Siamo facilmente manipolabili.

 

Siamo facilmente manipolabili.

 

 

 

Perché Siamo Facilmente Condizionabili

e Manipolabili: il Fenomeno

di Rennes-le-Château.

Conoscenzealconfine.it – (5 Giugno 2025) - Claudio Martinotti Doria – ci dice:

 

Molti di noi dimostrano una vulnerabilità nei confronti del fascino dell’ignoto, del mistero, del mito, ecc., che ci induce a rifugiarci in realtà parallele, costrutti mentali confortevoli, dimensioni culturali e spirituali, e fenomeni correlati, che ci affascinano e dilettano.

Non è mia intenzione scrivere un breve saggio citando i vari autori e passaggi storico culturali e sociali che ci hanno reso sempre più vulnerabili al condizionamento, sia della propaganda che della disinformazione (spesso interconnesse), il cui apogeo è stato raggiunto negli ultimi anni, nei quali abbiamo assistito a fenomeni sociali e istituzionali che quasi nessuno poteva prevedere nella loro gravità, estensione, e degenerazione.

Desidero solo esprimere valutazioni, concetti e semplici considerazioni, in modo da agevolare la lettura di chiunque si voglia approcciare a queste tematiche senza particolare impegno intellettuale, non dico con leggerezza ma almeno senza dover compiere particolari sforzi, come spesso accade con articoli autoriali troppo eruditi e autoreferenziali.

Credo sia ormai percezione diffusa che quanto avvenuto negli ultimi anni abbia segnato un solco profondo nella nostra società cosiddetta “occidentale”, con particolare riferimento a quella italica.

 Spesso la tendenza a semplificare le percezioni statistiche empiriche ci induce a usare frazionamenti eseguiti con l’ “accetta”, per cui tendiamo ad affermare che ormai la popolazione italiana è divisa a metà, tra coloro che sono ancora quasi totalmente condizionabili, lobotomizzati dai media mainstream che si ostinano a utilizzare come fonte di informazion e intrattenimento, e coloro che hanno acquisito un minimo di consapevolezza e non sono più disposti accettare passivamente le versioni e narrazioni ufficiali ma intendono recuperare porzioni di libertà e autonomia esistenziale.

 

Le percentuali certamente non sono quelle, anche se l’affluenza alle urne ricalcherebbe queste valutazioni confermandone l’attendibilità.

 Personalmente sono meno ottimista, riconosco che l’esperienza maturata negli ultimi cinque anni abbia sicuramente indotto molti a destarsi dall’ingenua fiducia nelle istituzioni, ma ritengo che il loro numero in termini percentuali non sia così elevato.

Inoltre i devastanti danni sociali e sanitari indotti nella popolazione hanno aumentato esponenzialmente la solitudine, l’isolamento, la sofferenza, l’introversione, l’asocialità, la confusione e l’ignoranza, ecc., rendendo sempre più difficile comunicare e rapportarsi tra di noi in maniera sensata e costruttiva.

 

La leadership politica a tutti i livelli continentali, salvo eccezioni, è paradigmatica del degrado morale, intellettuale e culturale, che stiamo vivendo, nostro malgrado, al punto tale che per mantenere le loro posizioni di potere (apparente) devono ricorrere alla repressione del dissenso in tutti i modi, anche i più paradossali, violenti e risibili.

Pur non essendo la metà della popolazione che sta crescendo in consapevolezza e coscienza è comunque già una massa critica tale da intimorire i detentori del potere esecutivo, temendo di poter essere scaricati e sostituiti dai loro veri datori di lavoro elitari, rendendoli sempre più disperati cinici e pericolosi (in particolare guerrafondai, pur in assenza di consenso, eserciti e mezzi militari).

 

Ma sussiste ancora un pericolo anche tra coloro che fanno parte di questa massa critica dissenziente e tendente alla consapevolezza, non essendosi sottratta a sufficienza al rischio di manipolazione, mistificazione, condizionamento.

Mi riferisco alla vulnerabilità di molti di noi nei confronti del fascino dell’ignoto, del mistero, del mito, ecc., che ci induce a rifugiarci in realtà parallele, costrutti mentali confortevoli, dimensioni culturali e spirituali, e fenomeni correlati, che ci affascinano e dilettano, come una volta poteva essere l’intrattenimento cinematografico o televisivo o letterario, che in questi casi afferiscono alla sfera pseudostorica e misterica.

Faccio un solo esempio che credo sia estremamente emblematico di quanto asserisco, il fenomeno di Rennes-le-Château.

 

Il fenomeno mitopoietico di Rennes-le-Château è stato esaustivamente demistificato da autorevoli studiosi e ricercatori come Mario Iannaccone, Umberto Eco e Mariano Tomatis nella prima e seconda decade del nuovo millennio, risalendo alle origini e a tutti coloro che hanno contribuito a creare questo ultrasecolare fenomeno mitologico moderno, dimostrandone l’inconsistenza dal punto di vista storico, risalendo soprattutto a tutta la documentazione e i passaggi storici di epoca più recente, dagli anni sessanta in poi.

 

Nonostante questi accurati studi ormai disponibili da parecchi anni, continuano a essere pubblicati centinaia di libri sull’argomento da parte di autori che con la ricerca storica ben poco hanno a che fare, ma piuttosto si dedicano all’immaginazione, voli pindarici, correlazioni personalizzate prive di fondamento, associazioni culturali e fenomeniche inventate di sana pianta, ecc…

Oltre a motivazioni inerenti all’irresistibile fascino del mistero (e alla faziosità che ne deriva), che sarebbe meglio in questo caso definire “enigma”, credo che a prevalere sia anche e soprattutto il desiderio di lucro e la fama che alcuni autori hanno potuto ottenere, con la complicità di alcuni media compiacenti, appagando in tal modo il proprio Ego.

Non ci sarebbe nulla di grave se tutto si fosse limitato alla sfera dell’intrattenimento immaginifico, delle ipotesi e congetture, della letteratura romanzesca, senza pretendere di fornire una parvenza di storicità, autenticità e autorevolezza agli eventi descritti e alle interpretazioni elaborate sull’argomento.

 

Quasi certamente coloro che si dedicano a scrivere su questi argomenti (e sono migliaia) non hanno avuto il tempo e la volontà di documentarsi sul pregresso (di notevole mole), soprattutto se riferito a ricercatori storici seri e imparziali, ma semmai si basano sui pochi libri letti che erano nelle loro corde, nei quali si sono identificati e dai quali sono partiti per le loro elucubrazioni.

 Se si parte da premesse e presupposti fasulli non si può che pervenire ad altre falsificazioni e conclusioni errate.

Questo approccio non è certamente storiografico e contribuisce solo ad aumentare la confusione e falsificazione del fenomeno.

 

Questo diffuso atteggiamento mentale è indicativo di quanto siamo vulnerabili psicologicamente, di come certe fascinazioni esercitino su di noi un potere di coinvolgimento emotivo cui non riusciamo a sottrarci.

Chi detiene il vero potere dominante conosce queste nostre debolezze e ne approfitta, quantomeno per distrarci e renderci inoffensivi.

Coloro che dispongono degli strumenti culturali per demistificare la realtà li dovrebbero applicare con coerenza, senza eccezioni, in tutti i settori dello scibile umano, anche quelli che esercitano su di noi un fascino viscerale, istintivo e insidioso cui difficilmente riusciamo a sottrarci.

Se coltiviamo delle “credenze”, anche se non le definiremmo tali, non filtrate dalla ricerca storica, critica e analitica, ci rendiamo vulnerabili alle insidie che il potere sa esercitare più o meno abilmente, facendoci correre il rischio di ricadere nuovamente in qualche nuova trappola che ci stanno tenendo, con la beffa della nostra supponenza che ci fa ritenere di essere ormai immunizzati a tali pericoli. Analogamente a colui che è stato truffato e ritiene che ormai non cadrà mai più in un’altra truffa.

La vita purtroppo lo smentirà.

(Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria).

(conoscenzealconfine.it).

 

 

Il lavaggio del cervello:

che cos’è e come funziona?

Rpstrategy.it – (9 novembre 2022) – Dott. Igor Graziato – ci dice:

Il lavaggio del cervello è un concetto piuttosto comune ma che trova ben poche evidenze scientifiche.

 La dura realtà da accettare è che tutti noi siamo facilmente manipolabili se messi all’interno di alcune dinamiche disfunzionali.

Il lavaggio del cervello.

Lavaggio del cervello: il controllo del pensiero e delle emozioni.

Per lavaggio del cervello si intende un insieme di strategie psicologiche, di carattere coercitivo, che perseguono l’obiettivo di produrre dei cambiamenti profondi negli atteggiamenti, nelle convinzioni, nelle emozioni e nei comportamenti di una persona.

Le vittime del cosiddetto lavaggio del cervello sono ad esempio i prigionieri di guerra, i membri di culti religiosi e delle sette.

L’espressione lavaggio del cervello è di uso popolare e viene spesso utilizzata all’interno di narrazioni come libri o film di genere thriller o fantascientifico.

 

In realtà non esiste una definizione univoca su che cosa sia esattamente il lavaggio del cervello malgrado questa espressione abbia avuto una larga diffusione tra il pubblico.

 Se da un lato è innegabile che esistano delle tecniche manipolative d’altro canto parlare solo di lavaggio del cervello risulta particolarmente fuorviante, riduttivo e questa espressione è priva di una solida base scientifica.

 

Il lavaggio del cervello una spiegazione rassicurante?

Il suicidio di massa avvenuto a “Jonestown” negli Stati Uniti nel 1978 rappresenta uno dei casi più aggancianti di manipolazione psicologica avvenuta all’interno di una setta.

Come è stato possibile “convincere” 900 persone a togliersi la vita semplicemente perché il capo della setta” Jim Jones “ha ordinato di farlo?

Il fascino che l’ipotesi del lavaggio del cervello suscita nelle persone è più che comprensibile:

si tratta infatti di una spiegazione semplice e per certi versi rassicurante. Nell’immaginario comune le persone “normali” non si sarebbero mai conformate nel seguire le follie deliranti di questo guru e quindi è impossibile che qualcosa di simile possa accadere a tutti noi.

 

La realtà è ben diversa e il conformismo può produrre effetti devastanti nei gruppi sociali e ne abbiamo diversi esempi come il bullismo, il mobbing, l’esclusione sociale, lo stigma e i pregiudizi verso le minoranze, fino ad arrivare ai crimini efferati o alle dittature.

Pensare che solo le persone con qualche fragilità possano finire all’interno di sette o subire il “lavaggio del cervello” è quindi solo una spiegazione rassicurante per placare l’ansia.

Nessuno può dirsi immune a certe dinamiche soprattutto quando queste avvengono all’interno di un gruppo sociale.

Infatti le persone che sono vittima di sette, di maghi o di guru possono avere anche un’istruzione universitaria, appartenere all’élite o rivestire posizioni apicali, ma questo non è sufficiente per garantire loro una protezione rispetto a certi contesti manipolativi.

 È ben noto come alcuni decisori (anche politici) abbiano subito il fascino dell’esoterismo, dei medium o di qualche movimento pseudo-religioso e come questo possa aver influenzato le loro azioni.

Se anche le persone che possiedono strumenti cognitivi e culturali finiscono per subire una profonda manipolazione è evidente che la spiegazione del “lavaggio del cervello” sia piuttosto superficiale e semplicistica.

 

L’esperimento di “Milgram”: come trasformare una persona qualunque in un aguzzino.

Per il senso comune è difficile accettare che una persona ritenuta normale possa commettere degli atti violenti o aggressivi verso un suo simile.

Purtroppo, le evidenze che sono emerse in questi anni, dimostrano proprio il contrario.

 Non sono solo le persone considerate deboli o fragili a subire l’influenza di un leader carismatico o di un guru, ma tutti possono finire in queste dinamiche disfunzionali.

Nel 1961 lo “Stanley Milgram “creò un esperimento destinato a diventare un classico della psicologia sociale.

 Per analizzare il comportamento umano definì le seguenti condizioni sperimentali coinvolgendo degli studenti universitari privi di uno specifico tratto psicopatologico.

 L’esperimento prevedeva che i partecipanti ponessero delle domande a una persona che si trovava in un’altra stanza legata a una poltrona e collegata a degli elettrodi.

Ogni volta che il soggetto sbagliava gli studenti avevano l’ordine di aumentare l’intensità della scossa elettrica.

Man mano che l’esperimento proseguiva il soggetto provava sempre più dolore e le sue urla e le richieste disperate di interrompere erano chiaramente udite dagli studenti.

Inoltre sulla manopola per regolare l’intensità della scossa elettrica era ben evidente il livello di pericolosità e quindi il rischio per la salute a cui sottoponevano l’altra persona.

In realtà il soggetto che doveva rispondere alle domande era un attore e l’effetto delle scosse elettriche era solo simulato, ma gli studenti non ne erano a conoscenza.

 

Il senso comune porterebbe a credere che di fronte alla sofferenza di un altro essere umano una persona normale sarebbe portata subito ad interrompere la somministrazione di scosse non solo dolorose, ma potenzialmente letali; soprattutto se legate a un compito banale come il dover rispondere correttamente a delle domande.

 L’”esperimento di Milgram” diede dei risultati completamente diversi.

I partecipanti all’esperimento si erano conformati alle decisioni del leader, avevano messo da parte velocemente i valori morali e la loro etica e annullato ogni forma di empatia.

 La scusa di tale comportamento fu una delle più classiche ovvero “stavo facendo solo il mio dovere ed eseguivo gli ordini”.

L’obbedienza all’autorità è una dinamica inquietante ma molto più semplice da realizzare di quanto possiamo immaginare.

Non è il caso quindi di tirare in ballo il concetto di lavaggio del cervello quanto piuttosto di comprendere come il comportamento umano sia soggetto a variabili alle volte molto più banali e per questa ragione molto più preoccupanti.

 

L'onda e lavaggio del cervello.

L'onda è un film del 2008 tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore “Todd Strasser” liberamente ispirato a un esperimento di psicologia sociale.

Un insegnate di liceo vuole dimostrare come nascono certe dinamiche autoritarie creando lui stesso un esperimento sociale con la sua classe.

 Fonda così un movimento basato sulla disciplina, l'ordine e lo spirito di appartenenza di cui lui stesso diventa il leader.

Sto solo seguendo gli ordini!

Le persone comuni svolgendo semplicemente il loro lavoro e senza mettere in discussione una leadership autoritaria possono compiere degli atti violenti e aggressivi verso un altro essere umano.

 Anche quando gli effetti distruttivi del loro comportamento divengono evidenti solo pochissime persone hanno la capacità di fermarsi e di andare contro l’autorità.

Questo tipo di dinamica può emergere in qualsiasi contesto anche nelle organizzazioni di stampo cooperativo e non solo negli ambiti in cui la catena di comando e gerarchica è ben definita.

 

I luoghi comuni da sfatare sulla manipolazione mentale:

 

Solo le persone fragili finiscono nelle sette!

Questa convinzione è palesemente errata ma svolge una funzione rassicurante per la maggior parte delle persone.

 Le evidenze dimostrano come ogni persona potenzialmente è a rischio di finire all’interno di una spirale manipolativa.

Il lavaggio del cervello.

È un concetto di senso comune che trova ben poche conferme a livello scientifico. Più che di lavaggio del cervello bisogna accettare la realtà che la mente umana possa subire delle manipolazioni profonde a causa del funzionamento dei processi cognitivi, emozionali e relazionali.

 La razionalità è per sua definizione limitata e la mente è soggetta a processi euristici e bias.

 In pratica il concetto del lavaggio del cervello è una visione autoprotettiva che tende a svolgere una funzione rassicurante.

Non sono influenzato dalla pubblicità!

La maggior parte delle persone crede che i comportamenti d’acquisto siano scevri da qualsiasi influenza legata alla comunicazione.

In realtà è evidente come la ripetizione ossessiva di un messaggio e l’uso di alcune strategie di comunicazione e di marketing siano in grado di far emergere dei bisogni latenti nelle persone.

Gli influencer (che altro non sono che l’evoluzione del concetto di testimonial) rappresentano un esempio di come sia possibile modificare le preferenze, le aspettative e di conseguenza anche i comportamenti d’acquisto dei consumatori.

Non attraverso una manipolazione mentale, come si credeva una volta, ma molto più banalmente stimolando processi cognitivi, emozionali, motivazionali e sociali già presenti nel consumatore.

Il concetto di un consumatore passivo e manipolabile è ben lontano dalla realtà dei fatti e distante dalle modalità di funzionamento mentale.

(Dott. Igor Graziato).

 

 

 

La Manipolazione, la Verità e

la Chiave della Consapevolezza.

 

Respiroenergia.it – (27 Novembre 2023) – Redazione – ci dice:

 

Manipolazione.

La manipolazione è un argomento che tocca ognuno di noi, direttamente o indirettamente, nel corso della nostra vita.

Viviamo in un’epoca in cui siamo bombardati da informazioni da ogni angolo, e in questo caos, la percezione della verità può diventare limitata.

Ogni individuo, ogni entità, ogni media può spingerci verso la propria verità. Ma che cos’è la verità? Esistono delle verità assolute? La risposta a questa domanda è complessa e sfaccettata.

Intrigato dalla stessa domanda,” Platone”, filosofo dell’antica Grecia, riteneva che al di là del nostro mondo tangibile esistesse un regno di forme o idee pure.

Questo pensiero mi ha portato a riflettere:

 quanto di ciò che consideriamo vero è semplicemente un’ombra di una verità più profonda?

 D’altra parte, “Nietzsche”, con la sua audace affermazione che la verità è intrinsecamente legata alla prospettiva individuale, mi ha fatto domandare: quante delle mie “verità” sono state plasmate dalla società, dalle mie esperienze o dai miei pregiudizi?

 

Mentre ci sono certamente delle verità universali che sono indiscutibili, ci sono anche molte “verità” che vengono presentate come tali, ma che sono in realtà influenzate da opinioni, pregiudizi e interessi personali.

In quest’epoca di sovraccarico informativo, la nostra mente ha una soglia di attenzione limitata.

Siamo spesso guidati verso ciò che dovremmo vedere, sentire o credere.

 

È qui che entra in gioco la consapevolezza.

Attraverso la mia personale esperienza con la meditazione e l’immersione nei suoni, ho scoperto l’importanza di una pulizia mentale.

Il silenzio, la riflessione e l’auto-analisi ci permettono di riconoscere e comprendere chi siamo veramente.

 Ho trovato una chiarezza che va oltre le “ombre” di cui parlava Platone o le molteplici interpretazioni suggerite da Nietzsche.

Questa consapevolezza ci protegge dalla manipolazione esterna, poiché comprendiamo i nostri veri valori e credenze.

 

Le nostre ferite interne, quelle che potremmo nemmeno riconoscere, sono spesso ciò che ci rende vulnerabili alla manipolazione.

Quando qualcuno riconosce e sfrutta queste ferite, diventiamo facilmente manipolabili.

Tuttavia, riconoscere che siamo tutti feriti in qualche modo, e che queste ferite non ci definiscono, ci permette di guardare oltre e di proteggerci.

 

La mia chiave di svolta è stata la consapevolezza.

Non solo attraverso la lettura di libri che vanno dalle neuroscienze ai discorsi dei guru, ma attraverso esperienze di vita reali.

La teoria e l’istruzione sono fondamentali, ma la vera presenza e comprensione vengono da esperienze vissute, da riflessioni profonde e da una continua ricerca interiore.

 

In conclusione, la consapevolezza è una potente arma contro la manipolazione.

Ci permette di vedere al di là delle apparenze, di riconoscere la verità anche quando è nascosta e di prendere decisioni informate e autentiche per la nostra vita

 La responsabilità di questa consapevolezza è interamente nostra e, abbracciandola, possiamo vivere una vita più autentica e libera.

 

La Scienza dietro la Focalizzazione.

Focalizzazione e Attenzione Selettiva.

Il cervello umano, pur essendo un organo potentemente evoluto, ha delle risorse limitate.

 Di fronte a un bombardamento di informazioni, deve usare l’attenzione selettiva per filtrare e concentrarsi su ciò che è rilevante.

 Questo meccanismo è evidenziato dall’“effetto cocktail party”, dove, in mezzo al rumore, sentiamo il nostro nome e subito ci focalizziamo su di esso.

 

Visione Limitata.

Nonostante il vasto campo visivo, solo una piccola area, chiamata “fovea”, permette una visione dettagliata.

Questa limitazione ci spinge a muovere costantemente gli occhi, cercando dettagli nel nostro ambiente.

Multitasking.

Il multitasking è un mito.

Anziché gestire compiti simultaneamente, il cervello alterna l’attenzione tra essi, spesso a discapito dell’efficienza.

Allenare la Mente.

La neuroplasticità ci mostra che, con la pratica, possiamo migliorare la nostra capacità di focalizzazione. Tecniche come la meditazione possono affinare questa abilità, rendendoci più presenti e attenti.

 

Incorporando la scienza nella nostra comprensione di noi stessi, possiamo abbracciare la consapevolezza con una base solida e informata, pronti a navigare nel mondo con occhi aperti e menti chiare.

 

Meditazione con i Suoni: Un’Esperienza Pratica.

La meditazione con i suoni è una potente tecnica che utilizza le vibrazioni per guidare la mente verso uno stato di profonda consapevolezza e rilassamento.

Ti propongo una semplice esercitazione:

1. Trova un luogo tranquillo dove puoi sederti o sdraiarti comodamente.

2. Metti delle cuffie e ascolta un brano di suoni naturali o campane tibetane, che puoi facilmente trovare online.

3. Chiudi gli occhi e concentra la tua attenzione sul tuo respiro e sui suoni che senti. Ogni volta che la tua mente inizia a vagare, delicatamente riportala al tuo respiro e ai suoni.

4. Dopo 10-15 minuti, termina la meditazione e prenditi un momento per riflettere su come ti senti.

 

 

 

 

 

La maggior parte dei russi non vede

più gli Stati Uniti come il loro

principale nemico: sondaggio.

 Zerohedge.com - Tyler Durden – (giu. 07, 2025) – ci dice:

 

Un nuovo sondaggio mostra che la maggior parte dei russi non considera più gli Stati Uniti il loro nemico globale numero uno, il che suggerisce che la posizione dell'amministrazione Trump sul conflitto in Ucraina è servita ad ammorbidire l'opinione pubblica in Russia.

 

"Gli Stati Uniti sono scesi dal primo al quarto posto in questa lista per la prima volta in 20 anni di misurazioni", ha detto il sondaggista indipendente “Levada Center” in un sondaggio appena pubblicato.

Tramite “Reuters”.

I primi tre paesi più ostili, secondo gli intervistati russi, sono stati nominati Germania (55%), Regno Unito (49%) e Ucraina (43%).

 

È interessante notare che ciò coincide con il ritorno di Trump alla Casa Bianca e con le ripetute promesse di allentare la tensione e porre fine alla guerra in Ucraina. Finora si è anche astenuto dalle richieste di imporre nuove sanzioni a Mosca per dare maggiori possibilità ai negoziati di pace.

 

Allo stesso tempo, sia il Regno Unito che la Germania hanno sollecitato una "coalizione di volenterosi" per aumentare la spesa per la difesa e presentare un fronte unito contro la Russia.

Berlino e Londra sono diventate sempre più aggressive.

Tra i precedenti sondaggi dell'opinione pubblica russa, le passate flessioni del favore degli Stati Uniti hanno seguito la guerra russo-georgiana del 2008 e l'annessione della Crimea nel 2014, e le conseguenti sanzioni e pressioni di Washington.

Il sondaggio del Levada Center mostra che i russi ritengono che i loro alleati più stretti siano la Bielorussia (80%), la Cina (64%), il Kazakistan (36%), l'India (32%) e la Corea del Nord (30%).

 

È interessante notare che il sostegno dell'Iran è diminuito in modo significativo, nonostante Teheran sia ora uno dei principali fornitori di droni per l'esercito russo. Solo l'11% dei russi intervistati ha indicato l'Iran come uno dei principali alleati, in calo rispetto al 22% del 2024.

Il “Centro Levada” ha osservato che questo particolare sondaggio è stato condotto di persona tra oltre 1.600 adulti russi dal 22 al 28 maggio.

 

Un'altra osservazione generale è che probabilmente c'è una crescente stanchezza per la guerra tra l'opinione pubblica russa.

Ben oltre tre anni dopo l'inizio intenso della guerra in Ucraina, ci sono stime cupe secondo cui centinaia di migliaia di giovani russi potrebbero essere stati uccisi. Certamente la stanchezza della guerra si è impadronita da tempo anche delle popolazioni occidentali.

 Sembra che i russi comuni stiano sempre più incolpando i principali paesi europei per le recenti escalation.

 

 

 

 

 

Che cos’è la suggestione.

 

 Apogeoonline.com - Prof. Mariano Diotto (prefazione) – (21- 2 – 2025) – ci dice:

 

La prefazione al libro “Il potere della suggestione”, che esamina l’impatto di questa forma di comunicazione sulla nostra libertà di azione e di giudizio.

Oggi siamo veramente liberi?

Probabilmente l’uomo non sarebbe così suggestionabile

se non fosse per la sua esigenza vitale

di uno schema di orientamento coesivo.

Più un’ideologia pretende di dare la risposta

a tutti gli interrogativi,

più è attraente;

forse è proprio per questo motivo

che i sistemi di pensiero irrazionali,

oppure decisamente folli,

affascinano con tanta facilità la mente dell’uomo.

(Erich Fromm, “Anatomia della distruttività umana”, 1973).

 

L’uomo da sempre ha voluto affermare il principio della libertà:

dalla libertà fisica proposta dal mondo dell’antichità come elemento di distinzione e di classificazione dell’essere umano a quella di pensiero e di espressione del mondo contemporaneo.

Ma la domanda che ancora oggi ognuno di noi si pone è:

sono veramente libero?

 Come posso esercitare la mia libertà?

 

Oggi il concetto di libertà di pensiero e libertà individuale è intimamente legato ai progressi degli studi e delle ricerche delle neuroscienze, che possono offrire una comprensione più profonda e completa di come il nostro cervello elabora idee, emozioni e decisioni.

 

Le neuroscienze da una parte affermano che ogni individuo possiede un cervello unico, modellato non solo dalla genetica ma anche dalle esperienze personali.

Questo significa che la libertà individuale è fondata su un’esperienza soggettiva e su una propria visione del mondo.

 Ma dall’altra parte ci spiegano che la mente possiede sin dalla nascita archetipi, ideologie, stereotipi, “bias” cognitivi e credenze profonde che sono radicate nel nostro sistema cognitivo ed emotivo, che entrano in azione inconsciamente, senza il nostro benestare razionale.

 

Quindi siamo liberi veramente o siamo condizionati?

È in questo enigma della mente che si inserisce Il potere della suggestione.

Amir Raz, PhD, è un neuroscienziato cognitivo:

ha fondato l’Institute for Interdisciplinary Brain and Behavioral Sciences (Brain Institute) della “Chapman University”, dove ha compiuto ricerche per dimostrare come la suggestione può modificare il cervello e plasmare il nostro comportamento.

Il libro racconta la sua evoluzione dall’essere un bambino che voleva fare il mago fino a diventare un esperto di fama mondiale sulla scienza della suggestione. Unendo queste due esperienze il professor “Raz” è riuscito a mappare la zona indistinta in cui magia e scienza si fondono spiegando quanto tutti noi siamo facilmente suggestionabili e manipolabili.

 

La suggestione è una forma di comunicazione, di relazione e di contatto per cui in un essere umano, senza che avverta l’imposizione o il comando di un soggetto esterno, in assenza di razionale e libera scelta oltre che di consapevolezza, viene indotta una convinzione, un pensiero o una condizione esistenziale senza che egli possa opporvisi né avverta la ragione di farlo.

 

Lo psicanalista “Umberto Galimberti” definisce la suggestione come “l’accettazione acritica di un’opinione, di un’idea, di un comportamento che nasce o dal soggetto stesso (autosuggestione) o dall’influenza di altri (etero suggestione).

 La suggestione ha un meccanismo ideativo-motorio simile all’imitazione tipica dei bambini nei confronti degli adulti e svolge un ruolo importante nelle relazioni interpersonali, per cui è oggetto di studio nell’ambito della psicologia sociale, nei trattamenti terapeutici come l’ipnosi che si fonda quasi esclusivamente sulla suggestione, nel trattamento psicoanalitico dove non è escluso l’elemento suggestivo, e nella terapia suggestiva che consiste nell’offrire al paziente immagini positive che modificano adeguatamente il suo stato”.

 

Ne deriva che, per esempio, la formulazione di una domanda può influenzare la nostra psicologia di fondo e, di conseguenza, la nostra risposta in quanto la suggestione può plasmare le nostre decisioni e influenzare i nostri comportamenti: infatti, tutti siamo più suscettibili ai suggerimenti che riaffermano le convinzioni che già abbiamo.

Ed è per questo che le narrazioni attuali dei mass media, dei social, ma anche quelle del nostro quotidiano familiare e personale, sono potenti nel determinare la nostra libertà in quanto i nostri pensieri e le nostre prospettive possono modellare il nostro benessere.

Nel 1959 lo scrittore e filosofo britannico “Aldous Huxley “già scriveva che “la suggestionabilità è una delle caratteristiche che variano più considerevolmente da individuo a individuo.

Certamente i fattori ambientali contribuiscono a rendere una persona più reattiva di un’altra alle suggestioni;

ma è altrettanto certo che nella suggestionabilità degli individui esistono differenze costituzionali.

 Piuttosto rara la resistenza estrema alla suggestione.

Ed è una fortuna:

infatti se tutti gli uomini fossero così ostici alla suggestione come alcuni sono, la vita sociale diventerebbe impossibile.

Le società funzionano con bastevole efficienza proprio perché, in varia misura, la maggioranza degli uomini non resistono alla suggestione.

Altrettanto rara è la suggestionabilità estrema.

 E anche questa è una fortuna.

Perché se la maggioranza di noi reagisse alle suggestioni esterne allo stesso modo degli uomini e delle donne che soffrono di estrema suggestionabilità, la scelta libera e razionale diventerebbe virtualmente impossibile per la maggioranza dell’elettorato, e le istituzioni democratiche non potrebbero sopravvivere; anzi forse nemmeno nascere”.

 

“Amir Raz”, PhD, infatti sostiene che “c’è una connessione diretta tra illusioni e libero arbitrio, perché alcuni trucchi ti danno un’idea di come esplorare scientificamente il libero arbitrio”.

 

Molte persone tendono a confondere la suggestionabilità con la debolezza mentale, la creduloneria, la facilità di persuasione o la mancanza di determinazione.

Spesso, pensano erroneamente che la suggestionabilità indichi la predisposizione a essere influenzati o manipolati.

In realtà, la suggestionabilità non rappresenta una semplice vulnerabilità all’inganno, ma descrive piuttosto la capacità di rispondere a una suggestione in modo efficace.

Infatti, il potere della suggestione non risiede solo nel compiere ciò che dicono gli altri.

In realtà, la suggestione può rivelarsi uno strumento prezioso per l’auto-scoperta e la crescita personale, fungendo da specchio per mettere in discussione le proprie convinzioni, i punti ciechi e le intuizioni.

Le informazioni condivise da chi ci sta attorno ci spingono a riflettere con maggiore attenzione e dettaglio su ciò che stiamo vivendo o scegliendo.

Per comprendere se la suggestione risuona con ciò che desideriamo, è fondamentale valutare come si integri con i nostri obiettivi e valori.

Pertanto, è necessario iniziare con una riflessione approfondita per chiarire tali obiettivi e valori, in cui la suggestione può diventare un passaggio cognitivo fondamentale per il nostro sviluppo personale.

 

Nel corso della nostra evoluzione, diverse culture e religioni hanno saputo sfruttare in modo positivo la suggestionabilità umana.

 Inoltre, gli effetti di pratiche come la meditazione, la preghiera, il digiuno, la privazione del sonno e l’uso di sostanze psichedeliche evidenziano che riti e rituali possono favorire la guarigione della mente.

Queste pratiche, come per esempio la moderna terapia cognitivo-comportamentale, possono condurre a risultati terapeutici più efficaci, potenziando le intenzioni metacognitive e le interazioni di gruppo, con la suggestionabilità che funge da fattore intermediatorio.

 

Sebbene studiosi e professionisti del settore siano da tempo attratti da questi argomenti, la relativamente breve storia della ricerca scientifica e medica contemporanea ha reso difficile l’analisi degli effetti della suggestione sugli esseri umani.

 È interessante notare come questa linea di ricerca che mette in luce il valore della suggestione sia nata da una riflessione sul pericolo comunicativo dell’inganno e della manipolazione.

La suggestione può avere un effetto intenso sull’elaborazione cognitiva e sulla risposta fisiologica delle persone.

Non è nemmeno necessario essere altamente suggestionabili per beneficiare dell’impatto della suggestione:

tutti possiamo essere influenzati da un qualche tipo di suggestione!

 

La suggestione quindi può cambiare la vita, e il “professor Raz “lo sostiene attraverso la scienza piuttosto che attraverso idee pseudoscientifiche che pretendono di spiegare come “un’energia positiva, che attrae cose positive nella vita, possa governare i tuoi pensieri e le tue azioni e darti il potere di ottenere qualsiasi cosa tu possa immaginare”.

 

Pochi decenni fa, gli studiosi ritenevano che la suggestionabilità fosse legata a una predisposizione verso un’immaginazione o una sensibilità eccessive.

Oggi, invece, i ricercatori interpretano la suggestionabilità non solo attraverso i suoi rapporti con specifici tratti della personalità, come per esempio l’assorbimento e la dissociazione, ma anche considerando le caratteristiche neurobiologiche, inclusi il cablaggio neurale, la connettività cerebrale e le funzioni cognitive avanzate del nostro sistema nervoso.

Si mischiano così studi provenienti dal mondo della psicologia con quelli di stampo sociale ed etno-psichiatrico, mettendo in evidenza come le suggestioni influenzano i nostri comportamenti, grazie alle dinamiche neurali coinvolte, per poter esercitare alla fine un dominio del cervello suggestionabile.

 

Gli scienziati sono ancora in una fase preliminare di studi nell’affrontare la questione fondamentale che dà risposta alla domanda:

“In che cosa differisce la suggestione dalla suggestionabilità?”.

Una possibile strada da percorrere ritiene che la suggestionabilità sia connessa all’elaborazione delle aspettative:

infatti, il nostro cervello è costantemente impegnato a prevedere eventi futuri.

Per comprendere il presente, tende a formulare previsioni su ciò che accadrà;

sia la suggestionabilità sia le aspettative svolgono così un ruolo fondamentale in questo processo.

Sicuramente le ricerche concordano sul dato che la suggestione ipnotica o immaginativa rappresenti il processo attraverso il quale un pensiero o un’idea può influenzare uno stato fisico o mentale, mentre la suggestionabilità descriva le differenze individuali nella reazione alla suggestione.

 

La suggestione e la cultura lavorano a stretto contatto per creare una dinamica evolutiva che funziona rapidamente.

 Infatti nessun essere umano, indipendentemente da quanto sia istruito e abbia studi elevati, è completamente immune alla suggestionabilità.

 

Noi esseri umani, purtroppo, non ricordiamo bene gli avvenimenti in cui siamo coinvolti e quando cerchiamo di ricordare, spesso rievochiamo quanto accaduto aggiungendo o sottraendo informazioni in modo errato perché la memoria umana è plasmabile.

 A volte non possiamo semplicemente fidarci dei ricordi. È ormai risaputo che la suggestione può seminare un falso ricordo.

 Questo fenomeno ben documentato va oltre la magia o la pseudo psicologia.

Si può alterare la memoria usando l’effetto disinformazione.

È possibile impiantare nella mente di una persona un ricordo di qualcosa che non è mai accaduto?

Certamente!

Gli esperimenti dimostrano che è possibile collocare una memoria non autentica nelle persone raccontando loro una storia plausibile attraverso una procedura molto semplice.

 

Un secolo di ricerche sull’interazione tra suggestione e memoria umana ci ha spiegato la cosa più importante: la memoria è malleabile.

 La nostra mente compie sempre un’operazione di ricostruzione del vissuto, occasionalmente persino suscettibile a una fabbricazione completamente inedita, e i falsi ricordi sono onnipresenti:

a volte si verificano spontaneamente e a volte come risultato di una suggestione esterna.

Ecco perché dobbiamo conoscere bene i meccanismi della suggestione e stare attenti:

solo perché affermi qualcosa e lo dici con sicurezza, convinzione, eloquenza, inserendo molti dettagli, includendo un’emozione altamente espressiva e delle testimonianze piene di veridicità, non è ancora sicuro che quel fatto sia successo davvero.

 

Il potere della suggestione.

“Amir Raz” unisce la sua esperienza di mago e ipnotizzatore con decenni di ricerche neuropsicologiche per mappare la zona di confine in cui magia e scienza si fondono; mostra quanto siamo tutti facilmente manipolabili e, infine, offre consigli pratici su come sfruttare la scienza della suggestione per promuovere il cambiamento.

 

Infatti i meccanismi responsabili della produzione di distorsioni della memoria sono indispensabili e diffusi in tutti gli esseri umani, indipendentemente da quanto sia buona (o cattiva) la memoria.

La maggior parte delle persone custodisce gelosamente i propri ricordi e li considera rappresentazioni della propria identità; i ricordi, in fondo, definiscono chi siamo e da dove proveniamo.

Ma raramente sappiamo definire e delimitare la sorprendente quantità di finzioni, simulazioni e inganni incorporati negli scaffali del nostro cervello e che gestiscono la memoria.

Semplicemente non sempre ci è possibile distinguere in modo affidabile i ricordi veri da quelli costruiti.

 Forse si potrebbe pensare di prendere l’emozione come misuratore della distinzione dei ricordi veri da quelli falsi.

 Ma gli individui possono essere altrettanto emotivi per i loro ricordi falsi quanto per i loro ricordi veri.

 

Il potere della suggestione è così un viaggio divertente che l’autore ci porta a compiere da quando era un giovane mago principiante fino a diventare uno scienziato di fama mondiale, spiegandoci in modo approfondito il mondo della suggestione, con soste lungo il percorso per raccogliere intuizioni dall’ipnosi, dall’evoluzione degli studi sul cervello, dalla psicologia e dalle neuroscienze, dai mondi della ricerca e della salute mentale, con l’unico obiettivo di farci scoprire quanto di “magico” avvenga nella nostra mente.

Spesso crediamo erroneamente che le nostre evoluzioni e i nostri cambiamenti siano solo un modo per adattarci al meglio all’ambiente circostante, ma in realtà allo stesso tempo, siamo noi che modifichiamo il nostro ambiente ricercando la verità in noi stessi.

Per questo motivo, leggendo questo libro, comprendendo e poi applicando i consigli pratici su come sfruttare la scienza della suggestione, possiamo innescare e promuovere un cambiamento in noi, proteggendoci dalla disinformazione manipolativa e guidando responsabilmente ed eticamente il nostro universo mentale alla verità su noi stessi.

Il bisogno di suggestione è una grande forza.

Ma lo è anche la verità, se si lotta per essa.

(Karl Popper, “Tutta la vita è risolvere problemi”, 1994).

(Prof. Mariano Diotto - Ricercatore, docente universitario e neuro marketer).

(Questo articolo è la “Prefazione” all’edizione italiana del libro “Il potere della suggestione”).

 

 

Trump: «L’Ucraina ha dato a Putin

 una ragione per bombardarli.

Spero che la guerra non diventi nucleare»

 Open.online.it - (07 Giugno 2025) - Alessandro D’Amato – ci dice:

Il presidente all'attacco dell'Ucraina.

 E intanto limita i voli sulle strutture pubbliche

«Hanno dato a Putin una ragione per entrare e bombardarli a tappeto.

 Quella è la cosa che non mi è piaciuta.

Quando l’ho visto ho pensato: ora ci sarà la rappresaglia.

Rischio guerra nucleare? Spero di no».

Donald Trump dice la sua sulla guerra tra Ucraina e Russia.

E torna ad accusare il governo di Volodymyr Zelensky.

 Il presidente degli Stati Uniti ha anche firmato un ordine esecutivo teso a ridurre la «crescente minaccia» dei droni.

La misura mira a rivedere l’uso di questi velivoli senza pilota.

E a creare una task force per il ripristino della sovranità dello spazio aereo americano.

 

Il presidente Usa inoltre ordinato alla “Federal Aviation Administration” di istituire una procedura per limitare i voli dei droni su «infrastrutture critiche e altre strutture pubbliche».

Secondo il presidente, i droni sono utilizzati da «criminali, terroristi e attori stranieri ostili» come armi per mettere a repentaglio la sicurezza dello stato.

Ma il leader repubblicano riconosce anche che «i droni migliorano la produttività del paese, creano posti di lavoro altamente qualificati e stanno trasformando il futuro dell’aviazione e di settori che vanno dalla logistica e dall’ispezione delle infrastrutture all’agricoltura di precisione, dalla risposta alle emergenze alla sicurezza pubblica».

Poi ha parlato anche di “Elon Musk”:

«Non penso a lui ma gli auguro il meglio».

 E sui suoi contratti pubblici: «Riesamineremo tutto».

 

 

 

Elon Musk sogna in grande

dopo la rottura con Trump:

«Fondo un nuovo partito». L’alternativa?

«Impeachment e JD Vance presidente».

 Open.online.it – (05 Giugno 2025) - Diego Messini – ci dice:

 

 

Il miliardario volta pagina nel giro di una manciata di ore dopo la lite pubblica col presidente Usa.

Ed è subito plebiscito.

“Elon Musk” ha già voltato la pagina dopo l’addio alla Casa Bianca.

E dopo la rottura aperta con Donald Trump passa al contrattacco.

Tutto politico «È ora di creare un nuovo partito politico in America che rappresenti davvero l’80% della popolazione nel mezzo?»,

chiede il miliardario su “X”.

Dove quel «nel mezzo» sembra stare a indicare chi rifugge dalla sinistra, da lui avversata, ma pure dagli eccessi, dalle «falsità» e dalle follie in politica economica che ora riconosce e denuncia in Trump.

 Il guanto di sfida prende la forma di un sondaggio fra i suoi follower, chiamati a dare risposta al quesito “rivoluzionario”.

C’è tempo 24 ore.

Poche decine di minuti dopo l’apertura del “televoto”, è già un plebiscito:

circa mezzo milione di persone ha già votato, con oltre l’83% che ha detto sì alla proposta di un nuovo partito alternativo a Repubblicani e Democratici.

 Il post di Musk, a scanso di equivoci, viene fissato in alto: nuova missione politica n° 1, insomma.

L’impeachment per Trump e la sostituzione con JD Vance.

Musk è letteralmente un fiume in piena, nel giorno della rottura pubblica con Trump:

nell’arco di poche ore snocciola su “X” una serie infinita di bordate contro l’ex idolo politico.

Twittando e ritwittando, alludendo e ironizzando.

 L’acme (forse) dell’azzardo politico lo tocca però quando condivide le valutazioni di un utente muskiano che preconizza addirittura lo scenario di una caduta di Trump dalla Casa Bianca sulla scia dello scontro col patron di Tesla.

 «Trump dovrebbe essere sottoposto a impeachment e sostituito da JD Vance», scrive l’utente.

 Musk condivide, in tutti i sensi: «Yes».

A la “guerre come à la guerre”.

 

 

 

Caitlin Johnstone:

Gaza, lo Zen e l'arte di scrivere

i titoli del “New York Times”.

Lantidiplomatico.it – “Caitlin Johnstone” – (5-6-2025) – ci dice:

 

Il” New York Times” ha appena pubblicato uno dei titoli più assurdi che abbia mai visto, il che la dice lunga.

“I micidiali aiuti umanitari a Gaza”, recita il titolo.

Se foste tra la maggioranza delle persone che si limitano a dare un'occhiata al titolo senza leggere il resto dell'articolo, non avreste idea che Israele ha trascorso gli ultimi giorni massacrando civili affamati nei centri di distribuzione degli aiuti umanitari e mentendo al riguardo.

 Non avreste nemmeno idea che è Israele ad averli ridotti alla fame.

Il titolo è scritto in modo così passivo e vago che sembra che siano le consegne di aiuti stessi ad essere letali.

 Come se i sacchi di farina prendessero dei fucili d'assalto e sparassero sui palestinesi disperati in fila per il cibo o qualcosa del genere.

 

Il sottotitolo non è migliore: “Le truppe israeliane hanno ripetutamente sparato vicino ai siti di distribuzione di cibo”.

Ah sì? Hanno sparato “vicino” ai siti di distribuzione del cibo, vero?

 Il fatto che abbiano sparato con le loro armi nelle immediate vicinanze dei siti di aiuti potrebbe forse avere qualcosa a che fare con la suddetta pericolosità delle consegne di aiuti?

 Noi lettori dovremmo collegare queste due informazioni da soli, o dovremmo considerarle come due dati separati che potrebbero avere o meno qualcosa a che fare l'uno con l'altro?

L'articolo stesso chiarisce che Israele ha ammesso che le truppe dell'IDF hanno sparato “vicino” alle persone in attesa degli aiuti dopo che queste non hanno risposto ai “colpi di avvertimento”, quindi non occorre essere Sherlock Holmes per capire cosa è successo.

Ma nelle testate mainstream i titoli sono scritti dai redattori, non dai giornalisti che scrivono gli articoli, quindi possono inquadrare la notizia nel modo che più si adatta alla loro agenda propagandistica per la maggioranza che non legge mai oltre il titolo.

 

Il mese scorso abbiamo assistito a un altro titolo incredibilmente manipolatorio del “New York Times”,

“Soldati israeliani sparano in aria per disperdere diplomatici occidentali in Cisgiordania”, riguardante i “colpi di avvertimento” sparati dall'IDF contro una delegazione di funzionari stranieri che tentavano di visitare “Jenin”.

 

Questa notizia ha suscitato indignazione e condanna in tutto il mondo occidentale, ma guardate fino a che punto si è spinto il redattore del “New York Times” per presentare le azioni dell'IDF nel modo più innocente possibile.

 Stavano sparando in aria.

 Stavano sparando “per disperdere i diplomatici occidentali”, come se fosse una cosa normale.

Come se i diplomatici fossero corvi su un campo di grano o qualcosa del genere.

Oh sì, sapete, quando ci sono troppi diplomatici che si radunano, bisogna sparare qualche colpo per disperderli.

 Roba normale.

 

È incredibile quanto questi pazzi diventino creativi quando devono giustificare pubblicamente Israele e i suoi alleati occidentali dei loro crimini.

L'IDF commette un crimine di guerra e improvvisamente questi redattori dei mass media, che non hanno mai creato nulla di artistico in vita loro, si trasformano in poeti, piegando e contorcendo la lingua inglese per inventare frasi che sembrano più koan zen che resoconti di un evento importante.

(Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: caitlinjohnst.one/).

 

 

 

Trump, Musk e lo scontro

 interno al capitalismo USA.

 

Lantidiplomatico.it - Alessandro Volpi – (5-6-2025) – ci dice:

 

Lo scontro tra Donald Trump e Elon Musk, tra il presidente degli Stati Uniti e l'uomo più ricco del mondo, che è stato il suo principale finanziatore in campagna elettorale, è iniziato in sordina ed è esploso in modo roboante, con le peggiori accuse reciproche.

Musk è arrivato a chiamare in causa il coinvolgimento di Trump nello scabrosissimo "affaire Epstein" e a ipotizzare di dar vita ad un nuovo partito per battere l'attuale presidente.

 Le ragioni di questa deflagrazione sono molteplici e non facilmente sintetizzabili.

Provo ad elencarne alcune.

 La prima, a mio parere decisamente rilevante, è costituita dal segnale che Trump ha voluto dare alle Big Three, a BlackRock, Vanguard e State Street, e in generale a quel tipo di finanza, di certo non in buoni rapporti con Musk.

 I tre fondi sono stati, e sono tuttora, grandi azionisti di Tesla ma hanno sempre manifestato una certa ostilità verso Musk che volevano sostituire alla guida di Tesla, nonostante il suo 13%, già nel 2018 e a cui hanno rimproverato la pessima operazione di acquisto di Twitter, causa di importanti perdite di valore per la società.

Gli stessi grandi fondi, poi, non hanno certo apprezzato il deciso posizionamento di Musk a sostegno di Trump e, paradossalmente, dopo l'elezione dello stesso Trump, quando i titoli Tesla si sono impennati, arrivando ad una capitalizzazione di mille miliardi di dollari, hanno cominciato a ridurre la loro presenza azionaria nella società.

Trump, infatti, era agli occhi di BlackRock e c. un grande pericolo di instabilità dei listini quotati come dimostravano i dati dei primi mesi dopo l'insediamento e contro cui bisognava combattere, colpendo ovviamente anche il suo principale sostenitore.

 Peraltro, l'instabilità generata da Trump e l'ipervalutazione raggiunta da Tesla sulla scia del legame con il presidente degli Stati Uniti ha spaventato alcuni grandi clienti di BlackRock, come il fondo degli insegnanti americani, che hanno chiesto a Larry Fink una maggiore cautela nell'esposizione su tale titolo.

 Quindi, nel cuore dello scontro tra l'alta finanza dei grandi gestori e delle grandi banche, a partire da “Jp Morgan di “Jamie Dimon”, e “Trump”, culminata con la partita cruciale dell'acquisto dei titoli del sempre più pericolante debito federale americano, di cui gli stessi fondi hanno minacciato la possibile vendita, con effetti devastanti sul costo degli interessi, la figura di Musk è diventata sempre più ingombrante.

 

Per essere ancora più chiari, nel conflitto interno al capitalismo finanziario Usa, le Big Three hanno capito di poter chiedere la testa di Musk ad un Trump sotto attacco anche dalla “Federal Reserve”.

 In questo senso ha pesato però un secondo elemento, parzialmente legato al primo.

 La cacciata di Musk, dopo le sue dimissioni dal Doge, significa il suo drastico ridimensionamento nel fondamentale campo dell'intelligenza artificiale, dove premono per avere un ruolo cruciale altre figure vicine a Trump e con cui Musk ha visto deteriorare i propri rapporti.

 Si tratta, tra gli altri, di “Peter Thiel” e “Larry Ellision” che ambiscono ad un peso decisivo nella prospettiva di ampi finanziamenti federali verso questo settore.

 L'ostilità di Thiel a Musk si inserisce poi - ed è questo un terzo fattore - nell'avversione da sempre maturata verso il sudafricano dalla destra americana, decisamente filo trumpiana;

 una destra radicale, guidata da Steve Bannon che ha sempre condannato la natura "tecno feudale" del capitalismo di Musk e le sue origini "immigrate".

A questa fattispecie di dure riserve verso il miliardario sono riconducibili anche gli attacchi dei ministri chiave dell'amministrazione Trump, a cominciare da “Bessent” e” Lutnick”, e dai vertici dei comunque influentissimi dipartimenti federali, colpiti dall'opera brutale del Doge, a partire da quello della Difesa, sicuramente ostile all'idea muskiana di accelerare il processo, già in atto da tempo, della sua privatizzazione.

Bisogna considerare, infine, i tratti del potere personale di Trump che non ha gradito le eccessive esposizioni di Musk, le sue critiche, spesso non troppo mediate, nei confronti di vari atti presidenziali ed in particolare quelle al Big, “Beutiful Bill”;

 Trump non vuole, in alcun modo, essere considerato il capo di una squadra e ha costruito la sua fortuna elettorale sulla capacità di presentarsi come l'unico, vero interprete dello "spirito americano", senza mediazioni di sorta.

 In tal senso, l'adesione alla “visione Maga” ha, per Trump, tratti fideistici, i soli in grado di rendere meno evidente il distacco con la realtà in caso di fallimento.

Musk era troppo invasivo persino nella figura del gran sacerdote del culto trumpiano e, inoltre, la solidità del suo rapporto con Trump avrebbe compromesso l'altro grande elemento della strategia trumpiana costituito dalla assoluta imprevedibilità:

 solo attraverso la possibilità di cambiare tutto in qualsiasi momento l'ex Tycoon pensa di potere essere interpretato come il facitore delle sorti collettive, politiche e in primis finanziarie.

 

Un'ultima considerazione coinvolge il futuro di Musk, assai nebuloso data proprio la marcata dipendenza dalla presidenza Trump.

Con la vittoria trumpiana, “Tesla è esplosa” ed ora sta precipitando, mantenendo però ancora indicatori sopra valutatissimi come un rapporto prezzo/utili del 161, che dovranno scontare la fine dei sussidi annunciata nel già ricordato Big, “Beautiful Art”, non a caso oggetto delle critiche di Musk, e l'aggressione delle agenzie di rating.

 L'uomo più ricco del mondo rischia seriamente il tracollo rapido ed anche questa è una testimonianza evidente della crisi abissale del capitalismo.

(Post Facebook del 6 giugno 2025).

 

 

 

Caitlin Johnstone:

Epstein, Israele, ISIS, Palantir.

 

Lantidiplomatico.it - Caitlin Johnstone – (07 Giugno 2025) -

 

Nel mezzo dell'inevitabile scontro di ego tra Elon Musk e Donald Trump, Musk ha twittato che il presidente "è nei file di Epstein", sostenendo che "questo è il vero motivo per cui non sono stati resi pubblici".

 

Come abbiamo discusso in precedenza, è noto che Trump sia presente nei registri di volo di Epstein e che abbia ostacolato la pubblicazione dei suoi file.

 È anche noto che “Jeffrey Epstein” ha collaborato con l'”intelligence israeliana” e ha condotto un'operazione di ricatto sessuale, e che “Trump” si è piegato in quattro per dare a Israele tutto ciò che desiderava, mentre reprimeva la libertà di parola americana criticando le azioni di Israele a Gaza.

 

"Conosco Jeff [Epstein] da quindici anni. Un ragazzo fantastico", disse Trump nel 2002.

"È molto divertente stare con lui.

Si dice persino che gli piacciano le belle donne tanto quanto a me, e molte di loro sono giovani".

Non c'è motivo di prendere sul serio ciò che Elon Musk dice durante un caso da manuale di crollo narcisistico, ma per la cronaca, se c'è qualcuno a Washington che è probabile che sia stato ricattato da Epstein, quello è “Donald John Trump”.

Israele ha ammesso di aver armato bande legate all'ISIS come forze per procura a Gaza, smentendo così la narrativa confusa secondo cui l'Occidente starebbe sostenendo Israele per contribuire a sconfiggere l'estremismo islamico.

Israele starebbe sostenendo queste forze per seminare caos e conflitti con l'obiettivo di promuovere i suoi obiettivi di pulizia etnica nel territorio palestinese.

Ultimamente, ogni volta che parlo del programma di pulizia etnica di Israele, i sostenitori di Israele mi dicono:

"Non stanno facendo pulizia etnica!

Stanno solo costringendo i palestinesi a lasciare Gaza perché non li vogliono!".

 Il che è l'ennesimo promemoria di quanto siano stupidi i difensori di Israele, perché l'espulsione forzata di massa di un gruppo etnico indesiderato è esattamente la definizione di pulizia etnica.

Ogni giorno faccio questa conversazione:

Io: Ecco la prova che Israele sta facendo qualcosa di malvagio.

 

Sostenitore di Israele:

 Tutto ciò che Hamas deve fare è arrendersi e rilasciare gli ostaggi e tutto questo finirà immediatamente.

 

Io: No, è falso.

 Israele sta apertamente affermando che il massacro continuerà finché tutti i palestinesi di Gaza non saranno stati etnicamente ripuliti, indipendentemente dal fatto che Hamas si arrenda o che gli ostaggi vengano rilasciati.

 Ecco una serie di prove che dimostrano che è così.

Sostenitore di Israele:

Sì, beh, è quello che succede quando inizi una guerra che non puoi vincere.

 La prossima volta non fare terrorismo.

Io: Stavi solo sostenendo che Hamas può porre fine a tutto questo in qualsiasi momento prendendo decisioni diverse.

Ora che sai che Hamas non ha il potere di fermare le atrocità della pulizia etnica di Israele, sei passato a dire che tutti i palestinesi meritano l'omicidio di massa e la pulizia etnica.

Sembra che sosterrai Israele a prescindere da ciò che fa, a prescindere dai fatti o dalla moralità.

 

Sostenitore israeliano:

ANTISEMITA, ANTISEMITA, ANTISEMITA, ANTISEMITA.

Continuo a ripromettermi di parlare di come l'amministrazione Trump stia, a quanto si dice, concedendo alla detestabile società “Palantir” dell'oligarca “Peter Thiel” un ruolo centrale in una massiccia espansione autoritaria dei poteri di sorveglianza del governo, che vedrebbe i dati americani compilati e tracciati da più agenzie governative.

Per chi non lo sapesse, “Palantir” è un'”azienda tecnologica di sorveglianza “e “data mining” sostenuta dalla “CIA”, con legami di lunga data sia con il cartello di intelligence statunitense che con Israele, e ha già svolto un ruolo cruciale sia nella tentacolare rete di sorveglianza dell'impero statunitense sia nelle atrocità israeliane contro i palestinesi.

La classe politica e mediatica sta presentando questa situazione come una politica di Trump, ma è ovviamente una politica dell'impero americano.

Questi ampi poteri di sorveglianza sono destinati a rimanere in vigore anche dopo la fine di Trump, indipendentemente da chi sia al potere.

Ci viene chiesto di credere che il fatto che gli individui si radicalizzino violentemente a causa del genocidio in corso a Gaza sia motivo di maggiore preoccupazione rispetto al genocidio in corso a Gaza.

No, non accadrà.

Forse il modo migliore per impedire alla gente di commettere atti di violenza in risposta al genocidio a Gaza sarebbe quello di smettere di facilitare attivamente il genocidio a Gaza.

 

Sostenitori della Palestina:

ecco un video appena uscito che mostra Israele massacrare nuovamente i civili palestinesi.

Sostenitori di Israele:

 Ok, quindi, duemila anni fa…

Il mondo che si sveglia di fronte alla depravazione di Israele mi ricorda il momento in cui ho visto per la prima volta quanto fosse cattivo e violento il mio ex.

 Quel primo sguardo, quando finalmente mi sono lasciato andare al sadismo e al rancore che provava per me, è stato l'inizio della fine.

Forse il mondo sta iniziando il suo momento di chiarezza.

(Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: caitlinjohnst.one/).

 

 

 

 

 

Democrazie in pericolo:

tra attacchi, censure e regressioni.

Collettiva.it – Marta Nicoletti – (24 -3 -2025) – ci dice:

 

Il rischio.

Il report “Civil Liberties Union for Europe “e la cronaca delle ultime settimane mettono in allarme.

 Una denuncia che la Rete internazionale dei sindacati antifascisti già lanciava nel suo Manifesto

L’Italia sta smantellando lo stato di diritto.

Pochi giorni fa il rapporto della” Civil Liberties Union for Europe (Liberties) ha messo in evidenza come il nostro paese sia tra i cinque paesi europei – insieme a Bulgaria, Croazia, Romania e Slovacchia – dove si registra un preoccupante arretramento democratico.

 

Democrazie europee in pericolo.

Secondo il rapporto, la democrazia è in pericolo a causa delle ultime scelte del governo:

 le interferenze politiche nella magistratura, l’indebolimento dell’applicazione delle leggi anticorruzione, l’attacco ai media e la censura nei confronti dell’informazione pubblica.

E al di là di quanto contenuto nel rapporto, l’ultimo attacco frontale al “Manifesto di Ventotene “da parte della presidente del Consiglio” Giorgia Meloni” ha messo in luce l’antieuropeismo dei partiti di maggioranza e la volontà di rinnegare la storia nazionale e internazionale.

 

Meloni e Ventotene: l’oltraggio di smentire la storia.

La recessione democratica dell'Europa – spiegano nella sesta edizione del Rapporto sullo Stato di diritto – si è aggravata nel 2024.

 Le tendenze autoritarie si sono rese visibili nelle violazioni di giustizia, corruzione, libertà dei media, controlli, equilibri, spazio civico e diritti umani.

Ma si sa, tutto il mondo è Paese, e almeno in questo l’Unione Europa non è sola. Anche oltre oceano la situazione non è delle migliori.

America e Argentina, quali democrazie?

Per quanto riguarda le politiche di “Donald Trump” e “Javier Milei” ad esempio, sono preoccupanti le tendenze in merito ai diritti civili e all’istruzione.

Negli Stati Uniti, la nuova amministrazione Trump, tra le tante azioni che ha deciso di introdurre c’è quella contro le scuole e le università:

il tycoon sta tentando di eliminare il dipartimento per l’Istruzione, che tra le altre cose gestisce i finanziamenti per borse di studio, prestiti universitari per chi ha redditi bassi, programmi per persone con disabilità, fondi per le scuole pubbliche.

In Argentina, solo per citare una delle ultime notizie che ha destato preoccupazione, il governo di “Javier Milei “ha inserito in Gazzetta Ufficiale un documento dove le persone con disabilità cognitive vengono definite “ritardati”, “idioti”, “imbecilli” e “mentalmente deboli”.

 

La repressione delle libertà.

Sempre in tema di diritti, tornando in Europa, in Ungheria, il Parlamento – con 136 voti favorevoli e soli 27 contrari – ha approvato la legge, presentata dal governo di Viktor Orbán, che rende illegali i Pride sulla base legge approvata nel 2021 contro la "promozione ed esibizione" dell'omosessualità ai minori.

In Turchia invece 300 mila persone sono scese in piazza per protestare contro

l’arresto di “Ekrem Imamoglu”, sindaco di Istanbul e avversario del presidente Erdogan.

Arrestato con l’accusa di corruzione e terrorismo insieme a quasi cento suoi collaboratori e membri del partito, “Imamolglu” ha chiesto alla magistratura di “non restare in silenzio” di fronte a quella che ha definito “una tirannia”.

 

La rete dei sindacati antifascisti.

Questi sono solo alcuni degli ultimi eventi di cui si hanno notizie ma la democrazia sembra essere in pericolo da diversi anni. In tutto il mondo, infatti, le forze di estrema destra, nazionaliste e sovraniste promuovono idee di discriminazione, intolleranza, repressione e limitazione delle libertà.

Una denuncia che la “Rete Internazionale dei Sindacati Antifascisti”, promossa dalla Cgil e nata dopo l’assalto squadrista del 9 ottobre 2021 alla sede del sindacato, già segnala da tempo.

 

Nel suo Manifesto, presentato nel 2022 la rete denunciava “l’allarmante incremento anno dopo anno di movimenti neofascisti e di estrema destra” e “richiami alle peggiori esperienze del passato o attraverso sigle e movimenti nuovi che da quel passato traggono però ispirazione”.

Un fenomeno, è scritto sul manifesto, “che si articola in modi diversi paese per paese, secondo le esperienze storiche e le condizioni sociali locali, ma ha una chiara matrice identica nella negazione delle libertà e dei diritti universali e mantiene un profondo legame transnazionale: non solo nelle relazioni e nei richiami, ma nelle finalità, nelle strategie e nelle modalità di proselitismo”.

Movimenti e governi che “insidiano le democrazie attraverso l’esaltazione di un sistema totalmente disintermediato, costruito nel rapporto diretto leader forte-popolo”.

E proprio per contrastare questa deriva che i sindacati di diversi paesi si sono uniti nella Rete con l’obiettivo di creare “una dimensione collettiva ed internazionale, dunque, universale, unica in grado di costruire per tutte e tutti le risposte necessarie al superamento delle ingiustizie e disuguaglianze”.

 

 

 

 

L’impero dei fallimenti.

Maurizio Cattelan alla

GAMeC, Bergamo.

 

Atpdiary.com – (8 Giugno 2025) - Sara Benaglia – ci dice:

... noi siamo qui a raccoglierne le rovine, con un sorriso a metà, come bambini sulle spalle di statue equestri, che fanno bang bang con le dita e non sanno bene chi stanno mirando.

C’è un bambino sulle spalle di Garibaldi.

Fa bang bang con le dita, come si fa da piccoli quando si gioca alla guerra.

 Sotto di lui, scolpito nella pietra, c’è scritto: DUCE dei Mille.

 L’opera si chiama “One”, ma parla di molti:

di quelli che sono venuti dopo, di quelli che hanno ereditato senza studiare, di chi confonde la fiction con la storia e la retorica con la realtà.

Garibaldi – l’eroe dei due mondi, il santo laico della patria unita – non è mai stato del tutto limpido.

 Qualcuno lo ha persino accostato alla malavita, al sottobosco di potere dove si mescolano ideali e coltelli.

Ma si sa, in Italia l’epica ha sempre un’ombra storta.

E allora quel bambino armato di niente, in equilibrio sul monumento, non è solo un simbolo: è un piccolo dubbio che ride.

One non è solo una riflessione generazionale: è una piccola beffa scolpita nella pietra, una mossa gentile per smontare il pantheon nazionale con la leggerezza di un gioco infantile.

 Un gesto che sta in equilibrio tra tenerezza e sfida, tra l’innocenza del bambino e la disillusione di chi lo guarda dal basso.

Forse è proprio questa l’immagine che più somiglia a” Seasons”, la mostra diffusa che” Maurizio Cattelan” ha portato a Bergamo.

Un ciclo di opere che scorre come il tempo, o meglio come le sue ricadute:

 ogni stagione dell’arte di Cattelan è una variazione sul lutto: pubblico, privato, storico, personale.

Ma non c’è mai tragedia piena, semmai una malinconia leggera, che somiglia a quel silenzio che viene dopo una battuta troppo vera per far davvero ridere.

A partire da “November”, esposta al “Palazzo della Ragione”, un tempo sede della giustizia cittadina e oggi teatro della sconfitta sociale.

La scultura ritrae un senzatetto che si urina addosso su una panchina scolpita in marmo statuario Michelangelo:

 il materiale delle divinità e dei sepolcri, ora usato per immortalare la fragilità estrema.

 Sembra dormire, ma è impossibile capire se stia sognando o se sia stato inghiottito dalla pietra e dalle convenzioni dell’arte che pretende di rappresentarlo.

La finta urina sul pavimento è un atto involontario che resta impresso più della memoria storica del luogo.

Ma questa traccia di umanità – biologica, viva – è anche una provocazione che mette a disagio.

Quanto vale un senzatetto scolpito in marmo?

Quanto costa la sua fragilità esposta in galleria?

Chi può permettersi di acquistare il dolore, di speculare sulla rovina?

Nel mondo dell’arte contemporanea – e soprattutto nei circuiti internazionali dove “Cattelan” è rappresentato da gallerie come “Perrotin” e “Marian Goodman” – persino la marginalità viene raffinata, monumentalizzata, venduta.

 È su questa tensione irrisolta che l’opera punta il dito: la compassione estetizzata, la pietà che si espone con l’allure del lusso.

 

Alla GAMeC, “Empire” si presenta come un mattone chiuso in una bottiglia di vetro.

 È un’immagine semplice, eppure basta a raccontare un intero naufragio.

Un potere abortito, un’utopia rimasta in bozza.

 Per me – che a Padova vedo ancora l’ombra lunga di “Toni Negri” – è impossibile non pensare a “Impero”, quel libro scritto con “Michael Hardt” in cui si immaginava un ordine globale senza centro né margini, dove il potere si spalmava come una crema sulla faccia del mondo.

 Flessibile, decentrato, apparentemente democratico.

E soprattutto, capace di inglobare anche la ribellione.

“Cattelan”, però, ci mette davanti una sintesi diversa.

 Più secca. Più amara.

Niente rete, niente flusso: solo un mattone fermo, silenzioso, imprigionato nel vetro.

Lontano anni luce dalla moltitudine in movimento, qui l’”Impero” è un’immagine in uno smartphone, un relitto senza vocabolario.

Nessuna rivoluzione in vista (se non da tastiera), solo un messaggio chiuso in bottiglia, troppo solido per fare danni, troppo fragile per liberarsi.

 La bottiglia, trasparente e muta, assomiglia a quei messaggi lanciati in mare quando non si sa a chi scrivere.

Rimane lì, in attesa.

Oppure no: magari non aspetta nessuno.

 È solo un gesto, una di quelle cose che si fanno quando non si sa più cosa fare.

In questo senso, “Empire” diventa una riflessione tenera e spietata sul fallimento delle utopie.

Un fermo immagine sull’inazione, ma senza rancore.

Cattelan” non accusa, non sprona: osserva.

Con la freddezza di chi ha capito che a volte è il potere stesso a sabotarsi, e che certi sogni si consumano nel loro stesso annuncio.

 E in quell’equilibrio assurdo tra mattone e vetro, tra forza e stallo, c’è tutta la malinconia di un tempo che ha smesso di credere nel futuro, ma non ha ancora trovato qualcosa con cui sostituirlo.

 

Accanto, c’è “No”.

 Una copia di “Him”, ma con un sacchetto in testa.

 Dentro, c’è” Hitler”.

 Bambino, inginocchiato.

Sembra pregare, o forse solo aspettare.

 Ma il volto non si vede, e questo cambia tutto.

 L’opera è stata censurata in Cina, e quel sacchetto è rimasto addosso, come una benda su qualcosa che non si vuole – o non si può – più guardare.

Così “No” diventa ancora più inquietante della sua versione originale.

Non solo per quello che mostra, ma per quello che non lascia vedere.

È un’icona negata, o forse un tentativo di protezione.

 Non si capisce bene chi stia proteggendo chi: se noi da lui, o lui da noi.

In quell’occultamento c’è qualcosa di familiare.

Una specie di riflesso del presente, dove è più facile coprire, censurare, dimenticare, piuttosto che affrontare.

 Una nevrosi fatta di omissioni, come se bastasse chiudere gli occhi per salvarsi la coscienza.

 E allora sì, forse è meglio ridere.

 Ma è quella risata che viene quando non si sa bene se si sta scherzando o se si è perso completamente il senso delle proporzioni.

Ma è forse con “Bones”, allestita nell’”ex oratorio di San Lupo”, che la mostra trova la sua vibrazione più profonda.

 Al centro dello spazio, un’aquila abbattuta.

Marmo statuario Michelangelo, ancora una volta: materia di eternità per raccontare una resa.

Ali spiegate, corpo riverso: niente volo, nessuna gloria.

 Solo la gravità, e tutto quello che trascina giù.

Non è un’aquila qualunque.

 Cattelan si ispira a quella che oggi riposa nei depositi della “Tenaris Dalmine”:

una scultura marmorea commissionata nel 1939 per celebrare il discorso che Mussolini tenne agli operai in quello che chiamò “sciopero creativo”.

Una formula che fa quasi sorridere, se non sapessimo com’è andata a finire.

Anche lì, come con Garibaldi, c’era un duce da celebrare, un popolo da guidare, un simbolo da scolpire.

(L’aquila dello scultore Giannino Castiglioni situata nel cortile annesso a casa Colleoni Dalmine, 1939 Foto: Studio Da Re © Fondazione Dalmine).

Maurizio Cattelan, “Bozzetti dell’opera Seasons”, 2025.

Poi è venuta la guerra, e il dopoguerra, e quell’aquila è stata spostata tra i monti, nella colonia estiva dell’azienda a Castione della Presolana.

Da emblema del regime, è diventata metafora di libertà e natura incontaminata. Un classico italiano:

cambiare cornice e sperare che l’immagine si aggiusti da sola.

Quando la colonia ha chiuso, anche l’aquila ha perso il suo posto.

È finita in un magazzino, tra altri frammenti del passato.

E la Dalmine, oggi, è anche questo:

un archivio silenzioso che conserva le cose che non si vogliono più guardare, ma nemmeno buttare via.

In” Bones”, Cattelan riattiva quel fantasma.

Non lo denuncia, non lo celebra: semplicemente lo mostra per quello che è. Un’aquila ridotta all’osso.

Non più emblema di potenza, ma scultura spoglia, senza più ideologia da reggere. Un monumento alla caduta, forse anche al vuoto.

Il luogo in cui è esposta – un tempo cimitero, oggi soglia tra devozione e oblio – amplifica questo senso di stanchezza definitiva.

 Non c’è redenzione.

C’è una resa silenziosa, che non fa rumore nemmeno quando ci crolla davanti.

Sulla facciata dell’oratorio, un’incisione recita:

Divino lupo, conduttore dei bergamaschi.

Anche il lupo, come l’aquila, è una figura solitaria.

 Dicono che guidi, ma nessuno sa dove, come l’industria, come la politica, come l’arte quando diventa troppo seria, anche lui si è perso per strada, e ora ci guarda da lontano.

 Immobile.

In attesa di essere dimenticato con grazia.

 

I giornalisti accerchiano “Cattelan”, gli fanno domande, e lui risponde parlando di squadre di calcio.

Si fa inseguire, svicola, ride, li fa ridere.

 C’è qualcosa di disarmante in quella leggerezza.

Nessuna spiegazione, nessuna teoria: solo aneddoti, battute, gesti.

 Eppure, sotto la superficie, si sente un rumore sordo.

È la risata di chi sa che non c’è più niente da salvare.

 

Alla fine, un gruppo di loro gli chiede di farsi un selfie.

 E lui accetta, naturalmente.

 È un momento glorioso, ma anche comicamente tragico.

Sembra una vignetta di una rivista che non esiste più.

L’arte è lì, dietro di loro, in posa.

 Forse Cattelan è il più serio di tutti, proprio perché non smette mai di ridere.

 

Quello che rimane, alla fine, è la sensazione che stiamo celebrando qualcosa che forse non è mai esistito, o che ci siamo inventati per tenerci su.

Le sue stagioni sono già finite, o forse non sono mai iniziate.

E noi siamo qui a raccoglierne le rovine, con un sorriso a metà, come bambini sulle spalle di statue equestri, che fanno bang bang con le dita e non sanno bene chi stanno mirando.

 

 

 

Rottura Musk–Trump, implicazioni

per Tesla e settore EV.

Ig.com.it- Filippo A. Diodovich – (6-giugno -2025 ) – ci dice:

Lo scontro tra il tecnoking Elon Musk e il presidente Donald Trump ha innescato una forte volatilità sui mercati.

(Fonte: Bloomberg).

(Tesla Donald Trump Elon Musk Shares Auto elettrica Forex.)

La frattura pubblica tra Elon Musk e il presidente Donald Trump ha innescato un’immediata reazione nei mercati, riflettendosi in una forte volatilità sul titolo Tesla e sollevando interrogativi di natura sistemica sull’intero comparto dei veicoli elettrici (EV).

 

Performance azionaria di Tesla.

Ieri Tesla ha registrato un calo del 14,3%, equivalente a una perdita di circa 150 miliardi di dollari in capitalizzazione.

Il sell-off è stato catalizzato da dichiarazioni ostili reciproche:

Musk ha definito il nuovo disegno di legge fiscale di Trump un abominio e ha collegato il presidente Trump allo scandalo Epstein.

In risposta, Donald Trump ha minacciato la revoca dei contratti governativi e dei sussidi federali alle aziende riconducibili a Musk, incluse Tesla e “Space X”.

 

Sebbene il titolo abbia mostrato un rimbalzo tecnico del 4% nella giornata di oggi, il danno strutturale in termini di sentiment e visibilità istituzionale rimane rilevante.

 

Quali rischi per Tesla?

Il “Big Beautiful Bill”, il pacchetto fiscale proposto dall’amministrazione Trump, prevede l’eliminazione dei crediti d’imposta fino a 7.500 dollari per l’acquisto di veicoli elettrici.

Per Tesla, ciò potrebbe tradursi in un impatto negativo stimato di circa 1,2 miliardi di dollari sui profitti annuali, in un contesto già segnato da pressioni competitive e rallentamento della domanda in alcuni mercati chiave.

 

Quale impatto per il settore EV?

Il rischio normativo si estende anche ad altri player del settore — tra cui “Rivian”, “Lucid Motors” e “BYD” — che potrebbero dover affrontare una revisione delle proprie strategie di pricing e penetrazione di mercato negli Stati Uniti.

 Il potenziale rallentamento dell’adozione EV, alimentato da un quadro normativo incerto, rappresenta un rischio sistemico per il comparto.

 

Outlook strategico.

Nonostante la resilienza dimostrata storicamente da Tesla e una pipeline tecnologica ancora solida, l’escalation politica espone l’azienda a vulnerabilità latenti.

La dipendenza da incentivi governativi e relazioni istituzionali evidenzia un problema di concentrazione del rischio, aggravato da una governance fortemente accentrata.

Nel medio termine, gli investitori dovranno monitorare attentamente tre variabili: l’evoluzione del quadro normativo USA, la possibilità di ritorsioni sui contratti pubblici e la reazione dei consumatori in un contesto polarizzato.

 

Analisi tecnica dell'azione Tesla.

Le recenti pressioni negative hanno modificato le nostre aspettative grafiche di medio/breve periodo.

 Crediamo che l'eventuale cedimento del supporto a $272, minimi di ieri sera e bottom di inizio maggio, possa essere la condizione per dare continuità al trend negativo ed estendere la discesa in direzione di obiettivi short situati a $260 e $235.

Segnali contrari solamente sopra $326.

La politica criminale di Netanyahu

 per Amnesty International è

un vero genocidio.

Dire.it - Nicola Perrone – (21-05-2025) – ci dice:

 

Confronto acceso in Parlamento sulla tragica situazione che vivono i palestinesi a Gaza.

ROMA – Confronto acceso in Parlamento sulla tragica situazione che vivono i palestinesi a Gaza e la politica criminale di Benjamin Netanyahu e del suo governo sostenuto da forze estremiste e fanatiche altrettanto criminali.

 Sia il capo che i suoi seguaci sempre più dimostrano apertamente di puntare all’annientamento dei palestinesi a Gaza.

 È difficile, quando le immagini ogni giorno rimandano a tanti morti innocenti, distruzioni di massa e a un popolo che sta letteralmente morendo di fame, distinguere chi guida Israele grazie al sostegno della maggioranza dei cittadini e l’altra parte, comunque grande, degli israeliani che da anni si oppongono a Netanyahu, con decine di migliaia di persone che ogni volta scendono a protestare in piazza e che vorrebbero non solo cacciarlo ma chiuderlo in galera.

 Che fare?

Che possiamo fare noi in Europa per fermare questo massacro, questo annientamento studiato a tavolino, un altro genocidio?

 

Nei giorni scorsi nel “Consiglio Affari esteri dell’Unione europea” 17 paesi hanno votato a favore della proposta avanzata dall’Olanda – 9 contrari tra cui Italia e Germania- per sospendere l’accordo di partenariato con Israele.

Ora sarà la Commissione europea a valutare. 

“A Gaza c’è l’inferno in terra, bombe sugli ospedali e le scuole. Il governo israeliano ha tolto acqua cibo e aiuti umanitari.

 Bisogna fermare i crimini del governo Netanyahu, il mondo non può restare a guardare.

 I nostri deputati che sono stati al valico di Rafah ci hanno raccontato di centinaia di camion fermi, stanno violando ogni norma di diritto internazionale creando un precedente pericoloso che non possiamo tollerare.

 Nella nostra mozione chiediamo sanzioni al governo e l’embargo totale di armi da e verso Israele.

 Noi esprimiamo il nostro supporto per i palestinesi che protestano contro Hamas, perché nessuno di noi dimentica i crimini del 7 ottobre ma tutto questo non può giustificare lo sterminio di 15mila bambini a Gaza.

A Giorgia Meloni chiediamo di fronte a questo oltraggio come si può rimanere fermi.

 Non si può continuare a tacere” ha detto la segretaria del Pd, “Elly Schlein”, nel corso del suo intervento alla Camera sulle mozioni su Gaza.

“Il silenzio oggi non è un’opzione, il silenzio oggi è complice” ha sottolineato.

 Ma le mozioni di opposizione sono state tutte respinte.

È passata quella della maggioranza di Destra-Centro che impegna il Governo comunque a sostenere insieme ai partner europei e internazionali ogni tentativo di soluzione negoziata tra Israele e rappresentanti palestinesi per la stabilizzazione e la ricostruzione di Gaza…

anche nell’ottica di rilanciare un processo politico verso una pace giusta e duratura in Medio Oriente, basata sulla soluzione dei due Stati, uno Stato di Israele e uno Stato di Palestina che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza.

Una prospettiva che proprio non viene presa in considerazione dal Governo Netanyahu.

Emanuele Fiano, ex deputato del Pd, oggi presidente di ‘Sinistra per Israele – due Popoli due Stati’ nell’intervista rilasciata a Huffpost ha detto che “il 7 ottobre (strage compiuta dai terroristi di Hamas, ndr) non va dimenticato, ma non impedisce di condannare lo strazio di Gaza e l’uso bellico della carestia di un’intera popolazione.

Netanyahu sostiene di voler annientare Hamas perché vuole distruggere Israele, è vero, ma non si può fare al costo di centinaia di civili uccisi per ogni terrorista”.

(Tg Politico parlamentare, edizione del 6 giugno 2025)

 

IL MANDATO D’ARRESTO A NETANYAHU.

C’è da sottolineare anche le parole dell’esponente dell’opposizione Yair Golan: “Se non torniamo ad essere uno Stato sano di mente, che non uccide bambini per hobby, rischiamo di diventare uno Stato paria come fu il Sudafrica dell’apartheid”.

Golan non è uno qualunque, è un soldato, ex vicecapo di stato maggiore, e Netanyahu subito lo ha definito traditore.

Ma secondo lui, leader dei Democratici – partito che riunisce la sinistra laburista e quella socialista, secondo dopo il Likud – il Governo Netanyahu non sta facendo gli interessi del suo Paese.

 Forse, come accusano molti, allunga la guerra per sfuggire alla galera che lo attende per le sue malefatte.

Da ricordare sempre che su Netanyahu pende il mandato di arresto per presunti crimini di guerra della “Prima camera preliminare della Corte penale internazionale”.

 

Dopo il ricorso del governo israeliano la Camera d’appello ha sì stabilito che la questione della competenza giurisdizionale sul mandato d’arresto dovrà essere riesaminata, ma non si è pronunciata sulla richiesta di sospendere i mandati d’arresto che quindi sono tuttora validi.

 

UN GENOCIDIO.

Per quanto riguarda quello che sta accadendo ormai da anni a Gaza sulla rete sono in molti a definire la guerra israeliana un genocidio.

 Il dibattito è rovente, in molti contestano questa accusa.

Ricordiamo che la “Convenzione sul genocidio del 1948” definisce che il genocidio è “uno qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale”:

uccidere i membri del gruppo ,provocare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo, infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita tali da provocare la distruzione fisica totale o parziale, imporre misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo e trasferire con la forza bambini del gruppo a un altro gruppo.

Per determinare che una determinata condotta sia un genocidio, uno o più di questi cinque atti devono essere commessi “con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale”.

 

Dopo approfondita indagine sul campo, sentite molte testimonianze e visionati documenti, filmati ecc.  Amnesty International non ha dubbi: si tratta di genocidio.

La documentazione dell’organizzazione prova che Israele ha commesso atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio con l’intento specifico di distruggere la popolazione palestinese a Gaza, che forma una parte sostanziale della popolazione palestinese, che costituisce un gruppo protetto secondo la Convenzione sul genocidio.

 Il rapporto di Amnesty International si concentra su tre dei cinque atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio:

uccisione di membri del gruppo,

provocare loro seri danni fisici e mentali,

infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocare la sua distruzione fisica, in tutto o in parte.

Il rapporto evidenzia come Israele abbia imposto condizioni di vita calcolate per distruggere la popolazione palestinese di Gaza attraverso tre modelli di eventi:

 il danneggiamento e la distruzione su larga scala di infrastrutture critiche e di altri oggetti indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, ripetute ondate di sfollamenti forzati di massa in condizioni insicure e disumane e l’ostruzione o le restrizioni all’ingresso e alla consegna di forniture salvavita, compresi gli aiuti umanitari, e di servizi essenziali a Gaza – tutti eventi che si sono verificati simultaneamente, per mesi senza tregua, aggravando gli effetti dannosi di ciascuno.

 

Amnesty International, si legge, ha esaminato 102 dichiarazioni rilasciate da funzionari governativi e militari israeliani tra il 7 ottobre 2023 e il 30 giugno 2024 che disumanizzavano la popolazione palestinese, invocavano o giustificavano atti di genocidio o altri crimini contro di loro.

Tra queste, abbiamo identificato 22 dichiarazioni rilasciate “da alti funzionari incaricati di gestire l’offensiva che sembravano invocare o giustificare atti genocidi, fornendo prove dirette dell’intento genocida”.

 

Nonostante l’obiettivo militare dichiarato da Israele di sconfiggere Hamas e liberare gli ostaggi, il diritto internazionale, sottolinea il rapporto di Amnesty International, indica che “uno Stato può agire con intento genocida perseguendo allo stesso tempo altri obiettivi.

Anche se Israele perseguiva obiettivi militari, la totalità delle prove indica che l’unica deduzione ragionevole che si può trarre dal modello di condotta di Israele a Gaza è che stava anche cercando di distruggere la popolazione palestinese a Gaza in quanto tale, il che significa che la sua offensiva militare e le relative azioni e omissioni a Gaza sono state condotte con intento genocida”.

 

Ancora, si sottolinea nel rapporto di Amnesty International “gli stati che continuano a trasferire armi a Israele, in particolare gli Stati Uniti, devono sapere che stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di diventare complici del genocidio.

 Amnesty International ha documentato l’uso da parte di Israele di armi di fabbricazione statunitense negli attacchi a Gaza durante questo conflitto, che hanno illegalmente ucciso e ferito civili”.

 

Israele non ha il diritto di difendersi?

La condotta di Israele a Gaza non può essere spiegata come volta a distruggere la minaccia rappresentata da Hamas?

 Per il diritto internazionale, “non ci può essere giustificazione per i crimini internazionali, compreso il genocidio.

Israele ha l’obbligo secondo il diritto internazionale di proteggere tutte le persone soggette alla sua giurisdizione o al di sotto del suo effettivo controllo, compresi i territori occupati – che siano palestinesi o israeliani.

Tuttavia, gli atti compiuti in nome della sicurezza devono rispettare il diritto internazionale, e devono essere proporzionati alla minaccia posta”.

 

L’APPELLO DI PAPA LEONE XIV.

Concludiamo con l’appello rivolto oggi ai potenti del mondo da Papa Leone XIV: “È sempre più preoccupante e dolorosa la situazione nella striscia di Gaza.

Rivolgo un accorato appello a consentire un ingresso dignitoso agli aiuti umanitari e a porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani e dalle persone malate”, ha detto al termine della sua prima udienza generale in piazza San Pietro.

 

 

 

 

“Ehud Olmert” su Netanyahu e

il suo Governo: “Una banda criminale”.

 

It.insideover.com - Giuseppe Gagliano – (31 Maggio 2025) – ci dice:

 

L’accusa non arriva da un attivista pacifista, né da un organismo internazionale sospettato di ostilità preconcetta verso Tel Aviv.

A lanciare la denuncia, con parole che scuotono le fondamenta della retorica bellica israeliana, è l’ex primo ministro “Ehud Olmert”.

Proprio lui, già protagonista dell’operazione “Piombo Fuso”, già membro di punta del” Likud”, oggi rompe il fronte dell’omertà politica israeliana e punta il dito:

 “Sì, Israele sta commettendo crimini di guerra nella Striscia di Gaza”.

 

Non si tratta di un’uscita estemporanea.

Le dichiarazioni di “Olmert”, affidate alla penna di” Haaretz” e ribadite alla “BBC,” delineano un atto d’accusa sistemico contro la condotta del governo Netanyahu, definito senza esitazioni “una banda criminale” che ha gettato il Paese in una guerra “senza scopo, senza obiettivi, senza alcuna possibilità di successo”.

È un atto d’accusa che, nella sua radicalità, rompe con anni di silenzi compiaciuti o giustificazionismi di Stato.

 

Una guerra politica privata.

“Olmert” non risparmia nulla.

Sottolinea che mai, dalla fondazione dello Stato di Israele, il Paese aveva intrapreso un conflitto tanto privo di coerenza strategica, condotto con metodi che hanno trasformato Gaza in un “disastro umanitario”.

La guerra, afferma, ha perso qualsiasi connotazione difensiva o legittimità militare.

È diventata “una guerra politica privata”, funzionale solo alla sopravvivenza di un governo assediato da accuse e inchieste, privo di consenso e ossessionato dalla propria caduta.

 

In queste parole riecheggia il disincanto di un insider che conosce i meccanismi della sicurezza israeliana, e che oggi li vede svuotati di etica e logica.

L’orrore dei bombardamenti, le migliaia di vittime civili, la distruzione sistematica delle infrastrutture civili:

tutto ciò, dice Olmert, “non ha più nulla a che vedere con obiettivi bellici legittimi”.

 

Israele e l’abisso morale.

Le affermazioni dell’ex premier non sono isolate.

Fanno eco a quelle del generale “Yair Golan”, già vicecapo di stato maggiore, oggi voce fuori dal coro nel panorama militarizzato della politica israeliana:

 “Un Paese sano non uccide bambini per hobby, non si pone l’obiettivo di espellere intere popolazioni”.

 Frasi che suonano come bestemmie per l’establishment dominante, ma che riflettono un disagio crescente anche all’interno di settori tradizionalmente fedeli allo “Stato profondo”.

 

La reazione dell’apparato è immediata e feroce.

Il ministro degli Esteri “Gideon Sa’ar “grida al tradimento, accusando “Olmert” e “Golan” di partecipare a una “campagna diplomatica e legale contro Israele e l’IDF”.

 Il ministro dell’Istruzione “Yoav Kisch” rincara: “Stanno pugnalando alle spalle i nostri soldati”.

E la ministra “May Golan”, con retorica da trincea, parla di “sputi in faccia” a chi combatte per Israele.

Ma l’eco delle parole di “Olmert” è difficile da silenziare.

 Perché arrivano nel momento in cui la narrativa del Governo comincia a sfaldarsi sotto il peso di una realtà innegabile:

Gaza è oggi un cimitero a cielo aperto, un laboratorio di distruzione totale, una vetrina crudele di ciò che accade quando la guerra diventa cieca e ossessiva.

 

Il linguaggio della destra estrema: genocidio normalizzato.

A rendere ancor più inquietante il quadro, sono le dichiarazioni di esponenti dell’estrema destra, passate quasi sotto silenzio.

“Moshe Feiglin”, ex deputato e ideologo radicale, ha affermato in diretta TV: “Ogni bambino a Gaza è un nemico.

Non deve restare neanche un bambino gazawi”.

Una frase che, in qualsiasi altro contesto, farebbe tremare i tribunali internazionali.

 In Israele, invece, è stata accolta con indifferenza dai vertici politici.

 

Lo stesso ministro delle Finanze” Bezalel Smotrich “rivendica apertamente la “distruzione totale” della Striscia, descrivendo un’operazione militare che colpisce non solo Hamas, ma l’intera amministrazione civile.

Il principio di distinzione tra combattenti e civili, cardine del diritto internazionale umanitario, sembra essere stato cestinato.

Crimini di guerra e isolamento internazionale.

Nel frattempo, la reputazione internazionale di Israele crolla sotto i colpi delle inchieste giornalistiche, delle risoluzioni delle Nazioni Unite, dei movimenti per i diritti umani.

 L’accusa di crimini di guerra non è più una provocazione, ma una prospettiva concreta.

“Olmert” lo dice chiaramente: “Uccisioni indiscriminate, senza limiti, crudeli e criminali di civili… È il risultato di una politica governativa consapevole, irresponsabile e malvagia”.

 

E quando lo dice uno dei protagonisti storici della politica israeliana, non si può più archiviare la questione come propaganda nemica.

È la voce di chi ha fatto parte del sistema e ora denuncia il collasso morale di quel sistema.

La fine dell’impunità?

Le parole di “Ehud Olmert “potrebbero segnare una frattura.

Non solo nella narrazione interna israeliana, ma anche nel posizionamento del Paese sulla scena internazionale.

La domanda è se ci sarà qualcuno disposto ad ascoltarle.

Perché ciò che accade a Gaza non è più solo un problema regionale: è una crisi della coscienza occidentale, che tollera, finanzia, giustifica.

Per “Olmert”, l’ora della verità è arrivata.

Per Israele, il bivio è drammatico:

continuare a marciare verso l’abisso o fermarsi, riconoscere, cambiare.

Ma intanto, Gaza brucia.

 

 

 

L’Occidente in decadenza

continua a essere un modello.

  Comune-info.net - Raúl Zibechi – (18 Giugno 2024) – ci dice:

 

È sempre più evidente:

 l’Occidente non ha più la completa egemonia, ma nessun altro paese ce l’ha.

Il vero problema è che nel mondo non c’è al momento un’alternativa al capitalismo.

 Il rischio di una terza guerra mondiale è reale.

Tra chi non smette di rifiutare quel dominio c’è chi, purtroppo, considera importante l’ascesa della Cina, come se fosse un’alternativa, molti altri restano invece schiacciati sotto un pensiero critico colonialista e non vedono qualcosa di diverso dagli stati-nazione come teatri di cambiamento.

Le alternative, scrive Raúl Zibechi, possiamo rintracciarle nei popoli che hanno cominciato a organizzarsi per resistere e creare mondi nuovi.

Ma sarà una lunga traversata.

 “Certamente non è sufficiente per abbattere il sistema capitalista, per questo l’EZLN punta a lavorare da oggi perché in centoventi anni, sette generazioni, le persone che nasceranno potranno scegliere liberamente il proprio futuro.

 Non esistono scorciatoie istituzionali né partitiche…”

 

La profonda opacità del mondo attuale ci impone almeno due compiti permanenti:

mettere in dubbio le analisi unilaterali che tendono a semplificare le realtà complesse e, dall’altra parte, consultare fonti diverse, anche contraddittorie tra loro, per offrire almeno un panorama che permetta di dissipare l’oscurità che acceca la nostra capacità di comprensione.

Nel libro “La sconfitta dell’Occidente” “Emmanel Todd” afferma che il declino della nostra civiltà è inevitabile.

In quest’opera ritiene che il decollo di Europa e Stati Uniti fosse intimamente connesso con l’ascesa del protestantesimo, per il suo approccio all’educazione che ha favorito l’efficienza e la produttività dei lavoratori.

Ma la “scomparsa dei valori protestanti”, continua “Todd”, ha portato al fallimento educativo, al disordine morale e alla fuga dal lavoro produttivo favoriti dalle pratiche religiose.

 

Lo scrittore libanese “Amin Maalouf “ha appena pubblicato” Il labirinto degli smarriti”, in cui avanza altre ipotesi che non collidono con quelle di Todd e che possono essere anzi considerate affini.

Sostiene che per cinque secoli “il dominio occidentale e più precisamente dell’Europa, non era in discussione.

Chi si opponeva era umiliato e sconfitto. Ora le cose sono cambiate”, conclude (El Diario, 4/6/24).

 Così come “Immanuel Wallerstein”, assicura che l’Occidente non ha più la completa egemonia, però nessun altro paese ce l’ha negli ultimi anni.

 Aggiunge che nessuna potenza ha ancora la capacità di risolvere i conflitti, come quello di Israele contro la Palestina, non riuscendo neanche a impedire che scoppino.

Per questo afferma che “l’umanità oggi sta attraversando uno dei periodi più pericolosi della sua storia”.

Secondo me uno dei punti più forti delle interviste che ha rilasciato a diversi media in questa settimana è la sua potente affermazione che la decadenza dell’Occidente riguarda tutto il pianeta.

 

“Il declino occidentale è reale, ma né gli occidentali né i loro numerosi avversari riescono a condurre l’umanità fuori dal labirinto in cui vaga senza meta

 (El Confidencial, 3/6/24).

 

Continua:

“Gli avversari del mondo occidentale non hanno dei reali modelli da proporre.

 Hanno molte critiche al modello occidentale, sul ruolo svolto dall’Occidente, sul perché l’Occidente prova a prendere le decisioni per il mondo intero.

Però non c’è un’alternativa”.

 

Perciò dice che il naufragio è globale, “dell’insieme di tutte le civiltà”, non solo occidentale.

Insieme a Europa e Stati Uniti, ci fa notare che anche la Russia sta seguendo un declino e che già affronta problemi simili a quelli delle altre potenze.

 Per quanto riguarda la Cina, “Maalouf evidenzia” che segue anch’essa il modello occidentale:

non solo capitalista ma anche neoliberista e di accumulazione per sottrazione.

 

Il rischio di una terza guerra mondiale è “reale” secondo “Maalouf”, soprattutto perché le società non vogliono ammettere i pericoli evidenti nel frenetico sviluppo di nuove armi da parte delle grandi potenze.

 

Nella mia opinione le dure affermazioni di “Maalouf” sull’assenza di un’alternativa al modello capitalista, sono giuste, e la realtà odierna somiglia ai conflitti inter imperialisti che portarono alla Prima Guerra Mondiale nel 1914.

 È doloroso osservare come movimenti che sono stati rivoluzionari, oggi celebrino l’ascesa della Cina e che alcuni la considerino un paese socialista retto da capi marxisti.

Questo fa parte dell’enorme confusione che dilaga nell’ambito dell’emancipazione.

 

Il secondo problema è il tremendo radicamento del colonialismo all’interno del pensiero critico, che non riesce a vedere oltre gli stati-nazione come teatri di cambiamento e trasformazioni rivoluzionarie.

 Da un lato gli stati dell’America Latina sono un’evidente eredità coloniale, strutturati in maniera gerarchica e patriarcale e non possono essere modificati né rifondati, come cercano di sostenere alcune correnti progressiste.

 D’altro canto l’esperienza storica ci dice che le rivoluzioni vincenti che si sono circoscritte alle frontiere degli stati non sono potute andare avanti nelle trasformazioni che desideravano.

 Dobbiamo trarre alcune conclusioni da più di un secolo di rivoluzioni focalizzate in stati che non potrebbero mai essere democratici né democratizzati.

Qualcuno può forse immaginare una qualche forma di democrazia in eserciti e polizia? O nel sistema giudiziario?

 

Le alternative che “Maalouf” non trova in Cina né in Russia né in Iran possiamo rintracciarle nei popoli che si sono organizzati per resistere e creare mondi nuovi, in molti angoli del nostro continente.

Certamente non è sufficiente per abbattere il sistema capitalista, per questo l’EZLN punta a lavorare da oggi perché in centoventi anni, sette generazioni, le persone che nasceranno potranno scegliere liberamente il proprio futuro.

Non esistono scorciatoie istituzionali né partitiche.

 

 

 

 

Declino della civiltà occidentale

e crisi italiana. La necessità di

una Nuova Camaldoli.

Formiche.net - Giancarlo Elia Valori – (9 -09 -2022) – ci dice

 

Tra i principi ispiratori del Codice di Camaldoli vi era l’idea di uno Stato inteso come garante e promotore del bene comune. Oggi ci siamo dimenticati dì questa finalità e ci sfugge lo Stato, che i liberali della second’ora vorrebbero ridotto a mero fascio di residuali funzioni fiscali e amministrative

 

Il problema della traiettoria disastrosa dello sviluppo della civiltà occidentale dell’era postmoderna – che costruisce presente e futuro sul totale nichilismo in relazione alle grandi conquiste delle precedenti epoche culturali – sta scivolando irresistibilmente dal pieno al vuoto. Esso è diventato il leitmotiv delle discussioni filosofiche, culturali e politiche degli ultimi tempi.

 

La natura distruttiva del sistema che si basa su capitale e banche è stata ripetutamente notata, puntualizzando sì che l’Occidente sa galvanizzare e dividere, ma non gli è dato di stabilizzare e unire.

 L’umanità non può raggiungere l’unità politica e spirituale seguendo questa via che l’emisfero ovest sta percorrendo.

 

Allo stesso tempo, l’urgenza di unirsi è del tutto evidente, perché oggi l’unica alternativa alla pace è l’autodistruzione, a cui la corsa agli armamenti nucleari e basati pure sull’intelligenza artificiale sta spingendo l’umanità verso l’impoverimento insostituibile delle risorse naturali, l’inquinamento ambientale e l’esplosione demografica senza garanzie future di sussistenza.

 

L’inevitabilità di un cambio di paradigma nello sviluppo umano è stata già registrata nel “rapporto 2018 del Club di Roma” – associazione non governativa, non-profit, di scienziati, economisti, uomini e donne d’affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti e cinque i continenti, fondato nel 1968 – che contiene aspre critiche al capitalismo neoliberista, nonché un appello all’élite intellettuale mondiale per fondare il concetto di economia alternativa e ritorno ad un nuovo Illuminismo, che possa salvare la civiltà, occidentale e non, con una visione del mondo olistica.

 

Le rivoluzioni industriali e informatiche hanno mostrato la natura illusoria della speranza per la ragione, che avrebbe dovuto correggere il “secolo dislocato”.

La crescente era digitale sta avvicinando la transizione del mondo alla prospettiva di una totale automazione e robotizzazione della produzione, che esclude quasi del tutto una persona dalla vita economica.

Sullo sfondo della crisi ecologica ed esistenziale, si discute sempre più dell’idea transumanista di raggiungere l’immortalità creando un postumano artificiale come un sistema non biologico auto-organizzante, così come abbiamo affrontato in precedenti articoli.

 

L’espansione dei problemi globali stimola la comprensione del destino dell’ampio percorso di sviluppo che porta al consumo predatorio di risorse, rafforza la critica al progresso scientifico e tecnologico come un ramo “senza uscita” dello sviluppo della civiltà teso unicamente al profitto. Il sistema economico capitalistico di mercato e la dittatura della finanza- crazia mondiale sono diventati il becchino ecologico dell’umanità. In una folle corsa del gregge il pianeta si sta avvicinando all’orlo dell’abisso, al confine del suicidio tribale collettivo.

 

Sullo sfondo di un catastrofico aggravamento di contraddizioni e problemi radicati, il logos umanitario comincia ad assumere i connotati dell’escatologia religiosa, testimoniando che la nostra epoca è alla vigilia della resa spirituale.

 

La resa spirituale ai avvicina a faglie di livello metafisico: la civiltà europea è entrata nella fase della fatica finale per il sovraccarico causato dalla pressione dell’impulso tecnologico prometeico.

 Il logos – energicamente raffreddato dall’era della modernità e ontologicamente evirato dal nichilismo postmoderno – sta perdendo le sue posizioni.

 La crisi attuale non è delle singole società, ma dell’intero sistema macro culturale che ha sostituito il Mondo Antico, sistema che era appunto logocentrico.

 

Il “Verbo” ha esaurito le sue possibilità culturali-creative, e il postmoderno ha tracciato una linea sotto di esse. La parola, precipitando nell’entropia del relativismo, non è più né il motore delle dinamiche culturali né la maschera della stessa cultura.

 

L’erosione dei tradizionali criteri di identità – in specie in Italia, dove prima di Ciampi, la bandiera nazionale la si poteva sventolare solo allo stadio, sennò si era chiamati fascisti – criteri nazionale-culturali, di genere, sociale, professionale, ossia quell’atomo indivisibile che per molti secoli ha fornito l’aspirazione verticale della cultura europea nella sfera dello spirito, sta crollando: quando la cultura non sopravvive, restano solo gli scarafaggi.

 

La spietata selezione del mercato disumanizza una persona, privandola delle energie spirituali chiave: vergogna, coscienza, misericordia, perdono, fede, speranza, amore.

Il mercato dominante, liberando gli elementi dell’avidità e dell’invidia, uccide la motivazione alla partecipazione sociale, che sta alla base delle strutture della società civile.

 Privata dell’energia della solidarietà, una società perde la capacità di fornire assistenza reciproca e autodifesa, diventa un ambiente disperso che esiste sotto il segno dell’entropia come sistema distruttivo che partorisce anticorpi asociali e criminogeni che distruggono la civiltà originaria.

 

Come abbiamo rilevato sopra la crisi attuale non è delle singole società, ma ognuna di esse ha caratteristiche differenti.

 In Italia quella che stiamo attraversando non è più solo una crisi economica o finanziaria, ma di prospettiva.

Serve una nuova Camaldoli per rilanciare l’idea di bene comune e uscire da questa situazione, in cui dopo la parentesi costruttiva del grande ceto politico 1944-1991, si sono succeduti personaggi posti fra lo scendere in campo calcistico, e l’asservimento total-colonizzante privo di una seppur minima politica estera.

 

Camaldoli significò attivare una prospettiva, una visione alta ma al tempo stesso operativa in un momento non meno critico dell’attuale per il nostro Paese.

Tra i principi ispiratori del “Codice di Camaldoli” vi era l’idea di uno Stato inteso come garante e promotore del bene comune. Oggi ci siamo dimenticati dì questa finalità e ci sfugge lo Stato, che i liberali della second’ora vorrebbero ridotto a mero fascio di residuali funzioni fiscali e amministrative.

Ci siamo dimenticati, soprattutto, del bene comune.

Su questo basterebbe intenderci sul significato di politica che ci dovrebbe legare non al liberalismo della “Scuola di Chicago “– padre del colpo di Stato cileno del 1973 – ma a un progetto completo di riforma dello Stato e dell’economia italiane.

Oltre all’accettazione dei diritti dell’uomo in funzione di una teologia politica che riconosca la centralità della persona, l’accettazione della legge dello Stato se coincide con il retto sentire e la libertà di tutti gli uomini.

Il bene comune – come ci detta il codice di Camaldoli del 1943 – è il fine dello Stato, che non può sostituirsi ai singoli, al mito del “Leviatano di Hobbes”, ma che riguarda le condizioni esterne necessarie a tutti i cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e del loro benessere.

 

Oggi c’è davvero bisogno di questa filosofia nel dibattito politico e culturale italiano e europeo, solo che mancano gli uomini all’altezza di farlo.

 Gli Stati – compreso il nostro Paese – sono diventati tutti più deboli e incapaci, semi colonie che in luogo di proteggere e sostenere il bene comune, non fanno alcunché per impostare un’alternativa nel tempo degli “hedge funds”, della “globalizzazione finanziaria”, dell’”impoverimento di massa” e del trasferimento di gran parte del baricentro manifatturiero e, poi, dal centro euroamericano ai” Paesi in Via di Sviluppo”, dove la cultura del bene comune, per motivi storici e ideologici dovuti al pensiero liberale, non è particolarmente diffusa laddove si globalizzano le idee e dopo si universalizza la finanza.

 

Dignità, eguaglianza, solidarietà della persona umana: ecco altri principi ispiratori di Camaldoli.

 Oggi che molti sembrano richiamarsi, spesso a sproposito, all’esperienza del ‘43, come si crede di poter ricollocare la persona nella centralità che le compete sulla scena umana?

La persona nella filosofia politica è irriducibile non solo allo Stato, ma anche alla comunità e al gruppo.

 Viene in mente il concetto heideggeriano di «essere gettati nel mondo», una relazione che implica l’unicità non solo della persona fisica, ma anche della sua “substantia morale e spirituale”.

 Uscire dal soggettivismo capitalista era il “primo fine dei collaboratori di Mounier”, poiché il “gruppo di Esprit” vedeva nel concetto borghese di persona l’atomismo del mercato, l’incapacità di creare una teoria dello Stato, il bellum omnium contra omnes – ed in sedicesimo il proliferare di liste ad personam è una sua squallida manifestazione – che può distruggere non solo ciò che è “superato” nell’economia, secondo il modello di Schumpeter, ma anche la storia e la morale profonda dei popoli.

Per Mounier, il capitalismo «faceva troppo presto»”, accelerava sul breve periodo trasformazioni che avrebbero necessitato di più tempo.

 

Solo il bene comune e ciò che lo rende efficace la teoria dello Stato democratico e quella consequenziale della rappresentanza politica.

Oggi la situazione è complessa, poiché la persona e la sua dignità, con i suoi diritti inalienabili è divenuta, grazie all’ideologia succitata del postmoderno, un semplice fascio di istinti che stacca il cittadino dalla propria storia, o una «macchina desiderante», per usare una vecchia formula di “Deleuze”.

Senza il “codice di Camaldoli” non vi sarebbe stata la Costituzione repubblicana, e non dico questa costituzione, ma una “Carta Fondamentale italiana e repubblicana” qualsivoglia.

Se mi si consente una serie di suggerimenti, un nuovo “Codice” camaldolese potrebbe partire dalla nuova teoria della “persona”:

 non più titolare di semplici diritti formali, ma capace di elaborarne di nuovi all’interno dì una libera comunità.

 

Difendere l’universalità dei valori umani, difendere un nuovo diritto del lavoro nell’era della globalizzazione, senza creare rendite ma anche senza distruggere vite e dignità delle persone, e tutelare la natura, sono tutti elementi di una Nuova Camaldoli che non potrà non essere globale, come universali sono le sfide che anche l’Italia si trova a fronteggiare in questi anni.

 

Un intervento pubblico nell’economia sarebbe auspicabile, proprio quando ritornello delle “privatizzazioni” ci viene alla memoria.

E poi bisogna chiedersi cosa vuol dire “intervento pubblico”.

Di fronte a una questione come questa, ci domandiamo: cos’è davvero pubblico e cosa intrinsecamente privato?

Il principio di una buona gestione va ben oltre la titolarità della proprietà delle imprese, e probabilmente la questione di una nuova teorica dell’intervento pubblico nell’economia riguarda un vecchio termine caro agli economisti di Camaldoli:

la programmazione.

 

Noi abbiamo a che fare, oggi con un capitalismo che “crea valore per gli azionisti”, ma senza definire il tempo della creazione e della durata pure morale di tale valore.

Una economia “mordi e fuggi” che sta distruggendo sé stessa.

Sarebbe necessario, e anche questo è nello spirito della carta camaldolese, un dibattito globale, nelle sedi opportune, su chi produrrà cosa nei prossimi anni.

 

I “venti gloriosi” anni che vanno dalla prima ricostruzione economica postbellica degli anni Cinquanta alla fine della parità fissa definita a Bretton Woods (Ferragosto 1971), che gli Stati Uniti d’America utilizzarono per far pagare agli europei la loro super inflazione da guerra del Vietnam in parallelo con la costruzione della “Great Society” di Lyndon Johnson, sono finiti.

 Ma non affatto finita la necessità di una analisi concordata della divisione mondiale del lavoro.

 Se si razionalizza la divisione mondiale del lavoro, si aumenta la redditività media degli investimenti, che acquisiscono effetti di sinergia ambientale, e il tutto dovrebbe essere gestito, sempre nello spirito di Camaldoli, da un nuovo accordo tra le monete.

 Non più la guerra euro-dollaro, rovinosa alla fine per l’euro, ma la ridefinizione di bande di oscillazione tra le monete tali da sostenere periodo nazionali di sviluppo o crisi senza esportare inflazione o distruggere i mercati altrui, ecco, sono tutte idee che si potrebbero discutere nella “Nuova Camaldoli del Terzo Millennio”.

 

Altro problema sono i giovani che non trovano lavoro per colpa di una cattiva formazione secondaria e universitaria, che è stata pensata per dare lavoro alla proletarizzazione degli insegnanti piuttosto che per fornire occasioni serie agli studenti.

Noi abbiamo creato una gioventù del consumo cospicuo – «non voglio che mia/o figlia/o abbiano le mie stesse privazioni».

Se la persona è un tutto il consumismo giovanile ha distrutto la stessa identità di questa dimensione della vita.

Cosa fare, praticamente?

La cooperazione, in questo senso, potrebbe dare alcune risposte:

 cooperative di giovani, fiscalmente ben trattate, e che possano accedere a finanziamenti legati ad una specifica entità finanziaria, pubblico-privata, una sorta di “Cassa Depositi e Prestiti” della società.

 

Bene comune significa la libertà del soggetto che si confronta, ogni giorno, con la libertà di altri uomini e donne.

È la ricerca di un punto di contatto reale tra i vari gruppi sociali, che la degenerazione postmoderna del capitalismo ha separato.

 Gli imprenditori e i lavoratori, i giovani e i vecchi, i poveri e i ricchi, sono “gruppi” che oggi si vedono impegnati in un “gioco a somma zero” nei confronti degli altri, di tutti gli altri.

 

È un errore prima spirituale e culturale, ma è anche un errore tecnico e economico. Ogni attività sociale dovrebbe essere, da questo punto di vista, insieme più libera e più socializzata.

Ricordo ancora il discorso di dimissioni del Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, pronunciato il 25 aprile 1992, XLVII anniversario della Liberazione.

Una data emblematica che rappresenta la fine della Repubblica dei Grandi Uomini Politici.

 Egli affermò:

“Concludo così sette anni che sono stati difficili non per me o non solo per me, ma anche per il Paese.

Sette anni in cui tante cose sono state cambiate ed in cui mi è stato assicurato il privilegio di essere testimone di grandi cambiamenti all’Est, ma io mi auguro anche all’Ovest adesso.

 Sette anni in cui ho cercato con il silenzio prima, con la parola poi, con gli atti, con gli scritti, con i comportamenti di servire il mio Paese:

 vi sono riuscito? non vi sono riuscito?

Non spetta a me giudicarmi.

Io non ho messaggi da lanciarvi e non ho né forza politica, né rappresentanza morale tali da pretendere di lasciarvi testamento.

Ai giovani io vorrei dire però di amare la Patria, di onorare la Nazione, di servire la Repubblica, di credere nella libertà e di credere nel nostro Paese.

A tutti voi voglio dire di avere fiducia in voi stessi.

Questo è un Paese che non sarà una grande potenza politica, che non sarà una grande potenza militare e forse questo è una benedizione di Dio, ma è un Paese di grande cultura, di grande storia, è un Paese di grandi energie morali, civili, religiose e materiali.

 Si tratta di saperle mettere assieme e si tratta di fondare delle istituzioni che facciano sì che lo sforzo di ognuno vada a vantaggio di tutti”.

 

Ed in merito alle origini della nostra Repubblica rammentata da Cossiga, ricordo l’8 settembre 1943.

 Sono cresciuto, in fretta, in un momento storico difficile ma intriso degli ideali della Resistenza in maniera così forte e radicata che, per me, la memoria storica è rivivere quotidianamente anche fatti e vicende strettamente personali.

 

Però con profonda amarezza e indignazione, riscontro la totale assenza – in questo preciso momento storico che ci apprestiamo ad affrontare caratterizzato a livello globale dalla guerra, dalla conseguente crisi energetica e a livello interno dalle prossime tornate elettorali – di celebrazioni che riportano alla mente i grandi ideali di Libertà, Pace, Uguaglianza tanto declamati ed invocati qualche anno fa.

Ritengo sia davvero episodio gravissimo e provocatorio, che tra i candidati attualmente in corsa si riscontri una totale assenza di amor patrio e di memoria storica; entrambi valori universali che prescindono dal movimento per il quale si corre politicamente.

 

Un’assenza che parla di un Paese poco intenzionato a fare i conti con la propria storia e con un ceto politico di bassi profilo e spessore nonché inetto.

 Quanto questo si ripercuota nel nostro presente è fuori di dubbio e non è un caso ma, mia palese intenzione squarciare il velo spronando le coscienze a fronteggiare questa tragedia di vuoto e stupidità istituzionale.

 

L’8 settembre è una giornata memorabile che merita rispetto profondo per i valori e i sentimenti ad essa connessa tanto più in questo momento storico che richiede tracciato un percorso nella coscienza collettiva che insegni il ripudio dell’indifferenza e di ogni forma di estremismo, per costruire una società basata sul rispetto della dignità umana.

Le mancanze di taluni esponenti politici in questo periodo, per me sono ignobili provocazioni, che non possono essere additati come episodi isolati, bensì vanno posti in cruda evidenza.

Ritengo, inoltre, vada mantenuta alta l’attenzione affinché le giovani generazioni continuino a coltivare la memoria e la verità storica, le sole in grado di sconfiggere ogni atteggiamento connesso all’odio, al razzismo e alla violenza.

 

Auspico che si possa tornare a far riflettere le persone sui veri valori della libertà, del rispetto e della tolleranza, che sono conquiste che devono essere difese nell’esclusivo interesse di una civiltà a misura d’uomo, idonea a concepire e rendere la cultura della pace e della giustizia il vero tesoro dei popoli evoluti, liberi e democratici.

Oggi qualcuno discute sulla necessità di festeggiare ancora il 25 aprile 1945. Mi chiedo: ma costoro non si rendono conto che i loro “avi” IERI sono stati distrutti da coloro i quali, i già menzionati OGGI non fanno altro che servire facendo a gara con la controparte, sia a livello nazionale, che internazionale e geopolitico?

 

 

 

 

Italia: nazione precorritrice

del declino occidentale?

 Equilibrimagazine.it - Alessandro Leonardi – (3 Maggio 2024) – ci dice:

 

Nel 2024 l’Italia si presenta come una nazione avanzata, con una popolazione di quasi 59 milioni di abitanti, l’ottava economia mondiale e un patrimonio privato superiore ai 10.000 miliardi di euro.

 Nel 2023 l’aspettativa di vita è salita a 83,1 anni, collocando il Paese fra i più longevi al mondo.

 Ma dietro questo apparente quadro idilliaco, è in corso da tempo un declino sistemico che vede l’intersecarsi di cambiamenti mai visti prima.

A partire da quello demografico, che presenta alcuni dei peggiori parametri a livello mondiale.

L’attuale tasso di natalità (1,2 figli per donna) è fra i più bassi al mondo, mentre le nascite sono in costante calo dal 2008, cosa che ha determinato la progressiva diminuzione degli abitanti di oltre 1,3 milioni di persone negli ultimi 9 anni.

Contemporaneamente la popolazione ha raggiunto un’età media di 46,6 anni diventando la seconda più vecchia al mondo, superata solo da quella giapponese.

Queste dinamiche hanno creato un pericoloso sbilanciamento generazionale a favore delle coorti più anziane, mentre quelle più giovani sono numericamente ridotte e socialmente precarie.

 

Nonostante il ripetuto allarme lanciato dai demografi, il dibattito pubblico è rimasto piuttosto limitato concentrandosi quasi sempre sulla sostenibilità del sistema pensionistico.

Ma la progressiva riduzione dei giovani lavoratori è solo uno dei tanti elementi negativi per una società legata ad un sistema industriale-tecnologico in rapida evoluzione.

 Entro pochi anni la coorte demografica più numerosa, nata a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, diventerà sempre più anziana ponendo una fortissima pressione sul servizio sanitario nazionale, già in difficoltà da tempo.

Questa pressione si ripercuoterà anche su tutti i servizi sociali dedicati all’assistenza degli anziani, che dovranno fare affidamento su scarse strutture pubbliche, sull’assistenza privata o l’impegno personale dei pochi eredi (spesso figli unici).

Ma un elemento ancora più insidioso è generato dall’invecchiamento generale della nazione:

l’immobilismo culturale, politico ed economico.

La presenza di numerose coorti anziane rispetto a quelle più giovani finisce per spostare il peso politico verso le prime, incentivando il mantenimento dello status quo a discapito dei cambiamenti necessari.

 La società diventa inevitabilmente più rigida, chiusa, meno propensa al rischio, meno vitale, incastrata negli schemi del passato, inadatti per affrontare la globalizzazione in corso.

Questo complesso fenomeno finisce per alimentare a cascata le altre crisi, dal declino industriale, all’aumento delle diseguaglianze fino al decadimento culturale-sociale.

Le divisioni fra le generazioni si acuiscono e con esse anche gli sbilanciamenti territoriali, con lo spopolamento accelerato del Sud a favore di alcune regioni del Nord o di Paesi esteri.

 In un contesto del genere l’Italia diventa sempre più incapace ad adattarsi ai rapidi cambiamenti esterni, scivolando ai margini dell’innovazione tecnologica. Una spirale che finisce per rendere irreversibile il declino del sistema repubblicano, con gravi conseguenze per tutta la popolazione.

 

Per fronteggiare questa deriva sono state suggerite molteplici riforme, incentrate soprattutto sugli incentivi economici e la fornitura di adeguati servizi per le giovani famiglie.

Ma in nessuna nazione avanzata si sta invertendo nettamente la curva demografica, nonostante l’implementazione di welfare state più potenti ed efficaci rispetto al debole modello italiano.

I cambiamenti culturali-sociali intervenuti negli ultimi decenni hanno compresso la natalità fino ad alimentare la cosiddetta ‘trappola demografica’.

Per il momento l’unica soluzione realistica è quella legata ai flussi migratori, ma l’ingresso di centinaia di migliaia di persone richiede attenta pianificazione ed enormi risorse.

Inoltre tali ingressi, gestiti spesso in maniera caotica, hanno finito per alimentare reazioni xenofobe, tensioni politiche e problematiche territoriali, che hanno spinto i governi occidentali a militarizzare i confini.

Senza radicali misure, questi trend raggiungeranno il loro culmine nel periodo 2030-2040, costringendo la nazione a forme di adattamento sempre più pesanti e ingestibili essendo ormai diventata un ‘laboratorio’ del futuro occidentale.

 

 

 

 

 

“Il tramonto dell’Occidente”,

 un problema ineludibile.

Nicolaporro.it - Michele Marsonet - (13 Marzo 2024) – ci dice:

 

La pretesa di Spengler sarà anche eccessiva, ma è pur vero che nascita, apogeo, declino e morte di grandi civiltà formano l’ossatura stessa della storia.

A volte un autore considerato fuori moda può offrire preziosi spunti di riflessione. A mio avviso “Oswald Spengler”, autore della celebre opera “Il tramonto dell’Occidente” (tradotta in italiano da Julius Evola), è un esempio emblematico in questo senso.

Natura e storia.

Per comprenderne il significato occorre partire dalla distinzione tra “natura” e “storia”, tema peraltro peculiare dello storicismo tedesco contemporaneo, al quale è strettamente collegato un altro tema importante (e ancora attualissimo), quello della distinzione tra scienze della natura da un lato e scienze dello spirito e della realtà storico-sociale dall’altro.

 È, com’è noto, una distinzione che si ritrova già in” Dilthey”, per quanto formulata in maniera diversa e analiticamente più rigorosa.

 

I termini “natura” e “storia” denotano due realtà radicalmente differenti, e la loro antitesi non esprime soltanto l’essenziale storicità degli esseri umani, ma rimanda anche all’antitesi affine tra “divenuto” e “divenire” che fu oggetto costante della riflessione filosofica di Goethe.

La natura è ciò che è divenuto, vale a dire ciò che il divenire ha prodotto per assumere poi una forma statica.

 La storia, d’altro canto, è il divenire, identificato con il processo della vita nella sua “realizzazione del possibile” in maniera necessaria.

Mentre la natura è il regno dello spazio e dell’estensione, la storia è il dominio del tempo e della direzione, e quest’ultima ne tratteggia il carattere di irreversibilità. “Il tramonto dell’Occidente” insiste – in modo quasi ossessivo – su tale antitesi che non trova alcun elemento di mediazione.

Ciò non elimina, tuttavia, l’identica origine dei due termini, dal momento che la storia fornisce la base della natura, essendo essa il prodotto del divenire biologico da cui sorgono tanto l’uomo quanto le civiltà.

La natura, il divenuto, altro non è che la cristallizzazione del divenire in una forma determinata nella quale si arresta lo sforzo creativo della realtà.

 

L’antitesi tra natura e storia viene però sviluppata da “Spengler” anche sul piano cognitivo, poiché sono governate da due logiche molto diverse:

 da un lato la logica “meccanica”, propria della natura, dall’altro la logica “organica” che caratterizza la storia.

In questo senso Kant viene accusato di aver limitato la sua indagine critica alle scienze della natura, senza tener conto del carattere autonomo e originale della ricerca storica, e di aver trascurato la fisionomia logica peculiare dello sforzo di comprensione della storia.

 

La logica meccanica si fonda sul principio di causalità prendendo in considerazione spazialità ed estensione, mentre la logica organica, che non è sottoposta a leggi causali, si volge a temporalità e direzione.

 Il positivismo ha dunque torto quando proclama il primato assoluto della logica meccanica.

La storia non può venir compresa con un procedimento di tipo intellettuale e con la ricerca del rapporto causa-effetto, dal momento che ogni accadere è unico, irripetibile e quindi reca il segno della direzione del tempo, dell’irreversibilità. Dunque strumenti necessari alla comprensione della storia non sono ragione e riflessione critica, bensì intuizione, sentimento ed esperienza vissuta (“Erlebnis”); ne consegue che soltanto l’immediatezza è capace di capire il divenire nel suo processo creativo, e ogni autentica ricerca storica deve per l’appunto fondarsi su di essa.

 

Le civiltà.

Tutto questo è solo premessa per affrontare il problema fondamentale: il futuro della civiltà occidentale.

Costante e angosciosa si presenta la domanda circa il corso della storia europea (e americana) e sul suo destino.

 Prima, però, occorre chiarire cos’è una “civiltà” e il suo rapporto con la natura e con la storia.

Continua è la polemica di Spengler contro la concezione unitaria dello svolgimento storico, giacché è necessario concepire la storia dell’umanità come manifestazione di una molteplicità di forme differenti, cioè di diverse civiltà, dotate ognuna di una propria vita e di un proprio sviluppo autonomo.

Ogni civiltà è un “organismo” unico, e dell’organismo possiede i caratteri fondamentali.

Ogni civiltà ha la sua nascita, la sua crescita, la sua decadenza, la sua morte, proprio come qualsiasi organismo biologico: l’appartenenza della civiltà a un tipo organico rappresenta al tempo stesso la sua determinazione ineluttabile entro una linea di sviluppo cui non può sottrarsi.

Essa sorge quando “un’anima si stacca dallo stato primitivo dell’umanità”, e cresce restando legata al suolo in cui è sorta, per decadere e morire quando la somma delle sue possibilità si è ormai esaurita.

 

Ogni civiltà è un organismo appartenente a un medesimo tipo.

La storia universale è la “biografia totale” delle diverse civiltà e lo svolgimento dell’umanità è sottoposto a un rigoroso determinismo biologico.

 Il complesso di possibilità di cui ogni civiltà dispone all’inizio del suo sviluppo viene così interpretato alla luce della necessità biologica che governa la sua esistenza, e impiegato per designarne l’autonomia e la relatività, che a sua volta deriva dal suo orizzonte chiuso a ogni autentica forma di relazione e di comunicazione.

 

Infatti ogni influenza che una civiltà ha ricevuto da un’altra, secondo Spengler, è stata con ciò stesso modificata radicalmente ed inserita entro un nuovo linguaggio formale e un nuovo mondo simbolico.

 Parimenti, ogni tentativo di penetrare un’altra civiltà non può svincolarsi dall’orizzonte chiuso della civiltà propria di chi effettua tale tentativo, e non riesce quindi a intenderla nella sua alterità.

Civiltà in declino.

Di qui lo sforzo di individuare lo sviluppo tipico di ogni civiltà nella sua parabola prima ascendente e poi discendente, fino all’esaurirsi del proprio complesso di possibilità e cioè fino alla morte, e di porre in luce la fisionomia peculiare di simbolismo e di linguaggio che si manifesta in ogni aspetto della sua esistenza. L’esame del succedersi delle vicende politiche ed economiche consente di individuare il suo progressivo trasformarsi in una “civiltà-in-declino”, da cui inizia il ritorno entro l’ambito puramente biologico e zoologico dell’umanità primitiva.

 

La logica della storia, in quanto logica organica, ha il suo principio nella necessità del destino, che la vita avverte mediante l’immediata coscienza della propria irreversibilità:

“l’idea del destino richiede un’esperienza della vita, non l’esperienza scientifica, la forza dell’intuire e non il calcolo, la profondità”.

 Il destino rappresenta l’antitesi della causalità, in quanto indica la “necessità” della storia:

 esso presiede al divenire dei fenomeni nella loro singolarità irripetibile, come la causalità governa invece la connessione dei fenomeni ripetibili nell’ambito spaziale, e li connette tra di loro in uno sviluppo temporale.

 

Il tramonto dell’Occidente.

Da esso giunge pure la risposta al problema della crisi della civiltà occidentale e del suo avvenire, risposta che si fonda sulla possibilità di una predeterminazione della storia in base allo sviluppo che ogni civiltà non può non percorrere per i caratteri essenziali del tipo di cui fa parte.

 Il futuro dell’Occidente può venir previsto proprio perché la civiltà occidentale seguirà un cammino conforme a quello di tutte le altre e imposto dalla necessità organica del destino.

Il tramonto dell’Occidente, così considerato, designa nientemeno che il problema della “civiltà-in-declino”.

 

Si pone qui una delle questioni fondamentali di ogni storia superiore.

Che cosa è la “civiltà-in-declino”, intesa come conseguenza logico-organica, come compimento e conclusione di una civiltà?

Una volta stabilito che inevitabilmente ogni civiltà termina in una “civiltà in declino” (“Zivilisation”), e che questa significa l’esaurirsi del suo complesso di possibilità, succedendo alla fase creativa come il divenuto segue al divenire, e la morte alla vita, il destino dell’Occidente è con ciò stesso determinato in maniera precisa, esauriente, definitiva.

L’Occidente è ormai entrato nella fase della “civiltà-in-declino”, e pertanto è prossimo al suo tramonto: esso sta per terminare la sua vita e per ritornare nell’ambito dell’umanità primitiva.

 

Sono note le critiche neopositiviste (in particolare da parte di Otto Neurath) e di Karl Popper alla filosofia della storia di Spengler.

Eppure, leggendolo, si avverte un senso d’inquietudine difficile da reprimere. Poiché risulta pur vero che nascita, apogeo, declino e morte di grandi civiltà formano l’ossatura stessa della storia (o, almeno, di quella umana).

Può darsi che la scelta del termine onnicomprensivo “civiltà” non sia felice, ed è anche plausibile pensare che la pretesa di determinare in modo esatto le varie fasi della sua parabola sia eccessiva.

Ciò non elimina la sensazione di trovarsi di fronte a un problema reale, ineludibile nonostante il linguaggio spesso barocco ed eccessivo utilizzato da Spengler per tematizzarlo.

 

 

 

Gli europei fanno a Trump promesse

di riarmo che non sanno

come mantenere.

 

Nicolaporro.it – Musso – (7 giugno 2025) – ci dice:

Gli Usa chiedono il 5% di spesa. La storia di quattro riunioni, tre Nato e una franco-italiana.

Dalle quali si desume che l’unica verità che sta in piedi è che il riarmo è incompatibile con la moneta unica.

 

Questa è la storia di quattro riunioni, tre Nato ed una franco-italiana.

Prima riunione: vertice Nato 24-25 giugno.

La prima riunione è quella che ancora deve esserci: il vertice Nato del 24-25 giugno, all’Aia.

Al quale molti alleati europei desiderano disperatamente Trump partecipi:

onde visivamente confermare l’impegno statunitense alla difesa militare del nostro Continente, che gli stessi temono essere in discussione.

 

Su tale desiderio ha giocato il nuovo ambasciatore statunitense presso la Nato, “Matthew Whitaker”, per convincerli che Trump avrebbe fatto il viaggio, solo a fronte di un loro impegno a soddisfare le di lui richieste:

 l’innalzamento della spesa militare di ciascun alleato europeo, al 5 per cento del Pil.

Ben al di sopra del 2, accettato dai governi Nato in Galles nel 2014 e da molti mai raggiunto.

Ciò che offrirebbe a Trump una notevole vittoria diplomatica, agli europei la loro vera e propria Canossa.

Seconda riunione: ministri difesa 5 giugno.

La seconda riunione è quella dei ministri della difesa Nato, svoltasi giovedì a Bruxelles.

Lì, è stato concordato un compromesso:

il 5 per cento verrebbe scomposto in un 3,5 per cento di spesa militare in senso stretto, nonché in 1,5 per cento di spesa civile ma legata alla difesa.

 E tale compromesso è parso abbastanza a Trump per confermare la propria presenza all’Aia.

 

Ma tali numeri significano nulla, senza adeguata qualificazione.

 Anzitutto, cosa si intende per spesa civile ma legata alla difesa?

 Roma propone di includervi la spesa per la lotta all’immigrazione;

Madrid la spesa per la prevenzione contro i disastri climatici.

Ad entrambe risponde l’ambasciatore” Whitaker”, che “non è un punto in cui puoi mettere tutto ciò che ti viene in mente”.

Infatti, esisterebbe una lista di 500 interventi necessari a facilitare la mobilità delle truppe sul Continente (lista ignota al pubblico dibattito, in quanto classificata top secret).

 

In secondo luogo, quando tali obiettivi dovrebbero essere raggiunti?

 Il segretario Nato Mark Rutte dice nel 2032, Roma rinvierebbe al 2035, i Baltici anticiperebbero al 2030.

 

In terzo luogo, non si tratterebbe di un mero obiettivo finale, bensì verrebbero introdotti step intermedi, a garantire che le promesse siano mantenute.

 Così “Whitaker”: un “piano credibile per arrivare al 5 per cento”. Ed ancora: “questo non sarà solo una promessa (pledge), sarà un impegno (commitment)”.

 

Terza riunione: formato Ramstein 5 giugno.

La terza riunione è quella dei ministri della difesa del gruppo di contatto per il coordinamento dell’assistenza militare all’Ucraina, detto formato Ramstein.

Svoltasi sempre giovedì a Bruxelles, ma stavolta in assenza del segretario alla difesa Usa “Pete Hegseth”.

 Così “Whitaker”:

“Contiamo sul fatto che l’Europa assuma una posizione di leadership nel fornire all’Ucraina le risorse e il capitale politico necessari per raggiungere una pace duratura”.

 Laddove, per risorse si intendono “fondi”, ma anche “armi & munizioni”.

 

Il che significherà, per gli alleati europei, un ulteriore peso finanziario, oltre a quello del riarmo proprio suddetto (ed oltre a quello della ricostruzione dell’Ucraina, ad armistizio fatto).

 

C’è da far esplodere i bilanci pubblici dei nostri Stati? Sì, c’è.

Citiamo “Le Figaro” secondo il quale, a Parigi, “nessuno ha la benché minima idea di come finanziare quello che sarà un più che raddoppio del bilancio militare francese”.

Ma citiamo pure l’ottimo ministro Guido Crosetto il quale, giovedì, ha candidamente ammesso di aver raggiunto il 2 per cento, solo in virtù di una riclassificazione contabile, senza nuove spese.

 

La quarta: Macrone & Meloni 3 giugno.

La quarta riunione è quella di Meloni & Macrone, martedì a Roma. Basta scorrerne il comunicato congiunto, per notare un affastellarsi di espressioni diplomatiche di mancato accordo.

 

Ad esempio, “il sostegno incrollabile e senza esitazioni di Francia e Italia all’Ucraina ancora più necessario per raggiungere una soluzione equa e duratura”, senza il benché minimo riferimento alle ambizioni dei volonterosi: a marcare la persistenza di una distanza siderale.

Oppure, “l’incontro ha offerto l’opportunità di affrontare” Medio Oriente (aka Israele) e Libia: a marcare, pure qui, la stessa distanza siderale.

Oppure ancora, “l’incontro ha offerto l’opportunità … di coordinare le proprie posizioni in tema di relazioni transatlantiche, nonché sulla sicurezza economica e commerciale”: a marcare che manca piena comprensione reciproca pure in materia di dazi.

 

Infine, “Francia e Italia sono inoltre determinate a collaborare nella preparazione del prossimo Consiglio europeo e, più in generale, sul prossimo quadro finanziario pluriennale, sulla migrazione, sull’allargamento e sulle riforme”.

Il che letteralmente significa che, in tutti e quattro questi temi, non esiste accordo.

 In particolare, qui ci interessa il tema delle spese per la difesa:

 il quadro finanziario pluriennale sono i soldi della Ue, quelli a bilancio; ma se manca un accordo sui soldi a bilancio, figurarsi su quelli fuori bilancio.

In altri termini, Parigi e Roma non sanno nemmeno come proporre alla Ue di finanziare quelle spese militari (per il riarmo proprio, per il riarmo dell’Ucraina, per la ricostruzione dell’Ucraina) destinate a far esplodere i loro bilanci pubblici.

C’è da stupirsene? No, affatto.

 

I fondi europei non esistono.

Non c’è affatto da stupirsene, in quanto è stranoto a chiunque abbia gli occhi, che nel nuovo Bundestag tedesco “AfD” e “Linke” dispongono dei voti necessari per bloccare qualunque nuovo fondo europeo per la difesa.

Ma, a rifiutarlo, sono pure i partiti di governo.

Basti scorrere il loro accordo di coalizione:

 

Si tratta, in particolare, del rafforzamento della capacità europea di sicurezza e di difesa e dell’aumento della competitività dell’UE.

 In primo luogo, gli Stati membri sono responsabili del finanziamento di questi obiettivi.

Nell’interesse di finanze stabili e in conformità con i trattati europei, la Germania non rimane responsabile per le passività di altri Stati membri. I finanziamenti al di fuori del bilancio dell’UE devono rimanere l’eccezione.

 

Le balle di Bankitalia.

Sicché, davvero non si comprende perché tanti osservatori italici teoricamente autorevoli, continuino ad immolarsi sull’altare di fantasmagorici eurobond per la difesa che non ci saranno mai e poi mai.

E passi per l’ex ambasciatore “Piero Benassi”, che almeno è fuori servizio.

 Ma non passi affatto per il governatore di Bankitalia “Fabio Panetta”, in carica (!):

 

Nel nuovo contesto internazionale, è emersa la necessità di rafforzare la capacità di difesa europea.

 Si tratta di un obiettivo che richiede una strategia condivisa tra gli Stati membri, una solida governance comune e investimenti ingenti.

La proposta della Commissione si basa su fondi nazionali e prestiti, anziché su spese europee e trasferimenti finanziati con risorse comuni. Questo approccio rischia di accrescere le disuguaglianze tra Paesi e di ridurre l’efficacia della spesa.

Occorre invece un programma unitario, sostenuto da debito europeo.

Perché, ci chiediamo, perché un governatore in carica deve declinare simili periodi della impossibilità?

 Come può egli affermare possibili simili impossibili?

 Tanto valeva descrivesse unicorni, parlasse di un amico suo “ittio centauro”, promettesse l’arrivo degli “onoceti”.

 

Conclusioni.

La verità, l’unica ipotesi di verità che sta in piedi, è che il riarmo è incompatibile con la moneta unica.

Lo aveva capito persino” Sergio Mattarella”.

 

Perciò, noi che amiamo la Nato, amavamo la Cee e detestiamo la Ue, speriamo fortissimamente che Trump abbia partita vinta e ci imponga un riarmo immenso e rapidissimo.

Così da trovarsi molto presto ben riarmati e con in tasca la Lira italiana. Atlantici sempre, europeisti mai.

 

 

 

TRAMONTO DELL’OCCIDENTE?

 Opinione.it - Renato Cristin – (07 febbraio 2025) – ci dice:

 

Tramonto dell’Occidente?

Pubblichiamo il testo integrale della lectio magistralis tenuta a Piacenza il 26 gennaio 2025 in occasione della IX edizione del Festival della Cultura della Libertà dal titolo: “Libertà educativa, meno Stato, più società”. 

 

Secondo il metodo filosofico di Platone, ripreso da Aristotele, per comprendere e spiegare un oggetto o un problema è necessario ricondurlo a unità (synagoge) e scomporlo poi nelle sue parti (diairesis), ed eventualmente proseguire l’operazione secondo il medesimo schema.

 È evidente, per ragioni di tempo, che non posso applicare qui questa regola, tanto più perché sto per trattare un oggetto gigantesco per quantità e qualità, e quindi dovrò assumere che Occidente sia un concetto sufficientemente condiviso nonostante la pluralità di interpretazioni, e sufficientemente definito nonostante la sua complessità.

 

Già, la sua complessità.

 Infatti, analogamente a come affermava Aristotele riguardo al concetto di «essere», si può dire l’Occidente in molti modi: “pollachos legetai”.

Lo si può dire in molti modi, non solo perché contiene una pluralità di determinazioni, ma anche perché è stato determinato in vari modi a seconda della prospettiva dalla quale è stato considerato ed elaborato.

 

Occidente è dunque un concetto che si articola e si sviluppa in molti versi, un concetto che può declinarsi al plurale senza però perdere quel nucleo identitario che gli conferisce unità e che consiste nella sedimentazione delle idee fondamentali etiche, religiose, gnoseologiche, estetiche e politiche, che costituiscono la peculiarità della sua cultura rispetto a tutte le altre e che formano quello che possiamo chiamare il canone occidentale.

Per elaborare la questione specifica che mi è stata posta con il titolo di questa relazione, se cioè l’Occidente stia tramontando, vorrei iniziare enunciando una tesi.

 Ritengo che l’Occidente si fondi su sei pilastri principali:

anima, spirito, libertà, verità, natura e tecnica, che esprimono rispettivamente il nucleo dell’esistenza e della coscienza individuale, il senso del sacro o della religione, l’anelito alla libertà e la ricerca della verità, la cura della natura e l’essenza tecnica dell’uomo.

 Se da questa struttura, che potremmo chiamare l’esagono occidentale, togliamo anche una sola di queste colonne, l’edificio collasserà.

Incriniamone una, e la struttura inizierà a franare.

Nel primo caso ci sarà un crollo devastante, nel secondo (l’incrinatura) si avvierà uno smottamento dall’esito incerto, perché ci sarà tempo e quindi modo per intervenire.

 

Nelle profondità cosmogoniche della storia occidentale troviamo quello che è il principale mito di fondazione della grecità, secondo il quale Prometeo dona agli uomini il fuoco e il sapere tecnico per usarlo, i quali però si rivelano insufficienti perché agli uomini mancava lo spirito, quell’elemento che permettesse loro di convivere secondo le leggi e nel rispetto del sacro; gli mancava l’anima, senza la quale la natura sarebbe vuota e la conoscenza sarebbe cieca.

 

Nella versione platonica di questo celebre mito, Zeus allora interviene, donando agli uomini i due elementi fondamentali per la loro vita sociale, “dike” e “aidos”, cioè il senso della giustizia e quello del rispetto (dell’onore o del pudore), senza i quali il fuoco e la tecnica sono insufficienti per la coesistenza umana.

 Ecco dunque che la natura e la tecnica devono essere accompagnate e anzi guidate dallo spirito umano che, nel caso della vita sociale, si manifesta nella politica, nella “politike techne”, che non rappresenta una mera tecnica bensì costituisce l’essenza della ragione umana sul piano dell’esistenza collettiva configurata anche in senso istituzionale:

dall’anima educata secondo giustizia e onore nasce la democrazia, che – nella sua forma originaria e ideale – rappresenta lo spazio in cui gli uomini cercano la verità dei discorsi ed esercitano la libertà del giudizio individuale.

 E tutto ciò nel rispetto del sacro e della naturalità del mondo circostante.

 Queste sono le condizioni di partenza della civiltà occidentale, sulle quali si sono innestati il patrimonio giuridico romano e il contributo morale della religione cristiana, anche nel suo intreccio con quella ebraica rappresentato da San Paolo, e poi via via tutti gli altri grandi movimenti di idee e di sapienza dell’età medievale e moderna.

 

Oggi, un’analisi strutturale della tenuta di quegli antichi pilastri concettuali evidenzierebbe, oltre a normali modifiche sopravvenute nel corso dei secoli, anche preoccupanti lesioni, fenditure causate da errori nell’uso dei concetti e da fraintendimenti nella loro interpretazione, entrambi – errori ed equivoci – a loro volta generati da variazioni di prospettiva e di obiettivi, cambiamenti talvolta radicali rispetto all’essenza di quei concetti, che pur con la necessaria relativizzazione storica dovrebbero rimanere inalterati.

 

A peggiorare la situazione, si sta instaurando oggi una mancanza di finalità, un’inquietante assenza di “telos”:

 smarrito il fine, abbiamo perso l’orientamento.

Emerge una sorta di nihilismo pervasivo e al tempo stesso non percepito come tale.

Disorientati in tutte le dimensioni dell’esistenza, procediamo a tentoni credendo però – e questo è l’autoinganno più drammatico – di avanzare con sicurezza.

 

L’esempio più eclatante di questa mancanza di finalità si osserva nella tecnoscienza, riguardo alla quale l’autoinganno risalta in modo addirittura contundente.

La crisi che ci avvolge riguarda tutte le dimensioni della vita e dello spirito, dalla religione alla politica, dalla cultura all’educazione, dall’arte al pensiero.

Gli unici campi che, in apparenza, non sembrano in crisi sono la scienza e la tecnica, perché stanno procedendo tanto rapidamente e con tale efficacia come se fossero immuni da tutto, ma in realtà anche la tecnoscienza è, sia pure in forma diversa, in crisi.

La differenza è che negli altri ambiti a essere in crisi non sono i princìpi (o i valori) ma le loro applicazioni, mentre nella tecnoscienza a essere in crisi (anche se essa non se ne rende conto) sono i princìpi nella loro versione moderna, non le applicazioni, che appunto la fanno sembrare in piena integrità.

Un abbaglio dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche.

 

La crisi dei fondamenti delle scienze che un secolo fa “Edmund Husserl” aveva individuato e denunciato non è scomparsa, anzi, per molti aspetti è diventata cronica e al tempo stesso più acuta.

La scienza si è degradata a mera tecnica, smarrendo ogni orizzonte strategico e riducendo la sua visione a mera tattica. L’efficacia operativa istantanea ha fatto scomparire la finalità etica di lungo periodo: è svanito il “telos storico” ed è rimasto solo l’”utile pragmatico.

La tecnoscienza oggi si muove senza alcun fine trascendente, incapsulata nella sua mera immanenza pragmatica. E sta correndo verso un baratro ancora peggiore, nel quale l’obiettivo sarà consegnato alla convenienza, nemmeno più all’utilità.

 

La crescita della tecnica è direttamente proporzionale alla debolezza dell’anima, alla crisi dello spirito.

Non si tratta però di rifiutare la scienza, né di demonizzare la tecnica, tanto più perché quest’ultima si è sviluppata in simbiosi con l’evoluzione umana.

Per l’uomo, infatti, la tecnica è come la propria ombra, che lo segue sempre e di cui egli non può sbarazzarsi, perché l’ombra è la traccia simbolica della sua essenza umana: finitezza e persistenza.

Ma il rischio, tanto maggiore in quanto implica la disgregazione dello spirito occidentale, è che la tecnica si renda autonoma dall’uomo, allontanandolo da se stesso, in un paradossale processo di auto estraneazione.

La tecnica autonomizzata sfocia nell’automa antropologico.

Quando la tecnica smette di essere un mezzo e diventa un fine, l’umano ha non solo perduto il controllo su di essa ma ha anche smarrito sé stesso.

 In questo modo si arriva alla tecnica senza uomo e si avvia il percorso per arrivare all’uomo senza l’umano, paradosso estremo e finale.

Poiché l’uomo ha annullato o ammutolito la voce della coscienza, gli resta soltanto l’algoritmo della tecnoscienza.

 

Per l’Occidente, questo possibile disastro discende anche dalla perdita di uno dei fondamentali aspetti della nostra civiltà, cioè dalla rescissione del legame originario con la tradizione religiosa ebraico-cristiana e con quella sfera etica alla quale, pur con mille oscillazioni, la politica ha sempre fatto riferimento.

 

Tanto meno la sfera etico-religiosa conta nella società, tanto più la tecnoscienza assurge a faro della vita collettiva, attirando a sé la mente delle persone, che si affidano ad essa con una fede analoga a quella religiosa.

 In questo modo, la tecnoscienza da un lato acquisisce in modo indebito una dimensione di altro genere (cioè la fede) che è essenzialmente incompatibile con essa, e dall’altro lato perde un aspetto che ne aveva pervaso l’origine, e cioè il carattere di ricerca libera ma pur sempre sottoposta al giudizio morale.

 Oggi invece gli scienziati o almeno molti di essi vorrebbero anche dettare legge nelle scelte della politica e dell’etica.

 

Ed è sulla propria ambiguità o “anfibietà” che la tecnoscienza fa leva per trasformarsi nel demiurgo della nuova epoca storica:

poiché le scoperte scientifiche e le loro applicazioni possiedono, oggettivamente, molti aspetti utili per la crescita dell’umanità, allora tutto il lavoro, i prodotti e gli atti della scienza sarebbero indiscutibilmente positivi.

E ciò che non è in discussione è, per definizione, assoluto.

 Ma il fatto che la scienza sia in molti casi salvatrice, non implica che essa non possa anche essere, se non viene guidata, distruttiva.

 

Quando gli scienziati dicono che bisogna credere nella scienza, diventano sacerdoti di una falsa religione, e smettono di essere scienziati nel senso autentico del concetto, e quando i politici esprimono la medesima credenza incondizionata nella scienza, si alimenta lo scientismo, la degenerazione della scienza in una forma di burocrazia dittatoriale; e a sua volta lo scientismo opera per asservire le persone a sé come la stregoneria faceva a dispetto sia della scienza autentica sia della religione.

 

Così, le tecnologie d’avanguardia rappresentano il catalizzatore di questa credenza.

 Per esempio, la cosiddetta intelligenza artificiale (una denominazione che è un obbrobrio concettuale, un ossimoro mentale) potrebbe diventare il più evocativo totem del settarismo scientifico che si sta manifestando.

Anche nel caso dell’intelligenza artificiale, ci possono essere alcuni aspetti positivi di carattere meramente strumentale, ma la dinamica interna alla scienza contemporanea tende a farli affondare nei flutti della sua volontà di dominio.

 

Questo neo-paganesimo tecnoscientifico disintegra la religiosità autentica smantellando l’influsso della tradizione ebraico-cristiana, e annienta la coscienza personale come condizione di possibilità di una critica della tecnoscienza.

Così, la sacralità della persona come sacralità dell’essere umano viene ridotta a questione meramente funzionale.

Ne scaturisce l’idea che l’uomo non sia la sua coscienza ovvero la sua anima, bensì la serie delle sue operazioni scientificamente misurabili: tutto ciò che sfugge a questa misurabilità diventa superfluo.

 E così svanirebbe anche la scienza autentica, scomparirebbero i suoi princìpi originari, sostituiti dalle loro applicazioni tecniche.

 

In pericolo qui è non solo la verità a cui lo spirito occidentale ha da sempre anelato, ma anche la libertà, quella libertà che, come affermava Benedetto Croce, «è il principio supremo della vita morale e veramente umana, e non è conseguenza di altre cose, ma la premessa di tutte le altre».

Ma se soltanto la coscienza della libertà permette di giungere a questo riconoscimento, è solo la civiltà occidentale a pervenire a questa consapevolezza, perché lo spirito di questa civiltà ha posto fin dall’origine la libertà come premessa fondamentale della propria vita storica.

 Pur differenziandosi, come segnalava Constant, in antica e moderna, la libertà è stata e rimane – ancora Croce – il motore della storia occidentale.

 

Occorre però interpretarla correttamente, seguendo il solco crociano dell’intreccio fra libertà e responsabilità, nel quale la libertà di tutti si affianca alla responsabilità di ciascuno, perché altrimenti si rischia di ridurre la libertà a mero arbitrio o a semplice oggetto di propaganda, oppure di trasformarla in un feticcio, in un simulacro e, alla fine, di usurarne il concetto ridicolizzandone il nome.

 Infatti, per lo spirito occidentale la libertà non deve mai essere disgiunta dalla verità, mentre la propaganda o la sofistica sono, in sé, l’opposto della verità.

 

Per inciso, segnalo che dietro a questa degradazione del concetto di libertà si cela un problema enorme, benché sotterraneo, costituito dalla perdita del senso delle parole, dallo svilimento del linguaggio, da un analfabetismo transgenerazionale (primario o anche di ritorno) che affligge la nostra contemporaneità.

 L’Occidente potrebbe liquefarsi per inflazione linguistica causata dall’immiserimento del linguaggio.

 

L’erosione dunque di quei pilastri originari, la debolezza dello spirito che abdica in favore della scienza, l’incapacità della politica di essere all’altezza della sua essenza e di governare la tecnica, la trasformazione della verità e della libertà in opinione e anarchia, tutto ciò genera una condizione di asfissia, nella quale l’Occidente sembra sempre più soffocare.

 

A poco più di un secolo dalla pubblicazione dell’edizione definitiva del” Tramonto dell’Occidente” di “Oswald Spengler” e a novant’anni esatti dalla conferenza che “Edmund Husserl” tenne a Vienna sulla” Crisi delle scienze europee”, lo scenario geopolitico è cambiato radicalmente, ma quello spirituale e culturale è ancora identico nella sua essenza.

 Spengler riteneva che la civiltà occidentale stesse giungendo al termine e, con sguardo neutrale quasi da naturalista, lo considerava come analogo agli altri epiloghi delle grandi civiltà e ne ravvisava l’inevitabilità.

“Husserl “invece guarda con estrema preoccupazione alla decadenza dello spirito europeo, alla perdita della ragione (la cui accezione originaria di logos e theorein è stata stravolta dal razionalismo illuministico, pur con tutti gli altri imperituri meriti dell’Aufklärung, dell’Illuminismo) e allo smarrimento del telos che caratterizza la missione storica della civiltà occidentale, individuando la soluzione proprio nel recupero dell’origine e del telos in essa annunciato.

 

Atteggiamenti differenti, prospettive diverse, intenzioni divergenti.

 Ma sia Spengler sia Husserl avevano ben chiare le cause:

 l’Occidente sta decadendo per inerzia, per aver lasciato esaurire le sue fonti, che secondo Spengler si trovavano nella potenza pre-culturale dei suoi popoli, mentre secondo Husserl erano insite nella forza per così dire visionaria ovvero teoretica del pensiero greco e nella connessa ricerca del senso.

Per Spengler l’Occidente decade quando la Kultur diventa Zivilisation; per Husserl svanisce quando il pensiero si trasforma da intuizione in intelletto, da eidos in Verstand, smarrendo il Sinn, il senso.

 

In entrambi i casi però il punto critico consiste nella razionalizzazione, in quel processo di conformazione della pluralità dell’esperienza all’unicità della razionalità e di semplificazione della complessità del mondo a mera efficienza pragmatica.

Questo processo epistemologico, analogo a quello che sul piano spirituale è il processo di secolarizzazione, può sfociare nel caos tecnocratico oppure può essere governato dalla politica.

Il finale non è ancora scritto.

 

In natura, il tramonto è spesso uno spettacolo meraviglioso. Nella cultura, può essere talvolta tragicamente grandioso, malinconicamente epico. Posto che il tramonto sia quello della civiltà occidentale, cosa facciamo? Assistiamo allo spettacolo?

Qualcuno è straziato dal dolore, altri guardano con piacere, alcuni ne traggono profitto, altri ancora agiscono per accelerare il declino, altri preferiscono contrastarlo, pur nella consapevolezza delle difficoltà.

Stoicamente, come suggerisce Spengler:

 «Siamo nati in questo tempo e dobbiamo percorrere coraggiosamente sino alla fine la via che ci è destinata. È dovere tener fermo sulle posizioni perdute, anche se non c’è più speranza né salvezza. Tener fermo come quel soldato romano le cui gambe furono trovate a Pompei davanti a una porta: egli morì perché quando scoppiò l’eruzione del Vesuvio, il comandante si dimenticò di rilevarlo dal suo posto. Questa onorevole fine è l’unica che non si può togliere all’uomo».

Oppure unendo stoicismo e attivismo, come propone Husserl:

 «La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa, nell’estraneazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo.

 Il maggior pericolo dell’Europa è la stanchezza. Combattiamo contro questo pericolo estremo, da “buoni europei”, con quella fortezza d’animo che non teme nemmeno una lotta destinata a durare in eterno».

 

C’è chi – come abbiamo visto nell’esempio della tecnoscienza – sta, forse anche inconsapevolmente, erodendo l’Occidente dall’interno.

 E poi, c’è chi lo teme e chi lo auspica; chi lo difende e chi lo combatte.

E tutto ciò avviene sia all’esterno sia all’interno dello spazio occidentale.

 

Nella più specifica prospettiva geopolitica e geoculturale, oggi l’Occidente si trova – letteralmente – sotto assedio; un assedio anomalo e anche paradossale, perché proviene appunto sia da fuori sia da dentro.

 Ribadito il fatto che l’Occidente è una dimensione composita e quindi non facilmente descrivibile in modo sintetico sotto il profilo politico-sociale, spiccano in particolare due tipi di aggressioni interne e due tipi esterni.

 

All’interno, da sinistra, agiscono la “cancel culture”, l’”ideologia woke” e più in generale il progressismo tendente a un marcato controllo sociale fin nell’uso del linguaggio.

 La “cancel culture” è pervasa di ideologia marxista terzomondista ma è anche intrisa di conformismo paraideologico e quindi è una sorta di moda culturale, e come tale è esposta all’usura del tempo, tanto che oggi la sua curva sembra in flessione, pur mantenendo tutta la velenosità che ha pervaso non solo i movimenti ma perfino le istituzioni.

Dalla parte opposta opera una pseudo destra antiamericana e filorussa, una tendenza che è presente oggi in forma trasversale nello scenario politico, che vede l’Occidente come un mondo in putrefazione e spera che l’eurasianismo putiniano lo spazzi finalmente via.

 

In entrambi i poli di questo antioccidentalismo interno vige un preciso rifiuto del liberalismo:

 a sinistra viene respinto soprattutto il liberismo economico e in misura meno accentuata il liberalismo sociale;

 a destra (ma insisto: pseudo destra) viene rigettato il liberalismo sociale e culturale, mentre quello economico viene in buona parte accolto.

 La sinistra liberal è socialista in economia, la (pseudo) destra tradizionalista è liberista ma è illiberale in campo socioculturale. In entrambe le aree, a essere avversato dunque è il senso pieno e autentico del liberalismo.

Dall’esterno, si concentrano sul mondo occidentale vecchie e nuove potenze economiche e militari che, da differenti premesse e con diverse motivazioni, mirano tutte all’indebolimento del campo occidentale.

 

Il gruppo dei Brics è minaccioso sul piano finanziario, ma è troppo eterogeneo per esserlo anche sul piano politico, e quindi, almeno a medio termine, resta sostanzialmente inerte nello scacchiere strategico globale.

Invece attivo e mortalmente pericoloso sul piano geopolitico è l’asse” Russia-Cina-Iran”, mentre l’altro acerrimo nemico, cioè il “fondamentalismo islamico sunnita”, per varie ragioni fra cui la sua frammentazione e la nostra azione di contenimento, non è per ora altrettanto efficace quanto l’asse sopraindicato, nel quale è oggi incluso il fondamentalismo sciita (Iran e affini).

Tuttavia, non va trascurata la penetrazione sottotraccia di islamisti radicalizzati nel territorio europeo, la quale si innesta su un terreno favorevole costituito da folti strati di immigrati musulmani.

 Al di là degli attentati, già subìti e sempre incombenti, la presenza dell’islam radicale in Europa è diffusa in modo pulviscolare e capillare, come si vede dalla situazione nelle periferie francesi o belghe, e non solo, dove si sono formate enclaves in cui vige di fatto la legge islamica.

Terreno di coltura per terroristi, attuali e potenziali.

 

E a proposito di terrorismo, gli attacchi del 7 ottobre in Israele e la guerra che hanno scatenato sono gli eventi più recenti di una lunga serie di provocazioni e conflitti che l’Iran, supportato più o meno occultamente dalla Russia, insieme ai suoi più piccoli satelliti ha sferrato contro lo Stato ebraico, nell’ottica di una strategia di vasta portata e a lungo termine.

 

Ripensando agli ultimi due decenni, vedo diversi stress test significativi, volti a saggiare le capacità di reazione e di difesa del mondo occidentale. Ne elencherò rapidamente alcuni.

Il primo si è diffuso nel tempo e nello spazio, nasce dall’integralismo islamico e si è configurato nella forma degli attentati terroristici, a partire dall’11 settembre, per giungere alle ondate in Europa e in Israele.

Quegli attacchi alla civiltà occidentale hanno avuto anche lo scopo di mettere alla prova la reazione dei governi e della popolazione all’aggressione islamica, incoraggiata anche dall'immigrazione massiccia e incontrollata in Europa.

 

Il secondo test è la penetrazione cinese e russa in varie aree del mondo (dall’Asia al Sudamerica), che rappresenta un tentativo sia di espandere la propria sfera di influenza sia di minacciare gli Stati Uniti, in quanto nucleo forte dell’Occidente, perfino sul suolo stesso del continente americano, per vedere quanto Washington tolleri questa invasione sottotraccia e quindi fino a che punto sia docile o condiscendente.

 

Un terzo tentativo è consistito nell’esplosione della pandemia causata dal virus cinese, uscito dal laboratorio di Wuhan con l’intento palesemente nascosto (mi si perdoni l’ossimoro) di verificare come il sistema sociale e politico dei Paesi occidentali possa resistere a crisi sanitarie così gravi;

in che misura siamo disposti ad attuare misure tiranniche per controllarle, e fino a che punto la popolazione sia disposta a sottomettersi, contro la propria libertà e le garanzie che la tutelano.

Concretamente, il test pandemico è servito ai nemici, esterni e interni, dell’Occidente a produrre caos, a snervare la popolazione, a individuare possibili quinte colonne, a sondare le capacità di reazione e a valutare le conoscenze dei paesi occidentali per trattare una pandemia dal punto di vista sia medico-sanitario sia organizzativo (le oscure missioni dei militari russi e degli specialisti cinesi in Italia nel marzo del 2020 sono un inquietante esempio di questa subdola strategia).

È accaduto che, per ironico paradosso, con le misure restrittive delle libertà individuali – dalla vaccinazione obbligatoria al lasciapassare sanitario – i governi occidentali, tutti liberaldemocratici, abbiano adottato la medesima prassi illiberale della Cina comunista.

Con conseguenze devastanti sul piano sociale e psichico, perché se in Cina le persone sono abituate a tollerare molte restrizioni alle loro libertà personali (certo, assai meno di quanto accadeva con il maoismo, ma pur tuttavia ancora con una certa remissività) e quindi le assurde misure coercitive sono state accettate senza eccessivi sconquassi socio-psicologici, in Occidente siamo ancora – ed è un bene che sia così – molto reattivi dinanzi a imposizioni governative che toccano e limitano la libertà del pensiero e dell’espressione, della mente e del corpo, e quindi i soprusi e gli abusi che i governi ci hanno fatto – inutilmente – subire in quella circostanza hanno sconvolto la vita collettiva e la psiche stessa degli individui, colpendoli nel profondo, squilibrandone l’esistenza, causando sconcerto, disorientamento, paura e rabbia.

 Monito dunque ai governanti: guai a toccare con tale violenza l’interiorità e il corpo delle persone, perché si provocano danni incalcolabili e reazioni imprevedibili.

 

La gestione della pandemia ha svelato molti punti deboli: la fragilità delle società occidentali, la facilità con cui in esse si possono instaurare meccanismi dispotici che sequestrano le libertà individuali, l’inadeguatezza di un certo liberalismo e di un certo conservatorismo rispetto al giudizio sulla scienza e riguardo al rapporto fra politica e scienza, che in quella circostanza si è esplicato come un rapporto di sudditanza della prima nei confronti della seconda, contraddicendo così l’essenza di entrambe.

 

La scienza mitizzata diventa infatti un feticcio e finisce per contravvenire a uno dei fondamenti dell’idea stessa di scienza, cioè l’essere costantemente critica verso sé stessa;

e lo scientismo è l’anticamera del totalitarismo epistemico e un ottimo alleato per i dispotismi politici.

Combattere lo scientismo significa sia aiutare la politica a comprendere i rischi insiti nella burocratizzazione della scienza, sia salvare l’essenza della scienza da quella tendenza autoritaria e autofagica che la minaccia dall’interno.

 Ciò non implica scivolare nel fanatismo: anti-scientismo non è anti-scientificità, anzi, è una forma di difesa della scienza autentica.

 

Un ulteriore test è costituito dall’invasione dell'Ucraina.

L’ignobile aggressione russa, iniziata non a caso subito dopo il ritiro dell’Occidente dall’Afghanistan (fra parentesi: forse bisognerà prima o poi chiedere conto a Donald Trump del catastrofico esito degli accordi di Doha con i talebani), aveva cercato di decapitare il governo legittimo di Kyiv sostituendolo con uno fantoccio, come in Bielorussia, immaginando che di fronte al fatto compiuto l’Occidente avrebbe chiuso un occhio, o anche entrambi.

 Tuttavia, non è stato così, anche grazie alla massiccia e solidale reazione dei paesi della NATO.

 

Ma il sanguinoso test ucraino continua:

a Russia attacca via terra, la Cina sviluppa un’azione diplomatica fantasmatica, l’Iran sostiene materialmente l’attacco dalle retrovie, aggirando l’embargo occidentale.

L’attacco è multiforme e organizzato, come dimostra l’ingresso ufficiale della Corea del Nord sul terreno di battaglia.

L’antico espansionismo russo, che aveva visto con l’Unione Sovietica la sua massima realizzazione, è oggi ripreso – con una retorica nazionalista che unisce zarismo e sovietismo – dalla Russia di Putin, che continuerà nei tentativi di penetrare in Europa orientale saggiando allo stesso tempo la capacità di risposta della NATO.

 

Altro test, la guerra contro Israele, nella quale i ruoli della «triade» sono cambiati e si sono aggiunti altri attori, ma la sostanza rimane la stessa.

 L’Iran, attraverso “Hamas” e “Hezbollah”, ha attaccato via terra;

 la Russia ha sostenuto segretamente l’attacco coprendo i pasdaran iraniani in Siria, e la Cina continua ad agire secondo una diplomazia fittizia.

Da qualche settimana nello scenario mediorientale le cose sono cambiate, in meglio per l’Occidente, perché Israele ha rafforzato la sua posizione, l’Iran è fiaccato, i gruppi terroristici palestinesi e libanesi sono ridimensionati e per loro la Siria non è più zona franca, la Russia dovrà almeno parzialmente sloggiare dalle coste siriane, e l’Arabia Saudita sembra poter riprendere il cammino degli accordi con Israele.

 Ma la missione antioccidentale rimane la stessa: attaccare, dividere e indebolire.

 

E in questa chiave, le prossime mosse ipotizzabili sono:

in Asia, la pressione cinese su Taiwan;

in America Latina, maggiore penetrazione economica e militare da parte di Cina e Russia (l’Iran agisce soprattutto sul Venezuela e su alcuni paesi dell’America Centrale);

in Europa, la pressione russa sugli Stati baltici e sulla Polonia, con un possibile attacco al corridoio strategico di “Suwałki”, che separa l'enclave russa di Kaliningrad dalla Bielorussia.

 

Al di là delle più o meno facili ipotesi, la realtà è che l’Occidente è in guerra, trascinatovi da un nemico molteplice e multiforme, dislocato su vari quadranti e che sul terreno europeo è incarnato dalla Russia putiniana, che sta giorno dopo giorno non solo conquistando terreno in Ucraina ma anche acquisendo alleati fra i paesi europei.

Di fronte a tutto ciò, l’Occidente reagisce con geometrie variabili, con l’incognita statunitense attuale, talvolta perfino con la passività.

Uno dei problemi che lo assillano è il rapporto con quello che un tempo veniva detto terzo mondo, nei confronti del quale sembra sempre assumere un atteggiamento segnato da una sorta di senso di colpa proveniente dalla vulgata della teoria della decolonizzazione, secondo la quale, da ex-colonizzatori, gli occidentali dovrebbero farsi carico in modo integrale e in misura esorbitante dello sviluppo del terzo mondo.

 

Certo, il senso di colpa è, sia psicologicamente sia moralmente, un elemento elevato della coscienza, che le permette di valutare i propri errori e, nel caso, di espiarli, e quindi di perfezionarsi, anche sul piano storico-politico (per esempio, la colpa del nazismo per aver compiuto la Shoah va sempre ricordata e condannata, proprio perché non abbia più a ripetersi), ma quando degenera in maniacale, cinica o stolida autocolpevolizzazione, allora è un fattore nocivo.

 E da quasi un secolo questa autofustigazione è diventata uno dei temi preferiti della propaganda ideologica della sinistra, sia di quella dichiaratamente ostile all’Occidente sia di quella inconsciamente antioccidentale, finendo per costituire una delle maggiori zavorre che trascinano lo spirito occidentale verso la paralisi.

 

Oggetto di scontro sono oggi i «valori» della nostra civiltà, nella quale convive un’ampia varietà di virtù e princìpi, dei quali la libertà è, pur nella sua grande genericità, quello fondante e vitale.

I valori classici occidentali sono calpestati dall’interno (dalla sinistra legata al marxismo culturale e anche da quella forma di pseudo destra populista nettamente distante dal liberal conservatorismo) e strumentalizzati dall’esterno (la Russia neo sovietica di Putin che si proclama alfiere dei valori spirituali dell’Occidente è un insulto all’intelligenza oltre che un’ingiuria politica).

 

Come ho già accennato, il principio maggiormente bersagliato da questa anomala e, fino a qualche tempo fa, inconcepibile convergenza, è la libertà, insieme al paradigma che la dinamizza, cioè il liberalismo nella sua forma concettualmente e politicamente più raffinata che è il liberal conservatorismo.

 

Alcuni influenti settori del tradizionalismo cattolico sostengono che il liberalismo sia il male dell’Occidente, riferendosi non solo alle teorie liberals nordamericane, ma alla concezione liberale in generale.

 A questi tradizionalisti antiliberali e filorussi bisognerebbe spiegare che il liberalismo non è un male, anzi, è la soluzione politica e culturale delle varie patologie del mondo occidentale.

Ma temo che siano refrattari a qualsiasi spiegazione, tanto sono ottusamente incistati nel loro pregiudizio antiliberale.

 

D’altra parte, un certo libertarismo radicale – il quale se usato in modo intelligente resta un eccellente propulsore di libertà sul piano sociale e dei diritti civili – vagheggia la distruzione dello Stato definito come un’associazione a delinquere, a tal punto da sostenere – con un effetto grottesco perché causato da premesse del tutto differenti – la medesima tesi di Marx: l’estinzione o abolizione (dialetticamente: la Aufhebung) dello Stato.

Ma questo non è liberalismo.

In questo modo infatti si comprometterebbe la libertà individuale, perché, sia pure per eterogenesi dei fini, l’estinzione dello Stato non solo equivale all’obiettivo di lungo periodo teorizzato da Marx, ma ci farebbe ricadere, come abbiamo visto con il mito di fondazione greco, anche nella condizione di conflittualità precedente a quell’arrivo di “dike” e “aidos” che libera gli individui dal sopruso dell’arbitrio.

Certo, in molte circostanze storiche la libertà viene negata dallo Stato, spesso l’amministrazione statale è oppressiva e iniqua (e tutti noi avremmo centinaia di casi molto gravi da denunciare), ma il compito del liberalismo è di far sì che la libertà trovi nello Stato un alleato e un difensore, pur mantenendolo il più limitato possibile.

Compito difficile ma ineludibile.

 

Il titolo di questo convegno fornisce la chiave per comprendere il senso di questo complesso rapporto fra liberalismo e Stato: «meno Stato, più società».

Da qui quella che potremmo definire la regola aurea del liberalismo (e del libertarismo intelligente): libertà equivale a meno Stato e più società ovvero più individuo. Ecco, appunto, meno Stato, non zero Stato. Meno, non zero: una concezione minarchica dello Stato non deve mai diventare una concezione anarchica, che porta inevitabilmente alla scomparsa delle condizioni di possibilità della libertà sia teorica sia concreta, sia generale sia individuale.

 

Lo Stato e la proprietà privata non sono, in sé, antitetici, anzi; uno Stato virtuoso protegge la persona e la sua proprietà con l’autorità delle leggi. Certo, quando lo Stato deborda e si trasforma nel Leviatano, allora tutti sono minacciati, anche la proprietà privata è intaccata, ma la colpa qui è del potere politico che in quel momento governa. Lo statalismo è anche, di fatto, socialismo, il quale però non deriva dall’idea di Stato bensì da ideologie che si impadroniscono dello Stato stravolgendone il concetto.

 

Se per i totalitaristi lo Stato è l’entità suprema («tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato»: espressione mussoliniana che potrebbe perfettamente essere anche di Stalin, non di Lenin però, il quale rimane, almeno fino a Stato e rivoluzione (1918), nel solco marxiano), se per gli statalisti lo Stato è lo strumento per la statizzazione o nazionalizzazione dell’economia e della società (l’esempio del sistema scolastico che è al centro di questo convegno è, a tal proposito, perfettamente adatto), per i liberalconservatori (come pure per i libertari illuminati), esso è la quarta gamba di quel tavolo storico che include popolo, patria e nazione.

Su questo punto altamente controverso che è lo Stato, non possiamo non dirci crociani (con tutto il rispetto, la stima e anche l’affetto per Giovanni Gentile, che assegna invece molta più influenza alla gestione statale).

Che Croce non avesse compreso il senso autentico del liberismo, non inficia la sua posizione verso lo Stato, che potremmo definire monarchica.

 

Distinguendo patria da Stato, “Croce sostiene” che l’amor di patria esiste, mentre non vi può essere amore per lo Stato, perché quest’ultimo va servito e rispettato come qualcosa che è necessario, senza quel coinvolgimento spirituale e anche sentimentale con cui si guarda alla patria, ed è solo in virtù di questo amore per la patria che si possono osservare le leggi dello Stato, accettandole con un senso di dovere morale.

 Detto ciò, è evidente che per” Croce” lo Stato come struttura amministrativa è una figura storico-politica che ha una sua precisa necessità.

Se infatti, oltre ad essere limitato nella sua funzione, lo Stato è concepito come “Stato nazionale”, ovvero come sostanza vivente che racchiude un popolo, allora esso si consolida connettendosi con una figura superiore, la nazione appunto, che esprime la volontà di un popolo di unirsi e di riconoscersi nella propria nazione.

 

L’Occidente dunque potrebbe reggere l’urto dei nemici e l’usura della storia, proprio perché è un insieme di nazioni, che ne costituiscono l’ossatura originaria ed essenziale, che a sua volta si è strutturata storicamente sul concetto di patria e sul popolo che la determina. Forse la salvezza dell’insieme sovranazionale occidentale dipenderà dal virtuoso operare delle sue nazioni.

 

Il tramonto è una strada che può essere anche molto lunga, e oggi l’Occidente è a un passo dall’imboccarla.

Ma fino a quel momento è ancora in salvo, in crisi ma ancora vivo.

(Aggiornato il 10 febbraio 2025).

 

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