Competitività dell’industria europea.
Competitività
dell’industria europea.
Mentre
da noi i media ci inondano
sulla
ricattatrice di Gennaro” il pirla”.
Maurizioblondet.it - Maurizio Blondet - (5 Settembre
2024) – ci dice:
Le
notizie vere che non vi danno:
La
proposta di Mario Draghi per le armi: via i vincoli ambientali e appalti
centralizzati come per i vaccini.
Il
“rapporto sulla competitività” che oggi sarà presentato da Mario Draghi a
Bruxelles propone di semplificare e intensificare la produzione di armi in
Europa.
Tra i
suggerimenti, la deroga ai vincoli ambientali e sociali e la creazione di una
centrale unica per gli appalti ispirata alla procedura di acquisto dei vaccini
Covid, per la quale Ursula von Der Leyen è sotto inchiesta da parte della
Procura europea.
A
volte ritornano:
Mario
Draghi è atteso oggi al Parlamento europeo per la presentazione del suo
rapporto sulla competitività dell’Unione Europea.
Non si
tratterà di una assemblea plenaria, ma di una riunione a porte chiuse con la
presidente dell’Europarlamento “Roberta Mestola” e pochi altri.
La
relazione sarà presa in grande considerazione per il programma di lavoro della
prossima Commissione europea.
Ursula
von der Leyen aveva annunciato di aver affidato questo incarico all’ex
presidente del Consiglio circa un anno fa:
“ho
chiesto a Mario Draghi, una delle grandi menti economiche europee, di preparare
un rapporto sul futuro della competitività europea. “
Non si può fare altrimenti, perché “l’Europa
farà ‘tutto il necessario’ per mantenere il suo vantaggio competitivo”, aveva
detto la presidente della Commissione UE.
La
presentazione del rapporto era già stata programmata e piu’ volte rimandata nei
mesi scorsi.
L’edizione
europea di “Politico” ha riferito di averne letto alcuni passaggi, secondo le
anticipazioni pubblicate, più che un piano industriale per l’Unione Europea,
quello redatto da Mario Draghi sembra un piano di guerra.
Nelle
premesse l’ex presidente del Consiglio evoca i rischi per la sicurezza del
Vecchio continente rappresentati dalla Russia:
“Con
il ritorno della guerra nelle immediate vicinanze dell’UE, l’emergere di nuovi
tipi di minacce ibride e un possibile spostamento dell’attenzione geografica e
delle esigenze di difesa degli Stati Uniti, l’UE dovrà assumersi una crescente
responsabilità per la propria difesa e sicurezza”, ha scritto Draghi.
Per
far fronte alle presunte minacce, nel rapporto viene suggerita la creazione di
una “Autorità
per l’industria della difesa”, una sorta di centrale unica per gli appalti che
dovrebbe replicare il modello di acquisto centralizzato dei vaccini Covid.
Una
proposta già avanzata da Ursula von Der Leyen, che aveva indicato quella
procedura come esempio da seguire, nonostante l’inchiesta che pende su di lei
proprio per le modalità attraverso cui era arrivata alla stipula dei contratti
con Pfizer.
La famigerata vicenda dei messaggini privati
con il capo della multinazionale farmaceutica Albert Bourla.
Tra le
altre proposte per semplificare la vita all’industria delle armi, Mario Draghi propone la rimozione dei
divieti per le aziende di accedere ai finanziamenti UE, compresi quelli della
Banca europea per gli investimenti e, ciliegina sulla torta, la modifica dei quadri di
finanza sostenibile, ambientali e sociali dell’UE a beneficio del settore.
Come
dire:
vanno
bene le politiche green che stanno affossando l’industria europea e rendendo la
vita impossibile ai cittadini, ma quando si parla di armi possiamo, anzi
dobbiamo, chiudere un occhio.
«DISINFORMAZIONE,
CENSURA.
IL
GHIGNO DI GOEBBELS»
Inchiostronero.it - Roberto Pecchioli – (10
-9-2024) – ci dice:
La
chiamano democrazia, ma è democratura.
Un
indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una
prova, scrisse Agatha Christie.
Se gli
indizi si contano a decine, l’evidenza fa tremare i polsi.
Parliamo del rapidissimo declino della libertà
di pensiero e di espressione nell’avanzato, progredito mondo occidentale.
L’espediente è bollare come disinformazione o
falsa notizia (fake news, nel grugnito globish) ogni espressione di dissenso.
Le
tavole della Verità sono possedute in regime di monopolio dai vertici del
potere ed amministrate da un clero regolare di servi: giornalisti,
intellettuali, politici.
Chi
disinforma – ossia esprime la sua opinione – viene prima ridicolizzato e
screditato, quindi sottoposto a procedura penale.
DEMOCRATURA
– Charlie Chaplin è “Adenoid Hynkel” durante un discorso nel film Il grande
dittatore (1940).
La
chiamano democrazia, ma è democratura.
Le
forme apparenti restano quelle della democrazia rappresentativa, la sostanza è
la dittatura di un pensiero unico espresso a voci unificate.
Il
termine democratura, coniato dall’uruguaiano “Eduardo Galeano”, fu descritto
negli anni Sessanta dallo svedese “Wilhelm Mobber.”
“In
una democratura vengono preservate elezioni generali libere, anche la libertà
di parola è formalmente preservata, ma la politica e i media sono controllati
da un sistema che cerca di garantire che solo determinate opinioni siano
discusse pubblicamente.
La conseguenza è che i cittadini vivono in una
società influenzata da immagini distorte della realtà.
L’oppressione
delle opinioni inappropriate è ben nascosta, il libero dibattito è soffocato.”
Siamo
decisamente oltre.
L’attacco
alla libertà di espressione, associazione e pensiero avanza ogni giorno; gli
indizi si accumulano e diventano prove schiaccianti.
L’arresto del fondatore di Telegram, la
messaggeria restia a condividere con il potere le comunicazioni, con accuse
assai simili a quelle mosse contro Julian Assange, è il segnale più sinistro.
Ma che
dire degli attacchi del gerarca dell’UE “Thierry Breton” a “X” di Elon Musk e i
divieti imposti in Brasile?
Nel
caso sudamericano, il sicario è un magistrato noto per le azioni giudiziarie
contro l’ex presidente Bolzonaro.
Mark
Zuckerberg ammette di avere censurato contenuti sgraditi al governo americano
(democratico, democraticissimo) e al potere fintech.
Nessuna indignazione:
l’uomo
dalla maglietta grigia è uno dei loro.
In
Inghilterra gli arresti contro chi ha manifestato – o espresso opinioni –
contro omicidi perpetrati da stranieri riportano l’orologio della libertà, a
prima del 1215 in cui fu emanata la” Magna Charta libertatum”.
Il Regno Unito ha il poco invidiabile primato
di un prigioniero politico di undici anni, arrestato per aver partecipato alle
dimostrazioni anti immigrazione.
Nulla
di nuovo:
ricordate
Dickens, i bambini in prigione, i cenciosi piccoli operai di otto, nove anni
nelle industrie del XIX secolo?
Il
progresso marcia all’indietro.
I contenuti, le idee, le opinioni, le
espressioni non in linea sono diventate “dannose”.
Possono
essere vietate, con processi penali a carico dei reprobi, disinformatori,
colpevoli di odio.
In
Francia ai partiti di sinistra è negato di formare il governo dal presidente
Macron.
La giustificazione è una confessione in piena
regola:
un
esecutivo conforme all’esito elettorale minerebbe la “stabilità”.
Ossia,
cambiare, se così vuole il popolo, il sovrano detronizzato dall’oligarchia, è
vietato.
Votare,
Macron lo dice con chiarezza, non serve a nulla.
Le elezioni valgono solo se vincono
lorsignori.
Il
giovin signore di “casa Rothschild” ha impedito il successo di “Marine Le Pen”
sostenendo i candidati della sinistra a cui ora nega il diritto di governare.
Nulla
di diverso in Germania, dove le elezioni locali hanno sancito il trionfo di due
forze non di sistema,
“Alternative
fuer Deutschland” e il movimento social populista di “Sahra Wagenknecht”, ma
tutti si coalizzano per impedire loro di amministrare i Laender.
La
distopia, base della nostra epoca.
Negli
Stati Uniti l’avversione a Trump dell’establishment dominante arriverà a far
uscire a pochi giorni dalle elezioni presidenziali un film prodotto, scritto e
pensato contro di lui dalla fortezza progressista di Hollywood.
Si dice che a New York sia mobilitata la
Guardia Nazionale per un eventuale arresto – nella terra della libertà – del
candidato repubblicano il 18 settembre, in coincidenza con un dubbio processo a
suo carico.
In
Canada si è multati se non si usa il pronome giusto per indicare persone “non
binarie”, in Irlanda si è incarcerati per lo stesso motivo.
Pregare
pubblicamente contro l’aborto – anche in silenzio – porta diritti in prigione.
Jordan Peterson, famoso psichiatra canadese, è
condannato alla “rieducazione” per le sue convinzioni anti-gender.
In Germania il partito “Afd” è attenzionato
(avanza il lessico questurino) in quanto “estremista” e si cerca di impedire
che abbia accesso ai fondi pubblici.
Piccoli
gulag crescono dappertutto in Occidente.
Viene
da sorridere pensando a “Emanuele Fiano”, il deputato (democratico) che vuole
soltanto chiudere alcuni negozietti nostalgici e vietarne i gadget.
Nel dibattito pubblico è minimo lo spazio per
posizioni plurali, documentate, dialettiche.
Il
sistema della comunicazione riceve le notizie (le veline…) da agenzie di stampa
possedute dai colossi finanziari e industriali.
Tutto è propaganda e pubblicità,
indistinguibile dall’informazione, dall’intrattenimento, dalla cultura.
La
pubblicità è l’onnipresente strumento di menzogna istituzionalizzata, che mente
per indurci ad acquistare merci, idee, visioni del mondo con parole suadenti e
musica di sottofondo.
Il
linguaggio della contemporaneità è un codice fondato sulla bugia e
l’alterazione programmatica della verità;
l’obiettivo
è persuadere con artifici psicologici – molti dei quali inavvertiti – a fare
propri prodotti, stili di vita, informazioni, credenze.
Un inventore della moderna comunicazione, “Walter
Lippmann”, teorizzò la necessità di inculcare stereotipi con cui imporre una
visione del mondo. Preconcetti, schemi indotti diventano l’unica griglia
interpretativa: stravolgimenti metodici della verità.
Spettatori passivi, recettori disinteressati
al vero, accettiamo che un concetto, un’opinione, siano verità perché
certificati da un’istituzione.
L’appello
all’autorità scavalca la verità.
La
pubblicità è l’architrave della società.
Alzi
la mano chi avrebbe accettato, vent’anni fa, di sopportare messaggi continui,
reiterati, pervasivi, onnipresenti, in televisione, alla radio, sulle strade,
ovunque.
La
forma merce è la chiave dell’intera società.
Tracima
nelle notizie il cui ritmo incalzante è fatto per confondere e inibire la
riflessione, nei messaggi che ci raggiungono anche in maniera inconscia.
Negli anni Cinquanta “Vance Packard” svelò
l’utilizzo, nella comunicazione, di messaggi subliminali di cui il pubblico non
si avvede ma che riescono ad orientare scelte, idee, comportamenti.
La
parola latina propaganda (“ciò che deve essere diffuso”) venne utilizzata nel
senso oggi corrente da “Edward Bernays”, padre della comunicazione
pubblicitaria.
Il nostro tempo è la vittoria sua, di “Joseph
Goebbels”, artefice della propaganda del “Terzo Reich” e di “Andrej Zdanov”,
regista della “politica culturale sovietica”, teorico della “disinformacjia”,
la disinformazione istituzionalizzata.
L’Occidente
contemporaneo, grazie alla tecnologia, alla psicologia e alle neuroscienze,
supera i maestri.
In nome della democrazia e del progresso,
suprema, raffinatissima vittoria.
Paul
Joseph Goebbels.
“Se
dici una bugia abbastanza grande e continui a ripeterla, le persone finiranno
per crederci.
La menzogna può essere mantenuta solo finché
lo Stato può proteggere il popolo dalle conseguenze politiche, economiche e
militari della menzogna.
Pertanto,
è di vitale importanza che lo Stato utilizzi tutti i suoi poteri per reprimere
il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna e, per
estensione, la verità è il più grande nemico dello Stato.”
La
frase è attribuita a Goebbels.
Insomma, se devi mentire sparala grossa, poiché nel
potere c’è una forza di persuasione capace di sfruttare la credulità popolare.
“Nella
primitiva semplicità del loro animo cadono più facilmente vittime della grande
menzogna che della piccola menzogna, poiché essi stessi spesso dicono piccole
bugie su piccole cose, ma si vergognerebbero di ricorrere a falsità su larga
scala.
Non verrebbe loro mai in mente di inventare
colossali falsità, e non crederebbero che altri possano avere l’audacia di
distorcere la verità in modo così infame.”
Nella
citazione vi sono due affermazioni diventate rilevanti anche nel presente
occidentale.
La prima è che lo Stato deve usare tutti i
suoi poteri per reprimere il dissenso;
la
seconda è che la verità è il più grande nemico dello Stato.
Come
scrisse George Orwell, ciò che il potere maggiormente teme è la libertà di dire
che due più due fa quattro.
Oggi,
certa di essere fortissima, l’oligarchia arriva a pronunciare bugie evidenti.
Un esempio è la messa al bando di “X” in
Brasile.
L’argomento del giudice è che la “rete sociale”
di “Musk” diffonde informazioni false che mettono in pericolo il normale
svolgimento delle elezioni municipali di ottobre.
Per
sostenere questa tesi, ha stravolto quanto accaduto nelle elezioni
presidenziali statunitensi del 2016 e nella Brexit, che sarebbero state
manipolate dalla Rete.
In
realtà non esiste alcuna prova che le reti sociali abbiano sovvertito il voto.
L’argomento
è squisitamente politico:
disinforma
chi non si conforma, ovvero è detto propaganda – sinonimo di falsità, un
argomento che stranamente non viene mai sollevato contro la pubblicità, scienza
della menzogna – ciò che non coincide con gli interessi di chi detiene il
potere.
L’argomento
brasiliano contro “X” è falso in radice.
Che dire del progetto britannico di una legge
che permette di censurare i contenuti “dannosi”?
I limiti della libertà di espressione non
saranno più stabiliti oggettivamente dalla legge ma definiti, valutati,
giudicati e puniti dal potere esecutivo e da quello giudiziario.
L’Unione Europea si propone la stessa cosa con
il Digital Services Act (DSA) che obbliga le piattaforme a rimuovere
rapidamente i contenuti “illegali”, l’incitamento all’odio e la cosiddetta
disinformazione.
Come
nel Regno Unito, la valutazione e la determinazione di quali contenuti debbano
essere censurati non dipenderanno da leggi chiare e istituzioni indipendenti,
ma dalla” Commissione Europea autrice della norma”.
Giudice e parte in causa senza la mediazione
di alcun soggetto neutrale.
In Spagna lavorano a una norma che persegua le
“false informazioni” diffuse da quelli che il governo definisce “pseudo media”.
Il governo afferma che la grande sfida è la
“rigenerazione democratica” e ha annunciato un’intensa agenda affinché “nessuno
possa manipolare” ciò che pensano i cittadini.
Ossia,
istituisce il Ministero della Verità.
Basandosi
su una menzogna ripetuta all’unisono, cioè che la libertà di espressione
perverte la democrazia, i governi democratici manifestano un irrefrenabile
impulso totalitario.
Politici
che pronunciano la parola democrazia e libertà a ogni stormir di fronda, “Kier
Starmer”, “Lula da Silva”, “Pedro Sánchez”, “Thierry Breton”, “Ursula von der
Leyen”, “Kamala Harris”, stanno convincendo il pubblico occidentale che lo
Stato deve usare tutti i suoi poteri per reprimere il dissenso.
L’OSS (acronimo di Office of Strategic
Services, il padre della CIA) riassunse così l’utilizzo della menzogna da parte
nazista, tacendo la propaganda di” Lippman” e di “Bernays”.
“Le sue regole principali erano: non ammettere
mai una carenza o un errore;
non
ammettere che possa esserci qualcosa di buono nel tuo nemico;
non lasciare mai spazio alle alternative;
non
accettare mai la colpa; concentrarsi su un nemico per volta e incolparlo di
tutto ciò che va storto.
Le persone crederanno a una grande bugia
piuttosto che a una piccola, e, se lo ripeti con sufficiente frequenza, prima o
poi la gente ci crederà”.
Facciamo
un semplice test:
confrontiamo
le condizioni descritte con gli atti dei nostri molto democratici governanti.
Goebbels
sogghigna dall’altro mondo.
1984.
Orwell- distopia tra memoria e linguaggio
Si
diceva che il “Ministero della Verità” contenesse tremila stanze al di sopra
del livello stradale e altrettante ramificazioni al di sotto.
Sparsi
qua e là per Londra vi erano altri tre edifici di aspetto e dimensioni simili.
Facevano apparire talmente minuscoli i fabbricati circostanti, che dal tetto
degli “Appartamenti Vittoria li si poteva vedere tutti e quattro
simultaneamente.
Erano
le sedi dei quattro Ministeri, fra i quali era distribuito l’intero apparato
governativo:
il
Ministero della Verità, che si occupava dell’informazione, dei divertimenti,
dell’istruzione e delle belle arti;
il
Ministero della Pace, che si occupava della guerra;
il
Ministero dell’Amore, che manteneva la legge e l’ordine pubblico;
e il
Ministero dell’Abbondanza, responsabile per gli affari economici.
In
neolingua i loro nomi erano i seguenti: Minibar, Minipax, Miniamor e Miniabb.
Fra
tutti, il Ministero dell’Amore incuteva un autentico terrore.
Era assolutamente privo di finestre.
Winston
non vi era mai entrato, anzi non vi si era mai accostato a una distanza
inferiore al mezzo chilometro.
Accedervi era impossibile, se non per motivi
ufficiali, e anche allora solo dopo aver attraversato grovigli di filo spinato,
porte d’acciaio e nidi di mitragliatrici ben occultati.
Anche
le strade che conducevano ai recinti esterni erano pattugliate da guardie con
facce da gorilla, in uniforme nera e armate di lunghi manganelli.
Winston
si girò di scatto.
Il suo volto aveva assunto quell’espressione di sereno
ottimismo che era consigliabile mostrare quando ci si trovava davanti al
teleschermo.
(Da
1984 di George Orwell)
Roberto
PECCHIOLI.
Con i
falchi faremo poca strada.
Msn.com - Il Giornale - Osvaldo De Paolini –
Redazione – (10 – 09 -2024) – ci dice:
C'è
una evidente continuità tra le proposte contenute nell'allarmato intervento che
Mario Draghi inviò al Financial Times nella primavera 2020, in piena pandemia,
con la filosofia che ispira il Rapporto sulla competitività presentato ieri a
Bruxelles.
Allora
si trattò di suggerire agli Stati europei gli strumenti per ridurre i guasti
prodotti dal blocco pressoché totale delle attività;
oggi ci viene indicata la via per impedire che
l'Unione finisca in frantumi, schiacciata dalla superiorità tecnologica dei due
blocchi economici, Stati Uniti e Cina, la cui supremazia appare talmente
evidente che l'ex presidente della Bce ed ex premier non esita a parlare di
«sfida esistenziale» per l'Europa.
Nel rapporto non ci sono novità assolute, né sul piano
dell'analisi né su quello delle raccomandazioni; è il messaggio politico che
merita una seria riflessione.
Secondo
Draghi l'Unione è al punto limite, se non si dà subito una mossa più che
energica, il suo destino sarà segnato da una lenta ma inesorabile agonia.
In breve, come al tempo della pandemia, siamo
in piena emergenza, sia pure per motivi diversi.
Lungo
è l'elenco delle responsabilità che l'ex banchiere centrale imputa a quanti da
Bruxelles ci hanno governato fino a oggi, contribuendo ad avvicinarci al ciglio
del burrone.
Tuttavia
non spegne le speranze, a condizione che subito si metta mano al portafogli
investendo massicciamente in innovazione, nuove tecnologie, difesa comune,
politiche per accrescere la produttività.
E indica nel Piano Marshall, che nel
dopoguerra consentì all'Europa di risollevarsi dal baratro nel quale era
precipitata, il modello di finanziamento del rilancio, addirittura indicando in 800 miliardi
la cifra annuale da mettere sul tavolo.
Ma
dove reperire tanti denari?
Qui
sta l'incognita-debolezza del Rapporto Draghi.
Neanche
tanto sullo sfondo, già s'intuisce come sarà difficile bissare la spinta
solidale e collettiva che tre anni fa portò a una seppur parziale messa in
comune del debito con il varo del Next Generation Ue.
L'ala
rigorista europea continua infatti a non volerne sapere di mutualizzare il
debito, nonostante la profonda crisi che ha colpito l'economia tedesca.
La presidente “von der Leyen” ha parlato di
«contributi nazionali e risorse proprie», ma chiunque abbia una conoscenza
anche superficiale della contabilità di Bruxelles sa che gli 800 miliardi
indicati da Draghi non si possono mettere insieme attingendo dal bilancio
comunitario e, men che meno, utilizzando le risorse dei singoli Stati membri
ora che le nuove regole del Patto di Stabilità costringono i Paesi più
indebitati all'interno di un sentiero assai stretto in termini di gestione
delle finanze pubbliche.
L'unica soluzione è affidarsi agli eurobond:
provvisti
della tripla A, il massimo grado di affidabilità creditizia, sarebbero in grado
di raccogliere i favori di un mercato che non aspetta altro, come ha ricordato
qualche giorno fa il componente del board Bce, Piero Cipollone.
È
dunque necessaria una chiara scelta di campo, in grado di spezzare l'antitesi
fra l'urgenza di rimodulare le scelte dell'Unione con il dispiegamento di fondi
adeguati e le politiche economiche tuttora incardinate su un'austerity che in
tutti questi anni ha finito per soffocare lo sviluppo dell'intera Unione.
(A suo tempo il re
Draghi trovò il modo per fornire di duemila miliardi di dollari il suo compare
Presidente nero
degli Usa Obama, allora in difficoltà economiche. Obama restituì in pochi anni
il prestito fornito dalla Bce alla Fed Usa, con tanti ringraziamenti.
Ma qualcosa mi dice che non sarà così facile oggi
per la UE trovare 800 miliardi di euro ogni anno per compiacere il sempre
pretenzioso Re Draghi! N.D.R).
Unione europea –
Draghi: “L’auto
è un esempio chiave
della
mancanza di pianificazione.”
Msn.com –
Quattroruote- Redazione – (9 -9- 2024) – ci dice:
Mario Draghi ha
presentato l’atteso report sulla competitività dell’Europa e il lunghissimo
documento (di quasi 400 pagine) non manca di affrontare il tema delle sfide
dell’auto, con tanto di avvertimento sull’assenza di una politica industriale
da parte delle istituzioni comunitarie.
"Il settore automobilistico", scrive
l’ex premier e presidente della BCE – è un esempio chiave della mancanza di
pianificazione dell’Unione e dell’applicazione di una politica climatica senza
quella industriale".
La minaccia cinese.
"La Cina, al
contrario, si è concentrata sull’intera catena di fornitura dei veicoli
elettrici dal 2012 e, di conseguenza, si è mossa più velocemente e su larga
scala e ora è una generazione avanti nella tecnologia dei veicoli elettrici in
praticamente tutti i settori, producendo anche a costi inferiori",
prosegue Draghi, secondo cui la concorrenza cinese, sempre più intensa grazie a
un "potente combinazione di massicce politiche industriale e agevolazioni,
rapida innovazione, controllo delle materie prime" ed economie di scala,
rischia di trasformarsi in "una minaccia per l’industria europea senza
piani di coordinamento trasversali".
Serve un piano
industriale.
Nel quadro di una
più ampia strategia per la decarbonizzazione, Draghi ritiene che l’Ue debba
sviluppare un piano di azione industriale specifico per il settore.
Nel breve termine,
bisogna "evitare una radicale delocalizzazione della produzione" e
"la rapida acquisizione di stabilimenti e aziende da parte di produttori
esteri sovvenzionati dai loro Stati": In tal senso, la politica dei dazi
potrebbe anche "contribuire a livellare il campo di gioco".
Tuttavia, nel lungo termine è necessario
definire una "tabella di marcia industriale che tenga conto della
convergenza orizzontale (vale a dire elettrificazione, digitalizzazione e
circolarità) e della convergenza verticale (ossia materie prime critiche,
batterie, infrastrutture di trasporto e ricarica) nelle catene del valore
dell’ecosistema automobilistico".
Non mancano
raccomandazioni sulla necessità di assicurare "costi produttivi
competitivi, a partire dal fattore energia, garantire coerenza normativa,
supportare lo sviluppo delle infrastrutture, sostenere progetti europei nelle
aree più innovative e puntare sulla formazione e la riqualificazione della
forza lavoro".
L’eco a de Meo.
In sostanza, Draghi condivide buona parte
delle proposte avanzate dal presidente dell’”Acea”, “Luca de Meo:
"Scala, standardizzazione e
collaborazione saranno fondamentali per i produttori europei per diventare
competitivi sul fronte dei veicoli elettrici piccoli e accessibili, dei veicoli
definiti dal software, delle soluzioni di guida autonoma e della catena del
valore della circolarità",
sottolinea Draghi,
invitando Bruxelles
a "seguire un approccio neutrale dal
punto di vista tecnologico nel definire il percorso verso la riduzione di CO2 e
inquinanti" (un passaggio viene proprio dedicato al "potenziale dei
combustibili alternativi", come e-fuel e biocarburanti) e a tener conto
degli sviluppi di mercato e tecnologici.
Perché il governo
prende in prestito
quando può stampare?
Unz.com - Ellen
Brown – (18 giugno 2024) – ci dice:
Nei primi sette mesi
dell'anno fiscale (FY) 2024, gli interessi netti (pagamenti meno reddito) sul
debito federale hanno raggiunto i 514 miliardi di dollari, superando la spesa
sia per la difesa nazionale (498 miliardi di dollari) che per “Medicare” (465
miliardi di dollari).
La scheda degli interessi ha anche superato
tutti i soldi spesi per i veterani, l'istruzione ei trasporti messi insieme.
La spesa per interessi è ora la seconda voce
più importante del bilancio federale dopo la previdenza sociale e la parte in
più rapida crescita del bilancio, sulla buona strada per raggiungere gli 870
miliardi di dollari entro la fine del 2024.
Secondo il “Congressional Budget Office” , il deficit del bilancio federale è stato di 857
miliardi di dollari nei primi sette mesi dell'anno fiscale 2024.
In effetti, il governo sta prendendo in
prestito a interesse per pagare gli interessi sul suo debito, aggravando il
debito.
Per il prestatore, è
chiamato "il miracolo
dell'interesse composto":
l'interesse sull'interesse si compone in modo
esponenziale.
Ma per il debitore è una maledizione, che si
accumula come un cancro al punto da divorare beni mentre continua a far
crescere il debito.
Come scrive “Daniel
Amerman”, analista finanziario, in un articolo intitolato "
“Potrebbe un
incendio di interesse composto minacciare la solvibilità degli Stati
Uniti?":
La più grande
minaccia legata al debito alla solvibilità del governo degli Stati Uniti e al
valore del dollaro potrebbe essere il fatto che gli Stati Uniti non stanno
effettivamente effettuando alcun pagamento netto di capitale o interessi sul
loro debito.
Cioè, il governo
degli Stati Uniti sta prendendo in prestito denaro per effettuare i pagamenti
degli interessi, anche se prende in prestito per rinnovare i pagamenti
principali – anche se prende in prestito ancora di più per finanziare la spesa
generale che è in eccesso rispetto alle tasse raccolte.
Ciò crea il rischio
di una potenziale capitalizzazione ed accelerazione dei pagamenti degli
interessi sul conto debito. …
In altre parole, il
governo degli Stati Uniti è effettivamente insolvente, in assenza di alcuni
cambiamenti importanti. Questo è esattamente il motivo per cui dobbiamo
anticipare che ci saranno grandi cambiamenti.
Allo stesso modo, il
“Comitato per un Bilancio Responsabile” conclude:
"Senza riforme
per ridurre il debito e gli interessi, i costi degli interessi continueranno a
salire, escludendo la spesa per altre priorità e gravando sulle generazioni
future".
In effetti, noi
siamo quella generazione futura.
I polli sono tornati
a casa. Secondo “USDebtClock.org” , il debito è ora di 34,8 trilioni di dollari.
Le svolte sono che avremmo bisogno di tassare tutti con un'aliquota del
40%, senza detrazioni, per bilanciare i bilanci dei nostri governi federali e
locali, un ovvio fallimento.
Le riforme sono
necessarie, ma di che tipo?
Perché il governo
prende in prestito la propria valuta?
Questa domanda è
stata posta all'economista” Martin Armstrong,” che ha risposto:
La teoria era che se
si prendeva in prestito piuttosto che stampare denaro, NON si stava aumentando
l'offerta di moneta esistente, e quindi, in teoria, non sarebbe stato
inflazionistico.
Questo sarebbe vero
se il debito fosse rimborsato, ma oggi il governo non ripaga il debito ma
continua a rinnovarlo, pagando le vecchie obbligazioni alla scadenza con nuove
obbligazioni – attualmente a tassi di interesse più elevati.
“Armstrong”
conclude:
Prendiamo in
prestito, il che è peggio della stampa, perché dobbiamo pagare gli interessi
sul costante rinnovo del debito.
Quest'anno spendiamo circa 1 trilione di
dollari in interessi, il debito nazionale totale quando “Reagan” entrò in
carica nel 1981.
Se avessimo “stampato
il denaro” invece di “prendere in prestito”, sarebbe stato meno inflazionistico
e il capitale avrebbe creato più posti di lavoro invece di investire nel debito
pubblico, che ha solo finanziato i sogni più sfrenati dei neoconservatori [che
ha spiegato come "stabilire basi militari ovunque"].
Un rapporto
pubblicato dalla “Commissione Grace “durante l'amministrazione “Reagan” ha
concluso che a quel tempo, la maggior parte delle entrate fiscali federali sul
reddito andavano solo a pagare gli interessi sul debito crescente del governo.
Una lettera di
accompagnamento indirizzata al presidente “Reagan” affermava che un terzo di
tutte le imposte sul reddito erano consumate dagli sprechi e dall'inefficienza
del governo federale.
Un altro terzo delle
tasse effettivamente pagate è andato a compensare le tasse non pagate dagli
evasori fiscali e dalla crescente economia sommersa, fenomeno che era fiorito
in modo direttamente proporzionale agli aumenti delle tasse.
Il rapporto si
concludeva:
Con due terzi delle
imposte sul reddito delle persone fisiche sprecate o non raccolte, il 100% di
ciò che viene riscosso viene assorbito esclusivamente dagli interessi sul
debito federale e dai contributi del governo federale per i pagamenti dei
trasferimenti.
In altre parole, tutte le entrate fiscali
individuali sul reddito scompaiono prima che un centesimo venga speso per i
servizi che i contribuenti si aspettano dal loro governo.
Come osservò “Thomas
Edison” nel “1921”:
Se la nostra nazione
può emettere un'obbligazione in dollari, può emettere una banconota da un
dollaro.
L'elemento che rende
buono il vincolo, rende buono anche il conto.
La differenza tra l'obbligazione e la cambiale
è che l'obbligazione consente ai broker di denaro di raccogliere il doppio
dell'importo dell'obbligazione e un ulteriore 20%, mentre la valuta non paga nessuno se non coloro che
contribuiscono direttamente in qualche modo utile.
È assurdo dire che
il nostro paese può emettere 30 milioni di dollari in obbligazioni e non 30
milioni di dollari in valuta.
Entrambe sono
promesse di pagamento, ma una promessa ingrassa gli usurai e l'altra aiuta il
popolo.
È più economico
stampare denaro a titolo definitivo piuttosto che prendere in prestito denaro a
un interesse che non viene mai rimborsato.
I “Greenbackers” che
marciarono su Washington nel 1897 avevano ragione. Dovremmo stampare il denaro,
non per iniziative speculative ("reddito non guadagnato") ma per
sforzi produttivi.
“ I Greenbackers”
cercarono un ritorno al sistema in cui il “governo di Lincoln “emetteva
direttamente le banconote statunitensi o “Greenback”s, al fine di evitare un
debito paralizzante nei confronti dei banchieri britannici.
Stavano marciando per i produttori economici –
i contadini e gli operai delle fabbriche, rappresentati dallo “Spaventapasseri”
e dall'”Uomo di Latta” ne “Il mago di Oz” , che ha preso spunto da quella prima
marcia su Washington.
La semplice stampa
del denaro non si tradurrà in iperinflazione?
Non necessariamente.
L'inflazione dei prezzi deriva da troppo denaro che insegue troppo
pochi beni. Quando il denaro viene utilizzato per creare nuovi beni e servizi,
i prezzi rimangono stabili.
Ciò è stato dimostrato dai cinesi quando hanno
aumentato l'offerta monetaria di un fattore del 1800% (18 volte) nei 23 anni
tra il 1996 e il 2020.
Il nuovo denaro è
andato verso le infrastrutture e altre forme di produttività, aumentando il PIL
allo stesso ritmo; e il ribasso dei prezzi è rimasto costantemente basso
durante quel periodo.
Ma il senno di poi è
20/20. Cosa si può fare ora per l'aumento del debito federale e degli
interessi?
Possibili soluzioni
di tesoreria.
Ipoteticamente, il
Tesoro potrebbe riacquistare il suo debito.
Ma con il nostro sistema attuale, questo
dovrebbe essere fatto con più debito, a tassi di interesse ancora più alti.
In realtà il Tesoro lo sta facendo ora, ma in
osservazioni modeste e per uno scopo diverso.
Il suo obiettivo è quello di creare un mercato
liquido dei Treasury a lungo termine, il tipo di obbligazioni che la Silicon
Valley Bank è stata costretta a vendere con un forte sconto, generando fondi
insufficienti per scongiurare la massiccia corsa ai suoi depositi nel marzo
2023.
Quasi 200 banche si trovano in difficoltà
simili e ugualmente vulnerabili alle fughe fiscali.
Tuttavia, sarebbe
controproducente per il Tesoro riacquistare una parte importante del suo debito
con più debito a interessi più elevati, il che non farebbe altro che aggravare
il debito e l'onere degli interessi.
In alternativa,
potrebbe emettere monete da 35 trilioni di dollari.
L'idea di coniare
monete di grosso taglio per risolvere i problemi economici è stata
evidentemente suggerita per la prima volta da un presidente della “Sottocommissione
per le Monete” della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti nei primi anni
'80.
Ha sottolineato che
il governo potrebbe ripagare l'intero debito con alcune monete da miliardi di
dollari, semplicemente "stampando" o "coniando" il denaro.
La Costituzione conferisce al Congresso il
potere di coniare moneta e regolarne il valore, e non viene posto alcun limite
al valore delle monete che creano. Naturalmente, oggi queste dovrebbero essere
monete da trilioni di dollari.
Nella legislazione
avviata nel 1982, tuttavia, il “Congresso” ha scelto di imporre limiti agli
importi e ai tagli della maggior parte delle monete.
L'unica eccezione
era la moneta di platino, che una disposizione speciale permetteva di coniare
in qualsiasi quantità per scopi commemorativi.
Nel 2013, un
avvocato di nome “Carlos Mucha”, che scrive sul blog con lo pseudonimo di “Beowulf,”
ha proposto di emettere una moneta di platino per capitalizzare questa
scappatoia;
e con l'infinito
stallo al Congresso sul tetto del debito, è stato ripreso da economisti seri
come un modo per dare scacco matto ai falchi del deficit.
“Philip Diehl” , ex
capo della Zecca degli Stati Uniti e coautore della legge sulle monete di
platino, ha confermato che la moneta avrebbe corso legale:
Nel coniare la
moneta di platino da 1 trilione di dollari, il Segretario al Tesoro
eserciterebbe l'autorità che il Congresso ha concesso regolarmente per più di
220 anni e in base al potere espressamente conferito al Congresso dalla
Costituzione (articolo 1, sezione 8).
Coniare monete da
trilioni di dollari evoca immagini di banconote da milioni di marchi che
riempiono carriole.
Ma come osserva
l'economista “Michael Hudson”:
Ogni iperinflazione
nella storia è stata causata dal servizio del debito estero che ha fatto
crollare il tasso di cambio.
Il problema è quasi
sempre derivato dalle tensioni valutarie estere in tempo di guerra, non dalla
spesa interna.
Il Prof. “Randall
Wray” ha spiegato che la moneta non circolerà ma sarà depositata sul conto del
governo presso la “Fed”, quindi non potrebbe gonfiare l'offerta di moneta
circolante.
Il bilancio avrebbe ancora bisogno
dell'approvazione del Congresso.
Per tenere sotto controllo la spesa, il “Congresso
“dovrebbe solo rispettare alcune regole di base dell'economia.
Potrebbe spendere in
beni e servizi fino alla piena occupazione senza creare aumento dei prezzi
(poiché la domanda e l'offerta aumenterebbero insieme). Dopodiché, avrebbe
bisogno di tassare, non per finanziare il bilancio, ma per ridurre l'offerta di
moneta circolante ed evitare di far salire i prezzi con un eccesso di domanda.
Se l'emissione di 35
monete del valore di un trilione di dollari ciascuna sembra troppo radicale, il
Tesoro potrebbe emettere solo un trilione di dollari all'anno, destinato
specificamente a coprire gli interessi.
Un approccio ibrido
simile ha funzionato per i “coloni della Pennsylvania “quando hanno formato la
loro prima banca di proprietà del governo all'inizio del XVIII secolo.
Altre colonie emettevano "scrip coloniale", ma era più facile
emettere lo scrip che tassarlo, e in genere emettevano troppo, gonfiando
l'offerta di moneta e svalutando la moneta.
I coloni della Pennsylvania formarono una
"banca della terra" ed emisero denaro come prestiti agli agricoltori
al 5% di interesse.
Per coprire gli
interessi non creati nei prestiti originali, il governo è stato in grado di
emettere direttamente titoli cartacei per finanziare il proprio bilancio.
Di conseguenza, la
Pennsylvania divenne l'economia più produttiva delle colonie.
Che ne dite di
attingere alla Federal Reserve?
La “Fed” è in grado
di emettere denaro senza interessi, non come i depositi creati dalle banche che
circolano come la nostra offerta di “moneta M2”, ma come le riserve necessarie
alle banche per soddisfare i trasferimenti e i prelievi interbancari.
Quando la” Fed”
acquista titoli federali, ha l'obbligo di restituire gli interessi al Tesoro
dopo averne dedotto i costi.
Nel 2011, il
candidato presidenziale repubblicano “Ron Paul” ha proposto di affrontare il
tetto del debito semplicemente annullando i 1,7 trilioni di dollari di titoli
federali allora protetti dalla “Fed”.
Come “Stephen Gandel”
ha spiegato la soluzione di Paul su Time Magazine, il Tesoro paga gli interessi
sui titoli alla “Fed”, che restituisce il 90% di questi pagamenti al Tesoro.
Nonostante questo
gioco di carte dei pagamenti, gli 1,7 trilioni di dollari in obbligazioni
statunitensi di proprietà della Fed sono ancora conteggiati per il tetto del
debito.
Il piano di Paolo:
Il piano di Paul:
"Fate in modo che la Fed e il Tesoro
strappino quel debito. Si tratta comunque di un debito falso. E la “Fed” è
legalmente autorizzata a restituire il debito al Tesoro per essere distrutto.
Anche il membro del
Congresso “Alan Grayson,” un democratico, ha appoggiato questa proposta.
Ma da giugno 2022,
la” Fed” non ha acquistato titoli, ma ha venduto quelli che già possiede,
riducendo il suo bilancio nel tentativo di combattere l'acquisto dei prezzi
riducendo l'offerta di moneta attraverso un "inasprimento
quantitativo".
La “banca centrale” è considerata
"indipendente" dal Congresso, ma probabilmente il Congresso potrebbe
rivedere il” Federal Reserve Act” per richiedere alla “Fed “di acquistare
titoli federali.
Un'imposta sulle
transazioni finanziarie.
Escludendo queste
alternative, un'altra possibilità è una tassa sulle transazioni finanziarie
molto bassa.
In un libro del 2023
intitolato “A Tale of Two
Economies”:” A New Financial Operating System for the American Economy”, il
veterano di Wall Street”
Scott Smith” sostiene che
stiamo tassando le cose sbagliate:
il reddito e le
vendite fisiche.
In effetti, abbiamo
due economie:
l'economia materiale in cui beni e servizi vengono acquistati e venduti, e l'economia monetaria che implica il trading di attività finanziarie
(azioni, obbligazioni, valute, ecc.) – fondamentalmente "fare soldi" senza produrre
nuovi beni o servizi.
Attingendo ai dati
della” Banca dei Regolamenti Internazionali” e della “Federal Reserve, “Smith” mostra che l'economia monetaria è centinaia di volte
più grande dell'economia fisica.
Il buco di bilancio
potrebbe essere colmato imponendo una tassa di appena lo 0,1 per cento sulle
transazioni finanziarie, eliminando non solo le imposte sul reddito, ma ogni
altra impostazione che paghiamo oggi.
Con una tassa sulle transazioni finanziarie
(TTF) dello 0,25%, potrebbe finanziare benefici che oggi non possiamo
permetterci e che stimolerebbero la crescita dell'economia reale, tra cui non
solo le infrastrutture e lo sviluppo, ma anche l'università gratuita, un
reddito di base universale e l'assistenza sanitaria gratuita per tutti.
“Smith” sostiene che
potresti anche ripagare il debito nazionale in 10 anni o meno con un TTF dello
0,25%.
Queste proposte sono
troppo radicali? Forse, ma
le crisi esistenziali richiedono soluzioni radicali.
Il manuale di Mario
Draghi
per salvare
l’Europa, cosa
ha scritto nel
rapporto sull’Ue.
Fanpage.it - Luca
Pons – (9 SETTEMBRE 2024) – ci dice:
L’ex presidente del
Consiglio Mario Draghi ha pubblicato il suo rapporto sulla competitività
dell’Unione europea: una “sfida esistenziale” da cui dipenderà il futuro
dell’Ue, ha detto.
Per affrontarla
serviranno investimenti enormi, anche più grandi del Piano Marshall del secondo
dopoguerra.
Mario Draghi, ex
presidente della Banca centrale europea e presidente del Consiglio italiano, ha
pubblicato il suo atteso rapporto sulla competitività dell'Unione europea.
Il documento, lungo
quasi 400 pagine, gli era stato richiesto dalla presidente della Commissione
europea “Ursula von der Leyen “un anno fa.
Negli scorsi mesi,
nelle sue poche uscite pubbliche, Draghi aveva fatto riferimento ad alcuni dei
temi principali che avrebbe trattato, suggerendo che per impedire di far
scivolare l'Ue in un ruolo secondario a livello mondiale sarebbero serviti
interventi decisi.
Oggi, nella
prefazione del rapporto, Draghi ha parlato di una vera e propria "sfida
esistenziale" per l'Unione.
Per affrontarla servono interventi pesanti –
fino a 800 miliardi di euro all'anno – concentrati soprattutto su tre settori:
l'innovazione, il clima e la difesa.
Perché senza questo
piano l'Ue "perderà la sua ragion d'essere".
L'Ue negli ultimi
anni si è allontanata sempre più dalla Cina e dagli Stati Uniti nella
competizione globale.
Il reddito
disponibile delle famiglie è cresciuto del doppio negli Usa rispetto
all'Europa, la spesa militare non è salita abbastanza (sempre perché c'erano
gli Stati Uniti a ‘garantire' la sicurezza), negli ultimi anni il costo
dell'energia è aumentato molto di più di Ue, la Cina è diventata direttamente
competitiva in moltissimi settori.
Così, oggi tra le cinquanta principali aziende
mondiali del settore tecnologico, solo quattro sono europee.
I valori su cui
l'Unione è fondata sono "prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in
un ambiente sostenibile":
tutelare questi diritti per i propri cittadini è il motivo stesso per cui l'Ue
esiste.
Quindi, "se
l'Europa non sarà più in grado di garantirli avrà perso la sua ragione
d'essere".
"L'unico
modo" di affrontare questa sfida "senza dover rinunciare ad alcuni
dei valori fondamentali" è di "perseguire più crescita economica e
maggiore produttività".
E "l'unico modo" per farlo è che
l'Europa cambi radicalmente". Siamo arrivati "al punto in cui, senza
interventi, dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la
nostra libertà".
Referendum sulla
cittadinanza, +Europa lancia la raccolta firme:
cosa dice il testo.
I punti fondamentali
saranno tre: l'innovazione tecnologica; il clima (e quindi la transizione ecologica e digitale); la difesa.
Ci sono dei problemi
diffusi che valgono per tutti e tre:
in generale, in
Europa ci sono gli "obiettivi comuni", ma mancano le "azioni
politiche congiunte" per raggiungerli.
C'è troppa
confusione nelle norme, e le grandi risorse economiche che l'Ue avrebbe a
disposizione vengono sprecate in "molteplici strumenti nazionali e
comunitari".
Quello che Draghi
propone non è una linea teorica da seguire, ma un vero e proprio piano di
investimenti.
Per seguirlo, la
spesa nei settori più importanti dovrà aumentare "di circa 5 punti
percentuali del Pil" europeo:
si parla di 750-800 miliardi di euro all'anno.
Un livello che non
si vedeva da decenni in Europa, e che supererebbe anche il Piano Marshall degli
Stati Uniti, che arrivò a "circa l'1-2% del Pil l'anno" tra il 1948 e
il 1951.
Cosa deve cambiare
sull'innovazione.
Come detto, il primo
aspetto su cui puntare sarà quello dell'innovazione.
Nell'Ue, tutte le
società che hanno un valore di mercato sopra i 100 miliardi sono nate più di
cinquant'anni fa.
Negli Stati Uniti, invece, tutte e sei le
società che valgono oltre mille miliardi di euro sono nate proprio in questo
periodo.
Questo è un esempio
di come l'attenzione all'innovazione si sia spostata al di fuori dell'Unione.
Uno dei motivi sono
le "normative
incoerenti e restrittive"
che colpiscono le aziende in Europa
. Questo ha
contribuito al fatto che quasi il 30% delle start-up nate in Europa tra il 2008
e il 2021 che poi hanno raggiunto una quotazione di oltre un miliardo di
dollari (i cosiddetti unicorni) abbiano lasciato l'Ue e abbiano trasferito la
propria sede all'estero, per la maggior parte negli Usa".
Le proposte di
Draghi sul clima.
Per quanto riguarda
il clima, l'Europa deve tenere conto di due aspetti:
da una parte la
decarbonizzazione (che comunque deve avvenire "per il bene del
pianeta"), dall'altra la transizione digitale e tecnologica.
Il taglio delle emissioni inquinanti può
essere "un'opportunità", ma gli "ambiziosi obiettivi
climatici" dell'Ue devono avere anche "un piano coerente per
raggiungerli".
Altrimenti, senza un
vero coordinamento tra le politiche nazionali, la decarbonizzazione potrebbe
diventare un problema.
Il prezzo
dell'energia è ancora molto alto, e per limitare l'effetto sulle famiglie del
passaggio all'energia pulita – quello lamentato dai partiti che più si
oppongono alle politiche ‘green', affermando che causino un aumento delle spese
e danneggino l'economica – bisogna trovare un compromesso.
L'opzione "più economica ed
efficiente" sarebbe quella di "aumentare la dipendenza dalla
Cina", acquistando i materiali e gli strumenti che possono facilitare la
transizione.
Ma questo porterebbe
"una minaccia per le nostre industrie produttive di tecnologie pulite e
automobilistiche", vista la concorrenza della Cina che finanzia
direttamente con fondi statali le imprese.
Dunque, per
trasformare la decarbonizzazione in un processo che faccia crescere l'Ue
bisognerà elaborare un piano che tenga insieme le esigenze dei settori che
permettono di ridurre le emissioni (tecnologie pulite e automotive) e quelli
che producono energia.
I problemi con la
spesa militare dell'Ue.
Anche sul piano
della politica estera, i Paesi dell'Ue devono iniziare a coordinarsi di più.
Ad esempio,
"l'industria della difesa è troppo frammentata".
Così, nonostante la
spesa militare dell'Ue sia la seconda più alta del mondo, gli effetti non si
vedono.
Questo approccio
"ostacola la capacità di produrre su larga scala, e soffre di una mancanza
di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la
capacità dell'Europa di agire come potenza coesa".
Un esempio:
in Europa si
producono dodici tipi diversi di carri armati, mentre negli Usa solamente uno.
Un altro dato sulla
spesa militare è che il 78% della somma complessiva viene appaltata a aziende
che non sono europee.
In più, non si
collabora nel campo dell'innovazione tecnologica.
Insomma, anche senza
arrivare a un esercito europeo, serve più coordinamento per non continuare a
‘sprecare' i soldi investiti nella difesa.
Chi pagherà per
tutto questo e come deve cambiare l'Europa per farcela
Le ultime due
questioni sono:
come pagare tutti
questi investimenti, e come cambiare la gestione politica dell'Ue per
semplificarli.
Per quanto riguarda
la prima, l'Ue dovrebbe andare verso "l’emissione di strumenti di debito
comune", come avvenuto con il “Next Generation Eu” che in Italia ha
portato al “Pnrr. Sempre con regole fiscali precise e con obiettivi chiari e
definiti sull'utilizzo dei soldi in questione.
Serve un
"finanziamento comune", uno strumento che permetta di investire molto
senza porre limiti impossibili per i Paesi in una situazione economica più
difficile. Una proposta che, però, negli anni ha visto l'opposizione di una
parte degli Stati Ue.
Poi c'è il modo in
cui l'Unione europea funziona, politicamente.
La sua struttura e
le procedure interne fanno sì che servano 19 mesi, in media, per approvare una
legge.
Bisognerebbe
iniziare, ad esempio, riducendo il ricorso al voto all'unanimità su una serie
di temi.
Affidarsi meno alla
Commissione europea per stilare le norme.
E allo stesso tempo
applicare di più il principio di sussidiarietà, ovvero:
le questioni su cui
è meglio che ogni Stato si gestisca in modo autonomo, dovrebbero essere
lasciate ai singoli Paesi;
ma per i temi su cui
serve un intervento più ampio, l'Ue dovrebbe avere più potere di agire.
(fanpage.it/politica/il-manuale-di-mario-draghi-per-salvare-leuropa-cosa-ha-scritto-nel-rapporto-sullue/)
(https://www.fanpage.it/)
Trump torna in testa
nei sondaggi,
finita
l’allucinazione collettiva di Harris:
il dibattito tv che
accende la febbre americana.
msn.com – Il
Riformista - Paolo Guzzanti – Redazione – (11-09 – 2024) – ci dice:
Sorpresa: Trump è
stabilmente in testa e la Harris gli sta sotto di tre punti.
Sembrava il
contrario, ma è bastato un sondaggio fatto come va fatto (e cioè con i
campioni, i correttivi, le domande, la tara) per rendersi conto che non
soltanto Trump per ora vince, ma anche che la sensazione di vittoria della
Harris sia stata in parte un’allucinazione collettiva.
Un’allucinazione determinata da numeri
approssimativi e non omogenei, grazie alle impennate emotive seguite alla
nomina ufficiale della Harris alla Convention di Chicago, che ha incassato 82
milioni per la sua campagna elettorale.
Ma fatte le cose per
bene e con tutte le tecniche formule e i correttivi, l’oracolo della NYT-Siena
ha emesso il suo verdetto che vede Trump sempre in testa di due o tre punti,
salvo piccole curve.
L’America
democratica è rimasta molto male, come anche tutti gli indipendenti e molti
repubblicani dissidenti, ed è cominciato un contro check per capire da che cosa
dipende la momentanea fine dell’illusione.
E qui arriva la
conferma di un punto che avevano più volte sottolineato: l’elettorato è
insoddisfatto delle risposte generiche e non impegnative della Harris.
Troppe chiacchiere e
sorrisi, e nessun impegno chiaro.
Kamala è istruita
dai suoi coach e in questo momento si trova in un grande albergo di Pittsburgh,
Pennsylvania, impegnata in ore di training al dibattito con una squadra di
istruttori.
Che usano il metodo
Lee Strasberg per attori e per politici, una derivazione americana della scuola
di “Konstantin Stanislavskij”, l’attore e maestro rivoluzionario del teatro e
del cinema che ha insegnato a non recitare il copione ma a viverlo come se fosse
la vita.
Anche Trump è quasi sempre in Pennsylvania, ed
entrambi escono dai loro alberghi solo per piccoli o medi rally in cittadine e
campagne, e poi tornare subito nella lobby delle loro residenze a studiare con
gli allenatori assistenti che, seguendoli nelle strade, prendono nota delle
variazioni degli umori e delle domande e dei punti poco chiari.
Elezioni americane:
Harris-Trump, il duello tv che può cambiare le sorti degli Stati Uniti (RaiNews
multimedia).
Finora tutto ciò che
ha detto la Harris è stato deliberatamente poco chiaro, o meglio generico, e
rivolto prima di tutto ai non bianchi e alle donne.
Ma senza piani, cifre, programmi.
In questo senso
Trump è più allenato e più preparato perché usa un tono assertivo che o
affascina o mette in fuga.
Ma il tono assertivo
paga.
Ed il tono assertivo è il tema del suo nuovo
addestramento in vista del match di stasera alle nove, tre del mattino per noi
in Italia.
Nel quartier
generale democratico, alla sorpresa e all’amarezza per i risultati di un poll
molto diversi da quelli troppo frettolosamente sognati, non si aggiunge
malumore ma solo il desiderio organizzativo prettamente americano di cambiare
le pagine, sostituire i consiglieri, tornare all’attacco.
E Kamala ha catturato un uomo importantissimo
del campo opposto, che ha lasciato i repubblicani di Trump per votare Harris.
È l’ex
vicepresidente di George W. Bush, “Dick Cheney” il quale non soltanto ha scelto
di votare per il partito contro cui ha sempre lottato, ma – ha detto – lo
voterà non per un cambio di simpatie politiche ma per salvare l’America da una
dittatura, vedendo nelle parole e nelle azioni di Donald Trump il vero Catilina
– che si prepara alla presa del potere con le armi del colpo di Stato,
sopprimendo pesi e contrappesi e mettendo Cia ed Fbi direttamente alle sue
dipendenze e minacciando il popolo americano di voler insorgere, come già fece
il 6 gennaio del 2020, se i risultati non gli fossero favorevoli.
Trump ha sempre
detto, con sorriso beffardo, come se fosse una battuta, senza mai però dire che
si tratta di una battuta, che “noi accetteremo con la massima disciplina il
risultato che delle urne, purché sia io a vincere”.
Trump ha ancora a
che fare con i suoi processi, anche durante la campagna elettorale, e così
mentre sabato era in Wisconsin, un altro stato in bilico, è dovuto correre al
tribunale di Manhattan per uno dei suoi processi – salvo approfittare
dell’occasione per indire una grandiosa conferenza stampa nella sua Tower sulla
Fifth Avenue e poi via di corsa a rassicurare i sindacati di polizia in North
Carolina.
Al processo, Trump
ha trovato un giudice amico che ha sentenziato di non poter sentenziare finché
non si saprà se sarà eletto o no.
Per quanto suoni bizzarro alle nostre
latitudini, negli States la magistratura è in gran parte elettiva e fa
apertamente politica.
Lo si è visto anche
dalle decisioni a favore di Trump prese dalla Corte Suprema, che ha sentenziato
come il giudice di Manhattan:
un ex presidente e
possibile prossimo presidente gode di immunità e privilegi perché il suo ruolo
è quello di “Commander in Chief”, più di un re costituzionale, ed è un ruolo
che non ammette altra opposizione se non quella del controllo della spesa da parte
del Congresso.
È ammesso che il
Congresso metta il presidente in stato di accusa, ma non accade mai che sia
cacciato dalla Casa Bianca, con l’eccezione di Richard Nixon – che preferì
dimettersi avendo valutato l’impossibilità di salvarsi dallo scandalo
Watergate.
Il duello di
stanotte trasmesso dalla Abc News andrà in scena a Pittsburgh in Pennsylvania,
che oggi ha un governatore democratico, il prestigioso “Josh Shapiro”, proprio
perché la colonia utopistica fondata dal “quacchero signor Penn” è il più
importante dei grandi Stati incerti, quelli che determinano la vittoria del
Presidente.
La Pennsylvania è –
come il piccolo Ohio – uno Stato campione: dal 1948 questa ex colonia (una
delle 13 che fondarono gli States) ha la più alta percentuale di elettori neri
e ha sempre votato il candidato vincente.
Tutto il mondo
assisterà al grande match per poi correre ai risultati dei sondaggi, e mai come
questa volta il risultato è totalmente imprevedibile a meno di due mesi dal
voto.
Gli altri Stati in bilico sono il Wisconsin,
il Michigan, il North Carolina, la Georgia, l’Arizona e il Nevada.
Stati molto più
importanti come la California non sono “dondolanti” fra i due partiti, visto
che voterà certamente per la Harris la quale, come Donald Trump, va a caccia di
elettori non registrati (negli Usa ci si può registrare o scegliere di volta in
volta) ed entrambi vogliono lo scalpo degli indipendenti e degli indecisi.
Fra i primi ha un ruolo di peso Robert
Kennedy, figlio del fratello del presidente John Fitzgerald, anche lui
assassinato mentre era in corsa per la Casa Bianca.
Il blasone dei cattolici del Massachusetts vale ancora
voti, e Robert Jr, ha scelto Trump che gli ha promesso un posto di governo in
cambio di voti.
Brutto colpo per la
Harris che contava su di lui dal momento che Robert ha accompagnato Kamala
durante alcuni comizi nel Massachusetts, e con lui i sondaggi crescevano di tre
punti.
Siamo col fiato
sospeso in attesa che si possa misurare la febbre americana da cui dipendono
molti destini e certamente quello dell’Europa.
Draghi: "Siamo
in crisi, serve un cambio
radicale perché l'Ue
continui a esistere"
Tg24.sky.it – (09
set 2024) – Ansa – Redazione – ci dice:
L'ex presidente del
Consiglio e della Bce ha presentato il suo report sulla competitività europea:
400 pagine, circa
170 proposte "attuabili subito".
Le parole d'ordine?
"Urgenza e concretezza".
L'analisi spazia
dalle nuove tecnologie, alla decarbonizzazione, fino al tema della sicurezza.
L’'ex presidente del
Consiglio e della Bce Mario Draghi ha presentato a Bruxelles il suo report di
400 pagine sulla competitività, con circa 170 proposte.
L'obiettivo?
Dare all'Unione
europea un nuovo slancio, permettendole di superare i freni strutturali che le
hanno fatto perdere sempre più terreno nei confronti di Stati Uniti e Cina.
"L'unico modo per diventare più
produttiva è che l'Europa cambi radicalmente", si legge nel documento.
E, proprio sul report, Draghi in conferenza
stampa, con la presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen, ha
sottolineato:
"La mia analisi
arriva in un momento difficile".
Per questo il report
parla di "un cambiamento radicale, che dovrà essere urgente e
concreto".
Ma, ricorda Draghi,
"non partiamo da zero. Abbiamo infatti la speranza di poter realizzare
tutto quello che proponiamo".
Draghi:
"Crescita Ue rallenta, non possiamo più ignorarlo".
"Abbiamo detto
molte volte che la crescita sta rallentando da molto tempo nell'Ue, ma lo
abbiamo ignorato.
Fino a due anni fa non avremmo mai avuto una
conversazione del genere perché in genere le cose andavano bene.
Ma ora non possiamo
più ignorarlo: le condizioni sono cambiate", ha aggiunto Draghi in
conferenza stampa.
E ha sottolineato
che l'attenzione sulla competitività.
La produttività deve
essere ancora più importante poiché l'Europa, per la prima volta, "non
potrà contare sull'aumento della popolazione" per aumentare la sua
economia vista la curva demografica prevista.
"Dal
2040", infatti, "ci saranno 2 milioni di lavoratori in meno nell'Ue
all'anno".
I pilastri del
report.
Tre i pilastri su
cui si fonda il report.
L'innovazione è uno di questi. Dare spazio a
questo settore "è la chiave del futuro".
Al momento, invece,
nell'Ue, "c'è uno stallo", ci sono "troppe barriere",
sottolinea Draghi, e per questo "serve un cambiamento".
Un altro dei
pilastri è poi quello legato alla decarbonizzazione, che viene definita dall'ex
presidente del Consiglio come una grande "opportunità per la crescita".
In questo quadro occorre però "migliorare
l'approvvigionamento e l'offerta di energia pulita" e serve "un piano
congiunto" a livello europeo.
Anche perché
"la concorrenza della Cina minaccia l'industria green europea".
Il terzo ambito d’azione, invece, è quello che
riguarda l'obiettivo di "aumentare la sicurezza e ridurre le
dipendenze".
Il report: per
l'Europa una "sfida esistenziale."
Nella prefazione del
report, viene spiegato che "l'Europa si preoccupa del rallentamento della
crescita dall'inizio di questo secolo. Varie strategie per aumentare i tassi di
crescita si sono avvicendate, ma la tendenza è rimasta invariata. Considerando
diversi parametri, si è aperto un ampio divario nel Pil tra l’Ue e gli Stati
Uniti, guidato principalmente da un rallentamento più pronunciato della
crescita della produttività in Europa."
E, "su base pro capite, il reddito
disponibile reale è cresciuto quasi del doppio negli Stati Uniti rispetto
all’Ue dal 2000".
"L’era della rapida crescita del
commercio mondiale sembra essere passata", si legge ancora nel documento,
"con le aziende dell’Ue che si trovano ad affrontare sia una maggiore
concorrenza dall’estero che un minore accesso ai mercati esteri".
L’Europa inoltre
"ha improvvisamente perso il suo più importante fornitore di energia, la
Russia.
Nel frattempo, la
stabilità geopolitica sta diminuendo e le nostre dipendenze si sono rivelate
delle vulnerabilità.
Il cambiamento
tecnologico sta accelerando rapidamente.
L’Europa ha in gran
parte mancato la rivoluzione digitale guidata da Internet e i guadagni di
produttività che ha portato".
E se l’Europa non potrà diventare più
produttiva, "saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di
diventare, allo stesso tempo, leader nelle nuove tecnologie, un faro di
responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale.
Non saremo in grado
di finanziare il nostro modello sociale.
Dovremo
ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni.
Questa è una sfida
esistenziale".
Ue, Draghi presenta
il suo report sulla competitività: i punti chiave
Von der Leyen:
"Prima definire priorità comuni, poi fondi"
Al fianco di Draghi,
in conferenza stampa, anche la presidente della commissione Ue, Ursula von der
Leyen, che, sull'attuazione delle proposte, ha spiegato:
"Prima c'è la
definizione di priorità e progetti comuni, poi ci sono due strade possibili:
i finanziamenti
nazionali o nuove risorse proprie.
Sarà la volontà dei
Paesi membri a decidere come si vuole agire".
Economia sostenibile.
Con il Piano Draghi
rischieremmo di
dire addio alla
responsabilità delle imprese
valori.it -Valentina
Neri – (11 – 09 – 2024) – ci dice:
Nel rapporto Draghi
sulla competitività europea, due diligence e rendicontazione di sostenibilità
sono descritte come oneri eccessivi per le imprese.
Le direttive
dell’Unione europea sulla due diligence e sulla rendicontazione di
sostenibilità, raggiunte a fatica e al prezzo di parecchi compromessi?
Sono un aggravio normativo per le imprese.
È quanto si legge
nelle oltre quattrocento pagine dell’attesissimo rapporto sul futuro della
competitività europea scritto da Mario Draghi.
Cosa dice il
rapporto sulla competitività europea di Mario Draghi.
Era lo scorso
settembre quando la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen,
ha assegnato all’ex-governatore della Banca centrale europea l’incarico di
stilare una relazione sulla competitività dell’Unione. Il rapporto Draghi,
appunto. I piani iniziali prevedevano che venisse pubblicato subito dopo le
elezioni, a ridosso del Consiglio europeo di fine giugno. Ma i tempi si sono
allungati fino a lunedì 9 settembre.
È un documento
lungo, fitto.
Un testo che prende
il via dai dati sul rallentamento della crescita e della produttività in Europa
per definire tre aree di intervento:
ridurre il divario
con Cina e Stati Uniti in termini di innovazione, adottare un piano unitario
per la decarbonizzazione e la competitività, migliorare la sicurezza e ridurre
la dipendenza dall’estero.
Centinaia le proposte, il cui minimo comune
denominatore è sempre lo stesso: agire collettivamente, senza più disperdere
risorse ed energie tra Stato e Stato.
È vero anche che il
rapporto Draghi esprime una linea di indirizzo, ma non ha nulla di vincolante.
Tanto più perché,
per realizzare queste proposte, l’Unione dovrebbe stanziare investimenti
giganteschi.
Soltanto per la
digitalizzazione e la decarbonizzazione dell’economia, unita all’aumento della
capacità di difesa dell’Unione, il rapporto parla di un incremento annuo di
almeno 5 punti percentuali degli investimenti rispetto al prodotto interno
lordo.
Per avere un termine
di paragone, gli investimenti del Piano Marshall ammontarono all’1-2% del PIL
dei Paesi beneficiari.
Le norme per la
responsabilità delle imprese?
Troppo costose e complicate.
Considerato anche
che la nuova Commissione europea si deve ancora insediare, i tempi non sono
ancora maturi per poter dire se – e in che misura – le indicazioni del rapporto
Draghi si tradurranno in pratica.
Ma senza dubbio
salta all’occhio un atteggiamento a dir poco tiepido nei confronti delle
principali misure che l’Unione europea ha adottato in questi ultimi anni per
convincere le imprese ad agire in modo più responsabile.
La seconda parte del
rapporto, a pagina 318, le nomina una per una:
la direttiva sul
reporting di sostenibilità (nota con l’acronimo CSRD), la tassonomia (in
particolare il principio “do not significant harm”, non provocare un danno
significativo), la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), la
direttiva europea sulla due diligence (CSDDD), il regolamento sull’ecodesign
(ESPR), la direttiva sulle emissioni industriali, il sistema di scambio delle
emissioni (ETS) e il regolamento REACH sui prodotti chimici.
Nel suo insieme, si
legge nel rapporto Draghi, questa legislazione sarebbe «una delle principali
fonti di oneri normativi, amplificata dalla mancanza di orientamenti volti a
facilitare l’applicazione di norme complesse e a chiarire l’interazione tra i
diversi atti legislativi».
La principale preoccupazione è data dai costi.
Uniti al rischio che
le imprese della filiera si trovino a rendicontare addirittura più del dovuto,
per la difficoltà a interpretare norme che si intrecciano l’una con l’altra.
Una
deregolamentazione che piace alle imprese e preoccupa la società civile.
E dire che questi
testi erano stati già parecchio annacquati rispetto alle loro ambizioni
originarie.
L’esempio da manuale
è la CSDD, la direttiva che obbliga le imprese a vigilare sul rispetto dei
diritti umani e dell’ambiente nella catena del valore.
A un certo punto il
progetto sembrava sull’orlo del fallimento per l’opposizione di un gruppo di
Stati capeggiato dalla Germania (col supporto anche dell’Italia).
Poi il sì è
arrivato, ma soltanto dopo aver ridotto visibilmente il perimetro delle imprese
coinvolte.
Qualcosa di molto
simile è accaduto per la rendicontazione non finanziaria.
Le istituzioni
europee hanno definito le nuove regole, salvo poi esonerare migliaia di imprese
dalla loro applicazione.
Anche questo, però,
per il rapporto Draghi evidentemente è troppo.
Una posizione che
incontra i favori di “Business Europe,” la principale lobby delle imprese
europee.
«Presteremo molta
attenzione alla richiesta di una rinnovata strategia industriale che,
giustamente, dia priorità a misure come gli incentivi per gli investimenti
produttivi in Europa, l’abbassamento dei costi energetici o la riduzione
degli oneri normativi per le imprese.
Le forze di mercato
dovrebbero essere al centro di tale strategia, invece di un eccessivo
intervento pubblico», dichiara tramite una nota il presidente “Fredrik Persson”.
A questo entusiasmo
fa da contrappeso la preoccupazione della società civile. “Climate Action Network Europe”, per esempio, parla di «un’agenda per la
semplificazione che, in alcune parti, contiene preoccupanti elementi di
deregolamentazione che pongono gli obiettivi climatici e ambientali l’uno
contro l’altro».
Intervistato dalla
testata francese “Novethic”, il direttore delle politiche europee della” World
Benchmarking Alliance”, “Richard Gardiner”, descrive il rapporto Draghi come
«un vero e proprio attacco alle normative europee sulla sostenibilità».
Un testo che
«riprende chiaramente il linguaggio dell’industria sul presunto onere
costituito dal quadro normativo europeo sulla sostenibilità».
Sardegna, a Fuoco
2000
Pannelli
Fotovoltaici!
Conoscenzealconfine.it
– (11 Settembre 2024) – Imola Oggi – Redazione – ci dice:
Duemila pannelli
fotovoltaici sono stati distrutti da un incendio divampato nella notte tra
lunedì e martedì nel cantiere della società “Green and Blue” di “Serra Tuili”,
in località Garganu, nelle campagne di Tuili (Sud Sardegna).
Le fiamme si sono
propagate alle 4 del mattino ed hanno investito i pannelli da installare nel
nuovo impianto agri-fotovoltaico.
La squadra dei
vigili del fuoco di “Ales”, con il successivo supporto dei colleghi di
Cagliari, ha lavorato per diverse ore prima di spegnere il rogo e mettere in
sicurezza il cantiere.
Nonostante il duro
lavoro tutti i pannelli fotovoltaici sono stati distrutti dalle fiamme.
I tecnici dei vigili
del fuoco hanno avviato le indagini, ma i dubbi sull’origine dolosa del rogo
sono pochi.
Sul posto per le
indagini anche i carabinieri.
La società aveva
ottenuto l’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto nel 2022.
Se confermato dalle
indagini sarebbe questo il terzo attentato che viene messo a segno in Sardegna
in poche settimane contro impianti di energie rinnovabili.
Prima una pala
eolica a Mamoiada e pochi giorni fa il tentativo di incendiare una turbina a
Villacidro.
In Sardegna è in
corso da mesi una mobilitazione pacifica contro la speculazione energetica, per contrastare l’installazione indiscriminata di
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Che dire… Dio c’è! (Nota di conoscenzealconfine)
(agi.it/cronaca/news/2024-09-10/sardegna-bruciati-2000-pannelli-fotovoltaici-si-teme-attentato-27777375/)
(imolaoggi.it/2024/09/10/sardegna-a-fuoco-2000-pannelli-fotovoltaici/)
Il “piano Draghi” e
gli Stati Uniti
d’Europa
irrealizzabili:
perché l’UE è
destinata a morire
Lacrunadellago.net - Cesare Sacchetti – (10/09/2024)
– ci dice:
I media avevano
creato una sorta di attesa “messianica” attorno a questo “piano” di Mario
Draghi, quasi che l’uomo del Britannia da solo potesse tirare fuori dal
cappello qualcosa per risollevare le sorti dell’UE.
La montagna però,
come si è visto, ha partorito il solito vecchio topolino, anche piuttosto
malconcio a giudicare dall’aspetto smagrito dell’ex presidente del Consiglio.
Se leggiamo questa
relazione vediamo che i suoi punti salienti sono principalmente due.
Il primo riguarda la difesa comune europea che non sarebbe
altro che il tanto decantato esercito europeo, del quale a Bruxelles si parla
da molti anni ma che è sempre rimasto nel ramo della mitologia.
Non si è mai
manifestato nulla di reale in questo senso, se non i soliti discorsi di
circostanza sulla necessità di dare all’UE un suo esercito che alcuni hanno
inizialmente identificato in “Eurogendfor”, che poteva sembrare un’anticamera
delle forze armate europee, ma è rimasto invece relegato ad un ruolo marginale,
poiché molti Stati non vogliono saperne di sciogliere i propri corpi in una
unica forza armata sovranazionale.
Il secondo forse è ancora più mitologico del primo, e si tratta
del “debito comune europeo”, un passaggio che prevedrebbe una riforma
strutturale dei trattati di Maastricht e di Lisbona che i primi a non volere
sono proprio i Paesi del Nord-Europa, da sempre fermi in questa loro
intransigenza, visto che il gioco, fino a poco tempo fa, è stato pensato per
far vincere loro a discapito di tutti gli altri.
Sul secondo punto si
potrebbe scrivere una enciclopedia, perché la storia del debito pubblico
europeo è vecchia come il cucco, come recita il noto proverbio.
Ai tempi della crisi
dei debiti sovrani già si ricordavano gli afflati degli euristi più incalliti
quali l’eurodeputato belga “Verhofstad”t che invocava la costruzione degli
Stati Uniti d’Europa che dovevano passare dalla riforma della Banca centrale
europea e dalla sua mutazione da banca separata dai governi ad una che invece
garantisse i debiti degli Stati.
La BCE: una falsa
banca centrale.
La BCE è una banca
centrale soltanto nel nome, ma non nella sostanza.
Essa non è la
classica banca centrale che si fa carico dei debiti degli Stati, e non è
nemmeno controllata dagli Stati stessi, in quanto è partecipata dalle altre
banche centrali nazionali degli Stati dell’eurozona, ma queste, a loro volta,
non sono direttamente controllate dai governi.
Ad esempio, la
“nostra” banca centrale, banca d’Italia,
è partecipata da banche e istituti privati che nemmeno sono nelle mani
di investitori italiani, come nel caso di Unicredit e Intesa San Paolo, nelle
quali troviamo in entrambe la presenza del famigerato fondo di investimenti
BlackRock, una vecchia conoscenza della quale abbiamo già parlato e che funge
da deposito di tutti i capitali e fondi di famiglie quali i Rothschild, i
Rockefeller, i Warburg e le altre famiglie della finanza ebraica di New York e
Londra.
La BCE è stata
appositamente costruita e pensata per creare la crisi dei debiti sovrani. Chi
l’ha ideata infatti non voleva certo stabilizzare le politiche economiche degli
Stati.
Chi l’ha creata
voleva mettere questi alla mercé dei mercati e dei rovesci della speculazione internazionale esattamente come accadde
proprio alla fine degli anni 2000 e all’inizio del 2010-2011, quando l’Italia
fu investita dal fuoco di fila della speculazione contro la quale l’unico
rimedio possibile era quello di uscire dalla gabbia monetaria dell’euro e ricominciare a stampare la moneta nazionale emessa da
una banca centrala nazionalizzata.
La cura per
l’Italia, allora come oggi, non è affatto dissimile da quella che il governo
Mussolini somministrò nei suoi primi anni da presidente del Consiglio, quando
dopo aver abolito la massoneria, procedette a nazionalizzare la banca d’Italia
e a far sì che soltanto questa potesse stampare moneta, mentre ai tempi della
tanto decantata democrazia liberale diversi istituti privati avevano la
prerogativa di emettere la valuta italiana, e diversi politici si servivano di
queste banche anche come bancomat per finanziare sé stessi e le proprie
campagne, si veda a questo proposito il famigerato scandalo della banca Romana
che coinvolgeva massoni e presidenti del consiglio del calibro di Francesco
Crispi e Giovanni Giolitti.
Nel mondo
dell’eurocrazia non sono più gli Stati a comandare, ma i mercati, e Maastricht
e Lisbona non sono altro che la diretta conseguenza di una volontà di assegnare
ai mercati il primato sull’economia e sugli Stati, che si ritrovano appunto
nelle condizioni di questuanti che bussano alle porte delle banche per avere in
cambio i denari per fare spesa pubblica, quando invece, un tempo, quei denari
li stampavano.
Mayer Amschel
Rothschild quando affermava che non aveva importanza chi faceva le leggi, fino
a quando a lui sarebbe stato garantito il potere di creare moneta, sapeva
quello che diceva, e oggi gli Stati dell’eurozona si ritrovano nelle mani di
uomini come lui.
Allora, nel 2011,
come oggi esisteva un certo assetto europeo e burocratico che non ci pensava
minimamente a cambiare tale struttura.
La Germania e il
rifiuto di cambiare le regole.
Non ne aveva
interesse alcuno la Germania che attraverso la moneta unica accumulava enormi
profitti con le esportazioni, e non aveva la minima intenzione di ridistribuire
tale surplus a favore degli Stati che invece erano stati penalizzati dall’euro,
quali Italia e Grecia.
L’Olanda, altro
Paese che ha tratto enormi benefici dall’euro, assieme alla Germania
rappresentava quelli che i media chiamavano “i falchi dell’eurocrazia”, ovvero
quelli che non volevano una riforma dell’eurozona, ma volevano che
sostanzialmente tutto restasse così com’era per sempre.
Quello che hanno
dimenticato i Paesi Nord-Europei è che tale sistema non poteva andare avanti
all’infinito.
La roulette non
poteva continuare a far uscire all’infinito lo stesso numero perché l’euro è un
cane che si morde la coda.
Se la forza dei
Paesi del Nord-Europa sono le esportazioni gonfiate dal cambio svalutato
dell’euro, l’unico modo per continuare a garantire questo assetto era quello di
far sì che i Paesi del Sud potessero aumentare la spesa e avere una fetta dei
trasferimenti fiscali di Germania e Olanda per comprare i prodotti dei due
Paesi.
È un meccanismo non
molto dissimile da quello che c’è tra Nord e Sud in Italia. Attualmente il Sud
è il primo importatore dei prodotti del Nord – Italia e i trasferimenti fiscali
da Nord a Sud servono anche a tenere stabile gli acquisti da parte del Meridione
di ciò che viene prodotto nel Settentrione.
L’austerità ora ha
finito per strangolare la stessa Germania che aveva beneficiato di questo meccanismo
perché, ad oggi, i Paesi del Sud non sono più in grado di continuare a
importare i prodotti tedeschi.
Alla fine in questo
gioco non ci sono vincitori, se non effimeri e temporanei, e questo spiega
perché oggi quella che fino al 2014 era la locomotiva d’Europa sia diventata
invece la sua zavorra e stia andando incontro ad una violenta
deindustrializzazione.
I tedeschi, che già
prima non volevano i trasferimenti fiscali e il debito pubblico europeo nei
tempi d’oro, figuriamoci ora in tempi di vacche magre e di profonda crisi
economica.
L’inevitabile
fallimento dell’Unione europea
La risposta al piano
di Draghi è stata un prevedibile “nein” e quindi il discorso sul passaggio
successivo dell’Unione europea agli Stati Uniti d’Europa è esattamente fermo al
punto di 10 anni fa.
Non è mai iniziato
perché non c’era e non c’è la volontà da parte di alcuni attori di rivedere le
regole di Maastricht e di compiere il passaggio successivo verso gli Stati
Uniti d’Europa.
Gli Stati Uniti
d’Europa non sono una necessità politica e geopolitica, si badi bene.
Sono l’espressione
di un personaggio che è il vero padre di questa falsa Europa liberale, ovvero
il famigerato conte Kalergi.
Kalergi aveva già
concepito negli anni’20 del secolo scorso una Europa artificiale che
sostituisse la vecchia Europa e uccidesse la sovranità degli Stati nazionali
che avrebbero dovuto lasciare il posto ad una entità unica “europea” che
avrebbe rappresentato uno dei perni delle futura governance globale che i suoi
finanziatori, quali i sempre presenti Rothschild e Warburg, desideravano.
Il conte fu non solo
il padre dell’UE ma anche dell’euro, tanto che negli anni’40 già si rivolse
all’economista,” Ludwig von Mises”, austriaco di origini ebraiche e tra i più
noti sostenitori del moderno libertarismo, per avere lumi sui fondamentali
necessari per la creazione di una moneta unica europea.
Quello di Draghi era
un proposito difficile già 10 anni fa per l’opposizione germanica, e lo è
ancora di più 10 anni dopo perché ora il contesto geopolitico è del tutto
mutato.
A Washington non ci
sono più le presidenze garanti dell’Euro-Atlantismo.
Non ci sono più quei
poteri che per decenni hanno fatto affluire nelle casse europee i fondi
necessari per costruire l’Unione europea e creare così gli Stati Uniti d’Europa
e arrivare così alla governance mondiale voluta da questi signori.
La presidenza Trump
ha interrotto il continuum precedente, e quella presunta di Joe Biden non ha
risanato la frattura precedente.
Draghi sembra fare
il suo discorso da una dimensione parallela. Parla di fatto di Stati Uniti
d’Europa quando l’Unione europea non è mai stata così vicino alla sua
estinzione.
Non è più il tempo
dei “grandi” agglomerati globali questo, ma quello invece del ritorno degli
Stati nazionali che saranno i veri protagonisti del futuro da qui a molti anni
a venire.
Gli Stati Uniti
d’Europa restano una folle chimera che soltanto i più suoi accaniti e decrepiti
sostenitori quali Emma Bonino, Verhofstadt, Sandro Gozi e altri improbabili personaggi
possono inseguire.
Si sta smontando non
solo tutta l’impalcatura europea e atlantica che aveva costituito il cosiddetto”
ordine liberale internazionale “nato nel dopoguerra, ma anche il piano
superiore della finanza che ne aveva consentito il successo, considerata la
crisi che diversi importanti istituti bancari americani ed europei hanno
attraversato e stanno attraversando, senza dimenticare il debito monstre di
derivati che ha in pancia Deutsche Bank.
Si è giunti al tempo
della de-globalizzazione.
Si è giunti alla
fine di un viaggio iniziato molti decenni prima, e che ha visto consumarsi
tutta una serie di tradimenti dei governanti italiani ed europei contro la
propria nazione.
In Italia, i loro
nomi sono sin troppo conosciuti.
Sono i Ciampi, gli
Amato, i Napolitano, i Draghi che a bordo del Britannia svendevano i gioielli
dell’industria pubblica italiana a quella finanza ebraica inglese e americana
che poi li ricompenserà lautamente con prebende e incarichi di vario tipo.
Ciampi 92-Draghi 21:
tedeschi alle prese con un tecnico europeista a Roma, ma oggi non basta una
"lettera Emminger".
Draghi e Ciampi, i
rappresentanti dell’eurocrazia in Italia.
Adesso però si è
alla fine di un ciclo e a questo deve aggiungersi che il ritorno ufficiale di
Trump è sempre più vicino, uno shock che Bruxelles non potrà probabilmente
sopportare anche perché si parla di una prossima uscita dalla NATO degli Stati
Uniti.
Sono troppi gli
eventi quindi che fanno pensare che la storia dell’UE sia giunta alla fine.
Draghi ha detto che
se non si faranno le riforme da lui proposte che altro non sono che la
realizzazione degli Stati Uniti d’Europa, allora l’Unione europea, sarà
destinata a morire.
E dovrà essere
effettivamente così.
Non è più il tempo
di morire per Maastricht, come disse un personaggio al soldo di questo sistema.
È il tempo che
Maastricht muoia per far posto al ritorno delle patrie e delle sovranità
nazionali dei Paesi europei.
Porre fine al
sabotaggio di
Biden per il cessate
il fuoco.
Unz.com - Mike
Whitney – (11 settembre 2024) – ci dice:
I diritti di voto di
Washington nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU sono a rischio? “… una parte di una
controversia si astiene dal voto."
Il principale
ostacolo a cessare il fuoco a Gaza non è Israele o Hamas.
Sono gli Stati Uniti.
Ecco cosa c'è da
sapere:
il Consiglio di
sicurezza ha approvato l'accordo di cessate il fuoco firmato da Biden il 10
giugno 2024.
(Tre mesi fa) I
diplomatici statunitensi hanno assicurato agli altri membri del Consiglio di
Sicurezza che Israele sostiene l 'accordo.
Questa affermazione
si è rivelata falsa.
Israele non appoggia
l'accordo e si rifiuta di attuare le sue disposizioni. Ciononostante, il
cosiddetto Piano Biden è passato al Consiglio sotto forma di Risoluzione 2735.
Ecco un riassunto
dell'accordo:
Con la risoluzione
2735 ...
L'organo, composto
da 15 membri, ha osservato che l'attuazione di questa proposta consentirebbe di
distribuire i seguenti risultati in tre fasi, la prima delle quali includerebbe
una cessate il fuoco immediato, completo e completo con il rilascio degli ostaggi;
la restituzione dei
resti di alcuni ostaggi che sono stati uccisi;
lo scambio di
prigionieri palestinesi;
il ritiro delle
forze israeliane dalle aree popolate di Gaza ;
il ritorno dei civili palestinesi alle loro
case;
e la distribuzione
sicura ed efficace dell'assistenza umanitaria su larga scala in tutta Gaza.
Adozione della
risoluzione 2735, Nazioni Unite.
Non c'è ambiguità
qui, le richieste del Consiglio sono chiare.
Entrambe le parti in
conflitto sono tenute ad attuare le disposizioni della risoluzione che sono
"vincolanti" ai sensi del diritto internazionale.
Hamas ha accettato
di rispettare la risoluzione 2735, mentre Israele ha rifiutato.
In breve, gli Stati Uniti e Hamas sono dalla
stessa parte della questione del cessate il fuoco.
Al fine di
confondere l'opinione pubblica sul rifiuto di Israele, l'amministrazione Biden
ha continuato a supervisionare i negoziati al Cairo ea Doha (con Israele,
Egitto, Qatar e Stati Uniti) per creare l'impressione che i negoziati siano in
corso. Ma non sono in corso.
Questa è una farsa
che viene usata per nascondere il rifiuto di Israele del cessate il fuoco
sostenuto dall'ONU.
Gli Stati Uniti sono
complici di questo inganno.
Attualmente,
l'opinione pubblica è convinta che se Israele e Hamas riuscissero a trovare un
compromesso sul corridoio di Filadelfi, allora un accordo sarebbe possibile.
Ma anche questo è
fuorviante perché la risoluzione sul cessate il fuoco è già stata ampiamente
discussa e approvata dal Consiglio.
Inoltre, il
corridoio di Filadelfi non appare da nessuna parte nel testo della risoluzione
2735, il che lo rende un punto controverso.
L'inviato della
Russia al Consiglio di Sicurezza dell'ONU lo ha riassunto così la scorsa
settimana:
la leadership
israeliana, purtroppo, continua a considerare i negoziati solo come una
"cortina fumogena", che contribuisce a distrarre l'attenzione della
comunità internazionale dalla soluzione militare israeliana alla questione
palestinese.
Ciò è dimostrato non solo dalle azioni di
Gerusalemme Ovest sul terreno, ma anche dalle recenti osservazioni del primo
ministro Netanyahu, che ha dichiarato che non avrebbe fermato l'azione militare
nella Striscia.
Non vediamo ancora alcuna indicazione che il
gabinetto militare israeliano abbia intenzione di cambiare questa politica.
Missione permanente
della Federazione Russa presso le Nazioni Unite.
Questo è un
resoconto accurato di ciò che sta accadendo attualmente.
Gli Stati Uniti
stanno aiutando Israele a gettare fumo negli occhi dell'opinione pubblica per
sfuggire alla responsabilità per la furia in corso e per far sembrare che
abbiano un genuino interesse a risolvere la disputa che dura da 10 mesi.
Ma non c'è alcun interesse a risolvere la
controversia, infatti, Netanyahu ha dichiarato più volte che Israele non
fermerà le ostilità e non ritirerà le truppe israeliane da Gaza.
Non c'è nessuna zona
grigia qui.
Si tratta di un netto rifiuto di rispettare il
mandato dell'ONU.
Naturalmente, i
membri del “Consiglio di sicurezza” hanno risposto a questi sviluppi con
frustrazione e rabbia.
Ora possono vedere
che sono stati tratti in inganno dall'amministrazione Biden che sperava di fare
pressione su Israele spingendo il loro accordo attraverso l'UNSC.
Ora che il piano è
saltato in faccia a loro, gli Stati Uniti sono tornati ai loro vecchi trucchi
di fornire copertura a Israele indipendentemente dall'offesa.
Ecco di più
dall'inviato russo “Dmitri Polyanskiy”:
Colleghi, per quanto
tempo ancora resteremo inattivi, mentre i potenziali mediatori americani
continuano a fare spettacolo e a propinarci vuote promesse che i loro sforzi
diplomatici "sul campo" porteranno risultati rapidi?
La realtà è che da 10 mesi Washington tiene
sostanzialmente in ostaggio l'intero Consiglio, minacciando di usare il suo
veto e impedendoci di prendere decisioni dure e inequivocabili sulla questione
palestinese e sul cessate il fuoco a Gaza, o sul progresso del processo di pace
in Medio Oriente nel suo complesso...
Se la risoluzione
2735 non viene attuata, approviamo un nuovo documento, che invierebbe un
messaggio inequivocabile agli "spoiler" che sicuramente sosterranno
le conseguenze di ciò che stanno facendo.
E forniamo alla
nostra risoluzione una cassetta degli attrezzi che contribuisca a fermare la
violenza, indipendentemente dai capricci di qualsiasi parte in conflitto.
È anche di
fondamentale importanza che Washington cessi finalmente la sua assistenza
militare multimiliardaria a Israele, che viene utilizzata per annientare i
civili palestinesi.
Quante altre vittime
sono necessarie perché il Consiglio agisca in linea con il suo mandato e smetta
di seguire ciecamente l'esempio degli Stati Uniti e di Israele?
Missione permanente
della Federazione Russa presso le Nazioni Unite.
Dimitri Polyanskiy”
si rivolge al Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Quindi, si può
vedere che la temperatura sta salendo al Consiglio di Sicurezza e che molti dei
membri sono alla fine dell'ingegno con le buffonate di Washington. Polyanskiy
ha parlato a nome di molti dei membri quando ha concluso la sua dichiarazione
con questo rimprovero feroce:
Tutti in quest'Aula
sono perfettamente consapevoli del fatto che sono gli Stati Uniti ad avere la
responsabilità principale di ciò che sta accadendo ora a Gaza.
Questo riassume
perfettamente il tutto.
Vale la pena notare
che i diplomatici statunitensi che hanno partecipato ai recenti negoziati al
Cairo e a Doha non hanno nemmeno tenuto aggiornati i membri del Consiglio di
Sicurezza sui dettagli di tali incontri.
Si tratta di un'operazione canaglia guidata da
funzionari americani che non hanno l'autorità di modificare l'accordo di
cessare il fuoco esistente e che (incredibilmente) stanno conducendo questi
raduni senza rappresentanti di Hamas.
L'intera faccenda è
una cinica frode che ha una sorprendente somiglianza con la conferenza di pace
di Zelensky in Svizzera che ha esclusa la Russia.
Una falsa conferenza di pace ne genera
un'altra.
Di nuovo “Dmitri
Polyanskiy”:
mentre inizialmente avevamo discusso del
ritiro completo delle truppe israeliane dall'enclave, Israele ora insiste nel
mantenere la sua presenza nei corridoi di Philadelphia e Netzarim.
Il Consiglio di
sicurezza ha dato il suo consenso a parametri completamente diversi degli
accordi, il che significa che queste richieste sono una violazione diretta
delle disposizioni della suddetta risoluzione del Consiglio di sicurezza.
I mediatori americani, sfortunatamente, stanno
apertamente giocando con il loro alleato nella sua costante violazione delle
risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
Ecco come
l'amministrazione Biden sta aiutando Israele a eludere i suoi obblighi ai sensi
dell'attuale cessate il fuoco sostenuto dall'”UNSC”.
Blinken sta tenendo
una masterclass di inganno.
(Per quanto riguarda
la questione più ampia) Il bagno di sangue durato 10 mesi da parte di Israele a
Gaza ha portato molte persone a chiedersi perché il mondo abbia bisogno di un
Consiglio di sicurezza se non riesce a garantire la sicurezza delle persone che
ne hanno più bisogno?
È una domanda
legittima, che mette in discussione la credibilità di un'istituzione che aspira
a essere "il garante della sicurezza globale", ma che è incapace di
agire anche quando un genocidio si sta consumando proprio sotto il suo naso.
Naturalmente, la
fonte del problema non è difficile da identificare.
È lo stesso membro
permanente che ha ripetutamente posto il veto alle proposte di cessate il fuoco
una dopo l'altra fino a quando non ha fatto passare la sua versione ibrida che
non aveva alcuna possibilità di essere implementata.
Stiamo parlando
degli Stati Uniti d'ostruzione, l'unico membro del Consiglio che agisce
esclusivamente nell'interesse del suo alleato genocida a Tel Aviv.
Gli altri membri del Consiglio si trovano di
fronte al compito arduo di rimuovere del tutto gli Stati Uniti dal Consiglio di
sicurezza (in modo da poter far rispettare la loro risoluzione di cessate il
fuoco tramite sanzioni, peacekeeper o altre misure punitive) o di trovare un
modo per costringere gli Stati Uniti ad astenersi dal voto su questioni
relative all'attuale conflitto.
Ma è possibile una
di queste due cose?
Sì, lo sono, ma non
saranno raggiunti facilmente. Ciononostante, il Consiglio non può semplicemente
ignorare il suo ruolo speciale nelle relazioni internazionali perché un membro
abusa costantemente del sistema impedendo all'ONU di svolgere il suo lavoro di
preservare la pace e la sicurezza in tutto il mondo.
Le regole per
l'espulsione di un membro del Consiglio di Sicurezza lo rendono quasi
impossibile.
Quindi, mentre il
capitolo 18 della Carta delle Nazioni Unite dice che un membro può essere
rimosso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite se due terzi
dell'Assemblea Generale votano contro quel membro;
il Consiglio di Sicurezza può impedire che la
questione raggiunga mai l'Assemblea Generale.
È un problema 22.
Articolo 108.
Gli emendamenti alla
presente Carta entreranno in vigore per tutti i Membri delle Nazioni Unite
quando saranno stati adottati con un voto dei due terzi dei membri
dell'Assemblea generale e ratificati in conformità con le rispettive procedure
costituzionali dai due terzi dei Membri delle Nazioni Unite, compresi tutti i
membri permanenti del Consiglio di sicurezza.
Carta delle Nazioni
Unite, Capitolo XVIII: Emendamenti.
Gli esperti di
diritto hanno anche sostenuto che l'articolo 6 della Carta delle Nazioni Unite
potrebbe essere interpretato in modo da consentire la rimozione di un membro,
ma finora non è stato utilizzato con successo in tal senso.
Articolo 6 — Un
Membro delle Nazioni Unite che abbia persistentemente violato i principi
contenuti nel presente Statuto può essere espulso dall'Organizzazione
dall'Assemblea generale su raccomandazione del Consiglio di sicurezza.
L'unico membro
dell'ONU ad essere rimosso con successo è stata Taiwan nel 1971, che "fu
formalmente espulsa dalle Nazioni Unite con un voto dell'Assemblea generale e
sostituita dalla Repubblica Popolare Cinese (RPC), che aveva preso il potere a
Pechino alla fine della guerra civile del paese nel 1949.
Il governo della “ROC
“era fuggito sull'isola di Taiwan con milioni di rifugiati quando i comunisti
presero il potere, ma continuò a detenere il seggio della "Cina"
all'ONU ed era un membro permanente del Consiglio di sicurezza con potere di
veto.
Nonostante fossero in esilio, i funzionari di
Taipei avevano il sostegno degli Stati Uniti grazie ai timori in Occidente che
il comunismo potesse diffondersi in Asia...
Dopo anni di
tentativi per volere dell'alleata cinese Albania, la risoluzione finalmente
approvata.
La rimozione di
Taiwan non è affatto paragonabile alla situazione attuale degli Stati Uniti.
Inoltre,
l'espulsione potrebbe non essere nemmeno lo strumento preferito per affrontare
il problema degli Stati Uniti.
Se l'obiettivo è
semplicemente quello di consentire al Consiglio la flessibilità di cui ha
bisogno per svolgere i compiti per cui è stato creato, allora l'attenzione
dovrebbe essere rivolta ai modi per prevenire l'ostruzionismo degli Stati
Uniti.
È l'ostruzionismo
degli Stati Uniti che impedisce al Consiglio di sicurezza di fare il suo
lavoro, di far rispettare le sue risoluzioni, di porre fine a questa guerra
insensata e di rendere giustizia al popolo palestinese.
Se ciò può essere
ottenuto mantenendo il posto di Washington nel Consiglio, allora sarebbe un
risultato auspicabile.
Ma è possibile?
Lo è, secondo il
membro del consiglio di amministrazione dell'Associazione delle Nazioni
Unite-Sezione di San Francisco, “Dan Becker”.
Ecco cosa dice:
Nella Carta delle
Nazioni Unite, la frase stessa che stabilisce il potere di veto permanente del
Consiglio di sicurezza termina — sorprendentemente — con queste nove parole:
"... una parte in una controversia deve astenersi dal voto".
Lasciamo che la
frase sedimenti per un momento prima di riconoscere che in effetti c'è una
serie di condizioni, requisiti, prove al tornasole e ostacoli da superare prima
che la frase possa essere invocata e applicata a una risoluzione.
Ma allo stesso
tempo, è anche cruciale e un po' notevole ricordare che i cinque membri
permanenti (P5) del Consiglio di sicurezza — Gran Bretagna, Cina, Francia,
Russia e Stati Uniti — non sono esenti.
Devono anche loro
astenersi.
Quindi, eccolo,
questo meccanismo poco noto nascosto in bella vista nell'articolo 27 (3)…
Una cronologia
abbreviata, secondo il Rapporto del Consiglio di sicurezza, una pubblicazione
indipendente, spiega i requisiti necessari per invocare questa clausola:
"Le astensioni
ai sensi dell'articolo 27 (3) sono obbligatorie solo se si applicano tutte le
seguenti condizioni:
la decisione rientra
nel Capitolo VI o nell'articolo 52 (3) del Capitolo VIII;
la questione è
considerata una controversia;
un membro del Consiglio è considerato parte
della controversia;
e la decisione non è
di natura procedurale".
...
In secondo luogo,
l'affermazione che gli Stati Uniti sono una "parte della controversia"
a Gaza.
Ciò viene solitamente invocato a causa della
grande massa di armi fornite a Israele da Washington...
La questione è
ampiamente dibattuta.
Ma alcuni dei
numerosi studi riguardanti questo argomento sono piuttosto esaustivi e
mantengono l'affermazione abbastanza ragionevole...
Non è un esercizio
accademico.
Qualsiasi capacità
di costringere un membro della P5 ad astenersi dovrebbe essere esaminata
attentamente.
Tutti gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti
in questo momento, e la suspense è palpabile. ...
Il principio alla
base di questo meccanismo è chiaro a qualsiasi bambino in età scolare.
Fa appello al nostro buon senso ultimo.
Non è che la
clausola non sia stata utilizzata in passato, il più delle volte nei primi anni
dell'ONU.
Un ulteriore esame
del documento del” Rapporto del Consiglio di sicurezza” di cui sopra mostra
chiaramente che 12 volte il mandato è stato invocato con successo e 14 volte è
stato sollevato o preso in considerazione ma non è riuscito.
Tuttavia, un tempo era vivo e vegeto...
Il potere di scavare
in questa questione ha il potenziale per raccogliere grandi ricompense ora e in
futuro.
Potrebbe cambiare il
calcolo nel Consiglio. ...Quindi spolveriamo questa frase nell'articolo 27(3)
: "... una
parte in una controversia si asterrà dal voto", studiamo attentamente i
suoi limiti e restrizioni, e poi facciamo rumore prima piuttosto che dopo.
Gaza e il potere di
veto dell' ONU, “Dan Becker”, “Consortium News”
Riconosciamo che
nessun "cavaliere in armatura splendente" irromperà a Gaza e salverà
i palestinesi dalla furia sadica di Israele.
Ciò non accadrà.
L'unico modo in cui questo conflitto può
essere portato a termine è se la comunità internazionale persegue
aggressivamente una strategia in cui Washington viene messa da parte mentre
Israele viene isolato, sanzionato e gradualmente costretto a conformarsi.
La risoluzione 2735
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è già stata approvata.
Ora deve essere
applicata.
Ecco come appare la straordinaria
testimonianza dell'attivista per i diritti umani “Yuli Novak” al Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite:
"Da quando
Israele è stato fondato, la sua logica guida è stata quella di promuovere la
supremazia ebraica su tutto il territorio sotto il suo controllo.
“Yuli Novak”,
direttore esecutivo di “B'Tselem”.
È un onore
rivolgermi oggi al Consiglio di Sicurezza .... sullo stato dei diritti umani in
Israele-Palestina.
Durante questa
settimana, centinaia di migliaia di israeliani sono scese in piazza.
Si sentono arrabbiati, disperati e traditi dal
loro governo.
Hanno capito, forse
per la prima volta, che il governo israeliano non vuole ripristinare gli
ostaggi in un accordo, ma continuare la guerra a tempo indeterminato.
Per comprendere la
condotta criminale del governo israeliano negli ultimi 11 mesi, bisogna
comprendere l'obiettivo generale di questo regime.
Sin dalla fondazione
di Israele, la sua logica guida è stata quella di promuovere la supremazia
ebraica sull'intero territorio sotto il suo controllo.
Le attuali linee guida del governo affermano:
Il popolo ebraico ha
un diritto esclusivo e indiscutibile su tutte le parti della terra di Israele.
Nell'attacco
criminale guidato da Hamas del 7 ottobre, 1.200 israeliani sono stati uccisi e
250 sono stati presi in ostaggio.
Da quel giorno tutti
gli israeliani vivono nella paura.
Il nostro governo sta cinicamente sfruttando
il nostro trauma collettivo per promuovere violentemente il suo progetto di
consolidare il controllo israeliano sull'intera terra.
Per farlo, sta dichiarando guerra all'intero
popolo palestinese, commettendo crimini di guerra quasi ogni giorno".
A Gaza, questo ha
assunto la forma di espulsione, carestia, uccisioni e distruzione su una scala
senza precedenti.
Questo va oltre la
vendetta.
Israele sta usando
l'opportunità per promuovere un programma ideologico che rende Gaza
inabitabile, come questo consiglio ha ripetutamente scoperto, una vasta parte
delle case e delle infrastrutture di Gaza è stata completamente distrutta
cacciando i palestinesi da intere aree e sfollando milioni di persone. Israele
sta gettando le basi per un controllo a lungo termine di Gaza.
Ciò potrebbe portare
al ripristino degli insediamenti israeliani lì.
In Cisgiordania e a
Gerusalemme Est, il governo sta sfruttando la situazione per apportare
cambiamenti irreversibili.
Da ottobre, Israele ha ucciso 640 palestinesi,
tra cui almeno 140 minori.
I coloni attaccano i palestinesi e compiono
pogrom in pieno giorno con il sostegno del governo. …
Di recente
l'esercito ha lanciato un'enorme operazione volta a danneggiare le
infrastrutture che servivano centinaia di migliaia di palestinesi in
Cisgiordania.
La comunità internazionale non ha fermato la
politica israeliana di danni massicci ai civili a Gaza.
Ora questa politica
crudele si sta riversando in Cisgiordania.
La guerra contro i
palestinesi sta avvenendo anche nelle prigioni.
Da ottobre, Israele
ha arrestato migliaia di palestinesi e li ha tenuti in condizioni disumane.
Il mese scorso abbiamo pubblicato un rapporto
chiamato "Benvenuti all'inferno" che mostra lo scioccante schema di
abusi che equivale a tortura.
Il governo di
Israele ha usato la guerra per trasformare le prigioni israeliane in una rete
di campi di tortura per i palestinesi.
Questa violenza è possibile perché Israele ha
goduto dell'impunità per decenni.
Finché questa
impunità continuerà, le uccisioni e la distruzione continueranno e si
espanderanno. e la paura continuerà a governare la terra.
Cosa è successo
all'Europa.
Unz.com - Paul Craig Roberts – (10 settembre
2024) – ci dice:
Un amico europeo mi
ha inviato questo articolo che fornisce una certa comprensione della situazione
politica attuale in Francia.
I media americani
producono quasi zero informazioni sulla situazione politica nei paesi europei.
Ciò che gli
americani sentono dell'Europa è generalmente limitato a qualsiasi sia la
narrazione attuale dell'UE.
L'Unione Europea è
un enigma.
Dopo aver sofferto
per l'assurdità dell'UE, gli inglesi hanno avuto abbastanza buonsenso da
uscirne, ma gli esperti britannici continuano a considerare la Brexit un
errore.
Cosa spiega
l'incrollabile indottrinamento degli esperti adoratori della Brexit?
In effetti, cosa
spiega la stupidità dei governi europei nell'aggiungere un altro livello di
tassazione e nel sacrificare la propria autorità e sovranità a una
"commissione" che nessuno elegge?
Ho sempre visto
l'Unione Europea come il passaggio dell'Europa dalla democrazia e dal governo
responsabile alla tirannia.
L'Unione Europea è la resurrezione del nazismo
in Europa.
Niente di meno.
È il governo degli irresponsabili ed è stato
concepito in questo modo.
Non riesco a
identificare un singolo guadagno per nessun paese dall'appartenenza all'UE.
Tutto ciò che
l'appartenenza all'UE ha portato a Grecia e Portogallo è stato il saccheggio
dei loro settori pubblici da parte delle banche del Nord Europa.
Senza una propria
valuta con cui finanziare il loro debito, Grecia e Portogallo sono stati facili
prede.
Anche la Germania,
che aveva il potente marco tedesco, perse la sua moneta e il controllo sulla
politica monetaria del paese.
Senza una propria
moneta, anche la Francia non è più un paese sovrano.
Il destino dei paesi
europei è soggetto a un sistema di banche centrali che non controllano.
Si ha l'impressione
che il beneficiario dell'UE sia Washington, che ha bisogno di controllare solo
un'entità invece di ciascuna delle due dozzine circa di paesi europei.
È anche utile a Washington che l'UE venga
gradualmente fusa nella NATO.
Forse la fiducia
degli europei è stata distrutta dalla prima e dalla seconda guerra mondiale.
Gli europei si
rendono conto che ogni paese europeo ha perso e che il vincitore è Washington
e, per un po', l'Unione Sovietica.
La Gran Bretagna è
stata completamente distrutta dalle guerre, perdendo il suo impero, il ruolo di
valuta di riserva e il controllo sul commercio internazionale.
La Germania ha perso un'esistenza tedesca con
il suo sistema educativo trasformato dagli americani in un indottrinamento
anti-tedesco.
I leader politici
europei sono di così scarsa importanza che gli americani non riconoscono
nemmeno i loro nomi.
Gli unici nomi
riconosciuti negli USA sono quelli del segretario generale della NATO e del
commissario dell'UE, entrambi nominati da Washington, e nemmeno questi nomi
sono ampiamente noti.
Più ci penso, più mi
convinco che l'unica spiegazione per l'UE sia la perdita di fiducia da parte
dell'Europa.
Oggi l'Europa non è
altro che un museo di ciò che resta dopo due guerre devastanti dell'arte e
dell'architettura della civiltà occidentale.
Oggi questi resti
sono minacciati dalla complicità dell'Europa nell'aggressiva ostilità di
Washington verso la Russia.
Non solo il sole è
tramontato sull'Impero britannico, il sole sta tramontando sulla Gran Bretagna
stessa e sul mondo occidentale.
Il potere che un tempo avevano i paesi europei
è scomparso per sempre. Washington sta marciando con i suoi burattini verso
l'Armageddon nucleare.
La scommessa di
Macron:
la Francia riuscirà
a trovare stabilità con un primo ministro centrista?
Il testo fa luce
sulla complessa situazione politica della Francia, segnata dalla nomina di
“Michel Barnier” a primo ministro e dalle sfide poste dalla divisione del
parlamento e dalla crescente sfiducia della popolazione nei confronti
dell'élite politica.
Di “Pierre Levy”.
La Francia dovrebbe
essere governata dalla destra della sinistra, dalla sinistra della destra o dal
centro del centro?
Per settimane,
politici e analisti di spicco sono alle prese con questa domanda vertiginosa,
implorando il presidente sempre più impaziente di prendere una decisione il
prima possibile.
Il 5 settembre
nominò finalmente “Michel Barnier” per formare e guidare il prossimo governo.
Barnier proviene dal
partito “Les Républicains” (LR, destra classica).
Il curriculum del nuovo Primo Ministro suona
quasi come un programma.
“Barnier “è stato,
tra l'altro, ministro francese per gli Affari europei (1995-1997), commissario
europeo per la politica regionale (1999-2004), ministro degli Affari esteri
(con delega agli affari europei, 2004-2005) e di nuovo commissario europeo (e
vicepresidente della Commissione) per il mercato interno (2010-2014).
Infine, ha servito di nuovo Bruxelles,
guidando i negoziati della Commissione europea con Londra dal 2016 (un'esperienza che ha descritto in un libro – letto da
nessuno – in cui esprimeva tutto ciò che di negativo pensava sulla Brexit).
Mentre i politici e
i media erano in fermento per l'eccitazione prima di questo annuncio, la
maggior parte della gente comune non lo era.
Alle macchinette del
caffè nelle fabbriche e negli uffici, le conversazioni dei colleghi tendono a
ruotare attorno al costo dell'inizio della scuola, alla approvazione del potere
d'acquisto, al numero di anni prima della pensione o al deterioramento dei
servizi pubblici – quest' immobiliare, in particolare nel settore ospedaliero.
Il tira e molla che
circondava la scelta del nuovo ospite per Matignon (sede del capo del governo)
non ha affascinato le masse.
Soprattutto perché il secondo mandato
quinquennale di “Emmanuel Macron”, iniziato due anni fa, ha rivelato una crisi
di rappresentanza politica.
Il sovrano
dell'Eliseo, rieletto nel maggio 2022 contro “Marine Le Pen”, aveva pochi dubbi
sulla sua capacità di ottenere la conferma della maggioranza parlamentare
assoluta a suo favore un mese dopo.
Ciò non è accaduto:
nel giugno 2022, ha
ricevuto solo una maggioranza relativa di parlamentari.
Sono seguiti due
anni difficili, durante i quali la maggior parte delle proposte di legge poteva
essere approvata solo attraverso infinite chiacchiere e compromessi, o
attraverso una disposizione costituzionale che consente di approvare una
proposta di legge senza votazione (a meno che la maggioranza dei parlamentari non accetti una mozione di
sfiducia).
Questa procedura
brutale è stata utilizzata per approvare i bilanci (sebbene questo sia l'atto più importante di un
parlamento) e per far
passare l'impopolare riforma delle pensioni, tra le altre cose.
Due aree che sono
attentamente monitorate dalla “Commissione europea”.
Secondo i
commentatori, questa situazione scomoda significava che prima o poi l'Assemblea
nazionale avrebbe dovuto essere sciolta.
Il Presidente ha
infine deciso di accelerare questa scadenza annunciando la sua decisione l'8
giugno, la sera delle elezioni europee.
Queste erano andate come uno tsunami in
Francia a favore del “Rassemblement National” (RN, spesso classificato come di estrema destra, cosa
che Marine Le Pen nega).
Il calcolo del
presidente era semplice:
descrivendo un RN
pericolosamente vicino al potere ed evocando così lo spettro delle "ore
buie della nostra storia", Emmanuel Macron sperava di beneficiare di un
riflesso "repubblicano" e di trovare così una maggioranza di
parlamentari che sostenessero il suo lavoro.
È andata
diversamente.
Il primo turno di
votazioni del 30 giugno è stato caratterizzato da un ulteriore rafforzamento
del RN: quest'ultimo ha ricevuto 10,6 milioni di voti, tre milioni in più
rispetto alle elezioni europee.
Al secondo turno, tuttavia, le dimissioni
reciproche di sinistra, centro e destra hanno impedito al RN di ottenere la
maggioranza dei parlamentari (sebbene
abbia il gruppo più forte in parlamento).
Tuttavia, questa
tattica ha avuto il suo prezzo:
un parlamento più
frammentato che mai e con maggioranze potenziali ancora inferiori al precedente
si è trasferito al Palais Bourbon (dove si riunisce la Camera dei Deputati).
Da qui i mal di
testa e i ritardi che hanno preceduto la nomina di” Michel Barnier”.
Quest'ultimo,
sebbene osi fare riferimento a una lontana eredità gollista, è considerato un
centrista, il che si adatta al profilo della persona che si cerca da due mesi.
Con questo paradosso democratico:
più gli elettori si esprimono a favore degli
"estremisti", più spesso vengono fatte dichiarazioni che proclamano
la necessità di "governare la Francia al centro".
Tuttavia, il termine
"estremi" dovrebbe essere messo tra virgolette.
È usato dai media
mainstream per riferirsi alla “RN” da un lato e a “La France Insoumise” (LFI)
dall'altro.
Quest'ultimo
partito, il cui ispiratore rimane l'ex ministro socialista Jean-Luc Mélenchon
(che prevede di ricandidarsi alle prossime elezioni presidenziali), è il più
grande movimento dei quattro partiti di sinistra che hanno unito le forze nella
coalizione formata a giugno chiamata Nuovo Fronte Popolare.
Il RN e il LFI sono
ovviamente contrari in molti ambiti.
Tuttavia, hanno una cosa in comune:
entrambi (più
precisamente, i partiti da cui sono emersi, rispettivamente il Front National e
il Left Party) avevano vagamente flirtato con il piano di lasciare la Francia
fuori dall'UE, il che avrebbe potuto rappresentare un interessante radicalismo;
tuttavia, entrambi hanno poi voltato le spalle a questo.
Gli amici di
Jean-Luc Mélenchon lo hanno fatto diversi anni fa, quelli di Marine Le Pen solo
di recente.
Entrambi ora sostengono "rimodellare
l'Europa dall'interno" - una prospettiva illusoria e fuorviante, come
hanno dimostrato tutti i tentativi precedenti.
Ora, i rapporti con
l'UE saranno sempre un problema fondamentale per il prossimo governo:
la Francia riuscirà
a liberarsi dalle decisioni prese dai 27 Stati membri, oppure continuerà a
muoversi in un quadro insormontabile di vincoli politici, economici, sociali e
internazionali, indipendentemente dalle future decisioni dell'elettorato?
In questo senso, la
nomina dell'ex commissario europeo “Michel Barnier” è una conferma e un
simbolo.
E non è un buon
esempio per il futuro.
Di recente, il
quotidiano Le Monde (31.08.2024) ha pubblicato uno studio completo che
evidenzia l'aumento generale della sfiducia e del discredito subiti dalla
classe politica e dalle istituzioni.
Casualmente, lo
stesso giorno, un accademico britannico è stato citato in un rapporto dello
stesso quotidiano sulle recenti rivolte nel Regno Unito:
"Rabbia,
ostilità e cinismo sono diventati parte della cultura della sottoclasse.
Un gran numero di persone si sente
profondamente ignorato.
I partiti politici al potere si rifiutano di
affrontare le ragioni di questa rabbia e frustrazione.
Mentre così tante
persone chiedono un cambiamento, loro offrono loro solo continuità".
Una diagnosi che
potrebbe facilmente attraversare il Canale della Manica.
Democrazia e
identità.
Unz.com - Mark Weber
– (16 luglio 2024) – ci dice:
Viviamo in un'epoca
di paralisi politica, disordine sociale e caos culturale sempre più evidenti.
Negli ultimi anni, i
sondaggi di opinione pubblica mostrano che la fiducia degli americani nel
Congresso degli Stati Uniti, nei mass media e in altre importanti istituzioni
socio-politiche è scesa a livelli storicamente bassi.
I sondaggi mostrano
anche che la maggior parte degli americani ritiene che il loro paese stia
andando nella direzione sbagliata e che la vita per i loro figli e nipoti sarà
meno sicura e prospera di quanto non lo sia stata per loro.
Gli americani, e in
particolare i cittadini più giovani, sono comprensibilmente cinici riguardo
agli slogan e alle promesse di entrambi i principali partiti politici.
Da decenni ormai,
milioni di americani bianchi si spostano da un quartiere all'altro, da una
città all'altra e da uno stato all'altro, rifugiati nel loro stesso paese, in
uno sforzo sempre più frenetico per sfuggire alla diffusione della "terzo
mondializzazione" del loro paese e per vivere nel tipo di società che i
nostri nonni e bisnonni potevano dare per scontata.
La vita culturale di
una nazione sana, compresi i suoi film e l'intrattenimento, riflette e rafforza
l'eredità, l'identità e gli interessi del suo popolo.
Ma nell'America di
oggi, il controllo dei mass media e della vita culturale è nelle grinfie di
persone la cui ideologia e agenda sono ostili agli interessi a lungo termine
del nostro popolo, alimentando così il continuo, inesorabile crollo della
nostra nazione.
È possibile ignorare
la realtà.
Non è possibile
ignorare per sempre le conseguenze dell'ignorare la realtà.
La crisi dell'America di oggi non è emersa
all'improvviso, ma ha radici in decisioni e politiche che risalgono a più di
mezzo secolo fa.
Il divario già enorme tra gli ideali e gli
obiettivi proclamati per decenni dai nostri leader e nei media mainstream, da
un lato, e la realtà sempre più ovvia che tutti possono vedere intorno a noi,
dall'altro, non potrà che ampliarsi nei mesi e negli anni a venire.
Proprio come gli
americani 100 o anche 50 anni fa avrebbero guardato l'America di oggi con
ripugnanza, così anche coloro che saranno qui tra 50 anni guarderanno indietro
all'America di oggi con un misto di sconcerto, pietà e disprezzo.
Una società malata
non può e non può durare.
Una nazione guidata
da falsi principi, speranze e nozioni irrealistiche sulla società e sulla
storia non può e non sopravviverà; non merita di sopravvivere.
Gli "Stati
Uniti d'America" potrebbero barcollare e inciampare per molti altri
anni, forse anche per qualche decennio, ma non sono più una nazione coerente e
determinata.
Quanto più
vigorosamente coloro che detengono il potere cercano di rendere questa una
società di ciò che chiamano "equità", tanto più devono
inevitabilmente abbassare gli standard di competenza, capacità e merito.
L'inevitabile
risultato:
le aziende americane
saranno meno competitive nei mercati globali, i servizi pubblici continueranno
a deteriorarsi, gli incidenti aerei e ferroviari diventeranno più frequenti e
le città americane diventeranno sempre più brutte, aliene e sgradevoli.
Coloro che sono al
potere risponderanno alle conseguenze dannose ma inevitabili delle loro
politiche attribuendone sempre più la colpa agli americani bianchi e al
“razzismo sistemico”.
In nome della lotta
all'“odio”, all'“estremismo”, al “razzismo” e all'“antisemitismo”, spingeranno
per nuove leggi e misure in uno sforzo in ultima analisi futile per sopprimere
opinioni e voci che non gli piacciono.
Sarà sempre più
difficile per gli americani bianchi essere indifferenti o non toccati da tutto
questo.
Si troveranno sempre
più incapaci di evitare un dilemma sgradevole.
Coloro che credono e
accettano il messaggio anti-bianco promosso nei media mainstream, nei film di
Hollywood e nelle aule scolastiche, si vergogneranno sempre di più della loro
eredità, della loro razza e di sé stessi.
Ma coloro che
rifiutano di accettare questo messaggio tossico rifiuteranno - all'inizio
interiormente e poi sempre più apertamente - l'intero Sistema e la sua
ideologia guida.
Mentre le condizioni
politiche, sociali e culturali continuano a peggiorare, l'attenzione
dell'Establishment sui presunti mali e pericoli del "razzismo bianco"
incoraggerà almeno una minoranza di americani bianchi a vedere il mondo e la
storia in termini razziali.
Ciò a sua volta
incoraggerà almeno alcuni americani bianchi a pensare a sé stessi non
semplicemente come individui, ma come uomini e donne di discendenza europea e
retaggio occidentale.
Un numero maggiore
di americani bianchi capirà e concorderà con ciò che alcuni di quelli qui
questo fine settimana dicono da anni.
Sentiamo spesso dire
che il grande problema dell'America odierna è che non è abbastanza
"democratica".
Molti repubblicani sostengono che le elezioni
presidenziali del 2020 sono state "rubate", il che, secondo loro,
dimostra che gli Stati Uniti non sono più realmente "democratici".
E molti democratici
affermano che il pericolo più grande per il futuro del paese deriva dai
sostenitori di “Trump MAGA” che minacciano quella che viene chiamata con
reverenza "la nostra democrazia".
Ma il problema qui
non è che gli USA non siano "democratici";
il punto chiave, soprattutto per gli americani
bianchi, è che questa non è più " la nostra democrazia".
La maggior parte
degli americani bianchi non comprende ancora appieno la realtà che questa
contea è diventata così multietnica e multirazziale che non può più essere
considerata in modo credibile come "il nostro" paese, democratico o
meno.
Come dimostra la
storia, profondi cambiamenti di atteggiamento e percezione pubblica possono
verificarsi rapidamente, quando la nuova prospettiva è in accordo con la realtà
già esistente. Ecco alcuni episodi istruttivi dell'Europa del ventesimo secolo:
Nel 1918 il “Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda” – UK – era una “democrazia” multipartitica in
cui gli elettori di Inghilterra, Scozia e Irlanda eleggevano rappresentanti
alla Camera dei Comuni di Londra.
I nazionalisti irlandesi non accettarono
questo, perché per quanto “democratico” fosse il Regno Unito, non era una
democrazia irlandese.
La più importante organizzazione politica
identitaria irlandese durante questo periodo fu “Sinn Fein”, che significa “Noi
stessi”
. Dopo due anni e
mezzo di violenta lotta tra nazionalisti irlandesi e governo britannico, lo
“Stato libero d’Irlanda”, precursore dell’odierna Repubblica irlandese, fu
fondato nel 1922.
Un altro esempio:
dopo più di 40 anni,
le truppe sovietiche lasciarono la Cecoslovacchia nel 1990-91 e il paese
divenne una democrazia multipartitica.
Come suggerisce il
nome, la popolazione di quel paese era in gran parte ceca o slovacca.
Ma i leader
identitari di ciascuno di questi due gruppi etnici strettamente correlati non
erano contenti della repubblica ibrida, non perché non fosse
"democratica", ma perché non era "nostra".
Dopo una rottura
nota come "divorzio di velluto", il paese giunse alla fine nel 1992,
per essere sostituito da due repubbliche: la Repubblica Ceca e la Slovacchia.
Un terzo esempio:
in Jugoslavia, il governo monopartitico della
Lega dei Comunisti terminò nel 1990, lasciando il posto a una democrazia
multipartitica.
Ma ciò non impedì al paese di disgregarsi nei
due anni successivi, quando croati, sloveni e altri gruppi etnici si
separarono.
Anche in questo caso, il problema non era che
la Jugoslavia multietnica non fosse "democratica", ma che la maggior
parte dei suoi cittadini non la considerava "il loro" paese.
In breve: l’identità
è più importante della “democrazia”.
Se c'è qualcosa di
utile da imparare dalla storia del secolo scorso, è che le società multietniche
e multirazziali sono intrinsecamente instabili e fragili, e che i paesi più
ordinati, stabili e felici sono nazioni omogenee composte da persone della stessa
razza, etnia, cultura, eredità e lingua.
La traiettoria del
secolo scorso mostra che la nozione "La diversità è la nostra forza" - uno slogan inventato dalla "Anti-Defamation League" sionista e proclamato dal presidente Bill Clinton in un
importante discorso - è un'assurdità demagogica.
La società americana
sta fallendo soprattutto per la stessa ragione per cui altre società
culturalmente ed etnicamente diverse hanno fallito in passato.
Da molti anni ormai
i politici americani, i mass media, Hollywood e il sistema educativo
incoraggiano gli americani bianchi a considerarsi semplicemente come individui
la cui cittadinanza americana si basa interamente su una comune devozione ai
principi universalisti ed egualitari.
Gli americani
bianchi tollerano a malincuore i raduni "Black Lives Matter" in cui
uomini e donne neri proclamano con orgoglio la loro identità africana, e
tollerano i raduni in cui gli ebrei affermano con orgoglio la loro identità
ebraica e il loro sostegno a Israele.
Eppure gli americani
europei sono molto a disagio o addirittura si vergognano di sostenere qualsiasi
cosa che potrebbe essere definita politica dell'identità bianca.
Non c'è da stupirsi
che gli americani bianchi continuino a perdere:
non stanno nemmeno
giocando allo stesso gioco.
I bianchi continuano
a giocare a dama mentre tutti gli altri giocano a scacchi.
Neri, ebrei,
latinoamericani, musulmani e così via sono diventati abili nell'arte della
politica identitaria.
Hanno capito che la
politica seria e ad alto rischio è politica identitaria.
È la politica che conta davvero.
Gli americani
europei non hanno imparato che le buone intenzioni, sempre più
"tolleranza" e il tentativo di essere "gentili" con tutti
non sono sufficienti.
Un futuro per gli
americani bianchi può essere assicurato solo quando la nostra gente si sveglia,
riconosce questa realtà e agisce di conseguenza.
Negli anni a venire,
il lavoro di educazione del nostro popolo, di sensibilizzazione, diventerà
sempre più importante e avrà un impatto sempre maggiore.
In questo lavoro, il prerequisito per il
successo è dire la verità.
Non possiamo sperare di eguagliare i nostri
avversari in termini di portata o intensità di sensibilizzazione, ma abbiamo
qualcosa che lavora per noi e che loro non hanno.
Abbiamo la realtà e
la verità dalla nostra parte.
Non importa quanto
sforzo venga profuso nel presentare la falsità come nobile o ammirevole, non
durerà.
La verità e la
realtà sono importanti, soprattutto nel lungo periodo.
Una caratteristica
utile di questo grande progetto educativo, suggerisco provocatoriamente,
potrebbe essere la nostra versione della “Teoria critica della razza”.
Come sapete, molti
americani bianchi non sono comprensibilmente contenti della "Critical Race Theory", che promuove una visione della storia ostile alla
nostra eredità.
In genere la loro
risposta è stata un discorso difensivo su quanto i bianchi abbiano fatto per
abolire la schiavitù, combattere il razzismo e promuovere l'uguaglianza.
Un simile discorso
fa senza dubbio sentire un po' meglio alcuni uomini e donne bianchi, ma
l'atteggiamento apologetico che vi è alla base non fa che incoraggiare nuove e
più assertive richieste da parte dei non bianchi.
Ciò di cui c'è
bisogno, suggerisco, è un nuovo tipo di "Teoria critica della razza", un programma educativo che descriva esattamente come e perché gli
americani bianchi hanno permesso l'acquisizione e la degradazione del grande
paese che i loro antenati hanno colonizzato, costruito e controllato, e hanno
permesso l'acquisizione aliena dei nostri media mainstream e del nostro sistema
educativo, la "terza mondializzazione" delle nostre città e la
maligna denigrazione dei grandi uomini del nostro popolo e della nostra razza
che un tempo abbiamo onorato.
Per dirla in un
altro modo, abbiamo bisogno di una diagnostica "Teoria critica della
razza" che spieghi esattamente come e perché gli americani bianchi sono
diventati così timidi e codardi, così poco disposti o incapaci di difendere la
propria eredità, e tanto meno di salvaguardare il nostro futuro come popolo.
L'inno nazionale
americano la chiama "la terra dei liberi e la casa dei coraggiosi".
Ma la verità è che
in ogni paese nel corso dei secoli, e certamente nell'America di oggi, solo una
piccola minoranza è veramente coraggiosa, ovvero disposta a rischiare la vita e
il sostentamento per combattere per qualcosa che vada oltre sé stessa e le
proprie famiglie.
Non ci vuole
coraggio per andare alla deriva con la folla.
I deboli sono sempre
pronti a tifare per coloro che hanno fama, denaro e potere.
I codardi sono
sempre pronti a sostenere una causa che sembra vittoriosa.
In ogni società, la parte della popolazione
che ha l'arguzia per capire e il cuore per interessarsi è sempre una minoranza.
Ecco perché sono
felice di essere qui questo fine settimana, con uomini e donne che pensano a
ciò che sta accadendo nel nostro Paese e nel mondo e, cosa più importante, che
hanno a cuore la nostra gente, la nostra eredità e il nostro futuro. Mentre la
crisi dell'America e dell'Occidente si aggrava, ciò che faremo ora e negli anni
a venire avrà più importanza che mai.
Per me, lo sviluppo
più gratificante e incoraggiante degli ultimi anni è stato il raggiungimento
della maggiore età di una nuova generazione di giovani uomini capaci, esperti e
eloquenti, e di alcune giovani donne, che "capiscono", che hanno "messo
tutto insieme" - giovani che non si vergognano di ciò che sono, ma che
invece affermano la loro - e la nostra - identità e tradizione, e la cui
dedizione è ancorata a una visione del mondo coerente e a una visione fiduciosa
e senza paraocchi del futuro.
Alcuni dei giovani
uomini e donne qui questo fine settimana che condividono questa preoccupazione
per il nostro popolo e la nostra posterità, forse un giorno saranno leader
nella lotta per un futuro migliore, più sicuro e più felice.
(Mark Weber –
storico, autore e docente – ha studiato storia presso l'Università
dell'Illinois (Chicago), l'Università di Monaco, la Portland State University e
l'Università dell'Indiana (MA). È direttore dell'”Institute for Historical
Review”).
«INSETTI E MELMA:
BENVENUTI
ALLE “PROTEINE
ALTERNATIVE”»
Inchiostronero.it - Kit Cavalleresco –
Redazione – (12-09-2024) – ci dice:
A volte sembra che
negli ultimi due anni scrivere per” OffG” abbia seguito uno schema
riconoscibile che potrebbe essere riassunto al meglio come “ignorare
le cose (per lo più) false nelle prime pagine e raccogliere quelle vere nelle
ultime”.
Promemoria regolari
che non importa chi voti, o quale parte vinca quale guerra, l’agenda
sovraordinata è ancora là fuori, che mangia e cresce.
Come il Blob o la
Cosa.
Censura?
Sappiamo tutti che è
nella lista della spesa dell’élite.
Valute digitali?
Sono ancora in corso.
ID digitale?
Assolutamente in programma.
E torneremo a
parlare di tutti loro senza dubbio finché non mangeranno più o finché non
saremo definitivamente chiusi (qualunque cosa accada prima).
Ma oggi parleremo di
come mangiare gli insetti.
Ma non solo gli
insetti: anche la melma.
Tutto ciò che
accademici e giornalisti hanno deciso di raggruppare sotto il termine generico
“proteine alternative” in
titoli come questo,
da Sky News:
Questa storia è una
risposta al lancio del nuovo “National Alternative Protein Innovation Centre”
(NAPIC) del Regno Unito, un progetto di ricerca da 38 milioni di sterline
co-fondato con l’”Imperial College di Londra”W (famoso per la modellizzazione
Covid).
La professoressa “Karen
Polizzi” del nuovissimo “Bezos Centre for Sustainable Protein” dell’Imperial
(sì, proprio Bezos ) ha descritto la nuova iniziativa in questo modo:
Le “proteine
alternative” su cui si concentra questa ricerca sono…
Come ho detto:
insetti e roba viscida, e anche qualche pianta.
Qual è esattamente
il motivo per cui gli insetti, la melma (e le piante) esercitano un’attrattiva
sugli occhi dei signori?
È una domanda
complessa, la cui risposta ha più sfaccettature.
Una parte di me
pensa che a loro piaccia solo vedere la gente comune umiliarsi nel modello
“Penso che potremmo fargli spazzolare la lingua”.
Ma questa è solo una teoria, possiamo
spiegarla un’altra volta.
Al di fuori del
sadismo e di altre motivazioni psicosociali, ci sono questioni pratiche di
profitto e controllo.
Come abbiamo
trattato nel nostro recente articolo su cibo geneticamente modificato, le leggi
sulla proprietà intellettuale giocano un ruolo.
Un uovo è un uovo.
Il manzo è manzo.
Non puoi brevettare una mucca o un pollo, ed è
piuttosto difficile impedire alle persone di tenere i propri animali.
Ma quando il tuo
prodotto è costituito da qualche migliaio di grilli liofilizzati e ridotti in
polvere (inclusi occhi, intestino e feci), mescolati con conservanti chimici,
addensanti e aromi artificiali per imitare la vera carne…
beh, quello lo puoi
brevettare senza problemi.
Questo è uno dei
motivi per cui si prevede che il mercato degli insetti commestibili crescerà
fino a dieci volte le sue dimensioni attuali nel prossimo decennio.
In una di quelle
coincidenze sempre così tempestive, l’annuncio del nuovo progetto di ricerca è
capitato proprio in concomitanza con una conferenza stampa a tutto campo sulla
propaganda delle “proteine alternative”.
La scorsa settimana “The
Guardian” ha pubblicato un articolo patinato intervista con il “CEO di Meatly”
, l’azienda di carne coltivata in laboratorio, in cui ha affermato che “la
carne coltivata è più sicura, più gentile e più sostenibile.”
Il giorno dopo, il “Guardian”
(di nuovo) ha parlato di un “nuovo studio” che (sorprendentemente) ha scoperto
che “le alternative alla carne di origine vegetale sono più ecologiche e per lo
più sono più sane.”
Quattro giorni fa,
un altro nuovo studio ha scoperto che le proteine estratte dai gusci di
arachidi potrebbero essere utilizzate per integrare le proteine animali.
“Good Food Magazine”
pensa che mangiare vermi della farina possa curare il diabete.
Le riviste mediche
stanno pubblicando articoli che “indagano sui benefici per la salute delle
proteine alternative.”
“MSN” sta
ripubblicando articoli del Metro che titolano:
“Arriva la carne
coltivata in laboratorio. Ecco perché potresti non avere altra scelta che
mangiarla.”
“Yahoo Finance” ci
dice “Perché la carne coltivata in laboratorio è una vittoria per l’industria
degli investimenti del Regno Unito”
E non è solo il
Regno Unito.
Ovviamente.
Non lo è mai,
proprio come i prezzi non cambiano in un solo Walmart e il menù non cambia in
un solo “Mac Donald”.
Perché la
globalizzazione è già una realtà e il tuo “governo nazionale” è solo una
filiale locale di un conglomerato multinazionale.
Negli Stati Uniti,
l’Università della California è piuttosto diretta:
Mentre l’azienda
finlandese “Solein” , che produce “pancake ai batteri” “da aria e luce solare”,
è stata “generalmente riconosciuta come sicura” dalla FDA (il passo successivo,
suppongo, sarebbe essere “generalmente riconosciuta come alimento “).
Il “prossimo super food”
australiano è “Hoppa”, un sacchetto di grilli in polvere.
Il mese prossimo, Melbourne ospiterà “AltProtein24”
, una conferenza per la promozione delle “proteine alternative”.
La scorsa settimana
Singapore ha approvato 16 diversi tipi di insetti per il consumo umano.
Singapore sta anche
ottenendo il suo “Sustainable Protein Research Centre”, finanziato ancora una volta da enormi donazioni da Jeff Bezos.
Il lato positivo è
che, nonostante tutti questi sforzi, c’è una buona possibilità che questo non
funzioni mai.
Articolo dopo
articolo evidenzia i problemi di “accettazione da parte dei consumatori” o
“entusiasmo pubblico” o frasi simili che significano la stessa cosa:
La maggior parte
delle persone non vuole mangiare insetti.
Da qui, suppongo, la
propaganda.
Vorrei concludere
sottolineando l’ironia moderna davvero esilarante della storia.
Gli stessi media che
promuovono con entusiasmo il fatto che le élite vogliono che mangiamo insetti e
altre sostanze viscide:
Allo stesso tempo la
chiamano una folle “teoria del complotto”:
Viviamo
letteralmente nell’era del bipensiero.
Ma non importa,
staremo bene finché continueremo a rifiutarci di mangiare gli insetti… o la
melma.
(Kit Cavalleresco)
UE, mercato interno
e competitività:
le ricette di Letta
e Draghi per
evitare il declino
economico
ilcaffegeopolitico.net
– Paolo Pellegrini – (16 Maggio 2024) – ci dice:
L’economia globale è cambiata negli ultimi
anni e l’Europa deve dotarsi di una nuova strategia se vuole mantenere una sua
rilevanza economica e politica. I due ex Presidenti del Consiglio italiani
suggeriscono percorsi complementari.
DUE ITALIANI PER
L’EUROPA.
Dal mese scorso è
pubblico il rapporto sul mercato interno dell’UE redatto, su incarico della
Commissione, da Enrico Letta.
Il report sulla competitività, commissionato
dal Consiglio a Mario Draghi, sarà presentato solo dopo le elezioni europee di
giugno, ma lo stesso Draghi ne ha anticipato le linee di fondo in un recente
intervento pubblico.
È una curiosa
coincidenza che due ex Presidenti del Consiglio italiani siano stati incaricati
di redigere questi rapporti.
In effetti, l’Italia ha storicamente avuto un
ruolo di primo piano in varie fasi di avanzamento del processo di integrazione
europea, sebbene nell’attuale quadro politico non sia chiaro che posizionamento
avrà il nostro Paese, con riguardo agli sviluppi futuri dell’Unione.
Entrambi i rapporti
hanno lo scopo di individuare i percorsi che mantengano l’Europa rilevante
economicamente, dunque politicamente, e lo fanno a partire da constatazioni
comuni.
Innanzitutto, la forza economica europea è in
declino rispetto alla competitività di Stati Uniti e Cina e al crescere di
altre economie emergenti.
Inoltre, i cambiamenti nell’economia globale
degli ultimi anni e le sfide del futuro prossimo hanno reso inattuale l’assetto
economico dell’UE.
Enrico Letta
presenta il suo rapporto.
MOLTO PIÙ DI UN
MERCATO.
“Much more than a
market”, molto più di un mercato, è intitolato il rapporto Letta.
Il mercato comune ha
infatti rappresentato il pivot dell’unificazione europea e continua a essere il
perno su cui far leva per evitare il declino economico dell’Europa e mantenerne
la coesione politica.
Regole comuni e
assenza di barriere interne facilitano infatti il finanziamento dell’economia e
smorzano i nazionalismi economici, pericolosi anche politicamente.
L’unione del mercato
dei capitali, lanciata nel 2015, non è però ancora compiuta. Tre settori in
particolare furono all’epoca espressamente esclusi dal mercato unico: finanza,
energia e comunicazioni.
Invece, spiega il rapporto Letta, eliminare la
frammentazione dei mercati finanziari nazionali è fondamentale per affrontare
le varie transizioni in corso (verde, digitale, della difesa, allargamento).
Altrimenti il
colossale importo di investimenti necessari sarà impossibile da raggiungere: né
i bilanci statali né le risorse delle banche nazionali saranno sufficienti.
Tra le proposte del
report, quella di creare un “safe asset” (un titolo sicuro, in grado di
mantenere il suo valore di fronte agli shock economici) a livello europeo,
centralizzando la raccolta di obbligazioni (in sostituzione dei vari titoli
pubblici nazionali) e indirizzando i finanziamenti verso politiche industriali
europee.
Vitale anche
aumentare le dimensioni degli operatori di mercato (laddove USA e Cina
beneficiano di economie di scala con pochi operatori) in settori come
telecomunicazioni, energia, difesa e armonizzare le norme fiscali.
Nelle aree
prioritarie (finanza e mercato dei capitali, energia, transizione ambientale,
difesa, comunicazioni), il rapporto auspica l’utilizzo preminente di
regolamenti (la cui applicazione è obbligatoria) anziché direttive (per evitare
tattiche nazionali dilatorie e parziali nel recepimento delle stesse).
Addirittura, si
spinge a suggerire un codice unico di diritto commerciale europeo.
Alle quattro libertà
tradizionali del mercato unico (libero movimento di persone, beni, servizi e
capitali), Letta propone poi di aggiungerne una quinta per sviluppare ricerca,
innovazione ed educazione.
In questo contesto,
la sanità assumerebbe un posto di primo piano.
La Presidente della
Commissione europea è sempre Ursula von
der Leyen.
ANDARE AVANTI CON
CHI CI STA.
In base alle
anticipazioni dello stesso Draghi, il suo rapporto sulla competitività del pari
insiste sulla necessità di “politiche pianificate e coordinate
strategicamente”, per far fronte ai cambiamenti globali.
Le soluzioni
proposte dall’ex Presidente della BCE seguono tre direttrici principali,
praticamente sovrapponibili alle linee guida indicate da Letta:
favorire le economie
di scala (il caso più attuale è quello della difesa), fornire beni pubblici
europei (ad esempio, infrastrutture), garantire l’approvvigionamento di risorse
e input essenziali (come le materie prime, ma anche, con terminologia forse infelice,
forza lavoro).
La rapidità nelle decisioni e
nell’implementazione delle conseguenti decisioni di politica economica e
industriale è fondamentale, nell’ottica di entrambi i rapporti.
Come esplicitato nel
discorso anticipatore di Draghi “non possiamo permetterci il lusso di rimandare
a una futura revisione del Trattato”, da qui l’opzione di procedere con chi ci
sta tramite il meccanismo della cooperazione rafforzata tra alcuni soltanto
degli Stati membri.
ALCUNE DIFFICOLTÀ
POSSIBILI.
I due rapporti
saranno sicuramente letti dai Governi europei e auspicabilmente discussi dalle
forze politiche che si presentano ai cittadini europei per chiederne il voto in
giugno.
È fin d’ora
possibile individuare alcuni potenziali fattori di criticità:
Come si conciliano
le conclusioni dei due rapporti (per ora presunte per quello sulla
competitività) con l’appena approvata riforma del Patto di stabilità?
Le rinnovate regole
fiscali, infatti, ripropongono i vecchi criteri dell’austerità di bilancio,
seppure leggermente mitigati;
Le auspicate
economie di scala e le spinte per la riduzione del numero dei concorrenti in
alcuni settori costituiscono una svolta a 180 gradi rispetto ai dogmi della
politica della concorrenza finora sostenuti dall’Ue (in materia di antitrust,
concentrazioni di imprese, aiuti di stato).
La resistenza, anche
ideologica, a tale svolta non sarà presumibilmente facile da vincere;
Quanta volontà
politica di seguire le raccomandazioni di Letta e Draghi è lecito attendersi da
un panorama politico europeo di tendenza conservatrice?
Salvo soprese
elettorali, il trend è per l’accentuazione dei nazionalismi economico/politici
piuttosto che il contrario.
Vedremo cosa accadrà
dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento e quali saranno le nuove cariche
istituzionali (Commissione e Consiglio). L’unanimità dei ventisette Governi appare davvero
improbabile (o meglio, impossibile) sulle posizioni di Letta e Draghi.
Si possono ipotizzare compromessi su alcune linee o su altre.
Ma difficilmente i cambiamenti radicali
auspicati dai due italiani saranno accolti in toto.
Molto più probabile,
forse auspicabile, che un nucleo anche ristretto di Paesi decida per
cooperazioni rafforzate.
Sarebbe l’avvio di
un’Europa a due o più velocità, forse inevitabile anche in previsione degli
allargamenti prossimi futuri.
E magari decisivo per il balzo in avanti
necessario.
(Paolo Pellegrini)
Kamala Harris
pubblica la sua piattaforma
politica sul sito web ufficiale della
campagna...
ed è pessima come ci
si potrebbe aspettare.
Naturalnews.com –
Laura Harris – (11-09 – 2024) – ci dice:
La vicepresidente
Kamala Harris ha finalmente pubblicato una piattaforma politica sul sito web
ufficiale della sua campagna elettorale.
La piattaforma
politica, intitolata "New
Way Forward", cerca di
allineare la sua campagna più da vicino alle opinioni politiche dominanti,
affrontando al contempo questioni chiave che hanno definito il suo mandato e la
sua identità politica.
(Kamala Harris lavora con Tim Walz per creare
un Dipartimento federale dei GROCERIES: i controlli sui prezzi dei prodotti
alimentari e gli scaffali vuoti non tarderanno ad arrivare.)
In una sezione
intitolata "tutela delle nostre libertà fondamentali", Harris ha
dichiarato la sua opposizione al divieto nazionale di aborto, impegnandosi a
firmare qualsiasi proposta di legge che ripristini la libertà riproduttiva a
livello nazionale.
Ha anche rivelato il
suo impegno a spingere per l'approvazione dell'"Equality Act", una
misura controversa che impone protezioni legali per gli individui LGBTQ+ in
vari settori, tra cui business, istruzione e spazi pubblici.
La legge
richiederebbe inoltre ai datori di lavoro e agli educatori di usare i pronomi
preferiti di ogni persona, consentirebbe agli atleti transgender di competere
negli sport in base alla loro identità di genere e obbligherebbe gli operatori
sanitari a offrire la cosiddetta assistenza "gender-affirming", anche
per i minori.
Il programma di
Harris sostiene anche il "John Lewis Voting Rights Act" e il
"Freedom to Vote Act", che mirano a rafforzare la tutela del diritto
di voto, ampliare le opzioni di voto per posta e aumentare le opportunità di
voto anticipato.
La candidata
democratica alla presidenza propone anche una serie di misure economiche sotto
il tema della creazione di un'"economia delle opportunità".
Queste includono
l'espansione dei crediti d'imposta per i figli, l'aumento della spesa pubblica
per l'edilizia abitativa a prezzi accessibili, l'erogazione di pagamenti
diretti ai primi acquirenti di case e l'avvio di azioni legali contro le
aziende per speculazione sui prezzi.
Chiede inoltre di
sostenere l'”Affordable Care Act” (Obamacare), rafforzare
la previdenza sociale e Medicare attraverso tasse più elevate per i ricchi e
investire in infrastrutture, istruzione, assistenza all'infanzia ed energia
pulita.
Inoltre, l'agenda
della campagna di Harris delinea piani per "garantire sicurezza e
giustizia per tutti", sostenendo misure più severe per il controllo delle
armi, la riforma dell'immigrazione attraverso un disegno di legge
"bipartisan" sulla sicurezza delle frontiere e l'eliminazione
dell'immunità presidenziale.
La piattaforma supporta anche "riforme della Corte Suprema basate sul buon senso", tra cui l'imposizione di limiti di mandato ai
giudici e l'obbligo per loro di aderire alle regole etiche che governano gli
altri giudici federali.
In politica estera,
Harris promette di preservare la forza e la sicurezza degli Stati Uniti
opponendosi fermamente ai dittatori, perseguendo sforzi di pace in zone di
conflitto come Gaza e investendo in settori orientati al futuro come i
semiconduttori, la cosiddetta energia rinnovabile "pulita" e
l'intelligenza artificiale.
La campagna di
Harris cerca di contrastare l'Agenda del Progetto 2025 nella sua piattaforma
politica.
Queste piattaforme
sono in contrasto con il "Trump
Project 2025 Agenda",
un'iniziativa promossa dalla “Heritage Foundation” che mira a fornire un piano
completo per la prossima amministrazione presidenziale volta a riformare il
governo federale.
Secondo “Rob Bluey”,
direttore del “The Daily Signal” il documento di 900 pagine è "una
coalizione di 110 organizzazioni conservatrici che sviluppano un piano di
transizione per la prossima amministrazione presidenziale".
“Bluey” ha
sottolineato che il progetto è "apartitico e accessibile a chiunque occupi
la Casa Bianca nel gennaio 2025".
Il progetto 2025 fa
parte della serie "Mandate for Leadership" della Heritage Foundation,
che ha compilato raccomandazioni politiche conservatrici per i legislatori e i
presidenti degli Stati Uniti dal 1981.
Il documento espone una serie di proposte per
ridurre l'inefficienza burocratica e l'eccesso di potere a Washington, DC.
L'iniziativa ha
incontrato notevoli reazioni negative da parte di politici e commentatori di
sinistra, con alcuni che l'hanno etichettata come una minaccia alla governance
democratica.
In linea con ciò, la
campagna di Harris cerca di posizionarsi come alternativa moderata agli
elementi più estremi dell'agenda di Trump, in particolare in aree come i
diritti riproduttivi, l'uguaglianza LGBTQ+ e l'accesso al voto.
Il deputato della
Florida “Byron Donalds” spiega anche a tutti noi perché i punti di vista
economici di Harris non funzioneranno.
Investimenti senza
precedenti per salvare
le PMI e la
competitività europea –
Intervista a Stefano
Ruvolo
(Conf. imprenditori).
Agenparl.eu -
Floriana Cutini – (9 Settembre 2024) ci dice:
L’intervista con “Stefano
Ruvolo”, presidente di Conf. imprenditori, si inserisce in un momento cruciale
per l’economia europea, segnata dalle recenti osservazioni di Mario Draghi.
Il rapporto
presentato dall’ex presidente della Banca Centrale Europea alla Commissione
Europea ha messo in luce la necessità di un massiccio piano di investimenti da
800 miliardi di euro l’anno per garantire la competitività dell’Europa in un
contesto globale sempre più sfidante.
“Ruvolo”, in
perfetta sintonia con l’analisi di Draghi, sottolinea come il futuro delle
piccole e medie imprese europee sia strettamente legato a decisioni rapide,
concrete e sostenute da un quadro politico ed economico che sappia rispondere
alle sfide globali.
Conf. imprenditori,
infatti, già da tempo ha portato in Europa una proposta in cui richiama
l’attenzione su investimenti senza precedenti per le PMI, che rappresentano la
spina dorsale dell’economia continentale.
Nell’intervista,
Ruvolo offre una visione articolata delle misure necessarie per garantire una
crescita sostenibile e duratura, ribadendo l’urgenza di decisioni immediate e
coraggiose da parte della politica europea e italiana.
Durante il
colloquio, il presidente di Conf. imprenditori esamina le priorità su cui
l’Europa dovrebbe concentrarsi, come la riduzione delle asimmetrie informative
e la protezione delle piccole imprese dalle politiche aggressive delle
multinazionali.
Il focus si sposta poi sulla necessità di
riforme strutturali, investimenti pubblici, innovazione tecnologica e
modernizzazione infrastrutturale, aspetti che Ruvolo ritiene essenziali per
mantenere alta la competitività europea in un contesto internazionale sempre
più dominato da Stati Uniti e Cina.
L’intervista si
conclude con un appello alla politica affinché agisca rapidamente e un
messaggio di incoraggiamento agli imprenditori, con particolare attenzione ai
piccoli, che rappresentano il cuore pulsante dell’economia europea.
Domanda.
Mario Draghi ha recentemente presentato un
rapporto sulla competitività alla Commissione Europea, che ha evidenziato la
necessità di un piano di investimenti da 800 miliardi di euro annui. In che
modo Conf. imprenditori vede questa proposta e quali sono le vostre aspettative
nei confronti della politica europea e italiana?
Stefano Ruvolo.
Più che un rapporto Mario Draghi ha lanciato
un vero e proprio appello alla politica per salvare l’Europa.
E Conf. imprenditori
è pienamente d’accordo con l’ex presidente della Bce.
In occasione
dell’insediamento del nuovo Parlamento europeo abbiamo consegnato un nostro
documento in cui rivendichiamo le stesse impellenze indicate da Mario Draghi
nel suo rapporto.
Il nostro augurio è che la politica capisca
l’importanza storica del momento.
Siamo difronte a
un’ultima chiamata, o l’Europa cambia passo o smette di esistere.
Domanda.
Nel suo intervento,
Draghi ha parlato di “whatever it takes” per garantire la competitività
dell’Europa. Quali sono, secondo lei, le misure più urgenti che i governi
europei dovrebbero adottare per rispondere a questa sfida?
Stefano Ruvolo.
Le piccole e medie imprese svolgono un ruolo
decisivo all’interno del sistema economico europeo, in particolare nel favorire
l’occupazione.
Le Pmi rappresentano all’incirca il 95% del
totale delle imprese dell’Unione Europea, assorbono più della metà
dell’occupazione e a loro si deve quasi i due terzi del valore aggiunto.
I motivi che spingono il legislatore ad
intervenire a favore delle piccole imprese riguardano tanto l’ambito economico
quanto quello sociale.
Il primo punto su
cui intervenire a livello europeo sono le asimmetrie informative, che generano
un peggioramento dell’allocazione delle risorse da parte delle Pmi, che non
possiedono adeguate informazioni per investire, esportare e individuare con
precisione nuovi target di consumatori.
In secondo luogo bisogna ricordare che troppo
spesso le piccole imprese subiscono politiche commerciali aggressive da parte
delle multinazionali dominanti il mercato e pertanto necessitano di un’adeguata
protezione grazie alla politica di concorrenza.
Domanda.
Conf. imprenditori
ha già avanzato richieste specifiche a livello europeo per sostenere le piccole
e medie imprese. Può darci un quadro più dettagliato delle vostre proposte e
spiegare perché sono essenziali per la sopravvivenza e la crescita delle PMI?
Stefano Ruvolo.
Riteniamo che
l’esperienza del Next Generation EU e del PNRR non possa e non debba rimanere
un caso isolato legato al fenomeno pandemico da COVID-19.
Tutta l’Europa
cresce meno degli Stati Uniti e molto meno del continente asiatico.
È necessario un
robusto piano di investimenti pubblici, che non può che trarre origine dal
debito comune, che sostenga le produzioni e che destini fondi e risorse
all’ammodernamento del sistema infrastrutturale dei Paesi membri.
È poi indispensabile
rivedere le norme europee sul sistema delle etichettature e le modifiche
recentemente apportate al codice doganale a tutela dei prodotti del made in
Italy, a partire dal tessile e dall’alimentare.
Le peculiarità dei
prodotti italiani meritano la massima tutela relativamente alla loro
autenticità e alle loro peculiarità, così come merita tutela il consumatore che
deve conoscere chiaramente attraverso l’etichetta il contenuto del prodotto che
acquista e le sue caratteristiche.
Va anche ridisegnato
il ruolo dell’”Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro”
superando e integrando il mero ruolo di raccogliere, analizzare e diffondere le
informazioni a coloro che sono interessati alla salute e sicurezza sul lavoro.
Va immaginato un
nuovo ruolo di coordinamento con gli Stati membri per un organo che diventi
volano propositivo per Parlamento, Commissione e Consiglio perché producano
disposizioni più stringenti, più moderne e soprattutto più efficaci.
Ci sono poi le sfide
che l’innovazione tecnologica pone di fronte alle Istituzioni e alle imprese,
che devono necessariamente essere affrontate con coraggio e al contempo senza
infingimenti o ritrosie.
Infine abbiamo
chiesto una maggiore rapidità di intervento delle Forze europee sulla difesa
comune a tutela delle aziende, della stabilità dei mercati connessi col sistema
europeo di import- export e del sistema infrastrutturale, con particolare
riguardo a quello portuale.
La crisi in atto nel
Mar Rosso, e la lentezza con la quale l’Unione è intervenuta nella messa in
campo operativa della missione “Aspides”, ha dimostrato la necessità di un
sistema decisionale più snello e celere e l’importanza di task-force militari
che siano rapidamente operative.
Va preso
definitivamente atto del fatto che la crescita è l’imperativo per la
competitività dell’intero continente nel mondo globale e che senza crescita non
saranno sostenibili gli adeguamenti dei salari e i nostri sistemi previdenziali
avanzati.
Domanda.
Draghi ha
sottolineato la necessità di decisioni veloci e concrete, con norme meno
restrittive e l’emissione di safe asset comuni.
Come valuta
l’attuale risposta della politica a queste esigenze?
Cosa dovrebbe
cambiare?
Stefano Ruvolo.
Fino ad oggi la
politica è andata nella direzione opposta.
Tante promesse ma nessuna soluzione concreta.
D’altra parte, se si
fosse fatto qualcosa di concreto oggi Draghi non avrebbe lanciato un allarme
sulla sopravvivenza dell’Europa.
Ma il tempo delle
promesse è finito:
servono interventi
veloci e concreti altrimenti l’Unione europea smetterà di esistere.
Domanda.
L’innovazione
tecnologica e l’ammodernamento infrastrutturale sono al centro delle vostre
richieste.
In che modo questi
elementi possono contribuire a rafforzare la competitività delle PMI e, più in
generale, dell’economia europea?
Stefano Ruvolo.
È necessario attuare
strumenti normativi che salvaguardino, più efficacemente di quelli attuali,
etica e concorrenza nell’applicazione delle nuove tecnologie, prima fra tutte
quella dell’intelligenza artificiale, con particolare riferimento a quella
generativa.
Inoltre sarà
indispensabile, soprattutto per l’Italia, pensare a strumenti di sostegno per
le imprese che investono nell’intelligenza artificiale, a livello nazionale, ma
soprattutto a livello comunitario, al fine di ridurre il gap tra investimenti
sostenibili per piccole e medie imprese e grandi realtà, tanto più per quello
che riguarda gli investimenti in queste tecnologie nell’ambito della sicurezza
sul lavoro, che necessitano urgentemente di sostegno pubblico, anche per
affrontare la piaga degli incidenti sul lavoro e delle morti bianche.
Stesso discorso vale
per le infrastrutture.
Tutte le principali
organizzazioni internazionali concordano nell’attribuire agli investimenti in
infrastrutture pubbliche un ruolo di primo piano per la ripresa dell’economia e
per favorire la sua transizione verso un assetto più resiliente, inclusivo e
sostenibile.
La dotazione di
infrastrutture incide sulla capacità di crescere di un’economia e sul livello
di benessere della collettività.
La competitività delle imprese è strettamente
legata alla disponibilità di una rete adeguata di trasporti e di
telecomunicazioni, nonché alla qualità del servizio energetico e idrico, che
rappresentano input essenziali dei processi di produzione. Un contributo
indiretto allo sviluppo economico deriva anche dalle infrastrutture sociali, da
cui dipende l’erogazione di servizi pubblici essenziali come la tutela della
salute e quella dell’ambiente, fattori cruciali per la qualità della vita degli
individui e indispensabili per realizzare uno sviluppo inclusivo e sostenibile.
Domanda.
Qual è il ruolo
dell’Italia in questo scenario di cambiamento e quali passi concreti dovrebbe
intraprendere il nostro Paese per allinearsi alle raccomandazioni di Draghi e
delle istituzioni europee?
Stefano Ruvolo.
L’Italia è uno dei
Paesi fondatori dell’Unione e mi aspetto che il suo ruolo sia di primissimo
piano, sia rispetto alle istanze che porremo a livello di Consiglio dei Capi di
Stato e di governo che a livello di Commissione, all’interno della quale auspico
che il nostro Paese abbia una vicepresidenza esecutiva con deleghe di peso.
Ritengo, ad esempio,
anche in considerazione della figura di primo piano che l’Italia ha espresso
come candidato commissario, che una delega all’economia e al Pnrr potrebbe
rivelarsi adeguata e utile alle imprese di tutta l’Unione.
Riguardo poi alle
indicazioni contenute nel Report di Mario Draghi credo che la parte di maggior
interesse per lo sviluppo e la competitività dell’Unione sia quella relativa
agli investimenti.
L’Europa, per
restare concorrenziale tra i due giganti USA e Cina, ha bisogno di riforme, ma
anche e soprattutto di investimenti poderosi, che non possono essere lasciati
ai singoli Stati membri che sono alle prese con i loro problemi di
sostenibilità del debito interno.
I nuovi investimenti
devono essere fatti attraverso il debito comune. Come Unione Europea siamo la
seconda manifattura mondiale dopo la Cina, non dobbiamo assolutamente perdere
questo ruolo.
Domanda.
Che tipo di supporto
Conf. imprenditori prevede di offrire alle PMI italiane per aiutarle ad
affrontare le sfide globali e a sfruttare le opportunità create dai nuovi
investimenti e dalle riforme proposte?
Stefano Ruvolo.
Conf. imprenditori rappresentano già migliaia
di aziende su tutto il territorio nazionale, molte delle quali applicano i
nostri contratti collettivi e che, per la stragrande maggioranza rientrano tra
le micro, piccole e medie imprese. Siamo da oltre dieci anni punto di
riferimento per le realtà produttive del nostro Paese, fornendo servizi,
consulenza e assistenza ai nostri associati, sia direttamente, che attraverso i
nostri Enti bilaterali.
Lo strettissimo
rapporto che teniamo con gli ordini professionali e, più in particolare, con
avvocati, consulenti del lavoro e commercialisti, ci consente di poter
rispondere con prontezza e competenza a tutte le esigenze dell’impresa in
termini di assistenza alla crescita e allo sviluppo.
Attraverso i nostri
tecnici e il nostro “centro studi” forniamo già sostegno alle imprese per
facilitare la partecipazione a bandi e finanziamenti regionali, nazionali ed
europei. Siamo prontissimi, ove queste linee di finanziamento allo sviluppo e
alle imprese, cosa che auspico, fossero incrementate, a continuare a fare il
nostro lavoro di facilitatori nei confronti delle aziende, nell’interesse dello
sviluppo del Paese e dell’Unione europea, che deve diventare sempre più
comunione di valori e intenti e sempre meno dirigismo e burocrazia.
Domanda.
In conclusione,
quali sono le vostre previsioni riguardo al futuro della competitività europea
e quale messaggio vorrebbe inviare ai decisori politici e agli imprenditori?
Stefano Ruvolo.
Alla classe politica
voglio mandare solo un messaggio: fate presto, perché il tempo è scaduto.
Agli imprenditori
invece chiedo di resistere, soprattutto ai piccoli.
Che sono gli stessi
che tengono in piedi con le loro forze l’economia europea.
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