Competitività dell’industria europea.

 

Competitività dell’industria europea.

 

 

 

Mentre da noi i media ci inondano

sulla ricattatrice di Gennaro” il pirla”.

 Maurizioblondet.it - Maurizio Blondet - (5 Settembre 2024) – ci dice:

 

Le notizie vere che non vi danno:

 

La proposta di Mario Draghi per le armi: via i vincoli ambientali e appalti centralizzati come per i vaccini.

Il “rapporto sulla competitività” che oggi sarà presentato da Mario Draghi a Bruxelles propone di semplificare e intensificare la produzione di armi in Europa.

Tra i suggerimenti, la deroga ai vincoli ambientali e sociali e la creazione di una centrale unica per gli appalti ispirata alla procedura di acquisto dei vaccini Covid, per la quale Ursula von Der Leyen è sotto inchiesta da parte della Procura europea.

A volte ritornano:

Mario Draghi è atteso oggi al Parlamento europeo per la presentazione del suo rapporto sulla competitività dell’Unione Europea.

Non si tratterà di una assemblea plenaria, ma di una riunione a porte chiuse con la presidente dell’Europarlamento “Roberta Mestola” e pochi altri.

La relazione sarà presa in grande considerazione per il programma di lavoro della prossima Commissione europea.

Ursula von der Leyen aveva annunciato di aver affidato questo incarico all’ex presidente del Consiglio circa un anno fa:

“ho chiesto a Mario Draghi, una delle grandi menti economiche europee, di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea. “

 Non si può fare altrimenti, perché “l’Europa farà ‘tutto il necessario’ per mantenere il suo vantaggio competitivo”, aveva detto la presidente della Commissione UE.

La presentazione del rapporto era già stata programmata e piu’ volte rimandata nei mesi scorsi.

L’edizione europea di “Politico” ha riferito di averne letto alcuni passaggi, secondo le anticipazioni pubblicate, più che un piano industriale per l’Unione Europea, quello redatto da Mario Draghi sembra un piano di guerra.

Nelle premesse l’ex presidente del Consiglio evoca i rischi per la sicurezza del Vecchio continente rappresentati dalla Russia:

“Con il ritorno della guerra nelle immediate vicinanze dell’UE, l’emergere di nuovi tipi di minacce ibride e un possibile spostamento dell’attenzione geografica e delle esigenze di difesa degli Stati Uniti, l’UE dovrà assumersi una crescente responsabilità per la propria difesa e sicurezza”, ha scritto Draghi.

Per far fronte alle presunte minacce, nel rapporto viene suggerita la creazione di una “Autorità per l’industria della difesa”, una sorta di centrale unica per gli appalti che dovrebbe replicare il modello di acquisto centralizzato dei vaccini Covid.

Una proposta già avanzata da Ursula von Der Leyen, che aveva indicato quella procedura come esempio da seguire, nonostante l’inchiesta che pende su di lei proprio per le modalità attraverso cui era arrivata alla stipula dei contratti con Pfizer.

 La famigerata vicenda dei messaggini privati con il capo della multinazionale farmaceutica Albert Bourla.

Tra le altre proposte per semplificare la vita all’industria delle armi, Mario Draghi propone la rimozione dei divieti per le aziende di accedere ai finanziamenti UE, compresi quelli della Banca europea per gli investimenti e, ciliegina sulla torta, la modifica dei quadri di finanza sostenibile, ambientali e sociali dell’UE a beneficio del settore.

Come dire:

vanno bene le politiche green che stanno affossando l’industria europea e rendendo la vita impossibile ai cittadini, ma quando si parla di armi possiamo, anzi dobbiamo, chiudere un occhio.

 

 

 

«DISINFORMAZIONE, CENSURA.

IL GHIGNO DI GOEBBELS»

  Inchiostronero.it - Roberto Pecchioli – (10 -9-2024) – ci dice:

 

La chiamano democrazia, ma è democratura.

Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, scrisse Agatha Christie.

Se gli indizi si contano a decine, l’evidenza fa tremare i polsi.

 Parliamo del rapidissimo declino della libertà di pensiero e di espressione nell’avanzato, progredito mondo occidentale.

 L’espediente è bollare come disinformazione o falsa notizia (fake news, nel grugnito globish) ogni espressione di dissenso.

Le tavole della Verità sono possedute in regime di monopolio dai vertici del potere ed amministrate da un clero regolare di servi: giornalisti, intellettuali, politici.

Chi disinforma – ossia esprime la sua opinione – viene prima ridicolizzato e screditato, quindi sottoposto a procedura penale.

DEMOCRATURA – Charlie Chaplin è “Adenoid Hynkel” durante un discorso nel film Il grande dittatore (1940).

La chiamano democrazia, ma è democratura.

Le forme apparenti restano quelle della democrazia rappresentativa, la sostanza è la dittatura di un pensiero unico espresso a voci unificate.

Il termine democratura, coniato dall’uruguaiano “Eduardo Galeano”, fu descritto negli anni Sessanta dallo svedese “Wilhelm Mobber.”

“In una democratura vengono preservate elezioni generali libere, anche la libertà di parola è formalmente preservata, ma la politica e i media sono controllati da un sistema che cerca di garantire che solo determinate opinioni siano discusse pubblicamente.

 La conseguenza è che i cittadini vivono in una società influenzata da immagini distorte della realtà.

L’oppressione delle opinioni inappropriate è ben nascosta, il libero dibattito è soffocato.”

Siamo decisamente oltre.

L’attacco alla libertà di espressione, associazione e pensiero avanza ogni giorno; gli indizi si accumulano e diventano prove schiaccianti.

 L’arresto del fondatore di Telegram, la messaggeria restia a condividere con il potere le comunicazioni, con accuse assai simili a quelle mosse contro Julian Assange, è il segnale più sinistro.

Ma che dire degli attacchi del gerarca dell’UE “Thierry Breton” a “X” di Elon Musk e i divieti imposti in Brasile?

Nel caso sudamericano, il sicario è un magistrato noto per le azioni giudiziarie contro l’ex presidente Bolzonaro.

Mark Zuckerberg ammette di avere censurato contenuti sgraditi al governo americano (democratico, democraticissimo) e al potere fintech.

 Nessuna indignazione:

l’uomo dalla maglietta grigia è uno dei loro.

In Inghilterra gli arresti contro chi ha manifestato – o espresso opinioni – contro omicidi perpetrati da stranieri riportano l’orologio della libertà, a prima del 1215 in cui fu emanata la” Magna Charta libertatum”.

 Il Regno Unito ha il poco invidiabile primato di un prigioniero politico di undici anni, arrestato per aver partecipato alle dimostrazioni anti immigrazione.

Nulla di nuovo:

ricordate Dickens, i bambini in prigione, i cenciosi piccoli operai di otto, nove anni nelle industrie del XIX secolo?

Il progresso marcia all’indietro.

 I contenuti, le idee, le opinioni, le espressioni non in linea sono diventate “dannose”.

Possono essere vietate, con processi penali a carico dei reprobi, disinformatori, colpevoli di odio.

In Francia ai partiti di sinistra è negato di formare il governo dal presidente Macron.

 La giustificazione è una confessione in piena regola:

un esecutivo conforme all’esito elettorale minerebbe la “stabilità”.

Ossia, cambiare, se così vuole il popolo, il sovrano detronizzato dall’oligarchia, è vietato.

Votare, Macron lo dice con chiarezza, non serve a nulla.

 Le elezioni valgono solo se vincono lorsignori.

Il giovin signore di “casa Rothschild” ha impedito il successo di “Marine Le Pen” sostenendo i candidati della sinistra a cui ora nega il diritto di governare.

Nulla di diverso in Germania, dove le elezioni locali hanno sancito il trionfo di due forze non di sistema,

“Alternative fuer Deutschland” e il movimento social populista di “Sahra Wagenknecht”, ma tutti si coalizzano per impedire loro di amministrare i Laender.

La distopia, base della nostra epoca.

Negli Stati Uniti l’avversione a Trump dell’establishment dominante arriverà a far uscire a pochi giorni dalle elezioni presidenziali un film prodotto, scritto e pensato contro di lui dalla fortezza progressista di Hollywood.

 Si dice che a New York sia mobilitata la Guardia Nazionale per un eventuale arresto – nella terra della libertà – del candidato repubblicano il 18 settembre, in coincidenza con un dubbio processo a suo carico.

In Canada si è multati se non si usa il pronome giusto per indicare persone “non binarie”, in Irlanda si è incarcerati per lo stesso motivo.

Pregare pubblicamente contro l’aborto – anche in silenzio – porta diritti in prigione.

 Jordan Peterson, famoso psichiatra canadese, è condannato alla “rieducazione” per le sue convinzioni anti-gender.

 In Germania il partito “Afd” è attenzionato (avanza il lessico questurino) in quanto “estremista” e si cerca di impedire che abbia accesso ai fondi pubblici.

Piccoli gulag crescono dappertutto in Occidente.

Viene da sorridere pensando a “Emanuele Fiano”, il deputato (democratico) che vuole soltanto chiudere alcuni negozietti nostalgici e vietarne i gadget.

 Nel dibattito pubblico è minimo lo spazio per posizioni plurali, documentate, dialettiche.

Il sistema della comunicazione riceve le notizie (le veline…) da agenzie di stampa possedute dai colossi finanziari e industriali.

 Tutto è propaganda e pubblicità, indistinguibile dall’informazione, dall’intrattenimento, dalla cultura.

La pubblicità è l’onnipresente strumento di menzogna istituzionalizzata, che mente per indurci ad acquistare merci, idee, visioni del mondo con parole suadenti e musica di sottofondo.

Il linguaggio della contemporaneità è un codice fondato sulla bugia e l’alterazione programmatica della verità;

l’obiettivo è persuadere con artifici psicologici – molti dei quali inavvertiti – a fare propri prodotti, stili di vita, informazioni, credenze.

 Un inventore della moderna comunicazione, “Walter Lippmann”, teorizzò la necessità di inculcare stereotipi con cui imporre una visione del mondo. Preconcetti, schemi indotti diventano l’unica griglia interpretativa: stravolgimenti metodici della verità.

 Spettatori passivi, recettori disinteressati al vero, accettiamo che un concetto, un’opinione, siano verità perché certificati da un’istituzione.

L’appello all’autorità scavalca la verità. 

La pubblicità è l’architrave della società.

Alzi la mano chi avrebbe accettato, vent’anni fa, di sopportare messaggi continui, reiterati, pervasivi, onnipresenti, in televisione, alla radio, sulle strade, ovunque.

La forma merce è la chiave dell’intera società.

Tracima nelle notizie il cui ritmo incalzante è fatto per confondere e inibire la riflessione, nei messaggi che ci raggiungono anche in maniera inconscia.

 Negli anni Cinquanta “Vance Packard” svelò l’utilizzo, nella comunicazione, di messaggi subliminali di cui il pubblico non si avvede ma che riescono ad orientare scelte, idee, comportamenti.

La parola latina propaganda (“ciò che deve essere diffuso”) venne utilizzata nel senso oggi corrente da “Edward Bernays”, padre della comunicazione pubblicitaria.

 Il nostro tempo è la vittoria sua, di “Joseph Goebbels”, artefice della propaganda del “Terzo Reich” e di “Andrej Zdanov”, regista della “politica culturale sovietica”, teorico della “disinformacjia”, la disinformazione istituzionalizzata.

L’Occidente contemporaneo, grazie alla tecnologia, alla psicologia e alle neuroscienze, supera i maestri.

 In nome della democrazia e del progresso, suprema, raffinatissima vittoria.

Paul Joseph Goebbels.

“Se dici una bugia abbastanza grande e continui a ripeterla, le persone finiranno per crederci.

 La menzogna può essere mantenuta solo finché lo Stato può proteggere il popolo dalle conseguenze politiche, economiche e militari della menzogna.

Pertanto, è di vitale importanza che lo Stato utilizzi tutti i suoi poteri per reprimere il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna e, per estensione, la verità è il più grande nemico dello Stato.”

La frase è attribuita a Goebbels.

 Insomma, se devi mentire sparala grossa, poiché nel potere c’è una forza di persuasione capace di sfruttare la credulità popolare.

“Nella primitiva semplicità del loro animo cadono più facilmente vittime della grande menzogna che della piccola menzogna, poiché essi stessi spesso dicono piccole bugie su piccole cose, ma si vergognerebbero di ricorrere a falsità su larga scala.

 Non verrebbe loro mai in mente di inventare colossali falsità, e non crederebbero che altri possano avere l’audacia di distorcere la verità in modo così infame.”

Nella citazione vi sono due affermazioni diventate rilevanti anche nel presente occidentale.

 La prima è che lo Stato deve usare tutti i suoi poteri per reprimere il dissenso;

la seconda è che la verità è il più grande nemico dello Stato.

Come scrisse George Orwell, ciò che il potere maggiormente teme è la libertà di dire che due più due fa quattro.

Oggi, certa di essere fortissima, l’oligarchia arriva a pronunciare bugie evidenti.

 Un esempio è la messa al bando di “X” in Brasile.

 L’argomento del giudice è che la “rete sociale” di “Musk” diffonde informazioni false che mettono in pericolo il normale svolgimento delle elezioni municipali di ottobre.

Per sostenere questa tesi, ha stravolto quanto accaduto nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e nella Brexit, che sarebbero state manipolate dalla Rete.

In realtà non esiste alcuna prova che le reti sociali abbiano sovvertito il voto.

L’argomento è squisitamente politico:

disinforma chi non si conforma, ovvero è detto propaganda – sinonimo di falsità, un argomento che stranamente non viene mai sollevato contro la pubblicità, scienza della menzogna – ciò che non coincide con gli interessi di chi detiene il potere.

L’argomento brasiliano contro “X” è falso in radice.

 Che dire del progetto britannico di una legge che permette di censurare i contenuti “dannosi”?

 I limiti della libertà di espressione non saranno più stabiliti oggettivamente dalla legge ma definiti, valutati, giudicati e puniti dal potere esecutivo e da quello giudiziario.

 L’Unione Europea si propone la stessa cosa con il Digital Services Act (DSA) che obbliga le piattaforme a rimuovere rapidamente i contenuti “illegali”, l’incitamento all’odio e la cosiddetta disinformazione.

Come nel Regno Unito, la valutazione e la determinazione di quali contenuti debbano essere censurati non dipenderanno da leggi chiare e istituzioni indipendenti, ma dalla” Commissione Europea autrice della norma”.

 Giudice e parte in causa senza la mediazione di alcun soggetto neutrale.

 In Spagna lavorano a una norma che persegua le “false informazioni” diffuse da quelli che il governo definisce “pseudo media”.

 Il governo afferma che la grande sfida è la “rigenerazione democratica” e ha annunciato un’intensa agenda affinché “nessuno possa manipolare” ciò che pensano i cittadini.

Ossia, istituisce il Ministero della Verità.

Basandosi su una menzogna ripetuta all’unisono, cioè che la libertà di espressione perverte la democrazia, i governi democratici manifestano un irrefrenabile impulso totalitario.

Politici che pronunciano la parola democrazia e libertà a ogni stormir di fronda, “Kier Starmer”, “Lula da Silva”, “Pedro Sánchez”, “Thierry Breton”, “Ursula von der Leyen”, “Kamala Harris”, stanno convincendo il pubblico occidentale che lo Stato deve usare tutti i suoi poteri per reprimere il dissenso.

 L’OSS (acronimo di Office of Strategic Services, il padre della CIA) riassunse così l’utilizzo della menzogna da parte nazista, tacendo la propaganda di” Lippman” e di “Bernays”.

 “Le sue regole principali erano: non ammettere mai una carenza o un errore;

non ammettere che possa esserci qualcosa di buono nel tuo nemico;

 non lasciare mai spazio alle alternative;

non accettare mai la colpa; concentrarsi su un nemico per volta e incolparlo di tutto ciò che va storto.

 Le persone crederanno a una grande bugia piuttosto che a una piccola, e, se lo ripeti con sufficiente frequenza, prima o poi la gente ci crederà”.

Facciamo un semplice test:

confrontiamo le condizioni descritte con gli atti dei nostri molto democratici governanti.

Goebbels sogghigna dall’altro mondo.

1984. Orwell- distopia tra memoria e linguaggio

Si diceva che il “Ministero della Verità” contenesse tremila stanze al di sopra del livello stradale e altrettante ramificazioni al di sotto.

Sparsi qua e là per Londra vi erano altri tre edifici di aspetto e dimensioni simili. Facevano apparire talmente minuscoli i fabbricati circostanti, che dal tetto degli “Appartamenti Vittoria li si poteva vedere tutti e quattro simultaneamente.

Erano le sedi dei quattro Ministeri, fra i quali era distribuito l’intero apparato governativo:

il Ministero della Verità, che si occupava dell’informazione, dei divertimenti, dell’istruzione e delle belle arti;

il Ministero della Pace, che si occupava della guerra;

il Ministero dell’Amore, che manteneva la legge e l’ordine pubblico;

e il Ministero dell’Abbondanza, responsabile per gli affari economici.

In neolingua i loro nomi erano i seguenti: Minibar, Minipax, Miniamor e Miniabb.

Fra tutti, il Ministero dell’Amore incuteva un autentico terrore.

 Era assolutamente privo di finestre.

Winston non vi era mai entrato, anzi non vi si era mai accostato a una distanza inferiore al mezzo chilometro.

 Accedervi era impossibile, se non per motivi ufficiali, e anche allora solo dopo aver attraversato grovigli di filo spinato, porte d’acciaio e nidi di mitragliatrici ben occultati.

Anche le strade che conducevano ai recinti esterni erano pattugliate da guardie con facce da gorilla, in uniforme nera e armate di lunghi manganelli.

Winston si girò di scatto.

 Il suo volto aveva assunto quell’espressione di sereno ottimismo che era consigliabile mostrare quando ci si trovava davanti al teleschermo.

(Da 1984 di George Orwell)

Roberto PECCHIOLI.

 

 

 

Con i falchi faremo poca strada.

  Msn.com - Il Giornale - Osvaldo De Paolini – Redazione – (10 – 09 -2024) – ci dice:  

 

C'è una evidente continuità tra le proposte contenute nell'allarmato intervento che Mario Draghi inviò al Financial Times nella primavera 2020, in piena pandemia, con la filosofia che ispira il Rapporto sulla competitività presentato ieri a Bruxelles.

 

Allora si trattò di suggerire agli Stati europei gli strumenti per ridurre i guasti prodotti dal blocco pressoché totale delle attività;

 oggi ci viene indicata la via per impedire che l'Unione finisca in frantumi, schiacciata dalla superiorità tecnologica dei due blocchi economici, Stati Uniti e Cina, la cui supremazia appare talmente evidente che l'ex presidente della Bce ed ex premier non esita a parlare di «sfida esistenziale» per l'Europa.

 Nel rapporto non ci sono novità assolute, né sul piano dell'analisi né su quello delle raccomandazioni; è il messaggio politico che merita una seria riflessione.

Secondo Draghi l'Unione è al punto limite, se non si dà subito una mossa più che energica, il suo destino sarà segnato da una lenta ma inesorabile agonia.

 In breve, come al tempo della pandemia, siamo in piena emergenza, sia pure per motivi diversi.

Lungo è l'elenco delle responsabilità che l'ex banchiere centrale imputa a quanti da Bruxelles ci hanno governato fino a oggi, contribuendo ad avvicinarci al ciglio del burrone.

Tuttavia non spegne le speranze, a condizione che subito si metta mano al portafogli investendo massicciamente in innovazione, nuove tecnologie, difesa comune, politiche per accrescere la produttività.

 E indica nel Piano Marshall, che nel dopoguerra consentì all'Europa di risollevarsi dal baratro nel quale era precipitata, il modello di finanziamento del rilancio, addirittura indicando in 800 miliardi la cifra annuale da mettere sul tavolo.

 

Ma dove reperire tanti denari?

Qui sta l'incognita-debolezza del Rapporto Draghi.

Neanche tanto sullo sfondo, già s'intuisce come sarà difficile bissare la spinta solidale e collettiva che tre anni fa portò a una seppur parziale messa in comune del debito con il varo del Next Generation Ue.

L'ala rigorista europea continua infatti a non volerne sapere di mutualizzare il debito, nonostante la profonda crisi che ha colpito l'economia tedesca.

 La presidente “von der Leyen” ha parlato di «contributi nazionali e risorse proprie», ma chiunque abbia una conoscenza anche superficiale della contabilità di Bruxelles sa che gli 800 miliardi indicati da Draghi non si possono mettere insieme attingendo dal bilancio comunitario e, men che meno, utilizzando le risorse dei singoli Stati membri ora che le nuove regole del Patto di Stabilità costringono i Paesi più indebitati all'interno di un sentiero assai stretto in termini di gestione delle finanze pubbliche.

 L'unica soluzione è affidarsi agli eurobond:

provvisti della tripla A, il massimo grado di affidabilità creditizia, sarebbero in grado di raccogliere i favori di un mercato che non aspetta altro, come ha ricordato qualche giorno fa il componente del board Bce, Piero Cipollone.

È dunque necessaria una chiara scelta di campo, in grado di spezzare l'antitesi fra l'urgenza di rimodulare le scelte dell'Unione con il dispiegamento di fondi adeguati e le politiche economiche tuttora incardinate su un'austerity che in tutti questi anni ha finito per soffocare lo sviluppo dell'intera Unione.

(A suo tempo il re Draghi trovò il modo per fornire di duemila miliardi di dollari il suo compare

Presidente nero degli Usa Obama, allora in difficoltà economiche. Obama restituì in pochi anni il prestito fornito dalla Bce alla Fed Usa, con tanti ringraziamenti.

 Ma qualcosa mi dice che non sarà così facile oggi per la UE trovare 800 miliardi di euro ogni anno per compiacere il sempre pretenzioso Re Draghi! N.D.R).

 

 

 

 

 

 

Unione europea – Draghi: “L’auto

è un esempio chiave della

mancanza di pianificazione.”

 

Msn.com – Quattroruote- Redazione – (9 -9- 2024) – ci dice:

 

Mario Draghi ha presentato l’atteso report sulla competitività dell’Europa e il lunghissimo documento (di quasi 400 pagine) non manca di affrontare il tema delle sfide dell’auto, con tanto di avvertimento sull’assenza di una politica industriale da parte delle istituzioni comunitarie.

 

 "Il settore automobilistico", scrive l’ex premier e presidente della BCE – è un esempio chiave della mancanza di pianificazione dell’Unione e dell’applicazione di una politica climatica senza quella industriale".

 

La minaccia cinese.

"La Cina, al contrario, si è concentrata sull’intera catena di fornitura dei veicoli elettrici dal 2012 e, di conseguenza, si è mossa più velocemente e su larga scala e ora è una generazione avanti nella tecnologia dei veicoli elettrici in praticamente tutti i settori, producendo anche a costi inferiori", prosegue Draghi, secondo cui la concorrenza cinese, sempre più intensa grazie a un "potente combinazione di massicce politiche industriale e agevolazioni, rapida innovazione, controllo delle materie prime" ed economie di scala, rischia di trasformarsi in "una minaccia per l’industria europea senza piani di coordinamento trasversali".

 

Serve un piano industriale.

Nel quadro di una più ampia strategia per la decarbonizzazione, Draghi ritiene che l’Ue debba sviluppare un piano di azione industriale specifico per il settore.

 

Nel breve termine, bisogna "evitare una radicale delocalizzazione della produzione" e "la rapida acquisizione di stabilimenti e aziende da parte di produttori esteri sovvenzionati dai loro Stati": In tal senso, la politica dei dazi potrebbe anche "contribuire a livellare il campo di gioco".

 

 Tuttavia, nel lungo termine è necessario definire una "tabella di marcia industriale che tenga conto della convergenza orizzontale (vale a dire elettrificazione, digitalizzazione e circolarità) e della convergenza verticale (ossia materie prime critiche, batterie, infrastrutture di trasporto e ricarica) nelle catene del valore dell’ecosistema automobilistico".

 

Non mancano raccomandazioni sulla necessità di assicurare "costi produttivi competitivi, a partire dal fattore energia, garantire coerenza normativa, supportare lo sviluppo delle infrastrutture, sostenere progetti europei nelle aree più innovative e puntare sulla formazione e la riqualificazione della forza lavoro".

 

L’eco a de Meo.

 In sostanza, Draghi condivide buona parte delle proposte avanzate dal presidente dell’”Acea”, “Luca de Meo:

 

 "Scala, standardizzazione e collaborazione saranno fondamentali per i produttori europei per diventare competitivi sul fronte dei veicoli elettrici piccoli e accessibili, dei veicoli definiti dal software, delle soluzioni di guida autonoma e della catena del valore della circolarità",

sottolinea Draghi, invitando Bruxelles

 a "seguire un approccio neutrale dal punto di vista tecnologico nel definire il percorso verso la riduzione di CO2 e inquinanti" (un passaggio viene proprio dedicato al "potenziale dei combustibili alternativi", come e-fuel e biocarburanti) e a tener conto degli sviluppi di mercato e tecnologici.

 

 

 

 

 

Perché il governo prende in prestito

quando può stampare?

Unz.com - Ellen Brown – (18 giugno 2024) – ci dice:

 

Nei primi sette mesi dell'anno fiscale (FY) 2024, gli interessi netti (pagamenti meno reddito) sul debito federale hanno raggiunto i 514 miliardi di dollari, superando la spesa sia per la difesa nazionale (498 miliardi di dollari) che per “Medicare” (465 miliardi di dollari).

 La scheda degli interessi ha anche superato tutti i soldi spesi per i veterani, l'istruzione ei trasporti messi insieme.

 La spesa per interessi è ora la seconda voce più importante del bilancio federale dopo la previdenza sociale e la parte in più rapida crescita del bilancio, sulla buona strada per raggiungere gli 870 miliardi di dollari entro la fine del 2024.

 

Secondo il “Congressional Budget Office” , il deficit del bilancio federale è stato di 857 miliardi di dollari nei primi sette mesi dell'anno fiscale 2024.

 In effetti, il governo sta prendendo in prestito a interesse per pagare gli interessi sul suo debito, aggravando il debito.

 

Per il prestatore, è chiamato "il miracolo dell'interesse composto":

 l'interesse sull'interesse si compone in modo esponenziale.

 Ma per il debitore è una maledizione, che si accumula come un cancro al punto da divorare beni mentre continua a far crescere il debito.

Come scrive “Daniel Amerman”, analista finanziario, in un articolo intitolato "

“Potrebbe un incendio di interesse composto minacciare la solvibilità degli Stati Uniti?":

 

La più grande minaccia legata al debito alla solvibilità del governo degli Stati Uniti e al valore del dollaro potrebbe essere il fatto che gli Stati Uniti non stanno effettivamente effettuando alcun pagamento netto di capitale o interessi sul loro debito.

 

Cioè, il governo degli Stati Uniti sta prendendo in prestito denaro per effettuare i pagamenti degli interessi, anche se prende in prestito per rinnovare i pagamenti principali – anche se prende in prestito ancora di più per finanziare la spesa generale che è in eccesso rispetto alle tasse raccolte.

 

Ciò crea il rischio di una potenziale capitalizzazione ed accelerazione dei pagamenti degli interessi sul conto debito. …

 

In altre parole, il governo degli Stati Uniti è effettivamente insolvente, in assenza di alcuni cambiamenti importanti. Questo è esattamente il motivo per cui dobbiamo anticipare che ci saranno grandi cambiamenti.

 

Allo stesso modo, il “Comitato per un Bilancio Responsabile” conclude:

"Senza riforme per ridurre il debito e gli interessi, i costi degli interessi continueranno a salire, escludendo la spesa per altre priorità e gravando sulle generazioni future".

 

In effetti, noi siamo quella generazione futura.

I polli sono tornati a casa. Secondo “USDebtClock.org” , il debito è ora di 34,8 trilioni di dollari.

 Le svolte sono che avremmo bisogno di tassare tutti con un'aliquota del 40%, senza detrazioni, per bilanciare i bilanci dei nostri governi federali e locali, un ovvio fallimento.

Le riforme sono necessarie, ma di che tipo?

 

Perché il governo prende in prestito la propria valuta?

 

Questa domanda è stata posta all'economista” Martin Armstrong,” che ha risposto:

 

La teoria era che se si prendeva in prestito piuttosto che stampare denaro, NON si stava aumentando l'offerta di moneta esistente, e quindi, in teoria, non sarebbe stato inflazionistico.

 

Questo sarebbe vero se il debito fosse rimborsato, ma oggi il governo non ripaga il debito ma continua a rinnovarlo, pagando le vecchie obbligazioni alla scadenza con nuove obbligazioni – attualmente a tassi di interesse più elevati.

“Armstrong” conclude:

 

Prendiamo in prestito, il che è peggio della stampa, perché dobbiamo pagare gli interessi sul costante rinnovo del debito.

 Quest'anno spendiamo circa 1 trilione di dollari in interessi, il debito nazionale totale quando “Reagan” entrò in carica nel 1981.

 

Se avessimo “stampato il denaro” invece di “prendere in prestito”, sarebbe stato meno inflazionistico e il capitale avrebbe creato più posti di lavoro invece di investire nel debito pubblico, che ha solo finanziato i sogni più sfrenati dei neoconservatori [che ha spiegato come "stabilire basi militari ovunque"].

 

Un rapporto pubblicato dalla “Commissione Grace “durante l'amministrazione “Reagan” ha concluso che a quel tempo, la maggior parte delle entrate fiscali federali sul reddito andavano solo a pagare gli interessi sul debito crescente del governo.

 

Una lettera di accompagnamento indirizzata al presidente “Reagan” affermava che un terzo di tutte le imposte sul reddito erano consumate dagli sprechi e dall'inefficienza del governo federale.

Un altro terzo delle tasse effettivamente pagate è andato a compensare le tasse non pagate dagli evasori fiscali e dalla crescente economia sommersa, fenomeno che era fiorito in modo direttamente proporzionale agli aumenti delle tasse.

Il rapporto si concludeva:

 

Con due terzi delle imposte sul reddito delle persone fisiche sprecate o non raccolte, il 100% di ciò che viene riscosso viene assorbito esclusivamente dagli interessi sul debito federale e dai contributi del governo federale per i pagamenti dei trasferimenti.

 In altre parole, tutte le entrate fiscali individuali sul reddito scompaiono prima che un centesimo venga speso per i servizi che i contribuenti si aspettano dal loro governo.

 

Come osservò “Thomas Edison” nel “1921”:

 

Se la nostra nazione può emettere un'obbligazione in dollari, può emettere una banconota da un dollaro.

L'elemento che rende buono il vincolo, rende buono anche il conto.

 La differenza tra l'obbligazione e la cambiale è che l'obbligazione consente ai broker di denaro di raccogliere il doppio dell'importo dell'obbligazione e un ulteriore 20%, mentre la valuta non paga nessuno se non coloro che contribuiscono direttamente in qualche modo utile.

 

È assurdo dire che il nostro paese può emettere 30 milioni di dollari in obbligazioni e non 30 milioni di dollari in valuta.

Entrambe sono promesse di pagamento, ma una promessa ingrassa gli usurai e l'altra aiuta il popolo.

 

È più economico stampare denaro a titolo definitivo piuttosto che prendere in prestito denaro a un interesse che non viene mai rimborsato.

I “Greenbackers” che marciarono su Washington nel 1897 avevano ragione. Dovremmo stampare il denaro, non per iniziative speculative ("reddito non guadagnato") ma per sforzi produttivi.

“ I Greenbackers” cercarono un ritorno al sistema in cui il “governo di Lincoln “emetteva direttamente le banconote statunitensi o “Greenback”s, al fine di evitare un debito paralizzante nei confronti dei banchieri britannici.

 Stavano marciando per i produttori economici – i contadini e gli operai delle fabbriche, rappresentati dallo “Spaventapasseri” e dall'”Uomo di Latta” ne “Il mago di Oz” , che ha preso spunto da quella prima marcia su Washington.

 

La semplice stampa del denaro non si tradurrà in iperinflazione?

 Non necessariamente.

 L'inflazione dei prezzi deriva da troppo denaro che insegue troppo pochi beni. Quando il denaro viene utilizzato per creare nuovi beni e servizi, i prezzi rimangono stabili.

 Ciò è stato dimostrato dai cinesi quando hanno aumentato l'offerta monetaria di un fattore del 1800% (18 volte) nei 23 anni tra il 1996 e il 2020.

Il nuovo denaro è andato verso le infrastrutture e altre forme di produttività, aumentando il PIL allo stesso ritmo; e il ribasso dei prezzi è rimasto costantemente basso durante quel periodo.

 

Ma il senno di poi è 20/20. Cosa si può fare ora per l'aumento del debito federale e degli interessi?

 

Possibili soluzioni di tesoreria.

 

Ipoteticamente, il Tesoro potrebbe riacquistare il suo debito.

 Ma con il nostro sistema attuale, questo dovrebbe essere fatto con più debito, a tassi di interesse ancora più alti.

 In realtà il Tesoro lo sta facendo ora, ma in osservazioni modeste e per uno scopo diverso.

 Il suo obiettivo è quello di creare un mercato liquido dei Treasury a lungo termine, il tipo di obbligazioni che la Silicon Valley Bank è stata costretta a vendere con un forte sconto, generando fondi insufficienti per scongiurare la massiccia corsa ai suoi depositi nel marzo 2023.

 

 Quasi 200 banche si trovano in difficoltà simili e ugualmente vulnerabili alle fughe fiscali.

Tuttavia, sarebbe controproducente per il Tesoro riacquistare una parte importante del suo debito con più debito a interessi più elevati, il che non farebbe altro che aggravare il debito e l'onere degli interessi.

 

In alternativa, potrebbe emettere monete da 35 trilioni di dollari.

 

L'idea di coniare monete di grosso taglio per risolvere i problemi economici è stata evidentemente suggerita per la prima volta da un presidente della “Sottocommissione per le Monete” della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti nei primi anni '80.

 

Ha sottolineato che il governo potrebbe ripagare l'intero debito con alcune monete da miliardi di dollari, semplicemente "stampando" o "coniando" il denaro.

 

 La Costituzione conferisce al Congresso il potere di coniare moneta e regolarne il valore, e non viene posto alcun limite al valore delle monete che creano. Naturalmente, oggi queste dovrebbero essere monete da trilioni di dollari.

 

Nella legislazione avviata nel 1982, tuttavia, il “Congresso” ha scelto di imporre limiti agli importi e ai tagli della maggior parte delle monete.

 

L'unica eccezione era la moneta di platino, che una disposizione speciale permetteva di coniare in qualsiasi quantità per scopi commemorativi.

 

Nel 2013, un avvocato di nome “Carlos Mucha”, che scrive sul blog con lo pseudonimo di “Beowulf,” ha proposto di emettere una moneta di platino per capitalizzare questa scappatoia;

e con l'infinito stallo al Congresso sul tetto del debito, è stato ripreso da economisti seri come un modo per dare scacco matto ai falchi del deficit.

“Philip Diehl” , ex capo della Zecca degli Stati Uniti e coautore della legge sulle monete di platino, ha confermato che la moneta avrebbe corso legale:

 

Nel coniare la moneta di platino da 1 trilione di dollari, il Segretario al Tesoro eserciterebbe l'autorità che il Congresso ha concesso regolarmente per più di 220 anni e in base al potere espressamente conferito al Congresso dalla Costituzione (articolo 1, sezione 8).

 

Coniare monete da trilioni di dollari evoca immagini di banconote da milioni di marchi che riempiono carriole.

Ma come osserva l'economista “Michael Hudson”:

 

Ogni iperinflazione nella storia è stata causata dal servizio del debito estero che ha fatto crollare il tasso di cambio.

Il problema è quasi sempre derivato dalle tensioni valutarie estere in tempo di guerra, non dalla spesa interna.

 

Il Prof. “Randall Wray” ha spiegato che la moneta non circolerà ma sarà depositata sul conto del governo presso la “Fed”, quindi non potrebbe gonfiare l'offerta di moneta circolante.

 Il bilancio avrebbe ancora bisogno dell'approvazione del Congresso.

 Per tenere sotto controllo la spesa, il “Congresso “dovrebbe solo rispettare alcune regole di base dell'economia.

Potrebbe spendere in beni e servizi fino alla piena occupazione senza creare aumento dei prezzi (poiché la domanda e l'offerta aumenterebbero insieme). Dopodiché, avrebbe bisogno di tassare, non per finanziare il bilancio, ma per ridurre l'offerta di moneta circolante ed evitare di far salire i prezzi con un eccesso di domanda.

 

Se l'emissione di 35 monete del valore di un trilione di dollari ciascuna sembra troppo radicale, il Tesoro potrebbe emettere solo un trilione di dollari all'anno, destinato specificamente a coprire gli interessi.

Un approccio ibrido simile ha funzionato per i “coloni della Pennsylvania “quando hanno formato la loro prima banca di proprietà del governo all'inizio del XVIII secolo.

 

 Altre colonie emettevano "scrip coloniale", ma era più facile emettere lo scrip che tassarlo, e in genere emettevano troppo, gonfiando l'offerta di moneta e svalutando la moneta.

 I coloni della Pennsylvania formarono una "banca della terra" ed emisero denaro come prestiti agli agricoltori al 5% di interesse.

Per coprire gli interessi non creati nei prestiti originali, il governo è stato in grado di emettere direttamente titoli cartacei per finanziare il proprio bilancio.

Di conseguenza, la Pennsylvania divenne l'economia più produttiva delle colonie.

 

Che ne dite di attingere alla Federal Reserve?

 

La “Fed” è in grado di emettere denaro senza interessi, non come i depositi creati dalle banche che circolano come la nostra offerta di “moneta M2”, ma come le riserve necessarie alle banche per soddisfare i trasferimenti e i prelievi interbancari.

Quando la” Fed” acquista titoli federali, ha l'obbligo di restituire gli interessi al Tesoro dopo averne dedotto i costi.

 

Nel 2011, il candidato presidenziale repubblicano “Ron Paul” ha proposto di affrontare il tetto del debito semplicemente annullando i 1,7 trilioni di dollari di titoli federali allora protetti dalla “Fed”.

Come “Stephen Gandel” ha spiegato la soluzione di Paul su Time Magazine, il Tesoro paga gli interessi sui titoli alla “Fed”, che restituisce il 90% di questi pagamenti al Tesoro.

Nonostante questo gioco di carte dei pagamenti, gli 1,7 trilioni di dollari in obbligazioni statunitensi di proprietà della Fed sono ancora conteggiati per il tetto del debito.

Il piano di Paolo:

 

Il piano di Paul:

 "Fate in modo che la Fed e il Tesoro strappino quel debito. Si tratta comunque di un debito falso. E la “Fed” è legalmente autorizzata a restituire il debito al Tesoro per essere distrutto.

 

Anche il membro del Congresso “Alan Grayson,” un democratico, ha appoggiato questa proposta.

 

Ma da giugno 2022, la” Fed” non ha acquistato titoli, ma ha venduto quelli che già possiede, riducendo il suo bilancio nel tentativo di combattere l'acquisto dei prezzi riducendo l'offerta di moneta attraverso un "inasprimento quantitativo".

 

 La “banca centrale” è considerata "indipendente" dal Congresso, ma probabilmente il Congresso potrebbe rivedere il” Federal Reserve Act” per richiedere alla “Fed “di acquistare titoli federali.

 

Un'imposta sulle transazioni finanziarie.

 

Escludendo queste alternative, un'altra possibilità è una tassa sulle transazioni finanziarie molto bassa.

In un libro del 2023 intitolato “A Tale of Two Economies”:” A New Financial Operating System for the American Economy”, il veterano di Wall Street” Scott Smith” sostiene che stiamo tassando le cose sbagliate:

il reddito e le vendite fisiche.

In effetti, abbiamo due economie:

 l'economia materiale in cui beni e servizi vengono acquistati e venduti, e l'economia monetaria che implica il trading di attività finanziarie (azioni, obbligazioni, valute, ecc.) – fondamentalmente "fare soldi" senza produrre nuovi beni o servizi.

 

Attingendo ai dati della” Banca dei Regolamenti Internazionali” e della “Federal Reserve, “Smith” mostra che l'economia monetaria è centinaia di volte più grande dell'economia fisica.

 

Il buco di bilancio potrebbe essere colmato imponendo una tassa di appena lo 0,1 per cento sulle transazioni finanziarie, eliminando non solo le imposte sul reddito, ma ogni altra impostazione che paghiamo oggi.

 

 Con una tassa sulle transazioni finanziarie (TTF) dello 0,25%, potrebbe finanziare benefici che oggi non possiamo permetterci e che stimolerebbero la crescita dell'economia reale, tra cui non solo le infrastrutture e lo sviluppo, ma anche l'università gratuita, un reddito di base universale e l'assistenza sanitaria gratuita per tutti.

“Smith” sostiene che potresti anche ripagare il debito nazionale in 10 anni o meno con un TTF dello 0,25%.

 

Queste proposte sono troppo radicali? Forse, ma le crisi esistenziali richiedono soluzioni radicali.

 

 

 

 

 

 

Il manuale di Mario Draghi

per salvare l’Europa, cosa

ha scritto nel rapporto sull’Ue.

 

Fanpage.it - Luca Pons – (9 SETTEMBRE 2024) – ci dice:

 

 

 

L’ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha pubblicato il suo rapporto sulla competitività dell’Unione europea: una “sfida esistenziale” da cui dipenderà il futuro dell’Ue, ha detto.

Per affrontarla serviranno investimenti enormi, anche più grandi del Piano Marshall del secondo dopoguerra.

 

Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea e presidente del Consiglio italiano, ha pubblicato il suo atteso rapporto sulla competitività dell'Unione europea.

Il documento, lungo quasi 400 pagine, gli era stato richiesto dalla presidente della Commissione europea “Ursula von der Leyen “un anno fa.

Negli scorsi mesi, nelle sue poche uscite pubbliche, Draghi aveva fatto riferimento ad alcuni dei temi principali che avrebbe trattato, suggerendo che per impedire di far scivolare l'Ue in un ruolo secondario a livello mondiale sarebbero serviti interventi decisi.

Oggi, nella prefazione del rapporto, Draghi ha parlato di una vera e propria "sfida esistenziale" per l'Unione.

 Per affrontarla servono interventi pesanti – fino a 800 miliardi di euro all'anno – concentrati soprattutto su tre settori: l'innovazione, il clima e la difesa.

 

Perché senza questo piano l'Ue "perderà la sua ragion d'essere".

 

L'Ue negli ultimi anni si è allontanata sempre più dalla Cina e dagli Stati Uniti nella competizione globale.

Il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto del doppio negli Usa rispetto all'Europa, la spesa militare non è salita abbastanza (sempre perché c'erano gli Stati Uniti a ‘garantire' la sicurezza), negli ultimi anni il costo dell'energia è aumentato molto di più di Ue, la Cina è diventata direttamente competitiva in moltissimi settori.

 Così, oggi tra le cinquanta principali aziende mondiali del settore tecnologico, solo quattro sono europee.

 

I valori su cui l'Unione è fondata sono "prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile": tutelare questi diritti per i propri cittadini è il motivo stesso per cui l'Ue esiste.

 

Quindi, "se l'Europa non sarà più in grado di garantirli avrà perso la sua ragione d'essere".

"L'unico modo" di affrontare questa sfida "senza dover rinunciare ad alcuni dei valori fondamentali" è di "perseguire più crescita economica e maggiore produttività".

 E "l'unico modo" per farlo è che l'Europa cambi radicalmente". Siamo arrivati "al punto in cui, senza interventi, dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà".

 

Referendum sulla cittadinanza, +Europa lancia la raccolta firme:

 cosa dice il testo.

I punti fondamentali saranno tre: l'innovazione tecnologica; il clima (e quindi la transizione ecologica e digitale); la difesa.

Ci sono dei problemi diffusi che valgono per tutti e tre:

in generale, in Europa ci sono gli "obiettivi comuni", ma mancano le "azioni politiche congiunte" per raggiungerli.

C'è troppa confusione nelle norme, e le grandi risorse economiche che l'Ue avrebbe a disposizione vengono sprecate in "molteplici strumenti nazionali e comunitari".

 

Quello che Draghi propone non è una linea teorica da seguire, ma un vero e proprio piano di investimenti.

Per seguirlo, la spesa nei settori più importanti dovrà aumentare "di circa 5 punti percentuali del Pil" europeo:

 si parla di 750-800 miliardi di euro all'anno.

Un livello che non si vedeva da decenni in Europa, e che supererebbe anche il Piano Marshall degli Stati Uniti, che arrivò a "circa l'1-2% del Pil l'anno" tra il 1948 e il 1951.

 

Cosa deve cambiare sull'innovazione.

 

Come detto, il primo aspetto su cui puntare sarà quello dell'innovazione.

Nell'Ue, tutte le società che hanno un valore di mercato sopra i 100 miliardi sono nate più di cinquant'anni fa.

 Negli Stati Uniti, invece, tutte e sei le società che valgono oltre mille miliardi di euro sono nate proprio in questo periodo.

Questo è un esempio di come l'attenzione all'innovazione si sia spostata al di fuori dell'Unione.

 

Uno dei motivi sono le "normative incoerenti e restrittive" che colpiscono le aziende in Europa

. Questo ha contribuito al fatto che quasi il 30% delle start-up nate in Europa tra il 2008 e il 2021 che poi hanno raggiunto una quotazione di oltre un miliardo di dollari (i cosiddetti unicorni) abbiano lasciato l'Ue e abbiano trasferito la propria sede all'estero, per la maggior parte negli Usa".

 

Le proposte di Draghi sul clima.

Per quanto riguarda il clima, l'Europa deve tenere conto di due aspetti:

da una parte la decarbonizzazione (che comunque deve avvenire "per il bene del pianeta"), dall'altra la transizione digitale e tecnologica.

 

 Il taglio delle emissioni inquinanti può essere "un'opportunità", ma gli "ambiziosi obiettivi climatici" dell'Ue devono avere anche "un piano coerente per raggiungerli".

Altrimenti, senza un vero coordinamento tra le politiche nazionali, la decarbonizzazione potrebbe diventare un problema.

 

Il prezzo dell'energia è ancora molto alto, e per limitare l'effetto sulle famiglie del passaggio all'energia pulita – quello lamentato dai partiti che più si oppongono alle politiche ‘green', affermando che causino un aumento delle spese e danneggino l'economica – bisogna trovare un compromesso.

 

 L'opzione "più economica ed efficiente" sarebbe quella di "aumentare la dipendenza dalla Cina", acquistando i materiali e gli strumenti che possono facilitare la transizione.

 

Ma questo porterebbe "una minaccia per le nostre industrie produttive di tecnologie pulite e automobilistiche", vista la concorrenza della Cina che finanzia direttamente con fondi statali le imprese.

Dunque, per trasformare la decarbonizzazione in un processo che faccia crescere l'Ue bisognerà elaborare un piano che tenga insieme le esigenze dei settori che permettono di ridurre le emissioni (tecnologie pulite e automotive) e quelli che producono energia.

 

I problemi con la spesa militare dell'Ue.

Anche sul piano della politica estera, i Paesi dell'Ue devono iniziare a coordinarsi di più.

Ad esempio, "l'industria della difesa è troppo frammentata".

Così, nonostante la spesa militare dell'Ue sia la seconda più alta del mondo, gli effetti non si vedono.

Questo approccio "ostacola la capacità di produrre su larga scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell'Europa di agire come potenza coesa".

 Un esempio:

in Europa si producono dodici tipi diversi di carri armati, mentre negli Usa solamente uno.

 

 

Un altro dato sulla spesa militare è che il 78% della somma complessiva viene appaltata a aziende che non sono europee.

In più, non si collabora nel campo dell'innovazione tecnologica.

Insomma, anche senza arrivare a un esercito europeo, serve più coordinamento per non continuare a ‘sprecare' i soldi investiti nella difesa.

 

Chi pagherà per tutto questo e come deve cambiare l'Europa per farcela

Le ultime due questioni sono:

come pagare tutti questi investimenti, e come cambiare la gestione politica dell'Ue per semplificarli.

Per quanto riguarda la prima, l'Ue dovrebbe andare verso "l’emissione di strumenti di debito comune", come avvenuto con il “Next Generation Eu” che in Italia ha portato al “Pnrr. Sempre con regole fiscali precise e con obiettivi chiari e definiti sull'utilizzo dei soldi in questione.

Serve un "finanziamento comune", uno strumento che permetta di investire molto senza porre limiti impossibili per i Paesi in una situazione economica più difficile. Una proposta che, però, negli anni ha visto l'opposizione di una parte degli Stati Ue.

 

Poi c'è il modo in cui l'Unione europea funziona, politicamente.

La sua struttura e le procedure interne fanno sì che servano 19 mesi, in media, per approvare una legge.

Bisognerebbe iniziare, ad esempio, riducendo il ricorso al voto all'unanimità su una serie di temi.

Affidarsi meno alla Commissione europea per stilare le norme.

E allo stesso tempo applicare di più il principio di sussidiarietà, ovvero:

le questioni su cui è meglio che ogni Stato si gestisca in modo autonomo, dovrebbero essere lasciate ai singoli Paesi;

ma per i temi su cui serve un intervento più ampio, l'Ue dovrebbe avere più potere di agire.

 

(fanpage.it/politica/il-manuale-di-mario-draghi-per-salvare-leuropa-cosa-ha-scritto-nel-rapporto-sullue/)

(https://www.fanpage.it/)

 

 

 

 

 

 

Trump torna in testa nei sondaggi,

finita l’allucinazione collettiva di Harris:

il dibattito tv che accende la febbre americana.

 

msn.com – Il Riformista - Paolo Guzzanti – Redazione – (11-09 – 2024) – ci dice:

 

 

Sorpresa: Trump è stabilmente in testa e la Harris gli sta sotto di tre punti.

 

Sembrava il contrario, ma è bastato un sondaggio fatto come va fatto (e cioè con i campioni, i correttivi, le domande, la tara) per rendersi conto che non soltanto Trump per ora vince, ma anche che la sensazione di vittoria della Harris sia stata in parte un’allucinazione collettiva.

 

 Un’allucinazione determinata da numeri approssimativi e non omogenei, grazie alle impennate emotive seguite alla nomina ufficiale della Harris alla Convention di Chicago, che ha incassato 82 milioni per la sua campagna elettorale.

 

Ma fatte le cose per bene e con tutte le tecniche formule e i correttivi, l’oracolo della NYT-Siena ha emesso il suo verdetto che vede Trump sempre in testa di due o tre punti, salvo piccole curve.

 

L’America democratica è rimasta molto male, come anche tutti gli indipendenti e molti repubblicani dissidenti, ed è cominciato un contro check per capire da che cosa dipende la momentanea fine dell’illusione.

E qui arriva la conferma di un punto che avevano più volte sottolineato: l’elettorato è insoddisfatto delle risposte generiche e non impegnative della Harris.

 

Troppe chiacchiere e sorrisi, e nessun impegno chiaro.

Kamala è istruita dai suoi coach e in questo momento si trova in un grande albergo di Pittsburgh, Pennsylvania, impegnata in ore di training al dibattito con una squadra di istruttori.

 

Che usano il metodo Lee Strasberg per attori e per politici, una derivazione americana della scuola di “Konstantin Stanislavskij”, l’attore e maestro rivoluzionario del teatro e del cinema che ha insegnato a non recitare il copione ma a viverlo come se fosse la vita.

 Anche Trump è quasi sempre in Pennsylvania, ed entrambi escono dai loro alberghi solo per piccoli o medi rally in cittadine e campagne, e poi tornare subito nella lobby delle loro residenze a studiare con gli allenatori assistenti che, seguendoli nelle strade, prendono nota delle variazioni degli umori e delle domande e dei punti poco chiari.

 

Elezioni americane: Harris-Trump, il duello tv che può cambiare le sorti degli Stati Uniti (RaiNews multimedia).

 

Finora tutto ciò che ha detto la Harris è stato deliberatamente poco chiaro, o meglio generico, e rivolto prima di tutto ai non bianchi e alle donne.

 Ma senza piani, cifre, programmi.

In questo senso Trump è più allenato e più preparato perché usa un tono assertivo che o affascina o mette in fuga.

Ma il tono assertivo paga.

 

 Ed il tono assertivo è il tema del suo nuovo addestramento in vista del match di stasera alle nove, tre del mattino per noi in Italia.

Nel quartier generale democratico, alla sorpresa e all’amarezza per i risultati di un poll molto diversi da quelli troppo frettolosamente sognati, non si aggiunge malumore ma solo il desiderio organizzativo prettamente americano di cambiare le pagine, sostituire i consiglieri, tornare all’attacco.

 E Kamala ha catturato un uomo importantissimo del campo opposto, che ha lasciato i repubblicani di Trump per votare Harris.

 

È l’ex vicepresidente di George W. Bush, “Dick Cheney” il quale non soltanto ha scelto di votare per il partito contro cui ha sempre lottato, ma – ha detto – lo voterà non per un cambio di simpatie politiche ma per salvare l’America da una dittatura, vedendo nelle parole e nelle azioni di Donald Trump il vero Catilina – che si prepara alla presa del potere con le armi del colpo di Stato, sopprimendo pesi e contrappesi e mettendo Cia ed Fbi direttamente alle sue dipendenze e minacciando il popolo americano di voler insorgere, come già fece il 6 gennaio del 2020, se i risultati non gli fossero favorevoli.

 

Trump ha sempre detto, con sorriso beffardo, come se fosse una battuta, senza mai però dire che si tratta di una battuta, che “noi accetteremo con la massima disciplina il risultato che delle urne, purché sia io a vincere”.

 

Trump ha ancora a che fare con i suoi processi, anche durante la campagna elettorale, e così mentre sabato era in Wisconsin, un altro stato in bilico, è dovuto correre al tribunale di Manhattan per uno dei suoi processi – salvo approfittare dell’occasione per indire una grandiosa conferenza stampa nella sua Tower sulla Fifth Avenue e poi via di corsa a rassicurare i sindacati di polizia in North Carolina.

 

Al processo, Trump ha trovato un giudice amico che ha sentenziato di non poter sentenziare finché non si saprà se sarà eletto o no.

 

 Per quanto suoni bizzarro alle nostre latitudini, negli States la magistratura è in gran parte elettiva e fa apertamente politica.

 

Lo si è visto anche dalle decisioni a favore di Trump prese dalla Corte Suprema, che ha sentenziato come il giudice di Manhattan:

un ex presidente e possibile prossimo presidente gode di immunità e privilegi perché il suo ruolo è quello di “Commander in Chief”, più di un re costituzionale, ed è un ruolo che non ammette altra opposizione se non quella del controllo della spesa da parte del Congresso.

È ammesso che il Congresso metta il presidente in stato di accusa, ma non accade mai che sia cacciato dalla Casa Bianca, con l’eccezione di Richard Nixon – che preferì dimettersi avendo valutato l’impossibilità di salvarsi dallo scandalo Watergate.

 

Il duello di stanotte trasmesso dalla Abc News andrà in scena a Pittsburgh in Pennsylvania, che oggi ha un governatore democratico, il prestigioso “Josh Shapiro”, proprio perché la colonia utopistica fondata dal “quacchero signor Penn” è il più importante dei grandi Stati incerti, quelli che determinano la vittoria del Presidente.

La Pennsylvania è – come il piccolo Ohio – uno Stato campione: dal 1948 questa ex colonia (una delle 13 che fondarono gli States) ha la più alta percentuale di elettori neri e ha sempre votato il candidato vincente.

 

Tutto il mondo assisterà al grande match per poi correre ai risultati dei sondaggi, e mai come questa volta il risultato è totalmente imprevedibile a meno di due mesi dal voto.

 Gli altri Stati in bilico sono il Wisconsin, il Michigan, il North Carolina, la Georgia, l’Arizona e il Nevada.

 

Stati molto più importanti come la California non sono “dondolanti” fra i due partiti, visto che voterà certamente per la Harris la quale, come Donald Trump, va a caccia di elettori non registrati (negli Usa ci si può registrare o scegliere di volta in volta) ed entrambi vogliono lo scalpo degli indipendenti e degli indecisi.

 

 Fra i primi ha un ruolo di peso Robert Kennedy, figlio del fratello del presidente John Fitzgerald, anche lui assassinato mentre era in corsa per la Casa Bianca.

 

Il blasone dei cattolici del Massachusetts vale ancora voti, e Robert Jr, ha scelto Trump che gli ha promesso un posto di governo in cambio di voti.

 

Brutto colpo per la Harris che contava su di lui dal momento che Robert ha accompagnato Kamala durante alcuni comizi nel Massachusetts, e con lui i sondaggi crescevano di tre punti.

Siamo col fiato sospeso in attesa che si possa misurare la febbre americana da cui dipendono molti destini e certamente quello dell’Europa.

 

 

 

 

Draghi: "Siamo in crisi, serve un cambio

radicale perché l'Ue continui a esistere"

 

Tg24.sky.it – (09 set 2024) – Ansa – Redazione – ci dice:

 

L'ex presidente del Consiglio e della Bce ha presentato il suo report sulla competitività europea:

400 pagine, circa 170 proposte "attuabili subito".

Le parole d'ordine? "Urgenza e concretezza".

L'analisi spazia dalle nuove tecnologie, alla decarbonizzazione, fino al tema della sicurezza.

 

 

L’'ex presidente del Consiglio e della Bce Mario Draghi ha presentato a Bruxelles il suo report di 400 pagine sulla competitività, con circa 170 proposte.

 

 L'obiettivo?

Dare all'Unione europea un nuovo slancio, permettendole di superare i freni strutturali che le hanno fatto perdere sempre più terreno nei confronti di Stati Uniti e Cina.

 "L'unico modo per diventare più produttiva è che l'Europa cambi radicalmente", si legge nel documento.

 E, proprio sul report, Draghi in conferenza stampa, con la presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen, ha sottolineato:

"La mia analisi arriva in un momento difficile".

Per questo il report parla di "un cambiamento radicale, che dovrà essere urgente e concreto".

Ma, ricorda Draghi, "non partiamo da zero. Abbiamo infatti la speranza di poter realizzare tutto quello che proponiamo".

 

Draghi: "Crescita Ue rallenta, non possiamo più ignorarlo".

 

"Abbiamo detto molte volte che la crescita sta rallentando da molto tempo nell'Ue, ma lo abbiamo ignorato.

 Fino a due anni fa non avremmo mai avuto una conversazione del genere perché in genere le cose andavano bene.

Ma ora non possiamo più ignorarlo: le condizioni sono cambiate", ha aggiunto Draghi in conferenza stampa.

E ha sottolineato che l'attenzione sulla competitività.

 

La produttività deve essere ancora più importante poiché l'Europa, per la prima volta, "non potrà contare sull'aumento della popolazione" per aumentare la sua economia vista la curva demografica prevista.

"Dal 2040", infatti, "ci saranno 2 milioni di lavoratori in meno nell'Ue all'anno".

 

I pilastri del report.

Tre i pilastri su cui si fonda il report.

 L'innovazione è uno di questi. Dare spazio a questo settore "è la chiave del futuro".

Al momento, invece, nell'Ue, "c'è uno stallo", ci sono "troppe barriere", sottolinea Draghi, e per questo "serve un cambiamento".

 

Un altro dei pilastri è poi quello legato alla decarbonizzazione, che viene definita dall'ex presidente del Consiglio come una grande "opportunità per la crescita".

 

 In questo quadro occorre però "migliorare l'approvvigionamento e l'offerta di energia pulita" e serve "un piano congiunto" a livello europeo.

Anche perché "la concorrenza della Cina minaccia l'industria green europea".

 Il terzo ambito d’azione, invece, è quello che riguarda l'obiettivo di "aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze".

 

Il report: per l'Europa una "sfida esistenziale."

 

Nella prefazione del report, viene spiegato che "l'Europa si preoccupa del rallentamento della crescita dall'inizio di questo secolo. Varie strategie per aumentare i tassi di crescita si sono avvicendate, ma la tendenza è rimasta invariata. Considerando diversi parametri, si è aperto un ampio divario nel Pil tra l’Ue e gli Stati Uniti, guidato principalmente da un rallentamento più pronunciato della crescita della produttività in Europa."

 

 E, "su base pro capite, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi del doppio negli Stati Uniti rispetto all’Ue dal 2000".

 "L’era della rapida crescita del commercio mondiale sembra essere passata", si legge ancora nel documento, "con le aziende dell’Ue che si trovano ad affrontare sia una maggiore concorrenza dall’estero che un minore accesso ai mercati esteri".

 

L’Europa inoltre "ha improvvisamente perso il suo più importante fornitore di energia, la Russia.

Nel frattempo, la stabilità geopolitica sta diminuendo e le nostre dipendenze si sono rivelate delle vulnerabilità.

Il cambiamento tecnologico sta accelerando rapidamente.

L’Europa ha in gran parte mancato la rivoluzione digitale guidata da Internet e i guadagni di produttività che ha portato".

 E se l’Europa non potrà diventare più produttiva, "saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale.

Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale.

Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni.

Questa è una sfida esistenziale".

 

Ue, Draghi presenta il suo report sulla competitività: i punti chiave

Von der Leyen: "Prima definire priorità comuni, poi fondi"

 

Al fianco di Draghi, in conferenza stampa, anche la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, che, sull'attuazione delle proposte, ha spiegato:

"Prima c'è la definizione di priorità e progetti comuni, poi ci sono due strade possibili:

i finanziamenti nazionali o nuove risorse proprie.

Sarà la volontà dei Paesi membri a decidere come si vuole agire".

 

Economia sostenibile.

Con il Piano Draghi rischieremmo di

dire addio alla responsabilità delle imprese

 

valori.it -Valentina Neri – (11 – 09 – 2024) – ci dice:

 

Nel rapporto Draghi sulla competitività europea, due diligence e rendicontazione di sostenibilità sono descritte come oneri eccessivi per le imprese.

 

Le direttive dell’Unione europea sulla due diligence e sulla rendicontazione di sostenibilità, raggiunte a fatica e al prezzo di parecchi compromessi?

 Sono un aggravio normativo per le imprese.

È quanto si legge nelle oltre quattrocento pagine dell’attesissimo rapporto sul futuro della competitività europea scritto da Mario Draghi.

 

Cosa dice il rapporto sulla competitività europea di Mario Draghi.

Era lo scorso settembre quando la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha assegnato all’ex-governatore della Banca centrale europea l’incarico di stilare una relazione sulla competitività dell’Unione. Il rapporto Draghi, appunto. I piani iniziali prevedevano che venisse pubblicato subito dopo le elezioni, a ridosso del Consiglio europeo di fine giugno. Ma i tempi si sono allungati fino a lunedì 9 settembre.

 

È un documento lungo, fitto.

Un testo che prende il via dai dati sul rallentamento della crescita e della produttività in Europa per definire tre aree di intervento:

ridurre il divario con Cina e Stati Uniti in termini di innovazione, adottare un piano unitario per la decarbonizzazione e la competitività, migliorare la sicurezza e ridurre la dipendenza dall’estero.

 Centinaia le proposte, il cui minimo comune denominatore è sempre lo stesso: agire collettivamente, senza più disperdere risorse ed energie tra Stato e Stato.

 

È vero anche che il rapporto Draghi esprime una linea di indirizzo, ma non ha nulla di vincolante.

Tanto più perché, per realizzare queste proposte, l’Unione dovrebbe stanziare investimenti giganteschi.

Soltanto per la digitalizzazione e la decarbonizzazione dell’economia, unita all’aumento della capacità di difesa dell’Unione, il rapporto parla di un incremento annuo di almeno 5 punti percentuali degli investimenti rispetto al prodotto interno lordo.

Per avere un termine di paragone, gli investimenti del Piano Marshall ammontarono all’1-2% del PIL dei Paesi beneficiari.

 

Le norme per la responsabilità delle imprese?

 Troppo costose e complicate.

Considerato anche che la nuova Commissione europea si deve ancora insediare, i tempi non sono ancora maturi per poter dire se – e in che misura – le indicazioni del rapporto Draghi si tradurranno in pratica.

Ma senza dubbio salta all’occhio un atteggiamento a dir poco tiepido nei confronti delle principali misure che l’Unione europea ha adottato in questi ultimi anni per convincere le imprese ad agire in modo più responsabile.

 

La seconda parte del rapporto, a pagina 318, le nomina una per una:

la direttiva sul reporting di sostenibilità (nota con l’acronimo CSRD), la tassonomia (in particolare il principio “do not significant harm”, non provocare un danno significativo), la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), la direttiva europea sulla due diligence (CSDDD), il regolamento sull’ecodesign (ESPR), la direttiva sulle emissioni industriali, il sistema di scambio delle emissioni (ETS) e il regolamento REACH sui prodotti chimici.

 

Nel suo insieme, si legge nel rapporto Draghi, questa legislazione sarebbe «una delle principali fonti di oneri normativi, amplificata dalla mancanza di orientamenti volti a facilitare l’applicazione di norme complesse e a chiarire l’interazione tra i diversi atti legislativi».

 

 La principale preoccupazione è data dai costi.

Uniti al rischio che le imprese della filiera si trovino a rendicontare addirittura più del dovuto, per la difficoltà a interpretare norme che si intrecciano l’una con l’altra.

 

Una deregolamentazione che piace alle imprese e preoccupa la società civile.

E dire che questi testi erano stati già parecchio annacquati rispetto alle loro ambizioni originarie.

 

L’esempio da manuale è la CSDD, la direttiva che obbliga le imprese a vigilare sul rispetto dei diritti umani e dell’ambiente nella catena del valore.

A un certo punto il progetto sembrava sull’orlo del fallimento per l’opposizione di un gruppo di Stati capeggiato dalla Germania (col supporto anche dell’Italia).

 

Poi il sì è arrivato, ma soltanto dopo aver ridotto visibilmente il perimetro delle imprese coinvolte.

Qualcosa di molto simile è accaduto per la rendicontazione non finanziaria.

Le istituzioni europee hanno definito le nuove regole, salvo poi esonerare migliaia di imprese dalla loro applicazione.

 

Anche questo, però, per il rapporto Draghi evidentemente è troppo.

Una posizione che incontra i favori di “Business Europe,” la principale lobby delle imprese europee.

 

«Presteremo molta attenzione alla richiesta di una rinnovata strategia industriale che, giustamente, dia priorità a misure come gli incentivi per gli investimenti produttivi in ​​Europa, l’abbassamento dei costi energetici o la riduzione degli oneri normativi per le imprese.

Le forze di mercato dovrebbero essere al centro di tale strategia, invece di un eccessivo intervento pubblico», dichiara tramite una nota il presidente “Fredrik Persson”.

 

A questo entusiasmo fa da contrappeso la preoccupazione della società civile. “Climate Action Network Europe”, per esempio, parla di «un’agenda per la semplificazione che, in alcune parti, contiene preoccupanti elementi di deregolamentazione che pongono gli obiettivi climatici e ambientali l’uno contro l’altro».

 

Intervistato dalla testata francese “Novethic”, il direttore delle politiche europee della” World Benchmarking Alliance”, “Richard Gardiner”, descrive il rapporto Draghi come «un vero e proprio attacco alle normative europee sulla sostenibilità».

Un testo che «riprende chiaramente il linguaggio dell’industria sul presunto onere costituito dal quadro normativo europeo sulla sostenibilità».

 

 

 

 

 

Sardegna, a Fuoco 2000

Pannelli Fotovoltaici!

Conoscenzealconfine.it – (11 Settembre 2024) – Imola Oggi – Redazione – ci dice:

 

Duemila pannelli fotovoltaici sono stati distrutti da un incendio divampato nella notte tra lunedì e martedì nel cantiere della società “Green and Blue” di “Serra Tuili”, in località Garganu, nelle campagne di Tuili (Sud Sardegna).

 

Le fiamme si sono propagate alle 4 del mattino ed hanno investito i pannelli da installare nel nuovo impianto agri-fotovoltaico.

La squadra dei vigili del fuoco di “Ales”, con il successivo supporto dei colleghi di Cagliari, ha lavorato per diverse ore prima di spegnere il rogo e mettere in sicurezza il cantiere.

 

Nonostante il duro lavoro tutti i pannelli fotovoltaici sono stati distrutti dalle fiamme.

I tecnici dei vigili del fuoco hanno avviato le indagini, ma i dubbi sull’origine dolosa del rogo sono pochi.

Sul posto per le indagini anche i carabinieri.

La società aveva ottenuto l’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto nel 2022.

 

Se confermato dalle indagini sarebbe questo il terzo attentato che viene messo a segno in Sardegna in poche settimane contro impianti di energie rinnovabili.

Prima una pala eolica a Mamoiada e pochi giorni fa il tentativo di incendiare una turbina a Villacidro.

In Sardegna è in corso da mesi una mobilitazione pacifica contro la speculazione energetica, per contrastare l’installazione indiscriminata di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

 

Che dire… Dio c’è! (Nota di conoscenzealconfine)

(agi.it/cronaca/news/2024-09-10/sardegna-bruciati-2000-pannelli-fotovoltaici-si-teme-attentato-27777375/)

 

(imolaoggi.it/2024/09/10/sardegna-a-fuoco-2000-pannelli-fotovoltaici/)

 

Il “piano Draghi” e gli Stati Uniti

d’Europa irrealizzabili:

perché l’UE è destinata a morire

 

 Lacrunadellago.net - Cesare Sacchetti – (10/09/2024) – ci dice:

 

I media avevano creato una sorta di attesa “messianica” attorno a questo “piano” di Mario Draghi, quasi che l’uomo del Britannia da solo potesse tirare fuori dal cappello qualcosa per risollevare le sorti dell’UE.

 

La montagna però, come si è visto, ha partorito il solito vecchio topolino, anche piuttosto malconcio a giudicare dall’aspetto smagrito dell’ex presidente del Consiglio.

 

Se leggiamo questa relazione vediamo che i suoi punti salienti sono principalmente due.

 Il primo riguarda la difesa comune europea che non sarebbe altro che il tanto decantato esercito europeo, del quale a Bruxelles si parla da molti anni ma che è sempre rimasto nel ramo della mitologia.

 

Non si è mai manifestato nulla di reale in questo senso, se non i soliti discorsi di circostanza sulla necessità di dare all’UE un suo esercito che alcuni hanno inizialmente identificato in “Eurogendfor”, che poteva sembrare un’anticamera delle forze armate europee, ma è rimasto invece relegato ad un ruolo marginale, poiché molti Stati non vogliono saperne di sciogliere i propri corpi in una unica forza armata sovranazionale.

 

Il secondo forse è ancora più mitologico del primo, e si tratta del “debito comune europeo”, un passaggio che prevedrebbe una riforma strutturale dei trattati di Maastricht e di Lisbona che i primi a non volere sono proprio i Paesi del Nord-Europa, da sempre fermi in questa loro intransigenza, visto che il gioco, fino a poco tempo fa, è stato pensato per far vincere loro a discapito di tutti gli altri.

 

Sul secondo punto si potrebbe scrivere una enciclopedia, perché la storia del debito pubblico europeo è vecchia come il cucco, come recita il noto proverbio.

 

Ai tempi della crisi dei debiti sovrani già si ricordavano gli afflati degli euristi più incalliti quali l’eurodeputato belga “Verhofstad”t che invocava la costruzione degli Stati Uniti d’Europa che dovevano passare dalla riforma della Banca centrale europea e dalla sua mutazione da banca separata dai governi ad una che invece garantisse i debiti degli Stati.

 

La BCE: una falsa banca centrale.

 

La BCE è una banca centrale soltanto nel nome, ma non nella sostanza.

Essa non è la classica banca centrale che si fa carico dei debiti degli Stati, e non è nemmeno controllata dagli Stati stessi, in quanto è partecipata dalle altre banche centrali nazionali degli Stati dell’eurozona, ma queste, a loro volta, non sono direttamente controllate dai governi.

 

Ad esempio, la “nostra” banca centrale, banca d’Italia,  è partecipata da banche e istituti privati che nemmeno sono nelle mani di investitori italiani, come nel caso di Unicredit e Intesa San Paolo, nelle quali troviamo in entrambe la presenza del famigerato fondo di investimenti BlackRock, una vecchia conoscenza della quale abbiamo già parlato e che funge da deposito di tutti i capitali e fondi di famiglie quali i Rothschild, i Rockefeller, i Warburg e le altre famiglie della finanza ebraica di New York e Londra.

 

La BCE è stata appositamente costruita e pensata per creare la crisi dei debiti sovrani. Chi l’ha ideata infatti non voleva certo stabilizzare le politiche economiche degli Stati.

 

Chi l’ha creata voleva mettere questi alla mercé dei mercati e dei rovesci della speculazione internazionale esattamente come accadde proprio alla fine degli anni 2000 e all’inizio del 2010-2011, quando l’Italia fu investita dal fuoco di fila della speculazione contro la quale l’unico rimedio possibile era quello di uscire dalla gabbia monetaria dell’euro e ricominciare a stampare la moneta nazionale emessa da una banca centrala nazionalizzata.

 

La cura per l’Italia, allora come oggi, non è affatto dissimile da quella che il governo Mussolini somministrò nei suoi primi anni da presidente del Consiglio, quando dopo aver abolito la massoneria, procedette a nazionalizzare la banca d’Italia e a far sì che soltanto questa potesse stampare moneta, mentre ai tempi della tanto decantata democrazia liberale diversi istituti privati avevano la prerogativa di emettere la valuta italiana, e diversi politici si servivano di queste banche anche come bancomat per finanziare sé stessi e le proprie campagne, si veda a questo proposito il famigerato scandalo della banca Romana che coinvolgeva massoni e presidenti del consiglio del calibro di Francesco Crispi e Giovanni Giolitti.

 

Nel mondo dell’eurocrazia non sono più gli Stati a comandare, ma i mercati, e Maastricht e Lisbona non sono altro che la diretta conseguenza di una volontà di assegnare ai mercati il primato sull’economia e sugli Stati, che si ritrovano appunto nelle condizioni di questuanti che bussano alle porte delle banche per avere in cambio i denari per fare spesa pubblica, quando invece, un tempo, quei denari li stampavano.

 

Mayer Amschel Rothschild quando affermava che non aveva importanza chi faceva le leggi, fino a quando a lui sarebbe stato garantito il potere di creare moneta, sapeva quello che diceva, e oggi gli Stati dell’eurozona si ritrovano nelle mani di uomini come lui.

 

Allora, nel 2011, come oggi esisteva un certo assetto europeo e burocratico che non ci pensava minimamente a cambiare tale struttura.

 

La Germania e il rifiuto di cambiare le regole.

 

Non ne aveva interesse alcuno la Germania che attraverso la moneta unica accumulava enormi profitti con le esportazioni, e non aveva la minima intenzione di ridistribuire tale surplus a favore degli Stati che invece erano stati penalizzati dall’euro, quali Italia e Grecia.

 

L’Olanda, altro Paese che ha tratto enormi benefici dall’euro, assieme alla Germania rappresentava quelli che i media chiamavano “i falchi dell’eurocrazia”, ovvero quelli che non volevano una riforma dell’eurozona, ma volevano che sostanzialmente tutto restasse così com’era per sempre.

 

Quello che hanno dimenticato i Paesi Nord-Europei è che tale sistema non poteva andare avanti all’infinito.

 

La roulette non poteva continuare a far uscire all’infinito lo stesso numero perché l’euro è un cane che si morde la coda.

 

Se la forza dei Paesi del Nord-Europa sono le esportazioni gonfiate dal cambio svalutato dell’euro, l’unico modo per continuare a garantire questo assetto era quello di far sì che i Paesi del Sud potessero aumentare la spesa e avere una fetta dei trasferimenti fiscali di Germania e Olanda per comprare i prodotti dei due Paesi.

 

È un meccanismo non molto dissimile da quello che c’è tra Nord e Sud in Italia. Attualmente il Sud è il primo importatore dei prodotti del Nord – Italia e i trasferimenti fiscali da Nord a Sud servono anche a tenere stabile gli acquisti da parte del Meridione di ciò che viene prodotto nel Settentrione.

 

L’austerità ora ha finito per strangolare la stessa Germania che aveva beneficiato di questo meccanismo perché, ad oggi, i Paesi del Sud non sono più in grado di continuare a importare i prodotti tedeschi.

 

Alla fine in questo gioco non ci sono vincitori, se non effimeri e temporanei, e questo spiega perché oggi quella che fino al 2014 era la locomotiva d’Europa sia diventata invece la sua zavorra e stia andando incontro ad una violenta deindustrializzazione.

 

I tedeschi, che già prima non volevano i trasferimenti fiscali e il debito pubblico europeo nei tempi d’oro, figuriamoci ora in tempi di vacche magre e di profonda crisi economica.

 

L’inevitabile fallimento dell’Unione europea

La risposta al piano di Draghi è stata un prevedibile “nein” e quindi il discorso sul passaggio successivo dell’Unione europea agli Stati Uniti d’Europa è esattamente fermo al punto di 10 anni fa.

 

Non è mai iniziato perché non c’era e non c’è la volontà da parte di alcuni attori di rivedere le regole di Maastricht e di compiere il passaggio successivo verso gli Stati Uniti d’Europa.

 

Gli Stati Uniti d’Europa non sono una necessità politica e geopolitica, si badi bene.

 

Sono l’espressione di un personaggio che è il vero padre di questa falsa Europa liberale, ovvero il famigerato conte Kalergi.

 

Kalergi aveva già concepito negli anni’20 del secolo scorso una Europa artificiale che sostituisse la vecchia Europa e uccidesse la sovranità degli Stati nazionali che avrebbero dovuto lasciare il posto ad una entità unica “europea” che avrebbe rappresentato uno dei perni delle futura governance globale che i suoi finanziatori, quali i sempre presenti Rothschild e Warburg, desideravano.

Il conte fu non solo il padre dell’UE ma anche dell’euro, tanto che negli anni’40 già si rivolse all’economista,” Ludwig von Mises”, austriaco di origini ebraiche e tra i più noti sostenitori del moderno libertarismo, per avere lumi sui fondamentali necessari per la creazione di una moneta unica europea.

 

Quello di Draghi era un proposito difficile già 10 anni fa per l’opposizione germanica, e lo è ancora di più 10 anni dopo perché ora il contesto geopolitico è del tutto mutato.

 

A Washington non ci sono più le presidenze garanti dell’Euro-Atlantismo.

Non ci sono più quei poteri che per decenni hanno fatto affluire nelle casse europee i fondi necessari per costruire l’Unione europea e creare così gli Stati Uniti d’Europa e arrivare così alla governance mondiale voluta da questi signori.

 

La presidenza Trump ha interrotto il continuum precedente, e quella presunta di Joe Biden non ha risanato la frattura precedente.

 

Draghi sembra fare il suo discorso da una dimensione parallela. Parla di fatto di Stati Uniti d’Europa quando l’Unione europea non è mai stata così vicino alla sua estinzione.

 

Non è più il tempo dei “grandi” agglomerati globali questo, ma quello invece del ritorno degli Stati nazionali che saranno i veri protagonisti del futuro da qui a molti anni a venire.

 

Gli Stati Uniti d’Europa restano una folle chimera che soltanto i più suoi accaniti e decrepiti sostenitori quali Emma Bonino, Verhofstadt, Sandro Gozi e altri improbabili personaggi possono inseguire.

 

Si sta smontando non solo tutta l’impalcatura europea e atlantica che aveva costituito il cosiddetto” ordine liberale internazionale “nato nel dopoguerra, ma anche il piano superiore della finanza che ne aveva consentito il successo, considerata la crisi che diversi importanti istituti bancari americani ed europei hanno attraversato e stanno attraversando, senza dimenticare il debito monstre di derivati che ha in pancia Deutsche Bank.

 

Si è giunti al tempo della de-globalizzazione.

Si è giunti alla fine di un viaggio iniziato molti decenni prima, e che ha visto consumarsi tutta una serie di tradimenti dei governanti italiani ed europei contro la propria nazione.

 

In Italia, i loro nomi sono sin troppo conosciuti.

Sono i Ciampi, gli Amato, i Napolitano, i Draghi che a bordo del Britannia svendevano i gioielli dell’industria pubblica italiana a quella finanza ebraica inglese e americana che poi li ricompenserà lautamente con prebende e incarichi di vario tipo.

 

Ciampi 92-Draghi 21: tedeschi alle prese con un tecnico europeista a Roma, ma oggi non basta una "lettera Emminger".

 

Draghi e Ciampi, i rappresentanti dell’eurocrazia in Italia.

 

Adesso però si è alla fine di un ciclo e a questo deve aggiungersi che il ritorno ufficiale di Trump è sempre più vicino, uno shock che Bruxelles non potrà probabilmente sopportare anche perché si parla di una prossima uscita dalla NATO degli Stati Uniti.

 

Sono troppi gli eventi quindi che fanno pensare che la storia dell’UE sia giunta alla fine.

 

Draghi ha detto che se non si faranno le riforme da lui proposte che altro non sono che la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa, allora l’Unione europea, sarà destinata a morire.

E dovrà essere effettivamente così.

Non è più il tempo di morire per Maastricht, come disse un personaggio al soldo di questo sistema.

È il tempo che Maastricht muoia per far posto al ritorno delle patrie e delle sovranità nazionali dei Paesi europei.

 

Porre fine al sabotaggio di

Biden per il cessate il fuoco.

                               

Unz.com - Mike Whitney – (11 settembre 2024) – ci dice:

 

I diritti di voto di Washington nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU sono a rischio? “… una parte di una controversia si astiene dal voto."

 

Il principale ostacolo a cessare il fuoco a Gaza non è Israele o Hamas.

 Sono gli Stati Uniti.

Ecco cosa c'è da sapere:

il Consiglio di sicurezza ha approvato l'accordo di cessate il fuoco firmato da Biden il 10 giugno 2024.

(Tre mesi fa) I diplomatici statunitensi hanno assicurato agli altri membri del Consiglio di Sicurezza che Israele sostiene l 'accordo.

Questa affermazione si è rivelata falsa.

Israele non appoggia l'accordo e si rifiuta di attuare le sue disposizioni. Ciononostante, il cosiddetto Piano Biden è passato al Consiglio sotto forma di Risoluzione 2735.

Ecco un riassunto dell'accordo:

 

Con la risoluzione 2735 ...

L'organo, composto da 15 membri, ha osservato che l'attuazione di questa proposta consentirebbe di distribuire i seguenti risultati in tre fasi, la prima delle quali includerebbe una cessate il fuoco immediato, completo e completo con il rilascio degli ostaggi;

la restituzione dei resti di alcuni ostaggi che sono stati uccisi;

lo scambio di prigionieri palestinesi;

il ritiro delle forze israeliane dalle aree popolate di Gaza ;

 il ritorno dei civili palestinesi alle loro case;

e la distribuzione sicura ed efficace dell'assistenza umanitaria su larga scala in tutta Gaza.

Adozione della risoluzione 2735, Nazioni Unite.

 

Non c'è ambiguità qui, le richieste del Consiglio sono chiare.

Entrambe le parti in conflitto sono tenute ad attuare le disposizioni della risoluzione che sono "vincolanti" ai sensi del diritto internazionale.

 

Hamas ha accettato di rispettare la risoluzione 2735, mentre Israele ha rifiutato.

 In breve, gli Stati Uniti e Hamas sono dalla stessa parte della questione del cessate il fuoco.

 

Al fine di confondere l'opinione pubblica sul rifiuto di Israele, l'amministrazione Biden ha continuato a supervisionare i negoziati al Cairo ea Doha (con Israele, Egitto, Qatar e Stati Uniti) per creare l'impressione che i negoziati siano in corso. Ma non sono in corso.

Questa è una farsa che viene usata per nascondere il rifiuto di Israele del cessate il fuoco sostenuto dall'ONU.

Gli Stati Uniti sono complici di questo inganno.

 

Attualmente, l'opinione pubblica è convinta che se Israele e Hamas riuscissero a trovare un compromesso sul corridoio di Filadelfi, allora un accordo sarebbe possibile.

Ma anche questo è fuorviante perché la risoluzione sul cessate il fuoco è già stata ampiamente discussa e approvata dal Consiglio.

Inoltre, il corridoio di Filadelfi non appare da nessuna parte nel testo della risoluzione 2735, il che lo rende un punto controverso.

L'inviato della Russia al Consiglio di Sicurezza dell'ONU lo ha riassunto così la scorsa settimana:

 

la leadership israeliana, purtroppo, continua a considerare i negoziati solo come una "cortina fumogena", che contribuisce a distrarre l'attenzione della comunità internazionale dalla soluzione militare israeliana alla questione palestinese.

 Ciò è dimostrato non solo dalle azioni di Gerusalemme Ovest sul terreno, ma anche dalle recenti osservazioni del primo ministro Netanyahu, che ha dichiarato che non avrebbe fermato l'azione militare nella Striscia.

 Non vediamo ancora alcuna indicazione che il gabinetto militare israeliano abbia intenzione di cambiare questa politica.

Missione permanente della Federazione Russa presso le Nazioni Unite.

 

Questo è un resoconto accurato di ciò che sta accadendo attualmente.

Gli Stati Uniti stanno aiutando Israele a gettare fumo negli occhi dell'opinione pubblica per sfuggire alla responsabilità per la furia in corso e per far sembrare che abbiano un genuino interesse a risolvere la disputa che dura da 10 mesi.

 

 Ma non c'è alcun interesse a risolvere la controversia, infatti, Netanyahu ha dichiarato più volte che Israele non fermerà le ostilità e non ritirerà le truppe israeliane da Gaza.

Non c'è nessuna zona grigia qui.

 Si tratta di un netto rifiuto di rispettare il mandato dell'ONU.

 

Naturalmente, i membri del “Consiglio di sicurezza” hanno risposto a questi sviluppi con frustrazione e rabbia.

Ora possono vedere che sono stati tratti in inganno dall'amministrazione Biden che sperava di fare pressione su Israele spingendo il loro accordo attraverso l'UNSC.

Ora che il piano è saltato in faccia a loro, gli Stati Uniti sono tornati ai loro vecchi trucchi di fornire copertura a Israele indipendentemente dall'offesa.

Ecco di più dall'inviato russo “Dmitri Polyanskiy”:

 

Colleghi, per quanto tempo ancora resteremo inattivi, mentre i potenziali mediatori americani continuano a fare spettacolo e a propinarci vuote promesse che i loro sforzi diplomatici "sul campo" porteranno risultati rapidi?

 

 La realtà è che da 10 mesi Washington tiene sostanzialmente in ostaggio l'intero Consiglio, minacciando di usare il suo veto e impedendoci di prendere decisioni dure e inequivocabili sulla questione palestinese e sul cessate il fuoco a Gaza, o sul progresso del processo di pace in Medio Oriente nel suo complesso...

 

Se la risoluzione 2735 non viene attuata, approviamo un nuovo documento, che invierebbe un messaggio inequivocabile agli "spoiler" che sicuramente sosterranno le conseguenze di ciò che stanno facendo.

E forniamo alla nostra risoluzione una cassetta degli attrezzi che contribuisca a fermare la violenza, indipendentemente dai capricci di qualsiasi parte in conflitto.

 

È anche di fondamentale importanza che Washington cessi finalmente la sua assistenza militare multimiliardaria a Israele, che viene utilizzata per annientare i civili palestinesi.

Quante altre vittime sono necessarie perché il Consiglio agisca in linea con il suo mandato e smetta di seguire ciecamente l'esempio degli Stati Uniti e di Israele?

Missione permanente della Federazione Russa presso le Nazioni Unite.

 

Dimitri Polyanskiy” si rivolge al Consiglio di Sicurezza dell'ONU.

 

Quindi, si può vedere che la temperatura sta salendo al Consiglio di Sicurezza e che molti dei membri sono alla fine dell'ingegno con le buffonate di Washington. Polyanskiy ha parlato a nome di molti dei membri quando ha concluso la sua dichiarazione con questo rimprovero feroce:

 

Tutti in quest'Aula sono perfettamente consapevoli del fatto che sono gli Stati Uniti ad avere la responsabilità principale di ciò che sta accadendo ora a Gaza.

 

Questo riassume perfettamente il tutto.

 

Vale la pena notare che i diplomatici statunitensi che hanno partecipato ai recenti negoziati al Cairo e a Doha non hanno nemmeno tenuto aggiornati i membri del Consiglio di Sicurezza sui dettagli di tali incontri.

 Si tratta di un'operazione canaglia guidata da funzionari americani che non hanno l'autorità di modificare l'accordo di cessare il fuoco esistente e che (incredibilmente) stanno conducendo questi raduni senza rappresentanti di Hamas.

L'intera faccenda è una cinica frode che ha una sorprendente somiglianza con la conferenza di pace di Zelensky in Svizzera che ha esclusa la Russia.

 Una falsa conferenza di pace ne genera un'altra.

 

Di nuovo “Dmitri Polyanskiy”:

 mentre inizialmente avevamo discusso del ritiro completo delle truppe israeliane dall'enclave, Israele ora insiste nel mantenere la sua presenza nei corridoi di Philadelphia e Netzarim.

 

Il Consiglio di sicurezza ha dato il suo consenso a parametri completamente diversi degli accordi, il che significa che queste richieste sono una violazione diretta delle disposizioni della suddetta risoluzione del Consiglio di sicurezza.

 I mediatori americani, sfortunatamente, stanno apertamente giocando con il loro alleato nella sua costante violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

 

Ecco come l'amministrazione Biden sta aiutando Israele a eludere i suoi obblighi ai sensi dell'attuale cessate il fuoco sostenuto dall'”UNSC”.

Blinken sta tenendo una masterclass di inganno.

 

(Per quanto riguarda la questione più ampia) Il bagno di sangue durato 10 mesi da parte di Israele a Gaza ha portato molte persone a chiedersi perché il mondo abbia bisogno di un Consiglio di sicurezza se non riesce a garantire la sicurezza delle persone che ne hanno più bisogno?

 

È una domanda legittima, che mette in discussione la credibilità di un'istituzione che aspira a essere "il garante della sicurezza globale", ma che è incapace di agire anche quando un genocidio si sta consumando proprio sotto il suo naso.

 

Naturalmente, la fonte del problema non è difficile da identificare.

È lo stesso membro permanente che ha ripetutamente posto il veto alle proposte di cessate il fuoco una dopo l'altra fino a quando non ha fatto passare la sua versione ibrida che non aveva alcuna possibilità di essere implementata.

 

Stiamo parlando degli Stati Uniti d'ostruzione, l'unico membro del Consiglio che agisce esclusivamente nell'interesse del suo alleato genocida a Tel Aviv.

 Gli altri membri del Consiglio si trovano di fronte al compito arduo di rimuovere del tutto gli Stati Uniti dal Consiglio di sicurezza (in modo da poter far rispettare la loro risoluzione di cessate il fuoco tramite sanzioni, peacekeeper o altre misure punitive) o di trovare un modo per costringere gli Stati Uniti ad astenersi dal voto su questioni relative all'attuale conflitto.

Ma è possibile una di queste due cose?

 

Sì, lo sono, ma non saranno raggiunti facilmente. Ciononostante, il Consiglio non può semplicemente ignorare il suo ruolo speciale nelle relazioni internazionali perché un membro abusa costantemente del sistema impedendo all'ONU di svolgere il suo lavoro di preservare la pace e la sicurezza in tutto il mondo.

 

Le regole per l'espulsione di un membro del Consiglio di Sicurezza lo rendono quasi impossibile.

Quindi, mentre il capitolo 18 della Carta delle Nazioni Unite dice che un membro può essere rimosso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite se due terzi dell'Assemblea Generale votano contro quel membro;

 il Consiglio di Sicurezza può impedire che la questione raggiunga mai l'Assemblea Generale.

È un problema 22.

 

Articolo 108.

 

Gli emendamenti alla presente Carta entreranno in vigore per tutti i Membri delle Nazioni Unite quando saranno stati adottati con un voto dei due terzi dei membri dell'Assemblea generale e ratificati in conformità con le rispettive procedure costituzionali dai due terzi dei Membri delle Nazioni Unite, compresi tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza.

Carta delle Nazioni Unite, Capitolo XVIII: Emendamenti.

 

Gli esperti di diritto hanno anche sostenuto che l'articolo 6 della Carta delle Nazioni Unite potrebbe essere interpretato in modo da consentire la rimozione di un membro, ma finora non è stato utilizzato con successo in tal senso.

Articolo 6 Un Membro delle Nazioni Unite che abbia persistentemente violato i principi contenuti nel presente Statuto può essere espulso dall'Organizzazione dall'Assemblea generale su raccomandazione del Consiglio di sicurezza.

 

L'unico membro dell'ONU ad essere rimosso con successo è stata Taiwan nel 1971, che "fu formalmente espulsa dalle Nazioni Unite con un voto dell'Assemblea generale e sostituita dalla Repubblica Popolare Cinese (RPC), che aveva preso il potere a Pechino alla fine della guerra civile del paese nel 1949.

 

Il governo della “ROC “era fuggito sull'isola di Taiwan con milioni di rifugiati quando i comunisti presero il potere, ma continuò a detenere il seggio della "Cina" all'ONU ed era un membro permanente del Consiglio di sicurezza con potere di veto.

 Nonostante fossero in esilio, i funzionari di Taipei avevano il sostegno degli Stati Uniti grazie ai timori in Occidente che il comunismo potesse diffondersi in Asia...

 

Dopo anni di tentativi per volere dell'alleata cinese Albania, la risoluzione finalmente approvata.

 

La rimozione di Taiwan non è affatto paragonabile alla situazione attuale degli Stati Uniti.

Inoltre, l'espulsione potrebbe non essere nemmeno lo strumento preferito per affrontare il problema degli Stati Uniti.

Se l'obiettivo è semplicemente quello di consentire al Consiglio la flessibilità di cui ha bisogno per svolgere i compiti per cui è stato creato, allora l'attenzione dovrebbe essere rivolta ai modi per prevenire l'ostruzionismo degli Stati Uniti.

 

È l'ostruzionismo degli Stati Uniti che impedisce al Consiglio di sicurezza di fare il suo lavoro, di far rispettare le sue risoluzioni, di porre fine a questa guerra insensata e di rendere giustizia al popolo palestinese.

Se ciò può essere ottenuto mantenendo il posto di Washington nel Consiglio, allora sarebbe un risultato auspicabile.

Ma è possibile?

 

Lo è, secondo il membro del consiglio di amministrazione dell'Associazione delle Nazioni Unite-Sezione di San Francisco, “Dan Becker”.

Ecco cosa dice:

 

Nella Carta delle Nazioni Unite, la frase stessa che stabilisce il potere di veto permanente del Consiglio di sicurezza termina — sorprendentemente — con queste nove parole: "... una parte in una controversia deve astenersi dal voto".

 

Lasciamo che la frase sedimenti per un momento prima di riconoscere che in effetti c'è una serie di condizioni, requisiti, prove al tornasole e ostacoli da superare prima che la frase possa essere invocata e applicata a una risoluzione.

 

Ma allo stesso tempo, è anche cruciale e un po' notevole ricordare che i cinque membri permanenti (P5) del Consiglio di sicurezza — Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia e Stati Uniti — non sono esenti.

Devono anche loro astenersi.

Quindi, eccolo, questo meccanismo poco noto nascosto in bella vista nell'articolo 27 (3)…

 

Una cronologia abbreviata, secondo il Rapporto del Consiglio di sicurezza, una pubblicazione indipendente, spiega i requisiti necessari per invocare questa clausola:

 

"Le astensioni ai sensi dell'articolo 27 (3) sono obbligatorie solo se si applicano tutte le seguenti condizioni:

la decisione rientra nel Capitolo VI o nell'articolo 52 (3) del Capitolo VIII;

la questione è considerata una controversia;

 un membro del Consiglio è considerato parte della controversia;

e la decisione non è di natura procedurale".

...

In secondo luogo, l'affermazione che gli Stati Uniti sono una "parte della controversia" a Gaza.

 Ciò viene solitamente invocato a causa della grande massa di armi fornite a Israele da Washington...

La questione è ampiamente dibattuta.

Ma alcuni dei numerosi studi riguardanti questo argomento sono piuttosto esaustivi e mantengono l'affermazione abbastanza ragionevole...

 

Non è un esercizio accademico.

Qualsiasi capacità di costringere un membro della P5 ad astenersi dovrebbe essere esaminata attentamente.

 Tutti gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti in questo momento, e la suspense è palpabile. ...

Il principio alla base di questo meccanismo è chiaro a qualsiasi bambino in età scolare.

 Fa appello al nostro buon senso ultimo.

 

Non è che la clausola non sia stata utilizzata in passato, il più delle volte nei primi anni dell'ONU.

 

Un ulteriore esame del documento del” Rapporto del Consiglio di sicurezza” di cui sopra mostra chiaramente che 12 volte il mandato è stato invocato con successo e 14 volte è stato sollevato o preso in considerazione ma non è riuscito.

 Tuttavia, un tempo era vivo e vegeto...

 

Il potere di scavare in questa questione ha il potenziale per raccogliere grandi ricompense ora e in futuro.

Potrebbe cambiare il calcolo nel Consiglio. ...Quindi spolveriamo questa frase nell'articolo 27(3)

: "... una parte in una controversia si asterrà dal voto", studiamo attentamente i suoi limiti e restrizioni, e poi facciamo rumore prima piuttosto che dopo.

Gaza e il potere di veto dell' ONU, “Dan Becker”, “Consortium News”

 

Riconosciamo che nessun "cavaliere in armatura splendente" irromperà a Gaza e salverà i palestinesi dalla furia sadica di Israele.

Ciò non accadrà.

 L'unico modo in cui questo conflitto può essere portato a termine è se la comunità internazionale persegue aggressivamente una strategia in cui Washington viene messa da parte mentre Israele viene isolato, sanzionato e gradualmente costretto a conformarsi.

La risoluzione 2735 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è già stata approvata.

Ora deve essere applicata.

 

Ecco come appare la straordinaria testimonianza dell'attivista per i diritti umani “Yuli Novak” al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite:

 

"Da quando Israele è stato fondato, la sua logica guida è stata quella di promuovere la supremazia ebraica su tutto il territorio sotto il suo controllo.

“Yuli Novak”, direttore esecutivo di “B'Tselem”.

 

È un onore rivolgermi oggi al Consiglio di Sicurezza .... sullo stato dei diritti umani in Israele-Palestina.

 

Durante questa settimana, centinaia di migliaia di israeliani sono scese in piazza.

 Si sentono arrabbiati, disperati e traditi dal loro governo.

Hanno capito, forse per la prima volta, che il governo israeliano non vuole ripristinare gli ostaggi in un accordo, ma continuare la guerra a tempo indeterminato.

 

Per comprendere la condotta criminale del governo israeliano negli ultimi 11 mesi, bisogna comprendere l'obiettivo generale di questo regime.

Sin dalla fondazione di Israele, la sua logica guida è stata quella di promuovere la supremazia ebraica sull'intero territorio sotto il suo controllo.

 

 Le attuali linee guida del governo affermano:

Il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile su tutte le parti della terra di Israele.

Nell'attacco criminale guidato da Hamas del 7 ottobre, 1.200 israeliani sono stati uccisi e 250 sono stati presi in ostaggio.

Da quel giorno tutti gli israeliani vivono nella paura.

 Il nostro governo sta cinicamente sfruttando il nostro trauma collettivo per promuovere violentemente il suo progetto di consolidare il controllo israeliano sull'intera terra.

 Per farlo, sta dichiarando guerra all'intero popolo palestinese, commettendo crimini di guerra quasi ogni giorno".

 

A Gaza, questo ha assunto la forma di espulsione, carestia, uccisioni e distruzione su una scala senza precedenti.

Questo va oltre la vendetta.

Israele sta usando l'opportunità per promuovere un programma ideologico che rende Gaza inabitabile, come questo consiglio ha ripetutamente scoperto, una vasta parte delle case e delle infrastrutture di Gaza è stata completamente distrutta cacciando i palestinesi da intere aree e sfollando milioni di persone. Israele sta gettando le basi per un controllo a lungo termine di Gaza.

Ciò potrebbe portare al ripristino degli insediamenti israeliani lì.

 

In Cisgiordania e a Gerusalemme Est, il governo sta sfruttando la situazione per apportare cambiamenti irreversibili.

 Da ottobre, Israele ha ucciso 640 palestinesi, tra cui almeno 140 minori.

 I coloni attaccano i palestinesi e compiono pogrom in pieno giorno con il sostegno del governo. …

 

Di recente l'esercito ha lanciato un'enorme operazione volta a danneggiare le infrastrutture che servivano centinaia di migliaia di palestinesi in Cisgiordania.

 

 La comunità internazionale non ha fermato la politica israeliana di danni massicci ai civili a Gaza.

Ora questa politica crudele si sta riversando in Cisgiordania.

La guerra contro i palestinesi sta avvenendo anche nelle prigioni.

Da ottobre, Israele ha arrestato migliaia di palestinesi e li ha tenuti in condizioni disumane.

 

 Il mese scorso abbiamo pubblicato un rapporto chiamato "Benvenuti all'inferno" che mostra lo scioccante schema di abusi che equivale a tortura.

Il governo di Israele ha usato la guerra per trasformare le prigioni israeliane in una rete di campi di tortura per i palestinesi.

 Questa violenza è possibile perché Israele ha goduto dell'impunità per decenni.

Finché questa impunità continuerà, le uccisioni e la distruzione continueranno e si espanderanno. e la paura continuerà a governare la terra.

 

 

 

 

Cosa è successo all'Europa.

  Unz.com - Paul Craig Roberts – (10 settembre 2024) – ci dice:

 

Un amico europeo mi ha inviato questo articolo che fornisce una certa comprensione della situazione politica attuale in Francia.

I media americani producono quasi zero informazioni sulla situazione politica nei paesi europei.

Ciò che gli americani sentono dell'Europa è generalmente limitato a qualsiasi sia la narrazione attuale dell'UE.

 

L'Unione Europea è un enigma.

Dopo aver sofferto per l'assurdità dell'UE, gli inglesi hanno avuto abbastanza buonsenso da uscirne, ma gli esperti britannici continuano a considerare la Brexit un errore.

Cosa spiega l'incrollabile indottrinamento degli esperti adoratori della Brexit?

 

In effetti, cosa spiega la stupidità dei governi europei nell'aggiungere un altro livello di tassazione e nel sacrificare la propria autorità e sovranità a una "commissione" che nessuno elegge?

Ho sempre visto l'Unione Europea come il passaggio dell'Europa dalla democrazia e dal governo responsabile alla tirannia.

 L'Unione Europea è la resurrezione del nazismo in Europa.

Niente di meno.

 È il governo degli irresponsabili ed è stato concepito in questo modo.

Non riesco a identificare un singolo guadagno per nessun paese dall'appartenenza all'UE.

Tutto ciò che l'appartenenza all'UE ha portato a Grecia e Portogallo è stato il saccheggio dei loro settori pubblici da parte delle banche del Nord Europa.

Senza una propria valuta con cui finanziare il loro debito, Grecia e Portogallo sono stati facili prede.

 

Anche la Germania, che aveva il potente marco tedesco, perse la sua moneta e il controllo sulla politica monetaria del paese.

Senza una propria moneta, anche la Francia non è più un paese sovrano.

Il destino dei paesi europei è soggetto a un sistema di banche centrali che non controllano.

 

Si ha l'impressione che il beneficiario dell'UE sia Washington, che ha bisogno di controllare solo un'entità invece di ciascuna delle due dozzine circa di paesi europei.

 È anche utile a Washington che l'UE venga gradualmente fusa nella NATO.

 

Forse la fiducia degli europei è stata distrutta dalla prima e dalla seconda guerra mondiale.

Gli europei si rendono conto che ogni paese europeo ha perso e che il vincitore è Washington e, per un po', l'Unione Sovietica.

La Gran Bretagna è stata completamente distrutta dalle guerre, perdendo il suo impero, il ruolo di valuta di riserva e il controllo sul commercio internazionale.

 La Germania ha perso un'esistenza tedesca con il suo sistema educativo trasformato dagli americani in un indottrinamento anti-tedesco.

 

I leader politici europei sono di così scarsa importanza che gli americani non riconoscono nemmeno i loro nomi.

Gli unici nomi riconosciuti negli USA sono quelli del segretario generale della NATO e del commissario dell'UE, entrambi nominati da Washington, e nemmeno questi nomi sono ampiamente noti.

 

Più ci penso, più mi convinco che l'unica spiegazione per l'UE sia la perdita di fiducia da parte dell'Europa.

 

Oggi l'Europa non è altro che un museo di ciò che resta dopo due guerre devastanti dell'arte e dell'architettura della civiltà occidentale.

Oggi questi resti sono minacciati dalla complicità dell'Europa nell'aggressiva ostilità di Washington verso la Russia.

Non solo il sole è tramontato sull'Impero britannico, il sole sta tramontando sulla Gran Bretagna stessa e sul mondo occidentale.

 Il potere che un tempo avevano i paesi europei è scomparso per sempre. Washington sta marciando con i suoi burattini verso l'Armageddon nucleare.

 

La scommessa di Macron:

la Francia riuscirà a trovare stabilità con un primo ministro centrista?

 

Il testo fa luce sulla complessa situazione politica della Francia, segnata dalla nomina di “Michel Barnier” a primo ministro e dalle sfide poste dalla divisione del parlamento e dalla crescente sfiducia della popolazione nei confronti dell'élite politica.

 

Di “Pierre Levy”.

 

La Francia dovrebbe essere governata dalla destra della sinistra, dalla sinistra della destra o dal centro del centro?

Per settimane, politici e analisti di spicco sono alle prese con questa domanda vertiginosa, implorando il presidente sempre più impaziente di prendere una decisione il prima possibile.

 

Il 5 settembre nominò finalmente “Michel Barnier” per formare e guidare il prossimo governo.

Barnier proviene dal partito “Les Républicains” (LR, destra classica).

 Il curriculum del nuovo Primo Ministro suona quasi come un programma.

 

“Barnier “è stato, tra l'altro, ministro francese per gli Affari europei (1995-1997), commissario europeo per la politica regionale (1999-2004), ministro degli Affari esteri (con delega agli affari europei, 2004-2005) e di nuovo commissario europeo (e vicepresidente della Commissione) per il mercato interno (2010-2014).

 

 Infine, ha servito di nuovo Bruxelles, guidando i negoziati della Commissione europea con Londra dal 2016 (un'esperienza che ha descritto in un libro – letto da nessuno – in cui esprimeva tutto ciò che di negativo pensava sulla Brexit).

 

Mentre i politici e i media erano in fermento per l'eccitazione prima di questo annuncio, la maggior parte della gente comune non lo era.

 

Alle macchinette del caffè nelle fabbriche e negli uffici, le conversazioni dei colleghi tendono a ruotare attorno al costo dell'inizio della scuola, alla approvazione del potere d'acquisto, al numero di anni prima della pensione o al deterioramento dei servizi pubblici – quest' immobiliare, in particolare nel settore ospedaliero.

Il tira e molla che circondava la scelta del nuovo ospite per Matignon (sede del capo del governo) non ha affascinato le masse.

 Soprattutto perché il secondo mandato quinquennale di “Emmanuel Macron”, iniziato due anni fa, ha rivelato una crisi di rappresentanza politica.

Il sovrano dell'Eliseo, rieletto nel maggio 2022 contro “Marine Le Pen”, aveva pochi dubbi sulla sua capacità di ottenere la conferma della maggioranza parlamentare assoluta a suo favore un mese dopo.

 

Ciò non è accaduto:

nel giugno 2022, ha ricevuto solo una maggioranza relativa di parlamentari.

Sono seguiti due anni difficili, durante i quali la maggior parte delle proposte di legge poteva essere approvata solo attraverso infinite chiacchiere e compromessi, o attraverso una disposizione costituzionale che consente di approvare una proposta di legge senza votazione (a meno che la maggioranza dei parlamentari non accetti una mozione di sfiducia).

 

Questa procedura brutale è stata utilizzata per approvare i bilanci (sebbene questo sia l'atto più importante di un parlamento) e per far passare l'impopolare riforma delle pensioni, tra le altre cose.

Due aree che sono attentamente monitorate dalla “Commissione europea”.

 

Secondo i commentatori, questa situazione scomoda significava che prima o poi l'Assemblea nazionale avrebbe dovuto essere sciolta.

 

Il Presidente ha infine deciso di accelerare questa scadenza annunciando la sua decisione l'8 giugno, la sera delle elezioni europee.

 Queste erano andate come uno tsunami in Francia a favore del “Rassemblement National” (RN, spesso classificato come di estrema destra, cosa che Marine Le Pen nega).

 

Il calcolo del presidente era semplice:

descrivendo un RN pericolosamente vicino al potere ed evocando così lo spettro delle "ore buie della nostra storia", Emmanuel Macron sperava di beneficiare di un riflesso "repubblicano" e di trovare così una maggioranza di parlamentari che sostenessero il suo lavoro.

 

È andata diversamente.

Il primo turno di votazioni del 30 giugno è stato caratterizzato da un ulteriore rafforzamento del RN: quest'ultimo ha ricevuto 10,6 milioni di voti, tre milioni in più rispetto alle elezioni europee.

 Al secondo turno, tuttavia, le dimissioni reciproche di sinistra, centro e destra hanno impedito al RN di ottenere la maggioranza dei parlamentari (sebbene abbia il gruppo più forte in parlamento).

 

Tuttavia, questa tattica ha avuto il suo prezzo:

un parlamento più frammentato che mai e con maggioranze potenziali ancora inferiori al precedente si è trasferito al Palais Bourbon (dove si riunisce la Camera dei Deputati).

Da qui i mal di testa e i ritardi che hanno preceduto la nomina di” Michel Barnier”.

 

Quest'ultimo, sebbene osi fare riferimento a una lontana eredità gollista, è considerato un centrista, il che si adatta al profilo della persona che si cerca da due mesi.

 Con questo paradosso democratico:

 più gli elettori si esprimono a favore degli "estremisti", più spesso vengono fatte dichiarazioni che proclamano la necessità di "governare la Francia al centro".

 

Tuttavia, il termine "estremi" dovrebbe essere messo tra virgolette.

È usato dai media mainstream per riferirsi alla “RN” da un lato e a “La France Insoumise” (LFI) dall'altro.

 

Quest'ultimo partito, il cui ispiratore rimane l'ex ministro socialista Jean-Luc Mélenchon (che prevede di ricandidarsi alle prossime elezioni presidenziali), è il più grande movimento dei quattro partiti di sinistra che hanno unito le forze nella coalizione formata a giugno chiamata Nuovo Fronte Popolare.

 

Il RN e il LFI sono ovviamente contrari in molti ambiti.

 Tuttavia, hanno una cosa in comune:

entrambi (più precisamente, i partiti da cui sono emersi, rispettivamente il Front National e il Left Party) avevano vagamente flirtato con il piano di lasciare la Francia fuori dall'UE, il che avrebbe potuto rappresentare un interessante radicalismo; tuttavia, entrambi hanno poi voltato le spalle a questo.

 

Gli amici di Jean-Luc Mélenchon lo hanno fatto diversi anni fa, quelli di Marine Le Pen solo di recente.

 Entrambi ora sostengono "rimodellare l'Europa dall'interno" - una prospettiva illusoria e fuorviante, come hanno dimostrato tutti i tentativi precedenti.

 

Ora, i rapporti con l'UE saranno sempre un problema fondamentale per il prossimo governo:

la Francia riuscirà a liberarsi dalle decisioni prese dai 27 Stati membri, oppure continuerà a muoversi in un quadro insormontabile di vincoli politici, economici, sociali e internazionali, indipendentemente dalle future decisioni dell'elettorato?

In questo senso, la nomina dell'ex commissario europeo “Michel Barnier” è una conferma e un simbolo.

E non è un buon esempio per il futuro.

Di recente, il quotidiano Le Monde (31.08.2024) ha pubblicato uno studio completo che evidenzia l'aumento generale della sfiducia e del discredito subiti dalla classe politica e dalle istituzioni.

 

Casualmente, lo stesso giorno, un accademico britannico è stato citato in un rapporto dello stesso quotidiano sulle recenti rivolte nel Regno Unito:

"Rabbia, ostilità e cinismo sono diventati parte della cultura della sottoclasse.

 Un gran numero di persone si sente profondamente ignorato.

 I partiti politici al potere si rifiutano di affrontare le ragioni di questa rabbia e frustrazione.

Mentre così tante persone chiedono un cambiamento, loro offrono loro solo continuità".

 

Una diagnosi che potrebbe facilmente attraversare il Canale della Manica.

 

 

 

 

 

Democrazia e identità.

 

Unz.com - Mark Weber – (16 luglio 2024) – ci dice:

 

Viviamo in un'epoca di paralisi politica, disordine sociale e caos culturale sempre più evidenti.

Negli ultimi anni, i sondaggi di opinione pubblica mostrano che la fiducia degli americani nel Congresso degli Stati Uniti, nei mass media e in altre importanti istituzioni socio-politiche è scesa a livelli storicamente bassi.

I sondaggi mostrano anche che la maggior parte degli americani ritiene che il loro paese stia andando nella direzione sbagliata e che la vita per i loro figli e nipoti sarà meno sicura e prospera di quanto non lo sia stata per loro.

Gli americani, e in particolare i cittadini più giovani, sono comprensibilmente cinici riguardo agli slogan e alle promesse di entrambi i principali partiti politici.

 

Da decenni ormai, milioni di americani bianchi si spostano da un quartiere all'altro, da una città all'altra e da uno stato all'altro, rifugiati nel loro stesso paese, in uno sforzo sempre più frenetico per sfuggire alla diffusione della "terzo mondializzazione" del loro paese e per vivere nel tipo di società che i nostri nonni e bisnonni potevano dare per scontata.

 

La vita culturale di una nazione sana, compresi i suoi film e l'intrattenimento, riflette e rafforza l'eredità, l'identità e gli interessi del suo popolo.

Ma nell'America di oggi, il controllo dei mass media e della vita culturale è nelle grinfie di persone la cui ideologia e agenda sono ostili agli interessi a lungo termine del nostro popolo, alimentando così il continuo, inesorabile crollo della nostra nazione.

 

È possibile ignorare la realtà.

Non è possibile ignorare per sempre le conseguenze dell'ignorare la realtà.

 La crisi dell'America di oggi non è emersa all'improvviso, ma ha radici in decisioni e politiche che risalgono a più di mezzo secolo fa.

 Il divario già enorme tra gli ideali e gli obiettivi proclamati per decenni dai nostri leader e nei media mainstream, da un lato, e la realtà sempre più ovvia che tutti possono vedere intorno a noi, dall'altro, non potrà che ampliarsi nei mesi e negli anni a venire.

Proprio come gli americani 100 o anche 50 anni fa avrebbero guardato l'America di oggi con ripugnanza, così anche coloro che saranno qui tra 50 anni guarderanno indietro all'America di oggi con un misto di sconcerto, pietà e disprezzo.

 

Una società malata non può e non può durare.

Una nazione guidata da falsi principi, speranze e nozioni irrealistiche sulla società e sulla storia non può e non sopravviverà; non merita di sopravvivere.

Gli "Stati Uniti d'America" ​​potrebbero barcollare e inciampare per molti altri anni, forse anche per qualche decennio, ma non sono più una nazione coerente e determinata.

 

Quanto più vigorosamente coloro che detengono il potere cercano di rendere questa una società di ciò che chiamano "equità", tanto più devono inevitabilmente abbassare gli standard di competenza, capacità e merito.

L'inevitabile risultato:

le aziende americane saranno meno competitive nei mercati globali, i servizi pubblici continueranno a deteriorarsi, gli incidenti aerei e ferroviari diventeranno più frequenti e le città americane diventeranno sempre più brutte, aliene e sgradevoli.

 

Coloro che sono al potere risponderanno alle conseguenze dannose ma inevitabili delle loro politiche attribuendone sempre più la colpa agli americani bianchi e al “razzismo sistemico”.

In nome della lotta all'“odio”, all'“estremismo”, al “razzismo” e all'“antisemitismo”, spingeranno per nuove leggi e misure in uno sforzo in ultima analisi futile per sopprimere opinioni e voci che non gli piacciono.

 

Sarà sempre più difficile per gli americani bianchi essere indifferenti o non toccati da tutto questo.

Si troveranno sempre più incapaci di evitare un dilemma sgradevole.

Coloro che credono e accettano il messaggio anti-bianco promosso nei media mainstream, nei film di Hollywood e nelle aule scolastiche, si vergogneranno sempre di più della loro eredità, della loro razza e di sé stessi.

Ma coloro che rifiutano di accettare questo messaggio tossico rifiuteranno - all'inizio interiormente e poi sempre più apertamente - l'intero Sistema e la sua ideologia guida.

 

Mentre le condizioni politiche, sociali e culturali continuano a peggiorare, l'attenzione dell'Establishment sui presunti mali e pericoli del "razzismo bianco" incoraggerà almeno una minoranza di americani bianchi a vedere il mondo e la storia in termini razziali.

 

Ciò a sua volta incoraggerà almeno alcuni americani bianchi a pensare a sé stessi non semplicemente come individui, ma come uomini e donne di discendenza europea e retaggio occidentale.

Un numero maggiore di americani bianchi capirà e concorderà con ciò che alcuni di quelli qui questo fine settimana dicono da anni.

 

Sentiamo spesso dire che il grande problema dell'America odierna è che non è abbastanza "democratica".

 Molti repubblicani sostengono che le elezioni presidenziali del 2020 sono state "rubate", il che, secondo loro, dimostra che gli Stati Uniti non sono più realmente "democratici".

E molti democratici affermano che il pericolo più grande per il futuro del paese deriva dai sostenitori di “Trump MAGA” che minacciano quella che viene chiamata con reverenza "la nostra democrazia".

 

Ma il problema qui non è che gli USA non siano "democratici";

 il punto chiave, soprattutto per gli americani bianchi, è che questa non è più " la nostra democrazia".

La maggior parte degli americani bianchi non comprende ancora appieno la realtà che questa contea è diventata così multietnica e multirazziale che non può più essere considerata in modo credibile come "il nostro" paese, democratico o meno.

 

Come dimostra la storia, profondi cambiamenti di atteggiamento e percezione pubblica possono verificarsi rapidamente, quando la nuova prospettiva è in accordo con la realtà già esistente. Ecco alcuni episodi istruttivi dell'Europa del ventesimo secolo:

 

Nel 1918 il “Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda” – UK – era una “democrazia” multipartitica in cui gli elettori di Inghilterra, Scozia e Irlanda eleggevano rappresentanti alla Camera dei Comuni di Londra.

 

 I nazionalisti irlandesi non accettarono questo, perché per quanto “democratico” fosse il Regno Unito, non era una democrazia irlandese.

 La più importante organizzazione politica identitaria irlandese durante questo periodo fu “Sinn Fein”, che significa “Noi stessi”

. Dopo due anni e mezzo di violenta lotta tra nazionalisti irlandesi e governo britannico, lo “Stato libero d’Irlanda”, precursore dell’odierna Repubblica irlandese, fu fondato nel 1922.

 

Un altro esempio:

dopo più di 40 anni, le truppe sovietiche lasciarono la Cecoslovacchia nel 1990-91 e il paese divenne una democrazia multipartitica.

Come suggerisce il nome, la popolazione di quel paese era in gran parte ceca o slovacca.

Ma i leader identitari di ciascuno di questi due gruppi etnici strettamente correlati non erano contenti della repubblica ibrida, non perché non fosse "democratica", ma perché non era "nostra".

Dopo una rottura nota come "divorzio di velluto", il paese giunse alla fine nel 1992, per essere sostituito da due repubbliche: la Repubblica Ceca e la Slovacchia.

 

Un terzo esempio:

 in Jugoslavia, il governo monopartitico della Lega dei Comunisti terminò nel 1990, lasciando il posto a una democrazia multipartitica.

 Ma ciò non impedì al paese di disgregarsi nei due anni successivi, quando croati, sloveni e altri gruppi etnici si separarono.

 Anche in questo caso, il problema non era che la Jugoslavia multietnica non fosse "democratica", ma che la maggior parte dei suoi cittadini non la considerava "il loro" paese.

 

In breve: l’identità è più importante della “democrazia”.

 

Se c'è qualcosa di utile da imparare dalla storia del secolo scorso, è che le società multietniche e multirazziali sono intrinsecamente instabili e fragili, e che i paesi più ordinati, stabili e felici sono nazioni omogenee composte da persone della stessa razza, etnia, cultura, eredità e lingua.

La traiettoria del secolo scorso mostra che la nozione "La diversità è la nostra forza" - uno slogan inventato dalla "Anti-Defamation League" sionista e proclamato dal presidente Bill Clinton in un importante discorso - è un'assurdità demagogica.

La società americana sta fallendo soprattutto per la stessa ragione per cui altre società culturalmente ed etnicamente diverse hanno fallito in passato.

 

Da molti anni ormai i politici americani, i mass media, Hollywood e il sistema educativo incoraggiano gli americani bianchi a considerarsi semplicemente come individui la cui cittadinanza americana si basa interamente su una comune devozione ai principi universalisti ed egualitari.

 

Gli americani bianchi tollerano a malincuore i raduni "Black Lives Matter" in cui uomini e donne neri proclamano con orgoglio la loro identità africana, e tollerano i raduni in cui gli ebrei affermano con orgoglio la loro identità ebraica e il loro sostegno a Israele.

Eppure gli americani europei sono molto a disagio o addirittura si vergognano di sostenere qualsiasi cosa che potrebbe essere definita politica dell'identità bianca.

 

Non c'è da stupirsi che gli americani bianchi continuino a perdere:

non stanno nemmeno giocando allo stesso gioco.

I bianchi continuano a giocare a dama mentre tutti gli altri giocano a scacchi.

Neri, ebrei, latinoamericani, musulmani e così via sono diventati abili nell'arte della politica identitaria.

Hanno capito che la politica seria e ad alto rischio è politica identitaria.

 È la politica che conta davvero.

 

Gli americani europei non hanno imparato che le buone intenzioni, sempre più "tolleranza" e il tentativo di essere "gentili" con tutti non sono sufficienti.

Un futuro per gli americani bianchi può essere assicurato solo quando la nostra gente si sveglia, riconosce questa realtà e agisce di conseguenza.

 

Negli anni a venire, il lavoro di educazione del nostro popolo, di sensibilizzazione, diventerà sempre più importante e avrà un impatto sempre maggiore.

 In questo lavoro, il prerequisito per il successo è dire la verità.

 Non possiamo sperare di eguagliare i nostri avversari in termini di portata o intensità di sensibilizzazione, ma abbiamo qualcosa che lavora per noi e che loro non hanno.

Abbiamo la realtà e la verità dalla nostra parte.

Non importa quanto sforzo venga profuso nel presentare la falsità come nobile o ammirevole, non durerà.

La verità e la realtà sono importanti, soprattutto nel lungo periodo.

 

Una caratteristica utile di questo grande progetto educativo, suggerisco provocatoriamente, potrebbe essere la nostra versione della “Teoria critica della razza”.

Come sapete, molti americani bianchi non sono comprensibilmente contenti della "Critical Race Theory", che promuove una visione della storia ostile alla nostra eredità.

In genere la loro risposta è stata un discorso difensivo su quanto i bianchi abbiano fatto per abolire la schiavitù, combattere il razzismo e promuovere l'uguaglianza.

 

Un simile discorso fa senza dubbio sentire un po' meglio alcuni uomini e donne bianchi, ma l'atteggiamento apologetico che vi è alla base non fa che incoraggiare nuove e più assertive richieste da parte dei non bianchi.

 

Ciò di cui c'è bisogno, suggerisco, è un nuovo tipo di "Teoria critica della razza", un programma educativo che descriva esattamente come e perché gli americani bianchi hanno permesso l'acquisizione e la degradazione del grande paese che i loro antenati hanno colonizzato, costruito e controllato, e hanno permesso l'acquisizione aliena dei nostri media mainstream e del nostro sistema educativo, la "terza mondializzazione" delle nostre città e la maligna denigrazione dei grandi uomini del nostro popolo e della nostra razza che un tempo abbiamo onorato.

Per dirla in un altro modo, abbiamo bisogno di una diagnostica "Teoria critica della razza" che spieghi esattamente come e perché gli americani bianchi sono diventati così timidi e codardi, così poco disposti o incapaci di difendere la propria eredità, e tanto meno di salvaguardare il nostro futuro come popolo.

 

L'inno nazionale americano la chiama "la terra dei liberi e la casa dei coraggiosi".

Ma la verità è che in ogni paese nel corso dei secoli, e certamente nell'America di oggi, solo una piccola minoranza è veramente coraggiosa, ovvero disposta a rischiare la vita e il sostentamento per combattere per qualcosa che vada oltre sé stessa e le proprie famiglie.

 

Non ci vuole coraggio per andare alla deriva con la folla.

I deboli sono sempre pronti a tifare per coloro che hanno fama, denaro e potere.

I codardi sono sempre pronti a sostenere una causa che sembra vittoriosa.

 In ogni società, la parte della popolazione che ha l'arguzia per capire e il cuore per interessarsi è sempre una minoranza.

 

Ecco perché sono felice di essere qui questo fine settimana, con uomini e donne che pensano a ciò che sta accadendo nel nostro Paese e nel mondo e, cosa più importante, che hanno a cuore la nostra gente, la nostra eredità e il nostro futuro. Mentre la crisi dell'America e dell'Occidente si aggrava, ciò che faremo ora e negli anni a venire avrà più importanza che mai.

 

Per me, lo sviluppo più gratificante e incoraggiante degli ultimi anni è stato il raggiungimento della maggiore età di una nuova generazione di giovani uomini capaci, esperti e eloquenti, e di alcune giovani donne, che "capiscono", che hanno "messo tutto insieme" - giovani che non si vergognano di ciò che sono, ma che invece affermano la loro - e la nostra - identità e tradizione, e la cui dedizione è ancorata a una visione del mondo coerente e a una visione fiduciosa e senza paraocchi del futuro.

Alcuni dei giovani uomini e donne qui questo fine settimana che condividono questa preoccupazione per il nostro popolo e la nostra posterità, forse un giorno saranno leader nella lotta per un futuro migliore, più sicuro e più felice.

 

(Mark Weber – storico, autore e docente – ha studiato storia presso l'Università dell'Illinois (Chicago), l'Università di Monaco, la Portland State University e l'Università dell'Indiana (MA). È direttore dell'”Institute for Historical Review”).

 

 

 

 

 

«INSETTI E MELMA: BENVENUTI

ALLE “PROTEINE ALTERNATIVE”»

 

 Inchiostronero.it - Kit Cavalleresco – Redazione – (12-09-2024) – ci dice:

 

A volte sembra che negli ultimi due anni scrivere per” OffG” abbia seguito uno schema riconoscibile che potrebbe essere riassunto al meglio come “ignorare le cose (per lo più) false nelle prime pagine e raccogliere quelle vere nelle ultime”.

 

Promemoria regolari che non importa chi voti, o quale parte vinca quale guerra, l’agenda sovraordinata è ancora là fuori, che mangia e cresce.

Come il Blob o la Cosa.

Censura?

Sappiamo tutti che è nella lista della spesa dell’élite.

Valute digitali?

 Sono ancora in corso.

ID digitale? Assolutamente in programma.

 

E torneremo a parlare di tutti loro senza dubbio finché non mangeranno più o finché non saremo definitivamente chiusi (qualunque cosa accada prima).

Ma oggi parleremo di come mangiare gli insetti.

Ma non solo gli insetti: anche la melma.

Tutto ciò che accademici e giornalisti hanno deciso di raggruppare sotto il termine generico “proteine ​​alternative” in titoli come questo,

da Sky News:

 

Questa storia è una risposta al lancio del nuovo “National Alternative Protein Innovation Centre” (NAPIC) del Regno Unito, un progetto di ricerca da 38 milioni di sterline co-fondato con l’”Imperial College di Londra”W (famoso per la modellizzazione Covid).

 

La professoressa “Karen Polizzi” del nuovissimo “Bezos Centre for Sustainable Protein” dell’Imperial (sì, proprio Bezos ) ha descritto la nuova iniziativa in questo modo:

 

Le “proteine ​​alternative” su cui si concentra questa ricerca sono…

Come ho detto: insetti e roba viscida, e anche qualche pianta.

 

Qual è esattamente il motivo per cui gli insetti, la melma (e le piante) esercitano un’attrattiva sugli occhi dei signori?

 

È una domanda complessa, la cui risposta ha più sfaccettature.

 

Una parte di me pensa che a loro piaccia solo vedere la gente comune umiliarsi nel modello “Penso che potremmo fargli spazzolare la lingua”.

 Ma questa è solo una teoria, possiamo spiegarla un’altra volta.

 

Al di fuori del sadismo e di altre motivazioni psicosociali, ci sono questioni pratiche di profitto e controllo.

Come abbiamo trattato nel nostro recente articolo su cibo geneticamente modificato, le leggi sulla proprietà intellettuale giocano un ruolo.

Un uovo è un uovo. Il manzo è manzo.

 Non puoi brevettare una mucca o un pollo, ed è piuttosto difficile impedire alle persone di tenere i propri animali.

 

Ma quando il tuo prodotto è costituito da qualche migliaio di grilli liofilizzati e ridotti in polvere (inclusi occhi, intestino e feci), mescolati con conservanti chimici, addensanti e aromi artificiali per imitare la vera carne…

beh, quello lo puoi brevettare senza problemi.

 

Questo è uno dei motivi per cui si prevede che il mercato degli insetti commestibili crescerà fino a dieci volte le sue dimensioni attuali nel prossimo decennio.

In una di quelle coincidenze sempre così tempestive, l’annuncio del nuovo progetto di ricerca è capitato proprio in concomitanza con una conferenza stampa a tutto campo sulla propaganda delle “proteine ​​alternative”.

 

La scorsa settimana “The Guardian” ha pubblicato un articolo patinato intervista con il “CEO di Meatly” , l’azienda di carne coltivata in laboratorio, in cui ha affermato che “la carne coltivata è più sicura, più gentile e più sostenibile.”

 

Il giorno dopo, il “Guardian” (di nuovo) ha parlato di un “nuovo studio” che (sorprendentemente) ha scoperto che “le alternative alla carne di origine vegetale sono più ecologiche e per lo più sono più sane.”

 

Quattro giorni fa, un altro nuovo studio ha scoperto che le proteine ​​estratte dai gusci di arachidi potrebbero essere utilizzate per integrare le proteine ​​animali.

 

“Good Food Magazine” pensa che mangiare vermi della farina possa curare il diabete.

Le riviste mediche stanno pubblicando articoli che “indagano sui benefici per la salute delle proteine ​​alternative.

 

“MSN” sta ripubblicando articoli del Metro che titolano:

“Arriva la carne coltivata in laboratorio. Ecco perché potresti non avere altra scelta che mangiarla.”

 

“Yahoo Finance” ci dice “Perché la carne coltivata in laboratorio è una vittoria per l’industria degli investimenti del Regno Unito”

 

E non è solo il Regno Unito.

 Ovviamente.

Non lo è mai, proprio come i prezzi non cambiano in un solo Walmart e il menù non cambia in un solo “Mac Donald”.

Perché la globalizzazione è già una realtà e il tuo “governo nazionale” è solo una filiale locale di un conglomerato multinazionale.

 

Negli Stati Uniti, l’Università della California è piuttosto diretta:

 

Mentre l’azienda finlandese “Solein” , che produce “pancake ai batteri” “da aria e luce solare”, è stata “generalmente riconosciuta come sicura” dalla FDA (il passo successivo, suppongo, sarebbe essere “generalmente riconosciuta come alimento “).

 

Il “prossimo super food” australiano è “Hoppa”, un sacchetto di grilli in polvere.

 Il mese prossimo, Melbourne ospiterà “AltProtein24” , una conferenza per la promozione delle “proteine ​​alternative”.

 

La scorsa settimana Singapore ha approvato 16 diversi tipi di insetti per il consumo umano.

Singapore sta anche ottenendo il suo Sustainable Protein Research Centre”, finanziato ancora una volta da enormi donazioni da Jeff Bezos.

 

Il lato positivo è che, nonostante tutti questi sforzi, c’è una buona possibilità che questo non funzioni mai.

Articolo dopo articolo evidenzia i problemi di “accettazione da parte dei consumatori” o “entusiasmo pubblico” o frasi simili che significano la stessa cosa:

La maggior parte delle persone non vuole mangiare insetti.

Da qui, suppongo, la propaganda.

 

Vorrei concludere sottolineando l’ironia moderna davvero esilarante della storia.

Gli stessi media che promuovono con entusiasmo il fatto che le élite vogliono che mangiamo insetti e altre sostanze viscide:

 

Allo stesso tempo la chiamano una folle “teoria del complotto”:

Viviamo letteralmente nell’era del bipensiero.

Ma non importa, staremo bene finché continueremo a rifiutarci di mangiare gli insetti… o la melma.

 

(Kit Cavalleresco)

 

UE, mercato interno e competitività:

le ricette di Letta e Draghi per

evitare il declino economico

 

ilcaffegeopolitico.net – Paolo Pellegrini – (16 Maggio 2024) – ci dice:

 

 L’economia globale è cambiata negli ultimi anni e l’Europa deve dotarsi di una nuova strategia se vuole mantenere una sua rilevanza economica e politica. I due ex Presidenti del Consiglio italiani suggeriscono percorsi complementari.

 

DUE ITALIANI PER L’EUROPA.

Dal mese scorso è pubblico il rapporto sul mercato interno dell’UE redatto, su incarico della Commissione, da Enrico Letta.

 

 Il report sulla competitività, commissionato dal Consiglio a Mario Draghi, sarà presentato solo dopo le elezioni europee di giugno, ma lo stesso Draghi ne ha anticipato le linee di fondo in un recente intervento pubblico.

 

È una curiosa coincidenza che due ex Presidenti del Consiglio italiani siano stati incaricati di redigere questi rapporti.

 

 In effetti, l’Italia ha storicamente avuto un ruolo di primo piano in varie fasi di avanzamento del processo di integrazione europea, sebbene nell’attuale quadro politico non sia chiaro che posizionamento avrà il nostro Paese, con riguardo agli sviluppi futuri dell’Unione.

 

Entrambi i rapporti hanno lo scopo di individuare i percorsi che mantengano l’Europa rilevante economicamente, dunque politicamente, e lo fanno a partire da constatazioni comuni.

 Innanzitutto, la forza economica europea è in declino rispetto alla competitività di Stati Uniti e Cina e al crescere di altre economie emergenti.

 

 Inoltre, i cambiamenti nell’economia globale degli ultimi anni e le sfide del futuro prossimo hanno reso inattuale l’assetto economico dell’UE.

 

Enrico Letta presenta il suo rapporto.

 

MOLTO PIÙ DI UN MERCATO.

 

“Much more than a market”, molto più di un mercato, è intitolato il rapporto Letta.

Il mercato comune ha infatti rappresentato il pivot dell’unificazione europea e continua a essere il perno su cui far leva per evitare il declino economico dell’Europa e mantenerne la coesione politica.

 

Regole comuni e assenza di barriere interne facilitano infatti il finanziamento dell’economia e smorzano i nazionalismi economici, pericolosi anche politicamente.

 

L’unione del mercato dei capitali, lanciata nel 2015, non è però ancora compiuta. Tre settori in particolare furono all’epoca espressamente esclusi dal mercato unico: finanza, energia e comunicazioni.

 

 Invece, spiega il rapporto Letta, eliminare la frammentazione dei mercati finanziari nazionali è fondamentale per affrontare le varie transizioni in corso (verde, digitale, della difesa, allargamento).

 

Altrimenti il colossale importo di investimenti necessari sarà impossibile da raggiungere: né i bilanci statali né le risorse delle banche nazionali saranno sufficienti.

 

Tra le proposte del report, quella di creare un “safe asset” (un titolo sicuro, in grado di mantenere il suo valore di fronte agli shock economici) a livello europeo, centralizzando la raccolta di obbligazioni (in sostituzione dei vari titoli pubblici nazionali) e indirizzando i finanziamenti verso politiche industriali europee.

 

Vitale anche aumentare le dimensioni degli operatori di mercato (laddove USA e Cina beneficiano di economie di scala con pochi operatori) in settori come telecomunicazioni, energia, difesa e armonizzare le norme fiscali.

 

Nelle aree prioritarie (finanza e mercato dei capitali, energia, transizione ambientale, difesa, comunicazioni), il rapporto auspica l’utilizzo preminente di regolamenti (la cui applicazione è obbligatoria) anziché direttive (per evitare tattiche nazionali dilatorie e parziali nel recepimento delle stesse).

 

Addirittura, si spinge a suggerire un codice unico di diritto commerciale europeo.

Alle quattro libertà tradizionali del mercato unico (libero movimento di persone, beni, servizi e capitali), Letta propone poi di aggiungerne una quinta per sviluppare ricerca, innovazione ed educazione.

In questo contesto, la sanità assumerebbe un posto di primo piano.

 

La Presidente della Commissione europea è sempre  Ursula von der Leyen.

 

ANDARE AVANTI CON CHI CI STA.

In base alle anticipazioni dello stesso Draghi, il suo rapporto sulla competitività del pari insiste sulla necessità di “politiche pianificate e coordinate strategicamente”, per far fronte ai cambiamenti globali.

 

Le soluzioni proposte dall’ex Presidente della BCE seguono tre direttrici principali, praticamente sovrapponibili alle linee guida indicate da Letta:

favorire le economie di scala (il caso più attuale è quello della difesa), fornire beni pubblici europei (ad esempio, infrastrutture), garantire l’approvvigionamento di risorse e input essenziali (come le materie prime, ma anche, con terminologia forse infelice, forza lavoro).

 

 La rapidità nelle decisioni e nell’implementazione delle conseguenti decisioni di politica economica e industriale è fondamentale, nell’ottica di entrambi i rapporti.

 

Come esplicitato nel discorso anticipatore di Draghi “non possiamo permetterci il lusso di rimandare a una futura revisione del Trattato”, da qui l’opzione di procedere con chi ci sta tramite il meccanismo della cooperazione rafforzata tra alcuni soltanto degli Stati membri.

 

ALCUNE DIFFICOLTÀ POSSIBILI.

I due rapporti saranno sicuramente letti dai Governi europei e auspicabilmente discussi dalle forze politiche che si presentano ai cittadini europei per chiederne il voto in giugno.

È fin d’ora possibile individuare alcuni potenziali fattori di criticità:

 

Come si conciliano le conclusioni dei due rapporti (per ora presunte per quello sulla competitività) con l’appena approvata riforma del Patto di stabilità?

Le rinnovate regole fiscali, infatti, ripropongono i vecchi criteri dell’austerità di bilancio, seppure leggermente mitigati;

Le auspicate economie di scala e le spinte per la riduzione del numero dei concorrenti in alcuni settori costituiscono una svolta a 180 gradi rispetto ai dogmi della politica della concorrenza finora sostenuti dall’Ue (in materia di antitrust, concentrazioni di imprese, aiuti di stato).

 

La resistenza, anche ideologica, a tale svolta non sarà presumibilmente facile da vincere;

Quanta volontà politica di seguire le raccomandazioni di Letta e Draghi è lecito attendersi da un panorama politico europeo di tendenza conservatrice?

 

Salvo soprese elettorali, il trend è per l’accentuazione dei nazionalismi economico/politici piuttosto che il contrario.

Vedremo cosa accadrà dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento e quali saranno le nuove cariche istituzionali (Commissione e Consiglio). L’unanimità dei ventisette Governi appare davvero improbabile (o meglio, impossibile) sulle posizioni di Letta e Draghi.

 Si possono ipotizzare compromessi su alcune linee o su altre.

 Ma difficilmente i cambiamenti radicali auspicati dai due italiani saranno accolti in toto.

 

Molto più probabile, forse auspicabile, che un nucleo anche ristretto di Paesi decida per cooperazioni rafforzate.

Sarebbe l’avvio di un’Europa a due o più velocità, forse inevitabile anche in previsione degli allargamenti prossimi futuri.

 E magari decisivo per il balzo in avanti necessario.

(Paolo Pellegrini)

 

 

 

 

 

Kamala Harris pubblica la sua piattaforma

 politica sul sito web ufficiale della campagna...

ed è pessima come ci si potrebbe aspettare.

 

 

Naturalnews.com – Laura Harris – (11-09 – 2024) – ci dice:

 

La vicepresidente Kamala Harris ha finalmente pubblicato una piattaforma politica sul sito web ufficiale della sua campagna elettorale.

 

La piattaforma politica, intitolata "New Way Forward", cerca di allineare la sua campagna più da vicino alle opinioni politiche dominanti, affrontando al contempo questioni chiave che hanno definito il suo mandato e la sua identità politica.

 (Kamala Harris lavora con Tim Walz per creare un Dipartimento federale dei GROCERIES: i controlli sui prezzi dei prodotti alimentari e gli scaffali vuoti non tarderanno ad arrivare.)

 

In una sezione intitolata "tutela delle nostre libertà fondamentali", Harris ha dichiarato la sua opposizione al divieto nazionale di aborto, impegnandosi a firmare qualsiasi proposta di legge che ripristini la libertà riproduttiva a livello nazionale.

 

Ha anche rivelato il suo impegno a spingere per l'approvazione dell'"Equality Act", una misura controversa che impone protezioni legali per gli individui LGBTQ+ in vari settori, tra cui business, istruzione e spazi pubblici.

 

La legge richiederebbe inoltre ai datori di lavoro e agli educatori di usare i pronomi preferiti di ogni persona, consentirebbe agli atleti transgender di competere negli sport in base alla loro identità di genere e obbligherebbe gli operatori sanitari a offrire la cosiddetta assistenza "gender-affirming", anche per i minori.

 

Il programma di Harris sostiene anche il "John Lewis Voting Rights Act" e il "Freedom to Vote Act", che mirano a rafforzare la tutela del diritto di voto, ampliare le opzioni di voto per posta e aumentare le opportunità di voto anticipato.

La candidata democratica alla presidenza propone anche una serie di misure economiche sotto il tema della creazione di un'"economia delle opportunità".

Queste includono l'espansione dei crediti d'imposta per i figli, l'aumento della spesa pubblica per l'edilizia abitativa a prezzi accessibili, l'erogazione di pagamenti diretti ai primi acquirenti di case e l'avvio di azioni legali contro le aziende per speculazione sui prezzi.

 

Chiede inoltre di sostenere l'”Affordable Care Act” (Obamacare), rafforzare la previdenza sociale e Medicare attraverso tasse più elevate per i ricchi e investire in infrastrutture, istruzione, assistenza all'infanzia ed energia pulita.

 

Inoltre, l'agenda della campagna di Harris delinea piani per "garantire sicurezza e giustizia per tutti", sostenendo misure più severe per il controllo delle armi, la riforma dell'immigrazione attraverso un disegno di legge "bipartisan" sulla sicurezza delle frontiere e l'eliminazione dell'immunità presidenziale.

 

 La piattaforma supporta anche "riforme della Corte Suprema basate sul buon senso", tra cui l'imposizione di limiti di mandato ai giudici e l'obbligo per loro di aderire alle regole etiche che governano gli altri giudici federali.

 

In politica estera, Harris promette di preservare la forza e la sicurezza degli Stati Uniti opponendosi fermamente ai dittatori, perseguendo sforzi di pace in zone di conflitto come Gaza e investendo in settori orientati al futuro come i semiconduttori, la cosiddetta energia rinnovabile "pulita" e l'intelligenza artificiale.

 

La campagna di Harris cerca di contrastare l'Agenda del Progetto 2025 nella sua piattaforma politica.

 

Queste piattaforme sono in contrasto con il "Trump Project 2025 Agenda", un'iniziativa promossa dalla “Heritage Foundation” che mira a fornire un piano completo per la prossima amministrazione presidenziale volta a riformare il governo federale.

 

Secondo “Rob Bluey”, direttore del  “The Daily Signal”  il documento di 900 pagine è "una coalizione di 110 organizzazioni conservatrici che sviluppano un piano di transizione per la prossima amministrazione presidenziale".

“Bluey” ha sottolineato che il progetto è "apartitico e accessibile a chiunque occupi la Casa Bianca nel gennaio 2025".

 

Il progetto 2025 fa parte della serie "Mandate for Leadership" della Heritage Foundation, che ha compilato raccomandazioni politiche conservatrici per i legislatori e i presidenti degli Stati Uniti dal 1981.

 Il documento espone una serie di proposte per ridurre l'inefficienza burocratica e l'eccesso di potere a Washington, DC.

 

L'iniziativa ha incontrato notevoli reazioni negative da parte di politici e commentatori di sinistra, con alcuni che l'hanno etichettata come una minaccia alla governance democratica.

 

In linea con ciò, la campagna di Harris cerca di posizionarsi come alternativa moderata agli elementi più estremi dell'agenda di Trump, in particolare in aree come i diritti riproduttivi, l'uguaglianza LGBTQ+ e l'accesso al voto.

 

Il deputato della Florida “Byron Donalds” spiega anche a tutti noi perché i punti di vista economici di Harris non funzioneranno.

 

 

 

Investimenti senza precedenti per salvare

le PMI e la competitività europea –

Intervista a Stefano Ruvolo

(Conf. imprenditori).

 

Agenparl.eu - Floriana Cutini – (9 Settembre 2024) ci dice:

 

L’intervista con “Stefano Ruvolo”, presidente di Conf. imprenditori, si inserisce in un momento cruciale per l’economia europea, segnata dalle recenti osservazioni di Mario Draghi.

Il rapporto presentato dall’ex presidente della Banca Centrale Europea alla Commissione Europea ha messo in luce la necessità di un massiccio piano di investimenti da 800 miliardi di euro l’anno per garantire la competitività dell’Europa in un contesto globale sempre più sfidante.

 

“Ruvolo”, in perfetta sintonia con l’analisi di Draghi, sottolinea come il futuro delle piccole e medie imprese europee sia strettamente legato a decisioni rapide, concrete e sostenute da un quadro politico ed economico che sappia rispondere alle sfide globali.

 

Conf. imprenditori, infatti, già da tempo ha portato in Europa una proposta in cui richiama l’attenzione su investimenti senza precedenti per le PMI, che rappresentano la spina dorsale dell’economia continentale.

 

Nell’intervista, Ruvolo offre una visione articolata delle misure necessarie per garantire una crescita sostenibile e duratura, ribadendo l’urgenza di decisioni immediate e coraggiose da parte della politica europea e italiana.

 

Durante il colloquio, il presidente di Conf. imprenditori esamina le priorità su cui l’Europa dovrebbe concentrarsi, come la riduzione delle asimmetrie informative e la protezione delle piccole imprese dalle politiche aggressive delle multinazionali.

 

 Il focus si sposta poi sulla necessità di riforme strutturali, investimenti pubblici, innovazione tecnologica e modernizzazione infrastrutturale, aspetti che Ruvolo ritiene essenziali per mantenere alta la competitività europea in un contesto internazionale sempre più dominato da Stati Uniti e Cina.

 

L’intervista si conclude con un appello alla politica affinché agisca rapidamente e un messaggio di incoraggiamento agli imprenditori, con particolare attenzione ai piccoli, che rappresentano il cuore pulsante dell’economia europea.

 

Domanda.

 Mario Draghi ha recentemente presentato un rapporto sulla competitività alla Commissione Europea, che ha evidenziato la necessità di un piano di investimenti da 800 miliardi di euro annui. In che modo Conf. imprenditori vede questa proposta e quali sono le vostre aspettative nei confronti della politica europea e italiana?

 

Stefano Ruvolo.

 Più che un rapporto Mario Draghi ha lanciato un vero e proprio appello alla politica per salvare l’Europa.

E Conf. imprenditori è pienamente d’accordo con l’ex presidente della Bce.

In occasione dell’insediamento del nuovo Parlamento europeo abbiamo consegnato un nostro documento in cui rivendichiamo le stesse impellenze indicate da Mario Draghi nel suo rapporto.

 Il nostro augurio è che la politica capisca l’importanza storica del momento.

Siamo difronte a un’ultima chiamata, o l’Europa cambia passo o smette di esistere.

 

Domanda.

Nel suo intervento, Draghi ha parlato di “whatever it takes” per garantire la competitività dell’Europa. Quali sono, secondo lei, le misure più urgenti che i governi europei dovrebbero adottare per rispondere a questa sfida?

 

Stefano Ruvolo.

 Le piccole e medie imprese svolgono un ruolo decisivo all’interno del sistema economico europeo, in particolare nel favorire l’occupazione.

 Le Pmi rappresentano all’incirca il 95% del totale delle imprese dell’Unione Europea, assorbono più della metà dell’occupazione e a loro si deve quasi i due terzi del valore aggiunto.

 I motivi che spingono il legislatore ad intervenire a favore delle piccole imprese riguardano tanto l’ambito economico quanto quello sociale.

Il primo punto su cui intervenire a livello europeo sono le asimmetrie informative, che generano un peggioramento dell’allocazione delle risorse da parte delle Pmi, che non possiedono adeguate informazioni per investire, esportare e individuare con precisione nuovi target di consumatori.

 In secondo luogo bisogna ricordare che troppo spesso le piccole imprese subiscono politiche commerciali aggressive da parte delle multinazionali dominanti il mercato e pertanto necessitano di un’adeguata protezione grazie alla politica di concorrenza.

 

Domanda.

Conf. imprenditori ha già avanzato richieste specifiche a livello europeo per sostenere le piccole e medie imprese. Può darci un quadro più dettagliato delle vostre proposte e spiegare perché sono essenziali per la sopravvivenza e la crescita delle PMI?

 

Stefano Ruvolo.

Riteniamo che l’esperienza del Next Generation EU e del PNRR non possa e non debba rimanere un caso isolato legato al fenomeno pandemico da COVID-19.

Tutta l’Europa cresce meno degli Stati Uniti e molto meno del continente asiatico.

 

È necessario un robusto piano di investimenti pubblici, che non può che trarre origine dal debito comune, che sostenga le produzioni e che destini fondi e risorse all’ammodernamento del sistema infrastrutturale dei Paesi membri.

 

È poi indispensabile rivedere le norme europee sul sistema delle etichettature e le modifiche recentemente apportate al codice doganale a tutela dei prodotti del made in Italy, a partire dal tessile e dall’alimentare.

 

Le peculiarità dei prodotti italiani meritano la massima tutela relativamente alla loro autenticità e alle loro peculiarità, così come merita tutela il consumatore che deve conoscere chiaramente attraverso l’etichetta il contenuto del prodotto che acquista e le sue caratteristiche.

 

Va anche ridisegnato il ruolo dell’”Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro” superando e integrando il mero ruolo di raccogliere, analizzare e diffondere le informazioni a coloro che sono interessati alla salute e sicurezza sul lavoro.

Va immaginato un nuovo ruolo di coordinamento con gli Stati membri per un organo che diventi volano propositivo per Parlamento, Commissione e Consiglio perché producano disposizioni più stringenti, più moderne e soprattutto più efficaci.

Ci sono poi le sfide che l’innovazione tecnologica pone di fronte alle Istituzioni e alle imprese, che devono necessariamente essere affrontate con coraggio e al contempo senza infingimenti o ritrosie.

 

Infine abbiamo chiesto una maggiore rapidità di intervento delle Forze europee sulla difesa comune a tutela delle aziende, della stabilità dei mercati connessi col sistema europeo di import- export e del sistema infrastrutturale, con particolare riguardo a quello portuale.

 

La crisi in atto nel Mar Rosso, e la lentezza con la quale l’Unione è intervenuta nella messa in campo operativa della missione “Aspides”, ha dimostrato la necessità di un sistema decisionale più snello e celere e l’importanza di task-force militari che siano rapidamente operative.

 

Va preso definitivamente atto del fatto che la crescita è l’imperativo per la competitività dell’intero continente nel mondo globale e che senza crescita non saranno sostenibili gli adeguamenti dei salari e i nostri sistemi previdenziali avanzati.

 

Domanda.

Draghi ha sottolineato la necessità di decisioni veloci e concrete, con norme meno restrittive e l’emissione di safe asset comuni.

Come valuta l’attuale risposta della politica a queste esigenze?

Cosa dovrebbe cambiare?

 

Stefano Ruvolo.

Fino ad oggi la politica è andata nella direzione opposta.

 Tante promesse ma nessuna soluzione concreta.

D’altra parte, se si fosse fatto qualcosa di concreto oggi Draghi non avrebbe lanciato un allarme sulla sopravvivenza dell’Europa.

Ma il tempo delle promesse è finito:

servono interventi veloci e concreti altrimenti l’Unione europea smetterà di esistere.

 

Domanda.

L’innovazione tecnologica e l’ammodernamento infrastrutturale sono al centro delle vostre richieste.

In che modo questi elementi possono contribuire a rafforzare la competitività delle PMI e, più in generale, dell’economia europea?

 

Stefano Ruvolo.

È necessario attuare strumenti normativi che salvaguardino, più efficacemente di quelli attuali, etica e concorrenza nell’applicazione delle nuove tecnologie, prima fra tutte quella dell’intelligenza artificiale, con particolare riferimento a quella generativa.

 

Inoltre sarà indispensabile, soprattutto per l’Italia, pensare a strumenti di sostegno per le imprese che investono nell’intelligenza artificiale, a livello nazionale, ma soprattutto a livello comunitario, al fine di ridurre il gap tra investimenti sostenibili per piccole e medie imprese e grandi realtà, tanto più per quello che riguarda gli investimenti in queste tecnologie nell’ambito della sicurezza sul lavoro, che necessitano urgentemente di sostegno pubblico, anche per affrontare la piaga degli incidenti sul lavoro e delle morti bianche.

 

Stesso discorso vale per le infrastrutture.

Tutte le principali organizzazioni internazionali concordano nell’attribuire agli investimenti in infrastrutture pubbliche un ruolo di primo piano per la ripresa dell’economia e per favorire la sua transizione verso un assetto più resiliente, inclusivo e sostenibile.

 

La dotazione di infrastrutture incide sulla capacità di crescere di un’economia e sul livello di benessere della collettività.

 

 La competitività delle imprese è strettamente legata alla disponibilità di una rete adeguata di trasporti e di telecomunicazioni, nonché alla qualità del servizio energetico e idrico, che rappresentano input essenziali dei processi di produzione. Un contributo indiretto allo sviluppo economico deriva anche dalle infrastrutture sociali, da cui dipende l’erogazione di servizi pubblici essenziali come la tutela della salute e quella dell’ambiente, fattori cruciali per la qualità della vita degli individui e indispensabili per realizzare uno sviluppo inclusivo e sostenibile.

 

Domanda.

Qual è il ruolo dell’Italia in questo scenario di cambiamento e quali passi concreti dovrebbe intraprendere il nostro Paese per allinearsi alle raccomandazioni di Draghi e delle istituzioni europee?

 

Stefano Ruvolo.

L’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Unione e mi aspetto che il suo ruolo sia di primissimo piano, sia rispetto alle istanze che porremo a livello di Consiglio dei Capi di Stato e di governo che a livello di Commissione, all’interno della quale auspico che il nostro Paese abbia una vicepresidenza esecutiva con deleghe di peso.

 

Ritengo, ad esempio, anche in considerazione della figura di primo piano che l’Italia ha espresso come candidato commissario, che una delega all’economia e al Pnrr potrebbe rivelarsi adeguata e utile alle imprese di tutta l’Unione.

 

Riguardo poi alle indicazioni contenute nel Report di Mario Draghi credo che la parte di maggior interesse per lo sviluppo e la competitività dell’Unione sia quella relativa agli investimenti.

 

L’Europa, per restare concorrenziale tra i due giganti USA e Cina, ha bisogno di riforme, ma anche e soprattutto di investimenti poderosi, che non possono essere lasciati ai singoli Stati membri che sono alle prese con i loro problemi di sostenibilità del debito interno.

 

I nuovi investimenti devono essere fatti attraverso il debito comune. Come Unione Europea siamo la seconda manifattura mondiale dopo la Cina, non dobbiamo assolutamente perdere questo ruolo.

 

Domanda.

Che tipo di supporto Conf. imprenditori prevede di offrire alle PMI italiane per aiutarle ad affrontare le sfide globali e a sfruttare le opportunità create dai nuovi investimenti e dalle riforme proposte?

 

Stefano Ruvolo.

  Conf. imprenditori rappresentano già migliaia di aziende su tutto il territorio nazionale, molte delle quali applicano i nostri contratti collettivi e che, per la stragrande maggioranza rientrano tra le micro, piccole e medie imprese. Siamo da oltre dieci anni punto di riferimento per le realtà produttive del nostro Paese, fornendo servizi, consulenza e assistenza ai nostri associati, sia direttamente, che attraverso i nostri Enti bilaterali.

 

Lo strettissimo rapporto che teniamo con gli ordini professionali e, più in particolare, con avvocati, consulenti del lavoro e commercialisti, ci consente di poter rispondere con prontezza e competenza a tutte le esigenze dell’impresa in termini di assistenza alla crescita e allo sviluppo.

 

Attraverso i nostri tecnici e il nostro “centro studi” forniamo già sostegno alle imprese per facilitare la partecipazione a bandi e finanziamenti regionali, nazionali ed europei. Siamo prontissimi, ove queste linee di finanziamento allo sviluppo e alle imprese, cosa che auspico, fossero incrementate, a continuare a fare il nostro lavoro di facilitatori nei confronti delle aziende, nell’interesse dello sviluppo del Paese e dell’Unione europea, che deve diventare sempre più comunione di valori e intenti e sempre meno dirigismo e burocrazia.

 

Domanda.

In conclusione, quali sono le vostre previsioni riguardo al futuro della competitività europea e quale messaggio vorrebbe inviare ai decisori politici e agli imprenditori?

 

Stefano Ruvolo.

Alla classe politica voglio mandare solo un messaggio: fate presto, perché il tempo è scaduto.

Agli imprenditori invece chiedo di resistere, soprattutto ai piccoli.

Che sono gli stessi che tengono in piedi con le loro forze l’economia europea.

 

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Quale futuro per il mondo?

Co2 per produrre alimenti.

La truffa in politica.