Putin e Trump.
Putin
e Trump.
Italia
divisa sul piano riarmo europeo:
Meloni
vuole convocare vertice con Tajani
e
Salvini per riunire centrodestra.
Msn.com
– Fanpage.it - Francesca Moriero – (17 -03 – 2025) – ci dice:
Giorgia
Meloni si prepara a presentare la posizione italiana in vista del Consiglio
europeo, un passaggio chiave in un momento di forti tensioni internazionali.
Il
piano di riarmo da 800 miliardi voluto da Ursula von der Leyen ha infatti
spaccato non solo l'Europa, ma anche la politica italiana, con divisioni
evidenti sia all’interno della maggioranza che tra le opposizioni.
Il governo deve insomma ora trovare un
equilibrio tra il sostegno alla sicurezza collettiva e la resistenza
all'aumento del debito per la spesa militare.
Il
vertice del Consiglio europeo, previsto per giovedì e venerdì, si presenta
insomma ora come un momento cruciale per l'Italia:
la premier Meloni è chiamata infatti a gestire le
differenze tra i vari partiti della sua coalizione, che si dividono sulla
questione della difesa comune e starebbe pensando di convocare oggi, 17 marzo,
i suoi vice Tajani e Salvini a Palazzo Chigi, per definire una linea comune e
unire il centrodestra.
Il
nodo centrale riguarda il testo della risoluzione di maggioranza che dovrà
essere sottoposto a votazione e che dovrà sancire l'(eventuale) coesione su
temi fondamentali, come la guerra in Ucraina, la posizione dell'Italia nei confronti
dell'Ue e degli Stati Uniti, le spese per la difesa e l'invio delle truppe
francesi e britanniche verso Est, in caso di una futura tregua tra Mosca e
Kiev.
Le
fratture in Italia: maggioranza e opposizione divise.
La
posizione italiana sulla difesa si presenta tutt'altro che compatta:
Fratelli
d'Italia e Forza Italia sostengono il piano, mentre la Lega si smarca, con il
leader Matteo Salvini che definisce il progetto europeo un inutile
indebitamento per le armi:
"È
il paradosso europeo: non si poteva investire un euro in più per sanità e
scuola, mentre ora si possono spendere 800 miliardi per la difesa comune?
Se
oggi avessimo un esercito europeo, Francia e Germania ci avrebbero già mandato
in guerra".
Nel
centrosinistra, il Partito Democratico è estremamente diviso:
una parte degli eurodeputati ha votato infatti
a favore, mentre un'altra si è astenuta, riflettendo l'incertezza della
leadership di Elly Schlein.
Il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte,
invece, propone di destinare i fondi europei a investimenti in sanità,
istruzione e ambiente, anziché al rafforzamento militare.
"Il governo esprima ferma contrarietà al piano di
riarmo europeo “Rearm Europe”, che va sostituito integralmente con un piano di
rilancio e sostegno agli investimenti che promuovano la competitività e le
priorità politiche dell'Unione europea quali:
spesa sanitaria, sostegno alle filiere
produttive e industriali, incentivi all'occupazione, istruzione, investimenti
green e beni pubblici europei, per rendere l'economia dell'Unione più equa,
competitiva, sicura e sostenibile", hanno dichiarato.
A
votare contro anche la delegazione di Alleanza verdi sinistra, insieme ai
Verdi:
"Il nostro è un NO, nel merito e nel
metodo, al piano di riarmo da 800 miliardi voluto dalla presidente von der
Leyen e dalla Commissione europea", hanno dichiarato in una nota i
deputati della delegazione italiana al Parlamento europeo, Cristina Guarda,
Ignazio Marino, Leoluca Orlando e Benedetta Scuderi.
Antonio
Costa: "Investire nell'industria della difesa creerà occupazione".
Il
presidente del Consiglio europeo, “Antonio Costa”, ha sottolineato in
un'intervista rilasciata “a Die Welt” e “Repubblica” l'importanza di rafforzare
le capacità difensive dell'Unione Europea, ma ha anche messo in evidenza le
difficoltà nel riuscire a sviluppare un'autonomia strategica completa.
Costa ha infatti affermato che, nonostante gli
sforzi per potenziare la difesa europea, l'Unione Europea deve ancora fare
affidamento su armamenti provenienti da paesi extraeuropei, come gli Stati
Uniti e la Corea del Sud, per far fronte alle necessità immediate.
Il presidente del Consiglio europeo ha anche
ribadito la necessità di una politica di difesa comune che vada oltre le
risorse economiche, ma che includa anche un rafforzamento delle capacità
politiche e diplomatiche dell'Unione.
Ha parlato di "soluzioni globali",
che possono "significare molte cose", per poi sottolineare che gli
armamenti "a breve termine, dovremo comperarli dove sono disponibili le
armi di cui abbiamo bisogno.
Ad
esempio in Europa, America, Corea del Sud o Giappone.
A
lungo termine, però, i nostri investimenti dovrebbero essere più decisamente
indirizzati verso le industrie degli armamenti dei nostri Paesi.
Sarebbe una buona cosa per la nostra sicurezza
e la nostra società.
Infatti,
tutti questi capitali potrebbero anche creare posti di lavoro e stimolare le
innovazioni.
Ci
tengo a sottolinearlo: dobbiamo assumerci maggiori responsabilità per la nostra
difesa".
E
sulla posizione dell'Ungheria, contraria alle armi in Ucraina, Costa ha
specificato che "è comunque davvero notevole il fatto che in una comunità
di ventisette Paesi, con molti e diversi orientamenti politici, visioni del
mondo e culture, di norma raggiungiamo l’unanimità.
In
qualche caso non ci si riesce.
E penso che nel nostro vertice più recente
abbiamo trovato un buon modo per affrontare la questione e per tenere in
considerazione le opinioni di tutti. L’Ungheria non ha bloccato le decisioni —
e noi rispettiamo la posizione isolata di quel Paese. Le conclusioni sulla
difesa sono state adottate all’unanimità; quella sull’Ucraina è stata approvata
da ventisei Paesi".
Una
piazza per l'Europa: la mobilitazione della società civile.
Mentre
i leader politici cercano una sintesi tra posizioni contrastanti, Roma ha
ospitato una grande manifestazione a favore dell'Europa.
Sabato scorso, nella Capitale, migliaia di
persone si sono infatti radunate in una Piazza del Popolo "sold out",
per partecipare alla manifestazione "Europa: Pace e solidarietà".
L'evento,
organizzato da un ampio schieramento di movimenti pro-europei, ha visto la
partecipazione di numerosi esponenti della politica di opposizione e attivisti.
Sotto
il palco, circa cinquantamila persone, tra cui esponenti delle opposizioni come
Elly Schlein, Carlo Calenda, Riccardo Magi, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli,
con Maria Elena Boschi per Italia Viva.
Matteo Renzi era assente per il lancio del suo
libro.
La
piazza era animata da bandiere dell'Unione Europea, della pace, dell'Ucraina,
della Georgia e due bandiere palestinesi; una testa di cartapesta di Donald
Trump che mangiava banconote è stata poi presenza costante.
Elly
Schlein, reduce dalla discussione sul voto a Strasburgo, è stata accolta con
applausi e selfie, ma anche con una critica:
"Viva la Picierno! Cerca di votare, non
di astenerti!".
La leader del Pd ha portato la bandiera blu
stellata dell'Unione, ma ha enfatizzato l'importanza della pace e del dialogo
diplomatico, salutando la Tavola della Pace con una grande bandiera arcobaleno:
"Oggi
non è il tempo delle polemiche", ha detto Schlein ai giornalisti.
Carlo
Calenda, leader di Azione, ha dichiarato:
"La pace va garantita da un'Europa forte,
anche militarmente, capace di respingere le aggressioni di Trump e Putin".
Riccardo
Magi, di Più Europa, ha chiesto una "Europa politica" che inizi con
una politica estera e di difesa comune.
Nicola Fratoianni ha partecipato solo quando
ha appreso che la manifestazione non sosteneva il riarmo:
"Sono
sempre stato per la pace, contro l'escalation militare", ha detto,
criticando la proposta di von der Leyen e i 800 miliardi di spesa.
La
manifestazione è stata aperta e poi chiusa dal giornalista “Michele Serra”, con
la Nona di Beethoven e l'Inno alla Gioia dell'Unione Europea.
Bagnai:
"No all'esercito europeo, no all'invio di soldati italiani in Ucraina, no
al taglio della sanità per comprare armi".
"No
all'esercito europeo, no all'invio di soldati italiani in Ucraina, no al taglio
della sanità per comprare armi.
Se
dobbiamo fare altro debito, facciamolo per difendere famiglie e imprese dal
caro bollette e tagliare le tasse, costruire ospedali e difendere i confini dai
clandestini.
Non
certo per acquistare 800 miliardi di euro di armi, o spendere altri 40 miliardi
di euro in Ucraina.
In un momento in cui finalmente la fine del
conflitto sembra possibile, grazie all’impegno del presidente Trump, Italia ed
Europa devono costruire ponti, non trincee", a dirlo il deputato della
Lega, vicepresidente della commissione Finanze e responsabile del dipartimento
Economia del Partito, Alberto Bagnai.
Dal
Verde alle Armi!
Conoscenzealconfine.it
– (17 Marzo 2025) – Redazione - Weltanschauung Italia – ci dice:
La
strada dalla produzione di veicoli elettrici alla produzione di armamenti
sembra sorprendentemente breve.
Tavolo
sull’auto, Urso: “incentivi per riconvertirsi alla difesa”. “Rheinmetall, carri armati negli
impianti Volkswagen: il riarmo tedesco è partito”.
E John
Elkann prepara l’audizione in Parlamento per “Stellantis”.
Se
ricordate parecchi mesi fa, di fronte alle manifestazioni sindacali sulla crisi
del settore auto, scrivevamo amaramente che sarebbe bastato spostarsi nel
settore armi, d’altronde sappiamo che aziende come “Leonardo” stanno gongolando da
anni per via delle guerre.
Probabilmente
ci hanno ascoltato, in questi giorni davvero stanno proponendo questa
riconversione.
Raccontavano
di un futuro più verde, un mondo sostenibile in cui i grandi produttori
automobilistici avrebbero guidato la rivoluzione elettrica.
Non è
andata proprio così, “transizione” significava semplicemente spostare gli
investimenti dal verde al metallo dei carri armati.
Pensiamo
a Volkswagen, dopo anni passati a blaterare di rivoluzione elettrica e a
investire miliardi in piattaforme a zero emissioni, il gigante di Wolfsburg ha
scoperto che il settore militare ha un margine di profitto decisamente più
interessante.
Ma non
solo Volkswagen, in tanti adesso stanno dicendo che risorse destinate all’
“innovazione sostenibile” verranno “parzialmente” reindirizzate verso la
produzione militare.
Aziende
che si erano posizionate come campioni della sostenibilità vanno così in totale
contraddizione, le loro priorità si spostano dalle soluzioni per la crisi climatica alle
soluzioni militari per fantasiosi riarmi.
Che
dire, la strada dalla produzione di veicoli elettrici alla produzione di
armamenti è stata sorprendentemente breve.
Questi
geni stanno ancora usando le stesse presentazioni “PowerPoint con grafici di
crescita verde” e slogan sulla “sostenibilità del business”.
Solo che ora la sostenibilità include anche la
capacità di sostenere il fuoco nemico.
(Weltanschauung
Italia).
(t.me/weltanschauungitaliaofficial).
Trump
afferma che lui e Putin
inizieranno
i colloqui sulla guerra
in
Ucraina “immediatamente.”
Infomoney.com
- Gabriele Garcia – (12/02/2025) – ci dice:
Il
portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha affermato che il presidente russo è
d'accordo con Trump sul fatto che è "il momento per i nostri paesi di lavorare
insieme".
Il
presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha pubblicato sul suo social network “Truth
Social” di aver avuto una chiamata “altamente produttiva” con il presidente
russo Vladimir Putin mercoledì.
Trump
ha affermato che i due leader hanno concordato di collaborare e di visitare
reciprocamente i rispettivi paesi durante la chiamata, durata circa 90 minuti
secondo quanto affermato dal Cremlino.
"Abbiamo
concordato di lavorare insieme molto da vicino, anche visitando le rispettive
nazioni.
Abbiamo
anche concordato di far iniziare immediatamente i negoziati ai nostri
rispettivi team, e inizieremo chiamando il presidente ucraino Zelensky per
informarlo sulla conversazione, cosa che farò ora", ha scritto
l'americano.
Trump
ha dichiarato di aver nominato il segretario di Stato “Marco Rubio”, il
direttore della CIA” John Ratcliffe”, il consigliere per la sicurezza nazionale
“Mike Waltz” e l'inviato speciale “Steve Witkoff” per guidare il team negoziale
degli Stati Uniti.
L'elenco di Trump non includeva il suo inviato
in Ucraina, “Keith Kellogg”.
Il
portavoce del Cremlino “Dmitry Peskov” ha affermato che il presidente russo è
d'accordo con Trump sul fatto che è "tempo per i nostri paesi di lavorare
insieme" e che una "soluzione a lungo termine può essere raggiunta
attraverso negoziati di pace", ma ha avvertito che è "essenziale
risolvere le ragioni del conflitto".
“Peskov”
ha affermato che Putin ha invitato Trump a Mosca ed è pronto a incontrare i
funzionari statunitensi per discutere di "questioni di reciproco
interesse".
I due leader hanno discusso anche della
cooperazione economica bilaterale e del programma nucleare iraniano, ha
affermato il portavoce.
Approssimazione.
I
colloqui tra i leader avvengono un giorno dopo che Mosca ha rilasciato dalla
detenzione il professore americano “Marc Fogel” , in una mossa che la Casa
Bianca ha definito una dimostrazione di "buona fede" che avrebbe
aiutato i negoziati ad andare avanti.
In
cambio, gli Stati Uniti rilasceranno “Alexander Vinnik” , un russo che gestiva
la “piattaforma di criptovaluta BTC-e” e che è stato accusato di aver riciclato
miliardi di dollari in bitcoin.
“Un
giorno l’Ucraina potrebbe appartenere alla Russia.”
Questa
settimana, Trump ha già lanciato l’idea che l’Ucraina “potrebbe un giorno
appartenere alla Russia”.
"Potrebbero
fare un accordo, potrebbero non farlo.
Potrebbero essere russi un giorno, o
potrebbero non essere russi un giorno", ha detto in un'intervista con” Fox
News” andata in onda lunedì.
Il
presidente degli Stati Uniti ha anche sottolineato l'importanza di ottenere un
ritorno sugli investimenti degli aiuti americani all'Ucraina, suggerendo uno
scambio per le risorse naturali di Kiev, come i minerali delle terre rare.
"Avremo
tutti questi soldi lì, e io dico che li voglio indietro.
E ho
detto loro che voglio, tipo, 500 miliardi di dollari di terre rare", ha
detto Trump.
"E
sostanzialmente hanno accettato di farlo, quindi almeno non ci sentiamo
stupidi."
“Non
realistico.”
Mercoledì,
il Segretario alla Difesa “Pete Hegseth” ha dichiarato che anche il ritorno
dell'Ucraina ai confini precedenti al 2014 era un "obiettivo irrealistico.
"
Ha
affermato che una pace duratura per l’Ucraina “deve includere solide garanzie
di sicurezza” per assicurare che la guerra non riprenda, ma che Washington “non
crede che l’adesione dell’Ucraina alla NATO sia un risultato realistico”.
Trump-Putin,
nuovo passo
in avanti: sì al cessate il
fuoco
“energetico” e al reset.
Mnn.com
– (18-03 -2025) – Redazione - Storia di Andrea Muratore - ci dice:
Sì a
un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina riguardo gli attacchi sulle
infrastrutture energetiche reciproche e a un graduale reset delle relazioni
bilaterali tra Russia e Usa, ma soprattutto sì a un dialogo a tutto campo
capace di guardare tutti gli scenari di confronto tra Washington e Mosca.
La
chiamata tra Donald Trump e Vladimir Putin di oggi ha prodotto una serie di
risultati significativi.
Innanzitutto,
si riscontra una piattaforma di dialogo per provare a porre fine, dopo tre
anni, alla guerra in Ucraina sulla base di un dialogo che ha prodotto i primi
risultati concreti.
Meno
del cessate il fuoco totale a cui Kiev era pronta, ma è la prima volta dal 24
febbraio 2022 che c’è l’intenzione di avviare un’astensione da parte dei
combattimenti, per quanto parziale e solo per 30 giorni, delle due parti in
conflitto: una trattativa deve pur partire da qualcosa, e Trump e Putin hanno
iniziato a mettere le basi.
Resta aperta la questione, sollevata da Putin, dello
stop completo al sostegno militare e d’intelligence americano a Kiev come
preludio a una trattativa per una pace definitiva, che per ora appare una
condizione difficile da soddisfare.
In
secondo luogo, tra Russia e Usa si prova a ricostruire la capacità di dialogo.
Vasto programma, dopo dieci anni di conflittualità latente e per procura, ma su
cui Trump e Putin investono risorse:
si va dalla prospettiva di futuri accordi
economici a gesti più simbolici, come incontri di hockey organizzati tra le
rispettive squadre, per ristabilire le relazioni a livello politico, sociale e,
innanzitutto, umano.
In
campo anche gesti concreti: 175 prigionieri a testa saranno scambiati nella
giornata di domani da Russia e Ucraina in uno scambio mediato dagli Usa.
Da notare come il Cremlino, nel suo comunicato
ufficiale, sottolinei che Putin e Trump “hanno toccato anche altri temi
dell’agenda internazionale, tra cui la situazione in Medio Oriente e nella
regione del Mar Rosso.
Saranno compiuti sforzi congiunti per
stabilizzare la situazione nelle aree di crisi e stabilire una cooperazione su
questioni di non proliferazione nucleare e di sicurezza globale”.
Questo
è il vero nodo gordiano della questione:
in
campo c’è molto più dell’Ucraina.
Lo dice a chiare lettere la Russia:
si è
parlato “della speciale responsabilità della Russia e degli Stati Uniti nel
garantire la sicurezza e la stabilità nel mondo”, un dato che impone una
riflessione in cui Kiev può essere solo una parte del discorso.
Forse
è stato deluso chi si aspettava soluzioni palingenetiche o clamorosi colpi di
scena.
Ma la diplomazia va avanti a piccoli passi
concreti, realismo e fiducia reciproca. Trump e Putin provano a ricostruire
quella tra Russia e Usa.
Sarà
un percorso lungo, ma ne va della sicurezza dei due Paesi e del mondo intero.
Una telefonata non è risolutiva.
Ma
sicuramente allunga la vita…perlomeno alla diplomazia.
La quale è l’unica risolutrice di conflitti
capace di produrre soluzioni durature, al netto dei proclami.
(InsideOver).
Ucraina:
prima intesa Trump-Putin,
Mosca
ferma i raid sulle centrali.
Ansa.it
– Mondo – (19-3-2025) -Redazione Ansa – ci dice:
Ma lo
zar vuole lo stop delle armi a Kiev. Zelensky: è per indebolirci.
Witkoff:
i colloqui riprendono domenica a Gedda.
I
colloqui per un cessate il fuoco nella guerra della Russia con l'Ucraina
continueranno domenica nella città saudita di Gedda:
lo ha detto l'inviato speciale del presidente
americano Donald Trump, “Steve Witkoff”.
In
un'intervista con “Fox News” poche ore dopo che Trump ha avuto una lunga
telefonata con il presidente russo Vladimir Putin, “Witkoff” ha parlato in
particolare della tregua sulle infrastrutture energetiche e sugli obiettivi nel
Mar Nero:
"Penso
che entrambi siano ora concordati dai russi.
Sono certamente
fiducioso che gli ucraini saranno d'accordo", ha detto.
Il
cessate il fuoco di 30 giorni tra Russia e Ucraina, concordato da Trump e Putin
ma non ancora accettato da Kiev, riguarderebbe l'energia e "le
infrastrutture in generale".
Lo ha
detto “Witkoff “rispondendo a una domanda specifica su “Fox News” in merito al
fatto se la tregua riguardasse solo l'energia o una questione più ampia.
Witkoff ha detto: "No, riguarda l'energia e le infrastrutture in
generale".
Prima
parziale fumata bianca verso la pace in Ucraina, dopo l'attesissima telefonata
tra Donald Trump e Vladimir Putin, durata oltre due ore e mezzo.
I due leader, secondo la Casa Bianca, hanno
concordato una roadmap verso una "pace durevole", che inizierà con
una tregua di 30 giorni dei raid sulle infrastrutture, a partire da quelle
energetiche.
Per
ora quindi non ci sarà la tregua incondizionata totale cui aveva aderito Kiev,
che rischia così di continuare a perdere terreno.
"I
russi non sono pronti a porre fine a questa guerra, non sono pronti nemmeno per
il primo passo, che è un cessate il fuoco", ha commentato a caldo “Volodymyr
Zelensky”, denunciando che "l'intero gioco di Putin è indebolire"
l'Ucraina ma che Kiev continuerà a combattere anche nel Kursk.
Pur
dicendosi favorevole alla tregua degli attacchi alle infrastrutture energetiche
approvata da Mosca, il presidente ucraino pensa "che sarebbe giusto per
noi avere una conversazione con il presidente Trump e conoscere i dettagli di
ciò che i russi hanno offerto agli americani o di ciò che gli americani hanno
offerto ai russi".
Il commander in chief e lo zar hanno aperto anche al
"miglioramento dei rapporti bilaterali - che porteranno "enormi
accordi economici e alla stabilità geopolitica" - alla cooperazione contro
i conflitti in Medio Oriente e contro la proliferazione delle armi strategiche,
condividendo pure la visione che l'Iran non possa mai essere in grado "di
distruggere Israele".
"Una
telefonata molto buona e produttiva", ha commentato Trump su “Truth.”
Insomma, una prima, storica svolta tra Usa e Russia dopo che le loro relazioni
avevano toccato il punto più basso dalla guerra fredda.
Sullo
sfondo, una partita che sembra più ampia di quella in Ucraina.
Nel
suo resoconto della telefonata, la Casa Bianca ha annunciato che i due leader
"hanno concordato che il movimento per la pace inizierà con un cessate il
fuoco energetico e infrastrutturale, nonché con negoziati tecnici
sull'attuazione di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero", per
passare poi ad un "cessate il fuoco completo e una pace permanente".
Questi
negoziati "inizieranno immediatamente in Medio Oriente",
probabilmente in Arabia Saudita.
Alla
fine di un colloquio definito "franco e dettagliato", il Cremlino ha
confermato lo stop immediato di 30 giorni ai bombardamenti delle infrastrutture
energetiche ma ha posto alcune condizioni difficilmente digeribili per Kiev:
"la
parte russa ha delineato una serie di punti essenziali riguardanti il controllo
efficace di un possibile cessate il fuoco lungo l'intera linea di contatto e la
necessità di fermare sia la mobilitazione forzata in Ucraina, sia il riarmo
delle forze ucraine", nonché' la fornitura di intelligence straniera.
Quindi
stop all'arruolamento, al riarmo e all' assistenza militare di Kiev, oltre a
paletti non meglio definiti per garantire la tregua lungo un confine di 2000
km, con Mosca che finora si è opposta al dispiegamento di truppe europee.
Putin ha inoltre informato Trump di uno scambio di 175
prigionieri per parte con l'Ucraina, a suo dire in programma domani, e ha
espresso "gratitudine al presidente americano per il suo desiderio di
contribuire a raggiungere il nobile obiettivo di porre fine alle ostilità e
alle perdite umane".
Nessun
riferimento per ora dalle due parti a eventuali concessioni, dai territori alla
Nato.
Ma i
due leader, informa la Casa Bianca, hanno anche affrontato anche altri tre
dossier importanti.
Hanno
parlato "ampiamente del Medio Oriente come regione di potenziale
cooperazione per prevenire futuri conflitti", in un momento in cui la
tregua a Gaza è collassata.
Hanno
discusso "della necessità di fermare la proliferazione di armi
strategiche", impegnandosi "con altri per garantire la più ampia
applicazione possibile":
una mossa che conferma l'intenzione di Trump
di ridurre le spese militari e gli arsenali nucleari, coinvolgendo anche altri
Paesi, a partire dalla Cina, il più potente alleato di Mosca.
E
hanno "condiviso l'opinione che l'Iran non dovrebbe mai essere nella
posizione di distruggere Israele", ossia di avere l'arma nucleare:
una
sponda russa che potrebbe rafforzare l'obiettivo del tycoon di costringere
Teheran ad un nuovo accordo sul nucleare.
Infine
"hanno concordato che un futuro con un miglioramento delle relazioni
bilaterali tra Stati Uniti e Russia ha enormi vantaggi.
Ciò
include enormi accordi economici e stabilità geopolitica quando sarà raggiunta
la pace":
quindi
pace ma soprattutto affari all'orizzonte, col mondo del business Usa già pronto
a tornare in Russia.
Per
ora Putin sembra uscirne avvantaggiato rispetto a Zelensky, dopo aver rotto
l'isolamento occidentale ed essere stato riabilitato come leader di una
superpotenza, trattato da pari a pari da Washington.
In una telefonata che al New York Times
rievoca la conferenza di Yalta del 1945, con la divisione del mondo in aree di
influenza e un nuovo ordine mondiale.
(ANSA).
Ucraina.
Trump-Putin: la telefonata
è
servita per avviare la grande spartizione.
Avvenire.it
- Elena Molinari, New York – (18 marzo 2025) – ci dice:
Stop
di 30 giorni degli attacchi russi alle centrali e alle infrastrutture, scambio
di prigionieri tra Mosca e Kiev, normalizzazione dei rapporti tra potenze: è la
prima bozza d'intesa senza Zelensky.
Vladimir
Putin ferma gli attacchi alle centrali in Ucraina per trenta giorni, acconsente
a liberare 175 prigionieri di guerra ucraini (in cambio di altrettanti soldati
russi) e accetta di tornare quanto prima ai negoziati di pace (probabilmente in
Arabia Saudita).
Donald
Trump prenderà in «considerazione» di mettere fine agli aiuti militari e alla
condivisione dell’intelligence di Washington con Kiev, oltre a imporre la fine
della mobilitazione forzata in Ucraina:
tutte
condizioni chiave poste dal presidente russo per la ripresa dei colloqui.
Nel
frattempo, il capo della Casa Bianca e quello del Cremlino organizzeranno
almeno una partita di hockey fra Usa e Russia negli Stati Uniti.
La
lista delle decisioni concrete prese nel corso dell’attesissima telefonata
sulla pace in Ucraina fra i leader russo e americano – durata oltre due ore – è
corta, e comprende un gesto altamente simbolico della «normalizzazione delle
relazioni bilaterali» tra Mosca e Washington che il Cremlino insegue
dall’insediamento di Trump e ieri ha enfatizzato come fondamentale risultato
del colloquio.
Un
ripristino di un’amicizia “alla pari” che concede a Putin il riconoscimento
dello status della Russia come grande potenza al pari degli Stati Uniti.
Non a
caso il comunicato emesso da Mosca alla fine della chiamata sottolinea la
«responsabilità condivisa di Russia e Stati Uniti per la stabilità nel mondo» e
la discussione «del Medio Oriente come di una regione nella quale avviare una
cooperazione per prevenire futuri conflitti».
Una
promozione per Mosca, che da quando ha invaso la Crimea è considerata un paria
dalla comunità internazionale, e anche un’alleanza in vista di una sorta di
nuova Yalta, una spartizione del potere mondiale che passa attraverso la
negoziazione bilaterale della fine del conflitto iniziato da Mosca.
Per
ora i contatti fra Trump e Putin non hanno portato a una vera e propria
divisione dei territori o delle risorse ucraine.
Ma le basi sono già state poste.
Putin,
che ha strappato la Crimea all'Ucraina nel 2014 e ora controlla circa un quinto
del territorio ucraino, ha ribadito che, per arrivare alla pace, la Russia deve
mantenere il controllo del territorio ucraino che ha occupato, che le sanzioni
occidentali devono essere sollevate e che Kiev deve organizzare elezioni
presidenziali per rimpiazzare Volodymyr Zelensky, che ora governa in base alla
legge marziale da lui imposta.
Da
parte sua, Trump da settimane spinge il presidente ucraino a concedere agli
Stati Uniti lo sfruttamento di buona parte delle terre rare e delle
infrastrutture ucraine, con Putin che ha suggerito che i minerali potrebbero
venire anche dai territori sotto il controllo russo.
Alla
vigilia della chiamata, inoltre, Trump aveva ventilato la cessione di territori
ucraini e il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia a Mosca, oltre
al riconoscimento Usa della Crimea come russa.
Il
portavoce del Cremlino “Dmitrij Peskov” ha respinto la definizione di «una
nuova Yalta» (città che, ironicamente, si trova proprio in Crimea) ma ha
sottolineato «l’intesa» tra i due leader, costruita già durante la prima
chiacchierata del 12 febbraio, e la loro volontà comune di riportare
«stabilità».
Nei
resoconti della telefonata delle due parti non è emersa alcuna discussione
delle “linee rosse” di Kiev, vale a dire le sue integrità territoriale e
sovranità, il fatto che nessun Paese abbia diritto di veto su un eventuale
ingresso dell’Ucraina nella Ue o nella Nato o possa imporre limitazioni alle
sue capacità di difendersi.
Zelensky
ha già accettato il cessate il fuoco proposto dagli Stati Uniti, mentre Putin
ha dichiarato più volte che le sue forze avrebbero continuato a combattere fino
a quando non fossero state accettate le sue condizioni chiave:
un
avvertimento confermato ieri sera da un attacco aereo lanciato da Mosca dopo la
telefonata tra Putin e Trump su Kiev, dove si sono registrate diverse
esplosioni.
Dalla
Finlandia, il presidente ucraino ha dunque ribadito ieri che la Russia deve
«cedere il territorio che ha conquistato» ed evidenziato che le ambizioni di
Mosca «non si fermeranno all'Ucraina se le verrà permesso di mantenere il
territorio che ha conquistato.
La presidente della Commissione Europea Ursula
von der Leyen ha implicitamente confermato il suo monito, avvertendo che la
Russia ha ampliato massicciamente la sua capacità di produzione
militare-industriale in preparazione di «un futuro confronto con le democrazie
europee».
Parlando con Trump, il primo ministro britannico” Keir
Starmer” ha invece ribadito «che tutti devono lavorare insieme per mettere
l'Ucraina nella posizione più forte possibile per garantire una pace giusta e
duratura», ha affermato il portavoce del leader britannico.
Ma
Trump, che è determinato ad ottenere un cessate il fuoco entro i suoi primi 100
giorni di governo, vale a dire il 29 aprile, sembra voler cementare a tutti i
costi la sua alleanza con il capo del Cremlino.
Ieri
ha enfatizzato che la conversazione telefonica «è stata molto buona e
produttiva» e condiviso l’importanza del contributo russo alla pace mondiale e
al contenimento dell’Iran: un punto chiave della politica estera del tycoon.
Putin
ha preso ancora
tempo
sul cessate il fuoco.
Ilpost.it
– Redazione –(8-3-2025) – ci dice:
Parlando
con Trump si è detto disponibile a sospendere per 30 giorni gli attacchi contro
le infrastrutture energetiche ucraine, ma nulla di più.
Il
presidente russo Vladimir Putin si è detto favorevole a interrompere per 30
giorni gli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine, a patto che
anche l’Ucraina faccia lo stesso con quelle russe.
Putin
l’ha detto durante una telefonata di circa due ore con il suo omologo
statunitense Donald Trump, nella quale i due hanno parlato della possibilità di
mettere fine alla guerra in Ucraina.
Putin
ha però espresso vari dubbi e imposto condizioni per raggiungere un cessate il
fuoco:
tra le
altre cose ha chiesto la completa interruzione, da parte di altri stati (quindi
anche quelli europei), degli aiuti militari e della condivisione di
informazioni d’intelligence con l’Ucraina.
Ha anche ribadito che il paese dovrebbe
smettere di riarmarsi, cosa che il presidente Volodymyr Zelensky ha già detto
essere irricevibile.
Poco
dopo la fine della telefonata Zelensky, che si trovava a Helsinki, in
Finlandia, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha commentato favorevolmente
la proposta di sospensione degli attacchi alle infrastrutture energetiche.
Ha
detto però che il fatto che Putin stia tentando di imporre molte condizioni
aggiuntive prima di accettare un cessate il fuoco vero e proprio è il segno che
«non è
pronto a mettere fine alla guerra».
La
proposta russa di sospendere gli attacchi contro le infrastrutture energetiche
è probabilmente meno efficace di quello che sperava di ottenere Trump, che
qualche giorno fa aveva detto:
«Vogliamo vedere se possiamo porre fine alla
guerra. Forse possiamo, forse non possiamo, ma penso che abbiamo ottime
possibilità».
La
scorsa settimana gli Stati Uniti e l’Ucraina avevano presentato una proposta
congiunta per un cessate il fuoco di 30 giorni (totale, non relativo solo alle
infrastrutture energetiche).
L’Ucraina
si era detta pronta ad accettarla, mentre Putin aveva sostanzialmente preso
tempo dicendo di non essere contrario, ma che c’erano ancora molte «questioni»
da discutere.
Ultimamente le operazioni militari russe
stanno avendo successo, e anche per questo Putin non ha particolare interesse a
interromperle con un accordo che non considera sufficientemente favorevole alla
Russia.
Dopo
la telefonata tra Trump e Putin la Casa Bianca ha detto anche che inizieranno
«immediatamente» in Medio Oriente (non è chiaro esattamente dove) dei negoziati
per sospendere gli attacchi nel Mar Nero, e per raggiungere un «cessate il
fuoco totale» e la «pace permanente».
Dall’inizio
della guerra, nel febbraio del 2022, sia la Russia che l’Ucraina hanno compiuto
spesso attacchi contro le rispettive infrastrutture energetiche, come centrali
elettriche, raffinerie, impianti di trattamento del gas e del petrolio.
Spesso
gli attacchi russi si sono concentrati su zone meno protette dalle difese
antiaeree ucraine e hanno causato grossi danni, lasciando molte città senza
elettricità anche durante i mesi più freddi dell’anno.
Dall’inizio del 2024 l’Ucraina sta conducendo
invece un’intensa campagna per colpire in particolar modo le infrastrutture
russe coinvolte nel trattamento e trasporto di gas e petrolio destinati
all’esportazione, usando droni esplosivi a lungo raggio.
Nel
comunicato russo si legge anche che Putin avrebbe proposto a Trump di
organizzare delle partite di hockey tra squadre russe e statunitensi nei due
paesi. La cosa non è menzionata nel comunicato diffuso dalla Casa Bianca.
Trump
e Putin decidono le condizioni
per la tregua in Ucraina, ma l’Europa
frena
già: ecco le proposte
di
Mosca e Washington.
Ilfattoquotidiano.it
– (18-03 -2025) – Redazione – ci dice:
Trump
e Putin decidono le condizioni per la tregua in Ucraina, ma l’Europa frena già:
ecco le proposte di Mosca e Washington
I due
presidenti tendono la mano a Kiev, ora tocca a Zelensky e agli alleati europei
rispondere: ma in Ue si continua a parlare di guerra.
Se le
tre ore di telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin passeranno alla storia
come la “Hockey Diplomacy” (sì, hanno parlato anche di organizzare match nei
palaghiaccio russi e americani) lo si scoprirà solo nelle prossime settimane.
Di
certo c’è che la chiamata ha segnato il primo passo concreto in direzione di
uno stop alle ostilità in Ucraina.
Perché
questa volta, a differenza delle semplici dichiarazioni d’intenti partorite al
termine degli altri bilaterali, da Washington e Mosca sono arrivate le prime
condizioni, e soprattutto i primi impegni, in direzione di un cessate il fuoco.
Il
Cremlino e la Casa Bianca lo hanno annunciato con comunicazioni diffuse in
contemporanea:
Putin
ha deciso di compiere il primo passo in favore della tregua ordinando lo stop
immediato agli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine.
Una decisione importante, dato che proprio la
distruzione del sistema di approvvigionamento ucraino ha fiaccato la resistenza
della popolazione nelle aree vicine al fronte nel corso del freddo inverno.
Si
tratta però di una ‘mano tesa‘, o almeno così la considerano Stati Uniti e
Russia, a tempo determinato:
il Cremlino manterrà il divieto di attacchi
alle infrastrutture energetiche per 30 giorni entro i quali sia Kiev sia i suoi
alleati sono chiamati a compiere anch’essi uno sforzo che testimoni la reale
volontà di sedersi al tavolo delle trattative con il conflitto congelato.
E le richieste da recapitare a Zelensky e
all’Europa sono già state messe sul tavolo: stop immediato alle forniture di
armi all’esercito ucraino e blocco della collaborazione a livello di
intelligence tra Kiev e gli alleati occidentali.
“I
negoziati” per arrivare al cessate il fuoco “inizieranno immediatamente in
Medioriente”, fa sapere la Casa Bianca, ma la palla adesso è già nelle mani di
Kiev e Bruxelles che dovranno decidere se le condizioni decise da Mosca e
Washington siano accettabili.
Se
così non fosse, il conflitto andrà avanti e la Federazione si sentirà libera di
riprendere anche gli attacchi alle infrastrutture energetiche.
Le
parole che arrivano dal Vecchio Continente non fanno certo ben sperare. Proprio
mentre i due leader mondiali trattavano sulle prime condizioni della tregua,
Ursula von der Leyen è intervenuta ospite della Royal Danish Military Academy
per ribadire la linea bellicista di Bruxelles:
“Se l’Europa vuole evitare la guerra, deve
prepararsi alla guerra“, ha esordito.
Per
poi spiegare le motivazioni che si trovano dietro alla decisione di forzare
l’approvazione del suo piano di riarmo europeo “Rearm Europe! “:
“Entro
il 2030, l’Europa deve avere una forte posizione sulla difesa.
‘Prontezza 2030‘ significa aver riarmato e
sviluppato le capacità per avere una deterrenza credibile.
La
portata, i costi e la complessità dei progetti vanno ben oltre le capacità di
ogni singolo Paese.
Ecco perché dobbiamo sviluppare progetti su
larga scala e intensificare gli appalti congiunti”.
Il
cancelliere tedesco uscente, Olaf Scholz, ha accolto positivamente la decisione
della Federazione russa di fermare gli attacchi alle infrastrutture energetiche
ucraine ma, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente
francese Emmanuel Macron, ha poi concordato con lui che Francia e Germania non
bloccheranno gli aiuti militari a Kiev.
Lo sguardo dell’Europa sembra ancora rivolto
verso una direzione completamente opposta a quella di Mosca e Washington.
"Clima,
pandemia e guerra
le crisi che minano il futuro”
Lanazione.it
– Dott. Francesco Bovenzi – (29 – 03 – 2022) – ci dice:
L’uomo
sta vivendo suo malgrado l’esperienza di adattamento a una pluralità di minacce
e devastazioni che mettono in discussione la sua stessa vita e salute.
Due
anni fa l’inizio della pandemia ha cambiato il volto del mondo costringendo per
prima l’Italia e poi tanti paesi ad adottare misure da tempi di guerra con
chiusura dei confini e diffusi lockdown.
La
domanda che molti si pongono è quando la società tornerà pienamente ai modelli
di comportamento pre-pandemici.
In
verità, la scienza non può prevedere quali altre varianti del coronavirus
emergeranno e quale potrà essere la traiettoria della pandemia, certamente non
lineare come dimostra la sommessa recrudescenza di questi ultimi giorni.
Gradualmente
la maggior parte delle persone percepirà il Covid-19 come un rumore di fondo,
un rischio presente simile all’influenza, ma non potrà esistere un solo momento
in cui la nostra vita sociale tornerà d’improvviso alla normalità.
L’ottimismo
generato in Europa dai vaccini per contrastare la pandemia è stato cancellato
in poco più di un mese dal nefasto presagio per il destino del popolo ucraino
travolto dalla follia di un uomo che invadendo uno Stato indipendente ha
seminato odio e morte, distrutto famiglie e culture che rifiutano i modelli
sovietici riportandoci indietro negli scenari da guerra fredda.
Le cruente battaglie combattute ai confini
dell’Europa lanciano una minaccia esistenziale che genera in noi sentimenti di
angoscia, nuovi disagi, insicurezza alla vista dei massacri e di circa 4
milioni di ucraini logorati che fuggono verso la Polonia in cerca di sicurezza.
Migliaia
di anziani, donne e bambini senza casa, profughi dagli orrori della guerra
vivono il più grande esodo dal novecento in cerca di protezione e aiuto.
Anche
Lucca con la sua antica vocazione ai valori dell’ospitalità, della solidarietà
e della pace, tra le prime città in Italia sta accogliendo, integrando e
assistendo i crescenti profughi con una capillare organizzazione che coinvolge
l’intera provincia.
La catena lucchese delle donazioni di beni di
prima necessità, denaro e farmaci è partita spontanea e non si arresta grazie
al buon cuore e alla disponibilità di tanti privati cittadini, della diocesi,
aziende, enti, istituzioni e associazioni.
Se la
pandemia in due anni ha cambiato il mondo, oggi la guerra lo sta stravolgendo a
cominciare dall’Europa.
È
inevitabile che un’aggressione di così ampia portata che sta uccidendo migliaia
di persone e materializzando milioni di esuli catturi la nostra preoccupazione,
sotto la veste di una sfida immediata da vincere con l’unità del fondamento
europeo.
Nel
corso della pandemia la guerra è stata spesso utilizzata come metafora che
identificava il virus come nostro nemico da combattere, le tattiche per
contrastarlo, gli eroi identificati nel personale sanitario e nel volontariato,
il fronte interno fatto da chi restava rinchiuso in casa per sopravvivere come
protetto in un rifugio, le scuole chiuse, la crisi dei sistemi sanitari,
l’indebolimento delle economie e dei flussi finanziari mondiali.
Una
cascata di eventi imprevedibili ha travolto l’uomo moderno che pensava di avere
il controllo totale del suo futuro, ma che all’improvviso sta vivendo suo
malgrado l’esperienza di adattamento ad una pluralità di minacce e devastazioni
che mettono in discussione la sua stessa vita e salute: la pandemia, le guerre,
l’onnipresente crisi climatica.
L’inferno
ucraino con le immagini terribili di distruzioni e violenza sulla povera gente
ha sostituito negli spazi della comunicazione l’emergenza pandemica.
In pochi mesi il mondo non riesce più a
guardare orgoglioso al futuro della sua gente, si ritrova spogliato delle sue
certezze.
Tutto
è diventato improvvisamente possibile, nulla improbabile come la paura
dell’utilizzo di armi non convenzionali, nucleari, batteriologiche e chimiche.
La
dimensione sociale della crisi scatenata dalla guerra richiede grande
solidarietà da parte di tutti, azioni comuni, responsabilità, cooperazione,
diplomazia che non riusciamo a coniugare per la prepotenza di tattiche
geopolitiche, nuovi interessi economici e finanziari, vecchi rancori religiosi,
accaparramento di risorse energetiche, conquista di sbocchi sul mare,
armamenti, narrazioni di potere e mire espansionistiche.
L’umanità
si trova oggi ad un bivio per salvaguardare il suo futuro di civiltà e di
progresso.
Il
primo passo deciso sarà verso la salvaguardia della libertà, delle democrazie e
della pace, contro ogni barbarie e guerra.
Purtroppo, le tragedie umanitarie non si
fermano qui vanno oltre quell’orizzonte oscuro che oggi è popolato di contagi
virali e bombe.
Nei
prossimi anni faremo i conti con l’emergenza dei cambiamenti climatici e
dell’inquinamento atmosferico responsabili di gravissimi danni alla salute.
Quest’anno dal 7 al 9 luglio nell’Auditorium di San Francesco, in occasione di
A Cardio
-Lucca, daremo ampio spazio scientifico all’emergenza pandemica Covid-19,
inoltre, con il contributo di idee delle nostre massime istituzioni tratteremo
per primi le principali crisi esistenziali e sociali che minacciano la salute,
la pace e il futuro dell’umanità.
La
questione della proprietà della
moneta
al momento
della
sua emissione.
Macrolibrasi.it
– Redazione - Antonio Miclavez e Marco Della Luna – (18 anni fa) – ci dicono:
Tratto
dal libro "Euroschiavi e i segreti del signoraggio" di Marco Della
Luna e Antonio Miclavez.
La
Banca Centrale emette denaro per un valore, supponiamo, di mille miliardi di
Euro.
Quel
valore, quei mille miliardi, di chi sono?
A chi
appartiene la moneta, il valore del denaro, nel momento in cui viene emessa
dalla Banca Centrale?
Alla Banca Centrale stessa, che quindi ha
diritto di farsela pagare dallo Stato?
O allo Stato, al popolo, che quindi non
dovrebbe pagare né il denaro né gli interessi alla Banca Centrale quando ha
bisogno di denaro?
Si
tratta di una questione fondamentale, perché dalla risposta che essa riceve,
dipende essenzialmente l’indebitamento dello Stato.
Il
fatto che l’esercizio del potere monetario attraverso la Banca Centrale è uno
strumento di potere dei banchieri sullo Stato, trova conferma in come le
istituzioni statali sono impegnate a equivocare e a mentire in tutte le sedi,
anche parlamentari, per coprire il fatto che la Banca d’Italia cede a caro
prezzo denaro che a essa niente costa e a cui non è essa a dare il valore,
ossia il potere di acquisto.
Il
potere di acquisto, come abbiamo visto, glielo conferisce il mercato, la gente,
attraverso la domanda di denaro.
La Banca Centrale non ha “prodotto” il valore
del denaro, eppure si comporta come se fosse proprietaria del medesimo denaro,
in quanto lo cede allo Stato (e alle banche commerciali) in cambio di titoli di
Stato e contro-interessate.
Questo
fatto è paradossale.
È come
se il tipografo, incaricato dagli amministratori della società calcistica
organizzatrice di una partita di stampare 30.000 biglietti di ingresso per le
partite del campionato, col prezzo di € 20 stampato su ogni biglietto,
chiedesse come compenso per il suo lavoro di stampa € 600.000, in base al fatto
che i biglietti che ha prodotto “valgono” € 20 cadauno.
È vero che essi “valgono” € 20 cadauno, ma che
essi abbiano un valore non dipende dal tipografo, bensì dall’associazione
sportiva che ha formato la squadra, procurato il campo da gioco e organizzato
la partita, sostenendo i relativi costi e producendo la domanda di quei
biglietti, senza la quali questi niente varrebbero.
Gli
amministratori della società sportiva lo sanno bene, ma il tipografo in parte
li ricatta e in parte li lusinga perché promette loro che, se gli pagheranno
l’ingiusto compenso richiesto, egli darà loro un lauto regalo e i fondi per
farsi rieleggere alle prossime elezioni del consiglio di amministrazione.
Altrimenti,
finanzierà altri candidati e una campagna di stampa contro i consiglieri
onesti.
Il
potere bancario si comporta come quel tipografo, e i governanti si comportano
come i consiglieri ricattati e lusingati dell’associazione sportiva,
riconoscendo alla Banca Centrale la proprietà o titolarità del valore del
denaro che emette, stampato o scritturale che sia, e in cambio di esso
indebitano ingiustamente e illogicamente proprio il popolo, che è il soggetto
che, col suo lavoro e con la sua domanda, ossia col mercato, conferisce valore
al denaro.
Per
questa ragione, oltre che in base al principio costituzionale della sovranità
popolare, al momento in cui viene emesso, il denaro, il suo valore, dovrebbe
logicamente essere ed essere trattato come proprietà del popolo e, per esso,
dello Stato.
Assolutamente
lo Stato non dovrebbe indebitare sé stesso e il popolo verso una Banca
Centrale, pubblica o privata che sia, per ottenere denaro.
Al
contrario, ciò è proprio quanto succede incessantemente.
Ma vi è di peggio:
la Banca Centrale, cioè i suoi azionisti,
oltre ad appropriarsi, a danno dello Stato, del valore del denaro che essa
emette, nei
suoi propri conti segna questo valore non all’attivo ma al passivo, simulando un debito ed evitando,
così, di pagare le tasse su quello che è un puro incremento di capitale e che,
come tale, dovrebbe essere interamente tassato.
L’ovvio
ragionamento che abbiamo appena svolto è stato già sottoposto al Parlamento,
attraverso interrogazioni parlamentari, nel 1994 e nel 1995.
Entrambe
le risposte elusero il problema, affermando che la Banca Centrale (allora,
cioè, la Banca d’Italia) non sarebbe proprietaria dei valori monetari, ossia
del valore del denaro emesso, perché il denaro emesso costituirebbe sempre un
passivo, un debito;
e che,
perciò, giustamente la Banca d’Italia lo iscriveva come posta passiva nel
proprio bilancio.
Come i
membri competenti dei due governi interessati non potevano ignorare, queste
risposte sono del tutto contrarie alla verità.
Innanzitutto, la risposta fornita è
contraddetta dal comportamento dei governi medesimi – di tutti i governi.
Infatti,
se i governi fossero coerenti con l’affermazione che il denaro, il valore
monetario, non appartiene alla Banca emittente, perché lo Stato continua a dare
qualcosa (i titoli del debito pubblico) in cambio di Lire o Euro?
E se
il denaro emesso costituisse una passività, un debito, perché mai lo Stato
dovrebbe comperarlo pagandolo con titoli del debito pubblico, che costituiscono
un credito per chi li riceve?
Si è
mai visto che qualcuno paghi un altro per farsi cedere un debito?
Ma le
risposte del governo sono anche false giuridicamente, perché il denaro non è
affatto un debito per la Banca che lo emette.
Se fosse un debito, dovrebbe poter essere
incassato dal portatore presso la Banca medesima, mediante conversione in oro,
e il portatore della banconota aveva il diritto di farsela cambiare in oro
dalla Banca Centrale che l'aveva emessa, come avveniva una volta, fino al 1929
circa, quando il denaro era convertibile in oro.
Anche
in tempi successivi al 1929, molte banconote portavano la scritta “Pagabile a
vista al portatore”.
Ma pagabile in che cosa, dato che esse non
erano convertibili in oro?
In realtà, quei biglietti non erano pagabili
in alcun modo e quella scritta era una menzogna per ingannare il pubblico e
fargli credere che i biglietti di banca fossero convertibili in qualcosa avente
valore proprio o che la banca si fosse indebitata per emetterli, il che è falso
(mentre
era vero in un ormai lontano passato).
Del
resto, è naturale che nessun governo potrebbe permettersi di dare risposte
veridiche a simili questioni, perché ammetterebbe che la sua vera funzione è
defraudare i cittadini e gli elettori per arricchire un’élite finanziaria che
detiene il vero potere.
Ma
quanto sopra costituisce solo la punta dell’iceberg.
Perché
il grosso, circa l’85%, del denaro esistente e circolante al mondo, non è
denaro vero, emesso da Banche Centrali, ma denaro creditizio, ossia aperture di
credito e disponibilità di spesa create dal nulla dalle banche commerciali, le
quali, attraverso questa creazione continua di nuovo denaro creditizio, si
impossessano di quote crescenti del potere d’acquisto complessivo della
popolazione mondiale. Di ciò si parlerà più diffusamente in seguito in tema di
signoraggio secondario o creditizio.
Caro
Cittadino europeo, sapevi che...?
Il
debito pubblico è fasullo e le tasse che paghi a causa di esso sono illegali e
incostituzionali.
Banca
d’Italia S. p. A, autorizzata a creare in modo autonomo denaro dal nulla senza
garanzie auree o di altro tipo, è dal 1948 di proprietà privata.
I suoi
azionisti (detti ‘partecipanti’) sono le altre banche e assicurazioni private.
Il debito pubblico dello Stato, quindi dei cittadini, nasce nei loro confronti.
La
Banca d’Italia (analogamente alla Banca Centrale Europea) usa un artificio
contabile più o meno espressamente legalizzato per camuffare i propri utili,
non pagare le tasse su essi dovuti e per non darli allo Stato, come dovrebbe
per statuto.
La
Banca d’Italia dovrebbe, per statuto, vigilare sulla correttezza delle altre
banche;
ma
essa stessa è di proprietà di banche private, le quali nominano il suo
governatore e i suoi direttori; quindi questi dovrebbero sorvegliare chi li
nomina – cosa del tutto improbabile.
Le
tasse vanno in gran parte a pagare il debito pubblico e gli interessi su di
esso, quindi finiscono in tasca ai proprietari privati della Banca d’Italia e
della Banca Centrale Europea, e non per spese di interesse collettivo.
Per
arricchirli, il debito pubblico viene continuamente fatto crescere – e ciò non
solo in Italia e non solo di recente.
L’organizzazione
a monte di questo sistema di potere bancario è internazionale: in quasi tutti
gli altri Paesi, infatti, la situazione è simile a quella italiana.
Tale
sistema, di cui i mass media si guardano bene dal parlare (come pure i
sindacalisti, i parlamentari, i ministri, i presidenti) ha prodotto nel tempo,
e ancor oggi sempre più produce, un enorme e sistematico trasferimento di beni
e di ricchezze dalle tasche dei cittadini a quelle dei banchieri, ma anche un
trasferimento del potere politico dalle istituzioni democratiche alle mani dei
banchieri sovranazionali.
Il
vero potere politico ed economico, a livello mondiale e nazionale, sta in
questi meccanismi, ignoti a tutti o quasi; essendo sconosciuti, essi sono ancor
più efficaci…
Il
Trattato di Maastricht, l’Euro, la Banca Centrale Europea, sono strumenti di
completamento di questo trasferimento.
La corrente
mancanza di denaro, la crisi economica, i fallimenti e le privatizzazioni sono
pilotati da loro attraverso governi a sovranità limitata, e vanno a loro
vantaggio.
La
soluzione efficace è ben nota ed è stata ripetutamente proposta:
restituire al popolo, quindi allo Stato, la
funzione sovrana dell’emissione del denaro, in modo che non si debba più
indebitare. Il risultato sarebbe: tasse quasi eliminate, denaro a costo zero per lo
stato e la Pubblica Amministrazione, economia fiorente; potere politico democratico anziché in
mano alle banche.
Ovviamente,
gli unici danneggiati da questa riforma sarebbero i banchieri.
È
anche stata proposta una soluzione parziale: la moneta complementare,
sull’esempio di migliaia di realtà nel mondo.
Sono
state proposte e talora attuate, nella storia, anche soluzioni globali, e hanno
funzionato:
l’emissione
di denaro da parte dello Stato, direttamente e sovranamente, senza l’inutile
intermediario di una banca centrale di emissione.
Se
quanto sopra ti lascia un poco perplesso, continua a leggere, e tutto ti
apparirà chiaro...
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Euroschiavi.
6°Edizione
Aggiornata ed Ampliata - Dal Signoraggio monetario al Signoraggio biologico: la
Rivelazione.
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L’Italia
è sempre più povera a causa di un debito pubblico in continuo aumento che
comporta un’elevata pressione fiscale.
Il
debito pubblico è un’invenzione costruita da politici e banchieri al fine di
arricchire gli azionisti privati della banca...
“La questione della proprietà della moneta al
momento della sua emissione”.
(Antonio
Miclavez, Marco Della Luna.)
A chi appartiene
la moneta?
Ma non
è affatto vero che il denaro è della BCE!
La BCE
NON STAMPA DENARO E NON POSSIEDE NESSUNA RISERVA MONETARIA COME, DEL RESTO, LA
FEDERAL RESERVE USA.
Quando ordina di stampare denaro, con file
inviato alle banche centrali nazionali, ordina alle banche nazionali di
stampare denaro vero, o contante.
Secondo
articolo 117 della Costituzione italiana afferma che:
" Lo Stato ha legislazione esclusiva
nelle seguenti materie;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati
finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e
contabile dello stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle
risorse finanziarie."
Se, quindi, lo stato è proprietario della
moneta e per questo anche di quella cartacea, per quale motivo non stampa
moneta?
(Roberto
Mario Mastelloni).
Se il
Patto di stabilità si ferma
al
semaforo tedesco.
Lavoce.info
- Matteo Bursi – (16/05/2023) – ci dice:
(Stato
e istituzioni, Unione europea.)
La
Commissione europea ha ufficialmente presentato le proposte di revisione del “Patto
di stabilità e crescita”.
Si tratta di un passo avanti rispetto al
quadro attuale. A ostacolarne l’adozione potrebbe essere la complessa situazione politica
in Germania.
Il 26
aprile, la Commissione europea ha ufficialmente presentato le proprie proposte
legislative in merito alla revisione del Patto di Stabilità e crescita (Psc),
sottolineando l’intenzione di rendere operative le nuove norme già a partire
dal 2024.
Al
netto di alcune modifiche, è ragionevole affermare come il “Berlaymont” abbia
sostanzialmente preservato la struttura della comunicazione pubblicata il 9
novembre 2022, respingendo, da un lato, l’ipotesi di creare una “golden rule”
e, dall’altro, quella di mantenere obiettivi numerici “rigidi” per gli stati
che non rispettano i parametri di Maastricht.
Gli
elementi più rilevanti del modello prospettato dalla Commissione europea sono i
seguenti:
la
definizione di “percorsi di rientro” differenziati per gli stati con un
rapporto debito/Pil superiore al 60 per cento.
Bruxelles propone infatti di mantenere i
valori stabiliti con il “Trattato di Maastricht” ma, allo stesso tempo, prevede
di delineare per ogni paese un percorso specifico di riduzione del debito, in
modo da non imporre aggiustamenti draconiani come quelli contemplati dal
cosiddetto “Fiscal Compact”.
In quest’ottica, pare dunque che la
Commissione abbia deciso di adottare degli standard e di accantonare le più
rigide rules (come suggerito );
ogni
“percorso” dovrebbe avere una durata minima di 4 anni e andrebbe concordato da
Commissione europea e stati membri sulla base di “debt sustainability analysis.”
In questa cornice, spetterebbe innanzitutto
alla Commissione il compito di proporre delle “technical trajectoriesW” mirate
a portare, con un’elevata probabilità, a una riduzione del rapporto debito/Pil
al termine dell’orizzonte temporale prestabilito.
Successivamente,
i paesi dovrebbero presentare le proprie controdeduzioni, al fine di trovare un
accordo con la Commissione;
al
Consiglio spetterebbe poi il compito di approvare l’accordo raggiunto.
In
caso di particolari impegni di investimento/riforme, il piano di rientro
potrebbe essere allungato fino a 7 anni complessivi, in modo da fornire un più
ampio margine di manovra agli stati membri.
Nella
proposta del 26 aprile, la Commissione ha aggiunto una specifica riguardante la
possibilità per i nuovi governi di richiedere una revisione del piano, seppur
con la previsione di non mettere a repentaglio la riduzione debitoria
deliberata dal precedente esecutivo;
l’unico
valore preso come riferimento da parte della Commissione europea sarebbe quello
relativo alla crescita della spesa primaria netta rispetto al Pil.
In questo modo, si abbandonerebbe il
riferimento al controverso “output gap” e non si considererebbero gli interessi
pagati sul debito pubblico e le misure temporanee afferenti al contrasto della
disoccupazione;
l’importo
delle sanzioni verrebbe ridotto;
cosicché, secondo la Commissione europea,
potrebbero essere applicate con più facilità.
Al contempo, per gli Stati con un rapporto
debito/Pil particolarmente elevato (substantial public debt challenge), in caso
di deviazione rispetto al percorso concordato, la Commissione prevede di accelerare
l’avvio della procedura di infrazione;
l’autonomia
delle “Independent Fiscal Institutions nazionali “(Ifis) sarebbe rafforzata,
così come il loro ruolo di controllo all’interno dei singoli paesi membri: per
esempio, in caso di raccomandazioni provenienti da questi soggetti, i governi
dovrebbero seguire il principio del “comply or explain”;
nella
proposta del 26 aprile, infine, la Commissione ha specificato alcuni ulteriori
elementi:
(Tanti
ostacoli per la difesa europea.)
I) gli Stati che presentano un rapporto
deficit/Pil superiore al 3 per cento dovrebbero conseguire un aggiustamento di
bilancio minimo dello 0,5 per cento del Pil su base annua (fintanto che il valore non torni a
essere conforme al parametro stabilito con Maastricht);
II)
alla fine del percorso di rientro, il rapporto debito/Pil dovrebbe essere
minore di quello iniziale;
III)
lo “sforzo fiscale” sostenuto durante il piano dovrebbe essere almeno
proporzionale a quello previsto per la totalità del periodo;
IV) in
caso di estensione del piano, accordata alla luce di un impegno a realizzare
riforme/investimenti, la maggior parte della “correzione di bilancio” dovrebbe
avvenire nei primi 4 anni.
Più
luci che ombre.
Secondo
la mia opinione, la proposta della Commissione europea va considerata come un
miglioramento rispetto al quadro attuale.
Dal
modello proposto, infatti, emergono in particolare tre elementi che mi sembrano
positivi:
1) la
creazione di percorsi differenziati permetterebbe di accantonare gli attuali
irrealistici obiettivi di riduzione del debito, dando modo alla Commissione di
valutare la situazione di ogni stato sulla base delle sue specificità;
2)
considerando la spesa netta primaria, i governi verrebbero giudicati sulla base
di un parametro che è sotto il loro diretto controllo.
In
questo modo, i paesi con un importante debito pubblico accumulato decenni
addietro (come il nostro) non verrebbero oltremodo penalizzati di fronte a un
aumento dei tassi di interesse;
3)
l’estensione dei piani fino a 7 anni potrebbe garantire una “tutela” per gli
investimenti pubblici, assicurando agli stati con un rapporto debito/Pil
elevato una gradualità che il contesto normativo attuale non prevede.
Proprio
rispetto agli investimenti pubblici, tuttavia, sorge una possibile criticità.
La transizione energetica, ad esempio, richiede una spesa
alquanto rilevante che, probabilmente, neanche la gradualità prevista potrebbe
garantire.
Allo
stesso modo, sarà necessario valutare con attenzione i parametri selezionati
per condurre le” debt sustainability analysis”:
le valutazioni “tecniche” possono mutare
considerevolmente in base ai fattori presi come riferimento.
I “dialoghi” previsti dalla Commissione in
fase di definizione dei piani pluriennali saranno pertanto fondamentali e, in
quest’ottica, sarà importante operare con un elevato grado di trasparenza al
fine di non far percepire diversità di trattamento a seconda del differente
peso politico dei singoli stati.
(Quando
è il federalismo a garantire i diritti delle minoranze).
La
posizione di Berlino.
A
questo punto, rimane solo da capire se la proposta della Commissione europea
verrà avallata, o meno, da parte dei paesi membri.
Fra
questi, si è già levata una rilevante voce dissenziente:
quella
del ministro delle Finanze di Berlino, Christian Lindner.
Sin
dalla lettera inviata il 25 aprile al “Financial Times”, il leader dei liberali
tedeschi ha infatti espresso il suo dissenso rispetto alla modifica delineata
da Bruxelles, reputando evidentemente non sufficiente l’introduzione del
requisito di aggiustamento fiscale minimo dello 0,5 per cento del Pil per i paesi
con un deficit superiore al 3 per cento.
Quello
che tuttavia va ancora chiarito è se la posizione di “Lindner” corrisponda a
quella dell’esecutivo tedesco. In quell’ircocervo rappresentato dal governo
semaforo (Verdi – Liberali – Spd), tendenze progressiste e conservatrici si
confrontano in continuazione, portando a fughe in avanti che sovente
rappresentano la posizione di un singolo partito piuttosto che quella della
coalizione.
Lindner, probabilmente preoccupato di regalare
consensi alla “Cdu” di Friedrich Merz o ad “Alternative für Deutschland”, cerca
di assumere il ruolo di garante del rigore finanziario, richiamando
l’attenzione sull’esigenza di non aumentare i debiti pubblici dell’Eurozona.
I “Grünen”, dal canto loro, incarnano invece
il ruolo degli europeisti, ponendo l’enfasi sulla necessità di ampliare gli
investimenti pubblici al fine di combattere il cambiamento climatico.
I social-democratici del cancelliere Scholz,
per il momento, si tengono un passo indietro ma, presto o tardi, saranno
obbligati a prendere posizione in modo più chiaro.
L’impressione
è che la partita relativa al Patto di stabilità si giochi tanto a Bruxelles
quanto a Berlino:
un occhio ai sondaggi politici interni alla
Germania potrebbe dunque restituire indicazioni più chiare rispetto alle
dichiarazioni rese a margine di un Consiglio europeo.
Banche,
meno prestiti alle piccole e medie imprese:
i
rischi del grande risiko.
Corriere.it - Edoardo De Biasi – (14-01 –
2025) – ci dice:
Bper e
Banco Bpm sono gli istituti più impegnati in percentuale nel finanziamento alle
famiglie e alle Pmi.
La
mossa di Unicredit su Piazza Meda potrebbe far venire meno un’importante
interlocutrice del made in Italy.
Scegliere
il prestito giusto è una decisione fondamentale.
Soprattutto
per le piccole e medie imprese che sono il vero motore dell’economia del nostro
Paese e stanno vivendo in un contesto di forte incertezza caratterizzato da
tensioni geopolitiche, innovazione e crisi energetica.
Le Pmi sono la spina dorsale della nostra
economia e rappresentano la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale.
Per essere definite in questo modo esistono
dei criteri ufficiali stabiliti dalla Ue.
La
definizione non si basa solo sul fatturato ma considera anche il numero di
dipendenti e il bilancio annuale.
Questi
principi sono stati fissati per distinguerle dalle grandi aziende e per
consentire loro di accedere a finanziamenti e agevolazioni fiscali che mirano a
favorirne la crescita.
I
criteri.
Il
primo criterio è il numero di dipendenti che non deve superare le 250 unità per
la media impresa mentre quella piccola non deve averne meno di 50.
Il secondo parametro riguarda il fatturato che
non deve superare i 50 milioni e i 10 milioni.
Un
ulteriore requisito è il bilancio annuo.
Se un’azienda non soddisfa il criterio del
fatturato, può comunque essere considerata una Pmi se il totale del bilancio
annuo (cioè il valore totale delle attività) non supera i 43 milioni.
Banche.
Banco
Bpm verso l’aggiornamento del piano industriale: più redditività e dividendi ai
soci.
(Andrea
Rinaldi)
Le
fonti di finanziamento.
Ma
torniamo ai prestiti.
I
finanziamenti possono provenire da diverse fonti come banche, enti pubblici,
piattaforme di crowdfunding o investitori privati.
Gli istituti restano però di gran lunga la
scelta preferita, offrendo diverse opzioni come finanziamenti a lungo termine,
linee di credito o leasing.
Da qui anche l’importanza dell’”Ops” di
Unicredit su Banco Bpm, visto che le due banche giocano una partita rilevante
nel mondo delle Pmi.
Come è
risaputo il peso di questo segmento all’interno del quadro produttivo è
rilevante.
Sul
totale delle imprese attive, circa il 95% è costituito dalle microimprese e un
4,8% dalle Pmi.
Inoltre,
queste ultime sono responsabili di oltre il 40% dell’intero fatturato generato
a livello nazionale, del 33% degli occupati nel settore privato e del 38% del
valore aggiunto del Paese.
Il
mercato si presenta però in continua evoluzione e le medie imprese necessitano
sempre di più di partner finanziari che offrano opzioni su misura per sostenere
la crescita, la sostenibilità e l’internazionalizzazione.
Gli
importi.
Ma
andiamo con ordine.
Intesa
Sanpaolo è in Italia il principale istituto con un importo di prestiti
(comprendendo anche i mutui) di 360 miliardi, grazie alla sua vasta gamma di
servizi come soluzioni personalizzate per il finanziamento di progetti
strategici mentre il programma “Cresci business” è ideato per sostenere le Pmi
in settori chiave come la digitalizzazione.
Tra i
principali vantaggi:
l’accesso
al credito agevolato, grazie a partnership con istituzioni europee e nazionali;
il
supporto per l’espansione internazionale, con servizi di consulenza e strumenti
di copertura del rischio.
Anche
UniCredit con oltre 170 miliardi è importante per le realtà che operano o
vogliono espandersi all’estero.
Banco
Bpm rappresenta, con oltre 100 miliardi di finanziamenti concessi soprattutto
in Lombardia, un momento significativo per la rete di consulenza locale
capillare.
In particolare, offre finanziamenti agevolati
legati a progetti di innovazione, il supporto alla gestione del rischio
finanziario e soluzioni integrate per i flussi di cassa.
Anche
Bper (88 miliardi) si distingue per il legame con i territori.
In particolare,
vanno sottolineati i finanziamenti garantiti dal Fondo di garanzia e le
soluzioni per la gestione internazionale.
La
classifica.
Ma
quali sono le banche che in percentuale sugli attivi finanziano maggiormente le
famiglie e le Pmi italiane?
Le
principali sono Bper e Banco Bpm, seguite da Mps, Intesa San Paolo e Unicredit.
Inoltre, Banco Bpm, Bper e Mps sono totalmente esposte verso nostre aziende,
Intesa per il 90% mentre Unicredit, vantando una forte presenza estera, per il
38%.
E qui
sorge un interrogativo.
La
mossa di “Andrea Orcel”, ceo di Unicredit, su Bpm rischia di far venire meno
quella controparte terza che sarebbe stata in grado di sindacare un’importante
fetta di crediti.
In poche parole, si rischia di ridurre la
quantità di credito erogato dalle banche italiane alle Pmi.
L’eventuale
cessione al Crédit Agricole, principale socio di Banco Bpm (15,1% con la
richiesta di arrivare 19,9%), delle filiali eccedenti per limiti antitrust dopo
la fusione con Unicredit andrebbe infatti a costituire un terzo polo estero.
Il
territorio.
Nessuno
vuole mettere in dubbio le dinamiche di mercato ma un tempo gli assetti del
sistema bancario erano oggetto di complesse discussioni tra i partiti politici.
E la
mossa di Unicredit rappresenta un’occasione per accendere i riflettori sullo
stato del sistema creditizio (per questo motivo si pensa a una fusione Bpm con
Mps) se è vero, come è vero, quello che ha detto il ministro dell’Economia
Giancarlo Giorgetti all’assemblea Abi:
«Le banche italiane sono e continueranno a
essere il braccio operativo dell’economia del Paese, degli imprenditori che
ogni giorno rischiano per fare impresa e rendere il nostro Paese competitivo.
La banca non è un algoritmo. Non lo deve
essere.
E
soprattutto non lo può essere il banchiere».
Che
cosa rende il sistema bancario strategico?
Più di
un fattore.
Di
certo uno di questi è il valore aggiunto che apportano gli istituti di media
dimensione al territorio.
Questo proprio grazie al ruolo essenziale che
svolgono a sostegno delle Pmi (l’Italia è anche la seconda manifattura europea con quattro
milioni di microaziende che hanno meno di dieci dipendenti).
La
mappa della partita.
Banche,
cosa succede ora?
Non
solo Unicredit su Bpm: Intesa e Bper, le mosse di Crédit Agricole e il nodo Mps.
(Daniela
Polizzi, Andrea Rinaldi e Stefano Righi).
Le
medie dimensioni.
Le
banche di medie dimensioni, grazie al loro modello basato su una gestione
orientata alla sostenibilità e su una prospettiva a lungo termine, sono un
fattore chiave per garantire uno sviluppo e una crescita durevole del sistema
economico.
A causa degli alti costi di transizione, molte
Pmi rischiano di trovarsi tagliate fuori da questa svolta epocale che va
necessariamente intrapresa per evitare di lasciarsi sfuggire importanti
opportunità.
Le
regole strette.
Avere
un efficiente accesso al credito è fondamentale per queste realtà che saranno
presto chiamate ad affrontare rilevanti scelte per sostenere la loro sopravvivenza.
Inoltre,
a causa delle crisi finanziarie, le banche europee devono sottostare a criteri
sempre più stringenti per la concessione di prestiti.
Queste
regole sono diventate un ulteriore limite.
Ecco
perché bisognerebbe ripensare ai “modelli della Vigilanza Bce” per garantire
sia la solidità del sistema creditizio che la crescita dei singoli Paesi.
Il
credito alle imprese
è
un’emergenza.
Lavoce.info - Rony Hamaui – (10/03/2025) - Banche e
finanza, Imprese – ci dice:
Le
banche italiane hanno ridotto drasticamente i prestiti alle imprese.
Soluzioni
alternative non si sono sviluppate per le condizioni del mercato dei capitali e
le dimensioni aziendali.
Forse
bisogna ripensare all’assicurazione pubblica dei crediti.
Prestiti
in calo da anni.
I
processi di aggregazione in corso nel settore bancario hanno riacceso le
preoccupazioni delle imprese sull’accesso al credito.
Il timore è che banche più grandi e lontane
dal territorio siano meno interessate a prestare alle piccole imprese, che
rappresentano il cuore del nostro apparato produttivo.
Inoltre,
i processi di fusione possono portare a una concentrazione del rischio e a una
conseguente riduzione del credito (1+1=1,5).
Neppure una puntigliosa attività delle
autorità volta a tutelare la concorrenza riesce ad affrontare pienamente il
problema.
Tuttavia,
la questione dell’accesso al credito, che risulta fondamentale per la crescita
economica, in Italia ha una portata ben più ampia di quella legata alle
aggregazioni bancarie e rasenta un’emergenza nazionale.
Da un
lato, infatti, negli ultimi quindici anni le banche italiane, che pure si sono
molto rafforzate in termini organizzativi, reddituali e patrimoniali, hanno
operato una drastica riduzione delle loro erogazioni alle imprese che ha pochi
paragoni con gli altri principali paesi.
Dall’altra,
la dimensione microscopica delle nostre aziende e l’arretratezza del nostro
mercato dei capitali faticano a far nascere strumenti e operatori non bancari
che possano finanziare le imprese.
Cominciamo
con qualche dato riferito all’Italia. Come si può vedere e dedurre sono oramai
molti anni che il credito bancario alle imprese si riduce.
La
caduta, poi, è più evidente negli ultimi anni soprattutto nei riguardi delle
imprese più piccole.
Dal
2011 a oggi, in termini nominali, i prestiti bancari alle aziende si sono
ridotti di oltre un terzo:
da più
di 900 miliardi di euro a circa 600 miliardi.
La
contrazione è stata, ovviamente, ben più forte in termini reali se teniamo a
mente che nel frattempo abbiamo assistito alla più alta inflazione dell’ultimo
mezzo secolo.
Le
nuove normative prudenziali introdotte dopo la grande crisi finanziaria del
2007-2008 e quella del debito sovrano europeo del 2010-2011, nonché le pesanti
perdite accumulate in quelle occasioni sui crediti deteriorati sono il punto di
svolta nelle erogazioni del credito delle banche.
A spiegare la scelta contribuisce anche un
rapporto rischio-rendimento dell’”attività di lending” meno interessante
rispetto a quello della gestione del risparmio e dell’attività assicurativa.
La
situazione di oggi.
L’unica
eccezione alla continua caduta dell’attività di prestito alle imprese è
rappresentata dal periodo del Covid (2020- 2022), quando il sistema è stato
inondato di liquidità, i tassi sono divenuti negativi, ma soprattutto sono
stati messi in piedi massicci meccanismi di garanzia pubblica del credito.
Da un
lato, hanno limitato i rischi delle banche, dall’altro, hanno permesso di
neutralizzare gli assorbimenti di capitale dell’attività di lending.
Ora
però i tassi sono alti in termini reali, Basilea 3 – introdotta lo scorso
gennaio – ha aumentato ulteriormente l’assorbimento di capitale, mentre le
garanzie pubbliche sono in fase di smantellamento.
(Per
il governo Labour il conto salato del “Qe” britannico).
A
parziale riprova che la contrazione del credito sia dovuta a una riduzione
dell’offerta più che a una contrazione della domanda, esiste il grafico
che mostra come la percezione di accesso
al credito bancario da parte delle imprese sia continuamente peggiorata.
Infatti,
nelle rilevazioni trimestrali, la percentuale di intervistati che ogni
trimestre risponde che le condizioni di accesso al credito sono peggiorate
rispetto al trimestre precedente è quasi sempre molto superiore a quella di chi
le vede in miglioramento.
Anche
la più soddisfacente situazione economico-patrimoniale e l’abbondante liquidità
detenuta da alcune aziende non cambia il quadro complessivo della situazione.
Appaiono,
allora, un po’ ottimistiche le conclusioni del governatore della Banca d’Italia
all’ultimo convegno di “Assiom Forex”.
Ha
affermato che sulla base delle ultime informazioni disponibili “In Italia la
dinamica del credito resta negativa, sebbene emergano segnali di ripresa.
Diversi
indicatori suggeriscono che questo andamento, pur influenzato da politiche di
offerta improntate alla cautela, dipende principalmente dalla debolezza della
domanda di prestiti. Il fabbisogno finanziario delle imprese rimane contenuto
per effetto della buona redditività e della fiacchezza degli investimenti.
Inoltre,
la percentuale di aziende che segnalano difficoltà di accesso al credito è in
calo (…)”.
Vero
nel brevissimo orizzonte, ma non certo se allarghiamo lo sguardo al medio-lungo
periodo.
Cosa
accade nel resto del mondo.
La
riluttanza delle banche a prestare alle imprese non finanziarie non riguarda
solo l’Italia.
Si
manifesta con intensità e caratteristiche diverse in molti paesi.
Ad
esempio, nell’area dell’euro, fra il 2010 e oggi gli impieghi alle imprese si
mantengono praticamente stabili attorno ai 5mila miliardi in termini nominali,
ma in calo in termini reali.
Differenze
significative appaiono fra i diversi i paesi: in forte calo in Italia, Spagna e
Portogallo, in leggera crescita in Germania e Francia.
Particolarmente
interessante è il caso degli Stati Uniti dove negli ultimi cinquanta anni i
prestiti concessi dalle banche hanno continuato a perdere terreno rispetto agli
altri intermediari bancari.
La
loro quota di mercato è passata dal 60 per cento dei primi anni Settanta
all’attuale 35 per cento.
La forte inflazione dei primi anni Settanta
vide la nascita dei primi “commercial paper” e “corporate bond” emessi dalle
imprese con miglior rating.
Poi
l’ascesa delle “obbligazioni high yield” negli anni Ottanta e i progressi della
“cartolarizzazione” hanno permesso a un maggior numero di mutuatari di
bypassare le banche.
Infine,
a partire dal 2008, le imprese di fascia media e i mutui ipotecari si sono
sempre più allontanati dalle banche.
È bene tuttavia sottolineare che il rapporto
banche e intermediari non bancari è spesso anche cooperativo.
Infatti,
in molti casi le aziende di credito sono i principali finanziatori di queste
iniziative.
In altri casi, banche e fondi hanno stipulato
vere e proprie alleanze commerciali (Citigroup-Apollo Global Management, Wells
Fargo- Center bridge), Infine, alcune banche hanno sponsorizzato la nascita di
loro fondi di debito (JPMorgan, Goldman Sachs e Morgan Stanley).
I
profitti eccezionali delle banche? Non resteranno a lungo.
Un’assicurazione
pubblica per il credito.
In
Italia, la dimensione delle imprese e l’arretratezza dei mercati e degli
intermediari lasciano poche alternative al credito bancario.
Come
indurre, allora, le banche a prestare di più?
Forse
il modo più semplice per andare incontro a questo “fallimento di mercato” è
quello di rivitalizzare le iniziative di assicurazioni pubblica al credito che
hanno dato eccellenti risultati durante la pandemia e ancora continuano a
operare, seppure a regime ridotto e a tempo determinato.
Si
tratta di trasformare lo strumento da aiuto di stato straordinario a strumento
di mercato ordinario, in cui il premio assicurativo sia proporzionale ai rischi
assunti dallo stato e diviso in maniera equa fra sistema bancario e imprese.
Peraltro,
è utile osservare che sinora gli oneri che lo stato si è accollato sono stati
molto inferiori alle aspettative.
In
fondo, non sarebbe la prima volta che allo stato viene assegnato un ruolo
assicurativo come ci ricordano Otto von Bismarck, Jhon Maynard Keynes, William
Beveridge, Franklin D. Roosevelt, Amartya Sen e tanti altri.
Giorgetti:
«Grandi banche fanno profitti
ma
dimenticano il credito alle imprese».
Ilsole24ore.com
– (15 marzo 2025) – Adriana Malandrino – ci dice:
Il
ministro dell’Economia critico anche sul debito Ue per la difesa e sulla
politica economica interna della Germania.
Ha anche detto: «Flat tax e pace fiscale sono
una risposta alle necessità delle Pmi».
Il
ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha partecipato alla
kermesse leghista ad Ancona sul tema "Tutto un altro mondo, tutta un'altra
economia", 15 marzo 2025.
Il
ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti alla kermesse
leghista.
«Parliamo
del credito ai piccoli e medi imprenditori, non può uno che fa politica nella
Lega non considerare che tutto quello che è venuto avanti, in base a delle
regole scritte nelle tavole della legge, e cioè che il sistema bancario deve
essere fatto soltanto da grandi banche, che queste grandi banche fanno
grandissimi profitti, però forse si dimenticano di fare quello per cui sono
nate e cioè fare credito alle imprese e soprattutto alle piccole e medie
imprese.
E
quindi se io devo prendere una decisione devo fare in qualche modo che continui
a sopravvivere quella che qualcuno ha chiamato la biodiversità bancaria».
Lo ha
detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti intervenendo ad Ancona,
all’evento, organizzato dalla Lega: «Tutta un’altra economia: la sfida
del valore».
Flat
tax e pace fiscale sono risposta a necessità Pmi.
«La
flat tax, partendo dai piccoli imprenditori, è esattamente il tipo di risposta
a questo tipo di realtà economica che ha bisogno di poter lavorare senza troppi
casini, senza troppe regolamentazioni, con un fisco giusto e semplice e anche
la proposta che naturalmente sta venendo avanti adesso per quanto riguarda la
pace fiscale va esattamente in quella direzione» ha detto Giorgetti.
Pontida,
Giorgetti: per il debito pagheremo 14 miliardi di interessi in più. «Gli
investimenti siano esclusi dal Patto di stabilità»
(17
settembre 2023)
«Secondo
me in questa situazione di grandissima complessità la cosa più semplice è
tornare alle basi e noi della Lega qui abbiamo chiarissimamente una base che è
scritta nel nostro Dna.
Nelle
grandi scelte se parliamo di economia la prima cosa che dobbiamo porci è
questa, l’economia e lo sviluppo chi lo fa?
Lo fa
lo Stato o lo fanno gli imprenditori?
Questa
è la prima questione e se noi interroghiamo il nostro Dna e il nostro codice
genetico non abbiamo dubbi rispetto a chi fa l’economia, a chi noi dobbiamo
guardare» ovvero agli imprenditori, alle pmi.
È un
altro passo dell’intervento del ministro dell’Economia ad Ancona.
«Secondo
me in questa situazione di grandissima complessità la cosa più semplice è
tornare alle basi e noi della Lega qui abbiamo chiarissimamente una base che è
scritta nel nostro Dna.
Nelle
grandi scelte se parliamo di economia la prima cosa che dobbiamo porci è
questa, l’economia e lo sviluppo chi lo fa?
Lo fa
lo Stato o lo fanno gli imprenditori?
Questa
è la prima questione e se noi interroghiamo il nostro Dna e il nostro codice
genetico non abbiamo dubbi rispetto a chi fa l’economia, a chi noi dobbiamo
guardare» ovvero agli imprenditori, alle pmi., ha aggiunto Giorgetti.
Dazi,
occasione buona per riscrivere regole.
Il
ministro ha poi affrontato anche il tema dazi.
«Questa
è l’occasione buona per andare a riscrivere le regole della competizione
globale», ha detto ad Ancona.
«Trump
fa casino, vuole mettere i dazi perché lui pensa che in questo modo difende i
giusti diritti delle imprese americane.
Io dico che è l’occasione buona per discutere
di come difendere i giusti diritti delle imprese italiane, anche delle migliaia
di imprenditori che hanno dovuto chiudere per la concorrenza sleale che
arrivava dalla Cina e da questi paesi».
Inevitabile
anche il tema difesa e spesa Ue.
«Come
avete visto in questi giorni io avrei litigato con il Presidente del Consiglio
Meloni sulla difesa e sulle spese di credito, naturalmente sono tutte balle ma
fa niente, nel senso che se i giornalisti decidono che è così, è inutile che
smentisci», ha ironizzato il ministro dell’Economia.
Ok a
capacità difesa ma debito serva ad imprese italiane.
«Se
dobbiamo spendere» i miliardi del debito Ue per la difesa «spendiamoli
nell’economia italiana, nell’industria italiana, nelle imprese italiane,
creando lavoro e occupazione», ha ribadito Giorgetti.
«La
von der Leyen rilancia 800 miliardi di debito per riarmarsi e per l’industria
della difesa.
Che si
debba avere la capacità di difesa è assolutamente normale, giusto e corretto -
ha detto Giorgetti - ma che improvvisamente si scopra che si debbano spendere ’bargagnate’
di miliardi facendo dei debiti per la difesa è singolare, posto che la guerra
in Ucraina esiste già forse da due anni e mezzo o tre anni».
Germania
fa quello che gli pare su Patto di stabilità.
Le
regole sul patto di stabilità «io gli avevo detto, guardate che non funzionano,
non possono funzionare.
Cosa
succede adesso?
Le
regole le abbiamo approvate nove mesi fa, adesso i tedeschi hanno deciso che
loro fanno quel cavolo che gli pare, naturalmente senza aver negoziato a
livello europeo nulla», ha detto il ministro riferendosi alla situazione
tedesca.
«La Germania - ha detto ancora Giorgetti -
deve riarmarsi e naturalmente questo a qualcuno va bene in qualche modo, il
debito non è un problema».
Follia
green: per “salvare”
due
alberi rischiano l’alluvione.
Nicolaporro.it
- Lorenzo Cianti – (20 Settembre 2023) – ci dice:
Al via
l’operazione ‘Fiumi puliti’ tra Ravenna e Forlì, ma gli ambientalisti non ci
stanno.
Proseguono
le eco-idiozie in Emilia-Romagna.
Nella
provincia di Forlì, duramente colpita dall’alluvione dello scorso maggio, gli
ambientalisti protestano contro la giunta Bonaccini che hanno contribuito ad
eleggere.
Dopo
le polemiche scaturite per l’inadempienza della regione nella messa in
sicurezza del territorio, Pd e compagni hanno deciso di fare dietrofront:
al via l’operazione “Fiumi puliti”, che
prevede il potenziamento della manutenzione degli alvei fluviali.
Il
programma comprende la pulizia dei 23 corsi d’acqua esondati a maggio, con
interventi straordinari tra Ravenna e Forlì.
L’integralismo
ecologico.
Da un
lato, decine di ruspe raccolgono i rifiuti nel letto dei torrenti, distruggono
le recinzioni abusive e le baracche in prossimità dei fiumi, rimuovono i
tronchi degli alberi in eccedenza; dall’altro, fior fiore di associazioni
locali (“Spazi indecisi, I meandri del fiume Ronco”, “Tavolo delle associazioni
ambientaliste di Forlì”, “Parents for Future”) contestano le misure intraprese
per evitare nuove esondazioni.
I
gruppi sopra citati hanno una concezione maltusiana della natura:
il
pianeta è in salute solo senza l’uomo dentro.
“Perché
attuare interventi drastici contro il paesaggio, invece di pulire gli argini in
maniera non invasiva?” è il leitmotiv delle polemiche verdi.
Bisognerebbe
capire cosa si intende per “interventi non invasivi”: abbracciare le nutrie
dicendo loro di scansarsi gentilmente e di costruire altrove i loro nidi?
Il
malumore dei sindaci dem.
Si sta
creando una spaccatura tra ecologisti radicali e sindaci del Pd che, pur avendo
a cuore l’ambiente, ritengono sia necessario bonificare le aree a rischio. Tra
le voci critiche spicca quella del sindaco di Ravenna Michele Di Pascale,
che
il22 maggio dichiarava a Quarta Repubblica: “È stata attribuita quest’alluvione
al consumo di territorio.
Ma la
pioggia ha colpito una zona che naturalmente era una palude.
Il
territorio intorno a Ravenna è di una valle che aveva esternalità come la
malaria. I nostri bisnonni hanno bonificato tutto”.
E
ancora: “Ci sono folli scelte di priorità per quanto riguarda la manutenzione:
negli ultimi anni l’attenzione, degli animalisti ma non solo, si è concentrata
sulle nutrie che popolano i fiumi anziché sulla necessità di realizzare delle
opere necessarie ad evitare disastri come quelli odierni.
Tra
una vita umana e una nutria che mi fa una tana su un argine, la scelta dovrebbe
essere chiara”.
Il ragionamento del primo cittadino non fa una
piega:
agire
con pragmatismo per risolvere le criticità non è né di destra, né di sinistra,
ma puro buonsenso.
Conoscendo
l’ideologismo imperante a sinistra, non escludiamo una fatwa contro Di Pascale.
Anche
Fausto Pardolesi, esponente di Europa Verde, si è smarcato dai diktat green:
“Occorre usare il buonsenso, dobbiamo scegliere il male minore”.
Due
modelli di ambientalismo.
La
demagogia dell’universo verde ha reso il termine “ambientalismo” inviso alla
maggior parte delle persone.
Eppure,
bisogna distinguere due modelli di salvaguardia ambientale:
un
modello liberale, che vede nello sviluppo economico, nella manutenzione e nelle
infrastrutture le strategie per difendere (concretamente) il territorio, e un
modello eco-socialista, che vive di “no” anteponendo il benessere umano a
qualche nutria per sterili pregiudiziali ideologiche.
Gli
ambientalisti della domenica dimenticano che oltre 20mila emiliani sono
sfollati a causa della miopia eco-friendly.
Succede questo quando si realizzano meno
bacini di espansione del previsto, mettendo in pericolo la vita dei cittadini.
Che la
decisione (tardiva) di Bonaccini sia da monito ai verdi:
basta
criminalizzare le opere di manutenzione.
(Lorenzo
Cianti).
Per
l’Ucraina finalmente spiragli di pace
tra il boicottaggio infido di Bruxelles e
l’incognita
della risposta di Mosca.
Farodiroma.it - Redazione – (13/03/2025) -
Aurelio Tarquini – ci dice
Dopo i
colloqui con la rappresentanza ucraina a Gedda, dove è scaturita la proposta di
una tregua di 30 giorni per favorire l’inizio dei colloqui di pace, l’inviato
speciale del Presidente Trump, “Steven Whitkoff”, potrebbe sbarcare a Mosca
giovedì per incontrare Vladimir Putin, mentre cresce l’aspettativa per un
possibile colloquio diretto tra Trump e il leader del Cremlino già venerdì.
Una
svolta che, se confermata, segnerebbe il primo vero tentativo di una pace
negoziata dopo anni di ostilità cieca alimentata dall’asse Bruxelles-Londra.
I
leader europei si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni pubbliche di
sostegno all’iniziativa americana.
Ma dietro le parole di facciata si cela un
altro gioco, più oscuro e velenoso:
il tentativo di sabotare l’iniziativa
diplomatica di Trump per non perdere il controllo sulla partita geopolitica ed
economica che l’Ucraina rappresenta.
La
presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che
“l’UE sostiene la proposta di un cessate il fuoco in Ucraina”, mentre il
premier britannico “Keir Starmer” si è congratulato con Trump e Zelensky per
questa “straordinaria svolta”.
Anche
Macron ha parlato di “progressi” nei colloqui di Gedda, sottolineando che ora
“la palla è nel campo della Russia”.
Le
dichiarazioni di circostanza di Ursula von der Leyen, Keir Starmer ed Emmanuel
Macron parlano di sostegno alla pace, ma i segnali concreti indicano il
contrario.
L’UE,
frustrata per essere stata tagliata fuori dai negoziati, sta manovrando per
sabotare l’iniziativa di Trump e mantenere l’Ucraina intrappolata in una guerra
che si trascina da oltre tre anni.
Queste
dichiarazioni di facciata servono solo a mascherare la realtà:
mentre l’amministrazione Trump tenta di
riportare l’Ucraina al tavolo della trattativa, l’élite di Bruxelles
intensifica la retorica anti-russa e accelera le operazioni militari.
Lo
dimostrano le parole dell’alto rappresentante UE “Kaja Kallas” al Consiglio di
Sicurezza dell’ONU: “Questa guerra può finire all’istante se la Russia ritira le
sue truppe e smette di bombardare l’Ucraina. Mosca può fermare questa guerra in
qualsiasi momento ma ha scelto di non farlo.”
Un
discorso che ribadisce la volontà dell’UE di negare la realtà del conflitto e
insistere su una linea dura che non ha prodotto altro che morte e distruzione.
Anche
il ministro della Difesa italiano ha chiarito la posizione di Bruxelles:
“I
confini di una pace giusta sono quelli che esistevano prima della guerra.”
Un’affermazione
che ignora del tutto il fatto che il tavolo negoziale dovrà essere basato su
compromessi accettabili per entrambe le parti.
Ma
l’UE non vuole negoziati, vuole solo continuare il conflitto fino all’ultimo
soldato ucraino.
Il
piano franco-britannico: truppe UE in Ucraina per sabotare Trump.
Mentre
Washington cerca un accordo con Mosca, Francia e Gran Bretagna lavorano in
parallelo a un’escalation per mantenere la guerra attiva.
Londra continua a portare avanti la famosa
“coalizione dei volenterosi”, un gruppo di Paesi che starebbero valutando
l’invio di forze militari in Ucraina.
Anche
la Danimarca si è detta pronta a inviare truppe, così come la Francia, con
Macron che spinge per definire al più presto le “garanzie di sicurezza” per
Kiev.
Si
tratta, in sostanza, di un piano per ostacolare la pace e mantenere l’Ucraina
come avamposto occidentale contro la Russia.
Non è
un caso che Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla Plenaria, abbia
ribadito la necessità di un riarmo europeo:
“Putin
ha dimostrato di essere un vicino ostile, non ci si può fidare di lui, si può
solo dissuaderlo. La produzione militare russa sta superando la nostra.”
Questa
retorica, combinata ai piani per un intervento militare europeo, dimostra come
Bruxelles stia facendo di tutto per impedire una soluzione diplomatica.
Di
fronte a queste manovre, la Russia ha mantenuto una posizione cauta ma ferma.
Bloomberg,
citando fonti occidentali, ha affermato che Putin avrebbe avanzato richieste
“massimaliste” per i negoziati, sapendo che potrebbero risultare inaccettabili
per l’Ucraina.
Ma
questa è una strategia negoziale ben nota: partire da posizioni forti per poi
trovare un compromesso.
Il
portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha avvertito che molte delle notizie
diffuse dai media occidentali sul presunto accordo di tregua sono
“disinformazione”.
Anche
Lavrov ha ribadito che Mosca non accetterà un cessate il fuoco che serva solo a
riorganizzare l’esercito ucraino:
“Ciò che è importante per noi non è un cessate
il fuoco che permetta all’Ucraina di armarsi ancora e ancora contro il nostro
Paese, ma una pace sostenibile e a lungo termine.”
D’altronde,
Putin lo aveva già detto chiaramente nel giugno 2024: “Il nostro obiettivo non
è una breve tregua né una pausa per riorganizzare le forze, ma una pace basata
sul rispetto degli interessi di tutte le nazioni coinvolte.”
Se
l’Occidente volesse davvero la pace, questa sarebbe l’occasione perfetta per
iniziare un dialogo costruttivo. Ma l’UE, ancora una volta, dimostra di non
voler prendere in considerazione una soluzione diplomatica.
La
realtà è che la guerra poteva finire già nel 2022, quando a Istanbul si era
quasi arrivati a un accordo. Ma Bruxelles, sotto pressione di Washington
(all’epoca in mano ai Democratici), ha spinto Kiev a proseguire il conflitto.
Oggi,
dopo centinaia di migliaia di morti e un’Ucraina devastata, l’UE si trova nella
stessa situazione: piuttosto che accettare la pace, continua a sabotarla. Se
davvero l’UE fosse amica di Kiev, avrebbe dovuto spingerla ai negoziati già
allora.
Invece,
si è ostinata su una guerra persa in partenza, illudendo il popolo ucraino e
condannandolo alla rovina. Ora, di fronte all’iniziativa di Trump, l’UE ha
l’ultima occasione per rimediare ai suoi errori.
Ma la
storia recente insegna che Bruxelles preferisce il disastro alla sconfitta
politica. E se così sarà, il popolo ucraino pagherà ancora una volta il prezzo
dell’arroganza di un’élite incapace di ammettere di aver sbagliato tutto.
(Aurelio
Tarquini).
I
pacifisti europei scelgono la guerra:
il Parlamento Ue approva il piano
di
riarmo e respinge la pace.
Bellunopress.it – Redazione – (14 Marzo 2025)
– ci dice:
“Finché c’è guerra c’è speranza”.
Bruxelles
– Ora è tutto chiaro: l’Unione Europea ha imboccato con decisione la strada del
riarmo, mettendo in secondo piano ogni prospettiva di pace.
Mentre
a Gedda si discute per porre fine al conflitto in Ucraina, il Parlamento
europeo ha dato il via libera a una risoluzione che avalla il piano “ReArm
Europe” – un massiccio investimento da 800 miliardi di euro per l’industria
bellica – e ha adottato una posizione nettamente ostile alle trattative
diplomatiche.
La
risoluzione, approvata con 480 voti favorevoli su 677, ha visto il sostegno di
Forza Italia, Fratelli d’Italia e di una parte del Partito Democratico (con 10
eurodeputati a favore e 11 astenuti).
Contrari
Lega e Movimento 5 Stelle, mentre 67 deputati hanno scelto l’astensione. L’aspetto più controverso, tuttavia,
riguarda il documento sull’Ucraina, che critica apertamente gli Stati Uniti per
un presunto “cambio di posizione” nei confronti della Russia e chiede un
incremento significativo del supporto militare a Kiev, oltre a nuove sanzioni
contro Mosca.
La
mossa appare come un vero e proprio boicottaggio delle iniziative di pace,
proprio mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra disposto ad
accettare una tregua e il mondo attende la risposta di Vladimir Putin.
La linea dura adottata dal Parlamento Ue
spinge invece Kiev a rifiutare il negoziato promosso da Donald Trump, ribadendo
una posizione di scontro che allontana ogni possibilità di soluzione
diplomatica.
Anche
questa seconda risoluzione è passata con un’ampia maggioranza:
442
voti favorevoli, 98 contrari e 126 astensioni.
Fratelli d’Italia ha optato per l’astensione,
mentre Forza Italia e Partito Democratico hanno votato compattamente a favore,
con l’eccezione di Nicola Zingaretti, contrario, e di Strada e Tarquinio, che
si sono astenuti.
Restano
fermi sul “No” Lega e Movimento 5 Stelle.
La
votazione ha rappresentato anche un duro colpo per la segretaria del PD, Elly
Schlein, che si era opposta al riarmo ma è stata sconfessata dall’intero gruppo
dei suoi eurodeputati:
nessuno
ha seguito la sua indicazione di voto.
Un
esito che apre una frattura senza precedenti nel partito, mettendo in
discussione la sua leadership.
Dopo
una tale sconfessione, sarà difficile per Schlein mantenere la guida del PD, il
cui gruppo europeo ha scelto compatto la strada del riarmo e della prosecuzione
del conflitto.
Un
ultimo dettaglio, gli Usa intendono diminuire la loro presenza militare in
Europa, che dovrà provvedere con maggiori investimenti nella difesa, comperando
le armi dagli Usa.
Come nel film di Alberto Sordi: “Finché c’è
guerra c’è speranza”.
(rdn).
Il
piano “Re Arm Eu” va radicalmente
cambiato:
la Ue sia centrale
nel
processo di pace.
Partitodemocratico.it
– Redazione - (18-3-2025) – ci dice:
Difesa
comune Ue, non corsa al riarmo dei singoli Stati.
“Ai
fini della realizzazione di una piena autonomia strategica europea, è cruciale
la definizione di una vera politica estera comune a servizio dell’ideale
fondativo di un’Europa progetto di pace: strumentale ma essenziale a questo
obiettivo è la creazione di una ‘vera unione di difesa’, superando la mancanza
di volontà politica degli Stati membri”…”che tenda all’orizzonte federalista di
un vero e proprio esercito comune; all’Unione europea serve pertanto la difesa
comune e non la corsa al riarmo dei singoli Stati”.
È
quanto si legge nella risoluzione del Pd in discussione all’assemblea congiunta
in vista delle comunicazioni della premier Meloni.
Il
piano “Re Arm Eu va radicalmente cambiato
“La
Commissione europea sta preparando il Libro bianco sul futuro della difesa
europea che rappresenta l’avvio di un percorso di discussione per la
costruzione di una difesa comune, per cui serve un cambiamento radicale del
modo in cui agiamo e investiamo nella nostra sicurezza e difesa, per fare in
modo che d’ora in poi pianifichiamo, innoviamo, sviluppiamo, acquistiamo,
manteniamo e dispieghiamo le capacità insieme, in modo coordinato e integrato,
per conseguire una difesa comune europea”;
“Il piano Re Arm Eu, proposto dalla
Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va nella direzione di
favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato,
poiché così come presentato non risponde all’esigenza indifferibile di
costruire una vera difesa comune.“
“Gli
investimenti in sicurezza devono accompagnarsi e non sostituirsi a quelli
necessari a realizzare l’autonomia strategica in altri settori prioritari, a
partire da quelli per la coesione e la protezione sociale, garantiti dai” Fondi
SIE” dell’Unione europea su cui l’attuale Governo ha accumulato un drammatico
ritardo nell’attuazione, che penalizza la necessaria convergenza delle regioni
meno sviluppate, a partire dal nostro Mezzogiorno;
la
difesa non può essere considerata un bene pubblico separato dal benessere
sociale, ma è parte integrante di una strategia globale che prevede di
garantire non solo la sicurezza fisica dei cittadini europei, ma anche la loro
sicurezza sociale ed economica“.
La Ue
si impegni anche per lo Stato di Palestina libero.
“La
tregua nella guerra a Gaza è stata oggi drammaticamente interrotta,
l’amministrazione americana ha offerto pieno sostegno al Primo ministro
Netanyahu su cui pende un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale
per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, le forze estremiste di destra
che sostengono il Governo Netanyahu hanno spinto per riprendere il conflitto e
invocato ulteriori crimini; la drammatica situazione del quadrante
mediorientale, strategico per un continente che si affaccia nel Mediterraneo,
impone all’Unione europea, se vuole credibilmente rappresentare un presidio nel
mondo a difesa del diritto internazionale e dei pilastri del multilateralismo,
di non permettere, ancora una volta, che la causa palestinese torni
nell’oblio“.
“L’Unione europea – seguendo le
posizioni e le proposte avanzate dal precedente Alto Rappresentante per la
politica estera e di sicurezza comune, Joseph Borrell, a cui l’attuale Alto
Rappresentante “Kaja Kallas” non dedica la doverosa necessaria attenzione –
deve impegnarsi per lavorare, in seno alla comunità internazionale, per
costruire una pace giusta e duratura, che non può che passare dal
riconoscimento dei diritti del popolo palestinese, a partire da quello di avere
uno Stato libero dall’occupazione israeliana, nonché dalla garanzie di
sicurezza per Israele”.
La Ue
condanni senza riserve il piano Trump per Gaza.
“Le
proposte del presidente Trump che ha prefigurato l’evacuazione dei circa 2,1
milioni di residenti palestinesi a Gaza e la creazione di una ” ‘riviera del
Medio Oriente’, suscitando l’indignazione di gran parte della comunità
internazionale e dei principali paesi europei (con l’eccezione del Governo
italiano), vanno condannate senza esitazioni e riserve.”
“I
principali paesi arabi hanno avanzato una proposta unitaria per il futuro e la
ricostruzione della striscia di Gaza che prevede investimenti per oltre 53
miliardi, che l’Unione europea e gli Stati membri devono sostenere attivamente
e con determinazione”.
Dazi:
il governo non tratti bilateralmente con gli Usa.
“Nelle
ultime settimane, l’amministrazione americana ha annunciato politiche pesanti
di introduzione dei dazi anche verso l’Unione europea, che sta cercando di
rispondere in maniera unitaria, anche a norma di Trattati, e il più possibile
immediata, attraverso una serie di contromisure per proteggere aziende,
lavoratori e consumatori europei, pubblicando un elenco di prodotti
statunitensi che potrebbero essere soggetti ai contro-dazi europei dal primo
aprile; la risposta univoca europea non può e non deve lasciare spazio a
tentativi di contrattare per via bilaterale le proprie posizioni con
l’amministrazione americana, come sembrano suggerire alcuni membri del Governo,
che allontanerebbe l’Italia dalla politica commerciale europea, nell’illusione
di avere sconti su alcuni prodotti ma che sarebbero del tutto inadeguati a
fronteggiare le conseguenze e l’impatto sulla nostra economia di una guerra
commerciale con l’Europa, che andrebbero ben al di là dal settore
agroalimentare”.
La Ue
rilanci investimenti e consumi.
“L’Unione
europea non può limitarsi alle pur necessarie misure difensive, che andrebbero
peraltro orientate anche verso i servizi e i diritti di proprietà intellettuale
delle cosiddette aziende Big Tech, laddove è più forte la specializzazione
dell’economia americana e la sua pervasività nel nostro continente: per reggere
la sfida serve un risposta più forte, che rilanci la competitività
dell’economia europea e la sua domanda interna, con una politica di ampio
impulso agli investimenti e ai consumi, anche attraverso una crescita dei
salari dei lavoratori e del potere d’acquisto delle famiglie”.
Von
der Leyen, monito a Orbán:
"La
pace non può mai significare resa."
It.euronews.com
- Jorge Liboreiro – (31/08/2024) – ci dice:
Ursula
von der Leyen ha lanciato un nuovo rimprovero all'Ungheria di Viktor Orban.
Nel
suo primo discorso di ampio respiro da quando è stata rieletta in carica,
Ursula von der Leyen ha attaccato i politici che danno la colpa della guerra
"non alla brama di potere di Putin ma alla sete di libertà
dell'Ucraina".
La
pace non può mai significare resa e la sovranità non può mai significare
occupazione, ha dichiarato Ursula von der Leyen in un nuovo rimprovero a coloro
che fanno pressione sull'Ucraina affinché accetti un accordo con la Russia, che
probabilmente comporterebbe la rinuncia a parti del suo territorio.
"La
pace non è scontata."
Avvertendo
che "la pace non può essere data per scontata", la presidente della
Commissione europea ha esortato i suoi colleghi leader a respingere le
narrazioni ingannevoli che confondono le linee di demarcazione, invertono i
ruoli e misconoscono le responsabilità nell'invasione, giunta al terzo anno
senza alcuna risoluzione in vista.
"Oggi,
alcuni politici all'interno dell'Unione, e anche in questa parte d'Europa,
stanno confondendo le acque.
Danno la colpa della guerra non all'invasore,
ma all'invaso; non alla brama di potere di Putin, ma alla sete di libertà
dell'Ucraina", ha dichiarato venerdì, intervenendo al” GLOBSEC Forum” di
Praga.
Quindi
voglio chiedere a chi inverte i ruoli: incolpereste mai gli ungheresi per
l'invasione sovietica del 1956? Incolpereste mai i cechi per la repressione
sovietica del 1968?
La
risposta a questa domanda è molto chiara: il comportamento del Cremlino allora
era illegale e atroce. E il comportamento del Cremlino è illegale e atroce
anche oggi.
Ursula von der Leyen.
Presidente
della Commissione Ue.
Il
monito a Orbán.
Sebbene
non sia stato citato per nome, uno dei principali destinatari dell'ammonimento
della von der Leyen è stato “Viktor Orbán”, il primo ministro ungherese che il
mese scorso ha alzato un vespaio di polemiche con il viaggio, non annunciato, a
Mosca per discutere di possibili modi per porre fine alla guerra.
Putin
ha accolto Orbán come rappresentante dell'Unione europea, nonostante il premier
non abbia il mandato per parlare a nome del blocco dei 27 membri.
La
visita ha provocato un boicottaggio contro il semestre di presidenza ungherese
del Consiglio dell'Ue, iniziato il 1° luglio.
Von
der Leyen ha ordinato ai suoi commissari di attenersi alla politica del no-show
e di rinunciare a partecipare alle riunioni tenute a Budapest.
In seguito, nel suo discorso di rielezione
davanti al Parlamento europeo, ha denunciato la cosiddetta "missione di
pace" in terra russa.
"Chi
dice no alle forniture militari a Kiev non è a favore della pace."
Venerdì
la presidente della Commissione Ue ha rilanciato, sostenendo che coloro che si
oppongono alle forniture militari a Kiev non sono a favore della pace, ma
piuttosto dell'"acquiescenza e dell'asservimento".
Forte
del suo potere di veto, Orbán ha ripetutamente ostacolato gli sforzi del blocco
per fornire ulteriore assistenza militare alla nazione devastata dalla guerra.
Ad oggi, Bruxelles ha 6,5 miliardi di euro completamente paralizzati
dall'opposizione dell'Ungheria.
Noi
europei possiamo avere storie diverse.
Possiamo parlare lingue diverse, ma in nessuna
lingua la pace è sinonimo di resa. In nessuna lingua, sovranità è sinonimo di
occupazione.
Ursula von der Leyen ,
presidente
Commissione europea
"La
mia posizione è che la pace non è semplicemente l'assenza di guerra. La pace è
un accordo che rende la guerra impossibile e non necessaria", ha aggiunto,
sottolineando che l'integrazione dell'Ucraina nell'Unione europea dovrebbe
essere "il cuore del nostro sforzo di pace".
Orbán
ha anche messo in discussione le aspirazioni dell'Ucraina all'Ue.
I suoi deputati hanno affermato che nessun
capitolo del processo di adesione sarà aperto durante la presidenza del Paese.
"Noi
europei dobbiamo stare in guardia."
Nel
suo discorso, V on der Leyen ha parlato diffusamente della necessità imperativa
di potenziare le capacità di difesa dell'Ue, a lungo trascurate nell'illusione
post-guerra fredda che "la pace fosse stata raggiunta una volta per
tutte" e che Putin avrebbe infine scelto la prosperità economica al posto
del "suo sogno illusorio di impero".
"Oggi non possiamo permetterci altre
illusioni", ha detto.
"La
seconda metà del decennio sarà ad alto rischio.
La
guerra contro l'Ucraina e il conflitto in Medio Oriente hanno messo in crisi la
geopolitica.
Anche
in Estremo Oriente la tensione è alta - ha proseguito - Noi europei dobbiamo
stare in guardia".
In un
segno eloquente di quanto i tempi siano cambiati, la presidente della
Commissione ha affermato che l'Ue, fondata sulle ceneri della Seconda guerra
mondiale come progetto di pace, dovrebbe essere considerata
"intrinsecamente un progetto di sicurezza" e ha chiesto una
"revisione sistematica" della politica di difesa del blocco.
Le
proposte del secondo mandato di Von der Leyen.
Le
linee guida del presidente per il secondo mandato non lasciano dubbi sul fatto
che la difesa sarà una priorità assoluta nei prossimi cinque anni.
Il
documento contiene una serie di proposte per aumentare gli investimenti
pubblici e privati nell'industria degli armamenti, promuovere la tecnologia
interna di alto livello, organizzare acquisti congiunti di equipaggiamenti
militari, potenziare le capacità di cyber difesa e rafforzare le sanzioni
contro gli attacchi ibridi.
Von
der Leyen intende anche nominare “un commissario alla Difesa”, anche se non è
chiaro quanto potere effettivo avrà questa nuova carica, dati i limiti
stabiliti dai trattati dell'Ue, che lasciano la difesa saldamente nelle mani
degli Stati membri.
"Anche
se gli europei prendono sul serio le attuali minacce alla sicurezza, ci
vorranno tempo e investimenti massicci per ristrutturare le nostre industrie
della difesa - ha dichiarato –
Il nostro obiettivo deve essere quello di
costruire una produzione di difesa di dimensioni continentali".
Il
supporto americano all'Ucraina.
La
presidente, convinta sostenitrice dell'alleanza transatlantica, si è soffermata
sull'importanza del sostegno americano all'Ucraina, che Bruxelles teme possa
svanire in caso di vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali di
novembre. Se Washington si ritirasse, sarebbe materialmente impossibile per
l'Europa colmare l'enorme vuoto.
"Non
sottolineerò mai abbastanza l'importanza del sostegno degli Stati Uniti
all'Ucraina dall'inizio di questa guerra.
Ancora
una volta, l'America ha difeso la libertà di tutti gli europei.
Provo un profondo senso di gratitudine per
questo, ma anche un profondo senso di responsabilità", ha dichiarato.
Ma, ha
aggiunto, "proteggere l'Europa è prima di tutto un dovere dell'Europa".
Salvini
da Bruxelles insiste:
“Meloni difenda l’interesse nazionale,
il riarmo non lo è. La Russia?
Non è
una minaccia per il mondo.”
Ilfattoquotidiano.it
– (19-3-2025) -Redazione – ci dice:
Schlein
a Meloni: “La Lega l’ha commissariata, non ha il mandato per il Consiglio Ue.
Riarmo europeo? Piano va cambiato radicalmente”
Appendino
a Elkann: “Difficile credere a ciò che dice. Vuole produrre veicoli per
l’industria bellica?”. La replica del presidente di Stellantis…
Appendino
a Elkann: “Difficile credere a ciò che dice. Vuole produrre veicoli per
l’industria bellica?”. La replica del presidente di Stellantis…
Conte
attacca il governo: “Crisi industriale come ai tempi del Covid, ma ora il virus
non c’è. Purtroppo il virus siete voi: siete incapaci.”
Bonelli
mostra il Manifesto di Ventotene in Aula: “Lo avrei regalato a Meloni, ma
scappa. In Aula non torna dopo aver picconato le istituzioni.”
Riarmo
Ue, Molinari (Lega): “L’Italia non darà a Meloni il mandato di approvare il
piano, non ci indebiteremo per pagare la crisi tedesca.”
Stellantis,
l’ironia di Calenda con Elkann: “Ma lei non ha mai sbagliato nulla? Non ha responsabilità
nella crisi?”(…)
Salvini
da Bruxelles insiste: “Meloni difenda l’interesse nazionale, il riarmo non lo
è. La Russia? Non è una minaccia per il mondo.”
Delrio:
“Meloni su Ventotene? Utilizzo strumentale molto grave, il pensiero di Spinelli
è molto più attuale di quello dei sovranisti.”
L’ira
di Fornaro in Aula: “Vergogna. Meloni si inginocchi davanti ai visionari di
Ventotene, altro che dileggiarli.”
Meloni
in Aula: “Non ho mai usato la parola ‘vittoria’ per l’Ucraina”. Ma il suo video
accanto a Zelensky la sbugiarda (…)
Meloni
legge il manifesto di Ventotene in Aula: scintille e proteste dall’opposizione.
Fontana sospende la seduta –(…)
Meloni
replica a Faraone: “Non ci sono i ministri della Lega? Me la cavo benissimo da
sola”(…)
Piano
di riarmo, alla Camera assenti (per un’ora) i ministri della Lega. Faraone (Iv)
a Meloni: “Li chiami, non ce n’è uno.”
Cazzuola
in mano e cemento fresco: così il ministro Giuli partecipa alla cerimonia per
la posa della prima pietra dell’auditorium di Caivano (…)
Le
comunicazioni della presidente Meloni alla Camera in vista del Consiglio Ue: la
diretta.
Riarmo,
Romeo (Lega) a Meloni: “No a un piano basato su favola della minaccia russa”. E
il dem Boccia evidenzia le divisioni nella maggioranza (…)
Botta
e risposta Meloni-Renzi in Aula: “Vendere il suo libro non è la mia priorità”.
“Su Almasri e Paragon non risponde, così svilisce il Senato”(…)
Meloni
attacca Conte: “M5s antimilitarista? L’ex premier ha sottoscritto l’impegno del
2% del Pil per la difesa. Doveva compiacere qualcuno?”
“Piano
di riarmo? Chi parla di tagli al welfare inganna i cittadini”: Meloni attacca
in Senato. La reazione tiepida dai banchi leghisti(…)
Borghi
(Lega) “avverte” Meloni: “Prepararsi alla guerra? Da von der Leyen follie. Mi
auguro che lei, in casi come questi, dirà dei no”
Borghi
(Lega) “avverte” Meloni: “Prepararsi alla guerra? Da von der Leyen follie. Mi
auguro che lei, in casi come questi, dirà dei no”(…)
Licheri
(M5s) a Meloni: “Spaventate gli italiani per poi convincerli ad andare in
guerra, Crosetto ha già l’elmetto”(…)
Ddl
Sicurezza, Scarpinato contro l’articolo 31: “Servizi potenziati senza
controllo. Si potrà arrivare a una schedatura di massa”(…)
Meloni:
“Dazi Usa? Evitare guerra commerciale che non avvantaggia nessuno, non si cada
nella tentazione di rappresaglie”(…)
L’attacco
di Meloni al M5s: “Non ci sono soldi per welfare e sanità perché sono stati
bruciati in misure che servivano solo a creare consenso”(…)
Meloni:
“Sosteniamo gli sforzi di Trump per la pace in Ucraina. Nato? Impensabile che
l’Europa faccia senza”
Meloni:
“Sosteniamo gli sforzi di Trump per la pace in Ucraina. Nato? Impensabile che
l’Europa faccia senza”(…)
"Sembra
quasi che qualcuno in Europa voglia boicottare il processo di pace
virtuosamente ricominciato da Trump"(…).
(F. Q.
- 19 Marzo 2025).
Nuovo
attacco di Matteo Salvini al piano di riarmo proposto da Ursula von der Leyen.
Parlando alla stampa a Bruxelles, il leader
della Lega insiste: “Non penso che la Russia sia una minaccia per il mondo.
Per
gli italiani la minaccia sono i troppi clandestini che, anche grazie
all’inerzia dell’Unione Europea, sono entrati in casa nostra”.
“Se noi dessimo retta la commissaria Kallas saremmo in
guerra.
Io ho
un figlio di 21 anni, non voglio mandarlo in Ucraina perché la signora Kallas
ha voglia di guerra.
Con
tutto rispetto ci vada lei”, aggiunge Salvini, sottolineando che l’Ue è nata
“per garantire la pace non per alimentare nuove guerre”.
E su
Meloni, che pure ha approvato il piano di riarmo, pur criticandolo continua: “Meloni ha un mandato per difendere
l’interesse nazionale italiano.
Non
penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda
all’interesse nazionale italiano, e neanche all’interesse dei cittadini
europei.
Non so a nome di chi parlino Ursula von der
Leyen, Kaja Kallas e altri.
Sembra
quasi che qualcuno in Europa voglia boicottare il processo di pace
virtuosamente ricominciato da Trump”.
Seduta
sospesa due volte.
Riarmo,
Meloni alla Camera: "
L'Europa
di Ventotene non è la mia".
Caos in Aula, Schlein: "Oltraggio
alla nostra memoria."
Tgcom24.mediaset.it
– (19 -3-2025) – Redazione – ci dice:
Insorgono
le opposizioni. Da Bruxelles, rispondendo alle polemiche, il premier dice:
"Ho solo letto un testo."
Dopo
le comunicazioni rese martedì al Senato, Giorgia Meloni, torna a parlare alla
Camera in vista del Consiglio europeo del 20 e del 21 marzo sul riarmo.
"Non se questa è la vostra Europa, ma
certamente non è la mia", ha detto il premier, citando alcuni passaggi del
Manifesto di Ventotene.
Rivolgendosi
alle opposizioni, ha poi rincarato la dose: "Non mi è chiarissima neanche
la vostra idea di Europa, perché nella manifestazione di sabato a piazza del
Popolo e anche in quest'aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il
Manifesto di Ventotene:
spero
non l'abbiano mai letto, perché l'alternativa sarebbe spaventosa".
Parole
che hanno scatenato dure proteste in Aula dai banchi dell'opposizione con il
presidente Lorenzo Fontana costretto a sospendere la seduta.
Da Bruxelles, rispondendo alle polemiche, il
premier ha dichiarato: "Ho solo letto un testo".
Meloni
alla Camera: "L'Europa di Ventotene non è la mia" .
Bagarre in Aula e seduta sospesa.
Meloni
cita il Manifesto di Ventotene.
A beneficio di chi ci guarda da casa e di chi
non dovesse averlo mai letto io sono contenta di citare testualmente alcuni
passi salienti del Manifesto di Ventotene.
Primo:
'la rivoluzione europea per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere
socialista'.
E fino
a qui, vabbè.
'La
proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa non
dogmaticamente, caso per caso'.
'Nelle epoche rivoluzionarie in cui le
istituzioni non debbono già essere amministrate ma create, la prassi
democratica fallisce clamorosamente'.
'Nel
momento in cui occorre la massima decisione e audacia i democratici si sentono
smarriti, non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido
tumultuare di passioni'".
"'La
metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi
rivoluzionaria'.
E il
Manifesto conclude che esso, il partito rivoluzionario, 'attinge la visione e
la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte
della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di
rappresentare le esigenze profonde della società moderna.
Dà in
tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle
nuove masse, attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il
nuovo Stato e attorno a esso la nuova democrazia",
ha
concluso Meloni prima di aggiungere: "Non so se questa è la vostra Europa,
ma certamente non è la mia".
(Che
cos'è il Manifesto di Ventotene, uno dei testi fondanti dell'Unione Europea).
Opposizioni
alla Camera:
"Meloni
si scusi su Ventotene".
Alla ripresa dell'aula della Camera i gruppi di
opposizione hanno chiesto le scuse della presidente del Consiglio per le sue
affermazioni sul manifesto di Ventotene.
Pd:
"Meloni
truffaldina su Ventotene, si inginocchi davanti ai padri dell'Europa" In
particolare il deputato Pd Federico Fornaro, attaccando il premier, ha detto:
"Quello avvenuto in quest'aula è un atto grave nei confronti del
Parlamento e della storia di questo Paese.
Il
Manifesto di Ventotene è riconosciuto da tutti gli storici, non come in maniera
truffaldina ha cercato di far passare la presidente l'inno alla dittatura del
proletariato, ma come l'inno dell'Europa federale contro i nazionalisti che
sono stati il cancro del 900.
Le
chiedo di ostracizzare chi dileggia la memoria di Altiero Spinelli considerato
da tutti il padre dell'Europa.
Lei
deve dire parole di verità lei è il presidente della Camera.
Siamo
qui grazie a quegli uomini e quelle donne, la presidente dovrebbe
inginocchiarsi davanti a loro".
Schlein:
"Meloni
oltraggia la memoria europea". Sui social, la segretaria del Pd Elly
Schlein ha poi nuovamente attaccato:
"Giorgia
Meloni non solo non ha il coraggio di difendere i valori su cui l'Unione è
fondata dagli attacchi di Trump e di Musk, ma ha deciso in Aula di nascondere
le divisioni del suo governo oltraggiando la memoria europea.
Noi
non accettiamo tentativi di riscrivere la storia.
Meloni
ha oltraggiato la memoria del Manifesto di Ventotene, riconosciuto da tutti
come la base su cui si è fondata l'Ue.
Dice
che quell'Europa non è la sua.
E
allora le chiedo se la sua Italia è quella della Costituzione perché sono gli
stessi antifascisti che l'hanno scritta".
M5s:
"Non c'è spazio in Aula per il fascismo."
Dura è stata anche la reazione del Movimento 5
Stelle con le parole del deputato Alfonso Colucci:
"Quanto
abbiamo sentito in questa aula dalla presidente del Consiglio è un oltraggio
alla storia d'Italia e alla memoria di quanti hanno combattuto, perso la vita,
donando a questa democrazia l'antifascismo da cui nasce la nostra Costituzione
e la nostra democrazia.
La
premier nega i valori fondanti su cui si basa la nostra democrazia-.
Non
c'è spazio in quest'aula per il fascismo".
Giorgia
Meloni, ascoltando queste parole, si è messa a ridere, scatenando la protesta
delle opposizioni.
"La
presidente del Consiglio ora ride - ha detto Colucci -.
Si vergogni! Fontana dovrebbe violentemente
stigmatizzare le parole della presidente del Consiglio".
Conte:
"Meloni
irriconoscente, l'Ue nasce da Ventotene". Per il presidente del M5s
Giuseppe Conte, "ora viene fuori la polemica creata ad arte su Ventotene,
eppure, in passato avete detto che i firmatari avevano idee chiare. Voi sfiorate
l'irriconoscenza, Meloni è volata a Bruxelles, non vedeva l'ora.
Ma se
siede al Consiglio europeo è grazie a Spinelli, Rossi…
Tutta
l'Europa riconosce che quello è stato il progetto fondativo dell'Europa libera
e democratica che abbiamo".
Nuovo
scontro in Aula, seduta sospesa per la seconda volta. Le parole di Colucci e il
riferimento al fascismo l'Aula si è scaldata con parlamentari in piedi che
urlavano da una parte e dall'altra.
Il
presidente Fontana è stato costretto a interrompere di nuovo la seduta e
convocare la capi gruppo.
Meloni
posta il suo discorso su Ventotene:
"Giudicate
voi" Dopo lo scontro in Aula, il premier ha deciso di postare sui social
il video del suo discorso alla Camera accompagnato dal post: "Giudicate
voi".
In
seguito, arrivando in albergo a Bruxelles per il Consiglio europeo Meloni è
tornata su quanto accaduto alla Camera:
"Ho
fatto arrabbiare? Ho letto un testo… non capisco cosa ci sia di offensivo.
Un
testo si può distribuire ma non leggere?
È un
simbolo? Non l'ho distorto, l'ho letto.
Ma non
per quel che il testo diceva 80 anni fa ma perché è stato distribuito sabato
scorso.
Un
testo che 80 anni fa aveva la sua contestualità se tu lo distribuisci oggi devo
leggerlo e chiederlo se è quello in cui credi".
"Cerchiamo
di rendere il “ReArm” più sostenibile".
Prima
della bagarre in Aula, il premier aveva parlato della questione legata al piano
“ReArm Europe”:
"La
posizione del governo è chiara, noi abbiamo fatto le nostre valutazioni, il
governo aveva chiesto lo scorporo delle spese difesa dal calcolo del Patto di
stabilità.
Oggi
però non possiamo non porre il problema che l'intero Piano presentato dalla
presidente della Commissione Ue von der Leyen si basa quasi completamente del
debito nazionale degli Stati".
Parlando
del “ReArm Europ”e, la Meloni ha poi affermato:
"Con il ministro Giorgetti abbiamo
elaborato una proposta che ricalca l'”Invest Eu”, con garanzie europee per
investimenti privati e cerchiamo di rendere questo piano maggiormente
sostenibile.
Ma la posizione mi pare chiara".
"Dal
colloquio Trump-Putin primissimi spiragli" Il presidente del Consiglio
aveva posto l'attenzione sulla guerra in Ucraina e le prospettive di pace:
"C'è
stata una lunga conversazione tra il presidente Donald Trump e il presidente
Vladimir Putin: tra i punti discussi c'è l'ipotesi di un parziale cessate il
fuoco limitato alle infrastrutture strategiche.
Si tratta di un primissimo spiraglio che va
nel senso di quanto concordato a monte tra Trump e Zelensky" a Gedda.
"Sosteniamo
Trump, leader forte che può garantire pace giusta e duratura" "Noi
sosteniamo gli sforzi del presidente Trump sul dossier Ucraina, è dal mio punto
di vista un leader forte che sicuramente può porre le condizioni per garantire
una pace giusta e duratura - aveva proseguito il premier -.
Ho
detto e ribadisco che non vedremo con questa amministrazione americana le scene
di debolezza occidentale che abbiamo per esempio visto in Afghanistan.
La questione si gioca sulle garanzie di
sicurezza e noi stiamo facendo la nostra parte.
Io ho
tenuto una posizione che mi pare essere stata chiara".
Risposta
al Pd:
"Non seguo pedissequamente Ue né Usa, sto
con Italia."
"Ai
colleghi del Pd voglio dire che non mi sono chiare alcune cose.
Per me
la posizione e il punto di vista delle opposizioni contano, ma mi è stato
chiesto in diversi interventi:
'sta
con l'Europa o con gli Stati Uniti?'.
Mi
pare di aver risposto tante volte, io sto sempre con l'Italia.
Non
seguo pedissequamente né l'Europa né gli Usa, io sto con l'Italia - aveva
aggiunto -.
L'Italia
è in Europa, ma sono anche per la compattezza dell'Occidente, che serve
all'Italia e all'Europa.
Semplificazioni
su questo non aiutano".
Meloni
a Schlein: "Alleati non cambiano in base a chi vince elezioni."
"Quando
Schlein dice 'Trump non sarà mai un alleato', che vuol dire? Che dobbiamo
uscire dalla Nato?
Io
penso che i Paesi alleati non cambino a seconda di chi vince le elezioni, ma mi
pare che voi la pensiate in modo diverso".
Dal
Parlamento europeo il sì al sostegno al piano per il riarmo dell'Ue.
Giorgia
Meloni in Senato: "Nessuna sicurezza staccando l'Ue dagli Usa."
Meloni
ai 5 Stelle: "Fate la lotta nel fango, con voi più spese difesa" .
Replicando
al Movimento 5 stelle, il premier aveva affermato:
"Non
so che cosa volete che vi dica, mi spiace per voi che non avete evidentemente
delle proposte da fare capisco perché quando eravate al governo l'Italia aveva
dei problemi.
Capisco che i cittadini sono preoccupati, lo
sono anche io e non ho tempo per la vostra lotta nel fango.
Gli
italiani valuteranno come comportarsi e la discrasia che esiste tra le
posizioni che tenete all'opposizione e le scelte fatte al governo, voi
dall'opposizione siete antimilitaristi quando siete stati al governo vi siete
comportati diversamente approvando il più alto aumento delle spese della difesa
rispetto al Pil".
"Non
siamo contrari a euro digitale purché non sia sostitutivo."
"Non siamo contrari all'euro digitale
purché non sia sostitutivo - ha detto ancora -. La Svezia è una Nazione che
puntava a far sparire il contante e recentemente ha consigliato ai cittadini di
mantenere una parte della propria ricchezza in contante alla luce, tra le altre
cose, dei rischi legati agli attacchi informatici".
Salvini:
"Meloni
sostenga l'interesse dell'Italia, il riarmo non lo è".
Parlando a Bruxelles, sul tema riarmo è
intervenuto anche il vicepremier Matteo Salvini.
La
Lega ha una posizione chiara sul caso:
"Giorgia Meloni ha un mandato per
difendere l'interesse nazionale italiano.
Non
penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda
all'interesse nazionale italiano, e neanche all'interesse dei cittadini
europei.
Non so a nome di chi parlino Ursula von der
Leyen e Kaja Kallas.
Sembra
quasi che qualcuno in Europa voglia boicottare il processo di pace
virtuosamente ricominciato da Trump, che ha tutto il nostro sostegno e tutto il
nostro appoggio".
Tajani:
"Pieno
mandato a Meloni per approvare piano von der Leyen."
Di
tutt'altro avviso il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani:
"Giorgia
Meloni ha pieno mandato da Forza Italia per approvare il piano di sicurezza
della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen".
"Rispetto
per tutti, mia Europa quella di De Gasperi".
A chi gli chiede se quella di Ventotene sia la
sua Europa, Tajani risponde:
"Grande
rispetto per tutti, la mia Europa è quella di De Gasperi, Adenauer e
Schuman".
"Forza
Italia per la difesa e l'Atlantismo".
Tajani ha quindi ribadito la posizione di
Forza Italia che coincide con quella promossa da Giorgia Meloni e se qualcuno
non è d'accordo, "non cambiamo certamente la nostra posizione".
"Noi
abbiamo la nostra posizione, ed è sempre stata la stessa, poi la sintesi la fa
il presidente del Consiglio.
Abbiamo condiviso le sue scelte al Consiglio
informale:
noi
siamo per la difesa europea, siamo europeisti, se questo non fosse un governo
europeista non saremmo nel governo.
Noi
siamo europeisti e atlantisti.
Non
possiamo fare una scelta fra Europa e Stati Uniti", ha evidenziato il
ministro degli Esteri.
Lettere
e boicottaggio: è scontro
tra
Orban e Ue sulle "missioni di pace."
Ilgiornale.it
- Filippo Jacopo Carpani – (16 Luglio 2024) – ci dice:
Il
primo ministro ungherese ha inviato una missiva al Consiglio europeo per
informarlo dell'esito dei suoi viaggi a Kiev, Mosca e Pechino.
L'Unione
vuole spostare i consigli informali da Budapest per boicottare la presidenza
magiara.
Viktor
Orban ha reso contro dei suoi viaggi in Oriente.
Secondo
quanto dichiarato dal suo consigliere politico, il premier ungherese ha inviato
ai membri del Consiglio europeo una lettera per informarli dell’esito delle sue
“missioni di pace” e delle sue proposte per la fine del conflitto tra Russia e
Ucraina.
"Condotta
sleale".
Furia di 20 Paesi Ue contro Orban per i viaggi
da Putin e Xi.
L’iniziativa
diplomatica del primo ministro magiaro, che a inizio luglio si era recato a
Mosca, Kiev, Pechino e a Mar-a-Lago da Donald Trump, ha scatenato l’ira dei
Paesi dell’Ue, contrari al fatto che si sia mosso in autonomia e senza
coordinare le sue visite con Bruxelles.
Il
portavoce della Commissione europea” Eric Mamer” ha affermato di non aver
ancora ricevuto alcuna comunicazione in merito alle missive e che anche il
presidente Ursula von der Leyen, in qualità di effettivo membro del Consiglio,
dovrebbe essere tra i destinatari.
Da
parte sua, il portavoce del Cremlino “Dmitri Peskov” ha dichiarato di “non
essere al corrente del contenuto della lettera”, dato che “ovviamente non
conosciamo il contenuto della corrispondenza interna all’Ue.
Forse
potrebbero esserci delle sfumature, ma siamo consapevoli dell’approccio
generale di Orban”.
Secondo
quanto riportato dal “Financial Times”, nella sua lettera il primo ministro di
Budapest ha parlato di Donald Trump, affermando che "non possiamo
aspettarci alcuna iniziativa di pace" da parte sua "fino alle
elezioni".
"Posso
tuttavia affermare con certezza che subito dopo la sua vittoria elettorale, non
aspetterà fino al suo insediamento, ma sarà pronto ad agire immediatamente come
mediatore di pace", ha proseguito Orban, dichiarando che il tycoon ha
"piani dettagliati e ben fondati".
Viktor
graziato: solo ammonito Commissione, è caccia ai voti.
L’Unione
europea sembra comunque intenzionata a “punire” il premier ungherese per la sua
iniziativa.
L’Alto
rappresentante per gli Affari esteri Josep Borrell ha avviato una consultazione
con le capitali degli Stati membri per spostare il Consiglio informale
Esteri-Difesa, il cosiddetto Gymnich, in programma per il 28-29 agosto a
Budapest, trasformandolo in Consiglio formale.
La mossa permetterebbe di boicottare la
presidenza magiara dell’Ue e ha fatto seguito alla decisione senza precedenti
di Ursula von der Leyen di non far partecipare i suoi commissari alle riunioni
informali che si terranno nel Paese fino al 31 dicembre e di annullare la
tradizionale visita del Collegio che dovrebbe tenersi al rientro dalla pausa
estiva.
(Da
Carta di Cernobbio 10 azioni concrete per la sanità del futuro.)
Il
presidente della Commissione europea ha anche confidato la sua frustrazione nei
confronti di Orban e dell’estrema destra nel suo incontro con il gruppo “The
Left” del parlamento europeo.
“Abbiamo visto le sue missioni a Mosca e
Pechino e la risposta russa con il bombardamento dell'ospedale pediatrico.
Quella
non può essere considerata una missione di pace”, ha dichiarato secondo fonti
informate.
“Lo so
che la vediamo in maniera diversa su tante cose, ma voi siete pro-Ue,
pro-Ucraina e pro-Stato di diritto”.
Un
accenno, questo, alla possibilità di lavorare insieme e di assicurarsi i voti
della sinistra per conquistare un secondo mandato al vertice della Commissione.
Meloni
attacca l'Europa
di
Ventotene.
Corriere.it
- Alessandro Trocino – (20-03-2025) – ci dice:
Giorni
intensi, forse decisivi, per capire da che parte sta andando il mondo.
Il colloquio Trump-Putin, che non è stato
risolutivo come si sperava, è stato seguito oggi dalla conversazione tra il
presidente americano e Volodymyr Zelensky.
Le bombe, intanto, continuano a cadere
sull’Ucraina.
Sul
fronte interno, la premier Giorgia Meloni ha deciso di accendere una miccia
polemica intervenendo alla Camera dei deputati nel dibattito in vista del
Consiglio europeo, che comincia oggi.
Ha
criticato duramente il Manifesto di Ventotene, provocando la reazione indignata
dell’opposizione.
Mai
come oggi si può dire che «tout se tient», tutto si tiene, e che ogni
impercettibile spostamento di posizione va interpretato in uno scacchiere più
ampio.
La
crisi è internazionale e ogni mossa anche domestica va letta in una chiave più
ampia.
Oggi è
giovedì 20 marzo e questa è Prima Ora del Corriere. Cominciamo.
Il
dibattito alla Camera e la spaccatura della maggioranza.
È
palese la spaccatura interna che percorre sia la maggioranza sia l’opposizione
sui temi della politica estera.
Per
quanto riguarda il governo, Forza Italia è fortemente europeista, mentre la
Lega è oltre l’euroscetticismo di un tempo.
Fratelli
d’Italia, con la premier Giorgia Meloni, prova a barcamenarsi tra una posizione
ufficiale pro Kiev e un’adesione ideologica alle tesi del neo presidente Trump.
La mattina comincia subito male.
Con il
capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, che avverte:
«Non sono così convinto che “ReArm Europe”
venga approvato.
L'Italia
non approverà in Parlamento una risoluzione che dà a Meloni il mandato di
approvare il piano».
A
seguire, il vicepremier e segretario di FI, Antonio Tajani, che invece assicura
che «Meloni ha pieno mandato da parte di Forza Italia per approvare il progetto
di sicurezza della von der Leyen».
Due
posizioni opposte.
Meloni
prova a metterci una pezza:
«La
posizione del governo è chiara, non possiamo non porre il problema che l'intero
Piano si basa quasi completamente sul debito nazionale degli Stati ed è la
ragione per la quale stiamo facendo delle altre proposte».
Come
quella elaborata assieme a Giorgetti che prevede garanzie europee per gli
investimenti privati.
Alla
fine, il governo riesce a presentare una risoluzione annacquata ma unitaria,
che viene approvata dalla Camera con 188 sì, 125 no e nove astenuti.
L'attacco
su Ventotene.
È
proprio alla fine del discorso che arriva la svolta.
Dopo aver proseguito il suo intervento sulla
falsariga di quanto detto al Senato, la premier improvvisamente cambia registro
e attacca a testa bassa.
Se la prende con il Manifesto di Ventotene.
Proviamo
a capire perché.
Cosa
dice la premier sul manifesto di Ventotene?
Spiega
che quella di Ventotene non è la sua Europa.
Legge alcuni stralci del testo nel quale si
parla di rivoluzione socialista, di abolire o limitare la proprietà privata, di
dittatura del partito rivoluzionario.
Poi si
rivolge alle opposizioni:
«Non
mi è chiarissima neanche la vostra idea di Europa, perché nella manifestazione
di sabato a piazza del Popolo e anche in quest'aula è stato richiamato da
moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene:
spero
non l'abbiano mai letto, perché l'alternativa sarebbe spaventosa».
Cosa
c'è di spaventoso nel Manifesto?
Prima di raccontare la reazione, indignata,
dell’opposizione, bisogna fare un passaggio sul Manifesto.
Fu scritto nel 1941 da Altiero Spinelli e
Ernesto Rossi, con l’aiuto di Eugenio Colorni.
Erano
antifascisti confinati nell’isola dal regime.
La
loro idea è quella di un’Europa «libera e unita».
Una
prima versione viene trascritta su cartine di sigarette da Ada Rossi e poi
nascosta in un pollo e portata nel continente da “Hursula Hirschmann”, moglie
di Colorni.
È un
documento che propone le tesi del socialismo liberale di Rosselli.
Rifiuta non solo il totalitarismo fascista, ma
anche l’alternativa totalitaria comunista.
Il
moderatissimo Pier Ferdinando Casini, in un'intervista a Monica Guerzoni, dice
che «Ventotene è una delle pagine più belle dell'Europa».
Ha
ragione la premier?
Qui
soccorre una perfetta ricostruzione storica di Antonio Carioti.
Dalla
quale si desume un primo elemento:
è inutile e sbagliato stupirsi della
contrarietà ideologica di Meloni a quelle parti del manifesto citate.
Perché
si tratta di un testo di forte ispirazione socialista:
«Che
la leader di un partito d’ispirazione nazional-conservatrice come Giorgia
Meloni esponga a chiare lettere il proprio dissenso dal Manifesto di Ventotene,
un documento politico di forte impianto federalista e socialista diretto in
primo luogo contro gli Stati nazionali, non deve certo stupire.
È
nell’ordine naturale delle cose».
D'accordo,
ma è un Manifesto criptocomunista?
Carioti
analizza con precisione tutti i dettagli dei rilievi, smentendone molti.
Non si
tratta certo di un documento criptocomunista, né di un’apologia della
dittatura.
E non è neanche per l’abolizione della
proprietà privata.
Scrive Carioti: «Sul tema della proprietà
privata ha un'impostazione non molto diversa da quella della nostra
Costituzione repubblicana: sostiene che la si debba abolire (non è stata forse
nazionalizzata l’energia elettrica in Italia nei primi anni Sessanta?)
correggere, limitare o estendere a seconda delle convenienze economiche».
Perché
si parla ancora di Ventotene?
Detto
questo, ci sono molti elementi superati dal tempo, che gli stessi protagonisti
corressero poco dopo e che vanno contestualizzati in quel periodo.
Ma
soprattutto, il punto è che il “Manifesto di Ventotene” viene ricordato non
certo per quegli elementi citati dalla premier, ma per lo slancio ideale a un
processo federativo e di fratellanza dei popoli europei e per il coraggio degli
estensori, che combatterono per la libertà e contro il fascismo con la forza
delle loro idee e con il loro corpo.
Ripudiare il Manifesto sulla base di quegli
elementi controversi, trascurabili e trascurati da chi lo ha fatto diventare
una bandiera dell’Europa, suona pretestuoso.
Come scrive Carioti:
«È
evidente che richiamarsi al “Manifesto di Ventotene” non significa affatto
giurare fedeltà su ogni sillaba del documento, quasi si trattasse di un testo
sacro».
Peraltro,
anche la Bibbia è piena di passaggi che letti oggi fanno rabbrividire (si veda
il lavoro svolto negli anni da Sergio Quinzio) ma la lettura moderna
giustamente, e ovviamente, li trascura.
E
dunque perché l’attacco a Ventotene?
Un'uscita
troppo plateale per non essere studiata e preparata, anche perché ha il
vantaggio, per Palazzo Chigi, di distogliere l’attenzione dal rapido cambio di
postura della premier, che si è spostata da un sostegno politico e militare
totale all’Ucraina di Zelensky a un appoggio più naturale alle posizioni di
Trump, che ha da tempo mollato al suo destino Kiev.
Realismo politico, dicono gli esponenti di
Fratelli d’Italia:
sono
cambiate le condizioni, ora c’è Trump e si sta mettendo d’accordo con Putin per
evitare altri guai.
Per questo l’integrità territoriale
dell’Ucraina e la sua indipendenza democratica sono ormai sacrificabili
sull’altare della pace e dell’intesa Trump-Putin.
E
dunque Meloni frena sull’Europa armata, comincia a rimettere in discussione il
piano von Der Leyen, frena sul contingente militare pensato da Macron e Starmer
e critica il distacco dagli Stati Uniti e dalla Nato (anche se poi è il
contrario, sono loro a staccarsi dall'Europa).
Scrive
Massimo Franco:
«Se la provocazione di Giorgia Meloni sul
Manifesto di Ventotene aveva soprattutto l’obiettivo di distogliere
l’attenzione dai dilemmi del governo, sembra ben riuscita».
«Voleva
sviare il discorso dal riarmo. E alla Camera ci sono cascati tutti come dei
polli», sintetizza a Fabrizio Caccia, Giordano Bruno Guerri.
Una
bella e tempestiva risposta arriva in eurovisione da Roberto Benigni, come
segnala anche Aldo Grasso.
Il no
al federalismo.
Ma c’è un’altra versione che spiega
l’improvviso attacco a Ventotene.
Scrive Marco Galluzzo che quello della premier
è un attacco non pretestuoso, o non solo, perché esprime un obiettivo politico:
dire
no a una federazione europea.
«Io sono nazionalista e sovranista», ripete
Meloni ai suoi.
E la
destra approva, perché così si ribadisce la linea che dice no a una federazione
che sposterebbe tutto il potere a Bruxelles e dice sì solo a una
confederazione, più blanda della federazione.
E ancora: «Resta la sensazione, avallata dal
suo staff, che Meloni abbia parlato in primo luogo ai suoi elettori, alla sua
base, anche in risposta alla manifestazione di sabato scorso sull’Europa.
Lei ha
rivendicato un’idea di Ue diversa da quella della sinistra italiana».
Le
opposizioni insorgono Urla, bagarre, contestazioni, sospensione della seduta.
La reazione dell’opposizione è furente.
Da Pd,
M5S, Avs si parla di «oltraggio alla democrazia», di «pagina vergognosa».
Federico Fornaro, Avs, fa forse l’intervento più forte ed efficace, prima di
commuoversi.
Chiede
a Meloni di «inginocchiarsi di fronte a quegli uomini, padri dell’Europa, che
non possono essere insultati, derisi e caricaturizzati.
Se lei
è qui, è anche grazie a loro».
Divisi
ma uniti.
L’opposizione si divide sulle mozioni, unita
solo dalle parole di Meloni.
Lo
spiega Maria Teresa Meli:
«L’opposizione
si ricompatta grazie alla presidente del Consiglio.
Almeno
nella protesta, perché poi ognuno si tiene la sua mozione.
E a
sera, quando 5 Stelle e Avs chiedono il voto dei testi per parti separate,
sperando di attrarre qualche consenso dem, il Pd vota compatto «no» allo stop
degli aiuti militari all’Ucraina richiesto dal M5S e dai rossoverdi, anche se
approva la condanna di Israele sollecitata sempre dagli stessi due partiti».
Conte
vs Schlein.
Sull'Ucraina i leader di M5S e Pd si dividono
ancora.
Giuseppe
Conte accusa il Pd di aver sperato, insieme alla Ue, nella vittoria
dell’Ucraina:
«L’Europa
è disorientata, le reazioni sono addirittura isteriche.
Ma vi rendete conto che siete pericolosi?
State facendo di tutto per boicottare i negoziati di pace».
Elly
Schlein replica:
«L’Unione europea è sempre stata compatta nel
sostegno a Kiev e lo siamo stati anche noi. Non ci può essere una trattativa
per una pace giusta senza Ue».
Intanto
Salvini viene premiato da Orbán.
A
Bruxelles Matteo Salvini riceve, da «guerriero a difesa dei confini nazionali»,
il premio” Hunyadi Jáno”s, eroe ungherese della lotta contro gli ottomani.
Glielo
consegna il premier ungherese Viktor Orbán, mentre Marine Le Pen applaude.
Salvini fa il suo discorso e dice che la
grande minaccia per l’Europa «non sono i carri armati sovietici ma i milioni di
immigrati clandestini».
E che «Washington è la grande speranza di
libertà per i popoli europei:
Trump
ci salverà».
Orbán
apprezza e paragona Salvini all’eroe Hunyadi:
«Siete due guerrieri della stessa battaglia,
anche tu, Matteo, ti sei battuto a difesa dei nostri sacri confini.
Non
difendi un Paese, difendi la civiltà».
Le
trattative Trump-Putin.
La
telefonata a Putin Il primo round non è andato come sperava il presidente
americano.
In
campagna elettorale aveva detto che avrebbe portato la pace in 24 ore e invece
Putin ha concesso solo una debole tregua di 30 giorni limitata alle centrali
elettriche, subito infranta dai bombardamenti: nella notte sono stati lanciati
6 missili e 145 droni.
Non è
ancora chiaro cosa si sono detti in quella lunga telefonata, ma il presidente
russo avrebbe detto no alla tregua totale, in mancanza di uno stop completo
agli aiuti militari e di intelligence occidentali.
La
telefonata a Zelensky.
Oggi
Trump ha chiamato Zelensky, dicendo poi pubblicamente che è stata «un’ottima
telefonata», durata un’ora.
La
linea rossa ucraina è il non riconoscimento dei territori occupati come russi.
Ma
Zelensky vuole soprattutto che non si interrompano le forniture di armi
occidentali.
Per
questo avrebbe accettato la resa parziale, parlando con Trump, che su questo
tema sarebbe intenzionato a non cedere a Putin.
Zelensky
chiede un nuovo invio di missili Patriot.
Il presidente americano ha suggerito che gli
americani potrebbero assumere il controllo delle centrali elettriche ucraine
per facilitare la loro sicurezza.
Non è
chiaro se includa anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia, che è occupata
dai russi sin dal marzo 2022.
«Il
controllo americano delle centrali potrebbe rappresentare la migliore garanzia
per la loro difesa», ha suggerito Trump.
A
Gedda.
Non è
escluso che i due presidenti - Trump e Putin - si vedano di persona domenica in
Arabia Saudita, dove ripartirà il dialogo.
Oggi,
intanto, Mosca e Kiev hanno effettuato uno scambio di 175 prigionieri di guerra
per parte.
È una
minaccia per l’Europa Putin?
Le
opinioni divergono.
C’è
chi pensa che il suo obiettivo sia solo mettere in sicurezza le sue frontiere e
la sua sfera d’influenza, neutralizzando l’Ucraina.
E c’è chi pensa che la sua guerra all’Europa
sia già cominciata, con la disinformazione, la “cyber war”, le interferenze sui
sistemi democratici.
Ma non solo.
I
servizi di intelligence di Germania e Danimarca hanno annunciato pubblicamente
che, secondo le loro informazioni, il Cremlino si starebbe preparando a mettere
alla prova l'articolo 5 della Nato prima del 2030.
Ecco perché, dice il commissario europeo alla
Difesa, “Andrius Kubilius”, «abbiamo bisogno di una roadmap per essere pronti
entro il 2030, perché dobbiamo agire su larga scala».
Riarmo,
Bruxelles compra «europeo».
Il «Libro bianco per la difesa
europea-readiness 2030» ha l’obiettivo di riarmare gli Stati membri dando una
spinta all’industria europea della difesa.
Il
piano punta a favorire i progetti industriali europei e a rafforzare le
alleanze globali con partner come Australia, Canada, Giappone, Nuova Zelanda e
Corea del Sud, mentre il Regno Unito è considerato «un alleato essenziale».
Sul tavolo ci sono 150 miliardi di prestiti
garantiti dal bilancio europeo per gli Stati membri da destinare a progetti
congiunti o in associazione con almeno un Paese della zona Efta (Islanda,
Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) più l’Ucraina.
La
condizione però è che il 65% dei costi delle attrezzature finanziate provenga
da fornitori nell’Ue, in Norvegia o in Ucraina.
È prevalsa dunque la linea francese del
«comprare europeo».
Solo
un terzo della spesa - scrive Francesca Basso - può essere destinato a prodotti
di Paesi extra-Ue con un accordo di sicurezza.
Quindi
le industrie di Regno Unito, Stati Uniti e Turchia saranno escluse da questo
strumento a meno che non firmino un accordo di partenariato in materia di
sicurezza e difesa con l’Unione.
Crosetto:
l'unica
difesa è la Nato.
Come
si fa una difesa comune europea se non c’è uno Stato europeo, se non c’è una
politica estera comune?
E
considerando che i tempi perché maturi davvero un’Europa federale possono
essere di molti anni, l’obiettivo rischia di sfuggire di mano.
Si
potrebbe obiettare che un gruppo di Paesi potrebbero prendere in mano la
difesa, con un balzo in avanti, e con meccanismi simili a quelli della Nato
(come l’articolo 5).
Ma lo
scetticismo degli esperti è grande.
Quello
del nostro ministro della Difesa, “Guido Crosetto”, ancora più grande, come si
evince dalla lettera scritta al Corriere per chiarire alcuni punti e chiudere
in sostanza, all’ipotesi di una difesa comune.
L’unica
che esiste, dice, è la Nato.
E non
ci sono alternative.
Ecco i
punti principali della lettera, in sintesi:
1. «La
sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro».
Non è
un’interpretazione di parte, dice, ma un principio giuridico, fondante,
dell’Unione.
2. La
conseguenza è che ogni Paese è responsabile della sua Difesa e non esiste, ad
oggi, la possibilità, né concreta né giuridica, di un meccanismo automatico di
mutuo soccorso, intra-Ue, in caso di aggressione di una Nazione, o un’entità,
esterna.
C’è
l’articolo 42, che riecheggia il 5 della Nato, ma questo «non» prevede un
obbligo vincolante di intervento.
Ogni
eventuale aiuto militare dipenderebbe, esclusivamente, dalla volontà politica
dei singoli Stati membri, senza alcuna garanzia di un’azione collettiva
immediata.
3.
Dunque, la difesa europea non può sostituire la Nato né offrire lo stesso
livello di protezione.
4. Ma
una politica di difesa comune non si potrebbe fare?
Sì, il
Trattato Ue stesso la prevede, in prospettiva, ma solo a seguito di una
decisione unanime del Consiglio Europeo.
Circostanza
che, dal 1992 ad oggi, non si è mai verificata né è in discussione, oggi, in
alcun governo o Stato membro.
A Gaza
si muore, proteste a Gerusalemme.
Se sul
fronte esterno, Benjamin Netanyahu non sembra incontrare resistenze, viste la
cedevolezza di Trump, e la debolezza di Gaza, bombardata incessantemente dalla
fine della tregua, su quello interno il premier ha qualche problema in più.
Ieri anche a Gerusalemme, dopo Tel Aviv, ci
sono state proteste.
Due le
questioni:
la
prima è la rottura della tregua nella Striscia, che mette a rischio anche le
vite degli ostaggi israeliani, oltre a quelle dei palestinesi;
la
seconda è l’annuncio del licenziamento del capo dello Shin Bet, “Ronen Bar”.
Ma
Netanyahu va avanti per la sua strada.
Itamar
Ben Gvir, il ministro con la «pistola» di estrema destra, è tornato nel
governo.
Nella
Striscia continuano i raid, con altre 14 vittime.
Il premier minaccia di espandere «la lotta al
terrorismo» in Cisgiordania.
E
Trump minaccia ancora Iran e Houthi yemeniti.
Turchia,
arrestato Imamoglu, avversario di Erdogan.
A
breve “Ekrem Imamoglu”, sindaco di Istanbul, si sarebbe candidato contro il
presidente Recep Tayyip Erdogan, nelle elezioni nazionali.
Del
resto è il rivale più autorevole e più stimato. O almeno lo era, fino a ieri.
Perché “Imamoglu” è stato arrestato, con le accuse di corruzione, malversazione
e favoreggiamento del terrorismo.
Pochi
istanti prima di essere portato via, chiuso nella cabina armadio e in diretta
streaming con il telefonino, “Imamoglu” ha annunciato che non si arrenderà.
Ma
appare evidente che l’arresto è un pretesto per togliere di mezzo un avversario
politico.
Fanno
così le autocrazie.
Mantengono
una parvenza di democrazia formale, ma ne tagliano le fondamenta. Le prigioni
turche si sono riempite di oppositori negli ultimi tempi.
Una
famosa manager del mondo dello spettacolo è stata arrestata in gennaio per aver
partecipato a proteste di piazza nel 2013, dodici anni fa.
Così come il leader di un partito anti
migranti, un ex segretario del partito curdo considerato legale e un ex
attivista dei diritti umani.
Il
segretario del partito repubblicano ha accusato Erdogan di golpe.
«Il
presidente è stato sul treno della democrazia fino a che gli è servito, ora è
sceso ed è tra quelli che vogliono farlo deragliare».
Elkann
in Parlamento.
John
Elkann, presidente di “Stellantis”, ha spiegato in audizione a senatori e
deputati quanto sia complicata la sfida dell’ auto motive (in Europa il calo
produttivo in 20 anni è stato del 12% a fronte della crescita del 300% della
Cina, dove l’energia per produrre, intanto, costa 5 volte di meno).
Ma ha
anche rivendicato quanto fatto negli ultimi venti anni dal gruppo “Fiat-Fca-Stellantis”
in Italia.
Spiegando
che nel 2004 Fiat fatturava 20 miliardi e aveva 2 miliardi di debiti, mentre
oggi, dopo le fusioni con “Chrysler” e “Psa”, è il quarto costruttore di auto
al mondo con 157 miliardi di ricavi.
Aggiungendo:
«Senza Stellantis l’auto in Italia sarebbe scomparsa».
La
Lega lo attacca senza pietà:
«Le
parole di John Elkann sono l’ennesima, vergognosa presa in giro:
il suo
gruppo è cresciuto grazie ai soldi degli italiani, italiani che poi ha
licenziato per investire e assumere all’estero.
Elkann
dovrebbe scusarsi e ridarci i soldi».
Critici
anche Carlo Calenda e Chiara Appendino (M5S).
Elly
Schlein, invece, ha commentato positivamente il confronto, augurandosi che
venga rilanciata «la vocazione industriale».
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