accolta da decine di volantini
con la sua faccia incollata sui muri esterni, accusandola di essere “un agente
venduto per soldi”.
Ha
trovato poster simili vicino a casa sua. Anche la sua macchina è stata
vandalizzata, dipinta con spray con peni e graffiti che la chiamavano "un
agente venduto per soldi".
"Mi
ha fatto capire che avevo sempre ragione", ha detto.
“Il
governo sta creando gruppi per opprimerci.
Ci
stiamo svegliando in Russia. Combatteremo questa guerra fino alla fine. La
Georgia non diventerà la Russia”.
“Dimitri
Chikovani”, membro del partito di opposizione “Movimento Nazionale Unito”, è
stato aggredito da un gruppo di uomini non identificati vicino a casa sua l'8
maggio, la stessa notte dell'attacco a “Gia Japaridze”.
Le riprese delle telecamere a circuito chiuso
mostrano cinque uomini che lo picchiano incessantemente mentre esce dall'auto.
È
finito in ospedale con lesioni multiple al viso e al corpo.
“Chikovani” ha incolpato il “Sogno
Georgiano al potere” e l’enigmatico oligarca che ha fondato il partito e che ora ne è il presidente
onorario, “Bidzina Ivanishvili”.
"Gli
aggressori e il Ministero degli Interni servono lo stesso signore", ha
detto, aggiungendo che, nonostante l'avvio di un'indagine formale, era sicuro
che la polizia non prenderà sul serio il suo caso.
Database
dei sogni georgiani.
Il
partito al governo” Sogno Georgiano” non mostra alcun segno di voler cercare di
calmare le tensioni.
Facendo
leva sui sostenitori conservatori e respingendo le critiche di UE e USA, il
partito afferma che la nuova legge è necessaria per impedire all’influenza
straniera di minare i valori tradizionali.
"Se
ci pieghiamo a queste direttive straniere in stile sovietico, in futuro ci
chiederanno con altrettanto successo di respingere le leggi sui valori della
famiglia e sulla protezione dei minori, di adottare il matrimonio tra persone
dello stesso sesso, di legalizzare la droga", ha detto il primo ministro “Irakli
Kobakhidze” di lunedi.
Per
quanto riguarda le percosse, il ministro della Giustizia “Rati Bregadze” ha
affermato che gli stessi manifestanti pro-UE sono responsabili delle
aggressioni contro i loro stessi sostenitori.
“Se
c’è qualcuno che trae vantaggio da un simile pasticcio, queste sono le persone
dietro questi manifestanti”, ha detto.
Nel
frattempo, il presidente del Parlamento “Shalva Papuashvili” ha minacciato di
reprimere i manifestanti, annunciando l’intenzione di creare un database di
coloro che, secondo lui, sono “coinvolti in violenze, attività illegali,
intimidazioni e ricatti o approvano tale comportamento”.
Il
database verrebbe pubblicato online per nominare e svergognare coloro che sono
accusati di trasgressioni.
I
critici lo vedono come l'ennesima mossa per screditare gli oppositori del
governo.
Migliaia
di manifestanti hanno marciato contro la legge sugli “agenti stranieri” nella
capitale georgiana Tbilisi l'11 maggio.
Martedì,
quando il parlamento georgiano ha votato 84-30 a favore del disegno di legge,
migliaia di persone si sono radunate fuori dalla legislatura nel centro di
Tbilisi per soffocare i lavori con un coro di fischi, vuvuzelas e colpi di
pentole e padelle.
La polizia antisommossa ha disperso la folla
con idranti e armi soniche.
Le
autorità ne hanno arrestati decine, utilizzando gas lacrimogeni contro
manifestanti pacifici, e sono state accusate di aver picchiato i detenuti.
Ai
margini del raduno, diversi uomini in nero, che indossavano maschere, si sono
avvicinati a giornalisti e passanti, fotografando i presenti nell'apparente
tentativo di intimidirli.
Invitati
da POLITICO a identificarsi e a spiegare la loro versione del dibattito, sono
rimasti in silenzio e hanno continuato a fotografare i partecipanti.
Il “Sogno
Georgiano” è stato avvertito dai suoi partner statunitensi e europei che
l'adozione del disegno di legge danneggerà le aspirazioni euro-atlantiche della
Georgia.
Il
vicesegretario del Dipartimento di Stato americano “Jim O'Brien” ha avvertito
di potenziali sanzioni dopo il voto di martedì.
"Se
la legge andasse avanti, non in conformità con le norme dell'UE, e qui si
indebolisse la democrazia, e ci fosse violenza contro i manifestanti pacifici,
allora vedremo restrizioni provenienti dagli Stati Uniti.
Queste
tendono ad essere restrizioni finanziarie e di viaggio per i singoli
individui." responsabili di queste azioni e delle loro famiglie”.
Il
Senato della Carolina del Sud
vieta
l’uso di bloccanti della pubertà
e la
mutilazione genitale dei bambini.
Naturalnews.com – (14/05/2024) - Laura Harris –
ci dice:
Il
Senato della Carolina del Sud, a guida repubblicana, ha approvato un divieto
totale sulle cosiddette cure per i bambini che affermano il genere.
Il
disegno di legge 4624 della Camera, approvato dopo un voto del Senato con 27 voti
favorevoli e 8 contrari, vieta ai professionisti medici di somministrare
bloccanti della pubertà, ormoni sessuali incrociati o di eseguire interventi
chirurgici di riassegnazione di genere a tutti i pazienti di età inferiore a 18
anni.
Qualsiasi medico, operatore di salute mentale
o operatore sanitario ritenuto colpevole di aver fornito procedure di
transizione di genere a minori potrebbe affrontare gravi conseguenze, inclusa
la perdita della licenza medica e l’accusa penale di “aver inflitto gravi lesioni
personali a un bambino”.
Secondo
l’”HB 4624”, i minori che hanno già iniziato a usare bloccanti della pubertà o
ormoni sessuali incrociati prima del 1 agosto 2024, devono essere gradualmente
eliminati da questi farmaci entro il 31 gennaio 2025.
Il disegno di legge vieta inoltre l’uso di
fondi pubblici per pratiche di transizione di genere e vieta a “Medicaid” di
coprire o rimborsare tali procedure.
(Il Texas impone il DIVIETO sulle procedure
mediche legate al genere per gli adolescenti.)
Il
disegno di legge contiene anche disposizioni che rafforzano i diritti dei
genitori sulle questioni relative all’identità di genere all’interno delle
scuole.
L'”HB
4624” impone inoltre ai presidi o ai vice presidi scolastici di informare i
genitori o i tutori se uno studente richiede di utilizzare un nome, soprannome
o pronome diverso dal sesso assegnato alla nascita.
Inoltre,
il disegno di legge vieta ai dipendenti scolastici di nascondere ai genitori
informazioni sull'identità di genere di un bambino o di incoraggiare i bambini
a nascondere tali informazioni.
Inizialmente,
la Camera dei Rappresentanti USA aveva approvato il disegno di legge a gennaio.
Tuttavia, il Senato USA ha apportato modifiche
in modo che la Camera possa votare per adottare la versione del Senato oppure
si rivolgerà a un comitato di tre membri di ciascuna camera per risolvere le
differenze.
Nell’emendamento,
i consulenti per la salute mentale possono discutere i trattamenti vietati e
suggerire dove potrebbero essere ottenuti legalmente.
Gli
operatori sanitari possono anche autorizzare i bloccanti della pubertà per
condizioni come la pubertà precoce per bambini di età inferiore ai quattro
anni.
Il
disegno di legge, approvato il 9 maggio, entrerà in vigore immediatamente una
volta firmato dal governatore repubblicano “Henry McMaster”.
Studio:
I bloccanti della pubertà hanno effetti irreversibili.
Il
leader della minoranza democratica al Senato “Brad Hutto” ha criticato il
disegno di legge e ha sostenuto che il governo non ha nulla a che fare con le
"identità di genere" dei bambini.
"I
bambini nascono chi vogliono essere. I genitori si occupano dei bambini che
vengono da loro. I medici sono stati formati per occuparsi di bambini che hanno
problemi come questo. Il governo non ha davvero alcun ruolo in questo", ha
detto Hutto.
"Lasciate
che i bambini siano quello che sono."
Medici
e genitori che hanno testimoniato davanti alle commissioni legislative hanno
sottolineato che i minori nella Carolina del Sud non vengono sottoposti a
interventi chirurgici per la transizione di genere, mentre i trattamenti
ormonali iniziano solo dopo ampie consultazioni con gli operatori sanitari.
Hanno
affermato che questi trattamenti possono essere cruciali per migliorare la
salute mentale e il benessere generale dei giovani transgender.
Ma i
sostenitori del disegno di legge affermano che i bloccanti della pubertà
aumentano la tendenza all’autolesionismo e possono avere effetti irreversibili.
Un'analisi
di uno studio del 2011 ha rivelato che almeno il 34% dei bambini sottoposti a
farmaci che bloccano la pubertà sono "peggiorati in modo affidabile".
Lo
studio è stato condotto dall’University College London Hospitals (UCLH) e dal
Tavistock Centre Gender Identity Development Service.
Il
gruppo di soggetti valutati era di soli 44 soggetti, quindi la dimensione del
campione è piccola.
Tuttavia,
un buon numero di ragazzi tra i 12 e i 15 anni ha sofferto molto dopo che gli sono stati prescritti questi veleni
per diventare trans.
Esiste
un servizio di” Epoch TV” su un giudice della California che ha emesso una decisione bomba su un caso legato
ai transgender.
L'agenzia
di intelligence canadese
classifica
gli oppositori dell'ideologia
di
genere LGBT come una "minaccia violenta".
Lifesitenews.com
– Antonio Murdoch – (14-5-2024) – ci dice:
Il
Canadian Intelligence Service sostiene in un recente rapporto che le persone
che fanno parte del “movimento anti-gender” sono omofobiche e transfobiche.
OTTAWA
( LifeSiteNews ) – L'agenzia di intelligence canadese in un recente rapporto ha
affermato che i canadesi che si oppongono alle forme estreme dell'ideologia di
genere LGBT, che include coloro che credono semplicemente che si possa essere
solo un uomo o una donna, formano il "movimento anti-gender" ” che, a
suo avviso, potrebbe rappresentare una “minaccia violenta” continua nel corso
del prossimo anno.
Secondo
il suo rapporto annuale presentato di recente il 7 maggio alla Camera dei
Comuni, il “Canadian Security Intelligence Service” (CSIS) ha affermato di aver
valutato “l’esposizione a entità che sposano la retorica estremista
anti-genere” e che queste persone “potrebbero ispirare e incoraggiare gravi
violenze” contro la comunità “2SLGBTQIA+” o contro coloro che sono visti come
sostenitori di politiche ed eventi ideologici a favore del genere.''
Il
CSIS ha osservato che il cosiddetto “movimento anti-gender” potrebbe essere
definito come quelle persone contrarie ai “cambiamenti socio-culturali
rappresentati dall’integrazione e dall’accettazione della teoria di genere,
inclusa l’accettazione della comunità “2SLGBTQIA+”.
Secondo
l'agenzia, il cosiddetto "movimento anti-gender" è un movimento di
estremismo violento ideologicamente motivato (IMVE), gruppi che secondo lei
rappresentano una "minaccia significativa per la sicurezza nazionale del
Canada".
Il
CSIS rileva che le persone che fanno parte del “movimento anti-gender” sono
omofobiche e transfobiche.
L'agenzia
ha anche criticato le convinzioni religiose delle persone affermando che
"interpretazioni religiose, teorie del complotto o una paura generalizzata
del cambiamento socioculturale" sono fattori nelle persone con tendenze al
"movimento anti-genere".
Il
CSIS ha elencato l'ex studente dell'”Università di Waterloo” “Geovanny
Villalba-Aleman”, che è entrato nel corso di studi di genere nel giugno 2023 e
poi ha pugnalato due studenti e un professore.
“Villalba-Aleman”
è stato accusato di tentato omicidio e 11 reati in totale.
La
Corona ha chiesto di perseguirlo come terrorista.
Nonostante
abbia utilizzato l’esempio sopra riportato per sostenere le sue affermazioni,
il CSIS ha affermato che solo una piccola quantità di persone nel cosiddetto
“movimento anti-gender” rischierebbe di commettere forme estreme di violenza.
Secondo
gli insegnamenti della Chiesa cattolica e come affermato nella Bibbia, Dio creò
solo maschio e femmina.
Inoltre,
è un fatto biologico scientificamente provato che gli esseri umani nascono
uomini o donne.
Tuttavia,
le persone che sposano la “teoria del genere” affermano che il proprio genere
non è indicativo del proprio sesso biologico, che sia maschio o femmina, e che
si può appartenere a qualsiasi genere tra una miriade di una lista che continua
a crescere continuamente.
Il
CSIS ha affermato che sta dando priorità al monitoraggio del “movimento
anti-genere”.
Tuttavia,
secondo qualcuno che ha lavorato per 30 anni con la CSIS, la nota dell'agenzia
sull'“anti-gender” riguarda alcuni crimini d'odio e non rientrano nel suo
mandato.
Come
ha detto a “The Epoch Times “, “non fa parte del mandato del CSIS” perché “non
è politico, non è ideologico, non è religioso; è un crimine d’odio”.
"Mi chiedo davvero se qualcuno stia
dettando al servizio, 'vogliamo che tu evidenzi queste cose', cosa che non
credo che storicamente facessimo", ha osservato, aggiungendo che gli
sembra che "ci sia un programma in corso sistemato qui."
Il
governo federale del primo ministro Justin Trudeau si è spinto fino in fondo
nell’abbracciare e sostenere l’ideologia transgender radicale, inclusa la
cosiddetta “transizione” dei minori, introducendo allo stesso tempo leggi che
in superficie sembrano mirare ad aiutare i bambini.
Sotto
Trudeau, il governo federale ha
stanziato milioni di soldi dei contribuenti
per finanziare i gruppi LGBT e promuove in modo aggressivo un’agenda pro-LGBT.
Il suo budget per il 2024 comprende 150
milioni di dollari per promuovere l'ideologia "2SLGBTQI+" in patria e
all'estero.
I
giudici della Corte Suprema Thomas e Alito lanciano avvertimenti sullo Stato
d'America.
Zerohedge.com
- Tyler Durden - Tom Ozimek tramite The Epoch Times” – (4-5-2024) – ci dicono:
Venerdì,
in due diversi eventi, i giudici della Corte Suprema Clarence Thomas e Samuel
Alito hanno lanciato avvertimenti sullo stato delle cose in America oggi,
compreso il sostegno alla libertà di parola che “diminuisce pericolosamente” e
la capitale della nazione che sta diventando un luogo “orribile” dove la
cultura dell’annullamento è dilagante.
(I
giudici associati della Corte Suprema Elena Kagan (L), Clarence Thomas ((2L),
Samuel Alito (2R) e il Presidente della Corte Suprema John Roberts (R) arrivano
per i servizi per l'ex presidente George HW Bush al Campidoglio degli Stati
Uniti a Washington, il 3 dicembre , 2018.)
Il
giudice Thomas è intervenuto a una conferenza della Corte d'Appello degli Stati
Uniti per l'Undicesimo Circuito a Point Clear, in Alabama, mentre il giudice
Alito ha tenuto un discorso di apertura alla “Franciscan University” di
Steubenville, un college cattolico nell'Ohio, con entrambi i giudici di
mentalità conservatrice dipingendo un quadro oscuro, incoraggiando l’azione e
offrendo speranza.
All'evento
in Alabama, il moderatore, il giudice distrettuale “Kathryn Kimball Mizelle”,
ha chiesto al giudice Thomas di commentare cosa vuol dire lavorare "in un
mondo che sembra meschino".
"Penso
che ci siano delle sfide in questo", ha detto il giudice Thomas.
"Siamo in un mondo e noi - certamente io e mia moglie negli ultimi due o
tre anni siamo stati - solo la cattiveria e le bugie, è semplicemente
incredibile."
Il
giudice Thomas ha dovuto affrontare un duro attacco da parte dei democratici
che lo accusano di aggirare le regole di divulgazione, di corruzione in
generale e di essere troppo a suo agio con i ricchi repubblicani.
Non
sono stati in grado di indicare alcun caso giudiziario specifico in cui la
giustizia si è comportata male. Alcuni attivisti hanno addirittura spinto per
l'impeachment del giudice Thomas.
Al
contrario, lo scorso anno oltre 100 ex impiegati della Corte Suprema hanno
firmato una lettera aperta in difesa dell’integrità del giudice Thomas,
definendolo un uomo dai “principi incrollabili” la cui indipendenza è
“incrollabile”.
Hanno
definito varie storie critiche che lo hanno preso di mira come “maliziose” e
“perpetuando l’orribile presupposto che la giustizia non possa pensare da
sola”.
“Fanno
parte di un attacco più ampio alla Corte e alla sua legittimità come
istituzione”, si legge inoltre nella lettera.
"L'immagine
che dipingono della Corte e dell'uomo per il quale abbiamo lavorato non ha
alcuna somiglianza con la realtà."
I
sondaggi d’opinione suggeriscono che la fiducia del pubblico nella Corte
Suprema è recentemente scesa a nuovi minimi.
Rispondendo
alle critiche, il giudice Thomas ha affermato alla conferenza dell'Alabama che
Washington è diventata un luogo "orribile" in cui "le persone si
vantano di essere orribili", mentre descrive l'America oltre la Beltway
come un luogo in cui le persone normali "non sono orgogliose di fare cose
dannose”.
Il
giudice Thomas ha anche espresso preoccupazione per il fatto che gli scritti
dei tribunali siano diventati inaccessibili alla persona media, generando un
senso di alienazione.
"Penso
che le persone normali vengano private dei diritti civili a volte dal modo in
cui parliamo dei casi", ha detto il giudice Thomas, esprimendo la speranza
che la situazione possa cambiare.
"È
dura là fuori"
Il
giudice Alito ha avvertito i laureati del “Catholic College dell'Ohio “che la
libertà di parola e di religione sono entrambe attaccate nell'America di oggi,
esprimendo al contempo la speranza che i giovani prendano il sopravvento e
combattano per un cambiamento positivo.
Nel
suo discorso, il giudice Alito ha fatto riferimento alla “cultura pop”, in
particolare al discorso di laurea pronunciato dal personaggio “Thornton Melon”
(interpretato da Rodney Dangerfield) nel film “Ritorno a scuola”.
Ha
citato scherzosamente il consiglio del signor Melon ai laureati, che era di non
uscire per il mondo dopo la laurea perché "è dura là fuori" e invece
tornare a vivere con i genitori, lasciare che paghino tutti i conti e
"preoccuparsi di questo". "
"
Come ha detto il signor Melon, la situazione è dura là fuori ", ha detto
il giudice Alito.
“Probabilmente la situazione là fuori adesso è
più dura di quanto non lo sia stata da molto tempo. Ma è proprio per questo che
il vostro contributo sarà così importante”.
Il
giudice Alito ha affermato che, fuori dalle mura del campus, “le acque agitate
si infrangono contro alcuni dei nostri principi fondamentali”, riferendosi alla
libertà di parola.
“Il
sostegno alla libertà di parola sta diminuendo pericolosamente”, ha continuato,
sottolineando che questo problema è particolarmente acuto nei campus
universitari, che secondo lui sono luoghi dove lo scambio di idee dovrebbe
essere maggiormente protetto.
“Pochissime
università sono all’altezza di questo ideale. Questo posto è uno di questi… ma
le cose non sono così nel resto del mondo”, ha detto il giudice Alito.
Ha
anche sollevato la questione della libertà di religione “in pericolo”,
sottolineando che i laureati potrebbero trovarsi in posti di lavoro o in
contesti sociali in cui saranno spinti a rinunciare alle proprie convinzioni o
ad adottare quelle che ritengono moralmente discutibili.
“Starà
a voi restare saldi”, ha detto.
In
particolare, il giudice Alito è l’autore della sentenza del 2022 che ha
ribaltato “Roe v. Wade” e ha affidato agli stati la questione della decisione
sul diritto di aborto.
“GENOCIDA
JOE” SUBISCE
UN ALTRO MORTIFICANTE
SCHIAFFO ALLE NAZIONI UNITE
Comedonchisciotte.org
- Markus – (13 Maggio 2024) - Mike Whitney - unz.com – ci dice:
In un
chiaro rifiuto delle politiche e della leadership degli Stati Uniti in Medio Oriente,
l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato a stragrande maggioranza a
sostegno della candidatura palestinese a membro a pieno titolo delle Nazioni
Unite.
I media occidentali hanno per lo più ignorato
il voto di venerdì, poiché i risultati, ampiamente attesi, rappresentano un
altro duro colpo per Washington.
L’esito del voto è un duro colpo per la
fallimentare politica di Gaza dell’amministrazione Biden e una chiara
indicazione del fatto che il sostegno generalizzato dell’America al genocidio di
Israele sta aumentando l’isolamento e l’irrilevanza di Washington.
Il
voto dell’assemblea è stato di 143 a 9, il che significa che l’influenza
diplomatica degli Stati Uniti si è erosa al punto che la Casa Bianca è riuscita
a malapena a costringere 8 dei suoi Stati vassalli più fedeli a respingere la
mozione.
È
indispensabile che i cittadini comprendano appieno il significato di questo
voto, che suggerisce che il cosiddetto “Ordine basato sulle regole” è una
frode che
ha fatto il suo tempo e che diventa ogni giorno più anemica.
Inoltre, il voto fornisce la prova
inconfutabile che il secolo americano è ufficialmente finito e che la
stragrande maggioranza delle nazioni del mondo non è più disposta a rispettare
gli egoistici editti di Washington.
Naturalmente,
l’inviato di Israele alle Nazioni Unite, “Gilad Erdan”, ha colto l’occasione – non per esprimere il suo rimorso per
la sua partecipazione alla sadica furia della sua nazione a Gaza – ma per rimproverare gli altri
membri dell’assemblea per aver agito coraggiosamente su una questione di
principio.
Senza
un briciolo di ironia, “Erdan” ha accusato gli altri membri dell’assemblea con
queste parole:
“State
distruggendo la Carta delle Nazioni Unite con le vostre stesse mani. Sì, sì, è
questo che state facendo. State facendo a brandelli la Carta delle Nazioni
Unite“.
Quello
che “Erdan” ha omesso di dire è che Israele detiene il record mondiale di
violazioni delle risoluzioni dell’ONU e che non c’è una legge internazionale
che non abbia infranto impunemente.
Israele aveva già deciso da tempo che il suo
futuro dipendeva dalla capacità di usare il più grande prepotente del mondo come guardia del corpo personale, e
questo gli ha permesso di ignorare qualsiasi limite legale o morale che ponesse
un freno al suo comportamento.
Questo è un estratto da un articolo del “Guardian
britannico”:
La
risoluzione di venerdì …. non rende la Palestina un membro a pieno titolo, né
le conferisce il diritto di voto nell’assemblea o il diritto di candidarsi come
membro del Consiglio di sicurezza.
Nonostante
questo il voto è stato una clamorosa espressione dell’opinione mondiale a
favore della statualità palestinese, galvanizzata dal continuo spargimento di
sangue e dalla carestia causati dalla guerra di Israele a Gaza.
Anche
prima del voto in assemblea, venerdì mattina, Israele e un gruppo di
personalità di spicco repubblicane avevano chiesto che i finanziamenti
statunitensi [all’ONU] venissero comunque tagliati a causa dei nuovi privilegi
concessi dalla risoluzione alla missione palestinese.
La
missione statunitense all’ONU, che ha votato contro la risoluzione, ha
avvertito che avrebbe usato nuovamente il veto se la questione dell’adesione
della Palestina fosse tornata al Consiglio di Sicurezza per un’altra votazione.
“Gli
sforzi per portare avanti questa risoluzione non cambiano il fatto che
l’Autorità Palestinese non soddisfa attualmente i criteri per l’adesione
all’ONU secondo la Carta delle Nazioni Unite”, ha dichiarato il portavoce della
missione, “Nathan Evans”.
“Inoltre,
la bozza di risoluzione non modifica lo status dei palestinesi come “Stato
osservatore non membro”.
( UN
general assembly votes to back Palestinian bid for membership, The Guardian).
Cercate
di capire quanto sia ipocrita e moralmente fallimentare la posizione degli
Stati Uniti.
Negli ultimi 57 anni, sia i Repubblicani che i
Democratici, hanno fatto il tifo per una soluzione a due Stati basata sulla
Risoluzione 242 dell’ONU, che impone a Israele di rimuovere i suoi insediamenti
dalle terre palestinesi occupate a Gaza e in Cisgiordania.
“Via
dalla terra palestinese e ci sarà la pace”.
Questa
è sempre stata la politica degli Stati Uniti, sostenuta dal diritto
internazionale.
Ma
ora, sotto Biden, gli Stati Uniti non solo si oppongono alla creazione di uno
Stato palestinese (che migliorerebbe le loro possibilità di ottenere un accordo
equo), ma forniscono anche il denaro, le bombe e il supporto logistico per
l’eradicazione 2 milioni di palestinesi.
Questa, in poche parole, è la politica di
Biden e, nel caso non l’aveste notato, è un chiaro allontanamento da più di
mezzo secolo di politica estera statunitense.
Il
motivo per cui Biden è ora comunemente chiamato “Genocida Joe” è che sta
violando unilateralmente il diritto internazionale fornendo sostegno materiale
alla barbarie israeliana, il che rende lui e gli Stati Uniti ugualmente
colpevoli dell’annientamento premeditato del popolo palestinese.
Ecco altre notizie dal “Guardian”:
…la
risoluzione chiarisce anche che “lo Stato di Palestina, in qualità di Stato
osservatore, non ha il diritto di votare all’Assemblea generale o di presentare
la propria candidatura agli organi delle Nazioni Unite”.
…. “In
sostanza, la risoluzione dà ai palestinesi la mera apparenza di far parte delle
Nazioni Unite, senza gli attributi fondamentali di un vero membro, che sono il potere di
voto e il diritto di candidarsi al Consiglio di sicurezza”. ….
Nonostante
la formulazione della risoluzione chiarisca che la Palestina non avrà diritto
di voto, Israele
ha chiesto agli Stati Uniti di tagliare i fondi per le Nazioni Unite a causa
della risoluzione e un gruppo di senatori repubblicani ha annunciato di voler
presentare una legge in tal senso.
…. Il
senatore “Mitt Romney” ha dichiarato in una nota scritta.
“La nostra legislazione taglierebbe i
finanziamenti dei contribuenti statunitensi alle Nazioni Unite se queste
concedessero ulteriori diritti e privilegi all’Autorità Palestinese e all’OLP”.
(The
Guardian)
Carino,
eh? Il voto non è andato come voleva e ora lo Zio Sam, “si riprenderà la palla e tornerà a casa”.
Questo
si chiama “essere piagnucoloni” e spiega perché sempre più leader si uniscono
ad un blocco alternativo di nazioni chiamato BRICS.
Non
c’è motivo di allinearsi con una superpotenza in declino così moralmente
corrotta da credere che essere complici di una strage sia una politica estera
accettabile.
(Nota: gli altri Paesi che si sono opposti alla
richiesta di adesione della Palestina sono Micronesia, Argentina, Ungheria,
Nauru, Palau, Papua, Nuova Guinea e Israele. L’elenco contribuisce a illustrare
l’inefficacia della diplomazia statunitense, che è praticamente crollata sotto
la guida di Anthony Blinken).
Non
sorprende che il Rappresentante permanente della Russia, “Vassily Nebenzia”,
abbia offerto l’analisi più intelligente. Ecco cosa aveva detto poco prima del
voto:
È
nostro dovere comune correggere l’ingiustizia storica che riguarda le
aspirazioni dei palestinesi ad un proprio Stato sovrano unificato, che avrebbe
dovuto essere ammesso alle Nazioni Unite già nel 1948.
Siamo
convinti che la piena adesione della Palestina alle Nazioni Unite
contribuirebbe a parificare le posizioni negoziali di partenza con Israele, che
aveva ottenuto lo status di Stato membro dell’ONU più di 75 anni fa.
L’ammissione
dello Stato di Palestina alle Nazioni Unite sarebbe il primo passo concreto
verso una giusta soluzione della questione palestinese sulla piattaforma
approvata dall’ONU e all’interno del quadro giuridico internazionale
universalmente riconosciuto……
Questo
processo dovrebbe portare all’attuazione della soluzione dei due Stati,
riconosciuta a livello internazionale, che prevede la coesistenza di Israele in
pace e sicurezza con la Palestina nei confini del 1967 e con capitale a
Gerusalemme Est.
Affinché questo dialogo abbia successo,
Israele e Palestina devono essere su un piano di parità, in conformità con le
decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite….
….Quando
questa bozza di risoluzione sarà adottata, la Palestina… riceverà una serie di
opportunità aggiuntive, in modo che possa operare più efficacemente all’interno
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e nelle riunioni che si tengono
sotto l’egida dell’UNGA.
La consideriamo un’opportunità per correggere almeno
in parte l’ingiustizia storica nei confronti del popolo palestinese, che da
tempo soffre e che negli ultimi sette mesi ha visto morire un numero senza
precedenti di civili inermi …
… La
Palestina deve diventare un membro a pieno titolo dell’ONU…. Riteniamo che
l’elemento più importante di questa bozza sia contenuto nella raccomandazione
al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di riconsiderare la richiesta di
adesione della Palestina alle Nazioni Unite.
È un
obbligo morale per tutti noi.
Solo
la piena adesione permetterà alla Palestina di unirsi agli altri membri
dell’Organizzazione e di esercitare pienamente i diritti che questo status
comporta.
…Il popolo palestinese se lo merita da tempo.
(Statement
by Permanent Representative “Vassily Nebenzia “at the 10th Emergency Special
Session of the General Assembly)
Ben
detto.
In
conclusione:
Biden
e i suoi collaboratori non vogliono che i palestinesi abbiano un proprio Stato,
ed è per questo che stanno aiutando Israele ad annientare la popolazione
autoctona e a sostituirla con coloni ebrei.
Fortunatamente,
secondo il diritto internazionale, i Territori Occupati saranno terra
palestinese in perpetuo e non c’è nulla che gli Stati Uniti o Israele possano
fare al riguardo.
(Mike
Whitney - unz.com)
(unz.com/mwhitney/genocide-joe-suffers-another-mortifying-slap-down-at-the-united-nations/)
Chi ha
cercato di togliere il
tappeto
a Netanyahu, e perché?
Unz.com
- ALASTAIR CROOKE – (13 MAGGIO 2024) – ci dice:
La
giovane generazione americana di oggi dice: non ci identificheremo con sospette
tendenze genocide contro un popolo indigeno.
Le
questioni centrali al centro del rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza erano
due: la completa cessazione della guerra e il ritiro completo di tutte le forze
israeliane.
La
posizione di Netanyahu era che, qualunque fosse stato l'esito degli ostaggi,
l'esercito israeliano sarebbe tornato a Gaza e che la guerra sarebbe continuata
per dieci anni, ha detto.
Queste
sono state le parole più delicate della politica israeliana, con la politica
israeliana elettricamente polarizzata intorno a loro.
La
continuazione o la caduta del governo israeliano potrebbe dipendere da loro:
la
destra aveva avvertito che avrebbe lasciato il governo a meno che l'invasione
di Rafah non avesse avuto il via libera;
la posizione di Biden, tuttavia, è stata
comunicata a Netanyahu per telefono non solo come "niente luce di
Rafah", ma piuttosto "Rafah zero".
Poi
queste parole esplosive – cessazione delle operazioni militari e ritiro
completo di Israele – sono esplose nel testo finale concordato dai mediatori al
Cairo; e successivamente a Doha, lunedì, cogliendo Israele di sorpresa.
Il capo della CIA Bill Burns aveva rappresentato gli
Stati Uniti in entrambe le sessioni, ma Israele aveva scelto di non inviare una
squadra di negoziatori.
Diverse
fonti israeliane confermano che gli americani non hanno dato alcun
"avvertimento" di ciò che stava per accadere:
“Hamas”
ha annunciato l'accordo bomba;
Gaza è
esplosa in festeggiamenti per la vittoria, e grandi proteste hanno assediato il
governo di Gerusalemme, chiedendo l'accettazione delle condizioni di “Hamas”.
Era teso.
C'era
un sentore di guerra civile nelle enormi proteste.
Il
governo israeliano sostiene di essere stato "giocato" dagli americani
(cioè da Bill Burns).
Era.
Ma a
quale scopo? Biden è stato irremovibile sul fatto che un'incursione a Rafah non
dovesse procedere.
Era
questo il mezzo di Burns per raggiungere quell'obiettivo?
Usare
"giochi di prestigio" nei negoziati (inserendo le parole "linea
rossa") nel testo senza dirlo a Tel Aviv per ottenere il "sì" da
parte di Hamas?
O era
per accelerare un cambio di governo in Israele?
La sua politica su Gaza ha imposto al Partito
Democratico un pesante tributo in campagna elettorale.
In
ogni caso – dopo l'annuncio bomba di Hamas – l'esercito israeliano ha fatto
"Rafah light", prendendo il corridoio vuoto di Filadelfia (in
violazione degli accordi di Camp David), subendo poche vittime, ma mantenendo
intatto il governo di Netanyahu.
Forse
il piccolo inganno per convincere Hamas a dire "sì" è stato visto a
Washington come un abile stratagemma, ma le sue conseguenze sono incerte: Netanyahu e la destra condivideranno
oscuri sospetti sul ruolo degli Stati Uniti.
Washington
si è mostrata (a loro avviso) come un avversario.
Questo episodio renderà la destra più
determinata?
Meno pronto a scendere a compromessi?
In
questo contesto, la divisione di base all'interno dell'attuale politica
israeliana è saliente.
Una
piccola maggioranza di israeliani (54%) ritiene che ci sia legittimità nel
paragone tra l'olocausto e gli eventi del 7 ottobre.
E possiamo vedere che la fusione di Hamas con
il partito nazista è sempre più comune tra i leader israeliani (e statunitensi)
– con Netanyahu che descrive Hamas come "i nuovi nazisti".
Che
siamo d'accordo o meno, ciò che viene detto qui attraverso questa
categorizzazione è che una pluralità di israeliani nutre timori esistenziali
che la tempesta che li circonda sia l'inizio di un "nuovo olocausto"
– che, a sua volta, implica che l'amorfismo "Mai più" si traduce in
un'ingiunzione binaria di uccidere o essere uccisi (attingendo ai testi biblici
per la convalida talmudica).
Capire
questo significa capire perché quelle poche parole inserite nella proposta
negoziale sono state così esplosive.
Hanno
insinuato (secondo l'opinione di metà degli israeliani) che non avrebbero avuto
altra scelta che "vivere" o "morire" sotto la minaccia di
un nuovo olocausto (con Hamas predominante a Gaza e Hezbollah nel nord).
L'altra
parte dell'opinione pubblica israeliana è meno apocalittica:
credono
che un certo ritorno all'occupazione e allo status quo ante potrebbe essere
possibile, soprattutto se gli Stati Uniti riuscissero a persuadere gli Stati
arabi – insieme a Israele – a eliminare Hamas da Gaza e ad accettare di sorvegliare una
Striscia demilitarizzata e deradicalizzata.
Da un
punto di vista cinico, forse la pratica di "falciare il prato" (come
sono eufemisticamente conosciute le periodiche incursioni dell'IDF per uccidere
i militanti) potrebbe essere meno spaventosa dell'idea per gli israeliani di
dover combattere una guerra esistenziale.
In
questo contesto, il 7 ottobre sarebbe visto come un "taglio del
prato" fuori misura, ma non come qualcosa che richieda un cambiamento più
radicale dello stile di vita.
Il
fatto che i rappresentanti di questa corrente nel gabinetto di guerra
israeliano non si siano dimessi dal governo dopo aver appreso del successivo
rifiuto da parte di Netanyahu della proposta di Hamas può essere collegato al
fatto che la normalizzazione saudita con Israele non è ora in prospettiva – la
normalizzazione saudita è il pilastro da cui potrebbe essere raggiunto un certo
ritorno allo status quo ante.
Tutto
ciò mette in discussione le motivazioni dei membri del Gabinetto di Guerra che
chiedono a Israele di accettare le condizioni di Hamas.
Mentre
l'empatia per le famiglie degli ostaggi è comprensibile, non affronta le crisi
sottostanti – al di là del pio desiderio che il mondo arabo si unisca in
un'unità anti-iraniana e tiri fuori Israele dal suo enigma dell'occupazione.
Questo
potrebbe consolare la Casa Bianca di fronte alle proprie difficoltà elettorali,
ma non è certo una strategia sostenibile.
La
notizia bomba dell'accordo con Hamas ha probabilmente alimentato altri due
fattori che stanno colorando il sentimento in Israele:
Netanyahu, rinomato per le sue presunzioni
politiche, e che tiene il dito al vento in mano, rileva, dice, che l'elettorato
israeliano sta scivolando a destra.
Sta
diventando sempre più fiducioso di poter vincere le prossime elezioni generali
israeliane.
Il
primo fattore sono le proteste studentesche che si stanno svolgendo in tutto
l'Occidente; e la seconda è la minaccia che la CPI possa emettere mandati di
arresto per il primo ministro e altri leader di spicco.
David
Horovitz, l'editore del “Times of Israel”, scrive che:
"L'obiettivo
di fondo degli accampamenti e delle marce alla Columbia, Yale, NYU e negli
altri campus è quello di rendere Israele indifendibile – in entrambi i sensi
della parola – e quindi privare Israele dei mezzi diplomatici e militari per
sopravvivere allo sforzo in corso per la sua distruzione – come effettuato
dall'Iran e dai suoi alleati e delegati.
Alla
radice di questa strategia c'è, ovviamente, il più antico degli odi".
In
altre parole, “Horovitz” sta identificando la maggioranza dei manifestanti
studenteschi non tanto come aventi empatia umana per la difficile situazione
degli abitanti di Gaza, ma come fornitori di "soft-power"
dell'olocausto.
Horovitz conclude che "se quegli stati
nemici, gli eserciti terroristi e i loro facilitatori la fanno finita con
Israele, verranno a prendere gli ebrei ovunque".
L'ultimo
elemento riguarda il presunto mandato d'arresto emesso dalla CPI. Netanyahu ha
un ego enorme, forse più della maggior parte dei politici;
eppure
non c'è dubbio che, nonostante la rabbia rivolta contro di lui per gli errori
del 7 ottobre, egli è indiscutibilmente il portabandiera di quella parte
dell'elettorato israeliano che crede – come Horovitz – che Israele stia
affrontando uno sforzo concertato per distruggere lo Stato sionista.
Il
mandato d'arresto, quindi, è percepito come qualcosa di più di un semplice
attacco a un individuo, ma più come una parte di quel più ampio sforzo (secondo
Horovitz) di travisare Israele e di privarlo dei mezzi diplomatici per
difendersi.
Non
c'è bisogno di aggiungere che questo non è il punto di vista nel resto del
mondo, ma serve a sottolineare quanto l'opinione pubblica israeliana stia
diventando ripiegata su sé stessa, isolata e impaurita.
Questi
sono segnali di allarme.
Le
persone disperate fanno cose disperate.
La
realtà è che Israele ha tentato di stabilire una colonizzazione di epoca
avanzata su terre con popolazione indigena.
La prima fase della rivolta contro il
colonialismo è scoppiata nell'era post-Seconda Guerra Mondiale.
Stiamo vivendo la seconda fase del sentimento
anticoloniale radicale globale (che si manifesta strategicamente come BRICS),
ma che prende di mira l'odierno colonialismo finanziarizzato che si presenta
come l'"Ordine Basato sulle Regole".
Gli
israeliani appendono abitualmente due bandiere in occasioni speciali: la
bandiera israeliana e, accanto, la bandiera degli Stati Uniti. "Anche noi
siamo americani: siamo i 51San Stato', direbbero gli israeliani.
"No",
dice la giovane generazione americana di oggi: non ci identificheremo con sospette
tendenze genocide contro un popolo indigeno.
Non
c'è da stupirsi che alcune delle élite dominanti stiano cercando disperatamente
di mettere fuori legge le narrazioni critiche.
Se
Israele è l'obiettivo oggi, domani le narrazioni potrebbero criticare
l'agevolazione del massacro coloniale da parte di Washington?
Loro (il team di Biden), per caso, hanno
giocato a togliere il tappeto da sotto i piedi a Netanyahu – per preservare lo
status quo in Israele un po' più a lungo (almeno fino a dopo le elezioni
statunitensi)?
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