Putin e Trump.

 

Putin e Trump.

 

 

Italia divisa sul piano riarmo europeo:

Meloni vuole convocare vertice con Tajani

e Salvini per riunire centrodestra.

Msn.com – Fanpage.it - Francesca Moriero – (17 -03 – 2025) – ci dice:

Giorgia Meloni si prepara a presentare la posizione italiana in vista del Consiglio europeo, un passaggio chiave in un momento di forti tensioni internazionali.

Il piano di riarmo da 800 miliardi voluto da Ursula von der Leyen ha infatti spaccato non solo l'Europa, ma anche la politica italiana, con divisioni evidenti sia all’interno della maggioranza che tra le opposizioni.

 Il governo deve insomma ora trovare un equilibrio tra il sostegno alla sicurezza collettiva e la resistenza all'aumento del debito per la spesa militare.

Il vertice del Consiglio europeo, previsto per giovedì e venerdì, si presenta insomma ora come un momento cruciale per l'Italia:

 la premier Meloni è chiamata infatti a gestire le differenze tra i vari partiti della sua coalizione, che si dividono sulla questione della difesa comune e starebbe pensando di convocare oggi, 17 marzo, i suoi vice Tajani e Salvini a Palazzo Chigi, per definire una linea comune e unire il centrodestra.

Il nodo centrale riguarda il testo della risoluzione di maggioranza che dovrà essere sottoposto a votazione e che dovrà sancire l'(eventuale) coesione su temi fondamentali, come la guerra in Ucraina, la posizione dell'Italia nei confronti dell'Ue e degli Stati Uniti, le spese per la difesa e l'invio delle truppe francesi e britanniche verso Est, in caso di una futura tregua tra Mosca e Kiev.

Le fratture in Italia: maggioranza e opposizione divise.

La posizione italiana sulla difesa si presenta tutt'altro che compatta:

Fratelli d'Italia e Forza Italia sostengono il piano, mentre la Lega si smarca, con il leader Matteo Salvini che definisce il progetto europeo un inutile indebitamento per le armi:

"È il paradosso europeo: non si poteva investire un euro in più per sanità e scuola, mentre ora si possono spendere 800 miliardi per la difesa comune?

Se oggi avessimo un esercito europeo, Francia e Germania ci avrebbero già mandato in guerra".

Nel centrosinistra, il Partito Democratico è estremamente diviso:

 una parte degli eurodeputati ha votato infatti a favore, mentre un'altra si è astenuta, riflettendo l'incertezza della leadership di Elly Schlein.

 Il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, invece, propone di destinare i fondi europei a investimenti in sanità, istruzione e ambiente, anziché al rafforzamento militare.

 "Il governo esprima ferma contrarietà al piano di riarmo europeo “Rearm Europe”, che va sostituito integralmente con un piano di rilancio e sostegno agli investimenti che promuovano la competitività e le priorità politiche dell'Unione europea quali:

 spesa sanitaria, sostegno alle filiere produttive e industriali, incentivi all'occupazione, istruzione, investimenti green e beni pubblici europei, per rendere l'economia dell'Unione più equa, competitiva, sicura e sostenibile", hanno dichiarato.

A votare contro anche la delegazione di Alleanza verdi sinistra, insieme ai Verdi:

 "Il nostro è un NO, nel merito e nel metodo, al piano di riarmo da 800 miliardi voluto dalla presidente von der Leyen e dalla Commissione europea", hanno dichiarato in una nota i deputati della delegazione italiana al Parlamento europeo, Cristina Guarda, Ignazio Marino, Leoluca Orlando e Benedetta Scuderi.

Antonio Costa: "Investire nell'industria della difesa creerà occupazione".

Il presidente del Consiglio europeo, “Antonio Costa”, ha sottolineato in un'intervista rilasciata “a Die Welt” e “Repubblica” l'importanza di rafforzare le capacità difensive dell'Unione Europea, ma ha anche messo in evidenza le difficoltà nel riuscire a sviluppare un'autonomia strategica completa.

 Costa ha infatti affermato che, nonostante gli sforzi per potenziare la difesa europea, l'Unione Europea deve ancora fare affidamento su armamenti provenienti da paesi extraeuropei, come gli Stati Uniti e la Corea del Sud, per far fronte alle necessità immediate.

 Il presidente del Consiglio europeo ha anche ribadito la necessità di una politica di difesa comune che vada oltre le risorse economiche, ma che includa anche un rafforzamento delle capacità politiche e diplomatiche dell'Unione.

 Ha parlato di "soluzioni globali", che possono "significare molte cose", per poi sottolineare che gli armamenti "a breve termine, dovremo comperarli dove sono disponibili le armi di cui abbiamo bisogno.

Ad esempio in Europa, America, Corea del Sud o Giappone.

A lungo termine, però, i nostri investimenti dovrebbero essere più decisamente indirizzati verso le industrie degli armamenti dei nostri Paesi.

 Sarebbe una buona cosa per la nostra sicurezza e la nostra società.

Infatti, tutti questi capitali potrebbero anche creare posti di lavoro e stimolare le innovazioni.

Ci tengo a sottolinearlo: dobbiamo assumerci maggiori responsabilità per la nostra difesa".

E sulla posizione dell'Ungheria, contraria alle armi in Ucraina, Costa ha specificato che "è comunque davvero notevole il fatto che in una comunità di ventisette Paesi, con molti e diversi orientamenti politici, visioni del mondo e culture, di norma raggiungiamo l’unanimità.

In qualche caso non ci si riesce.

 E penso che nel nostro vertice più recente abbiamo trovato un buon modo per affrontare la questione e per tenere in considerazione le opinioni di tutti. L’Ungheria non ha bloccato le decisioni — e noi rispettiamo la posizione isolata di quel Paese. Le conclusioni sulla difesa sono state adottate all’unanimità; quella sull’Ucraina è stata approvata da ventisei Paesi".

 

Una piazza per l'Europa: la mobilitazione della società civile.

Mentre i leader politici cercano una sintesi tra posizioni contrastanti, Roma ha ospitato una grande manifestazione a favore dell'Europa.

 Sabato scorso, nella Capitale, migliaia di persone si sono infatti radunate in una Piazza del Popolo "sold out", per partecipare alla manifestazione "Europa: Pace e solidarietà".

L'evento, organizzato da un ampio schieramento di movimenti pro-europei, ha visto la partecipazione di numerosi esponenti della politica di opposizione e attivisti.

Sotto il palco, circa cinquantamila persone, tra cui esponenti delle opposizioni come Elly Schlein, Carlo Calenda, Riccardo Magi, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, con Maria Elena Boschi per Italia Viva.

 Matteo Renzi era assente per il lancio del suo libro.

La piazza era animata da bandiere dell'Unione Europea, della pace, dell'Ucraina, della Georgia e due bandiere palestinesi; una testa di cartapesta di Donald Trump che mangiava banconote è stata poi presenza costante.

Elly Schlein, reduce dalla discussione sul voto a Strasburgo, è stata accolta con applausi e selfie, ma anche con una critica:

 "Viva la Picierno! Cerca di votare, non di astenerti!".

 La leader del Pd ha portato la bandiera blu stellata dell'Unione, ma ha enfatizzato l'importanza della pace e del dialogo diplomatico, salutando la Tavola della Pace con una grande bandiera arcobaleno:

"Oggi non è il tempo delle polemiche", ha detto Schlein ai giornalisti.

Carlo Calenda, leader di Azione, ha dichiarato:

 "La pace va garantita da un'Europa forte, anche militarmente, capace di respingere le aggressioni di Trump e Putin".

Riccardo Magi, di Più Europa, ha chiesto una "Europa politica" che inizi con una politica estera e di difesa comune.

 Nicola Fratoianni ha partecipato solo quando ha appreso che la manifestazione non sosteneva il riarmo:

"Sono sempre stato per la pace, contro l'escalation militare", ha detto, criticando la proposta di von der Leyen e i 800 miliardi di spesa.

La manifestazione è stata aperta e poi chiusa dal giornalista “Michele Serra”, con la Nona di Beethoven e l'Inno alla Gioia dell'Unione Europea.

Bagnai: "No all'esercito europeo, no all'invio di soldati italiani in Ucraina, no al taglio della sanità per comprare armi".

"No all'esercito europeo, no all'invio di soldati italiani in Ucraina, no al taglio della sanità per comprare armi.

Se dobbiamo fare altro debito, facciamolo per difendere famiglie e imprese dal caro bollette e tagliare le tasse, costruire ospedali e difendere i confini dai clandestini.

Non certo per acquistare 800 miliardi di euro di armi, o spendere altri 40 miliardi di euro in Ucraina.

 In un momento in cui finalmente la fine del conflitto sembra possibile, grazie all’impegno del presidente Trump, Italia ed Europa devono costruire ponti, non trincee", a dirlo il deputato della Lega, vicepresidente della commissione Finanze e responsabile del dipartimento Economia del Partito, Alberto Bagnai.

 

 

 

 

Dal Verde alle Armi!

Conoscenzealconfine.it – (17 Marzo 2025) – Redazione - Weltanschauung Italia – ci dice:

 

La strada dalla produzione di veicoli elettrici alla produzione di armamenti sembra sorprendentemente breve.

Tavolo sull’auto, Urso: “incentivi per riconvertirsi alla difesa”. “Rheinmetall, carri armati negli impianti Volkswagen: il riarmo tedesco è partito”.

E John Elkann prepara l’audizione in Parlamento per “Stellantis”.

Se ricordate parecchi mesi fa, di fronte alle manifestazioni sindacali sulla crisi del settore auto, scrivevamo amaramente che sarebbe bastato spostarsi nel settore armi, d’altronde sappiamo che aziende come “Leonardo” stanno gongolando da anni per via delle guerre.

Probabilmente ci hanno ascoltato, in questi giorni davvero stanno proponendo questa riconversione.

Raccontavano di un futuro più verde, un mondo sostenibile in cui i grandi produttori automobilistici avrebbero guidato la rivoluzione elettrica.

Non è andata proprio così, “transizione” significava semplicemente spostare gli investimenti dal verde al metallo dei carri armati.

Pensiamo a Volkswagen, dopo anni passati a blaterare di rivoluzione elettrica e a investire miliardi in piattaforme a zero emissioni, il gigante di Wolfsburg ha scoperto che il settore militare ha un margine di profitto decisamente più interessante.

Ma non solo Volkswagen, in tanti adesso stanno dicendo che risorse destinate all’ “innovazione sostenibile” verranno “parzialmente” reindirizzate verso la produzione militare.

Aziende che si erano posizionate come campioni della sostenibilità vanno così in totale contraddizione, le loro priorità si spostano dalle soluzioni per la crisi climatica alle soluzioni militari per fantasiosi riarmi.

Che dire, la strada dalla produzione di veicoli elettrici alla produzione di armamenti è stata sorprendentemente breve.

Questi geni stanno ancora usando le stesse presentazioni “PowerPoint con grafici di crescita verde” e slogan sulla “sostenibilità del business”.

 Solo che ora la sostenibilità include anche la capacità di sostenere il fuoco nemico.

(Weltanschauung Italia).

(t.me/weltanschauungitaliaofficial).

 

 

 

 

Trump afferma che lui e Putin

inizieranno i colloqui sulla guerra

in Ucraina “immediatamente.”

Infomoney.com - Gabriele Garcia – (12/02/2025) – ci dice:

 

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha affermato che il presidente russo è d'accordo con Trump sul fatto che è "il momento per i nostri paesi di lavorare insieme".

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha pubblicato sul suo social network “Truth Social” di aver avuto una chiamata “altamente produttiva” con il presidente russo Vladimir Putin mercoledì.

Trump ha affermato che i due leader hanno concordato di collaborare e di visitare reciprocamente i rispettivi paesi durante la chiamata, durata circa 90 minuti secondo quanto affermato dal Cremlino.

"Abbiamo concordato di lavorare insieme molto da vicino, anche visitando le rispettive nazioni.

Abbiamo anche concordato di far iniziare immediatamente i negoziati ai nostri rispettivi team, e inizieremo chiamando il presidente ucraino Zelensky per informarlo sulla conversazione, cosa che farò ora", ha scritto l'americano.

 

Trump ha dichiarato di aver nominato il segretario di Stato “Marco Rubio”, il direttore della CIA” John Ratcliffe”, il consigliere per la sicurezza nazionale “Mike Waltz” e l'inviato speciale “Steve Witkoff” per guidare il team negoziale degli Stati Uniti.

 L'elenco di Trump non includeva il suo inviato in Ucraina, “Keith Kellogg”.

Il portavoce del Cremlino “Dmitry Peskov” ha affermato che il presidente russo è d'accordo con Trump sul fatto che è "tempo per i nostri paesi di lavorare insieme" e che una "soluzione a lungo termine può essere raggiunta attraverso negoziati di pace", ma ha avvertito che è "essenziale risolvere le ragioni del conflitto".

“Peskov” ha affermato che Putin ha invitato Trump a Mosca ed è pronto a incontrare i funzionari statunitensi per discutere di "questioni di reciproco interesse".

 I due leader hanno discusso anche della cooperazione economica bilaterale e del programma nucleare iraniano, ha affermato il portavoce.

Approssimazione.

I colloqui tra i leader avvengono un giorno dopo che Mosca ha rilasciato dalla detenzione il professore americano “Marc Fogel” , in una mossa che la Casa Bianca ha definito una dimostrazione di "buona fede" che avrebbe aiutato i negoziati ad andare avanti.

In cambio, gli Stati Uniti rilasceranno “Alexander Vinnik” , un russo che gestiva la “piattaforma di criptovaluta BTC-e” e che è stato accusato di aver riciclato miliardi di dollari in bitcoin.

“Un giorno l’Ucraina potrebbe appartenere alla Russia.

Questa settimana, Trump ha già lanciato l’idea che l’Ucraina “potrebbe un giorno appartenere alla Russia”.

"Potrebbero fare un accordo, potrebbero non farlo.

 Potrebbero essere russi un giorno, o potrebbero non essere russi un giorno", ha detto in un'intervista con” Fox News” andata in onda lunedì.

Il presidente degli Stati Uniti ha anche sottolineato l'importanza di ottenere un ritorno sugli investimenti degli aiuti americani all'Ucraina, suggerendo uno scambio per le risorse naturali di Kiev, come i minerali delle terre rare.

"Avremo tutti questi soldi lì, e io dico che li voglio indietro.

E ho detto loro che voglio, tipo, 500 miliardi di dollari di terre rare", ha detto Trump.

"E sostanzialmente hanno accettato di farlo, quindi almeno non ci sentiamo stupidi."

“Non realistico.”

Mercoledì, il Segretario alla Difesa “Pete Hegseth” ha dichiarato che anche il ritorno dell'Ucraina ai confini precedenti al 2014 era un "obiettivo irrealistico. "

Ha affermato che una pace duratura per l’Ucraina “deve includere solide garanzie di sicurezza” per assicurare che la guerra non riprenda, ma che Washington “non crede che l’adesione dell’Ucraina alla NATO sia un risultato realistico”.

 

 

Trump-Putin, nuovo passo

 in avanti: sì al cessate il

fuoco “energetico” e al reset.

Mnn.com – (18-03 -2025) – Redazione - Storia di Andrea Muratore  - ci dice:

 

Sì a un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina riguardo gli attacchi sulle infrastrutture energetiche reciproche e a un graduale reset delle relazioni bilaterali tra Russia e Usa, ma soprattutto sì a un dialogo a tutto campo capace di guardare tutti gli scenari di confronto tra Washington e Mosca.

La chiamata tra Donald Trump e Vladimir Putin di oggi ha prodotto una serie di risultati significativi.

Innanzitutto, si riscontra una piattaforma di dialogo per provare a porre fine, dopo tre anni, alla guerra in Ucraina sulla base di un dialogo che ha prodotto i primi risultati concreti.

Meno del cessate il fuoco totale a cui Kiev era pronta, ma è la prima volta dal 24 febbraio 2022 che c’è l’intenzione di avviare un’astensione da parte dei combattimenti, per quanto parziale e solo per 30 giorni, delle due parti in conflitto: una trattativa deve pur partire da qualcosa, e Trump e Putin hanno iniziato a mettere le basi.

 Resta aperta la questione, sollevata da Putin, dello stop completo al sostegno militare e d’intelligence americano a Kiev come preludio a una trattativa per una pace definitiva, che per ora appare una condizione difficile da soddisfare.

 

In secondo luogo, tra Russia e Usa si prova a ricostruire la capacità di dialogo. Vasto programma, dopo dieci anni di conflittualità latente e per procura, ma su cui Trump e Putin investono risorse:

 si va dalla prospettiva di futuri accordi economici a gesti più simbolici, come incontri di hockey organizzati tra le rispettive squadre, per ristabilire le relazioni a livello politico, sociale e, innanzitutto, umano.

In campo anche gesti concreti: 175 prigionieri a testa saranno scambiati nella giornata di domani da Russia e Ucraina in uno scambio mediato dagli Usa.

 Da notare come il Cremlino, nel suo comunicato ufficiale, sottolinei che Putin e Trump “hanno toccato anche altri temi dell’agenda internazionale, tra cui la situazione in Medio Oriente e nella regione del Mar Rosso.

 Saranno compiuti sforzi congiunti per stabilizzare la situazione nelle aree di crisi e stabilire una cooperazione su questioni di non proliferazione nucleare e di sicurezza globale”.

Questo è il vero nodo gordiano della questione:

in campo c’è molto più dell’Ucraina.

 Lo dice a chiare lettere la Russia:

si è parlato “della speciale responsabilità della Russia e degli Stati Uniti nel garantire la sicurezza e la stabilità nel mondo”, un dato che impone una riflessione in cui Kiev può essere solo una parte del discorso.

Forse è stato deluso chi si aspettava soluzioni palingenetiche o clamorosi colpi di scena.

 Ma la diplomazia va avanti a piccoli passi concreti, realismo e fiducia reciproca. Trump e Putin provano a ricostruire quella tra Russia e Usa.

Sarà un percorso lungo, ma ne va della sicurezza dei due Paesi e del mondo intero. Una telefonata non è risolutiva.

Ma sicuramente allunga la vita…perlomeno alla diplomazia.

 La quale è l’unica risolutrice di conflitti capace di produrre soluzioni durature, al netto dei proclami.

(InsideOver).

 

 

 

 

Ucraina: prima intesa Trump-Putin,

Mosca ferma i raid sulle centrali.

Ansa.it – Mondo – (19-3-2025) -Redazione Ansa – ci dice:

Ma lo zar vuole lo stop delle armi a Kiev. Zelensky: è per indebolirci.

Witkoff: i colloqui riprendono domenica a Gedda.

I colloqui per un cessate il fuoco nella guerra della Russia con l'Ucraina continueranno domenica nella città saudita di Gedda:

 lo ha detto l'inviato speciale del presidente americano Donald Trump, “Steve Witkoff”.

In un'intervista con “Fox News” poche ore dopo che Trump ha avuto una lunga telefonata con il presidente russo Vladimir Putin, “Witkoff” ha parlato in particolare della tregua sulle infrastrutture energetiche e sugli obiettivi nel Mar Nero:

"Penso che entrambi siano ora concordati dai russi.

Sono certamente fiducioso che gli ucraini saranno d'accordo", ha detto.

Il cessate il fuoco di 30 giorni tra Russia e Ucraina, concordato da Trump e Putin ma non ancora accettato da Kiev, riguarderebbe l'energia e "le infrastrutture in generale".

Lo ha detto “Witkoff “rispondendo a una domanda specifica su “Fox News” in merito al fatto se la tregua riguardasse solo l'energia o una questione più ampia. Witkoff ha detto: "No, riguarda l'energia e le infrastrutture in generale".

Prima parziale fumata bianca verso la pace in Ucraina, dopo l'attesissima telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin, durata oltre due ore e mezzo.

 I due leader, secondo la Casa Bianca, hanno concordato una roadmap verso una "pace durevole", che inizierà con una tregua di 30 giorni dei raid sulle infrastrutture, a partire da quelle energetiche.

Per ora quindi non ci sarà la tregua incondizionata totale cui aveva aderito Kiev, che rischia così di continuare a perdere terreno.

"I russi non sono pronti a porre fine a questa guerra, non sono pronti nemmeno per il primo passo, che è un cessate il fuoco", ha commentato a caldo “Volodymyr Zelensky”, denunciando che "l'intero gioco di Putin è indebolire" l'Ucraina ma che Kiev continuerà a combattere anche nel Kursk.

Pur dicendosi favorevole alla tregua degli attacchi alle infrastrutture energetiche approvata da Mosca, il presidente ucraino pensa "che sarebbe giusto per noi avere una conversazione con il presidente Trump e conoscere i dettagli di ciò che i russi hanno offerto agli americani o di ciò che gli americani hanno offerto ai russi".

 Il commander in chief e lo zar hanno aperto anche al "miglioramento dei rapporti bilaterali - che porteranno "enormi accordi economici e alla stabilità geopolitica" - alla cooperazione contro i conflitti in Medio Oriente e contro la proliferazione delle armi strategiche, condividendo pure la visione che l'Iran non possa mai essere in grado "di distruggere Israele".

"Una telefonata molto buona e produttiva", ha commentato Trump su “Truth.” Insomma, una prima, storica svolta tra Usa e Russia dopo che le loro relazioni avevano toccato il punto più basso dalla guerra fredda.

Sullo sfondo, una partita che sembra più ampia di quella in Ucraina.

 

Nel suo resoconto della telefonata, la Casa Bianca ha annunciato che i due leader "hanno concordato che il movimento per la pace inizierà con un cessate il fuoco energetico e infrastrutturale, nonché con negoziati tecnici sull'attuazione di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero", per passare poi ad un "cessate il fuoco completo e una pace permanente".

Questi negoziati "inizieranno immediatamente in Medio Oriente", probabilmente in Arabia Saudita.

Alla fine di un colloquio definito "franco e dettagliato", il Cremlino ha confermato lo stop immediato di 30 giorni ai bombardamenti delle infrastrutture energetiche ma ha posto alcune condizioni difficilmente digeribili per Kiev:

"la parte russa ha delineato una serie di punti essenziali riguardanti il controllo efficace di un possibile cessate il fuoco lungo l'intera linea di contatto e la necessità di fermare sia la mobilitazione forzata in Ucraina, sia il riarmo delle forze ucraine", nonché' la fornitura di intelligence straniera.

Quindi stop all'arruolamento, al riarmo e all' assistenza militare di Kiev, oltre a paletti non meglio definiti per garantire la tregua lungo un confine di 2000 km, con Mosca che finora si è opposta al dispiegamento di truppe europee.

 Putin ha inoltre informato Trump di uno scambio di 175 prigionieri per parte con l'Ucraina, a suo dire in programma domani, e ha espresso "gratitudine al presidente americano per il suo desiderio di contribuire a raggiungere il nobile obiettivo di porre fine alle ostilità e alle perdite umane".

Nessun riferimento per ora dalle due parti a eventuali concessioni, dai territori alla Nato.

Ma i due leader, informa la Casa Bianca, hanno anche affrontato anche altri tre dossier importanti.

Hanno parlato "ampiamente del Medio Oriente come regione di potenziale cooperazione per prevenire futuri conflitti", in un momento in cui la tregua a Gaza è collassata.

Hanno discusso "della necessità di fermare la proliferazione di armi strategiche", impegnandosi "con altri per garantire la più ampia applicazione possibile":

 una mossa che conferma l'intenzione di Trump di ridurre le spese militari e gli arsenali nucleari, coinvolgendo anche altri Paesi, a partire dalla Cina, il più potente alleato di Mosca.

E hanno "condiviso l'opinione che l'Iran non dovrebbe mai essere nella posizione di distruggere Israele", ossia di avere l'arma nucleare:

una sponda russa che potrebbe rafforzare l'obiettivo del tycoon di costringere Teheran ad un nuovo accordo sul nucleare.

Infine "hanno concordato che un futuro con un miglioramento delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Russia ha enormi vantaggi.

Ciò include enormi accordi economici e stabilità geopolitica quando sarà raggiunta la pace":

quindi pace ma soprattutto affari all'orizzonte, col mondo del business Usa già pronto a tornare in Russia.

Per ora Putin sembra uscirne avvantaggiato rispetto a Zelensky, dopo aver rotto l'isolamento occidentale ed essere stato riabilitato come leader di una superpotenza, trattato da pari a pari da Washington.

 In una telefonata che al New York Times rievoca la conferenza di Yalta del 1945, con la divisione del mondo in aree di influenza e un nuovo ordine mondiale.

 (ANSA).

 

 

 

 

Ucraina. Trump-Putin: la telefonata

è servita per avviare la grande spartizione.

Avvenire.it - Elena Molinari, New York – (18 marzo 2025) – ci dice:

 

Stop di 30 giorni degli attacchi russi alle centrali e alle infrastrutture, scambio di prigionieri tra Mosca e Kiev, normalizzazione dei rapporti tra potenze: è la prima bozza d'intesa senza Zelensky.

Vladimir Putin ferma gli attacchi alle centrali in Ucraina per trenta giorni, acconsente a liberare 175 prigionieri di guerra ucraini (in cambio di altrettanti soldati russi) e accetta di tornare quanto prima ai negoziati di pace (probabilmente in Arabia Saudita).

Donald Trump prenderà in «considerazione» di mettere fine agli aiuti militari e alla condivisione dell’intelligence di Washington con Kiev, oltre a imporre la fine della mobilitazione forzata in Ucraina:

tutte condizioni chiave poste dal presidente russo per la ripresa dei colloqui.

Nel frattempo, il capo della Casa Bianca e quello del Cremlino organizzeranno almeno una partita di hockey fra Usa e Russia negli Stati Uniti.

La lista delle decisioni concrete prese nel corso dell’attesissima telefonata sulla pace in Ucraina fra i leader russo e americano – durata oltre due ore – è corta, e comprende un gesto altamente simbolico della «normalizzazione delle relazioni bilaterali» tra Mosca e Washington che il Cremlino insegue dall’insediamento di Trump e ieri ha enfatizzato come fondamentale risultato del colloquio.

Un ripristino di un’amicizia “alla pari” che concede a Putin il riconoscimento dello status della Russia come grande potenza al pari degli Stati Uniti.

Non a caso il comunicato emesso da Mosca alla fine della chiamata sottolinea la «responsabilità condivisa di Russia e Stati Uniti per la stabilità nel mondo» e la discussione «del Medio Oriente come di una regione nella quale avviare una cooperazione per prevenire futuri conflitti».

Una promozione per Mosca, che da quando ha invaso la Crimea è considerata un paria dalla comunità internazionale, e anche un’alleanza in vista di una sorta di nuova Yalta, una spartizione del potere mondiale che passa attraverso la negoziazione bilaterale della fine del conflitto iniziato da Mosca.

Per ora i contatti fra Trump e Putin non hanno portato a una vera e propria divisione dei territori o delle risorse ucraine.

 Ma le basi sono già state poste.

Putin, che ha strappato la Crimea all'Ucraina nel 2014 e ora controlla circa un quinto del territorio ucraino, ha ribadito che, per arrivare alla pace, la Russia deve mantenere il controllo del territorio ucraino che ha occupato, che le sanzioni occidentali devono essere sollevate e che Kiev deve organizzare elezioni presidenziali per rimpiazzare Volodymyr Zelensky, che ora governa in base alla legge marziale da lui imposta.

Da parte sua, Trump da settimane spinge il presidente ucraino a concedere agli Stati Uniti lo sfruttamento di buona parte delle terre rare e delle infrastrutture ucraine, con Putin che ha suggerito che i minerali potrebbero venire anche dai territori sotto il controllo russo.

Alla vigilia della chiamata, inoltre, Trump aveva ventilato la cessione di territori ucraini e il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia a Mosca, oltre al riconoscimento Usa della Crimea come russa.

Il portavoce del Cremlino “Dmitrij Peskov” ha respinto la definizione di «una nuova Yalta» (città che, ironicamente, si trova proprio in Crimea) ma ha sottolineato «l’intesa» tra i due leader, costruita già durante la prima chiacchierata del 12 febbraio, e la loro volontà comune di riportare «stabilità».

Nei resoconti della telefonata delle due parti non è emersa alcuna discussione delle “linee rosse” di Kiev, vale a dire le sue integrità territoriale e sovranità, il fatto che nessun Paese abbia diritto di veto su un eventuale ingresso dell’Ucraina nella Ue o nella Nato o possa imporre limitazioni alle sue capacità di difendersi.

Zelensky ha già accettato il cessate il fuoco proposto dagli Stati Uniti, mentre Putin ha dichiarato più volte che le sue forze avrebbero continuato a combattere fino a quando non fossero state accettate le sue condizioni chiave:

un avvertimento confermato ieri sera da un attacco aereo lanciato da Mosca dopo la telefonata tra Putin e Trump su Kiev, dove si sono registrate diverse esplosioni.

Dalla Finlandia, il presidente ucraino ha dunque ribadito ieri che la Russia deve «cedere il territorio che ha conquistato» ed evidenziato che le ambizioni di Mosca «non si fermeranno all'Ucraina se le verrà permesso di mantenere il territorio che ha conquistato.

 La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha implicitamente confermato il suo monito, avvertendo che la Russia ha ampliato massicciamente la sua capacità di produzione militare-industriale in preparazione di «un futuro confronto con le democrazie europee».

 Parlando con Trump, il primo ministro britannico” Keir Starmer” ha invece ribadito «che tutti devono lavorare insieme per mettere l'Ucraina nella posizione più forte possibile per garantire una pace giusta e duratura», ha affermato il portavoce del leader britannico.

Ma Trump, che è determinato ad ottenere un cessate il fuoco entro i suoi primi 100 giorni di governo, vale a dire il 29 aprile, sembra voler cementare a tutti i costi la sua alleanza con il capo del Cremlino.

Ieri ha enfatizzato che la conversazione telefonica «è stata molto buona e produttiva» e condiviso l’importanza del contributo russo alla pace mondiale e al contenimento dell’Iran: un punto chiave della politica estera del tycoon.

 

 

 

Putin ha preso ancora

tempo sul cessate il fuoco.

Ilpost.it – Redazione –(8-3-2025) – ci dice:

 

Parlando con Trump si è detto disponibile a sospendere per 30 giorni gli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine, ma nulla di più.

Il presidente russo Vladimir Putin si è detto favorevole a interrompere per 30 giorni gli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine, a patto che anche l’Ucraina faccia lo stesso con quelle russe.

 

Putin l’ha detto durante una telefonata di circa due ore con il suo omologo statunitense Donald Trump, nella quale i due hanno parlato della possibilità di mettere fine alla guerra in Ucraina.

Putin ha però espresso vari dubbi e imposto condizioni per raggiungere un cessate il fuoco:

tra le altre cose ha chiesto la completa interruzione, da parte di altri stati (quindi anche quelli europei), degli aiuti militari e della condivisione di informazioni d’intelligence con l’Ucraina.

 Ha anche ribadito che il paese dovrebbe smettere di riarmarsi, cosa che il presidente Volodymyr Zelensky ha già detto essere irricevibile.

Poco dopo la fine della telefonata Zelensky, che si trovava a Helsinki, in Finlandia, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha commentato favorevolmente la proposta di sospensione degli attacchi alle infrastrutture energetiche.

Ha detto però che il fatto che Putin stia tentando di imporre molte condizioni aggiuntive prima di accettare un cessate il fuoco vero e proprio è il segno che «non è pronto a mettere fine alla guerra».

 

La proposta russa di sospendere gli attacchi contro le infrastrutture energetiche è probabilmente meno efficace di quello che sperava di ottenere Trump, che qualche giorno fa aveva detto:

 «Vogliamo vedere se possiamo porre fine alla guerra. Forse possiamo, forse non possiamo, ma penso che abbiamo ottime possibilità».

La scorsa settimana gli Stati Uniti e l’Ucraina avevano presentato una proposta congiunta per un cessate il fuoco di 30 giorni (totale, non relativo solo alle infrastrutture energetiche).

L’Ucraina si era detta pronta ad accettarla, mentre Putin aveva sostanzialmente preso tempo dicendo di non essere contrario, ma che c’erano ancora molte «questioni» da discutere.

 Ultimamente le operazioni militari russe stanno avendo successo, e anche per questo Putin non ha particolare interesse a interromperle con un accordo che non considera sufficientemente favorevole alla Russia.

 

Dopo la telefonata tra Trump e Putin la Casa Bianca ha detto anche che inizieranno «immediatamente» in Medio Oriente (non è chiaro esattamente dove) dei negoziati per sospendere gli attacchi nel Mar Nero, e per raggiungere un «cessate il fuoco totale» e la «pace permanente».

Dall’inizio della guerra, nel febbraio del 2022, sia la Russia che l’Ucraina hanno compiuto spesso attacchi contro le rispettive infrastrutture energetiche, come centrali elettriche, raffinerie, impianti di trattamento del gas e del petrolio.

Spesso gli attacchi russi si sono concentrati su zone meno protette dalle difese antiaeree ucraine e hanno causato grossi danni, lasciando molte città senza elettricità anche durante i mesi più freddi dell’anno.

 Dall’inizio del 2024 l’Ucraina sta conducendo invece un’intensa campagna per colpire in particolar modo le infrastrutture russe coinvolte nel trattamento e trasporto di gas e petrolio destinati all’esportazione, usando droni esplosivi a lungo raggio.

Nel comunicato russo si legge anche che Putin avrebbe proposto a Trump di organizzare delle partite di hockey tra squadre russe e statunitensi nei due paesi. La cosa non è menzionata nel comunicato diffuso dalla Casa Bianca.

 

 

 

 

Trump e Putin decidono le condizioni

 per la tregua in Ucraina, ma l’Europa

frena già: ecco le proposte

di Mosca e Washington.

Ilfattoquotidiano.it – (18-03 -2025) – Redazione – ci dice:

Trump e Putin decidono le condizioni per la tregua in Ucraina, ma l’Europa frena già: ecco le proposte di Mosca e Washington

I due presidenti tendono la mano a Kiev, ora tocca a Zelensky e agli alleati europei rispondere: ma in Ue si continua a parlare di guerra.

Se le tre ore di telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin passeranno alla storia come la “Hockey Diplomacy” (sì, hanno parlato anche di organizzare match nei palaghiaccio russi e americani) lo si scoprirà solo nelle prossime settimane.

Di certo c’è che la chiamata ha segnato il primo passo concreto in direzione di uno stop alle ostilità in Ucraina.

Perché questa volta, a differenza delle semplici dichiarazioni d’intenti partorite al termine degli altri bilaterali, da Washington e Mosca sono arrivate le prime condizioni, e soprattutto i primi impegni, in direzione di un cessate il fuoco.

Il Cremlino e la Casa Bianca lo hanno annunciato con comunicazioni diffuse in contemporanea:

Putin ha deciso di compiere il primo passo in favore della tregua ordinando lo stop immediato agli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine.

 Una decisione importante, dato che proprio la distruzione del sistema di approvvigionamento ucraino ha fiaccato la resistenza della popolazione nelle aree vicine al fronte nel corso del freddo inverno.

Si tratta però di una ‘mano tesa‘, o almeno così la considerano Stati Uniti e Russia, a tempo determinato:

 il Cremlino manterrà il divieto di attacchi alle infrastrutture energetiche per 30 giorni entro i quali sia Kiev sia i suoi alleati sono chiamati a compiere anch’essi uno sforzo che testimoni la reale volontà di sedersi al tavolo delle trattative con il conflitto congelato.

 E le richieste da recapitare a Zelensky e all’Europa sono già state messe sul tavolo: stop immediato alle forniture di armi all’esercito ucraino e blocco della collaborazione a livello di intelligence tra Kiev e gli alleati occidentali.

“I negoziati” per arrivare al cessate il fuoco “inizieranno immediatamente in Medioriente”, fa sapere la Casa Bianca, ma la palla adesso è già nelle mani di Kiev e Bruxelles che dovranno decidere se le condizioni decise da Mosca e Washington siano accettabili.

Se così non fosse, il conflitto andrà avanti e la Federazione si sentirà libera di riprendere anche gli attacchi alle infrastrutture energetiche.

Le parole che arrivano dal Vecchio Continente non fanno certo ben sperare. Proprio mentre i due leader mondiali trattavano sulle prime condizioni della tregua, Ursula von der Leyen è intervenuta ospite della Royal Danish Military Academy per ribadire la linea bellicista di Bruxelles:

 “Se l’Europa vuole evitare la guerra, deve prepararsi alla guerra“, ha esordito.

Per poi spiegare le motivazioni che si trovano dietro alla decisione di forzare l’approvazione del suo piano di riarmo europeo “Rearm Europe! “:

“Entro il 2030, l’Europa deve avere una forte posizione sulla difesa.

 ‘Prontezza 2030‘ significa aver riarmato e sviluppato le capacità per avere una deterrenza credibile.

La portata, i costi e la complessità dei progetti vanno ben oltre le capacità di ogni singolo Paese.

 Ecco perché dobbiamo sviluppare progetti su larga scala e intensificare gli appalti congiunti”.

Il cancelliere tedesco uscente, Olaf Scholz, ha accolto positivamente la decisione della Federazione russa di fermare gli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine ma, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente francese Emmanuel Macron, ha poi concordato con lui che Francia e Germania non bloccheranno gli aiuti militari a Kiev.

 Lo sguardo dell’Europa sembra ancora rivolto verso una direzione completamente opposta a quella di Mosca e Washington.

 

 

 

 

"Clima, pandemia e guerra

 le crisi che minano il futuro”

Lanazione.it – Dott. Francesco Bovenzi – (29 – 03 – 2022) – ci dice:

 

L’uomo sta vivendo suo malgrado l’esperienza di adattamento a una pluralità di minacce e devastazioni che mettono in discussione la sua stessa vita e salute.

Due anni fa l’inizio della pandemia ha cambiato il volto del mondo costringendo per prima l’Italia e poi tanti paesi ad adottare misure da tempi di guerra con chiusura dei confini e diffusi lockdown.

La domanda che molti si pongono è quando la società tornerà pienamente ai modelli di comportamento pre-pandemici.

In verità, la scienza non può prevedere quali altre varianti del coronavirus emergeranno e quale potrà essere la traiettoria della pandemia, certamente non lineare come dimostra la sommessa recrudescenza di questi ultimi giorni.

Gradualmente la maggior parte delle persone percepirà il Covid-19 come un rumore di fondo, un rischio presente simile all’influenza, ma non potrà esistere un solo momento in cui la nostra vita sociale tornerà d’improvviso alla normalità.

 

L’ottimismo generato in Europa dai vaccini per contrastare la pandemia è stato cancellato in poco più di un mese dal nefasto presagio per il destino del popolo ucraino travolto dalla follia di un uomo che invadendo uno Stato indipendente ha seminato odio e morte, distrutto famiglie e culture che rifiutano i modelli sovietici riportandoci indietro negli scenari da guerra fredda.

 Le cruente battaglie combattute ai confini dell’Europa lanciano una minaccia esistenziale che genera in noi sentimenti di angoscia, nuovi disagi, insicurezza alla vista dei massacri e di circa 4 milioni di ucraini logorati che fuggono verso la Polonia in cerca di sicurezza.

Migliaia di anziani, donne e bambini senza casa, profughi dagli orrori della guerra vivono il più grande esodo dal novecento in cerca di protezione e aiuto.

Anche Lucca con la sua antica vocazione ai valori dell’ospitalità, della solidarietà e della pace, tra le prime città in Italia sta accogliendo, integrando e assistendo i crescenti profughi con una capillare organizzazione che coinvolge l’intera provincia.

 La catena lucchese delle donazioni di beni di prima necessità, denaro e farmaci è partita spontanea e non si arresta grazie al buon cuore e alla disponibilità di tanti privati cittadini, della diocesi, aziende, enti, istituzioni e associazioni.

Se la pandemia in due anni ha cambiato il mondo, oggi la guerra lo sta stravolgendo a cominciare dall’Europa.

 

È inevitabile che un’aggressione di così ampia portata che sta uccidendo migliaia di persone e materializzando milioni di esuli catturi la nostra preoccupazione, sotto la veste di una sfida immediata da vincere con l’unità del fondamento europeo.

Nel corso della pandemia la guerra è stata spesso utilizzata come metafora che identificava il virus come nostro nemico da combattere, le tattiche per contrastarlo, gli eroi identificati nel personale sanitario e nel volontariato, il fronte interno fatto da chi restava rinchiuso in casa per sopravvivere come protetto in un rifugio, le scuole chiuse, la crisi dei sistemi sanitari, l’indebolimento delle economie e dei flussi finanziari mondiali.

Una cascata di eventi imprevedibili ha travolto l’uomo moderno che pensava di avere il controllo totale del suo futuro, ma che all’improvviso sta vivendo suo malgrado l’esperienza di adattamento ad una pluralità di minacce e devastazioni che mettono in discussione la sua stessa vita e salute: la pandemia, le guerre, l’onnipresente crisi climatica.

L’inferno ucraino con le immagini terribili di distruzioni e violenza sulla povera gente ha sostituito negli spazi della comunicazione l’emergenza pandemica.

 In pochi mesi il mondo non riesce più a guardare orgoglioso al futuro della sua gente, si ritrova spogliato delle sue certezze.

Tutto è diventato improvvisamente possibile, nulla improbabile come la paura dell’utilizzo di armi non convenzionali, nucleari, batteriologiche e chimiche.

La dimensione sociale della crisi scatenata dalla guerra richiede grande solidarietà da parte di tutti, azioni comuni, responsabilità, cooperazione, diplomazia che non riusciamo a coniugare per la prepotenza di tattiche geopolitiche, nuovi interessi economici e finanziari, vecchi rancori religiosi, accaparramento di risorse energetiche, conquista di sbocchi sul mare, armamenti, narrazioni di potere e mire espansionistiche.

L’umanità si trova oggi ad un bivio per salvaguardare il suo futuro di civiltà e di progresso.

Il primo passo deciso sarà verso la salvaguardia della libertà, delle democrazie e della pace, contro ogni barbarie e guerra.

 Purtroppo, le tragedie umanitarie non si fermano qui vanno oltre quell’orizzonte oscuro che oggi è popolato di contagi virali e bombe.

Nei prossimi anni faremo i conti con l’emergenza dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento atmosferico responsabili di gravissimi danni alla salute. Quest’anno dal 7 al 9 luglio nell’Auditorium di San Francesco, in occasione di

A Cardio -Lucca, daremo ampio spazio scientifico all’emergenza pandemica Covid-19, inoltre, con il contributo di idee delle nostre massime istituzioni tratteremo per primi le principali crisi esistenziali e sociali che minacciano la salute, la pace e il futuro dell’umanità.

 

 

 

 

 

La questione della proprietà della

moneta al momento

della sua emissione.

Macrolibrasi.it – Redazione - Antonio Miclavez e Marco Della Luna – (18 anni fa) – ci dicono:

 

Tratto dal libro "Euroschiavi e i segreti del signoraggio" di Marco Della Luna e Antonio Miclavez.

La Banca Centrale emette denaro per un valore, supponiamo, di mille miliardi di Euro.

Quel valore, quei mille miliardi, di chi sono?

A chi appartiene la moneta, il valore del denaro, nel momento in cui viene emessa dalla Banca Centrale?

 Alla Banca Centrale stessa, che quindi ha diritto di farsela pagare dallo Stato?

 O allo Stato, al popolo, che quindi non dovrebbe pagare né il denaro né gli interessi alla Banca Centrale quando ha bisogno di denaro?

Si tratta di una questione fondamentale, perché dalla risposta che essa riceve, dipende essenzialmente l’indebitamento dello Stato.

Il fatto che l’esercizio del potere monetario attraverso la Banca Centrale è uno strumento di potere dei banchieri sullo Stato, trova conferma in come le istituzioni statali sono impegnate a equivocare e a mentire in tutte le sedi, anche parlamentari, per coprire il fatto che la Banca d’Italia cede a caro prezzo denaro che a essa niente costa e a cui non è essa a dare il valore, ossia il potere di acquisto.

Il potere di acquisto, come abbiamo visto, glielo conferisce il mercato, la gente, attraverso la domanda di denaro.

 La Banca Centrale non ha “prodotto” il valore del denaro, eppure si comporta come se fosse proprietaria del medesimo denaro, in quanto lo cede allo Stato (e alle banche commerciali) in cambio di titoli di Stato e contro-interessate.

Questo fatto è paradossale.

È come se il tipografo, incaricato dagli amministratori della società calcistica organizzatrice di una partita di stampare 30.000 biglietti di ingresso per le partite del campionato, col prezzo di € 20 stampato su ogni biglietto, chiedesse come compenso per il suo lavoro di stampa € 600.000, in base al fatto che i biglietti che ha prodotto “valgono” € 20 cadauno.

 È vero che essi “valgono” € 20 cadauno, ma che essi abbiano un valore non dipende dal tipografo, bensì dall’associazione sportiva che ha formato la squadra, procurato il campo da gioco e organizzato la partita, sostenendo i relativi costi e producendo la domanda di quei biglietti, senza la quali questi niente varrebbero.

Gli amministratori della società sportiva lo sanno bene, ma il tipografo in parte li ricatta e in parte li lusinga perché promette loro che, se gli pagheranno l’ingiusto compenso richiesto, egli darà loro un lauto regalo e i fondi per farsi rieleggere alle prossime elezioni del consiglio di amministrazione.

Altrimenti, finanzierà altri candidati e una campagna di stampa contro i consiglieri onesti.

 

Il potere bancario si comporta come quel tipografo, e i governanti si comportano come i consiglieri ricattati e lusingati dell’associazione sportiva, riconoscendo alla Banca Centrale la proprietà o titolarità del valore del denaro che emette, stampato o scritturale che sia, e in cambio di esso indebitano ingiustamente e illogicamente proprio il popolo, che è il soggetto che, col suo lavoro e con la sua domanda, ossia col mercato, conferisce valore al denaro.

Per questa ragione, oltre che in base al principio costituzionale della sovranità popolare, al momento in cui viene emesso, il denaro, il suo valore, dovrebbe logicamente essere ed essere trattato come proprietà del popolo e, per esso, dello Stato.

Assolutamente lo Stato non dovrebbe indebitare sé stesso e il popolo verso una Banca Centrale, pubblica o privata che sia, per ottenere denaro.

Al contrario, ciò è proprio quanto succede incessantemente.

 Ma vi è di peggio:

 la Banca Centrale, cioè i suoi azionisti, oltre ad appropriarsi, a danno dello Stato, del valore del denaro che essa emette, nei suoi propri conti segna questo valore non all’attivo ma al passivo, simulando un debito ed evitando, così, di pagare le tasse su quello che è un puro incremento di capitale e che, come tale, dovrebbe essere interamente tassato.

L’ovvio ragionamento che abbiamo appena svolto è stato già sottoposto al Parlamento, attraverso interrogazioni parlamentari, nel 1994 e nel 1995.

Entrambe le risposte elusero il problema, affermando che la Banca Centrale (allora, cioè, la Banca d’Italia) non sarebbe proprietaria dei valori monetari, ossia del valore del denaro emesso, perché il denaro emesso costituirebbe sempre un passivo, un debito;

e che, perciò, giustamente la Banca d’Italia lo iscriveva come posta passiva nel proprio bilancio.

Come i membri competenti dei due governi interessati non potevano ignorare, queste risposte sono del tutto contrarie alla verità.

 Innanzitutto, la risposta fornita è contraddetta dal comportamento dei governi medesimi – di tutti i governi.

Infatti, se i governi fossero coerenti con l’affermazione che il denaro, il valore monetario, non appartiene alla Banca emittente, perché lo Stato continua a dare qualcosa (i titoli del debito pubblico) in cambio di Lire o Euro?

E se il denaro emesso costituisse una passività, un debito, perché mai lo Stato dovrebbe comperarlo pagandolo con titoli del debito pubblico, che costituiscono un credito per chi li riceve?

Si è mai visto che qualcuno paghi un altro per farsi cedere un debito?

Ma le risposte del governo sono anche false giuridicamente, perché il denaro non è affatto un debito per la Banca che lo emette.

 Se fosse un debito, dovrebbe poter essere incassato dal portatore presso la Banca medesima, mediante conversione in oro, e il portatore della banconota aveva il diritto di farsela cambiare in oro dalla Banca Centrale che l'aveva emessa, come avveniva una volta, fino al 1929 circa, quando il denaro era convertibile in oro.

 

Anche in tempi successivi al 1929, molte banconote portavano la scritta “Pagabile a vista al portatore”.

 Ma pagabile in che cosa, dato che esse non erano convertibili in oro?

 In realtà, quei biglietti non erano pagabili in alcun modo e quella scritta era una menzogna per ingannare il pubblico e fargli credere che i biglietti di banca fossero convertibili in qualcosa avente valore proprio o che la banca si fosse indebitata per emetterli, il che è falso (mentre era vero in un ormai lontano passato).

Del resto, è naturale che nessun governo potrebbe permettersi di dare risposte veridiche a simili questioni, perché ammetterebbe che la sua vera funzione è defraudare i cittadini e gli elettori per arricchire un’élite finanziaria che detiene il vero potere.

Ma quanto sopra costituisce solo la punta dell’iceberg.

Perché il grosso, circa l’85%, del denaro esistente e circolante al mondo, non è denaro vero, emesso da Banche Centrali, ma denaro creditizio, ossia aperture di credito e disponibilità di spesa create dal nulla dalle banche commerciali, le quali, attraverso questa creazione continua di nuovo denaro creditizio, si impossessano di quote crescenti del potere d’acquisto complessivo della popolazione mondiale. Di ciò si parlerà più diffusamente in seguito in tema di signoraggio secondario o creditizio.

Caro Cittadino europeo, sapevi che...?

Il debito pubblico è fasullo e le tasse che paghi a causa di esso sono illegali e incostituzionali.

Banca d’Italia S. p. A, autorizzata a creare in modo autonomo denaro dal nulla senza garanzie auree o di altro tipo, è dal 1948 di proprietà privata.

I suoi azionisti (detti ‘partecipanti’) sono le altre banche e assicurazioni private. Il debito pubblico dello Stato, quindi dei cittadini, nasce nei loro confronti.

La Banca d’Italia (analogamente alla Banca Centrale Europea) usa un artificio contabile più o meno espressamente legalizzato per camuffare i propri utili, non pagare le tasse su essi dovuti e per non darli allo Stato, come dovrebbe per statuto.

La Banca d’Italia dovrebbe, per statuto, vigilare sulla correttezza delle altre banche;

ma essa stessa è di proprietà di banche private, le quali nominano il suo governatore e i suoi direttori; quindi questi dovrebbero sorvegliare chi li nomina – cosa del tutto improbabile.

Le tasse vanno in gran parte a pagare il debito pubblico e gli interessi su di esso, quindi finiscono in tasca ai proprietari privati della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea, e non per spese di interesse collettivo.

Per arricchirli, il debito pubblico viene continuamente fatto crescere – e ciò non solo in Italia e non solo di recente.

L’organizzazione a monte di questo sistema di potere bancario è internazionale: in quasi tutti gli altri Paesi, infatti, la situazione è simile a quella italiana.

Tale sistema, di cui i mass media si guardano bene dal parlare (come pure i sindacalisti, i parlamentari, i ministri, i presidenti) ha prodotto nel tempo, e ancor oggi sempre più produce, un enorme e sistematico trasferimento di beni e di ricchezze dalle tasche dei cittadini a quelle dei banchieri, ma anche un trasferimento del potere politico dalle istituzioni democratiche alle mani dei banchieri sovranazionali.

 

Il vero potere politico ed economico, a livello mondiale e nazionale, sta in questi meccanismi, ignoti a tutti o quasi; essendo sconosciuti, essi sono ancor più efficaci…

Il Trattato di Maastricht, l’Euro, la Banca Centrale Europea, sono strumenti di completamento di questo trasferimento.

La corrente mancanza di denaro, la crisi economica, i fallimenti e le privatizzazioni sono pilotati da loro attraverso governi a sovranità limitata, e vanno a loro vantaggio.

La soluzione efficace è ben nota ed è stata ripetutamente proposta:

 restituire al popolo, quindi allo Stato, la funzione sovrana dell’emissione del denaro, in modo che non si debba più indebitare. Il risultato sarebbe: tasse quasi eliminate, denaro a costo zero per lo stato e la Pubblica Amministrazione, economia fiorente; potere politico democratico anziché in mano alle banche.

Ovviamente, gli unici danneggiati da questa riforma sarebbero i banchieri.

È anche stata proposta una soluzione parziale: la moneta complementare, sull’esempio di migliaia di realtà nel mondo.

Sono state proposte e talora attuate, nella storia, anche soluzioni globali, e hanno funzionato:

l’emissione di denaro da parte dello Stato, direttamente e sovranamente, senza l’inutile intermediario di una banca centrale di emissione.

Se quanto sopra ti lascia un poco perplesso, continua a leggere, e tutto ti apparirà chiaro...

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Euroschiavi.

6°Edizione Aggiornata ed Ampliata - Dal Signoraggio monetario al Signoraggio biologico: la Rivelazione.

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L’Italia è sempre più povera a causa di un debito pubblico in continuo aumento che comporta un’elevata pressione fiscale.

Il debito pubblico è un’invenzione costruita da politici e banchieri al fine di arricchire gli azionisti privati della banca...

 “La questione della proprietà della moneta al momento della sua emissione”.

(Antonio Miclavez, Marco Della Luna.)

 

A chi appartiene la moneta?

Ma non è affatto vero che il denaro è della BCE!

La BCE NON STAMPA DENARO E NON POSSIEDE NESSUNA RISERVA MONETARIA COME, DEL RESTO, LA FEDERAL RESERVE USA.

 Quando ordina di stampare denaro, con file inviato alle banche centrali nazionali, ordina alle banche nazionali di stampare denaro vero, o contante.

Secondo articolo 117 della Costituzione italiana afferma che:

 " Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie;

 e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie."

 Se, quindi, lo stato è proprietario della moneta e per questo anche di quella cartacea, per quale motivo non stampa moneta?

(Roberto Mario Mastelloni).

 

 

 

Se il Patto di stabilità si ferma

al semaforo tedesco.

Lavoce.info - Matteo Bursi – (16/05/2023) – ci dice:

 

(Stato e istituzioni, Unione europea.)

La Commissione europea ha ufficialmente presentato le proposte di revisione del “Patto di stabilità e crescita”.

 Si tratta di un passo avanti rispetto al quadro attuale. A ostacolarne l’adozione potrebbe essere la complessa situazione politica in Germania.

Il 26 aprile, la Commissione europea ha ufficialmente presentato le proprie proposte legislative in merito alla revisione del Patto di Stabilità e crescita (Psc), sottolineando l’intenzione di rendere operative le nuove norme già a partire dal 2024.

Al netto di alcune modifiche, è ragionevole affermare come il “Berlaymont” abbia sostanzialmente preservato la struttura della comunicazione pubblicata il 9 novembre 2022, respingendo, da un lato, l’ipotesi di creare una “golden rule” e, dall’altro, quella di mantenere obiettivi numerici “rigidi” per gli stati che non rispettano i parametri di Maastricht.

Gli elementi più rilevanti del modello prospettato dalla Commissione europea sono i seguenti:

la definizione di “percorsi di rientro” differenziati per gli stati con un rapporto debito/Pil superiore al 60 per cento.

 Bruxelles propone infatti di mantenere i valori stabiliti con il “Trattato di Maastricht” ma, allo stesso tempo, prevede di delineare per ogni paese un percorso specifico di riduzione del debito, in modo da non imporre aggiustamenti draconiani come quelli contemplati dal cosiddetto “Fiscal Compact”.

 In quest’ottica, pare dunque che la Commissione abbia deciso di adottare degli standard e di accantonare le più rigide rules (come suggerito );

ogni “percorso” dovrebbe avere una durata minima di 4 anni e andrebbe concordato da Commissione europea e stati membri sulla base di “debt sustainability analysis.”

 In questa cornice, spetterebbe innanzitutto alla Commissione il compito di proporre delle “technical trajectoriesW” mirate a portare, con un’elevata probabilità, a una riduzione del rapporto debito/Pil al termine dell’orizzonte temporale prestabilito.

Successivamente, i paesi dovrebbero presentare le proprie controdeduzioni, al fine di trovare un accordo con la Commissione;

al Consiglio spetterebbe poi il compito di approvare l’accordo raggiunto.

In caso di particolari impegni di investimento/riforme, il piano di rientro potrebbe essere allungato fino a 7 anni complessivi, in modo da fornire un più ampio margine di manovra agli stati membri.

Nella proposta del 26 aprile, la Commissione ha aggiunto una specifica riguardante la possibilità per i nuovi governi di richiedere una revisione del piano, seppur con la previsione di non mettere a repentaglio la riduzione debitoria deliberata dal precedente esecutivo;

l’unico valore preso come riferimento da parte della Commissione europea sarebbe quello relativo alla crescita della spesa primaria netta rispetto al Pil.

 In questo modo, si abbandonerebbe il riferimento al controverso “output gap” e non si considererebbero gli interessi pagati sul debito pubblico e le misure temporanee afferenti al contrasto della disoccupazione;

l’importo delle sanzioni verrebbe ridotto;

 cosicché, secondo la Commissione europea, potrebbero essere applicate con più facilità.

 Al contempo, per gli Stati con un rapporto debito/Pil particolarmente elevato (substantial public debt challenge), in caso di deviazione rispetto al percorso concordato, la Commissione prevede di accelerare l’avvio della procedura di infrazione;

l’autonomia delle “Independent Fiscal Institutions nazionali “(Ifis) sarebbe rafforzata, così come il loro ruolo di controllo all’interno dei singoli paesi membri: per esempio, in caso di raccomandazioni provenienti da questi soggetti, i governi dovrebbero seguire il principio del “comply or explain”;

nella proposta del 26 aprile, infine, la Commissione ha specificato alcuni ulteriori elementi:

(Tanti ostacoli per la difesa europea.)

I) gli Stati che presentano un rapporto deficit/Pil superiore al 3 per cento dovrebbero conseguire un aggiustamento di bilancio minimo dello 0,5 per cento del Pil su base annua (fintanto che il valore non torni a essere conforme al parametro stabilito con Maastricht);

II) alla fine del percorso di rientro, il rapporto debito/Pil dovrebbe essere minore di quello iniziale;

III) lo “sforzo fiscale” sostenuto durante il piano dovrebbe essere almeno proporzionale a quello previsto per la totalità del periodo;

IV) in caso di estensione del piano, accordata alla luce di un impegno a realizzare riforme/investimenti, la maggior parte della “correzione di bilancio” dovrebbe avvenire nei primi 4 anni.

 

Più luci che ombre.

Secondo la mia opinione, la proposta della Commissione europea va considerata come un miglioramento rispetto al quadro attuale.

Dal modello proposto, infatti, emergono in particolare tre elementi che mi sembrano positivi:

1) la creazione di percorsi differenziati permetterebbe di accantonare gli attuali irrealistici obiettivi di riduzione del debito, dando modo alla Commissione di valutare la situazione di ogni stato sulla base delle sue specificità;

 

2) considerando la spesa netta primaria, i governi verrebbero giudicati sulla base di un parametro che è sotto il loro diretto controllo.

In questo modo, i paesi con un importante debito pubblico accumulato decenni addietro (come il nostro) non verrebbero oltremodo penalizzati di fronte a un aumento dei tassi di interesse;

3) l’estensione dei piani fino a 7 anni potrebbe garantire una “tutela” per gli investimenti pubblici, assicurando agli stati con un rapporto debito/Pil elevato una gradualità che il contesto normativo attuale non prevede.

Proprio rispetto agli investimenti pubblici, tuttavia, sorge una possibile criticità.

 La transizione energetica, ad esempio, richiede una spesa alquanto rilevante che, probabilmente, neanche la gradualità prevista potrebbe garantire.

Allo stesso modo, sarà necessario valutare con attenzione i parametri selezionati per condurre le” debt sustainability analysis”:

 le valutazioni “tecniche” possono mutare considerevolmente in base ai fattori presi come riferimento.

 I “dialoghi” previsti dalla Commissione in fase di definizione dei piani pluriennali saranno pertanto fondamentali e, in quest’ottica, sarà importante operare con un elevato grado di trasparenza al fine di non far percepire diversità di trattamento a seconda del differente peso politico dei singoli stati.

(Quando è il federalismo a garantire i diritti delle minoranze).

La posizione di Berlino.

A questo punto, rimane solo da capire se la proposta della Commissione europea verrà avallata, o meno, da parte dei paesi membri.

Fra questi, si è già levata una rilevante voce dissenziente:

quella del ministro delle Finanze di Berlino, Christian Lindner.

Sin dalla lettera inviata il 25 aprile al “Financial Times”, il leader dei liberali tedeschi ha infatti espresso il suo dissenso rispetto alla modifica delineata da Bruxelles, reputando evidentemente non sufficiente l’introduzione del requisito di aggiustamento fiscale minimo dello 0,5 per cento del Pil per i paesi con un deficit superiore al 3 per cento.

Quello che tuttavia va ancora chiarito è se la posizione di “Lindner” corrisponda a quella dell’esecutivo tedesco. In quell’ircocervo rappresentato dal governo semaforo (Verdi – Liberali – Spd), tendenze progressiste e conservatrici si confrontano in continuazione, portando a fughe in avanti che sovente rappresentano la posizione di un singolo partito piuttosto che quella della coalizione.

 Lindner, probabilmente preoccupato di regalare consensi alla “Cdu” di Friedrich Merz o ad “Alternative für Deutschland”, cerca di assumere il ruolo di garante del rigore finanziario, richiamando l’attenzione sull’esigenza di non aumentare i debiti pubblici dell’Eurozona.

 I “Grünen”, dal canto loro, incarnano invece il ruolo degli europeisti, ponendo l’enfasi sulla necessità di ampliare gli investimenti pubblici al fine di combattere il cambiamento climatico.

 I social-democratici del cancelliere Scholz, per il momento, si tengono un passo indietro ma, presto o tardi, saranno obbligati a prendere posizione in modo più chiaro.

L’impressione è che la partita relativa al Patto di stabilità si giochi tanto a Bruxelles quanto a Berlino:

 un occhio ai sondaggi politici interni alla Germania potrebbe dunque restituire indicazioni più chiare rispetto alle dichiarazioni rese a margine di un Consiglio europeo.  

 

 

Banche, meno prestiti alle piccole e medie imprese:

i rischi del grande risiko.

   Corriere.it - Edoardo De Biasi – (14-01 – 2025) – ci dice:

Bper e Banco Bpm sono gli istituti più impegnati in percentuale nel finanziamento alle famiglie e alle Pmi.

La mossa di Unicredit su Piazza Meda potrebbe far venire meno un’importante interlocutrice del made in Italy.

 

Scegliere il prestito giusto è una decisione fondamentale.

Soprattutto per le piccole e medie imprese che sono il vero motore dell’economia del nostro Paese e stanno vivendo in un contesto di forte incertezza caratterizzato da tensioni geopolitiche, innovazione e crisi energetica.

 Le Pmi sono la spina dorsale della nostra economia e rappresentano la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale.

 Per essere definite in questo modo esistono dei criteri ufficiali stabiliti dalla Ue.

La definizione non si basa solo sul fatturato ma considera anche il numero di dipendenti e il bilancio annuale.

Questi principi sono stati fissati per distinguerle dalle grandi aziende e per consentire loro di accedere a finanziamenti e agevolazioni fiscali che mirano a favorirne la crescita.

I criteri.

Il primo criterio è il numero di dipendenti che non deve superare le 250 unità per la media impresa mentre quella piccola non deve averne meno di 50.

 Il secondo parametro riguarda il fatturato che non deve superare i 50 milioni e i 10 milioni.

Un ulteriore requisito è il bilancio annuo.

 Se un’azienda non soddisfa il criterio del fatturato, può comunque essere considerata una Pmi se il totale del bilancio annuo (cioè il valore totale delle attività) non supera i 43 milioni.

Banche.

Banco Bpm verso l’aggiornamento del piano industriale: più redditività e dividendi ai soci.

(Andrea Rinaldi)

 

Le fonti di finanziamento.

Ma torniamo ai prestiti.

I finanziamenti possono provenire da diverse fonti come banche, enti pubblici, piattaforme di crowdfunding o investitori privati.

 Gli istituti restano però di gran lunga la scelta preferita, offrendo diverse opzioni come finanziamenti a lungo termine, linee di credito o leasing.

 Da qui anche l’importanza dell’”Ops” di Unicredit su Banco Bpm, visto che le due banche giocano una partita rilevante nel mondo delle Pmi.

Come è risaputo il peso di questo segmento all’interno del quadro produttivo è rilevante.

Sul totale delle imprese attive, circa il 95% è costituito dalle microimprese e un 4,8% dalle Pmi.

Inoltre, queste ultime sono responsabili di oltre il 40% dell’intero fatturato generato a livello nazionale, del 33% degli occupati nel settore privato e del 38% del valore aggiunto del Paese.

Il mercato si presenta però in continua evoluzione e le medie imprese necessitano sempre di più di partner finanziari che offrano opzioni su misura per sostenere la crescita, la sostenibilità e l’internazionalizzazione.

 

Gli importi.

Ma andiamo con ordine.

Intesa Sanpaolo è in Italia il principale istituto con un importo di prestiti (comprendendo anche i mutui) di 360 miliardi, grazie alla sua vasta gamma di servizi come soluzioni personalizzate per il finanziamento di progetti strategici mentre il programma “Cresci business” è ideato per sostenere le Pmi in settori chiave come la digitalizzazione.

Tra i principali vantaggi:

l’accesso al credito agevolato, grazie a partnership con istituzioni europee e nazionali;

il supporto per l’espansione internazionale, con servizi di consulenza e strumenti di copertura del rischio.

Anche UniCredit con oltre 170 miliardi è importante per le realtà che operano o vogliono espandersi all’estero.

Banco Bpm rappresenta, con oltre 100 miliardi di finanziamenti concessi soprattutto in Lombardia, un momento significativo per la rete di consulenza locale capillare.

 In particolare, offre finanziamenti agevolati legati a progetti di innovazione, il supporto alla gestione del rischio finanziario e soluzioni integrate per i flussi di cassa.

Anche Bper (88 miliardi) si distingue per il legame con i territori.

In particolare, vanno sottolineati i finanziamenti garantiti dal Fondo di garanzia e le soluzioni per la gestione internazionale.

 

La classifica.

Ma quali sono le banche che in percentuale sugli attivi finanziano maggiormente le famiglie e le Pmi italiane?

Le principali sono Bper e Banco Bpm, seguite da Mps, Intesa San Paolo e Unicredit. Inoltre, Banco Bpm, Bper e Mps sono totalmente esposte verso nostre aziende, Intesa per il 90% mentre Unicredit, vantando una forte presenza estera, per il 38%.

E qui sorge un interrogativo.

La mossa di “Andrea Orcel”, ceo di Unicredit, su Bpm rischia di far venire meno quella controparte terza che sarebbe stata in grado di sindacare un’importante fetta di crediti.

 In poche parole, si rischia di ridurre la quantità di credito erogato dalle banche italiane alle Pmi.

L’eventuale cessione al Crédit Agricole, principale socio di Banco Bpm (15,1% con la richiesta di arrivare 19,9%), delle filiali eccedenti per limiti antitrust dopo la fusione con Unicredit andrebbe infatti a costituire un terzo polo estero.

Il territorio.

Nessuno vuole mettere in dubbio le dinamiche di mercato ma un tempo gli assetti del sistema bancario erano oggetto di complesse discussioni tra i partiti politici.

E la mossa di Unicredit rappresenta un’occasione per accendere i riflettori sullo stato del sistema creditizio (per questo motivo si pensa a una fusione Bpm con Mps) se è vero, come è vero, quello che ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti all’assemblea Abi:

 «Le banche italiane sono e continueranno a essere il braccio operativo dell’economia del Paese, degli imprenditori che ogni giorno rischiano per fare impresa e rendere il nostro Paese competitivo.

 La banca non è un algoritmo. Non lo deve essere.

E soprattutto non lo può essere il banchiere».

Che cosa rende il sistema bancario strategico?

Più di un fattore.

Di certo uno di questi è il valore aggiunto che apportano gli istituti di media dimensione al territorio.

 Questo proprio grazie al ruolo essenziale che svolgono a sostegno delle Pmi (l’Italia è anche la seconda manifattura europea con quattro milioni di microaziende che hanno meno di dieci dipendenti).

La mappa della partita.

Banche, cosa succede ora?

Non solo Unicredit su Bpm: Intesa e Bper, le mosse di Crédit Agricole e il nodo Mps.

(Daniela Polizzi, Andrea Rinaldi e Stefano Righi).

 

Le medie dimensioni.

Le banche di medie dimensioni, grazie al loro modello basato su una gestione orientata alla sostenibilità e su una prospettiva a lungo termine, sono un fattore chiave per garantire uno sviluppo e una crescita durevole del sistema economico.

 A causa degli alti costi di transizione, molte Pmi rischiano di trovarsi tagliate fuori da questa svolta epocale che va necessariamente intrapresa per evitare di lasciarsi sfuggire importanti opportunità.

 

Le regole strette.

Avere un efficiente accesso al credito è fondamentale per queste realtà che saranno presto chiamate ad affrontare rilevanti scelte per sostenere la loro sopravvivenza.

Inoltre, a causa delle crisi finanziarie, le banche europee devono sottostare a criteri sempre più stringenti per la concessione di prestiti.

Queste regole sono diventate un ulteriore limite.

Ecco perché bisognerebbe ripensare ai “modelli della Vigilanza Bce” per garantire sia la solidità del sistema creditizio che la crescita dei singoli Paesi.

 

 

 

 

Il credito alle imprese

è un’emergenza.

 Lavoce.info - Rony Hamaui – (10/03/2025) - Banche e finanza, Imprese – ci dice:

Le banche italiane hanno ridotto drasticamente i prestiti alle imprese.

Soluzioni alternative non si sono sviluppate per le condizioni del mercato dei capitali e le dimensioni aziendali.

Forse bisogna ripensare all’assicurazione pubblica dei crediti.

Prestiti in calo da anni.

I processi di aggregazione in corso nel settore bancario hanno riacceso le preoccupazioni delle imprese sull’accesso al credito.

 Il timore è che banche più grandi e lontane dal territorio siano meno interessate a prestare alle piccole imprese, che rappresentano il cuore del nostro apparato produttivo.

Inoltre, i processi di fusione possono portare a una concentrazione del rischio e a una conseguente riduzione del credito (1+1=1,5).

 Neppure una puntigliosa attività delle autorità volta a tutelare la concorrenza riesce ad affrontare pienamente il problema.

Tuttavia, la questione dell’accesso al credito, che risulta fondamentale per la crescita economica, in Italia ha una portata ben più ampia di quella legata alle aggregazioni bancarie e rasenta un’emergenza nazionale.

Da un lato, infatti, negli ultimi quindici anni le banche italiane, che pure si sono molto rafforzate in termini organizzativi, reddituali e patrimoniali, hanno operato una drastica riduzione delle loro erogazioni alle imprese che ha pochi paragoni con gli altri principali paesi.

Dall’altra, la dimensione microscopica delle nostre aziende e l’arretratezza del nostro mercato dei capitali faticano a far nascere strumenti e operatori non bancari che possano finanziare le imprese.

 

Cominciamo con qualche dato riferito all’Italia. Come si può vedere e dedurre sono oramai molti anni che il credito bancario alle imprese si riduce.

La caduta, poi, è più evidente negli ultimi anni soprattutto nei riguardi delle imprese più piccole.

Dal 2011 a oggi, in termini nominali, i prestiti bancari alle aziende si sono ridotti di oltre un terzo:

da più di 900 miliardi di euro a circa 600 miliardi.

La contrazione è stata, ovviamente, ben più forte in termini reali se teniamo a mente che nel frattempo abbiamo assistito alla più alta inflazione dell’ultimo mezzo secolo.

Le nuove normative prudenziali introdotte dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008 e quella del debito sovrano europeo del 2010-2011, nonché le pesanti perdite accumulate in quelle occasioni sui crediti deteriorati sono il punto di svolta nelle erogazioni del credito delle banche.

 A spiegare la scelta contribuisce anche un rapporto rischio-rendimento dell’”attività di lending” meno interessante rispetto a quello della gestione del risparmio e dell’attività assicurativa.

 

La situazione di oggi.

L’unica eccezione alla continua caduta dell’attività di prestito alle imprese è rappresentata dal periodo del Covid (2020- 2022), quando il sistema è stato inondato di liquidità, i tassi sono divenuti negativi, ma soprattutto sono stati messi in piedi massicci meccanismi di garanzia pubblica del credito.

Da un lato, hanno limitato i rischi delle banche, dall’altro, hanno permesso di neutralizzare gli assorbimenti di capitale dell’attività di lending.

Ora però i tassi sono alti in termini reali, Basilea 3 – introdotta lo scorso gennaio – ha aumentato ulteriormente l’assorbimento di capitale, mentre le garanzie pubbliche sono in fase di smantellamento.

(Per il governo Labour il conto salato del “Qe” britannico).

A parziale riprova che la contrazione del credito sia dovuta a una riduzione dell’offerta più che a una contrazione della domanda, esiste il grafico che  mostra come la percezione di accesso al credito bancario da parte delle imprese sia continuamente peggiorata.

Infatti, nelle rilevazioni trimestrali, la percentuale di intervistati che ogni trimestre risponde che le condizioni di accesso al credito sono peggiorate rispetto al trimestre precedente è quasi sempre molto superiore a quella di chi le vede in miglioramento.

Anche la più soddisfacente situazione economico-patrimoniale e l’abbondante liquidità detenuta da alcune aziende non cambia il quadro complessivo della situazione.

Appaiono, allora, un po’ ottimistiche le conclusioni del governatore della Banca d’Italia all’ultimo convegno di “Assiom Forex”.

Ha affermato che sulla base delle ultime informazioni disponibili “In Italia la dinamica del credito resta negativa, sebbene emergano segnali di ripresa.

Diversi indicatori suggeriscono che questo andamento, pur influenzato da politiche di offerta improntate alla cautela, dipende principalmente dalla debolezza della domanda di prestiti. Il fabbisogno finanziario delle imprese rimane contenuto per effetto della buona redditività e della fiacchezza degli investimenti.

Inoltre, la percentuale di aziende che segnalano difficoltà di accesso al credito è in calo (…)”.

Vero nel brevissimo orizzonte, ma non certo se allarghiamo lo sguardo al medio-lungo periodo.

 

Cosa accade nel resto del mondo.

La riluttanza delle banche a prestare alle imprese non finanziarie non riguarda solo l’Italia.

Si manifesta con intensità e caratteristiche diverse in molti paesi.

Ad esempio, nell’area dell’euro, fra il 2010 e oggi gli impieghi alle imprese si mantengono praticamente stabili attorno ai 5mila miliardi in termini nominali, ma in calo in termini reali.

Differenze significative appaiono fra i diversi i paesi: in forte calo in Italia, Spagna e Portogallo, in leggera crescita in Germania e Francia.  

Particolarmente interessante è il caso degli Stati Uniti dove negli ultimi cinquanta anni i prestiti concessi dalle banche hanno continuato a perdere terreno rispetto agli altri intermediari bancari.

La loro quota di mercato è passata dal 60 per cento dei primi anni Settanta all’attuale 35 per cento.

 La forte inflazione dei primi anni Settanta vide la nascita dei primi “commercial paper” e “corporate bond” emessi dalle imprese con miglior rating.

Poi l’ascesa delle “obbligazioni high yield” negli anni Ottanta e i progressi della “cartolarizzazione” hanno permesso a un maggior numero di mutuatari di bypassare le banche.

Infine, a partire dal 2008, le imprese di fascia media e i mutui ipotecari si sono sempre più allontanati dalle banche.

 È bene tuttavia sottolineare che il rapporto banche e intermediari non bancari è spesso anche cooperativo.

Infatti, in molti casi le aziende di credito sono i principali finanziatori di queste iniziative.

 In altri casi, banche e fondi hanno stipulato vere e proprie alleanze commerciali (Citigroup-Apollo Global Management, Wells Fargo- Center bridge), Infine, alcune banche hanno sponsorizzato la nascita di loro fondi di debito (JPMorgan, Goldman Sachs e Morgan Stanley).

I profitti eccezionali delle banche? Non resteranno a lungo.

Un’assicurazione pubblica per il credito.

 

In Italia, la dimensione delle imprese e l’arretratezza dei mercati e degli intermediari lasciano poche alternative al credito bancario.

Come indurre, allora, le banche a prestare di più?

Forse il modo più semplice per andare incontro a questo “fallimento di mercato” è quello di rivitalizzare le iniziative di assicurazioni pubblica al credito che hanno dato eccellenti risultati durante la pandemia e ancora continuano a operare, seppure a regime ridotto e a tempo determinato.

Si tratta di trasformare lo strumento da aiuto di stato straordinario a strumento di mercato ordinario, in cui il premio assicurativo sia proporzionale ai rischi assunti dallo stato e diviso in maniera equa fra sistema bancario e imprese.

Peraltro, è utile osservare che sinora gli oneri che lo stato si è accollato sono stati molto inferiori alle aspettative.

In fondo, non sarebbe la prima volta che allo stato viene assegnato un ruolo assicurativo come ci ricordano Otto von Bismarck, Jhon Maynard Keynes, William Beveridge, Franklin D. Roosevelt, Amartya Sen e tanti altri.

 

 

 

Giorgetti: «Grandi banche fanno profitti

ma dimenticano il credito alle imprese».

Ilsole24ore.com – (15 marzo 2025) – Adriana Malandrino – ci dice:

 

Il ministro dell’Economia critico anche sul debito Ue per la difesa e sulla politica economica interna della Germania.

 Ha anche detto: «Flat tax e pace fiscale sono una risposta alle necessità delle Pmi».

Il ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha partecipato alla kermesse leghista ad Ancona sul tema "Tutto un altro mondo, tutta un'altra economia", 15 marzo 2025.

Il ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti alla kermesse leghista.

 

«Parliamo del credito ai piccoli e medi imprenditori, non può uno che fa politica nella Lega non considerare che tutto quello che è venuto avanti, in base a delle regole scritte nelle tavole della legge, e cioè che il sistema bancario deve essere fatto soltanto da grandi banche, che queste grandi banche fanno grandissimi profitti, però forse si dimenticano di fare quello per cui sono nate e cioè fare credito alle imprese e soprattutto alle piccole e medie imprese.

E quindi se io devo prendere una decisione devo fare in qualche modo che continui a sopravvivere quella che qualcuno ha chiamato la biodiversità bancaria».

Lo ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti intervenendo ad Ancona, all’evento, organizzato dalla Lega: «Tutta un’altra economia: la sfida del valore».

Flat tax e pace fiscale sono risposta a necessità Pmi.

«La flat tax, partendo dai piccoli imprenditori, è esattamente il tipo di risposta a questo tipo di realtà economica che ha bisogno di poter lavorare senza troppi casini, senza troppe regolamentazioni, con un fisco giusto e semplice e anche la proposta che naturalmente sta venendo avanti adesso per quanto riguarda la pace fiscale va esattamente in quella direzione» ha detto Giorgetti.

Pontida, Giorgetti: per il debito pagheremo 14 miliardi di interessi in più. «Gli investimenti siano esclusi dal Patto di stabilità»

(17 settembre 2023)

«Secondo me in questa situazione di grandissima complessità la cosa più semplice è tornare alle basi e noi della Lega qui abbiamo chiarissimamente una base che è scritta nel nostro Dna.

Nelle grandi scelte se parliamo di economia la prima cosa che dobbiamo porci è questa, l’economia e lo sviluppo chi lo fa?

Lo fa lo Stato o lo fanno gli imprenditori?

Questa è la prima questione e se noi interroghiamo il nostro Dna e il nostro codice genetico non abbiamo dubbi rispetto a chi fa l’economia, a chi noi dobbiamo guardare» ovvero agli imprenditori, alle pmi.

È un altro passo dell’intervento del ministro dell’Economia ad Ancona.

«Secondo me in questa situazione di grandissima complessità la cosa più semplice è tornare alle basi e noi della Lega qui abbiamo chiarissimamente una base che è scritta nel nostro Dna.

Nelle grandi scelte se parliamo di economia la prima cosa che dobbiamo porci è questa, l’economia e lo sviluppo chi lo fa?

Lo fa lo Stato o lo fanno gli imprenditori?

Questa è la prima questione e se noi interroghiamo il nostro Dna e il nostro codice genetico non abbiamo dubbi rispetto a chi fa l’economia, a chi noi dobbiamo guardare» ovvero agli imprenditori, alle pmi., ha aggiunto Giorgetti.

 

Dazi, occasione buona per riscrivere regole.

Il ministro ha poi affrontato anche il tema dazi.

«Questa è l’occasione buona per andare a riscrivere le regole della competizione globale», ha detto ad Ancona.

«Trump fa casino, vuole mettere i dazi perché lui pensa che in questo modo difende i giusti diritti delle imprese americane.

 Io dico che è l’occasione buona per discutere di come difendere i giusti diritti delle imprese italiane, anche delle migliaia di imprenditori che hanno dovuto chiudere per la concorrenza sleale che arrivava dalla Cina e da questi paesi».

Inevitabile anche il tema difesa e spesa Ue.

«Come avete visto in questi giorni io avrei litigato con il Presidente del Consiglio Meloni sulla difesa e sulle spese di credito, naturalmente sono tutte balle ma fa niente, nel senso che se i giornalisti decidono che è così, è inutile che smentisci», ha ironizzato il ministro dell’Economia.

Ok a capacità difesa ma debito serva ad imprese italiane.

«Se dobbiamo spendere» i miliardi del debito Ue per la difesa «spendiamoli nell’economia italiana, nell’industria italiana, nelle imprese italiane, creando lavoro e occupazione», ha ribadito Giorgetti.

«La von der Leyen rilancia 800 miliardi di debito per riarmarsi e per l’industria della difesa.

Che si debba avere la capacità di difesa è assolutamente normale, giusto e corretto - ha detto Giorgetti - ma che improvvisamente si scopra che si debbano spendere ’bargagnate’ di miliardi facendo dei debiti per la difesa è singolare, posto che la guerra in Ucraina esiste già forse da due anni e mezzo o tre anni».

 

Germania fa quello che gli pare su Patto di stabilità.

Le regole sul patto di stabilità «io gli avevo detto, guardate che non funzionano, non possono funzionare.

Cosa succede adesso?

Le regole le abbiamo approvate nove mesi fa, adesso i tedeschi hanno deciso che loro fanno quel cavolo che gli pare, naturalmente senza aver negoziato a livello europeo nulla», ha detto il ministro riferendosi alla situazione tedesca.

 «La Germania - ha detto ancora Giorgetti - deve riarmarsi e naturalmente questo a qualcuno va bene in qualche modo, il debito non è un problema».

 

 

 

 

Follia green: per “salvare”

due alberi rischiano l’alluvione.

Nicolaporro.it - Lorenzo Cianti – (20 Settembre 2023) – ci dice: 

 

 

Al via l’operazione ‘Fiumi puliti’ tra Ravenna e Forlì, ma gli ambientalisti non ci stanno.

Proseguono le eco-idiozie in Emilia-Romagna.

Nella provincia di Forlì, duramente colpita dall’alluvione dello scorso maggio, gli ambientalisti protestano contro la giunta Bonaccini che hanno contribuito ad eleggere.

Dopo le polemiche scaturite per l’inadempienza della regione nella messa in sicurezza del territorio, Pd e compagni hanno deciso di fare dietrofront:

 al via l’operazione “Fiumi puliti”, che prevede il potenziamento della manutenzione degli alvei fluviali.

Il programma comprende la pulizia dei 23 corsi d’acqua esondati a maggio, con interventi straordinari tra Ravenna e Forlì.

 

L’integralismo ecologico.

Da un lato, decine di ruspe raccolgono i rifiuti nel letto dei torrenti, distruggono le recinzioni abusive e le baracche in prossimità dei fiumi, rimuovono i tronchi degli alberi in eccedenza; dall’altro, fior fiore di associazioni locali (“Spazi indecisi, I meandri del fiume Ronco”, “Tavolo delle associazioni ambientaliste di Forlì”, “Parents for Future”) contestano le misure intraprese per evitare nuove esondazioni.

 

I gruppi sopra citati hanno una concezione maltusiana della natura:

il pianeta è in salute solo senza l’uomo dentro.

“Perché attuare interventi drastici contro il paesaggio, invece di pulire gli argini in maniera non invasiva?” è il leitmotiv delle polemiche verdi.

Bisognerebbe capire cosa si intende per “interventi non invasivi”: abbracciare le nutrie dicendo loro di scansarsi gentilmente e di costruire altrove i loro nidi?

 

Il malumore dei sindaci dem.

Si sta creando una spaccatura tra ecologisti radicali e sindaci del Pd che, pur avendo a cuore l’ambiente, ritengono sia necessario bonificare le aree a rischio. Tra le voci critiche spicca quella del sindaco di Ravenna Michele Di Pascale,

che il22 maggio dichiarava a Quarta Repubblica: “È stata attribuita quest’alluvione al consumo di territorio.

Ma la pioggia ha colpito una zona che naturalmente era una palude.

Il territorio intorno a Ravenna è di una valle che aveva esternalità come la malaria. I nostri bisnonni hanno bonificato tutto”.

E ancora: “Ci sono folli scelte di priorità per quanto riguarda la manutenzione: negli ultimi anni l’attenzione, degli animalisti ma non solo, si è concentrata sulle nutrie che popolano i fiumi anziché sulla necessità di realizzare delle opere necessarie ad evitare disastri come quelli odierni.

Tra una vita umana e una nutria che mi fa una tana su un argine, la scelta dovrebbe essere chiara”.

 Il ragionamento del primo cittadino non fa una piega:

agire con pragmatismo per risolvere le criticità non è né di destra, né di sinistra, ma puro buonsenso.

Conoscendo l’ideologismo imperante a sinistra, non escludiamo una fatwa contro Di Pascale.

Anche Fausto Pardolesi, esponente di Europa Verde, si è smarcato dai diktat green: “Occorre usare il buonsenso, dobbiamo scegliere il male minore”.

Due modelli di ambientalismo.

La demagogia dell’universo verde ha reso il termine “ambientalismo” inviso alla maggior parte delle persone.

Eppure, bisogna distinguere due modelli di salvaguardia ambientale:

un modello liberale, che vede nello sviluppo economico, nella manutenzione e nelle infrastrutture le strategie per difendere (concretamente) il territorio, e un modello eco-socialista, che vive di “no” anteponendo il benessere umano a qualche nutria per sterili pregiudiziali ideologiche.

Gli ambientalisti della domenica dimenticano che oltre 20mila emiliani sono sfollati a causa della miopia eco-friendly.

 Succede questo quando si realizzano meno bacini di espansione del previsto, mettendo in pericolo la vita dei cittadini.

Che la decisione (tardiva) di Bonaccini sia da monito ai verdi:

basta criminalizzare le opere di manutenzione.

(Lorenzo Cianti).

 

 

 

 

 

Per l’Ucraina finalmente spiragli di pace

 tra il boicottaggio infido di Bruxelles e

l’incognita della risposta di Mosca.

 Farodiroma.it - Redazione – (13/03/2025) - Aurelio Tarquini – ci dice

 

Dopo i colloqui con la rappresentanza ucraina a Gedda, dove è scaturita la proposta di una tregua di 30 giorni per favorire l’inizio dei colloqui di pace, l’inviato speciale del Presidente Trump, “Steven Whitkoff”, potrebbe sbarcare a Mosca giovedì per incontrare Vladimir Putin, mentre cresce l’aspettativa per un possibile colloquio diretto tra Trump e il leader del Cremlino già venerdì.

Una svolta che, se confermata, segnerebbe il primo vero tentativo di una pace negoziata dopo anni di ostilità cieca alimentata dall’asse Bruxelles-Londra.

I leader europei si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni pubbliche di sostegno all’iniziativa americana.

 Ma dietro le parole di facciata si cela un altro gioco, più oscuro e velenoso:

 il tentativo di sabotare l’iniziativa diplomatica di Trump per non perdere il controllo sulla partita geopolitica ed economica che l’Ucraina rappresenta.

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che “l’UE sostiene la proposta di un cessate il fuoco in Ucraina”, mentre il premier britannico “Keir Starmer” si è congratulato con Trump e Zelensky per questa “straordinaria svolta”.

Anche Macron ha parlato di “progressi” nei colloqui di Gedda, sottolineando che ora “la palla è nel campo della Russia”.

Le dichiarazioni di circostanza di Ursula von der Leyen, Keir Starmer ed Emmanuel Macron parlano di sostegno alla pace, ma i segnali concreti indicano il contrario.

L’UE, frustrata per essere stata tagliata fuori dai negoziati, sta manovrando per sabotare l’iniziativa di Trump e mantenere l’Ucraina intrappolata in una guerra che si trascina da oltre tre anni.

Queste dichiarazioni di facciata servono solo a mascherare la realtà:

 mentre l’amministrazione Trump tenta di riportare l’Ucraina al tavolo della trattativa, l’élite di Bruxelles intensifica la retorica anti-russa e accelera le operazioni militari.

Lo dimostrano le parole dell’alto rappresentante UE “Kaja Kallas” al Consiglio di Sicurezza dell’ONU: “Questa guerra può finire all’istante se la Russia ritira le sue truppe e smette di bombardare l’Ucraina. Mosca può fermare questa guerra in qualsiasi momento ma ha scelto di non farlo.”

Un discorso che ribadisce la volontà dell’UE di negare la realtà del conflitto e insistere su una linea dura che non ha prodotto altro che morte e distruzione.

Anche il ministro della Difesa italiano ha chiarito la posizione di Bruxelles:

“I confini di una pace giusta sono quelli che esistevano prima della guerra.”

Un’affermazione che ignora del tutto il fatto che il tavolo negoziale dovrà essere basato su compromessi accettabili per entrambe le parti.

Ma l’UE non vuole negoziati, vuole solo continuare il conflitto fino all’ultimo soldato ucraino.

Il piano franco-britannico: truppe UE in Ucraina per sabotare Trump.

Mentre Washington cerca un accordo con Mosca, Francia e Gran Bretagna lavorano in parallelo a un’escalation per mantenere la guerra attiva.

 Londra continua a portare avanti la famosa “coalizione dei volenterosi”, un gruppo di Paesi che starebbero valutando l’invio di forze militari in Ucraina.

Anche la Danimarca si è detta pronta a inviare truppe, così come la Francia, con Macron che spinge per definire al più presto le “garanzie di sicurezza” per Kiev.

Si tratta, in sostanza, di un piano per ostacolare la pace e mantenere l’Ucraina come avamposto occidentale contro la Russia.

Non è un caso che Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla Plenaria, abbia ribadito la necessità di un riarmo europeo:

“Putin ha dimostrato di essere un vicino ostile, non ci si può fidare di lui, si può solo dissuaderlo. La produzione militare russa sta superando la nostra.”

Questa retorica, combinata ai piani per un intervento militare europeo, dimostra come Bruxelles stia facendo di tutto per impedire una soluzione diplomatica.

Di fronte a queste manovre, la Russia ha mantenuto una posizione cauta ma ferma.

Bloomberg, citando fonti occidentali, ha affermato che Putin avrebbe avanzato richieste “massimaliste” per i negoziati, sapendo che potrebbero risultare inaccettabili per l’Ucraina.

Ma questa è una strategia negoziale ben nota: partire da posizioni forti per poi trovare un compromesso.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha avvertito che molte delle notizie diffuse dai media occidentali sul presunto accordo di tregua sono “disinformazione”.

Anche Lavrov ha ribadito che Mosca non accetterà un cessate il fuoco che serva solo a riorganizzare l’esercito ucraino:

 “Ciò che è importante per noi non è un cessate il fuoco che permetta all’Ucraina di armarsi ancora e ancora contro il nostro Paese, ma una pace sostenibile e a lungo termine.”

 

D’altronde, Putin lo aveva già detto chiaramente nel giugno 2024: “Il nostro obiettivo non è una breve tregua né una pausa per riorganizzare le forze, ma una pace basata sul rispetto degli interessi di tutte le nazioni coinvolte.”

Se l’Occidente volesse davvero la pace, questa sarebbe l’occasione perfetta per iniziare un dialogo costruttivo. Ma l’UE, ancora una volta, dimostra di non voler prendere in considerazione una soluzione diplomatica.

La realtà è che la guerra poteva finire già nel 2022, quando a Istanbul si era quasi arrivati a un accordo. Ma Bruxelles, sotto pressione di Washington (all’epoca in mano ai Democratici), ha spinto Kiev a proseguire il conflitto.

Oggi, dopo centinaia di migliaia di morti e un’Ucraina devastata, l’UE si trova nella stessa situazione: piuttosto che accettare la pace, continua a sabotarla. Se davvero l’UE fosse amica di Kiev, avrebbe dovuto spingerla ai negoziati già allora.

Invece, si è ostinata su una guerra persa in partenza, illudendo il popolo ucraino e condannandolo alla rovina. Ora, di fronte all’iniziativa di Trump, l’UE ha l’ultima occasione per rimediare ai suoi errori.

Ma la storia recente insegna che Bruxelles preferisce il disastro alla sconfitta politica. E se così sarà, il popolo ucraino pagherà ancora una volta il prezzo dell’arroganza di un’élite incapace di ammettere di aver sbagliato tutto.

(Aurelio Tarquini).

 

 

 

I pacifisti europei scelgono la guerra:

 il Parlamento Ue approva il piano

di riarmo e respinge la pace.

 Bellunopress.it – Redazione – (14 Marzo 2025) – ci dice:

 

 “Finché c’è guerra c’è speranza”.

Bruxelles – Ora è tutto chiaro: l’Unione Europea ha imboccato con decisione la strada del riarmo, mettendo in secondo piano ogni prospettiva di pace.

Mentre a Gedda si discute per porre fine al conflitto in Ucraina, il Parlamento europeo ha dato il via libera a una risoluzione che avalla il piano “ReArm Europe” – un massiccio investimento da 800 miliardi di euro per l’industria bellica – e ha adottato una posizione nettamente ostile alle trattative diplomatiche.

La risoluzione, approvata con 480 voti favorevoli su 677, ha visto il sostegno di Forza Italia, Fratelli d’Italia e di una parte del Partito Democratico (con 10 eurodeputati a favore e 11 astenuti).

Contrari Lega e Movimento 5 Stelle, mentre 67 deputati hanno scelto l’astensione. L’aspetto più controverso, tuttavia, riguarda il documento sull’Ucraina, che critica apertamente gli Stati Uniti per un presunto “cambio di posizione” nei confronti della Russia e chiede un incremento significativo del supporto militare a Kiev, oltre a nuove sanzioni contro Mosca.

La mossa appare come un vero e proprio boicottaggio delle iniziative di pace, proprio mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra disposto ad accettare una tregua e il mondo attende la risposta di Vladimir Putin.

 La linea dura adottata dal Parlamento Ue spinge invece Kiev a rifiutare il negoziato promosso da Donald Trump, ribadendo una posizione di scontro che allontana ogni possibilità di soluzione diplomatica.

Anche questa seconda risoluzione è passata con un’ampia maggioranza:

442 voti favorevoli, 98 contrari e 126 astensioni.

 Fratelli d’Italia ha optato per l’astensione, mentre Forza Italia e Partito Democratico hanno votato compattamente a favore, con l’eccezione di Nicola Zingaretti, contrario, e di Strada e Tarquinio, che si sono astenuti.

Restano fermi sul “No” Lega e Movimento 5 Stelle.

La votazione ha rappresentato anche un duro colpo per la segretaria del PD, Elly Schlein, che si era opposta al riarmo ma è stata sconfessata dall’intero gruppo dei suoi eurodeputati:

nessuno ha seguito la sua indicazione di voto.

Un esito che apre una frattura senza precedenti nel partito, mettendo in discussione la sua leadership.

Dopo una tale sconfessione, sarà difficile per Schlein mantenere la guida del PD, il cui gruppo europeo ha scelto compatto la strada del riarmo e della prosecuzione del conflitto.

Un ultimo dettaglio, gli Usa intendono diminuire la loro presenza militare in Europa, che dovrà provvedere con maggiori investimenti nella difesa, comperando le armi dagli Usa.

 Come nel film di Alberto Sordi: “Finché c’è guerra c’è speranza”.

(rdn).

 

 

 

 

Il piano “Re Arm Eu” va radicalmente

cambiato: la Ue sia centrale

nel processo di pace.

 

Partitodemocratico.it – Redazione - (18-3-2025) – ci dice:

Difesa comune Ue, non corsa al riarmo dei singoli Stati.

“Ai fini della realizzazione di una piena autonomia strategica europea, è cruciale la definizione di una vera politica estera comune a servizio dell’ideale fondativo di un’Europa progetto di pace: strumentale ma essenziale a questo obiettivo è la creazione di una ‘vera unione di difesa’, superando la mancanza di volontà politica degli Stati membri”…”che tenda all’orizzonte federalista di un vero e proprio esercito comune; all’Unione europea serve pertanto la difesa comune e non la corsa al riarmo dei singoli Stati”.

È quanto si legge nella risoluzione del Pd in discussione all’assemblea congiunta in vista delle comunicazioni della premier Meloni.

 

Il piano “Re Arm Eu va radicalmente cambiato

“La Commissione europea sta preparando il Libro bianco sul futuro della difesa europea che rappresenta l’avvio di un percorso di discussione per la costruzione di una difesa comune, per cui serve un cambiamento radicale del modo in cui agiamo e investiamo nella nostra sicurezza e difesa, per fare in modo che d’ora in poi pianifichiamo, innoviamo, sviluppiamo, acquistiamo, manteniamo e dispieghiamo le capacità insieme, in modo coordinato e integrato, per conseguire una difesa comune europea”;

 

Il piano Re Arm Eu, proposto dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato, poiché così come presentato non risponde all’esigenza indifferibile di costruire una vera difesa comune.“

“Gli investimenti in sicurezza devono accompagnarsi e non sostituirsi a quelli necessari a realizzare l’autonomia strategica in altri settori prioritari, a partire da quelli per la coesione e la protezione sociale, garantiti dai” Fondi SIE” dell’Unione europea su cui l’attuale Governo ha accumulato un drammatico ritardo nell’attuazione, che penalizza la necessaria convergenza delle regioni meno sviluppate, a partire dal nostro Mezzogiorno;

la difesa non può essere considerata un bene pubblico separato dal benessere sociale, ma è parte integrante di una strategia globale che prevede di garantire non solo la sicurezza fisica dei cittadini europei, ma anche la loro sicurezza sociale ed economica“.

La Ue si impegni anche per lo Stato di Palestina libero.

“La tregua nella guerra a Gaza è stata oggi drammaticamente interrotta, l’amministrazione americana ha offerto pieno sostegno al Primo ministro Netanyahu su cui pende un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, le forze estremiste di destra che sostengono il Governo Netanyahu hanno spinto per riprendere il conflitto e invocato ulteriori crimini; la drammatica situazione del quadrante mediorientale, strategico per un continente che si affaccia nel Mediterraneo, impone all’Unione europea, se vuole credibilmente rappresentare un presidio nel mondo a difesa del diritto internazionale e dei pilastri del multilateralismo, di non permettere, ancora una volta, che la causa palestinese torni nell’oblio“.

 

L’Unione europea – seguendo le posizioni e le proposte avanzate dal precedente Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Joseph Borrell, a cui l’attuale Alto Rappresentante “Kaja Kallas” non dedica la doverosa necessaria attenzione – deve impegnarsi per lavorare, in seno alla comunità internazionale, per costruire una pace giusta e duratura, che non può che passare dal riconoscimento dei diritti del popolo palestinese, a partire da quello di avere uno Stato libero dall’occupazione israeliana, nonché dalla garanzie di sicurezza per Israele”.

La Ue condanni senza riserve il piano Trump per Gaza.

“Le proposte del presidente Trump che ha prefigurato l’evacuazione dei circa 2,1 milioni di residenti palestinesi a Gaza e la creazione di una ” ‘riviera del Medio Oriente’, suscitando l’indignazione di gran parte della comunità internazionale e dei principali paesi europei (con l’eccezione del Governo italiano), vanno condannate senza esitazioni e riserve.”

“I principali paesi arabi hanno avanzato una proposta unitaria per il futuro e la ricostruzione della striscia di Gaza che prevede investimenti per oltre 53 miliardi, che l’Unione europea e gli Stati membri devono sostenere attivamente e con determinazione”.

 

Dazi: il governo non tratti bilateralmente con gli Usa.

“Nelle ultime settimane, l’amministrazione americana ha annunciato politiche pesanti di introduzione dei dazi anche verso l’Unione europea, che sta cercando di rispondere in maniera unitaria, anche a norma di Trattati, e il più possibile immediata, attraverso una serie di contromisure per proteggere aziende, lavoratori e consumatori europei, pubblicando un elenco di prodotti statunitensi che potrebbero essere soggetti ai contro-dazi europei dal primo aprile; la risposta univoca europea non può e non deve lasciare spazio a tentativi di contrattare per via bilaterale le proprie posizioni con l’amministrazione americana, come sembrano suggerire alcuni membri del Governo, che allontanerebbe l’Italia dalla politica commerciale europea, nell’illusione di avere sconti su alcuni prodotti ma che sarebbero del tutto inadeguati a fronteggiare le conseguenze e l’impatto sulla nostra economia di una guerra commerciale con l’Europa, che andrebbero ben al di là dal settore agroalimentare”.

La Ue rilanci investimenti e consumi.

“L’Unione europea non può limitarsi alle pur necessarie misure difensive, che andrebbero peraltro orientate anche verso i servizi e i diritti di proprietà intellettuale delle cosiddette aziende Big Tech, laddove è più forte la specializzazione dell’economia americana e la sua pervasività nel nostro continente: per reggere la sfida serve un risposta più forte, che rilanci la competitività dell’economia europea e la sua domanda interna, con una politica di ampio impulso agli investimenti e ai consumi, anche attraverso una crescita dei salari dei lavoratori e del potere d’acquisto delle famiglie”.

 

 

 

 

Von der Leyen, monito a Orbán:

"La pace non può mai significare resa."

It.euronews.com - Jorge Liboreiro – (31/08/2024) – ci dice:

Ursula von der Leyen ha lanciato un nuovo rimprovero all'Ungheria di Viktor Orban.

Nel suo primo discorso di ampio respiro da quando è stata rieletta in carica, Ursula von der Leyen ha attaccato i politici che danno la colpa della guerra "non alla brama di potere di Putin ma alla sete di libertà dell'Ucraina".

La pace non può mai significare resa e la sovranità non può mai significare occupazione, ha dichiarato Ursula von der Leyen in un nuovo rimprovero a coloro che fanno pressione sull'Ucraina affinché accetti un accordo con la Russia, che probabilmente comporterebbe la rinuncia a parti del suo territorio.

"La pace non è scontata."

Avvertendo che "la pace non può essere data per scontata", la presidente della Commissione europea ha esortato i suoi colleghi leader a respingere le narrazioni ingannevoli che confondono le linee di demarcazione, invertono i ruoli e misconoscono le responsabilità nell'invasione, giunta al terzo anno senza alcuna risoluzione in vista.

"Oggi, alcuni politici all'interno dell'Unione, e anche in questa parte d'Europa, stanno confondendo le acque.

 Danno la colpa della guerra non all'invasore, ma all'invaso; non alla brama di potere di Putin, ma alla sete di libertà dell'Ucraina", ha dichiarato venerdì, intervenendo al” GLOBSEC Forum” di Praga.

Quindi voglio chiedere a chi inverte i ruoli: incolpereste mai gli ungheresi per l'invasione sovietica del 1956? Incolpereste mai i cechi per la repressione sovietica del 1968?

La risposta a questa domanda è molto chiara: il comportamento del Cremlino allora era illegale e atroce. E il comportamento del Cremlino è illegale e atroce anche oggi.

 Ursula von der Leyen.

Presidente della Commissione Ue.

Il monito a Orbán.

Sebbene non sia stato citato per nome, uno dei principali destinatari dell'ammonimento della von der Leyen è stato “Viktor Orbán”, il primo ministro ungherese che il mese scorso ha alzato un vespaio di polemiche con il viaggio, non annunciato, a Mosca per discutere di possibili modi per porre fine alla guerra.

Putin ha accolto Orbán come rappresentante dell'Unione europea, nonostante il premier non abbia il mandato per parlare a nome del blocco dei 27 membri.

La visita ha provocato un boicottaggio contro il semestre di presidenza ungherese del Consiglio dell'Ue, iniziato il 1° luglio.

Von der Leyen ha ordinato ai suoi commissari di attenersi alla politica del no-show e di rinunciare a partecipare alle riunioni tenute a Budapest.

 In seguito, nel suo discorso di rielezione davanti al Parlamento europeo, ha denunciato la cosiddetta "missione di pace" in terra russa.

"Chi dice no alle forniture militari a Kiev non è a favore della pace."

Venerdì la presidente della Commissione Ue ha rilanciato, sostenendo che coloro che si oppongono alle forniture militari a Kiev non sono a favore della pace, ma piuttosto dell'"acquiescenza e dell'asservimento".

Forte del suo potere di veto, Orbán ha ripetutamente ostacolato gli sforzi del blocco per fornire ulteriore assistenza militare alla nazione devastata dalla guerra. Ad oggi, Bruxelles ha 6,5 miliardi di euro completamente paralizzati dall'opposizione dell'Ungheria.

Noi europei possiamo avere storie diverse.

 Possiamo parlare lingue diverse, ma in nessuna lingua la pace è sinonimo di resa. In nessuna lingua, sovranità è sinonimo di occupazione.

 Ursula von der Leyen ,

presidente Commissione europea

"La mia posizione è che la pace non è semplicemente l'assenza di guerra. La pace è un accordo che rende la guerra impossibile e non necessaria", ha aggiunto, sottolineando che l'integrazione dell'Ucraina nell'Unione europea dovrebbe essere "il cuore del nostro sforzo di pace".

Orbán ha anche messo in discussione le aspirazioni dell'Ucraina all'Ue.

 I suoi deputati hanno affermato che nessun capitolo del processo di adesione sarà aperto durante la presidenza del Paese.

"Noi europei dobbiamo stare in guardia."

Nel suo discorso, V on der Leyen ha parlato diffusamente della necessità imperativa di potenziare le capacità di difesa dell'Ue, a lungo trascurate nell'illusione post-guerra fredda che "la pace fosse stata raggiunta una volta per tutte" e che Putin avrebbe infine scelto la prosperità economica al posto del "suo sogno illusorio di impero".

"Oggi non possiamo permetterci altre illusioni", ha detto.

"La seconda metà del decennio sarà ad alto rischio.

La guerra contro l'Ucraina e il conflitto in Medio Oriente hanno messo in crisi la geopolitica.

Anche in Estremo Oriente la tensione è alta - ha proseguito - Noi europei dobbiamo stare in guardia".

In un segno eloquente di quanto i tempi siano cambiati, la presidente della Commissione ha affermato che l'Ue, fondata sulle ceneri della Seconda guerra mondiale come progetto di pace, dovrebbe essere considerata "intrinsecamente un progetto di sicurezza" e ha chiesto una "revisione sistematica" della politica di difesa del blocco.

 

Le proposte del secondo mandato di Von der Leyen.

Le linee guida del presidente per il secondo mandato non lasciano dubbi sul fatto che la difesa sarà una priorità assoluta nei prossimi cinque anni.

Il documento contiene una serie di proposte per aumentare gli investimenti pubblici e privati nell'industria degli armamenti, promuovere la tecnologia interna di alto livello, organizzare acquisti congiunti di equipaggiamenti militari, potenziare le capacità di cyber difesa e rafforzare le sanzioni contro gli attacchi ibridi.

 

Von der Leyen intende anche nominare “un commissario alla Difesa”, anche se non è chiaro quanto potere effettivo avrà questa nuova carica, dati i limiti stabiliti dai trattati dell'Ue, che lasciano la difesa saldamente nelle mani degli Stati membri.

"Anche se gli europei prendono sul serio le attuali minacce alla sicurezza, ci vorranno tempo e investimenti massicci per ristrutturare le nostre industrie della difesa - ha dichiarato –

 Il nostro obiettivo deve essere quello di costruire una produzione di difesa di dimensioni continentali".

 

Il supporto americano all'Ucraina.

La presidente, convinta sostenitrice dell'alleanza transatlantica, si è soffermata sull'importanza del sostegno americano all'Ucraina, che Bruxelles teme possa svanire in caso di vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali di novembre. Se Washington si ritirasse, sarebbe materialmente impossibile per l'Europa colmare l'enorme vuoto.

"Non sottolineerò mai abbastanza l'importanza del sostegno degli Stati Uniti all'Ucraina dall'inizio di questa guerra.

Ancora una volta, l'America ha difeso la libertà di tutti gli europei.

 Provo un profondo senso di gratitudine per questo, ma anche un profondo senso di responsabilità", ha dichiarato.

Ma, ha aggiunto, "proteggere l'Europa è prima di tutto un dovere dell'Europa".

 

 

 

Salvini da Bruxelles insiste:

 “Meloni difenda l’interesse nazionale,

 il riarmo non lo è. La Russia?

Non è una minaccia per il mondo.”

Ilfattoquotidiano.it – (19-3-2025) -Redazione – ci dice:

 

Schlein a Meloni: “La Lega l’ha commissariata, non ha il mandato per il Consiglio Ue. Riarmo europeo? Piano va cambiato radicalmente”

Appendino a Elkann: “Difficile credere a ciò che dice. Vuole produrre veicoli per l’industria bellica?”. La replica del presidente di Stellantis…

Appendino a Elkann: “Difficile credere a ciò che dice. Vuole produrre veicoli per l’industria bellica?”. La replica del presidente di Stellantis…

Conte attacca il governo: “Crisi industriale come ai tempi del Covid, ma ora il virus non c’è. Purtroppo il virus siete voi: siete incapaci.”

 

Bonelli mostra il Manifesto di Ventotene in Aula: “Lo avrei regalato a Meloni, ma scappa. In Aula non torna dopo aver picconato le istituzioni.”

Riarmo Ue, Molinari (Lega): “L’Italia non darà a Meloni il mandato di approvare il piano, non ci indebiteremo per pagare la crisi tedesca.”

Stellantis, l’ironia di Calenda con Elkann: “Ma lei non ha mai sbagliato nulla? Non ha responsabilità nella crisi?”(…)

Salvini da Bruxelles insiste: “Meloni difenda l’interesse nazionale, il riarmo non lo è. La Russia? Non è una minaccia per il mondo.”

Delrio: “Meloni su Ventotene? Utilizzo strumentale molto grave, il pensiero di Spinelli è molto più attuale di quello dei sovranisti.”

 

L’ira di Fornaro in Aula: “Vergogna. Meloni si inginocchi davanti ai visionari di Ventotene, altro che dileggiarli.”

Meloni in Aula: “Non ho mai usato la parola ‘vittoria’ per l’Ucraina”. Ma il suo video accanto a Zelensky la sbugiarda (…)

Meloni legge il manifesto di Ventotene in Aula: scintille e proteste dall’opposizione. Fontana sospende la seduta –(…)

Meloni replica a Faraone: “Non ci sono i ministri della Lega? Me la cavo benissimo da sola”(…)

Piano di riarmo, alla Camera assenti (per un’ora) i ministri della Lega. Faraone (Iv) a Meloni: “Li chiami, non ce n’è uno.”

Cazzuola in mano e cemento fresco: così il ministro Giuli partecipa alla cerimonia per la posa della prima pietra dell’auditorium di Caivano (…)

Le comunicazioni della presidente Meloni alla Camera in vista del Consiglio Ue: la diretta.

Riarmo, Romeo (Lega) a Meloni: “No a un piano basato su favola della minaccia russa”. E il dem Boccia evidenzia le divisioni nella maggioranza (…)

Botta e risposta Meloni-Renzi in Aula: “Vendere il suo libro non è la mia priorità”. “Su Almasri e Paragon non risponde, così svilisce il Senato”(…)

Meloni attacca Conte: “M5s antimilitarista? L’ex premier ha sottoscritto l’impegno del 2% del Pil per la difesa. Doveva compiacere qualcuno?”

“Piano di riarmo? Chi parla di tagli al welfare inganna i cittadini”: Meloni attacca in Senato. La reazione tiepida dai banchi leghisti(…)

Borghi (Lega) “avverte” Meloni: “Prepararsi alla guerra? Da von der Leyen follie. Mi auguro che lei, in casi come questi, dirà dei no”

Borghi (Lega) “avverte” Meloni: “Prepararsi alla guerra? Da von der Leyen follie. Mi auguro che lei, in casi come questi, dirà dei no”(…)

Licheri (M5s) a Meloni: “Spaventate gli italiani per poi convincerli ad andare in guerra, Crosetto ha già l’elmetto”(…)

 

Ddl Sicurezza, Scarpinato contro l’articolo 31: “Servizi potenziati senza controllo. Si potrà arrivare a una schedatura di massa”(…)

Meloni: “Dazi Usa? Evitare guerra commerciale che non avvantaggia nessuno, non si cada nella tentazione di rappresaglie”(…)

 

L’attacco di Meloni al M5s: “Non ci sono soldi per welfare e sanità perché sono stati bruciati in misure che servivano solo a creare consenso”(…)

Meloni: “Sosteniamo gli sforzi di Trump per la pace in Ucraina. Nato? Impensabile che l’Europa faccia senza”

Meloni: “Sosteniamo gli sforzi di Trump per la pace in Ucraina. Nato? Impensabile che l’Europa faccia senza”(…)

"Sembra quasi che qualcuno in Europa voglia boicottare il processo di pace virtuosamente ricominciato da Trump"(…).

(F. Q. - 19 Marzo 2025).

 

Nuovo attacco di Matteo Salvini al piano di riarmo proposto da Ursula von der Leyen.

 Parlando alla stampa a Bruxelles, il leader della Lega insiste: “Non penso che la Russia sia una minaccia per il mondo.

Per gli italiani la minaccia sono i troppi clandestini che, anche grazie all’inerzia dell’Unione Europea, sono entrati in casa nostra”.

 “Se noi dessimo retta la commissaria Kallas saremmo in guerra.

Io ho un figlio di 21 anni, non voglio mandarlo in Ucraina perché la signora Kallas ha voglia di guerra.

Con tutto rispetto ci vada lei”, aggiunge Salvini, sottolineando che l’Ue è nata “per garantire la pace non per alimentare nuove guerre”.

 

E su Meloni, che pure ha approvato il piano di riarmo, pur criticandolo continua: “Meloni ha un mandato per difendere l’interesse nazionale italiano.

Non penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda all’interesse nazionale italiano, e neanche all’interesse dei cittadini europei.

 Non so a nome di chi parlino Ursula von der Leyen, Kaja Kallas e altri.

Sembra quasi che qualcuno in Europa voglia boicottare il processo di pace virtuosamente ricominciato da Trump”.

 

 

Seduta sospesa due volte.

Riarmo, Meloni alla Camera: "

L'Europa di Ventotene non è la mia".

 Caos in Aula, Schlein: "Oltraggio

 alla nostra memoria."

Tgcom24.mediaset.it – (19 -3-2025) – Redazione – ci dice:

 

Insorgono le opposizioni. Da Bruxelles, rispondendo alle polemiche, il premier dice: "Ho solo letto un testo."

Dopo le comunicazioni rese martedì al Senato, Giorgia Meloni, torna a parlare alla Camera in vista del Consiglio europeo del 20 e del 21 marzo sul riarmo.

 "Non se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia", ha detto il premier, citando alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene.

Rivolgendosi alle opposizioni, ha poi rincarato la dose: "Non mi è chiarissima neanche la vostra idea di Europa, perché nella manifestazione di sabato a piazza del Popolo e anche in quest'aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene:

spero non l'abbiano mai letto, perché l'alternativa sarebbe spaventosa".

Parole che hanno scatenato dure proteste in Aula dai banchi dell'opposizione con il presidente Lorenzo Fontana costretto a sospendere la seduta.

 Da Bruxelles, rispondendo alle polemiche, il premier ha dichiarato: "Ho solo letto un testo".

Meloni alla Camera: "L'Europa di Ventotene non è la mia" .

 Bagarre in Aula e seduta sospesa.

Meloni cita il Manifesto di Ventotene.

 A beneficio di chi ci guarda da casa e di chi non dovesse averlo mai letto io sono contenta di citare testualmente alcuni passi salienti del Manifesto di Ventotene.

Primo: 'la rivoluzione europea per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista'.

E fino a qui, vabbè.

'La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa non dogmaticamente, caso per caso'.

 'Nelle epoche rivoluzionarie in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente'.

'Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni'".

"'La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria'.

E il Manifesto conclude che esso, il partito rivoluzionario, 'attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna.

Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse, attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato e attorno a esso la nuova democrazia",

ha concluso Meloni prima di aggiungere: "Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia".

(Che cos'è il Manifesto di Ventotene, uno dei testi fondanti dell'Unione Europea).

Opposizioni alla Camera:

"Meloni si scusi su Ventotene".

 Alla ripresa dell'aula della Camera i gruppi di opposizione hanno chiesto le scuse della presidente del Consiglio per le sue affermazioni sul manifesto di Ventotene.

Pd:

"Meloni truffaldina su Ventotene, si inginocchi davanti ai padri dell'Europa" In particolare il deputato Pd Federico Fornaro, attaccando il premier, ha detto: "Quello avvenuto in quest'aula è un atto grave nei confronti del Parlamento e della storia di questo Paese.

Il Manifesto di Ventotene è riconosciuto da tutti gli storici, non come in maniera truffaldina ha cercato di far passare la presidente l'inno alla dittatura del proletariato, ma come l'inno dell'Europa federale contro i nazionalisti che sono stati il cancro del 900.

Le chiedo di ostracizzare chi dileggia la memoria di Altiero Spinelli considerato da tutti il padre dell'Europa.

Lei deve dire parole di verità lei è il presidente della Camera.

Siamo qui grazie a quegli uomini e quelle donne, la presidente dovrebbe inginocchiarsi davanti a loro".

 

Schlein:

"Meloni oltraggia la memoria europea". Sui social, la segretaria del Pd Elly Schlein ha poi nuovamente attaccato:

"Giorgia Meloni non solo non ha il coraggio di difendere i valori su cui l'Unione è fondata dagli attacchi di Trump e di Musk, ma ha deciso in Aula di nascondere le divisioni del suo governo oltraggiando la memoria europea.

Noi non accettiamo tentativi di riscrivere la storia.

Meloni ha oltraggiato la memoria del Manifesto di Ventotene, riconosciuto da tutti come la base su cui si è fondata l'Ue.

Dice che quell'Europa non è la sua.

E allora le chiedo se la sua Italia è quella della Costituzione perché sono gli stessi antifascisti che l'hanno scritta".

M5s:

 "Non c'è spazio in Aula per il fascismo."

 Dura è stata anche la reazione del Movimento 5 Stelle con le parole del deputato Alfonso Colucci:

"Quanto abbiamo sentito in questa aula dalla presidente del Consiglio è un oltraggio alla storia d'Italia e alla memoria di quanti hanno combattuto, perso la vita, donando a questa democrazia l'antifascismo da cui nasce la nostra Costituzione e la nostra democrazia.

La premier nega i valori fondanti su cui si basa la nostra democrazia-.

Non c'è spazio in quest'aula per il fascismo".

Giorgia Meloni, ascoltando queste parole, si è messa a ridere, scatenando la protesta delle opposizioni.

"La presidente del Consiglio ora ride - ha detto Colucci -.

 Si vergogni! Fontana dovrebbe violentemente stigmatizzare le parole della presidente del Consiglio".

Conte:

"Meloni irriconoscente, l'Ue nasce da Ventotene". Per il presidente del M5s Giuseppe Conte, "ora viene fuori la polemica creata ad arte su Ventotene, eppure, in passato avete detto che i firmatari avevano idee chiare. Voi sfiorate l'irriconoscenza, Meloni è volata a Bruxelles, non vedeva l'ora.

Ma se siede al Consiglio europeo è grazie a Spinelli, Rossi…

Tutta l'Europa riconosce che quello è stato il progetto fondativo dell'Europa libera e democratica che abbiamo".

Nuovo scontro in Aula, seduta sospesa per la seconda volta. Le parole di Colucci e il riferimento al fascismo l'Aula si è scaldata con parlamentari in piedi che urlavano da una parte e dall'altra.

Il presidente Fontana è stato costretto a interrompere di nuovo la seduta e convocare la capi gruppo.

Meloni posta il suo discorso su Ventotene:

"Giudicate voi" Dopo lo scontro in Aula, il premier ha deciso di postare sui social il video del suo discorso alla Camera accompagnato dal post: "Giudicate voi".

In seguito, arrivando in albergo a Bruxelles per il Consiglio europeo Meloni è tornata su quanto accaduto alla Camera:

"Ho fatto arrabbiare? Ho letto un testo… non capisco cosa ci sia di offensivo.

Un testo si può distribuire ma non leggere?

È un simbolo? Non l'ho distorto, l'ho letto.

Ma non per quel che il testo diceva 80 anni fa ma perché è stato distribuito sabato scorso.

Un testo che 80 anni fa aveva la sua contestualità se tu lo distribuisci oggi devo leggerlo e chiederlo se è quello in cui credi".

"Cerchiamo di rendere il “ReArm” più sostenibile".

Prima della bagarre in Aula, il premier aveva parlato della questione legata al piano “ReArm Europe”:

"La posizione del governo è chiara, noi abbiamo fatto le nostre valutazioni, il governo aveva chiesto lo scorporo delle spese difesa dal calcolo del Patto di stabilità.

Oggi però non possiamo non porre il problema che l'intero Piano presentato dalla presidente della Commissione Ue von der Leyen si basa quasi completamente del debito nazionale degli Stati".

Parlando del “ReArm Europ”e, la Meloni ha poi affermato:

 "Con il ministro Giorgetti abbiamo elaborato una proposta che ricalca l'”Invest Eu”, con garanzie europee per investimenti privati e cerchiamo di rendere questo piano maggiormente sostenibile.

 Ma la posizione mi pare chiara".

"Dal colloquio Trump-Putin primissimi spiragli" Il presidente del Consiglio aveva posto l'attenzione sulla guerra in Ucraina e le prospettive di pace:

"C'è stata una lunga conversazione tra il presidente Donald Trump e il presidente Vladimir Putin: tra i punti discussi c'è l'ipotesi di un parziale cessate il fuoco limitato alle infrastrutture strategiche.

 Si tratta di un primissimo spiraglio che va nel senso di quanto concordato a monte tra Trump e Zelensky" a Gedda.

"Sosteniamo Trump, leader forte che può garantire pace giusta e duratura" "Noi sosteniamo gli sforzi del presidente Trump sul dossier Ucraina, è dal mio punto di vista un leader forte che sicuramente può porre le condizioni per garantire una pace giusta e duratura - aveva proseguito il premier -.

Ho detto e ribadisco che non vedremo con questa amministrazione americana le scene di debolezza occidentale che abbiamo per esempio visto in Afghanistan.

 La questione si gioca sulle garanzie di sicurezza e noi stiamo facendo la nostra parte.

Io ho tenuto una posizione che mi pare essere stata chiara".

Risposta al Pd:

 "Non seguo pedissequamente Ue né Usa, sto con Italia."

"Ai colleghi del Pd voglio dire che non mi sono chiare alcune cose.

Per me la posizione e il punto di vista delle opposizioni contano, ma mi è stato chiesto in diversi interventi:

'sta con l'Europa o con gli Stati Uniti?'.

Mi pare di aver risposto tante volte, io sto sempre con l'Italia.

Non seguo pedissequamente né l'Europa né gli Usa, io sto con l'Italia - aveva aggiunto -.

L'Italia è in Europa, ma sono anche per la compattezza dell'Occidente, che serve all'Italia e all'Europa.

Semplificazioni su questo non aiutano".

Meloni a Schlein: "Alleati non cambiano in base a chi vince elezioni."

"Quando Schlein dice 'Trump non sarà mai un alleato', che vuol dire? Che dobbiamo uscire dalla Nato?

Io penso che i Paesi alleati non cambino a seconda di chi vince le elezioni, ma mi pare che voi la pensiate in modo diverso".

Dal Parlamento europeo il sì al sostegno al piano per il riarmo dell'Ue.

 

Giorgia Meloni in Senato: "Nessuna sicurezza staccando l'Ue dagli Usa."

Meloni ai 5 Stelle: "Fate la lotta nel fango, con voi più spese difesa" .

Replicando al Movimento 5 stelle, il premier aveva affermato:

"Non so che cosa volete che vi dica, mi spiace per voi che non avete evidentemente delle proposte da fare capisco perché quando eravate al governo l'Italia aveva dei problemi.

 Capisco che i cittadini sono preoccupati, lo sono anche io e non ho tempo per la vostra lotta nel fango.

Gli italiani valuteranno come comportarsi e la discrasia che esiste tra le posizioni che tenete all'opposizione e le scelte fatte al governo, voi dall'opposizione siete antimilitaristi quando siete stati al governo vi siete comportati diversamente approvando il più alto aumento delle spese della difesa rispetto al Pil".

"Non siamo contrari a euro digitale purché non sia sostitutivo."

 "Non siamo contrari all'euro digitale purché non sia sostitutivo - ha detto ancora -. La Svezia è una Nazione che puntava a far sparire il contante e recentemente ha consigliato ai cittadini di mantenere una parte della propria ricchezza in contante alla luce, tra le altre cose, dei rischi legati agli attacchi informatici".

Salvini:

"Meloni sostenga l'interesse dell'Italia, il riarmo non lo è".

 Parlando a Bruxelles, sul tema riarmo è intervenuto anche il vicepremier Matteo Salvini.

La Lega ha una posizione chiara sul caso:

 "Giorgia Meloni ha un mandato per difendere l'interesse nazionale italiano.

Non penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda all'interesse nazionale italiano, e neanche all'interesse dei cittadini europei.

 Non so a nome di chi parlino Ursula von der Leyen e Kaja Kallas.

Sembra quasi che qualcuno in Europa voglia boicottare il processo di pace virtuosamente ricominciato da Trump, che ha tutto il nostro sostegno e tutto il nostro appoggio".

Tajani:

"Pieno mandato a Meloni per approvare piano von der Leyen."

Di tutt'altro avviso il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani:

"Giorgia Meloni ha pieno mandato da Forza Italia per approvare il piano di sicurezza della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen".

"Rispetto per tutti, mia Europa quella di De Gasperi".

 A chi gli chiede se quella di Ventotene sia la sua Europa, Tajani risponde:

"Grande rispetto per tutti, la mia Europa è quella di De Gasperi, Adenauer e Schuman".

"Forza Italia per la difesa e l'Atlantismo".

 Tajani ha quindi ribadito la posizione di Forza Italia che coincide con quella promossa da Giorgia Meloni e se qualcuno non è d'accordo, "non cambiamo certamente la nostra posizione".

"Noi abbiamo la nostra posizione, ed è sempre stata la stessa, poi la sintesi la fa il presidente del Consiglio.

 Abbiamo condiviso le sue scelte al Consiglio informale:

noi siamo per la difesa europea, siamo europeisti, se questo non fosse un governo europeista non saremmo nel governo.

Noi siamo europeisti e atlantisti.

Non possiamo fare una scelta fra Europa e Stati Uniti", ha evidenziato il ministro degli Esteri.

 

 

 

 

Lettere e boicottaggio: è scontro

tra Orban e Ue sulle "missioni di pace."

Ilgiornale.it - Filippo Jacopo Carpani – (16 Luglio 2024) – ci dice:

 

Il primo ministro ungherese ha inviato una missiva al Consiglio europeo per informarlo dell'esito dei suoi viaggi a Kiev, Mosca e Pechino.

L'Unione vuole spostare i consigli informali da Budapest per boicottare la presidenza magiara.

Viktor Orban ha reso contro dei suoi viaggi in Oriente.

Secondo quanto dichiarato dal suo consigliere politico, il premier ungherese ha inviato ai membri del Consiglio europeo una lettera per informarli dell’esito delle sue “missioni di pace” e delle sue proposte per la fine del conflitto tra Russia e Ucraina.

"Condotta sleale".

 Furia di 20 Paesi Ue contro Orban per i viaggi da Putin e Xi.

L’iniziativa diplomatica del primo ministro magiaro, che a inizio luglio si era recato a Mosca, Kiev, Pechino e a Mar-a-Lago da Donald Trump, ha scatenato l’ira dei Paesi dell’Ue, contrari al fatto che si sia mosso in autonomia e senza coordinare le sue visite con Bruxelles.

Il portavoce della Commissione europea” Eric Mamer” ha affermato di non aver ancora ricevuto alcuna comunicazione in merito alle missive e che anche il presidente Ursula von der Leyen, in qualità di effettivo membro del Consiglio, dovrebbe essere tra i destinatari.

Da parte sua, il portavoce del Cremlino “Dmitri Peskov” ha dichiarato di “non essere al corrente del contenuto della lettera”, dato che “ovviamente non conosciamo il contenuto della corrispondenza interna all’Ue.

Forse potrebbero esserci delle sfumature, ma siamo consapevoli dell’approccio generale di Orban”.

 

Secondo quanto riportato dal “Financial Times”, nella sua lettera il primo ministro di Budapest ha parlato di Donald Trump, affermando che "non possiamo aspettarci alcuna iniziativa di pace" da parte sua "fino alle elezioni".

"Posso tuttavia affermare con certezza che subito dopo la sua vittoria elettorale, non aspetterà fino al suo insediamento, ma sarà pronto ad agire immediatamente come mediatore di pace", ha proseguito Orban, dichiarando che il tycoon ha "piani dettagliati e ben fondati".

Viktor graziato: solo ammonito Commissione, è caccia ai voti.

L’Unione europea sembra comunque intenzionata a “punire” il premier ungherese per la sua iniziativa.

L’Alto rappresentante per gli Affari esteri Josep Borrell ha avviato una consultazione con le capitali degli Stati membri per spostare il Consiglio informale Esteri-Difesa, il cosiddetto Gymnich, in programma per il 28-29 agosto a Budapest, trasformandolo in Consiglio formale.

 La mossa permetterebbe di boicottare la presidenza magiara dell’Ue e ha fatto seguito alla decisione senza precedenti di Ursula von der Leyen di non far partecipare i suoi commissari alle riunioni informali che si terranno nel Paese fino al 31 dicembre e di annullare la tradizionale visita del Collegio che dovrebbe tenersi al rientro dalla pausa estiva.

(Da Carta di Cernobbio 10 azioni concrete per la sanità del futuro.)

Il presidente della Commissione europea ha anche confidato la sua frustrazione nei confronti di Orban e dell’estrema destra nel suo incontro con il gruppo “The Left” del parlamento europeo.

 “Abbiamo visto le sue missioni a Mosca e Pechino e la risposta russa con il bombardamento dell'ospedale pediatrico.

Quella non può essere considerata una missione di pace”, ha dichiarato secondo fonti informate.

“Lo so che la vediamo in maniera diversa su tante cose, ma voi siete pro-Ue, pro-Ucraina e pro-Stato di diritto”.

Un accenno, questo, alla possibilità di lavorare insieme e di assicurarsi i voti della sinistra per conquistare un secondo mandato al vertice della Commissione.

 

 

 

Meloni attacca l'Europa

di Ventotene.

Corriere.it - Alessandro Trocino – (20-03-2025) – ci dice:

 

Giorni intensi, forse decisivi, per capire da che parte sta andando il mondo.

 Il colloquio Trump-Putin, che non è stato risolutivo come si sperava, è stato seguito oggi dalla conversazione tra il presidente americano e Volodymyr Zelensky.

 Le bombe, intanto, continuano a cadere sull’Ucraina.

Sul fronte interno, la premier Giorgia Meloni ha deciso di accendere una miccia polemica intervenendo alla Camera dei deputati nel dibattito in vista del Consiglio europeo, che comincia oggi.

Ha criticato duramente il Manifesto di Ventotene, provocando la reazione indignata dell’opposizione.

 

Mai come oggi si può dire che «tout se tient», tutto si tiene, e che ogni impercettibile spostamento di posizione va interpretato in uno scacchiere più ampio.

La crisi è internazionale e ogni mossa anche domestica va letta in una chiave più ampia.

Oggi è giovedì 20 marzo e questa è Prima Ora del Corriere. Cominciamo.

Il dibattito alla Camera e la spaccatura della maggioranza.

È palese la spaccatura interna che percorre sia la maggioranza sia l’opposizione sui temi della politica estera.

Per quanto riguarda il governo, Forza Italia è fortemente europeista, mentre la Lega è oltre l’euroscetticismo di un tempo.

Fratelli d’Italia, con la premier Giorgia Meloni, prova a barcamenarsi tra una posizione ufficiale pro Kiev e un’adesione ideologica alle tesi del neo presidente Trump.

 La mattina comincia subito male.

Con il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, che avverte:

 «Non sono così convinto che “ReArm Europe” venga approvato.

L'Italia non approverà in Parlamento una risoluzione che dà a Meloni il mandato di approvare il piano».

A seguire, il vicepremier e segretario di FI, Antonio Tajani, che invece assicura che «Meloni ha pieno mandato da parte di Forza Italia per approvare il progetto di sicurezza della von der Leyen».

Due posizioni opposte.

Meloni prova a metterci una pezza:

«La posizione del governo è chiara, non possiamo non porre il problema che l'intero Piano si basa quasi completamente sul debito nazionale degli Stati ed è la ragione per la quale stiamo facendo delle altre proposte».

Come quella elaborata assieme a Giorgetti che prevede garanzie europee per gli investimenti privati.

Alla fine, il governo riesce a presentare una risoluzione annacquata ma unitaria, che viene approvata dalla Camera con 188 sì, 125 no e nove astenuti.

 

L'attacco su Ventotene.

È proprio alla fine del discorso che arriva la svolta.

 Dopo aver proseguito il suo intervento sulla falsariga di quanto detto al Senato, la premier improvvisamente cambia registro e attacca a testa bassa.

 Se la prende con il Manifesto di Ventotene.

Proviamo a capire perché.

 

Cosa dice la premier sul manifesto di Ventotene?

Spiega che quella di Ventotene non è la sua Europa.

 Legge alcuni stralci del testo nel quale si parla di rivoluzione socialista, di abolire o limitare la proprietà privata, di dittatura del partito rivoluzionario.

Poi si rivolge alle opposizioni:

«Non mi è chiarissima neanche la vostra idea di Europa, perché nella manifestazione di sabato a piazza del Popolo e anche in quest'aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene:

spero non l'abbiano mai letto, perché l'alternativa sarebbe spaventosa».

Cosa c'è di spaventoso nel Manifesto?

 Prima di raccontare la reazione, indignata, dell’opposizione, bisogna fare un passaggio sul Manifesto.

 Fu scritto nel 1941 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, con l’aiuto di Eugenio Colorni.

Erano antifascisti confinati nell’isola dal regime.

La loro idea è quella di un’Europa «libera e unita».

Una prima versione viene trascritta su cartine di sigarette da Ada Rossi e poi nascosta in un pollo e portata nel continente da “Hursula Hirschmann”, moglie di Colorni.

È un documento che propone le tesi del socialismo liberale di Rosselli.

 Rifiuta non solo il totalitarismo fascista, ma anche l’alternativa totalitaria comunista.

Il moderatissimo Pier Ferdinando Casini, in un'intervista a Monica Guerzoni, dice che «Ventotene è una delle pagine più belle dell'Europa».

Ha ragione la premier?

Qui soccorre una perfetta ricostruzione storica di Antonio Carioti.

Dalla quale si desume un primo elemento:

 è inutile e sbagliato stupirsi della contrarietà ideologica di Meloni a quelle parti del manifesto citate.

Perché si tratta di un testo di forte ispirazione socialista:

«Che la leader di un partito d’ispirazione nazional-conservatrice come Giorgia Meloni esponga a chiare lettere il proprio dissenso dal Manifesto di Ventotene, un documento politico di forte impianto federalista e socialista diretto in primo luogo contro gli Stati nazionali, non deve certo stupire.

È nell’ordine naturale delle cose».

D'accordo, ma è un Manifesto criptocomunista?

Carioti analizza con precisione tutti i dettagli dei rilievi, smentendone molti.

Non si tratta certo di un documento criptocomunista, né di un’apologia della dittatura.

 E non è neanche per l’abolizione della proprietà privata.

 Scrive Carioti: «Sul tema della proprietà privata ha un'impostazione non molto diversa da quella della nostra Costituzione repubblicana: sostiene che la si debba abolire (non è stata forse nazionalizzata l’energia elettrica in Italia nei primi anni Sessanta?) correggere, limitare o estendere a seconda delle convenienze economiche».

Perché si parla ancora di Ventotene?

Detto questo, ci sono molti elementi superati dal tempo, che gli stessi protagonisti corressero poco dopo e che vanno contestualizzati in quel periodo.

Ma soprattutto, il punto è che il “Manifesto di Ventotene” viene ricordato non certo per quegli elementi citati dalla premier, ma per lo slancio ideale a un processo federativo e di fratellanza dei popoli europei e per il coraggio degli estensori, che combatterono per la libertà e contro il fascismo con la forza delle loro idee e con il loro corpo.

 Ripudiare il Manifesto sulla base di quegli elementi controversi, trascurabili e trascurati da chi lo ha fatto diventare una bandiera dell’Europa, suona pretestuoso.

  Come scrive Carioti:

«È evidente che richiamarsi al “Manifesto di Ventotene” non significa affatto giurare fedeltà su ogni sillaba del documento, quasi si trattasse di un testo sacro».

Peraltro, anche la Bibbia è piena di passaggi che letti oggi fanno rabbrividire (si veda il lavoro svolto negli anni da Sergio Quinzio) ma la lettura moderna giustamente, e ovviamente, li trascura.

E dunque perché l’attacco a Ventotene?

Un'uscita troppo plateale per non essere studiata e preparata, anche perché ha il vantaggio, per Palazzo Chigi, di distogliere l’attenzione dal rapido cambio di postura della premier, che si è spostata da un sostegno politico e militare totale all’Ucraina di Zelensky a un appoggio più naturale alle posizioni di Trump, che ha da tempo mollato al suo destino Kiev.

 Realismo politico, dicono gli esponenti di Fratelli d’Italia:

sono cambiate le condizioni, ora c’è Trump e si sta mettendo d’accordo con Putin per evitare altri guai.

 Per questo l’integrità territoriale dell’Ucraina e la sua indipendenza democratica sono ormai sacrificabili sull’altare della pace e dell’intesa Trump-Putin.

E dunque Meloni frena sull’Europa armata, comincia a rimettere in discussione il piano von Der Leyen, frena sul contingente militare pensato da Macron e Starmer e critica il distacco dagli Stati Uniti e dalla Nato (anche se poi è il contrario, sono loro a staccarsi dall'Europa).

Scrive Massimo Franco:

 «Se la provocazione di Giorgia Meloni sul Manifesto di Ventotene aveva soprattutto l’obiettivo di distogliere l’attenzione dai dilemmi del governo, sembra ben riuscita».

«Voleva sviare il discorso dal riarmo. E alla Camera ci sono cascati tutti come dei polli», sintetizza a Fabrizio Caccia, Giordano Bruno Guerri.

 

Una bella e tempestiva risposta arriva in eurovisione da Roberto Benigni, come segnala anche Aldo Grasso.

Il no al federalismo.

 Ma c’è un’altra versione che spiega l’improvviso attacco a Ventotene.

 Scrive Marco Galluzzo che quello della premier è un attacco non pretestuoso, o non solo, perché esprime un obiettivo politico:

dire no a una federazione europea.

 «Io sono nazionalista e sovranista», ripete Meloni ai suoi.

E la destra approva, perché così si ribadisce la linea che dice no a una federazione che sposterebbe tutto il potere a Bruxelles e dice sì solo a una confederazione, più blanda della federazione.

 E ancora: «Resta la sensazione, avallata dal suo staff, che Meloni abbia parlato in primo luogo ai suoi elettori, alla sua base, anche in risposta alla manifestazione di sabato scorso sull’Europa.

Lei ha rivendicato un’idea di Ue diversa da quella della sinistra italiana».

Le opposizioni insorgono Urla, bagarre, contestazioni, sospensione della seduta.

 La reazione dell’opposizione è furente.

Da Pd, M5S, Avs si parla di «oltraggio alla democrazia», di «pagina vergognosa». Federico Fornaro, Avs, fa forse l’intervento più forte ed efficace, prima di commuoversi.

Chiede a Meloni di «inginocchiarsi di fronte a quegli uomini, padri dell’Europa, che non possono essere insultati, derisi e caricaturizzati.

Se lei è qui, è anche grazie a loro».

Divisi ma uniti.

 L’opposizione si divide sulle mozioni, unita solo dalle parole di Meloni.

Lo spiega Maria Teresa Meli:

«L’opposizione si ricompatta grazie alla presidente del Consiglio.

Almeno nella protesta, perché poi ognuno si tiene la sua mozione.

E a sera, quando 5 Stelle e Avs chiedono il voto dei testi per parti separate, sperando di attrarre qualche consenso dem, il Pd vota compatto «no» allo stop degli aiuti militari all’Ucraina richiesto dal M5S e dai rossoverdi, anche se approva la condanna di Israele sollecitata sempre dagli stessi due partiti».

 

Conte vs Schlein.

 Sull'Ucraina i leader di M5S e Pd si dividono ancora.

Giuseppe Conte accusa il Pd di aver sperato, insieme alla Ue, nella vittoria dell’Ucraina:

«L’Europa è disorientata, le reazioni sono addirittura isteriche.

 Ma vi rendete conto che siete pericolosi? State facendo di tutto per boicottare i negoziati di pace».

Elly Schlein replica:

 «L’Unione europea è sempre stata compatta nel sostegno a Kiev e lo siamo stati anche noi. Non ci può essere una trattativa per una pace giusta senza Ue».

 

Intanto Salvini viene premiato da Orbán.

A Bruxelles Matteo Salvini riceve, da «guerriero a difesa dei confini nazionali», il premio” Hunyadi Jáno”s, eroe ungherese della lotta contro gli ottomani.

Glielo consegna il premier ungherese Viktor Orbán, mentre Marine Le Pen applaude.

 Salvini fa il suo discorso e dice che la grande minaccia per l’Europa «non sono i carri armati sovietici ma i milioni di immigrati clandestini».

 E che «Washington è la grande speranza di libertà per i popoli europei:

Trump ci salverà».

Orbán apprezza e paragona Salvini all’eroe Hunyadi:

 «Siete due guerrieri della stessa battaglia, anche tu, Matteo, ti sei battuto a difesa dei nostri sacri confini.

Non difendi un Paese, difendi la civiltà».

 

Le trattative Trump-Putin.

La telefonata a Putin Il primo round non è andato come sperava il presidente americano.

In campagna elettorale aveva detto che avrebbe portato la pace in 24 ore e invece Putin ha concesso solo una debole tregua di 30 giorni limitata alle centrali elettriche, subito infranta dai bombardamenti: nella notte sono stati lanciati 6 missili e 145 droni.

Non è ancora chiaro cosa si sono detti in quella lunga telefonata, ma il presidente russo avrebbe detto no alla tregua totale, in mancanza di uno stop completo agli aiuti militari e di intelligence occidentali.

 

La telefonata a Zelensky.

Oggi Trump ha chiamato Zelensky, dicendo poi pubblicamente che è stata «un’ottima telefonata», durata un’ora.

La linea rossa ucraina è il non riconoscimento dei territori occupati come russi.

Ma Zelensky vuole soprattutto che non si interrompano le forniture di armi occidentali.

Per questo avrebbe accettato la resa parziale, parlando con Trump, che su questo tema sarebbe intenzionato a non cedere a Putin.

Zelensky chiede un nuovo invio di missili Patriot.

 Il presidente americano ha suggerito che gli americani potrebbero assumere il controllo delle centrali elettriche ucraine per facilitare la loro sicurezza.

Non è chiaro se includa anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia, che è occupata dai russi sin dal marzo 2022.

«Il controllo americano delle centrali potrebbe rappresentare la migliore garanzia per la loro difesa», ha suggerito Trump.

 

A Gedda.

Non è escluso che i due presidenti - Trump e Putin - si vedano di persona domenica in Arabia Saudita, dove ripartirà il dialogo.

Oggi, intanto, Mosca e Kiev hanno effettuato uno scambio di 175 prigionieri di guerra per parte.

È una minaccia per l’Europa Putin?

Le opinioni divergono.

C’è chi pensa che il suo obiettivo sia solo mettere in sicurezza le sue frontiere e la sua sfera d’influenza, neutralizzando l’Ucraina.

 E c’è chi pensa che la sua guerra all’Europa sia già cominciata, con la disinformazione, la “cyber war”, le interferenze sui sistemi democratici.

 Ma non solo.

I servizi di intelligence di Germania e Danimarca hanno annunciato pubblicamente che, secondo le loro informazioni, il Cremlino si starebbe preparando a mettere alla prova l'articolo 5 della Nato prima del 2030.

 Ecco perché, dice il commissario europeo alla Difesa, “Andrius Kubilius”, «abbiamo bisogno di una roadmap per essere pronti entro il 2030, perché dobbiamo agire su larga scala».

 

Riarmo, Bruxelles compra «europeo».

 Il «Libro bianco per la difesa europea-readiness 2030» ha l’obiettivo di riarmare gli Stati membri dando una spinta all’industria europea della difesa.

Il piano punta a favorire i progetti industriali europei e a rafforzare le alleanze globali con partner come Australia, Canada, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud, mentre il Regno Unito è considerato «un alleato essenziale».

 Sul tavolo ci sono 150 miliardi di prestiti garantiti dal bilancio europeo per gli Stati membri da destinare a progetti congiunti o in associazione con almeno un Paese della zona Efta (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) più l’Ucraina.

La condizione però è che il 65% dei costi delle attrezzature finanziate provenga da fornitori nell’Ue, in Norvegia o in Ucraina.

 È prevalsa dunque la linea francese del «comprare europeo».

Solo un terzo della spesa - scrive Francesca Basso - può essere destinato a prodotti di Paesi extra-Ue con un accordo di sicurezza.

Quindi le industrie di Regno Unito, Stati Uniti e Turchia saranno escluse da questo strumento a meno che non firmino un accordo di partenariato in materia di sicurezza e difesa con l’Unione.

Crosetto:

l'unica difesa è la Nato.

Come si fa una difesa comune europea se non c’è uno Stato europeo, se non c’è una politica estera comune?

E considerando che i tempi perché maturi davvero un’Europa federale possono essere di molti anni, l’obiettivo rischia di sfuggire di mano.

Si potrebbe obiettare che un gruppo di Paesi potrebbero prendere in mano la difesa, con un balzo in avanti, e con meccanismi simili a quelli della Nato (come l’articolo 5).

Ma lo scetticismo degli esperti è grande.

Quello del nostro ministro della Difesa, “Guido Crosetto”, ancora più grande, come si evince dalla lettera scritta al Corriere per chiarire alcuni punti e chiudere in sostanza, all’ipotesi di una difesa comune.

L’unica che esiste, dice, è la Nato.

E non ci sono alternative.

Ecco i punti principali della lettera, in sintesi:

1. «La sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro».

Non è un’interpretazione di parte, dice, ma un principio giuridico, fondante, dell’Unione.

2. La conseguenza è che ogni Paese è responsabile della sua Difesa e non esiste, ad oggi, la possibilità, né concreta né giuridica, di un meccanismo automatico di mutuo soccorso, intra-Ue, in caso di aggressione di una Nazione, o un’entità, esterna.

C’è l’articolo 42, che riecheggia il 5 della Nato, ma questo «non» prevede un obbligo vincolante di intervento.

Ogni eventuale aiuto militare dipenderebbe, esclusivamente, dalla volontà politica dei singoli Stati membri, senza alcuna garanzia di un’azione collettiva immediata.

3. Dunque, la difesa europea non può sostituire la Nato né offrire lo stesso livello di protezione.

4. Ma una politica di difesa comune non si potrebbe fare?

Sì, il Trattato Ue stesso la prevede, in prospettiva, ma solo a seguito di una decisione unanime del Consiglio Europeo.

Circostanza che, dal 1992 ad oggi, non si è mai verificata né è in discussione, oggi, in alcun governo o Stato membro.

 

A Gaza si muore, proteste a Gerusalemme.

Se sul fronte esterno, Benjamin Netanyahu non sembra incontrare resistenze, viste la cedevolezza di Trump, e la debolezza di Gaza, bombardata incessantemente dalla fine della tregua, su quello interno il premier ha qualche problema in più.

 Ieri anche a Gerusalemme, dopo Tel Aviv, ci sono state proteste.

Due le questioni:

la prima è la rottura della tregua nella Striscia, che mette a rischio anche le vite degli ostaggi israeliani, oltre a quelle dei palestinesi;

la seconda è l’annuncio del licenziamento del capo dello Shin Bet, “Ronen Bar”.

 

Ma Netanyahu va avanti per la sua strada.

Itamar Ben Gvir, il ministro con la «pistola» di estrema destra, è tornato nel governo.

Nella Striscia continuano i raid, con altre 14 vittime.

 Il premier minaccia di espandere «la lotta al terrorismo» in Cisgiordania.

E Trump minaccia ancora Iran e Houthi yemeniti.

 

Turchia, arrestato Imamoglu, avversario di Erdogan.

A breve “Ekrem Imamoglu”, sindaco di Istanbul, si sarebbe candidato contro il presidente Recep Tayyip Erdogan, nelle elezioni nazionali.

Del resto è il rivale più autorevole e più stimato. O almeno lo era, fino a ieri. Perché “Imamoglu” è stato arrestato, con le accuse di corruzione, malversazione e favoreggiamento del terrorismo.

Pochi istanti prima di essere portato via, chiuso nella cabina armadio e in diretta streaming con il telefonino, “Imamoglu” ha annunciato che non si arrenderà.

Ma appare evidente che l’arresto è un pretesto per togliere di mezzo un avversario politico.

Fanno così le autocrazie.

Mantengono una parvenza di democrazia formale, ma ne tagliano le fondamenta. Le prigioni turche si sono riempite di oppositori negli ultimi tempi.

Una famosa manager del mondo dello spettacolo è stata arrestata in gennaio per aver partecipato a proteste di piazza nel 2013, dodici anni fa.

 Così come il leader di un partito anti migranti, un ex segretario del partito curdo considerato legale e un ex attivista dei diritti umani.

Il segretario del partito repubblicano ha accusato Erdogan di golpe.

«Il presidente è stato sul treno della democrazia fino a che gli è servito, ora è sceso ed è tra quelli che vogliono farlo deragliare».

 

Elkann in Parlamento.

John Elkann, presidente di “Stellantis”, ha spiegato in audizione a senatori e deputati quanto sia complicata la sfida dell’ auto motive (in Europa il calo produttivo in 20 anni è stato del 12% a fronte della crescita del 300% della Cina, dove l’energia per produrre, intanto, costa 5 volte di meno).

Ma ha anche rivendicato quanto fatto negli ultimi venti anni dal gruppo “Fiat-Fca-Stellantis” in Italia.

Spiegando che nel 2004 Fiat fatturava 20 miliardi e aveva 2 miliardi di debiti, mentre oggi, dopo le fusioni con “Chrysler” e “Psa”, è il quarto costruttore di auto al mondo con 157 miliardi di ricavi.

Aggiungendo: «Senza Stellantis l’auto in Italia sarebbe scomparsa».

 

La Lega lo attacca senza pietà:

«Le parole di John Elkann sono l’ennesima, vergognosa presa in giro:

il suo gruppo è cresciuto grazie ai soldi degli italiani, italiani che poi ha licenziato per investire e assumere all’estero.

Elkann dovrebbe scusarsi e ridarci i soldi».

Critici anche Carlo Calenda e Chiara Appendino (M5S).

Elly Schlein, invece, ha commentato positivamente il confronto, augurandosi che venga rilanciata «la vocazione industriale».

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