Siamo facilmente manipolabili.
Siamo
facilmente manipolabili.
Perché
Siamo Facilmente Condizionabili
e
Manipolabili: il Fenomeno
di
Rennes-le-Château.
Conoscenzealconfine.it
– (5 Giugno 2025) - Claudio Martinotti Doria – ci dice:
Molti
di noi dimostrano una vulnerabilità nei confronti del fascino dell’ignoto, del
mistero, del mito, ecc., che ci induce a rifugiarci in realtà parallele,
costrutti mentali confortevoli, dimensioni culturali e spirituali, e fenomeni
correlati, che ci affascinano e dilettano.
Non è
mia intenzione scrivere un breve saggio citando i vari autori e passaggi
storico culturali e sociali che ci hanno reso sempre più vulnerabili al
condizionamento, sia della propaganda che della disinformazione (spesso
interconnesse), il cui apogeo è stato raggiunto negli ultimi anni, nei quali
abbiamo assistito a fenomeni sociali e istituzionali che quasi nessuno poteva
prevedere nella loro gravità, estensione, e degenerazione.
Desidero
solo esprimere valutazioni, concetti e semplici considerazioni, in modo da
agevolare la lettura di chiunque si voglia approcciare a queste tematiche senza
particolare impegno intellettuale, non dico con leggerezza ma almeno senza
dover compiere particolari sforzi, come spesso accade con articoli autoriali
troppo eruditi e autoreferenziali.
Credo
sia ormai percezione diffusa che quanto avvenuto negli ultimi anni abbia
segnato un solco profondo nella nostra società cosiddetta “occidentale”, con
particolare riferimento a quella italica.
Spesso la tendenza a semplificare le
percezioni statistiche empiriche ci induce a usare frazionamenti eseguiti con
l’ “accetta”, per cui tendiamo ad affermare che ormai la popolazione italiana è
divisa a metà, tra coloro che sono ancora quasi totalmente condizionabili,
lobotomizzati dai media mainstream che si ostinano a utilizzare come fonte di
informazion e intrattenimento, e coloro che hanno acquisito un minimo di
consapevolezza e non sono più disposti accettare passivamente le versioni e
narrazioni ufficiali ma intendono recuperare porzioni di libertà e autonomia
esistenziale.
Le
percentuali certamente non sono quelle, anche se l’affluenza alle urne
ricalcherebbe queste valutazioni confermandone l’attendibilità.
Personalmente sono meno ottimista, riconosco
che l’esperienza maturata negli ultimi cinque anni abbia sicuramente indotto
molti a destarsi dall’ingenua fiducia nelle istituzioni, ma ritengo che il loro
numero in termini percentuali non sia così elevato.
Inoltre
i devastanti danni sociali e sanitari indotti nella popolazione hanno aumentato
esponenzialmente la solitudine, l’isolamento, la sofferenza, l’introversione,
l’asocialità, la confusione e l’ignoranza, ecc., rendendo sempre più difficile
comunicare e rapportarsi tra di noi in maniera sensata e costruttiva.
La
leadership politica a tutti i livelli continentali, salvo eccezioni, è
paradigmatica del degrado morale, intellettuale e culturale, che stiamo
vivendo, nostro malgrado, al punto tale che per mantenere le loro posizioni di
potere (apparente) devono ricorrere alla repressione del dissenso in tutti i
modi, anche i più paradossali, violenti e risibili.
Pur
non essendo la metà della popolazione che sta crescendo in consapevolezza e
coscienza è comunque già una massa critica tale da intimorire i detentori del
potere esecutivo, temendo di poter essere scaricati e sostituiti dai loro veri
datori di lavoro elitari, rendendoli sempre più disperati cinici e pericolosi
(in particolare guerrafondai, pur in assenza di consenso, eserciti e mezzi
militari).
Ma
sussiste ancora un pericolo anche tra coloro che fanno parte di questa massa
critica dissenziente e tendente alla consapevolezza, non essendosi sottratta a
sufficienza al rischio di manipolazione, mistificazione, condizionamento.
Mi
riferisco alla vulnerabilità di molti di noi nei confronti del fascino
dell’ignoto, del mistero, del mito, ecc., che ci induce a rifugiarci in realtà
parallele, costrutti mentali confortevoli, dimensioni culturali e spirituali, e
fenomeni correlati, che ci affascinano e dilettano, come una volta poteva
essere l’intrattenimento cinematografico o televisivo o letterario, che in
questi casi afferiscono alla sfera pseudostorica e misterica.
Faccio
un solo esempio che credo sia estremamente emblematico di quanto asserisco, il
fenomeno di Rennes-le-Château.
Il
fenomeno mitopoietico di Rennes-le-Château è stato esaustivamente demistificato
da autorevoli studiosi e ricercatori come Mario Iannaccone, Umberto Eco e
Mariano Tomatis nella prima e seconda decade del nuovo millennio, risalendo
alle origini e a tutti coloro che hanno contribuito a creare questo
ultrasecolare fenomeno mitologico moderno, dimostrandone l’inconsistenza dal
punto di vista storico, risalendo soprattutto a tutta la documentazione e i
passaggi storici di epoca più recente, dagli anni sessanta in poi.
Nonostante
questi accurati studi ormai disponibili da parecchi anni, continuano a essere
pubblicati centinaia di libri sull’argomento da parte di autori che con la
ricerca storica ben poco hanno a che fare, ma piuttosto si dedicano
all’immaginazione, voli pindarici, correlazioni personalizzate prive di
fondamento, associazioni culturali e fenomeniche inventate di sana pianta, ecc…
Oltre
a motivazioni inerenti all’irresistibile fascino del mistero (e alla faziosità
che ne deriva), che sarebbe meglio in questo caso definire “enigma”, credo che
a prevalere sia anche e soprattutto il desiderio di lucro e la fama che alcuni
autori hanno potuto ottenere, con la complicità di alcuni media compiacenti,
appagando in tal modo il proprio Ego.
Non ci
sarebbe nulla di grave se tutto si fosse limitato alla sfera
dell’intrattenimento immaginifico, delle ipotesi e congetture, della
letteratura romanzesca, senza pretendere di fornire una parvenza di storicità,
autenticità e autorevolezza agli eventi descritti e alle interpretazioni
elaborate sull’argomento.
Quasi
certamente coloro che si dedicano a scrivere su questi argomenti (e sono
migliaia) non hanno avuto il tempo e la volontà di documentarsi sul pregresso
(di notevole mole), soprattutto se riferito a ricercatori storici seri e
imparziali, ma semmai si basano sui pochi libri letti che erano nelle loro
corde, nei quali si sono identificati e dai quali sono partiti per le loro
elucubrazioni.
Se si parte da premesse e presupposti fasulli
non si può che pervenire ad altre falsificazioni e conclusioni errate.
Questo
approccio non è certamente storiografico e contribuisce solo ad aumentare la
confusione e falsificazione del fenomeno.
Questo
diffuso atteggiamento mentale è indicativo di quanto siamo vulnerabili
psicologicamente, di come certe fascinazioni esercitino su di noi un potere di
coinvolgimento emotivo cui non riusciamo a sottrarci.
Chi
detiene il vero potere dominante conosce queste nostre debolezze e ne
approfitta, quantomeno per distrarci e renderci inoffensivi.
Coloro
che dispongono degli strumenti culturali per demistificare la realtà li
dovrebbero applicare con coerenza, senza eccezioni, in tutti i settori dello
scibile umano, anche quelli che esercitano su di noi un fascino viscerale,
istintivo e insidioso cui difficilmente riusciamo a sottrarci.
Se
coltiviamo delle “credenze”, anche se non le definiremmo tali, non filtrate
dalla ricerca storica, critica e analitica, ci rendiamo vulnerabili alle
insidie che il potere sa esercitare più o meno abilmente, facendoci correre il
rischio di ricadere nuovamente in qualche nuova trappola che ci stanno tenendo,
con la beffa della nostra supponenza che ci fa ritenere di essere ormai
immunizzati a tali pericoli. Analogamente a colui che è stato truffato e
ritiene che ormai non cadrà mai più in un’altra truffa.
La
vita purtroppo lo smentirà.
(Cav.
Dottor Claudio Martinotti Doria).
(conoscenzealconfine.it).
Il
lavaggio del cervello:
che
cos’è e come funziona?
Rpstrategy.it
– (9 novembre 2022) – Dott. Igor Graziato – ci dice:
Il
lavaggio del cervello è un concetto piuttosto comune ma che trova ben poche
evidenze scientifiche.
La dura realtà da accettare è che tutti noi
siamo facilmente manipolabili se messi all’interno di alcune dinamiche
disfunzionali.
Il
lavaggio del cervello.
Lavaggio
del cervello: il controllo del pensiero e delle emozioni.
Per
lavaggio del cervello si intende un insieme di strategie psicologiche, di
carattere coercitivo, che perseguono l’obiettivo di produrre dei cambiamenti
profondi negli atteggiamenti, nelle convinzioni, nelle emozioni e nei
comportamenti di una persona.
Le
vittime del cosiddetto lavaggio del cervello sono ad esempio i prigionieri di
guerra, i membri di culti religiosi e delle sette.
L’espressione
lavaggio del cervello è di uso popolare e viene spesso utilizzata all’interno
di narrazioni come libri o film di genere thriller o fantascientifico.
In
realtà non esiste una definizione univoca su che cosa sia esattamente il
lavaggio del cervello malgrado questa espressione abbia avuto una larga
diffusione tra il pubblico.
Se da un lato è innegabile che esistano delle
tecniche manipolative d’altro canto parlare solo di lavaggio del cervello
risulta particolarmente fuorviante, riduttivo e questa espressione è priva di
una solida base scientifica.
Il
lavaggio del cervello una spiegazione rassicurante?
Il
suicidio di massa avvenuto a “Jonestown” negli Stati Uniti nel 1978 rappresenta
uno dei casi più aggancianti di manipolazione psicologica avvenuta all’interno
di una setta.
Come è
stato possibile “convincere” 900 persone a togliersi la vita semplicemente
perché il capo della setta” Jim Jones “ha ordinato di farlo?
Il
fascino che l’ipotesi del lavaggio del cervello suscita nelle persone è più che
comprensibile:
si
tratta infatti di una spiegazione semplice e per certi versi rassicurante.
Nell’immaginario comune le persone “normali” non si sarebbero mai conformate
nel seguire le follie deliranti di questo guru e quindi è impossibile che
qualcosa di simile possa accadere a tutti noi.
La
realtà è ben diversa e il conformismo può produrre effetti devastanti nei
gruppi sociali e ne abbiamo diversi esempi come il bullismo, il mobbing,
l’esclusione sociale, lo stigma e i pregiudizi verso le minoranze, fino ad
arrivare ai crimini efferati o alle dittature.
Pensare
che solo le persone con qualche fragilità possano finire all’interno di sette o
subire il “lavaggio del cervello” è quindi solo una spiegazione rassicurante
per placare l’ansia.
Nessuno
può dirsi immune a certe dinamiche soprattutto quando queste avvengono
all’interno di un gruppo sociale.
Infatti
le persone che sono vittima di sette, di maghi o di guru possono avere anche
un’istruzione universitaria, appartenere all’élite o rivestire posizioni
apicali, ma questo non è sufficiente per garantire loro una protezione rispetto
a certi contesti manipolativi.
È ben noto come alcuni decisori (anche
politici) abbiano subito il fascino dell’esoterismo, dei medium o di qualche
movimento pseudo-religioso e come questo possa aver influenzato le loro azioni.
Se
anche le persone che possiedono strumenti cognitivi e culturali finiscono per
subire una profonda manipolazione è evidente che la spiegazione del “lavaggio
del cervello” sia piuttosto superficiale e semplicistica.
L’esperimento
di “Milgram”: come trasformare una persona qualunque in un aguzzino.
Per il
senso comune è difficile accettare che una persona ritenuta normale possa
commettere degli atti violenti o aggressivi verso un suo simile.
Purtroppo,
le evidenze che sono emerse in questi anni, dimostrano proprio il contrario.
Non sono solo le persone considerate deboli o
fragili a subire l’influenza di un leader carismatico o di un guru, ma tutti
possono finire in queste dinamiche disfunzionali.
Nel
1961 lo “Stanley Milgram “creò un esperimento destinato a diventare un classico
della psicologia sociale.
Per analizzare il comportamento umano definì
le seguenti condizioni sperimentali coinvolgendo degli studenti universitari
privi di uno specifico tratto psicopatologico.
L’esperimento prevedeva che i partecipanti
ponessero delle domande a una persona che si trovava in un’altra stanza legata
a una poltrona e collegata a degli elettrodi.
Ogni
volta che il soggetto sbagliava gli studenti avevano l’ordine di aumentare
l’intensità della scossa elettrica.
Man
mano che l’esperimento proseguiva il soggetto provava sempre più dolore e le
sue urla e le richieste disperate di interrompere erano chiaramente udite dagli
studenti.
Inoltre
sulla manopola per regolare l’intensità della scossa elettrica era ben evidente
il livello di pericolosità e quindi il rischio per la salute a cui
sottoponevano l’altra persona.
In
realtà il soggetto che doveva rispondere alle domande era un attore e l’effetto
delle scosse elettriche era solo simulato, ma gli studenti non ne erano a
conoscenza.
Il
senso comune porterebbe a credere che di fronte alla sofferenza di un altro
essere umano una persona normale sarebbe portata subito ad interrompere la
somministrazione di scosse non solo dolorose, ma potenzialmente letali;
soprattutto se legate a un compito banale come il dover rispondere
correttamente a delle domande.
L’”esperimento di Milgram” diede dei risultati
completamente diversi.
I
partecipanti all’esperimento si erano conformati alle decisioni del leader,
avevano messo da parte velocemente i valori morali e la loro etica e annullato
ogni forma di empatia.
La scusa di tale comportamento fu una delle
più classiche ovvero “stavo facendo solo il mio dovere ed eseguivo gli ordini”.
L’obbedienza
all’autorità è una dinamica inquietante ma molto più semplice da realizzare di
quanto possiamo immaginare.
Non è
il caso quindi di tirare in ballo il concetto di lavaggio del cervello quanto
piuttosto di comprendere come il comportamento umano sia soggetto a variabili
alle volte molto più banali e per questa ragione molto più preoccupanti.
L'onda
e lavaggio del cervello.
L'onda
è un film del 2008 tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore “Todd Strasser”
liberamente ispirato a un esperimento di psicologia sociale.
Un
insegnate di liceo vuole dimostrare come nascono certe dinamiche autoritarie
creando lui stesso un esperimento sociale con la sua classe.
Fonda così un movimento basato sulla
disciplina, l'ordine e lo spirito di appartenenza di cui lui stesso diventa il
leader.
Sto
solo seguendo gli ordini!
Le
persone comuni svolgendo semplicemente il loro lavoro e senza mettere in
discussione una leadership autoritaria possono compiere degli atti violenti e
aggressivi verso un altro essere umano.
Anche quando gli effetti distruttivi del loro
comportamento divengono evidenti solo pochissime persone hanno la capacità di
fermarsi e di andare contro l’autorità.
Questo
tipo di dinamica può emergere in qualsiasi contesto anche nelle organizzazioni
di stampo cooperativo e non solo negli ambiti in cui la catena di comando e
gerarchica è ben definita.
I
luoghi comuni da sfatare sulla manipolazione mentale:
Solo
le persone fragili finiscono nelle sette!
Questa
convinzione è palesemente errata ma svolge una funzione rassicurante per la
maggior parte delle persone.
Le evidenze dimostrano come ogni persona
potenzialmente è a rischio di finire all’interno di una spirale manipolativa.
Il
lavaggio del cervello.
È un
concetto di senso comune che trova ben poche conferme a livello scientifico.
Più che di lavaggio del cervello bisogna accettare la realtà che la mente umana
possa subire delle manipolazioni profonde a causa del funzionamento dei
processi cognitivi, emozionali e relazionali.
La razionalità è per sua definizione limitata
e la mente è soggetta a processi euristici e bias.
In pratica il concetto del lavaggio del
cervello è una visione autoprotettiva che tende a svolgere una funzione
rassicurante.
Non
sono influenzato dalla pubblicità!
La
maggior parte delle persone crede che i comportamenti d’acquisto siano scevri
da qualsiasi influenza legata alla comunicazione.
In
realtà è evidente come la ripetizione ossessiva di un messaggio e l’uso di
alcune strategie di comunicazione e di marketing siano in grado di far emergere
dei bisogni latenti nelle persone.
Gli
influencer (che altro non sono che l’evoluzione del concetto di testimonial)
rappresentano un esempio di come sia possibile modificare le preferenze, le
aspettative e di conseguenza anche i comportamenti d’acquisto dei consumatori.
Non
attraverso una manipolazione mentale, come si credeva una volta, ma molto più
banalmente stimolando processi cognitivi, emozionali, motivazionali e sociali
già presenti nel consumatore.
Il
concetto di un consumatore passivo e manipolabile è ben lontano dalla realtà
dei fatti e distante dalle modalità di funzionamento mentale.
(Dott.
Igor Graziato).
La
Manipolazione, la Verità e
la
Chiave della Consapevolezza.
Respiroenergia.it
– (27 Novembre 2023) – Redazione – ci dice:
Manipolazione.
La
manipolazione è un argomento che tocca ognuno di noi, direttamente o
indirettamente, nel corso della nostra vita.
Viviamo
in un’epoca in cui siamo bombardati da informazioni da ogni angolo, e in questo
caos, la percezione della verità può diventare limitata.
Ogni
individuo, ogni entità, ogni media può spingerci verso la propria verità. Ma
che cos’è la verità? Esistono delle verità assolute? La risposta a questa
domanda è complessa e sfaccettata.
Intrigato
dalla stessa domanda,” Platone”, filosofo dell’antica Grecia, riteneva che al
di là del nostro mondo tangibile esistesse un regno di forme o idee pure.
Questo
pensiero mi ha portato a riflettere:
quanto di ciò che consideriamo vero è
semplicemente un’ombra di una verità più profonda?
D’altra parte, “Nietzsche”, con la sua audace
affermazione che la verità è intrinsecamente legata alla prospettiva
individuale, mi ha fatto domandare: quante delle mie “verità” sono state
plasmate dalla società, dalle mie esperienze o dai miei pregiudizi?
Mentre
ci sono certamente delle verità universali che sono indiscutibili, ci sono
anche molte “verità” che vengono presentate come tali, ma che sono in realtà
influenzate da opinioni, pregiudizi e interessi personali.
In
quest’epoca di sovraccarico informativo, la nostra mente ha una soglia di
attenzione limitata.
Siamo
spesso guidati verso ciò che dovremmo vedere, sentire o credere.
È qui
che entra in gioco la consapevolezza.
Attraverso
la mia personale esperienza con la meditazione e l’immersione nei suoni, ho
scoperto l’importanza di una pulizia mentale.
Il
silenzio, la riflessione e l’auto-analisi ci permettono di riconoscere e
comprendere chi siamo veramente.
Ho trovato una chiarezza che va oltre le
“ombre” di cui parlava Platone o le molteplici interpretazioni suggerite da
Nietzsche.
Questa
consapevolezza ci protegge dalla manipolazione esterna, poiché comprendiamo i
nostri veri valori e credenze.
Le
nostre ferite interne, quelle che potremmo nemmeno riconoscere, sono spesso ciò
che ci rende vulnerabili alla manipolazione.
Quando
qualcuno riconosce e sfrutta queste ferite, diventiamo facilmente manipolabili.
Tuttavia,
riconoscere che siamo tutti feriti in qualche modo, e che queste ferite non ci
definiscono, ci permette di guardare oltre e di proteggerci.
La mia
chiave di svolta è stata la consapevolezza.
Non
solo attraverso la lettura di libri che vanno dalle neuroscienze ai discorsi
dei guru, ma attraverso esperienze di vita reali.
La
teoria e l’istruzione sono fondamentali, ma la vera presenza e comprensione
vengono da esperienze vissute, da riflessioni profonde e da una continua
ricerca interiore.
In
conclusione, la consapevolezza è una potente arma contro la manipolazione.
Ci
permette di vedere al di là delle apparenze, di riconoscere la verità anche
quando è nascosta e di prendere decisioni informate e autentiche per la nostra
vita
La responsabilità di questa consapevolezza è
interamente nostra e, abbracciandola, possiamo vivere una vita più autentica e
libera.
La
Scienza dietro la Focalizzazione.
Focalizzazione
e Attenzione Selettiva.
Il
cervello umano, pur essendo un organo potentemente evoluto, ha delle risorse
limitate.
Di fronte a un bombardamento di informazioni,
deve usare l’attenzione selettiva per filtrare e concentrarsi su ciò che è
rilevante.
Questo meccanismo è evidenziato dall’“effetto
cocktail party”, dove, in mezzo al rumore, sentiamo il nostro nome e subito ci
focalizziamo su di esso.
Visione
Limitata.
Nonostante
il vasto campo visivo, solo una piccola area, chiamata “fovea”, permette una
visione dettagliata.
Questa
limitazione ci spinge a muovere costantemente gli occhi, cercando dettagli nel
nostro ambiente.
Multitasking.
Il
multitasking è un mito.
Anziché
gestire compiti simultaneamente, il cervello alterna l’attenzione tra essi,
spesso a discapito dell’efficienza.
Allenare
la Mente.
La neuroplasticità
ci mostra che, con la pratica, possiamo migliorare la nostra capacità di
focalizzazione. Tecniche come la meditazione possono affinare questa abilità,
rendendoci più presenti e attenti.
Incorporando
la scienza nella nostra comprensione di noi stessi, possiamo abbracciare la
consapevolezza con una base solida e informata, pronti a navigare nel mondo con
occhi aperti e menti chiare.
Meditazione
con i Suoni: Un’Esperienza Pratica.
La
meditazione con i suoni è una potente tecnica che utilizza le vibrazioni per
guidare la mente verso uno stato di profonda consapevolezza e rilassamento.
Ti
propongo una semplice esercitazione:
1.
Trova un luogo tranquillo dove puoi sederti o sdraiarti comodamente.
2.
Metti delle cuffie e ascolta un brano di suoni naturali o campane tibetane, che
puoi facilmente trovare online.
3.
Chiudi gli occhi e concentra la tua attenzione sul tuo respiro e sui suoni che
senti. Ogni volta che la tua mente inizia a vagare, delicatamente riportala al
tuo respiro e ai suoni.
4. Dopo
10-15 minuti, termina la meditazione e prenditi un momento per riflettere su
come ti senti.
La
maggior parte dei russi non vede
più
gli Stati Uniti come il loro
principale
nemico: sondaggio.
Zerohedge.com - Tyler Durden – (giu. 07, 2025) – ci
dice:
Un
nuovo sondaggio mostra che la maggior parte dei russi non considera più gli
Stati Uniti il loro nemico globale numero uno, il che suggerisce che la
posizione dell'amministrazione Trump sul conflitto in Ucraina è servita ad
ammorbidire l'opinione pubblica in Russia.
"Gli
Stati Uniti sono scesi dal primo al quarto posto in questa lista per la prima
volta in 20 anni di misurazioni", ha detto il sondaggista indipendente “Levada
Center” in un sondaggio appena pubblicato.
Tramite
“Reuters”.
I
primi tre paesi più ostili, secondo gli intervistati russi, sono stati nominati
Germania (55%), Regno Unito (49%) e Ucraina (43%).
È
interessante notare che ciò coincide con il ritorno di Trump alla Casa Bianca e
con le ripetute promesse di allentare la tensione e porre fine alla guerra in
Ucraina. Finora si è anche astenuto dalle richieste di imporre nuove sanzioni a
Mosca per dare maggiori possibilità ai negoziati di pace.
Allo
stesso tempo, sia il Regno Unito che la Germania hanno sollecitato una
"coalizione di volenterosi" per aumentare la spesa per la difesa e
presentare un fronte unito contro la Russia.
Berlino
e Londra sono diventate sempre più aggressive.
Tra i
precedenti sondaggi dell'opinione pubblica russa, le passate flessioni del
favore degli Stati Uniti hanno seguito la guerra russo-georgiana del 2008 e
l'annessione della Crimea nel 2014, e le conseguenti sanzioni e pressioni di
Washington.
Il
sondaggio del Levada Center mostra che i russi ritengono che i loro alleati più
stretti siano la Bielorussia (80%), la Cina (64%), il Kazakistan (36%), l'India
(32%) e la Corea del Nord (30%).
È
interessante notare che il sostegno dell'Iran è diminuito in modo
significativo, nonostante Teheran sia ora uno dei principali fornitori di droni
per l'esercito russo. Solo l'11% dei russi intervistati ha indicato l'Iran come
uno dei principali alleati, in calo rispetto al 22% del 2024.
Il “Centro
Levada” ha osservato che questo particolare sondaggio è stato condotto di
persona tra oltre 1.600 adulti russi dal 22 al 28 maggio.
Un'altra
osservazione generale è che probabilmente c'è una crescente stanchezza per la
guerra tra l'opinione pubblica russa.
Ben
oltre tre anni dopo l'inizio intenso della guerra in Ucraina, ci sono stime
cupe secondo cui centinaia di migliaia di giovani russi potrebbero essere stati
uccisi. Certamente la stanchezza della guerra si è impadronita da tempo anche
delle popolazioni occidentali.
Sembra che i russi comuni stiano sempre più
incolpando i principali paesi europei per le recenti escalation.
Che
cos’è la suggestione.
Apogeoonline.com - Prof. Mariano Diotto
(prefazione) – (21- 2 – 2025) – ci dice:
La
prefazione al libro “Il potere della suggestione”, che esamina l’impatto di
questa forma di comunicazione sulla nostra libertà di azione e di giudizio.
Oggi
siamo veramente liberi?
Probabilmente
l’uomo non sarebbe così suggestionabile
se non
fosse per la sua esigenza vitale
di uno
schema di orientamento coesivo.
Più
un’ideologia pretende di dare la risposta
a
tutti gli interrogativi,
più è
attraente;
forse
è proprio per questo motivo
che i
sistemi di pensiero irrazionali,
oppure
decisamente folli,
affascinano
con tanta facilità la mente dell’uomo.
(Erich
Fromm, “Anatomia della distruttività umana”, 1973).
L’uomo
da sempre ha voluto affermare il principio della libertà:
dalla
libertà fisica proposta dal mondo dell’antichità come elemento di distinzione e
di classificazione dell’essere umano a quella di pensiero e di espressione del
mondo contemporaneo.
Ma la
domanda che ancora oggi ognuno di noi si pone è:
sono
veramente libero?
Come posso esercitare la mia libertà?
Oggi
il concetto di libertà di pensiero e libertà individuale è intimamente legato
ai progressi degli studi e delle ricerche delle neuroscienze, che possono
offrire una comprensione più profonda e completa di come il nostro cervello
elabora idee, emozioni e decisioni.
Le
neuroscienze da una parte affermano che ogni individuo possiede un cervello
unico, modellato non solo dalla genetica ma anche dalle esperienze personali.
Questo
significa che la libertà individuale è fondata su un’esperienza soggettiva e su
una propria visione del mondo.
Ma dall’altra parte ci spiegano che la mente
possiede sin dalla nascita archetipi, ideologie, stereotipi, “bias” cognitivi e
credenze profonde che sono radicate nel nostro sistema cognitivo ed emotivo,
che entrano in azione inconsciamente, senza il nostro benestare razionale.
Quindi
siamo liberi veramente o siamo condizionati?
È in
questo enigma della mente che si inserisce Il potere della suggestione.
Amir
Raz, PhD, è un neuroscienziato cognitivo:
ha
fondato l’Institute for Interdisciplinary Brain and Behavioral Sciences (Brain
Institute) della “Chapman University”, dove ha compiuto ricerche per dimostrare
come la suggestione può modificare il cervello e plasmare il nostro
comportamento.
Il
libro racconta la sua evoluzione dall’essere un bambino che voleva fare il mago
fino a diventare un esperto di fama mondiale sulla scienza della suggestione.
Unendo queste due esperienze il professor “Raz” è riuscito a mappare la zona
indistinta in cui magia e scienza si fondono spiegando quanto tutti noi siamo
facilmente suggestionabili e manipolabili.
La
suggestione è una forma di comunicazione, di relazione e di contatto per cui in
un essere umano, senza che avverta l’imposizione o il comando di un soggetto
esterno, in assenza di razionale e libera scelta oltre che di consapevolezza,
viene indotta una convinzione, un pensiero o una condizione esistenziale senza
che egli possa opporvisi né avverta la ragione di farlo.
Lo psicanalista
“Umberto Galimberti” definisce la suggestione come “l’accettazione acritica di
un’opinione, di un’idea, di un comportamento che nasce o dal soggetto stesso
(autosuggestione) o dall’influenza di altri (etero suggestione).
La suggestione ha un meccanismo
ideativo-motorio simile all’imitazione tipica dei bambini nei confronti degli
adulti e svolge un ruolo importante nelle relazioni interpersonali, per cui è
oggetto di studio nell’ambito della psicologia sociale, nei trattamenti
terapeutici come l’ipnosi che si fonda quasi esclusivamente sulla suggestione,
nel trattamento psicoanalitico dove non è escluso l’elemento suggestivo, e
nella terapia suggestiva che consiste nell’offrire al paziente immagini
positive che modificano adeguatamente il suo stato”.
Ne
deriva che, per esempio, la formulazione di una domanda può influenzare la
nostra psicologia di fondo e, di conseguenza, la nostra risposta in quanto la
suggestione può plasmare le nostre decisioni e influenzare i nostri
comportamenti: infatti, tutti siamo più suscettibili ai suggerimenti che
riaffermano le convinzioni che già abbiamo.
Ed è
per questo che le narrazioni attuali dei mass media, dei social, ma anche
quelle del nostro quotidiano familiare e personale, sono potenti nel
determinare la nostra libertà in quanto i nostri pensieri e le nostre
prospettive possono modellare il nostro benessere.
Nel
1959 lo scrittore e filosofo britannico “Aldous Huxley “già scriveva che “la
suggestionabilità è una delle caratteristiche che variano più considerevolmente
da individuo a individuo.
Certamente
i fattori ambientali contribuiscono a rendere una persona più reattiva di
un’altra alle suggestioni;
ma è
altrettanto certo che nella suggestionabilità degli individui esistono
differenze costituzionali.
Piuttosto rara la resistenza estrema alla
suggestione.
Ed è
una fortuna:
infatti
se tutti gli uomini fossero così ostici alla suggestione come alcuni sono, la
vita sociale diventerebbe impossibile.
Le
società funzionano con bastevole efficienza proprio perché, in varia misura, la
maggioranza degli uomini non resistono alla suggestione.
Altrettanto
rara è la suggestionabilità estrema.
E anche questa è una fortuna.
Perché
se la maggioranza di noi reagisse alle suggestioni esterne allo stesso modo
degli uomini e delle donne che soffrono di estrema suggestionabilità, la scelta
libera e razionale diventerebbe virtualmente impossibile per la maggioranza
dell’elettorato, e le istituzioni democratiche non potrebbero sopravvivere;
anzi forse nemmeno nascere”.
“Amir
Raz”, PhD, infatti sostiene che “c’è una connessione diretta tra illusioni e
libero arbitrio, perché alcuni trucchi ti danno un’idea di come esplorare
scientificamente il libero arbitrio”.
Molte
persone tendono a confondere la suggestionabilità con la debolezza mentale, la
creduloneria, la facilità di persuasione o la mancanza di determinazione.
Spesso,
pensano erroneamente che la suggestionabilità indichi la predisposizione a
essere influenzati o manipolati.
In
realtà, la suggestionabilità non rappresenta una semplice vulnerabilità
all’inganno, ma descrive piuttosto la capacità di rispondere a una suggestione
in modo efficace.
Infatti,
il potere della suggestione non risiede solo nel compiere ciò che dicono gli
altri.
In
realtà, la suggestione può rivelarsi uno strumento prezioso per l’auto-scoperta
e la crescita personale, fungendo da specchio per mettere in discussione le
proprie convinzioni, i punti ciechi e le intuizioni.
Le
informazioni condivise da chi ci sta attorno ci spingono a riflettere con
maggiore attenzione e dettaglio su ciò che stiamo vivendo o scegliendo.
Per
comprendere se la suggestione risuona con ciò che desideriamo, è fondamentale
valutare come si integri con i nostri obiettivi e valori.
Pertanto,
è necessario iniziare con una riflessione approfondita per chiarire tali
obiettivi e valori, in cui la suggestione può diventare un passaggio cognitivo
fondamentale per il nostro sviluppo personale.
Nel
corso della nostra evoluzione, diverse culture e religioni hanno saputo
sfruttare in modo positivo la suggestionabilità umana.
Inoltre, gli effetti di pratiche come la
meditazione, la preghiera, il digiuno, la privazione del sonno e l’uso di
sostanze psichedeliche evidenziano che riti e rituali possono favorire la
guarigione della mente.
Queste
pratiche, come per esempio la moderna terapia cognitivo-comportamentale,
possono condurre a risultati terapeutici più efficaci, potenziando le
intenzioni metacognitive e le interazioni di gruppo, con la suggestionabilità
che funge da fattore intermediatorio.
Sebbene
studiosi e professionisti del settore siano da tempo attratti da questi
argomenti, la relativamente breve storia della ricerca scientifica e medica
contemporanea ha reso difficile l’analisi degli effetti della suggestione sugli
esseri umani.
È interessante notare come questa linea di
ricerca che mette in luce il valore della suggestione sia nata da una
riflessione sul pericolo comunicativo dell’inganno e della manipolazione.
La
suggestione può avere un effetto intenso sull’elaborazione cognitiva e sulla
risposta fisiologica delle persone.
Non è
nemmeno necessario essere altamente suggestionabili per beneficiare
dell’impatto della suggestione:
tutti
possiamo essere influenzati da un qualche tipo di suggestione!
La
suggestione quindi può cambiare la vita, e il “professor Raz “lo sostiene
attraverso la scienza piuttosto che attraverso idee pseudoscientifiche che
pretendono di spiegare come “un’energia positiva, che attrae cose positive
nella vita, possa governare i tuoi pensieri e le tue azioni e darti il potere
di ottenere qualsiasi cosa tu possa immaginare”.
Pochi
decenni fa, gli studiosi ritenevano che la suggestionabilità fosse legata a una
predisposizione verso un’immaginazione o una sensibilità eccessive.
Oggi,
invece, i ricercatori interpretano la suggestionabilità non solo attraverso i
suoi rapporti con specifici tratti della personalità, come per esempio
l’assorbimento e la dissociazione, ma anche considerando le caratteristiche
neurobiologiche, inclusi il cablaggio neurale, la connettività cerebrale e le
funzioni cognitive avanzate del nostro sistema nervoso.
Si
mischiano così studi provenienti dal mondo della psicologia con quelli di
stampo sociale ed etno-psichiatrico, mettendo in evidenza come le suggestioni
influenzano i nostri comportamenti, grazie alle dinamiche neurali coinvolte,
per poter esercitare alla fine un dominio del cervello suggestionabile.
Gli
scienziati sono ancora in una fase preliminare di studi nell’affrontare la
questione fondamentale che dà risposta alla domanda:
“In
che cosa differisce la suggestione dalla suggestionabilità?”.
Una
possibile strada da percorrere ritiene che la suggestionabilità sia connessa
all’elaborazione delle aspettative:
infatti,
il nostro cervello è costantemente impegnato a prevedere eventi futuri.
Per
comprendere il presente, tende a formulare previsioni su ciò che accadrà;
sia la
suggestionabilità sia le aspettative svolgono così un ruolo fondamentale in
questo processo.
Sicuramente
le ricerche concordano sul dato che la suggestione ipnotica o immaginativa
rappresenti il processo attraverso il quale un pensiero o un’idea può
influenzare uno stato fisico o mentale, mentre la suggestionabilità descriva le
differenze individuali nella reazione alla suggestione.
La
suggestione e la cultura lavorano a stretto contatto per creare una dinamica
evolutiva che funziona rapidamente.
Infatti nessun essere umano, indipendentemente
da quanto sia istruito e abbia studi elevati, è completamente immune alla
suggestionabilità.
Noi
esseri umani, purtroppo, non ricordiamo bene gli avvenimenti in cui siamo
coinvolti e quando cerchiamo di ricordare, spesso rievochiamo quanto accaduto
aggiungendo o sottraendo informazioni in modo errato perché la memoria umana è
plasmabile.
A volte non possiamo semplicemente fidarci dei
ricordi. È ormai risaputo che la suggestione può seminare un falso ricordo.
Questo fenomeno ben documentato va oltre la
magia o la pseudo psicologia.
Si può
alterare la memoria usando l’effetto disinformazione.
È
possibile impiantare nella mente di una persona un ricordo di qualcosa che non
è mai accaduto?
Certamente!
Gli
esperimenti dimostrano che è possibile collocare una memoria non autentica
nelle persone raccontando loro una storia plausibile attraverso una procedura
molto semplice.
Un
secolo di ricerche sull’interazione tra suggestione e memoria umana ci ha
spiegato la cosa più importante: la memoria è malleabile.
La nostra mente compie sempre un’operazione di
ricostruzione del vissuto, occasionalmente persino suscettibile a una
fabbricazione completamente inedita, e i falsi ricordi sono onnipresenti:
a
volte si verificano spontaneamente e a volte come risultato di una suggestione
esterna.
Ecco
perché dobbiamo conoscere bene i meccanismi della suggestione e stare attenti:
solo
perché affermi qualcosa e lo dici con sicurezza, convinzione, eloquenza,
inserendo molti dettagli, includendo un’emozione altamente espressiva e delle testimonianze
piene di veridicità, non è ancora sicuro che quel fatto sia successo davvero.
Il
potere della suggestione.
“Amir
Raz” unisce la sua esperienza di mago e ipnotizzatore con decenni di ricerche
neuropsicologiche per mappare la zona di confine in cui magia e scienza si
fondono; mostra quanto siamo tutti facilmente manipolabili e, infine, offre
consigli pratici su come sfruttare la scienza della suggestione per promuovere
il cambiamento.
Infatti
i meccanismi responsabili della produzione di distorsioni della memoria sono
indispensabili e diffusi in tutti gli esseri umani, indipendentemente da quanto
sia buona (o cattiva) la memoria.
La
maggior parte delle persone custodisce gelosamente i propri ricordi e li
considera rappresentazioni della propria identità; i ricordi, in fondo,
definiscono chi siamo e da dove proveniamo.
Ma
raramente sappiamo definire e delimitare la sorprendente quantità di finzioni,
simulazioni e inganni incorporati negli scaffali del nostro cervello e che
gestiscono la memoria.
Semplicemente
non sempre ci è possibile distinguere in modo affidabile i ricordi veri da
quelli costruiti.
Forse si potrebbe pensare di prendere
l’emozione come misuratore della distinzione dei ricordi veri da quelli falsi.
Ma gli individui possono essere altrettanto
emotivi per i loro ricordi falsi quanto per i loro ricordi veri.
Il
potere della suggestione è così un viaggio divertente che l’autore ci porta a
compiere da quando era un giovane mago principiante fino a diventare uno
scienziato di fama mondiale, spiegandoci in modo approfondito il mondo della
suggestione, con soste lungo il percorso per raccogliere intuizioni
dall’ipnosi, dall’evoluzione degli studi sul cervello, dalla psicologia e dalle
neuroscienze, dai mondi della ricerca e della salute mentale, con l’unico
obiettivo di farci scoprire quanto di “magico” avvenga nella nostra mente.
Spesso
crediamo erroneamente che le nostre evoluzioni e i nostri cambiamenti siano
solo un modo per adattarci al meglio all’ambiente circostante, ma in realtà
allo stesso tempo, siamo noi che modifichiamo il nostro ambiente ricercando la
verità in noi stessi.
Per
questo motivo, leggendo questo libro, comprendendo e poi applicando i consigli
pratici su come sfruttare la scienza della suggestione, possiamo innescare e
promuovere un cambiamento in noi, proteggendoci dalla disinformazione
manipolativa e guidando responsabilmente ed eticamente il nostro universo
mentale alla verità su noi stessi.
Il
bisogno di suggestione è una grande forza.
Ma lo
è anche la verità, se si lotta per essa.
(Karl Popper, “Tutta la vita è
risolvere problemi”, 1994).
(Prof.
Mariano Diotto - Ricercatore, docente universitario e neuro marketer).
(Questo
articolo è la “Prefazione” all’edizione italiana del libro “Il potere della
suggestione”).
Trump:
«L’Ucraina ha dato a Putin
una ragione per bombardarli.
Spero
che la guerra non diventi nucleare»
Open.online.it - (07 Giugno 2025) - Alessandro
D’Amato – ci dice:
Il presidente
all'attacco dell'Ucraina.
E intanto limita i voli sulle strutture
pubbliche
«Hanno
dato a Putin una ragione per entrare e bombardarli a tappeto.
Quella è la cosa che non mi è piaciuta.
Quando
l’ho visto ho pensato: ora ci sarà la rappresaglia.
Rischio
guerra nucleare? Spero di no».
Donald
Trump dice la sua sulla guerra tra Ucraina e Russia.
E
torna ad accusare il governo di Volodymyr Zelensky.
Il presidente degli Stati Uniti ha anche
firmato un ordine esecutivo teso a ridurre la «crescente minaccia» dei droni.
La
misura mira a rivedere l’uso di questi velivoli senza pilota.
E a
creare una task force per il ripristino della sovranità dello spazio aereo
americano.
Il
presidente Usa inoltre ordinato alla “Federal Aviation Administration” di
istituire una procedura per limitare i voli dei droni su «infrastrutture
critiche e altre strutture pubbliche».
Secondo
il presidente, i droni sono utilizzati da «criminali, terroristi e attori
stranieri ostili» come armi per mettere a repentaglio la sicurezza dello stato.
Ma il
leader repubblicano riconosce anche che «i droni migliorano la produttività del
paese, creano posti di lavoro altamente qualificati e stanno trasformando il
futuro dell’aviazione e di settori che vanno dalla logistica e dall’ispezione
delle infrastrutture all’agricoltura di precisione, dalla risposta alle
emergenze alla sicurezza pubblica».
Poi ha
parlato anche di “Elon Musk”:
«Non
penso a lui ma gli auguro il meglio».
E sui suoi contratti pubblici: «Riesamineremo
tutto».
Elon
Musk sogna in grande
dopo
la rottura con Trump:
«Fondo
un nuovo partito». L’alternativa?
«Impeachment
e JD Vance presidente».
Open.online.it – (05 Giugno 2025) - Diego
Messini – ci dice:
Il
miliardario volta pagina nel giro di una manciata di ore dopo la lite pubblica
col presidente Usa.
Ed è
subito plebiscito.
“Elon
Musk” ha già voltato la pagina dopo l’addio alla Casa Bianca.
E dopo
la rottura aperta con Donald Trump passa al contrattacco.
Tutto
politico «È ora di creare un nuovo partito politico in America che rappresenti
davvero l’80% della popolazione nel mezzo?»,
chiede
il miliardario su “X”.
Dove
quel «nel mezzo» sembra stare a indicare chi rifugge dalla sinistra, da lui
avversata, ma pure dagli eccessi, dalle «falsità» e dalle follie in politica
economica che ora riconosce e denuncia in Trump.
Il guanto di sfida prende la forma di un
sondaggio fra i suoi follower, chiamati a dare risposta al quesito
“rivoluzionario”.
C’è
tempo 24 ore.
Poche
decine di minuti dopo l’apertura del “televoto”, è già un plebiscito:
circa
mezzo milione di persone ha già votato, con oltre l’83% che ha detto sì alla
proposta di un nuovo partito alternativo a Repubblicani e Democratici.
Il post di Musk, a scanso di equivoci, viene
fissato in alto: nuova missione politica n° 1, insomma.
L’impeachment
per Trump e la sostituzione con JD Vance.
Musk è
letteralmente un fiume in piena, nel giorno della rottura pubblica con Trump:
nell’arco
di poche ore snocciola su “X” una serie infinita di bordate contro l’ex idolo
politico.
Twittando
e ritwittando, alludendo e ironizzando.
L’acme (forse) dell’azzardo politico lo tocca
però quando condivide le valutazioni di un utente muskiano che preconizza
addirittura lo scenario di una caduta di Trump dalla Casa Bianca sulla scia
dello scontro col patron di Tesla.
«Trump dovrebbe essere sottoposto a
impeachment e sostituito da JD Vance», scrive l’utente.
Musk condivide, in tutti i sensi: «Yes».
A la “guerre
come à la guerre”.
Caitlin
Johnstone:
Gaza,
lo Zen e l'arte di scrivere
i
titoli del “New York Times”.
Lantidiplomatico.it
– “Caitlin Johnstone” – (5-6-2025) – ci dice:
Il”
New York Times” ha appena pubblicato uno dei titoli più assurdi che abbia mai
visto, il che la dice lunga.
“I
micidiali aiuti umanitari a Gaza”, recita il titolo.
Se
foste tra la maggioranza delle persone che si limitano a dare un'occhiata al
titolo senza leggere il resto dell'articolo, non avreste idea che Israele ha
trascorso gli ultimi giorni massacrando civili affamati nei centri di
distribuzione degli aiuti umanitari e mentendo al riguardo.
Non avreste nemmeno idea che è Israele ad
averli ridotti alla fame.
Il
titolo è scritto in modo così passivo e vago che sembra che siano le consegne
di aiuti stessi ad essere letali.
Come se i sacchi di farina prendessero dei
fucili d'assalto e sparassero sui palestinesi disperati in fila per il cibo o
qualcosa del genere.
Il
sottotitolo non è migliore: “Le truppe israeliane hanno ripetutamente sparato
vicino ai siti di distribuzione di cibo”.
Ah sì?
Hanno sparato “vicino” ai siti di distribuzione del cibo, vero?
Il fatto che abbiano sparato con le loro armi
nelle immediate vicinanze dei siti di aiuti potrebbe forse avere qualcosa a che
fare con la suddetta pericolosità delle consegne di aiuti?
Noi lettori dovremmo collegare queste due
informazioni da soli, o dovremmo considerarle come due dati separati che
potrebbero avere o meno qualcosa a che fare l'uno con l'altro?
L'articolo
stesso chiarisce che Israele ha ammesso che le truppe dell'IDF hanno sparato
“vicino” alle persone in attesa degli aiuti dopo che queste non hanno risposto
ai “colpi di avvertimento”, quindi non occorre essere Sherlock Holmes per
capire cosa è successo.
Ma
nelle testate mainstream i titoli sono scritti dai redattori, non dai
giornalisti che scrivono gli articoli, quindi possono inquadrare la notizia nel
modo che più si adatta alla loro agenda propagandistica per la maggioranza che
non legge mai oltre il titolo.
Il
mese scorso abbiamo assistito a un altro titolo incredibilmente manipolatorio
del “New York Times”,
“Soldati
israeliani sparano in aria per disperdere diplomatici occidentali in
Cisgiordania”, riguardante i “colpi di avvertimento” sparati dall'IDF contro
una delegazione di funzionari stranieri che tentavano di visitare “Jenin”.
Questa
notizia ha suscitato indignazione e condanna in tutto il mondo occidentale, ma
guardate fino a che punto si è spinto il redattore del “New York Times” per
presentare le azioni dell'IDF nel modo più innocente possibile.
Stavano sparando in aria.
Stavano sparando “per disperdere i diplomatici
occidentali”, come se fosse una cosa normale.
Come
se i diplomatici fossero corvi su un campo di grano o qualcosa del genere.
Oh sì,
sapete, quando ci sono troppi diplomatici che si radunano, bisogna sparare
qualche colpo per disperderli.
Roba normale.
È
incredibile quanto questi pazzi diventino creativi quando devono giustificare
pubblicamente Israele e i suoi alleati occidentali dei loro crimini.
L'IDF
commette un crimine di guerra e improvvisamente questi redattori dei mass
media, che non hanno mai creato nulla di artistico in vita loro, si trasformano
in poeti, piegando e contorcendo la lingua inglese per inventare frasi che
sembrano più koan zen che resoconti di un evento importante.
(Giornalista
e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter
personale: caitlinjohnst.one/).
Trump,
Musk e lo scontro
interno al capitalismo USA.
Lantidiplomatico.it
- Alessandro Volpi – (5-6-2025) – ci dice:
Lo
scontro tra Donald Trump e Elon Musk, tra il presidente degli Stati Uniti e
l'uomo più ricco del mondo, che è stato il suo principale finanziatore in
campagna elettorale, è iniziato in sordina ed è esploso in modo roboante, con
le peggiori accuse reciproche.
Musk è
arrivato a chiamare in causa il coinvolgimento di Trump nello scabrosissimo
"affaire Epstein" e a ipotizzare di dar vita ad un nuovo partito per
battere l'attuale presidente.
Le ragioni di questa deflagrazione sono
molteplici e non facilmente sintetizzabili.
Provo
ad elencarne alcune.
La prima, a mio parere decisamente rilevante,
è costituita dal segnale che Trump ha voluto dare alle Big Three, a BlackRock,
Vanguard e State Street, e in generale a quel tipo di finanza, di certo non in
buoni rapporti con Musk.
I tre fondi sono stati, e sono tuttora, grandi
azionisti di Tesla ma hanno sempre manifestato una certa ostilità verso Musk
che volevano sostituire alla guida di Tesla, nonostante il suo 13%, già nel
2018 e a cui hanno rimproverato la pessima operazione di acquisto di Twitter,
causa di importanti perdite di valore per la società.
Gli
stessi grandi fondi, poi, non hanno certo apprezzato il deciso posizionamento
di Musk a sostegno di Trump e, paradossalmente, dopo l'elezione dello stesso
Trump, quando i titoli Tesla si sono impennati, arrivando ad una
capitalizzazione di mille miliardi di dollari, hanno cominciato a ridurre la
loro presenza azionaria nella società.
Trump,
infatti, era agli occhi di BlackRock e c. un grande pericolo di instabilità dei
listini quotati come dimostravano i dati dei primi mesi dopo l'insediamento e
contro cui bisognava combattere, colpendo ovviamente anche il suo principale
sostenitore.
Peraltro, l'instabilità generata da Trump e
l'ipervalutazione raggiunta da Tesla sulla scia del legame con il presidente
degli Stati Uniti ha spaventato alcuni grandi clienti di BlackRock, come il
fondo degli insegnanti americani, che hanno chiesto a Larry Fink una maggiore
cautela nell'esposizione su tale titolo.
Quindi, nel cuore dello scontro tra l'alta
finanza dei grandi gestori e delle grandi banche, a partire da “Jp Morgan di “Jamie
Dimon”, e “Trump”, culminata con la partita cruciale dell'acquisto dei titoli
del sempre più pericolante debito federale americano, di cui gli stessi fondi
hanno minacciato la possibile vendita, con effetti devastanti sul costo degli
interessi, la figura di Musk è diventata sempre più ingombrante.
Per
essere ancora più chiari, nel conflitto interno al capitalismo finanziario Usa,
le Big Three hanno capito di poter chiedere la testa di Musk ad un Trump sotto
attacco anche dalla “Federal Reserve”.
In questo senso ha pesato però un secondo
elemento, parzialmente legato al primo.
La cacciata di Musk, dopo le sue dimissioni
dal Doge, significa il suo drastico ridimensionamento nel fondamentale campo
dell'intelligenza artificiale, dove premono per avere un ruolo cruciale altre
figure vicine a Trump e con cui Musk ha visto deteriorare i propri rapporti.
Si tratta, tra gli altri, di “Peter Thiel” e “Larry
Ellision” che ambiscono ad un peso decisivo nella prospettiva di ampi
finanziamenti federali verso questo settore.
L'ostilità di Thiel a Musk si inserisce poi -
ed è questo un terzo fattore - nell'avversione da sempre maturata verso il
sudafricano dalla destra americana, decisamente filo trumpiana;
una destra radicale, guidata da Steve Bannon
che ha sempre condannato la natura "tecno feudale" del capitalismo di
Musk e le sue origini "immigrate".
A
questa fattispecie di dure riserve verso il miliardario sono riconducibili
anche gli attacchi dei ministri chiave dell'amministrazione Trump, a cominciare
da “Bessent” e” Lutnick”, e dai vertici dei comunque influentissimi
dipartimenti federali, colpiti dall'opera brutale del Doge, a partire da quello
della Difesa, sicuramente ostile all'idea muskiana di accelerare il processo,
già in atto da tempo, della sua privatizzazione.
Bisogna
considerare, infine, i tratti del potere personale di Trump che non ha gradito
le eccessive esposizioni di Musk, le sue critiche, spesso non troppo mediate,
nei confronti di vari atti presidenziali ed in particolare quelle al Big, “Beutiful
Bill”;
Trump non vuole, in alcun modo, essere
considerato il capo di una squadra e ha costruito la sua fortuna elettorale
sulla capacità di presentarsi come l'unico, vero interprete dello "spirito
americano", senza mediazioni di sorta.
In tal senso, l'adesione alla “visione Maga”
ha, per Trump, tratti fideistici, i soli in grado di rendere meno evidente il
distacco con la realtà in caso di fallimento.
Musk
era troppo invasivo persino nella figura del gran sacerdote del culto trumpiano
e, inoltre, la solidità del suo rapporto con Trump avrebbe compromesso l'altro
grande elemento della strategia trumpiana costituito dalla assoluta
imprevedibilità:
solo attraverso la possibilità di cambiare
tutto in qualsiasi momento l'ex Tycoon pensa di potere essere interpretato come
il facitore delle sorti collettive, politiche e in primis finanziarie.
Un'ultima
considerazione coinvolge il futuro di Musk, assai nebuloso data proprio la
marcata dipendenza dalla presidenza Trump.
Con la
vittoria trumpiana, “Tesla è esplosa” ed ora sta precipitando, mantenendo però
ancora indicatori sopra valutatissimi come un rapporto prezzo/utili del 161,
che dovranno scontare la fine dei sussidi annunciata nel già ricordato Big, “Beautiful
Art”, non a caso oggetto delle critiche di Musk, e l'aggressione delle agenzie
di rating.
L'uomo più ricco del mondo rischia seriamente il
tracollo rapido ed anche questa è una testimonianza evidente della crisi
abissale del capitalismo.
(Post
Facebook del 6 giugno 2025).
Caitlin
Johnstone:
Epstein,
Israele, ISIS, Palantir.
Lantidiplomatico.it
- Caitlin Johnstone – (07 Giugno 2025) -
Nel
mezzo dell'inevitabile scontro di ego tra Elon Musk e Donald Trump, Musk ha
twittato che il presidente "è nei file di Epstein", sostenendo che
"questo è il vero motivo per cui non sono stati resi pubblici".
Come
abbiamo discusso in precedenza, è noto che Trump sia presente nei registri di
volo di Epstein e che abbia ostacolato la pubblicazione dei suoi file.
È anche noto che “Jeffrey Epstein” ha
collaborato con l'”intelligence israeliana” e ha condotto un'operazione di
ricatto sessuale, e che “Trump” si è piegato in quattro per dare a Israele
tutto ciò che desiderava, mentre reprimeva la libertà di parola americana criticando le
azioni di Israele a Gaza.
"Conosco
Jeff [Epstein] da quindici anni. Un ragazzo fantastico", disse Trump nel
2002.
"È
molto divertente stare con lui.
Si
dice persino che gli piacciano le belle donne tanto quanto a me, e molte di
loro sono giovani".
Non
c'è motivo di prendere sul serio ciò che Elon Musk dice durante un caso da
manuale di crollo narcisistico, ma per la cronaca, se c'è qualcuno a Washington
che è probabile che sia stato ricattato da Epstein, quello è “Donald John
Trump”.
Israele
ha ammesso di aver armato bande legate all'ISIS come forze per procura a Gaza,
smentendo così la narrativa confusa secondo cui l'Occidente starebbe sostenendo
Israele per contribuire a sconfiggere l'estremismo islamico.
Israele
starebbe sostenendo queste forze per seminare caos e conflitti con l'obiettivo
di promuovere i suoi obiettivi di pulizia etnica nel territorio palestinese.
Ultimamente,
ogni volta che parlo del programma di pulizia etnica di Israele, i sostenitori
di Israele mi dicono:
"Non
stanno facendo pulizia etnica!
Stanno
solo costringendo i palestinesi a lasciare Gaza perché non li vogliono!".
Il che è l'ennesimo promemoria di quanto siano
stupidi i difensori di Israele, perché l'espulsione forzata di massa di un
gruppo etnico indesiderato è esattamente la definizione di pulizia etnica.
Ogni
giorno faccio questa conversazione:
Io:
Ecco la prova che Israele sta facendo qualcosa di malvagio.
Sostenitore
di Israele:
Tutto ciò che Hamas deve fare è arrendersi e
rilasciare gli ostaggi e tutto questo finirà immediatamente.
Io:
No, è falso.
Israele sta apertamente affermando che il
massacro continuerà finché tutti i palestinesi di Gaza non saranno stati
etnicamente ripuliti, indipendentemente dal fatto che Hamas si arrenda o che
gli ostaggi vengano rilasciati.
Ecco una serie di prove che dimostrano che è
così.
Sostenitore
di Israele:
Sì,
beh, è quello che succede quando inizi una guerra che non puoi vincere.
La prossima volta non fare terrorismo.
Io:
Stavi solo sostenendo che Hamas può porre fine a tutto questo in qualsiasi
momento prendendo decisioni diverse.
Ora
che sai che Hamas non ha il potere di fermare le atrocità della pulizia etnica
di Israele, sei passato a dire che tutti i palestinesi meritano l'omicidio di
massa e la pulizia etnica.
Sembra
che sosterrai Israele a prescindere da ciò che fa, a prescindere dai fatti o
dalla moralità.
Sostenitore
israeliano:
ANTISEMITA,
ANTISEMITA, ANTISEMITA, ANTISEMITA.
Continuo
a ripromettermi di parlare di come l'amministrazione Trump stia, a quanto si
dice, concedendo alla detestabile società “Palantir” dell'oligarca “Peter Thiel”
un ruolo centrale in una massiccia espansione autoritaria dei poteri di
sorveglianza del governo, che vedrebbe i dati americani compilati e tracciati
da più agenzie governative.
Per
chi non lo sapesse, “Palantir” è un'”azienda tecnologica di sorveglianza “e “data
mining” sostenuta dalla “CIA”, con legami di lunga data sia con il cartello di
intelligence statunitense che con Israele, e ha già svolto un ruolo cruciale
sia nella tentacolare rete di sorveglianza dell'impero statunitense sia nelle
atrocità israeliane contro i palestinesi.
La
classe politica e mediatica sta presentando questa situazione come una politica
di Trump, ma è ovviamente una politica dell'impero americano.
Questi
ampi poteri di sorveglianza sono destinati a rimanere in vigore anche dopo la
fine di Trump, indipendentemente da chi sia al potere.
Ci
viene chiesto di credere che il fatto che gli individui si radicalizzino
violentemente a causa del genocidio in corso a Gaza sia motivo di maggiore
preoccupazione rispetto al genocidio in corso a Gaza.
No,
non accadrà.
Forse
il modo migliore per impedire alla gente di commettere atti di violenza in
risposta al genocidio a Gaza sarebbe quello di smettere di facilitare
attivamente il genocidio a Gaza.
Sostenitori
della Palestina:
ecco
un video appena uscito che mostra Israele massacrare nuovamente i civili
palestinesi.
Sostenitori
di Israele:
Ok, quindi, duemila anni fa…
Il
mondo che si sveglia di fronte alla depravazione di Israele mi ricorda il
momento in cui ho visto per la prima volta quanto fosse cattivo e violento il
mio ex.
Quel primo sguardo, quando finalmente mi sono
lasciato andare al sadismo e al rancore che provava per me, è stato l'inizio
della fine.
Forse
il mondo sta iniziando il suo momento di chiarezza.
(Giornalista
e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter
personale: caitlinjohnst.one/).
Democrazie
in pericolo:
tra
attacchi, censure e regressioni.
Collettiva.it
– Marta Nicoletti – (24 -3 -2025) – ci dice:
Il
rischio.
Il
report “Civil Liberties Union for Europe “e la cronaca delle ultime settimane
mettono in allarme.
Una denuncia che la Rete internazionale dei
sindacati antifascisti già lanciava nel suo Manifesto
L’Italia
sta smantellando lo stato di diritto.
Pochi
giorni fa il rapporto della” Civil Liberties Union for Europe (Liberties) ha
messo in evidenza come il nostro paese sia tra i cinque paesi europei – insieme
a Bulgaria, Croazia, Romania e Slovacchia – dove si registra un preoccupante
arretramento democratico.
Democrazie
europee in pericolo.
Secondo
il rapporto, la democrazia è in pericolo a causa delle ultime scelte del
governo:
le interferenze politiche nella magistratura,
l’indebolimento dell’applicazione delle leggi anticorruzione, l’attacco ai
media e la censura nei confronti dell’informazione pubblica.
E al
di là di quanto contenuto nel rapporto, l’ultimo attacco frontale al “Manifesto
di Ventotene “da parte della presidente del Consiglio” Giorgia Meloni” ha messo
in luce l’antieuropeismo dei partiti di maggioranza e la volontà di rinnegare
la storia nazionale e internazionale.
Meloni
e Ventotene: l’oltraggio di smentire la storia.
La
recessione democratica dell'Europa – spiegano nella sesta edizione del Rapporto
sullo Stato di diritto – si è aggravata nel 2024.
Le tendenze autoritarie si sono rese visibili
nelle violazioni di giustizia, corruzione, libertà dei media, controlli,
equilibri, spazio civico e diritti umani.
Ma si
sa, tutto il mondo è Paese, e almeno in questo l’Unione Europa non è sola.
Anche oltre oceano la situazione non è delle migliori.
America
e Argentina, quali democrazie?
Per
quanto riguarda le politiche di “Donald Trump” e “Javier Milei” ad esempio,
sono preoccupanti le tendenze in merito ai diritti civili e all’istruzione.
Negli
Stati Uniti, la nuova amministrazione Trump, tra le tante azioni che ha deciso
di introdurre c’è quella contro le scuole e le università:
il
tycoon sta tentando di eliminare il dipartimento per l’Istruzione, che tra le
altre cose gestisce i finanziamenti per borse di studio, prestiti universitari
per chi ha redditi bassi, programmi per persone con disabilità, fondi per le
scuole pubbliche.
In
Argentina, solo per citare una delle ultime notizie che ha destato
preoccupazione, il governo di “Javier Milei “ha inserito in Gazzetta Ufficiale
un documento dove le persone con disabilità cognitive vengono definite
“ritardati”, “idioti”, “imbecilli” e “mentalmente deboli”.
La
repressione delle libertà.
Sempre
in tema di diritti, tornando in Europa, in Ungheria, il Parlamento – con 136
voti favorevoli e soli 27 contrari – ha approvato la legge, presentata dal
governo di Viktor Orbán, che rende illegali i Pride sulla base legge approvata
nel 2021 contro la "promozione ed esibizione" dell'omosessualità ai
minori.
In
Turchia invece 300 mila persone sono scese in piazza per protestare contro
l’arresto
di “Ekrem Imamoglu”, sindaco di Istanbul e avversario del presidente Erdogan.
Arrestato
con l’accusa di corruzione e terrorismo insieme a quasi cento suoi
collaboratori e membri del partito, “Imamolglu” ha chiesto alla magistratura di
“non restare in silenzio” di fronte a quella che ha definito “una tirannia”.
La
rete dei sindacati antifascisti.
Questi
sono solo alcuni degli ultimi eventi di cui si hanno notizie ma la democrazia
sembra essere in pericolo da diversi anni. In tutto il mondo, infatti, le forze
di estrema destra, nazionaliste e sovraniste promuovono idee di
discriminazione, intolleranza, repressione e limitazione delle libertà.
Una
denuncia che la “Rete Internazionale dei Sindacati Antifascisti”, promossa
dalla Cgil e nata dopo l’assalto squadrista del 9 ottobre 2021 alla sede del
sindacato, già segnala da tempo.
Nel
suo Manifesto, presentato nel 2022 la rete denunciava “l’allarmante incremento
anno dopo anno di movimenti neofascisti e di estrema destra” e “richiami alle
peggiori esperienze del passato o attraverso sigle e movimenti nuovi che da
quel passato traggono però ispirazione”.
Un
fenomeno, è scritto sul manifesto, “che si articola in modi diversi paese per
paese, secondo le esperienze storiche e le condizioni sociali locali, ma ha una
chiara matrice identica nella negazione delle libertà e dei diritti universali
e mantiene un profondo legame transnazionale: non solo nelle relazioni e nei
richiami, ma nelle finalità, nelle strategie e nelle modalità di proselitismo”.
Movimenti
e governi che “insidiano le democrazie attraverso l’esaltazione di un sistema
totalmente disintermediato, costruito nel rapporto diretto leader
forte-popolo”.
E proprio per contrastare questa deriva
che i sindacati di diversi paesi si sono uniti nella Rete con l’obiettivo di
creare “una dimensione collettiva ed internazionale, dunque, universale, unica
in grado di costruire per tutte e tutti le risposte necessarie al superamento
delle ingiustizie e disuguaglianze”.
L’impero
dei fallimenti.
Maurizio
Cattelan alla
GAMeC,
Bergamo.
Atpdiary.com
– (8 Giugno 2025) - Sara Benaglia – ci dice:
...
noi siamo qui a raccoglierne le rovine, con un sorriso a metà, come bambini
sulle spalle di statue equestri, che fanno bang bang con le dita e non sanno
bene chi stanno mirando.
C’è un
bambino sulle spalle di Garibaldi.
Fa
bang bang con le dita, come si fa da piccoli quando si gioca alla guerra.
Sotto di lui, scolpito nella pietra, c’è
scritto: DUCE dei Mille.
L’opera si chiama “One”, ma parla di molti:
di
quelli che sono venuti dopo, di quelli che hanno ereditato senza studiare, di
chi confonde la fiction con la storia e la retorica con la realtà.
Garibaldi
– l’eroe dei due mondi, il santo laico della patria unita – non è mai stato del
tutto limpido.
Qualcuno lo ha persino accostato alla
malavita, al sottobosco di potere dove si mescolano ideali e coltelli.
Ma si
sa, in Italia l’epica ha sempre un’ombra storta.
E
allora quel bambino armato di niente, in equilibrio sul monumento, non è solo
un simbolo: è un piccolo dubbio che ride.
One
non è solo una riflessione generazionale: è una piccola beffa scolpita nella
pietra, una mossa gentile per smontare il pantheon nazionale con la leggerezza
di un gioco infantile.
Un gesto che sta in equilibrio tra tenerezza e
sfida, tra l’innocenza del bambino e la disillusione di chi lo guarda dal basso.
Forse
è proprio questa l’immagine che più somiglia a” Seasons”, la mostra diffusa che”
Maurizio Cattelan” ha portato a Bergamo.
Un
ciclo di opere che scorre come il tempo, o meglio come le sue ricadute:
ogni stagione dell’arte di Cattelan è una
variazione sul lutto: pubblico, privato, storico, personale.
Ma non
c’è mai tragedia piena, semmai una malinconia leggera, che somiglia a quel
silenzio che viene dopo una battuta troppo vera per far davvero ridere.
A
partire da “November”, esposta al “Palazzo della Ragione”, un tempo sede della
giustizia cittadina e oggi teatro della sconfitta sociale.
La
scultura ritrae un senzatetto che si urina addosso su una panchina scolpita in
marmo statuario Michelangelo:
il materiale delle divinità e dei sepolcri,
ora usato per immortalare la fragilità estrema.
Sembra dormire, ma è impossibile capire se
stia sognando o se sia stato inghiottito dalla pietra e dalle convenzioni
dell’arte che pretende di rappresentarlo.
La
finta urina sul pavimento è un atto involontario che resta impresso più della
memoria storica del luogo.
Ma
questa traccia di umanità – biologica, viva – è anche una provocazione che
mette a disagio.
Quanto
vale un senzatetto scolpito in marmo?
Quanto
costa la sua fragilità esposta in galleria?
Chi
può permettersi di acquistare il dolore, di speculare sulla rovina?
Nel
mondo dell’arte contemporanea – e soprattutto nei circuiti internazionali dove “Cattelan”
è rappresentato da gallerie come “Perrotin” e “Marian Goodman” – persino la
marginalità viene raffinata, monumentalizzata, venduta.
È su questa tensione irrisolta che l’opera
punta il dito: la compassione estetizzata, la pietà che si espone con l’allure
del lusso.
Alla
GAMeC, “Empire” si presenta come un mattone chiuso in una bottiglia di vetro.
È un’immagine semplice, eppure basta a
raccontare un intero naufragio.
Un
potere abortito, un’utopia rimasta in bozza.
Per me – che a Padova vedo ancora l’ombra
lunga di “Toni Negri” – è impossibile non pensare a “Impero”, quel libro
scritto con “Michael Hardt” in cui si immaginava un ordine globale senza centro
né margini, dove il potere si spalmava come una crema sulla faccia del mondo.
Flessibile, decentrato, apparentemente
democratico.
E
soprattutto, capace di inglobare anche la ribellione.
“Cattelan”,
però, ci mette davanti una sintesi diversa.
Più secca. Più amara.
Niente
rete, niente flusso: solo un mattone fermo, silenzioso, imprigionato nel vetro.
Lontano
anni luce dalla moltitudine in movimento, qui l’”Impero” è un’immagine in uno
smartphone, un relitto senza vocabolario.
Nessuna
rivoluzione in vista (se non da tastiera), solo un messaggio chiuso in
bottiglia, troppo solido per fare danni, troppo fragile per liberarsi.
La bottiglia, trasparente e muta, assomiglia a
quei messaggi lanciati in mare quando non si sa a chi scrivere.
Rimane
lì, in attesa.
Oppure
no: magari non aspetta nessuno.
È solo un gesto, una di quelle cose che si
fanno quando non si sa più cosa fare.
In
questo senso, “Empire” diventa una riflessione tenera e spietata sul fallimento
delle utopie.
Un
fermo immagine sull’inazione, ma senza rancore.
“Cattelan” non accusa, non sprona:
osserva.
Con la
freddezza di chi ha capito che a volte è il potere stesso a sabotarsi, e che
certi sogni si consumano nel loro stesso annuncio.
E in quell’equilibrio assurdo tra mattone e
vetro, tra forza e stallo, c’è tutta la malinconia di un tempo che ha smesso di
credere nel futuro, ma non ha ancora trovato qualcosa con cui sostituirlo.
Accanto,
c’è “No”.
Una copia di “Him”, ma con un sacchetto in
testa.
Dentro, c’è” Hitler”.
Bambino, inginocchiato.
Sembra
pregare, o forse solo aspettare.
Ma il volto non si vede, e questo cambia
tutto.
L’opera è stata censurata in Cina, e quel
sacchetto è rimasto addosso, come una benda su qualcosa che non si vuole – o
non si può – più guardare.
Così “No”
diventa ancora più inquietante della sua versione originale.
Non
solo per quello che mostra, ma per quello che non lascia vedere.
È
un’icona negata, o forse un tentativo di protezione.
Non si capisce bene chi stia proteggendo chi: se noi
da lui, o lui da noi.
In
quell’occultamento c’è qualcosa di familiare.
Una
specie di riflesso del presente, dove è più facile coprire, censurare,
dimenticare, piuttosto che affrontare.
Una nevrosi fatta di omissioni, come se
bastasse chiudere gli occhi per salvarsi la coscienza.
E allora sì, forse è meglio ridere.
Ma è quella risata che viene quando non si sa
bene se si sta scherzando o se si è perso completamente il senso delle
proporzioni.
Ma è
forse con “Bones”, allestita nell’”ex oratorio di San Lupo”, che la mostra
trova la sua vibrazione più profonda.
Al centro dello spazio, un’aquila abbattuta.
Marmo
statuario Michelangelo, ancora una volta: materia di eternità per raccontare
una resa.
Ali
spiegate, corpo riverso: niente volo, nessuna gloria.
Solo la gravità, e tutto quello che trascina
giù.
Non è
un’aquila qualunque.
Cattelan si ispira a quella che oggi riposa
nei depositi della “Tenaris Dalmine”:
una
scultura marmorea commissionata nel 1939 per celebrare il discorso che
Mussolini tenne agli operai in quello che chiamò “sciopero creativo”.
Una
formula che fa quasi sorridere, se non sapessimo com’è andata a finire.
Anche
lì, come con Garibaldi, c’era un duce da celebrare, un popolo da guidare, un
simbolo da scolpire.
(L’aquila
dello scultore Giannino Castiglioni situata nel cortile annesso a casa Colleoni
Dalmine, 1939 Foto: Studio Da Re © Fondazione Dalmine).
Maurizio
Cattelan, “Bozzetti dell’opera Seasons”, 2025.
Poi è
venuta la guerra, e il dopoguerra, e quell’aquila è stata spostata tra i monti,
nella colonia estiva dell’azienda a Castione della Presolana.
Da
emblema del regime, è diventata metafora di libertà e natura incontaminata. Un
classico italiano:
cambiare
cornice e sperare che l’immagine si aggiusti da sola.
Quando
la colonia ha chiuso, anche l’aquila ha perso il suo posto.
È
finita in un magazzino, tra altri frammenti del passato.
E la
Dalmine, oggi, è anche questo:
un
archivio silenzioso che conserva le cose che non si vogliono più guardare, ma
nemmeno buttare via.
In”
Bones”, Cattelan riattiva quel fantasma.
Non lo
denuncia, non lo celebra: semplicemente lo mostra per quello che è. Un’aquila
ridotta all’osso.
Non
più emblema di potenza, ma scultura spoglia, senza più ideologia da reggere. Un
monumento alla caduta, forse anche al vuoto.
Il
luogo in cui è esposta – un tempo cimitero, oggi soglia tra devozione e oblio –
amplifica questo senso di stanchezza definitiva.
Non c’è redenzione.
C’è
una resa silenziosa, che non fa rumore nemmeno quando ci crolla davanti.
Sulla
facciata dell’oratorio, un’incisione recita:
Divino
lupo, conduttore dei bergamaschi.
Anche
il lupo, come l’aquila, è una figura solitaria.
Dicono che guidi, ma nessuno sa dove, come
l’industria, come la politica, come l’arte quando diventa troppo seria, anche
lui si è perso per strada, e ora ci guarda da lontano.
Immobile.
In
attesa di essere dimenticato con grazia.
I
giornalisti accerchiano “Cattelan”, gli fanno domande, e lui risponde parlando
di squadre di calcio.
Si fa
inseguire, svicola, ride, li fa ridere.
C’è qualcosa di disarmante in quella
leggerezza.
Nessuna
spiegazione, nessuna teoria: solo aneddoti, battute, gesti.
Eppure, sotto la superficie, si sente un
rumore sordo.
È la
risata di chi sa che non c’è più niente da salvare.
Alla
fine, un gruppo di loro gli chiede di farsi un selfie.
E lui accetta, naturalmente.
È un momento glorioso, ma anche comicamente
tragico.
Sembra
una vignetta di una rivista che non esiste più.
L’arte
è lì, dietro di loro, in posa.
Forse Cattelan è il più serio di tutti,
proprio perché non smette mai di ridere.
Quello
che rimane, alla fine, è la sensazione che stiamo celebrando qualcosa che forse
non è mai esistito, o che ci siamo inventati per tenerci su.
Le sue
stagioni sono già finite, o forse non sono mai iniziate.
E noi
siamo qui a raccoglierne le rovine, con un sorriso a metà, come bambini sulle
spalle di statue equestri, che fanno bang bang con le dita e non sanno bene chi
stanno mirando.
Rottura
Musk–Trump, implicazioni
per
Tesla e settore EV.
Ig.com.it-
Filippo A. Diodovich – (6-giugno -2025 ) – ci dice:
Lo
scontro tra il tecnoking Elon Musk e il presidente Donald Trump ha innescato
una forte volatilità sui mercati.
(Fonte:
Bloomberg).
(Tesla
Donald Trump Elon Musk Shares Auto elettrica Forex.)
La
frattura pubblica tra Elon Musk e il presidente Donald Trump ha innescato
un’immediata reazione nei mercati, riflettendosi in una forte volatilità sul
titolo Tesla e sollevando interrogativi di natura sistemica sull’intero
comparto dei veicoli elettrici (EV).
Performance
azionaria di Tesla.
Ieri
Tesla ha registrato un calo del 14,3%, equivalente a una perdita di circa 150
miliardi di dollari in capitalizzazione.
Il
sell-off è stato catalizzato da dichiarazioni ostili reciproche:
Musk
ha definito il nuovo disegno di legge fiscale di Trump un abominio e ha
collegato il presidente Trump allo scandalo Epstein.
In
risposta, Donald Trump ha minacciato la revoca dei contratti governativi e dei
sussidi federali alle aziende riconducibili a Musk, incluse Tesla e “Space X”.
Sebbene
il titolo abbia mostrato un rimbalzo tecnico del 4% nella giornata di oggi, il
danno strutturale in termini di sentiment e visibilità istituzionale rimane
rilevante.
Quali
rischi per Tesla?
Il
“Big Beautiful Bill”, il pacchetto fiscale proposto dall’amministrazione Trump,
prevede l’eliminazione dei crediti d’imposta fino a 7.500 dollari per
l’acquisto di veicoli elettrici.
Per
Tesla, ciò potrebbe tradursi in un impatto negativo stimato di circa 1,2
miliardi di dollari sui profitti annuali, in un contesto già segnato da
pressioni competitive e rallentamento della domanda in alcuni mercati chiave.
Quale
impatto per il settore EV?
Il
rischio normativo si estende anche ad altri player del settore — tra cui “Rivian”,
“Lucid Motors” e “BYD” — che potrebbero dover affrontare una revisione delle
proprie strategie di pricing e penetrazione di mercato negli Stati Uniti.
Il potenziale rallentamento dell’adozione EV,
alimentato da un quadro normativo incerto, rappresenta un rischio sistemico per
il comparto.
Outlook
strategico.
Nonostante
la resilienza dimostrata storicamente da Tesla e una pipeline tecnologica
ancora solida, l’escalation politica espone l’azienda a vulnerabilità latenti.
La
dipendenza da incentivi governativi e relazioni istituzionali evidenzia un
problema di concentrazione del rischio, aggravato da una governance fortemente
accentrata.
Nel
medio termine, gli investitori dovranno monitorare attentamente tre variabili:
l’evoluzione del quadro normativo USA, la possibilità di ritorsioni sui
contratti pubblici e la reazione dei consumatori in un contesto polarizzato.
Analisi
tecnica dell'azione Tesla.
Le
recenti pressioni negative hanno modificato le nostre aspettative grafiche di
medio/breve periodo.
Crediamo che l'eventuale cedimento del
supporto a $272, minimi di ieri sera e bottom di inizio maggio, possa essere la
condizione per dare continuità al trend negativo ed estendere la discesa in
direzione di obiettivi short situati a $260 e $235.
Segnali
contrari solamente sopra $326.
La
politica criminale di Netanyahu
per Amnesty International è
un
vero genocidio.
Dire.it
- Nicola Perrone – (21-05-2025) – ci dice:
Confronto
acceso in Parlamento sulla tragica situazione che vivono i palestinesi a Gaza.
ROMA –
Confronto acceso in Parlamento sulla tragica situazione che vivono i
palestinesi a Gaza e la politica criminale di Benjamin Netanyahu e del suo
governo sostenuto da forze estremiste e fanatiche altrettanto criminali.
Sia il capo che i suoi seguaci sempre più
dimostrano apertamente di puntare all’annientamento dei palestinesi a Gaza.
È difficile, quando le immagini ogni giorno
rimandano a tanti morti innocenti, distruzioni di massa e a un popolo che sta
letteralmente morendo di fame, distinguere chi guida Israele grazie al sostegno
della maggioranza dei cittadini e l’altra parte, comunque grande, degli
israeliani che da anni si oppongono a Netanyahu, con decine di migliaia di
persone che ogni volta scendono a protestare in piazza e che vorrebbero non
solo cacciarlo ma chiuderlo in galera.
Che fare?
Che
possiamo fare noi in Europa per fermare questo massacro, questo annientamento
studiato a tavolino, un altro genocidio?
Nei
giorni scorsi nel “Consiglio Affari esteri dell’Unione europea” 17 paesi hanno
votato a favore della proposta avanzata dall’Olanda – 9 contrari tra cui Italia
e Germania- per sospendere l’accordo di partenariato con Israele.
Ora
sarà la Commissione europea a valutare.
“A
Gaza c’è l’inferno in terra, bombe sugli ospedali e le scuole. Il governo
israeliano ha tolto acqua cibo e aiuti umanitari.
Bisogna fermare i crimini del governo
Netanyahu, il mondo non può restare a guardare.
I nostri deputati che sono stati al valico di
Rafah ci hanno raccontato di centinaia di camion fermi, stanno violando ogni
norma di diritto internazionale creando un precedente pericoloso che non
possiamo tollerare.
Nella nostra mozione chiediamo sanzioni al
governo e l’embargo totale di armi da e verso Israele.
Noi esprimiamo il nostro supporto per i
palestinesi che protestano contro Hamas, perché nessuno di noi dimentica i
crimini del 7 ottobre ma tutto questo non può giustificare lo sterminio di
15mila bambini a Gaza.
A
Giorgia Meloni chiediamo di fronte a questo oltraggio come si può rimanere
fermi.
Non si può continuare a tacere” ha detto la
segretaria del Pd, “Elly Schlein”, nel corso del suo intervento alla Camera
sulle mozioni su Gaza.
“Il
silenzio oggi non è un’opzione, il silenzio oggi è complice” ha sottolineato.
Ma le mozioni di opposizione sono state tutte
respinte.
È
passata quella della maggioranza di Destra-Centro che impegna il Governo
comunque a sostenere insieme ai partner europei e internazionali ogni tentativo
di soluzione negoziata tra Israele e rappresentanti palestinesi per la
stabilizzazione e la ricostruzione di Gaza…
anche
nell’ottica di rilanciare un processo politico verso una pace giusta e duratura
in Medio Oriente, basata sulla soluzione dei due Stati, uno Stato di Israele e
uno Stato di Palestina che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza.
Una
prospettiva che proprio non viene presa in considerazione dal Governo
Netanyahu.
Emanuele
Fiano, ex deputato del Pd, oggi presidente di ‘Sinistra per Israele – due
Popoli due Stati’ nell’intervista rilasciata a Huffpost ha detto che “il 7
ottobre (strage compiuta dai terroristi di Hamas, ndr) non va dimenticato, ma
non impedisce di condannare lo strazio di Gaza e l’uso bellico della carestia
di un’intera popolazione.
Netanyahu
sostiene di voler annientare Hamas perché vuole distruggere Israele, è vero, ma
non si può fare al costo di centinaia di civili uccisi per ogni terrorista”.
(Tg
Politico parlamentare, edizione del 6 giugno 2025)
IL
MANDATO D’ARRESTO A NETANYAHU.
C’è da
sottolineare anche le parole dell’esponente dell’opposizione Yair Golan: “Se
non torniamo ad essere uno Stato sano di mente, che non uccide bambini per
hobby, rischiamo di diventare uno Stato paria come fu il Sudafrica
dell’apartheid”.
Golan
non è uno qualunque, è un soldato, ex vicecapo di stato maggiore, e Netanyahu
subito lo ha definito traditore.
Ma
secondo lui, leader dei Democratici – partito che riunisce la sinistra
laburista e quella socialista, secondo dopo il Likud – il Governo Netanyahu non
sta facendo gli interessi del suo Paese.
Forse, come accusano molti, allunga la guerra
per sfuggire alla galera che lo attende per le sue malefatte.
Da
ricordare sempre che su Netanyahu pende il mandato di arresto per presunti
crimini di guerra della “Prima camera preliminare della Corte penale
internazionale”.
Dopo
il ricorso del governo israeliano la Camera d’appello ha sì stabilito che la
questione della competenza giurisdizionale sul mandato d’arresto dovrà essere
riesaminata, ma non si è pronunciata sulla richiesta di sospendere i mandati
d’arresto che quindi sono tuttora validi.
UN
GENOCIDIO.
Per
quanto riguarda quello che sta accadendo ormai da anni a Gaza sulla rete sono
in molti a definire la guerra israeliana un genocidio.
Il dibattito è rovente, in molti contestano
questa accusa.
Ricordiamo
che la “Convenzione sul genocidio del 1948” definisce che il genocidio è “uno
qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o
in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale”:
uccidere
i membri del gruppo ,provocare gravi danni fisici o mentali a membri del
gruppo, infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita tali da
provocare la distruzione fisica totale o parziale, imporre misure volte a
impedire le nascite all’interno del gruppo e trasferire con la forza bambini
del gruppo a un altro gruppo.
Per
determinare che una determinata condotta sia un genocidio, uno o più di questi
cinque atti devono essere commessi “con l’intento di distruggere, in tutto o in
parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale”.
Dopo
approfondita indagine sul campo, sentite molte testimonianze e visionati
documenti, filmati ecc. Amnesty
International non ha dubbi: si tratta di genocidio.
La
documentazione dell’organizzazione prova che Israele ha commesso atti proibiti
dalla Convenzione sul genocidio con l’intento specifico di distruggere la
popolazione palestinese a Gaza, che forma una parte sostanziale della
popolazione palestinese, che costituisce un gruppo protetto secondo la
Convenzione sul genocidio.
Il rapporto di Amnesty International si
concentra su tre dei cinque atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio:
uccisione
di membri del gruppo,
provocare
loro seri danni fisici e mentali,
infliggere
deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocare la sua
distruzione fisica, in tutto o in parte.
Il
rapporto evidenzia come Israele abbia imposto condizioni di vita calcolate per
distruggere la popolazione palestinese di Gaza attraverso tre modelli di
eventi:
il danneggiamento e la distruzione su larga
scala di infrastrutture critiche e di altri oggetti indispensabili alla
sopravvivenza della popolazione civile, ripetute ondate di sfollamenti forzati
di massa in condizioni insicure e disumane e l’ostruzione o le restrizioni
all’ingresso e alla consegna di forniture salvavita, compresi gli aiuti
umanitari, e di servizi essenziali a Gaza – tutti eventi che si sono verificati
simultaneamente, per mesi senza tregua, aggravando gli effetti dannosi di
ciascuno.
Amnesty
International, si legge, ha esaminato 102 dichiarazioni rilasciate da
funzionari governativi e militari israeliani tra il 7 ottobre 2023 e il 30
giugno 2024 che disumanizzavano la popolazione palestinese, invocavano o
giustificavano atti di genocidio o altri crimini contro di loro.
Tra
queste, abbiamo identificato 22 dichiarazioni rilasciate “da alti funzionari
incaricati di gestire l’offensiva che sembravano invocare o giustificare atti
genocidi, fornendo prove dirette dell’intento genocida”.
Nonostante
l’obiettivo militare dichiarato da Israele di sconfiggere Hamas e liberare gli
ostaggi, il diritto internazionale, sottolinea il rapporto di Amnesty
International, indica che “uno Stato può agire con intento genocida perseguendo
allo stesso tempo altri obiettivi.
Anche
se Israele perseguiva obiettivi militari, la totalità delle prove indica che
l’unica deduzione ragionevole che si può trarre dal modello di condotta di
Israele a Gaza è che stava anche cercando di distruggere la popolazione
palestinese a Gaza in quanto tale, il che significa che la sua offensiva
militare e le relative azioni e omissioni a Gaza sono state condotte con
intento genocida”.
Ancora,
si sottolinea nel rapporto di Amnesty International “gli stati che continuano a
trasferire armi a Israele, in particolare gli Stati Uniti, devono sapere che
stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di
diventare complici del genocidio.
Amnesty International ha documentato l’uso da
parte di Israele di armi di fabbricazione statunitense negli attacchi a Gaza
durante questo conflitto, che hanno illegalmente ucciso e ferito civili”.
Israele
non ha il diritto di difendersi?
La
condotta di Israele a Gaza non può essere spiegata come volta a distruggere la
minaccia rappresentata da Hamas?
Per il diritto internazionale, “non ci può
essere giustificazione per i crimini internazionali, compreso il genocidio.
Israele
ha l’obbligo secondo il diritto internazionale di proteggere tutte le persone
soggette alla sua giurisdizione o al di sotto del suo effettivo controllo,
compresi i territori occupati – che siano palestinesi o israeliani.
Tuttavia,
gli atti compiuti in nome della sicurezza devono rispettare il diritto
internazionale, e devono essere proporzionati alla minaccia posta”.
L’APPELLO
DI PAPA LEONE XIV.
Concludiamo
con l’appello rivolto oggi ai potenti del mondo da Papa Leone XIV: “È sempre
più preoccupante e dolorosa la situazione nella striscia di Gaza.
Rivolgo
un accorato appello a consentire un ingresso dignitoso agli aiuti umanitari e a
porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli
anziani e dalle persone malate”, ha detto al termine della sua prima udienza
generale in piazza San Pietro.
“Ehud
Olmert” su Netanyahu e
il suo
Governo: “Una banda criminale”.
It.insideover.com
- Giuseppe Gagliano – (31 Maggio 2025) – ci dice:
L’accusa
non arriva da un attivista pacifista, né da un organismo internazionale
sospettato di ostilità preconcetta verso Tel Aviv.
A
lanciare la denuncia, con parole che scuotono le fondamenta della retorica
bellica israeliana, è l’ex primo ministro “Ehud Olmert”.
Proprio
lui, già protagonista dell’operazione “Piombo Fuso”, già membro di punta del”
Likud”, oggi rompe il fronte dell’omertà politica israeliana e punta il dito:
“Sì, Israele sta commettendo crimini di guerra
nella Striscia di Gaza”.
Non si
tratta di un’uscita estemporanea.
Le
dichiarazioni di “Olmert”, affidate alla penna di” Haaretz” e ribadite alla
“BBC,” delineano un atto d’accusa sistemico contro la condotta del governo
Netanyahu, definito senza esitazioni “una banda criminale” che ha gettato il
Paese in una guerra “senza scopo, senza obiettivi, senza alcuna possibilità di
successo”.
È un
atto d’accusa che, nella sua radicalità, rompe con anni di silenzi compiaciuti
o giustificazionismi di Stato.
Una
guerra politica privata.
“Olmert”
non risparmia nulla.
Sottolinea
che mai, dalla fondazione dello Stato di Israele, il Paese aveva intrapreso un
conflitto tanto privo di coerenza strategica, condotto con metodi che hanno
trasformato Gaza in un “disastro umanitario”.
La
guerra, afferma, ha perso qualsiasi connotazione difensiva o legittimità
militare.
È
diventata “una guerra politica privata”, funzionale solo alla sopravvivenza di
un governo assediato da accuse e inchieste, privo di consenso e ossessionato
dalla propria caduta.
In
queste parole riecheggia il disincanto di un insider che conosce i meccanismi
della sicurezza israeliana, e che oggi li vede svuotati di etica e logica.
L’orrore
dei bombardamenti, le migliaia di vittime civili, la distruzione sistematica
delle infrastrutture civili:
tutto
ciò, dice Olmert, “non ha più nulla a che vedere con obiettivi bellici
legittimi”.
Israele
e l’abisso morale.
Le
affermazioni dell’ex premier non sono isolate.
Fanno
eco a quelle del generale “Yair Golan”, già vicecapo di stato maggiore, oggi
voce fuori dal coro nel panorama militarizzato della politica israeliana:
“Un Paese sano non uccide bambini per hobby,
non si pone l’obiettivo di espellere intere popolazioni”.
Frasi che suonano come bestemmie per
l’establishment dominante, ma che riflettono un disagio crescente anche
all’interno di settori tradizionalmente fedeli allo “Stato profondo”.
La
reazione dell’apparato è immediata e feroce.
Il
ministro degli Esteri “Gideon Sa’ar “grida al tradimento, accusando “Olmert” e
“Golan” di partecipare a una “campagna diplomatica e legale contro Israele e
l’IDF”.
Il ministro dell’Istruzione “Yoav Kisch”
rincara: “Stanno pugnalando alle spalle i nostri soldati”.
E la
ministra “May Golan”, con retorica da trincea, parla di “sputi in faccia” a chi
combatte per Israele.
Ma
l’eco delle parole di “Olmert” è difficile da silenziare.
Perché arrivano nel momento in cui la
narrativa del Governo comincia a sfaldarsi sotto il peso di una realtà
innegabile:
Gaza è
oggi un cimitero a cielo aperto, un laboratorio di distruzione totale, una
vetrina crudele di ciò che accade quando la guerra diventa cieca e ossessiva.
Il
linguaggio della destra estrema: genocidio normalizzato.
A
rendere ancor più inquietante il quadro, sono le dichiarazioni di esponenti dell’estrema destra, passate quasi
sotto silenzio.
“Moshe
Feiglin”, ex deputato e ideologo radicale, ha affermato in diretta TV: “Ogni
bambino a Gaza è un nemico.
Non
deve restare neanche un bambino gazawi”.
Una
frase che, in qualsiasi altro contesto, farebbe tremare i tribunali
internazionali.
In Israele, invece, è stata accolta con
indifferenza dai vertici politici.
Lo
stesso ministro delle Finanze” Bezalel Smotrich “rivendica apertamente la
“distruzione totale” della Striscia, descrivendo un’operazione militare che
colpisce non solo Hamas, ma l’intera amministrazione civile.
Il
principio di distinzione tra combattenti e civili, cardine del diritto
internazionale umanitario, sembra essere stato cestinato.
Crimini
di guerra e isolamento internazionale.
Nel
frattempo, la reputazione internazionale di Israele crolla sotto i colpi delle
inchieste giornalistiche, delle risoluzioni delle Nazioni Unite, dei movimenti
per i diritti umani.
L’accusa di crimini di guerra non è più una
provocazione, ma una prospettiva concreta.
“Olmert”
lo dice chiaramente: “Uccisioni indiscriminate, senza limiti, crudeli e
criminali di civili… È il risultato di una politica governativa consapevole,
irresponsabile e malvagia”.
E
quando lo dice uno dei protagonisti storici della politica israeliana, non si
può più archiviare la questione come propaganda nemica.
È la
voce di chi ha fatto parte del sistema e ora denuncia il collasso morale di
quel sistema.
La
fine dell’impunità?
Le
parole di “Ehud Olmert “potrebbero segnare una frattura.
Non
solo nella narrazione interna israeliana, ma anche nel posizionamento del Paese
sulla scena internazionale.
La
domanda è se ci sarà qualcuno disposto ad ascoltarle.
Perché
ciò che accade a Gaza non è più solo un problema regionale: è una crisi della
coscienza occidentale, che tollera, finanzia, giustifica.
Per “Olmert”,
l’ora della verità è arrivata.
Per
Israele, il bivio è drammatico:
continuare
a marciare verso l’abisso o fermarsi, riconoscere, cambiare.
Ma
intanto, Gaza brucia.
L’Occidente
in decadenza
continua
a essere un modello.
Comune-info.net - Raúl Zibechi – (18 Giugno
2024) – ci dice:
È
sempre più evidente:
l’Occidente non ha più la completa egemonia,
ma nessun altro paese ce l’ha.
Il
vero problema è che nel mondo non c’è al momento un’alternativa al capitalismo.
Il rischio di una terza guerra mondiale è
reale.
Tra
chi non smette di rifiutare quel dominio c’è chi, purtroppo, considera
importante l’ascesa della Cina, come se fosse un’alternativa, molti altri
restano invece schiacciati sotto un pensiero critico colonialista e non vedono
qualcosa di diverso dagli stati-nazione come teatri di cambiamento.
Le
alternative, scrive Raúl Zibechi, possiamo rintracciarle nei popoli che hanno
cominciato a organizzarsi per resistere e creare mondi nuovi.
Ma
sarà una lunga traversata.
“Certamente non è sufficiente per abbattere il
sistema capitalista, per questo l’EZLN punta a lavorare da oggi perché in
centoventi anni, sette generazioni, le persone che nasceranno potranno
scegliere liberamente il proprio futuro.
Non esistono scorciatoie istituzionali né
partitiche…”
La
profonda opacità del mondo attuale ci impone almeno due compiti permanenti:
mettere
in dubbio le analisi unilaterali che tendono a semplificare le realtà complesse
e, dall’altra parte, consultare fonti diverse, anche contraddittorie tra loro,
per offrire almeno un panorama che permetta di dissipare l’oscurità che acceca
la nostra capacità di comprensione.
Nel
libro “La sconfitta dell’Occidente” “Emmanel Todd” afferma che il declino della
nostra civiltà è inevitabile.
In
quest’opera ritiene che il decollo di Europa e Stati Uniti fosse intimamente
connesso con l’ascesa del protestantesimo, per il suo approccio all’educazione
che ha favorito l’efficienza e la produttività dei lavoratori.
Ma la
“scomparsa dei valori protestanti”, continua “Todd”, ha portato al fallimento
educativo, al disordine morale e alla fuga dal lavoro produttivo favoriti dalle
pratiche religiose.
Lo
scrittore libanese “Amin Maalouf “ha appena pubblicato” Il labirinto degli
smarriti”, in cui avanza altre ipotesi che non collidono con quelle di Todd e
che possono essere anzi considerate affini.
Sostiene
che per cinque secoli “il dominio occidentale e più precisamente dell’Europa,
non era in discussione.
Chi si
opponeva era umiliato e sconfitto. Ora le cose sono cambiate”, conclude (El
Diario, 4/6/24).
Così come “Immanuel Wallerstein”, assicura che
l’Occidente non ha più la completa egemonia, però nessun altro paese ce l’ha
negli ultimi anni.
Aggiunge che nessuna potenza ha ancora la
capacità di risolvere i conflitti, come quello di Israele contro la Palestina,
non riuscendo neanche a impedire che scoppino.
Per
questo afferma che “l’umanità oggi sta attraversando uno dei periodi più
pericolosi della sua storia”.
Secondo
me uno dei punti più forti delle interviste che ha rilasciato a diversi media
in questa settimana è la sua potente affermazione che la decadenza
dell’Occidente riguarda tutto il pianeta.
“Il
declino occidentale è reale, ma né gli occidentali né i loro numerosi avversari
riescono a condurre l’umanità fuori dal labirinto in cui vaga senza meta”
(El Confidencial, 3/6/24).
Continua:
“Gli
avversari del mondo occidentale non hanno dei reali modelli da proporre.
Hanno molte critiche al modello occidentale,
sul ruolo svolto dall’Occidente, sul perché l’Occidente prova a prendere le
decisioni per il mondo intero.
Però
non c’è un’alternativa”.
Perciò
dice che il naufragio è globale, “dell’insieme di tutte le civiltà”, non solo
occidentale.
Insieme
a Europa e Stati Uniti, ci fa notare che anche la Russia sta seguendo un
declino e che già affronta problemi simili a quelli delle altre potenze.
Per quanto riguarda la Cina, “Maalouf evidenzia” che
segue anch’essa il modello occidentale:
non
solo capitalista ma anche neoliberista e di accumulazione per sottrazione.
Il
rischio di una terza guerra mondiale è “reale” secondo “Maalouf”, soprattutto
perché le società non vogliono ammettere i pericoli evidenti nel frenetico
sviluppo di nuove armi da parte delle grandi potenze.
Nella
mia opinione le dure affermazioni di “Maalouf” sull’assenza di un’alternativa
al modello capitalista, sono giuste, e la realtà odierna somiglia ai conflitti
inter imperialisti che portarono alla Prima Guerra Mondiale nel 1914.
È doloroso osservare come movimenti che sono
stati rivoluzionari, oggi celebrino l’ascesa della Cina e che alcuni la
considerino un paese socialista retto da capi marxisti.
Questo
fa parte dell’enorme confusione che dilaga nell’ambito dell’emancipazione.
Il
secondo problema è il tremendo radicamento del colonialismo all’interno del
pensiero critico, che non riesce a vedere oltre gli stati-nazione come teatri
di cambiamento e trasformazioni rivoluzionarie.
Da un lato gli stati dell’America Latina sono
un’evidente eredità coloniale, strutturati in maniera gerarchica e patriarcale
e non possono essere modificati né rifondati, come cercano di sostenere alcune
correnti progressiste.
D’altro canto l’esperienza storica ci dice che
le rivoluzioni vincenti che si sono circoscritte alle frontiere degli stati non
sono potute andare avanti nelle trasformazioni che desideravano.
Dobbiamo trarre alcune conclusioni da più di
un secolo di rivoluzioni focalizzate in stati che non potrebbero mai essere
democratici né democratizzati.
Qualcuno
può forse immaginare una qualche forma di democrazia in eserciti e polizia? O
nel sistema giudiziario?
Le
alternative che “Maalouf” non trova in Cina né in Russia né in Iran possiamo
rintracciarle nei popoli che si sono organizzati per resistere e creare mondi
nuovi, in molti angoli del nostro continente.
Certamente
non è sufficiente per abbattere il sistema capitalista, per questo l’EZLN punta
a lavorare da oggi perché in centoventi anni, sette generazioni, le persone che
nasceranno potranno scegliere liberamente il proprio futuro.
Non
esistono scorciatoie istituzionali né partitiche.
Declino
della civiltà occidentale
e
crisi italiana. La necessità di
una
Nuova Camaldoli.
Formiche.net
- Giancarlo Elia Valori – (9 -09 -2022) – ci dice
Tra i
principi ispiratori del Codice di Camaldoli vi era l’idea di uno Stato inteso
come garante e promotore del bene comune. Oggi ci siamo dimenticati dì questa
finalità e ci sfugge lo Stato, che i liberali della second’ora vorrebbero
ridotto a mero fascio di residuali funzioni fiscali e amministrative
Il
problema della traiettoria disastrosa dello sviluppo della civiltà occidentale
dell’era postmoderna – che costruisce presente e futuro sul totale nichilismo
in relazione alle grandi conquiste delle precedenti epoche culturali – sta
scivolando irresistibilmente dal pieno al vuoto. Esso è diventato il leitmotiv
delle discussioni filosofiche, culturali e politiche degli ultimi tempi.
La natura
distruttiva del sistema che si basa su capitale e banche è stata ripetutamente
notata, puntualizzando sì che l’Occidente sa galvanizzare e dividere, ma non
gli è dato di stabilizzare e unire.
L’umanità non può raggiungere l’unità politica
e spirituale seguendo questa via che l’emisfero ovest sta percorrendo.
Allo
stesso tempo, l’urgenza di unirsi è del tutto evidente, perché oggi l’unica
alternativa alla pace è l’autodistruzione, a cui la corsa agli armamenti
nucleari e basati pure sull’intelligenza artificiale sta spingendo l’umanità
verso l’impoverimento insostituibile delle risorse naturali, l’inquinamento
ambientale e l’esplosione demografica senza garanzie future di sussistenza.
L’inevitabilità
di un cambio di paradigma nello sviluppo umano è stata già registrata nel “rapporto
2018 del Club di Roma” – associazione non governativa, non-profit, di
scienziati, economisti, uomini e donne d’affari, attivisti dei diritti civili,
alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti e cinque i
continenti, fondato nel 1968 – che contiene aspre critiche al capitalismo
neoliberista, nonché un appello all’élite intellettuale mondiale per fondare il
concetto di economia alternativa e ritorno ad un nuovo Illuminismo, che possa
salvare la civiltà, occidentale e non, con una visione del mondo olistica.
Le
rivoluzioni industriali e informatiche hanno mostrato la natura illusoria della
speranza per la ragione, che avrebbe dovuto correggere il “secolo dislocato”.
La
crescente era digitale sta avvicinando la transizione del mondo alla
prospettiva di una totale automazione e robotizzazione della produzione, che
esclude quasi del tutto una persona dalla vita economica.
Sullo
sfondo della crisi ecologica ed esistenziale, si discute sempre più dell’idea
transumanista di raggiungere l’immortalità creando un postumano artificiale
come un sistema non biologico auto-organizzante, così come abbiamo affrontato
in precedenti articoli.
L’espansione
dei problemi globali stimola la comprensione del destino dell’ampio percorso di
sviluppo che porta al consumo predatorio di risorse, rafforza la critica al
progresso scientifico e tecnologico come un ramo “senza uscita” dello sviluppo
della civiltà teso unicamente al profitto. Il sistema economico capitalistico
di mercato e la dittatura della finanza- crazia mondiale sono diventati il
becchino ecologico dell’umanità. In una folle corsa del gregge il pianeta si
sta avvicinando all’orlo dell’abisso, al confine del suicidio tribale
collettivo.
Sullo
sfondo di un catastrofico aggravamento di contraddizioni e problemi radicati,
il logos umanitario comincia ad assumere i connotati dell’escatologia
religiosa, testimoniando che la nostra epoca è alla vigilia della resa
spirituale.
La
resa spirituale ai avvicina a faglie di livello metafisico: la civiltà europea
è entrata nella fase della fatica finale per il sovraccarico causato dalla
pressione dell’impulso tecnologico prometeico.
Il logos – energicamente raffreddato dall’era
della modernità e ontologicamente evirato dal nichilismo postmoderno – sta
perdendo le sue posizioni.
La crisi attuale non è delle singole società,
ma dell’intero sistema macro culturale che ha sostituito il Mondo Antico,
sistema che era appunto logocentrico.
Il “Verbo”
ha esaurito le sue possibilità culturali-creative, e il postmoderno ha
tracciato una linea sotto di esse. La parola, precipitando nell’entropia del
relativismo, non è più né il motore delle dinamiche culturali né la maschera
della stessa cultura.
L’erosione
dei tradizionali criteri di identità – in specie in Italia, dove prima di
Ciampi, la bandiera nazionale la si poteva sventolare solo allo stadio, sennò
si era chiamati fascisti – criteri nazionale-culturali, di genere, sociale,
professionale, ossia quell’atomo indivisibile che per molti secoli ha fornito
l’aspirazione verticale della cultura europea nella sfera dello spirito, sta
crollando: quando la cultura non sopravvive, restano solo gli scarafaggi.
La
spietata selezione del mercato disumanizza una persona, privandola delle
energie spirituali chiave: vergogna, coscienza, misericordia, perdono, fede,
speranza, amore.
Il
mercato dominante, liberando gli elementi dell’avidità e dell’invidia, uccide
la motivazione alla partecipazione sociale, che sta alla base delle strutture
della società civile.
Privata dell’energia della solidarietà, una
società perde la capacità di fornire assistenza reciproca e autodifesa, diventa
un ambiente disperso che esiste sotto il segno dell’entropia come sistema
distruttivo che partorisce anticorpi asociali e criminogeni che distruggono la
civiltà originaria.
Come
abbiamo rilevato sopra la crisi attuale non è delle singole società, ma ognuna
di esse ha caratteristiche differenti.
In Italia quella che stiamo attraversando non
è più solo una crisi economica o finanziaria, ma di prospettiva.
Serve
una nuova Camaldoli per rilanciare l’idea di bene comune e uscire da questa
situazione, in cui dopo la parentesi costruttiva del grande ceto politico
1944-1991, si sono succeduti personaggi posti fra lo scendere in campo
calcistico, e l’asservimento total-colonizzante privo di una seppur minima
politica estera.
Camaldoli
significò attivare una prospettiva, una visione alta ma al tempo stesso
operativa in un momento non meno critico dell’attuale per il nostro Paese.
Tra i
principi ispiratori del “Codice di Camaldoli” vi era l’idea di uno Stato inteso
come garante e promotore del bene comune. Oggi ci siamo dimenticati dì questa
finalità e ci sfugge lo Stato, che i liberali della second’ora vorrebbero
ridotto a mero fascio di residuali funzioni fiscali e amministrative.
Ci
siamo dimenticati, soprattutto, del bene comune.
Su
questo basterebbe intenderci sul significato di politica che ci dovrebbe legare
non al liberalismo della “Scuola di Chicago “– padre del colpo di Stato cileno
del 1973 – ma a un progetto completo di riforma dello Stato e dell’economia
italiane.
Oltre
all’accettazione dei diritti dell’uomo in funzione di una teologia politica che
riconosca la centralità della persona, l’accettazione della legge dello Stato
se coincide con il retto sentire e la libertà di tutti gli uomini.
Il
bene comune – come ci detta il codice di Camaldoli del 1943 – è il fine dello
Stato, che non può sostituirsi ai singoli, al mito del “Leviatano di Hobbes”,
ma che riguarda le condizioni esterne necessarie a tutti i cittadini per lo
sviluppo delle loro qualità e del loro benessere.
Oggi
c’è davvero bisogno di questa filosofia nel dibattito politico e culturale
italiano e europeo, solo che mancano gli uomini all’altezza di farlo.
Gli Stati – compreso il nostro Paese – sono
diventati tutti più deboli e incapaci, semi colonie che in luogo di proteggere
e sostenere il bene comune, non fanno alcunché per impostare un’alternativa nel
tempo degli “hedge funds”, della “globalizzazione finanziaria”, dell’”impoverimento
di massa” e del trasferimento di gran parte del baricentro manifatturiero e,
poi, dal centro euroamericano ai” Paesi in Via di Sviluppo”, dove la cultura
del bene comune, per motivi storici e ideologici dovuti al pensiero liberale,
non è particolarmente diffusa laddove si globalizzano le idee e dopo si
universalizza la finanza.
Dignità,
eguaglianza, solidarietà della persona umana: ecco altri principi ispiratori di
Camaldoli.
Oggi che molti sembrano richiamarsi, spesso a
sproposito, all’esperienza del ‘43, come si crede di poter ricollocare la
persona nella centralità che le compete sulla scena umana?
La
persona nella filosofia politica è irriducibile non solo allo Stato, ma anche
alla comunità e al gruppo.
Viene in mente il concetto heideggeriano di
«essere gettati nel mondo», una relazione che implica l’unicità non solo della
persona fisica, ma anche della sua “substantia morale e spirituale”.
Uscire dal soggettivismo capitalista era il “primo
fine dei collaboratori di Mounier”, poiché il “gruppo di Esprit” vedeva nel
concetto borghese di persona l’atomismo del mercato, l’incapacità di creare una
teoria dello Stato, il bellum omnium contra omnes – ed in sedicesimo il
proliferare di liste ad personam è una sua squallida manifestazione – che può
distruggere non solo ciò che è “superato” nell’economia, secondo il modello di
Schumpeter, ma anche la storia e la morale profonda dei popoli.
Per
Mounier, il capitalismo «faceva troppo presto»”, accelerava sul breve periodo
trasformazioni che avrebbero necessitato di più tempo.
Solo
il bene comune e ciò che lo rende efficace la teoria dello Stato democratico e
quella consequenziale della rappresentanza politica.
Oggi
la situazione è complessa, poiché la persona e la sua dignità, con i suoi
diritti inalienabili è divenuta, grazie all’ideologia succitata del
postmoderno, un semplice fascio di istinti che stacca il cittadino dalla
propria storia, o una «macchina desiderante», per usare una vecchia formula di “Deleuze”.
Senza
il “codice di Camaldoli” non vi sarebbe stata la Costituzione repubblicana, e
non dico questa costituzione, ma una “Carta Fondamentale italiana e
repubblicana” qualsivoglia.
Se mi
si consente una serie di suggerimenti, un nuovo “Codice” camaldolese potrebbe
partire dalla nuova teoria della “persona”:
non più titolare di semplici diritti formali,
ma capace di elaborarne di nuovi all’interno dì una libera comunità.
Difendere
l’universalità dei valori umani, difendere un nuovo diritto del lavoro nell’era
della globalizzazione, senza creare rendite ma anche senza distruggere vite e
dignità delle persone, e tutelare la natura, sono tutti elementi di una Nuova
Camaldoli che non potrà non essere globale, come universali sono le sfide che
anche l’Italia si trova a fronteggiare in questi anni.
Un
intervento pubblico nell’economia sarebbe auspicabile, proprio quando
ritornello delle “privatizzazioni” ci viene alla memoria.
E poi
bisogna chiedersi cosa vuol dire “intervento pubblico”.
Di
fronte a una questione come questa, ci domandiamo: cos’è davvero pubblico e
cosa intrinsecamente privato?
Il
principio di una buona gestione va ben oltre la titolarità della proprietà
delle imprese, e probabilmente la questione di una nuova teorica
dell’intervento pubblico nell’economia riguarda un vecchio termine caro agli
economisti di Camaldoli:
la
programmazione.
Noi
abbiamo a che fare, oggi con un capitalismo che “crea valore per gli
azionisti”, ma senza definire il tempo della creazione e della durata pure
morale di tale valore.
Una
economia “mordi e fuggi” che sta distruggendo sé stessa.
Sarebbe
necessario, e anche questo è nello spirito della carta camaldolese, un
dibattito globale, nelle sedi opportune, su chi produrrà cosa nei prossimi anni.
I
“venti gloriosi” anni che vanno dalla prima ricostruzione economica postbellica
degli anni Cinquanta alla fine della parità fissa definita a Bretton Woods
(Ferragosto 1971), che gli Stati Uniti d’America utilizzarono per far pagare
agli europei la loro super inflazione da guerra del Vietnam in parallelo con la
costruzione della “Great Society” di Lyndon Johnson, sono finiti.
Ma non affatto finita la necessità di una
analisi concordata della divisione mondiale del lavoro.
Se si razionalizza la divisione mondiale del
lavoro, si aumenta la redditività media degli investimenti, che acquisiscono
effetti di sinergia ambientale, e il tutto dovrebbe essere gestito, sempre
nello spirito di Camaldoli, da un nuovo accordo tra le monete.
Non più la guerra euro-dollaro, rovinosa alla
fine per l’euro, ma la ridefinizione di bande di oscillazione tra le monete
tali da sostenere periodo nazionali di sviluppo o crisi senza esportare
inflazione o distruggere i mercati altrui, ecco, sono tutte idee che si
potrebbero discutere nella “Nuova Camaldoli del Terzo Millennio”.
Altro
problema sono i giovani che non trovano lavoro per colpa di una cattiva
formazione secondaria e universitaria, che è stata pensata per dare lavoro alla
proletarizzazione degli insegnanti piuttosto che per fornire occasioni serie
agli studenti.
Noi
abbiamo creato una gioventù del consumo cospicuo – «non voglio che mia/o
figlia/o abbiano le mie stesse privazioni».
Se la
persona è un tutto il consumismo giovanile ha distrutto la stessa identità di
questa dimensione della vita.
Cosa
fare, praticamente?
La
cooperazione, in questo senso, potrebbe dare alcune risposte:
cooperative di giovani, fiscalmente ben
trattate, e che possano accedere a finanziamenti legati ad una specifica entità
finanziaria, pubblico-privata, una sorta di “Cassa Depositi e Prestiti” della
società.
Bene
comune significa la libertà del soggetto che si confronta, ogni giorno, con la
libertà di altri uomini e donne.
È la
ricerca di un punto di contatto reale tra i vari gruppi sociali, che la
degenerazione postmoderna del capitalismo ha separato.
Gli imprenditori e i lavoratori, i giovani e i
vecchi, i poveri e i ricchi, sono “gruppi” che oggi si vedono impegnati in un
“gioco a somma zero” nei confronti degli altri, di tutti gli altri.
È un
errore prima spirituale e culturale, ma è anche un errore tecnico e economico.
Ogni attività sociale dovrebbe essere, da questo punto di vista, insieme più
libera e più socializzata.
Ricordo
ancora il discorso di dimissioni del Presidente della Repubblica, Francesco
Cossiga, pronunciato il 25 aprile 1992, XLVII anniversario della Liberazione.
Una
data emblematica che rappresenta la fine della Repubblica dei Grandi Uomini
Politici.
Egli affermò:
“Concludo
così sette anni che sono stati difficili non per me o non solo per me, ma anche
per il Paese.
Sette
anni in cui tante cose sono state cambiate ed in cui mi è stato assicurato il
privilegio di essere testimone di grandi cambiamenti all’Est, ma io mi auguro
anche all’Ovest adesso.
Sette anni in cui ho cercato con il silenzio
prima, con la parola poi, con gli atti, con gli scritti, con i comportamenti di
servire il mio Paese:
vi sono riuscito? non vi sono riuscito?
Non
spetta a me giudicarmi.
Io non
ho messaggi da lanciarvi e non ho né forza politica, né rappresentanza morale
tali da pretendere di lasciarvi testamento.
Ai
giovani io vorrei dire però di amare la Patria, di onorare la Nazione, di
servire la Repubblica, di credere nella libertà e di credere nel nostro Paese.
A
tutti voi voglio dire di avere fiducia in voi stessi.
Questo
è un Paese che non sarà una grande potenza politica, che non sarà una grande
potenza militare e forse questo è una benedizione di Dio, ma è un Paese di
grande cultura, di grande storia, è un Paese di grandi energie morali, civili,
religiose e materiali.
Si tratta di saperle mettere assieme e si
tratta di fondare delle istituzioni che facciano sì che lo sforzo di ognuno
vada a vantaggio di tutti”.
Ed in
merito alle origini della nostra Repubblica rammentata da Cossiga, ricordo l’8
settembre 1943.
Sono cresciuto, in fretta, in un momento
storico difficile ma intriso degli ideali della Resistenza in maniera così
forte e radicata che, per me, la memoria storica è rivivere quotidianamente
anche fatti e vicende strettamente personali.
Però
con profonda amarezza e indignazione, riscontro la totale assenza – in questo
preciso momento storico che ci apprestiamo ad affrontare caratterizzato a
livello globale dalla guerra, dalla conseguente crisi energetica e a livello
interno dalle prossime tornate elettorali – di celebrazioni che riportano alla
mente i grandi ideali di Libertà, Pace, Uguaglianza tanto declamati ed invocati
qualche anno fa.
Ritengo
sia davvero episodio gravissimo e provocatorio, che tra i candidati attualmente
in corsa si riscontri una totale assenza di amor patrio e di memoria storica;
entrambi valori universali che prescindono dal movimento per il quale si corre
politicamente.
Un’assenza
che parla di un Paese poco intenzionato a fare i conti con la propria storia e
con un ceto politico di bassi profilo e spessore nonché inetto.
Quanto questo si ripercuota nel nostro
presente è fuori di dubbio e non è un caso ma, mia palese intenzione squarciare
il velo spronando le coscienze a fronteggiare questa tragedia di vuoto e
stupidità istituzionale.
L’8
settembre è una giornata memorabile che merita rispetto profondo per i valori e
i sentimenti ad essa connessa tanto più in questo momento storico che richiede
tracciato un percorso nella coscienza collettiva che insegni il ripudio
dell’indifferenza e di ogni forma di estremismo, per costruire una società
basata sul rispetto della dignità umana.
Le
mancanze di taluni esponenti politici in questo periodo, per me sono ignobili
provocazioni, che non possono essere additati come episodi isolati, bensì vanno
posti in cruda evidenza.
Ritengo,
inoltre, vada mantenuta alta l’attenzione affinché le giovani generazioni
continuino a coltivare la memoria e la verità storica, le sole in grado di
sconfiggere ogni atteggiamento connesso all’odio, al razzismo e alla violenza.
Auspico
che si possa tornare a far riflettere le persone sui veri valori della libertà,
del rispetto e della tolleranza, che sono conquiste che devono essere difese
nell’esclusivo interesse di una civiltà a misura d’uomo, idonea a concepire e
rendere la cultura della pace e della giustizia il vero tesoro dei popoli
evoluti, liberi e democratici.
Oggi
qualcuno discute sulla necessità di festeggiare ancora il 25 aprile 1945. Mi
chiedo: ma costoro non si rendono conto che i loro “avi” IERI sono stati
distrutti da coloro i quali, i già menzionati OGGI non fanno altro che servire
facendo a gara con la controparte, sia a livello nazionale, che internazionale
e geopolitico?
Italia:
nazione precorritrice
del
declino occidentale?
Equilibrimagazine.it - Alessandro Leonardi – (3
Maggio 2024) – ci dice:
Nel
2024 l’Italia si presenta come una nazione avanzata, con una popolazione di
quasi 59 milioni di abitanti, l’ottava economia mondiale e un patrimonio
privato superiore ai 10.000 miliardi di euro.
Nel 2023 l’aspettativa di vita è salita a 83,1
anni, collocando il Paese fra i più longevi al mondo.
Ma dietro questo apparente quadro idilliaco, è
in corso da tempo un declino sistemico che vede l’intersecarsi di cambiamenti
mai visti prima.
A
partire da quello demografico, che presenta alcuni dei peggiori parametri a
livello mondiale.
L’attuale
tasso di natalità (1,2 figli per donna) è fra i più bassi al mondo, mentre le
nascite sono in costante calo dal 2008, cosa che ha determinato la progressiva
diminuzione degli abitanti di oltre 1,3 milioni di persone negli ultimi 9 anni.
Contemporaneamente
la popolazione ha raggiunto un’età media di 46,6 anni diventando la seconda più
vecchia al mondo, superata solo da quella giapponese.
Queste
dinamiche hanno creato un pericoloso sbilanciamento generazionale a favore
delle coorti più anziane, mentre quelle più giovani sono numericamente ridotte
e socialmente precarie.
Nonostante
il ripetuto allarme lanciato dai demografi, il dibattito pubblico è rimasto
piuttosto limitato concentrandosi quasi sempre sulla sostenibilità del sistema
pensionistico.
Ma la
progressiva riduzione dei giovani lavoratori è solo uno dei tanti elementi
negativi per una società legata ad un sistema industriale-tecnologico in rapida
evoluzione.
Entro pochi anni la coorte demografica più
numerosa, nata a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, diventerà sempre più anziana
ponendo una fortissima pressione sul servizio sanitario nazionale, già in
difficoltà da tempo.
Questa
pressione si ripercuoterà anche su tutti i servizi sociali dedicati
all’assistenza degli anziani, che dovranno fare affidamento su scarse strutture
pubbliche, sull’assistenza privata o l’impegno personale dei pochi eredi
(spesso figli unici).
Ma un
elemento ancora più insidioso è generato dall’invecchiamento generale della
nazione:
l’immobilismo
culturale, politico ed economico.
La
presenza di numerose coorti anziane rispetto a quelle più giovani finisce per
spostare il peso politico verso le prime, incentivando il mantenimento dello
status quo a discapito dei cambiamenti necessari.
La società diventa inevitabilmente più rigida,
chiusa, meno propensa al rischio, meno vitale, incastrata negli schemi del
passato, inadatti per affrontare la globalizzazione in corso.
Questo
complesso fenomeno finisce per alimentare a cascata le altre crisi, dal declino
industriale, all’aumento delle diseguaglianze fino al decadimento
culturale-sociale.
Le
divisioni fra le generazioni si acuiscono e con esse anche gli sbilanciamenti
territoriali, con lo spopolamento accelerato del Sud a favore di alcune regioni
del Nord o di Paesi esteri.
In un contesto del genere l’Italia diventa
sempre più incapace ad adattarsi ai rapidi cambiamenti esterni, scivolando ai
margini dell’innovazione tecnologica. Una spirale che finisce per rendere
irreversibile il declino del sistema repubblicano, con gravi conseguenze per
tutta la popolazione.
Per
fronteggiare questa deriva sono state suggerite molteplici riforme, incentrate
soprattutto sugli incentivi economici e la fornitura di adeguati servizi per le
giovani famiglie.
Ma in
nessuna nazione avanzata si sta invertendo nettamente la curva demografica,
nonostante l’implementazione di welfare state più potenti ed efficaci rispetto
al debole modello italiano.
I
cambiamenti culturali-sociali intervenuti negli ultimi decenni hanno compresso
la natalità fino ad alimentare la cosiddetta ‘trappola demografica’.
Per il
momento l’unica soluzione realistica è quella legata ai flussi migratori, ma
l’ingresso di centinaia di migliaia di persone richiede attenta pianificazione
ed enormi risorse.
Inoltre
tali ingressi, gestiti spesso in maniera caotica, hanno finito per alimentare
reazioni xenofobe, tensioni politiche e problematiche territoriali, che hanno
spinto i governi occidentali a militarizzare i confini.
Senza
radicali misure, questi trend raggiungeranno il loro culmine nel periodo
2030-2040, costringendo la nazione a forme di adattamento sempre più pesanti e
ingestibili essendo ormai diventata un ‘laboratorio’ del futuro occidentale.
“Il
tramonto dell’Occidente”,
un problema ineludibile.
Nicolaporro.it
- Michele Marsonet - (13 Marzo 2024) – ci dice:
La
pretesa di Spengler sarà anche eccessiva, ma è pur vero che nascita, apogeo,
declino e morte di grandi civiltà formano l’ossatura stessa della storia.
A
volte un autore considerato fuori moda può offrire preziosi spunti di
riflessione. A mio avviso “Oswald Spengler”, autore della celebre opera “Il
tramonto dell’Occidente” (tradotta in italiano da Julius Evola), è un esempio emblematico in questo
senso.
Natura
e storia.
Per
comprenderne il significato occorre partire dalla distinzione tra “natura” e
“storia”, tema peraltro peculiare dello storicismo tedesco contemporaneo, al
quale è strettamente collegato un altro tema importante (e ancora
attualissimo), quello della distinzione tra scienze della natura da un lato e
scienze dello spirito e della realtà storico-sociale dall’altro.
È, com’è noto, una distinzione che si ritrova
già in” Dilthey”, per quanto formulata in maniera diversa e analiticamente più
rigorosa.
I
termini “natura” e “storia” denotano due realtà radicalmente differenti, e la
loro antitesi non esprime soltanto l’essenziale storicità degli esseri umani,
ma rimanda anche all’antitesi affine tra “divenuto” e “divenire” che fu oggetto
costante della riflessione filosofica di Goethe.
La
natura è ciò che è divenuto, vale a dire ciò che il divenire ha prodotto per
assumere poi una forma statica.
La storia, d’altro canto, è il divenire,
identificato con il processo della vita nella sua “realizzazione del possibile”
in maniera necessaria.
Mentre
la natura è il regno dello spazio e dell’estensione, la storia è il dominio del
tempo e della direzione, e quest’ultima ne tratteggia il carattere di
irreversibilità. “Il tramonto dell’Occidente” insiste – in modo quasi ossessivo
– su tale antitesi che non trova alcun elemento di mediazione.
Ciò
non elimina, tuttavia, l’identica origine dei due termini, dal momento che la
storia fornisce la base della natura, essendo essa il prodotto del divenire
biologico da cui sorgono tanto l’uomo quanto le civiltà.
La
natura, il divenuto, altro non è che la cristallizzazione del divenire in una
forma determinata nella quale si arresta lo sforzo creativo della realtà.
L’antitesi
tra natura e storia viene però sviluppata da “Spengler” anche sul piano
cognitivo, poiché sono governate da due logiche molto diverse:
da un lato la logica “meccanica”, propria
della natura, dall’altro la logica “organica” che caratterizza la storia.
In
questo senso Kant viene accusato di aver limitato la sua indagine critica alle
scienze della natura, senza tener conto del carattere autonomo e originale
della ricerca storica, e di aver trascurato la fisionomia logica peculiare
dello sforzo di comprensione della storia.
La
logica meccanica si fonda sul principio di causalità prendendo in
considerazione spazialità ed estensione, mentre la logica organica, che non è
sottoposta a leggi causali, si volge a temporalità e direzione.
Il positivismo ha dunque torto quando proclama
il primato assoluto della logica meccanica.
La
storia non può venir compresa con un procedimento di tipo intellettuale e con
la ricerca del rapporto causa-effetto, dal momento che ogni accadere è unico,
irripetibile e quindi reca il segno della direzione del tempo,
dell’irreversibilità. Dunque strumenti necessari alla comprensione della storia
non sono ragione e riflessione critica, bensì intuizione, sentimento ed
esperienza vissuta (“Erlebnis”); ne consegue che soltanto l’immediatezza è
capace di capire il divenire nel suo processo creativo, e ogni autentica
ricerca storica deve per l’appunto fondarsi su di essa.
Le
civiltà.
Tutto
questo è solo premessa per affrontare il problema fondamentale: il futuro della
civiltà occidentale.
Costante
e angosciosa si presenta la domanda circa il corso della storia europea (e
americana) e sul suo destino.
Prima, però, occorre chiarire cos’è una
“civiltà” e il suo rapporto con la natura e con la storia.
Continua
è la polemica di Spengler contro la concezione unitaria dello svolgimento
storico, giacché è necessario concepire la storia dell’umanità come
manifestazione di una molteplicità di forme differenti, cioè di diverse
civiltà, dotate ognuna di una propria vita e di un proprio sviluppo autonomo.
Ogni
civiltà è un “organismo” unico, e dell’organismo possiede i caratteri
fondamentali.
Ogni
civiltà ha la sua nascita, la sua crescita, la sua decadenza, la sua morte,
proprio come qualsiasi organismo biologico: l’appartenenza della civiltà a un
tipo organico rappresenta al tempo stesso la sua determinazione ineluttabile
entro una linea di sviluppo cui non può sottrarsi.
Essa
sorge quando “un’anima si stacca dallo stato primitivo dell’umanità”, e cresce
restando legata al suolo in cui è sorta, per decadere e morire quando la somma
delle sue possibilità si è ormai esaurita.
Ogni
civiltà è un organismo appartenente a un medesimo tipo.
La
storia universale è la “biografia totale” delle diverse civiltà e lo
svolgimento dell’umanità è sottoposto a un rigoroso determinismo biologico.
Il complesso di possibilità di cui ogni
civiltà dispone all’inizio del suo sviluppo viene così interpretato alla luce
della necessità biologica che governa la sua esistenza, e impiegato per
designarne l’autonomia e la relatività, che a sua volta deriva dal suo
orizzonte chiuso a ogni autentica forma di relazione e di comunicazione.
Infatti
ogni influenza che una civiltà ha ricevuto da un’altra, secondo Spengler, è
stata con ciò stesso modificata radicalmente ed inserita entro un nuovo
linguaggio formale e un nuovo mondo simbolico.
Parimenti, ogni tentativo di penetrare
un’altra civiltà non può svincolarsi dall’orizzonte chiuso della civiltà
propria di chi effettua tale tentativo, e non riesce quindi a intenderla nella
sua alterità.
Civiltà
in declino.
Di qui
lo sforzo di individuare lo sviluppo tipico di ogni civiltà nella sua parabola
prima ascendente e poi discendente, fino all’esaurirsi del proprio complesso di
possibilità e cioè fino alla morte, e di porre in luce la fisionomia peculiare
di simbolismo e di linguaggio che si manifesta in ogni aspetto della sua
esistenza. L’esame del succedersi delle vicende politiche ed economiche
consente di individuare il suo progressivo trasformarsi in una
“civiltà-in-declino”, da cui inizia il ritorno entro l’ambito puramente
biologico e zoologico dell’umanità primitiva.
La
logica della storia, in quanto logica organica, ha il suo principio nella
necessità del destino, che la vita avverte mediante l’immediata coscienza della
propria irreversibilità:
“l’idea
del destino richiede un’esperienza della vita, non l’esperienza scientifica, la
forza dell’intuire e non il calcolo, la profondità”.
Il destino rappresenta l’antitesi della
causalità, in quanto indica la “necessità” della storia:
esso presiede al divenire dei fenomeni nella
loro singolarità irripetibile, come la causalità governa invece la connessione
dei fenomeni ripetibili nell’ambito spaziale, e li connette tra di loro in uno
sviluppo temporale.
Il
tramonto dell’Occidente.
Da
esso giunge pure la risposta al problema della crisi della civiltà occidentale
e del suo avvenire, risposta che si fonda sulla possibilità di una
predeterminazione della storia in base allo sviluppo che ogni civiltà non può
non percorrere per i caratteri essenziali del tipo di cui fa parte.
Il futuro dell’Occidente può venir previsto proprio
perché la civiltà occidentale seguirà un cammino conforme a quello di tutte le
altre e imposto dalla necessità organica del destino.
Il
tramonto dell’Occidente, così considerato, designa nientemeno che il problema
della “civiltà-in-declino”.
Si
pone qui una delle questioni fondamentali di ogni storia superiore.
Che
cosa è la “civiltà-in-declino”, intesa come conseguenza logico-organica, come
compimento e conclusione di una civiltà?
Una
volta stabilito che inevitabilmente ogni civiltà termina in una “civiltà in
declino” (“Zivilisation”), e che questa significa l’esaurirsi del suo complesso
di possibilità, succedendo alla fase creativa come il divenuto segue al
divenire, e la morte alla vita, il destino dell’Occidente è con ciò stesso
determinato in maniera precisa, esauriente, definitiva.
L’Occidente
è ormai entrato nella fase della “civiltà-in-declino”, e pertanto è prossimo al
suo tramonto: esso sta per terminare la sua vita e per ritornare nell’ambito
dell’umanità primitiva.
Sono
note le critiche neopositiviste (in particolare da parte di Otto Neurath) e di
Karl Popper alla filosofia della storia di Spengler.
Eppure,
leggendolo, si avverte un senso d’inquietudine difficile da reprimere. Poiché
risulta pur vero che nascita, apogeo, declino e morte di grandi civiltà formano
l’ossatura stessa della storia (o, almeno, di quella umana).
Può
darsi che la scelta del termine onnicomprensivo “civiltà” non sia felice, ed è
anche plausibile pensare che la pretesa di determinare in modo esatto le varie
fasi della sua parabola sia eccessiva.
Ciò
non elimina la sensazione di trovarsi di fronte a un problema reale,
ineludibile nonostante il linguaggio spesso barocco ed eccessivo utilizzato da Spengler
per tematizzarlo.
Gli
europei fanno a Trump promesse
di
riarmo che non sanno
come
mantenere.
Nicolaporro.it
– Musso – (7 giugno 2025) – ci dice:
Gli
Usa chiedono il 5% di spesa. La storia di quattro riunioni, tre Nato e una
franco-italiana.
Dalle
quali si desume che l’unica verità che sta in piedi è che il riarmo è
incompatibile con la moneta unica.
Questa
è la storia di quattro riunioni, tre Nato ed una franco-italiana.
Prima
riunione: vertice Nato 24-25 giugno.
La
prima riunione è quella che ancora deve esserci: il vertice Nato del 24-25
giugno, all’Aia.
Al
quale molti alleati europei desiderano disperatamente Trump partecipi:
onde
visivamente confermare l’impegno statunitense alla difesa militare del nostro
Continente, che gli stessi temono essere in discussione.
Su
tale desiderio ha giocato il nuovo ambasciatore statunitense presso la Nato, “Matthew
Whitaker”, per convincerli che Trump avrebbe fatto il viaggio, solo a fronte di
un loro impegno a soddisfare le di lui richieste:
l’innalzamento della spesa militare di ciascun
alleato europeo, al 5 per cento del Pil.
Ben al
di sopra del 2, accettato dai governi Nato in Galles nel 2014 e da molti mai
raggiunto.
Ciò
che offrirebbe a Trump una notevole vittoria diplomatica, agli europei la loro
vera e propria Canossa.
Seconda
riunione: ministri difesa 5 giugno.
La
seconda riunione è quella dei ministri della difesa Nato, svoltasi giovedì a
Bruxelles.
Lì, è
stato concordato un compromesso:
il 5
per cento verrebbe scomposto in un 3,5 per cento di spesa militare in senso
stretto, nonché in 1,5 per cento di spesa civile ma legata alla difesa.
E tale compromesso è parso abbastanza a Trump
per confermare la propria presenza all’Aia.
Ma
tali numeri significano nulla, senza adeguata qualificazione.
Anzitutto, cosa si intende per spesa civile ma
legata alla difesa?
Roma propone di includervi la spesa per la
lotta all’immigrazione;
Madrid
la spesa per la prevenzione contro i disastri climatici.
Ad
entrambe risponde l’ambasciatore” Whitaker”, che “non è un punto in cui puoi
mettere tutto ciò che ti viene in mente”.
Infatti,
esisterebbe una lista di 500 interventi necessari a facilitare la mobilità
delle truppe sul Continente (lista ignota al pubblico dibattito, in quanto classificata
top secret).
In
secondo luogo, quando tali obiettivi dovrebbero essere raggiunti?
Il segretario Nato Mark Rutte dice nel 2032, Roma
rinvierebbe al 2035, i Baltici anticiperebbero al 2030.
In
terzo luogo, non si tratterebbe di un mero obiettivo finale, bensì verrebbero
introdotti step intermedi, a garantire che le promesse siano mantenute.
Così “Whitaker”: un “piano credibile per
arrivare al 5 per cento”. Ed ancora: “questo non sarà solo una promessa
(pledge), sarà un impegno (commitment)”.
Terza
riunione: formato Ramstein 5 giugno.
La
terza riunione è quella dei ministri della difesa del gruppo di contatto per il
coordinamento dell’assistenza militare all’Ucraina, detto formato Ramstein.
Svoltasi
sempre giovedì a Bruxelles, ma stavolta in assenza del segretario alla difesa
Usa “Pete Hegseth”.
Così “Whitaker”:
“Contiamo
sul fatto che l’Europa assuma una posizione di leadership nel fornire
all’Ucraina le risorse e il capitale politico necessari per raggiungere una
pace duratura”.
Laddove, per risorse si intendono “fondi”, ma
anche “armi & munizioni”.
Il che
significherà, per gli alleati europei, un ulteriore peso finanziario, oltre a
quello del riarmo proprio suddetto (ed oltre a quello della ricostruzione dell’Ucraina,
ad armistizio fatto).
C’è da
far esplodere i bilanci pubblici dei nostri Stati? Sì, c’è.
Citiamo
“Le Figaro” secondo il quale, a Parigi, “nessuno ha la benché minima idea di
come finanziare quello che sarà un più che raddoppio del bilancio militare
francese”.
Ma
citiamo pure l’ottimo ministro Guido Crosetto il quale, giovedì, ha candidamente
ammesso di aver raggiunto il 2 per cento, solo in virtù di una
riclassificazione contabile, senza nuove spese.
La
quarta: Macrone & Meloni 3 giugno.
La
quarta riunione è quella di Meloni & Macrone, martedì a Roma. Basta
scorrerne il comunicato congiunto, per notare un affastellarsi di espressioni
diplomatiche di mancato accordo.
Ad
esempio, “il sostegno incrollabile e senza esitazioni di Francia e Italia
all’Ucraina ancora più necessario per raggiungere una soluzione equa e
duratura”, senza il benché minimo riferimento alle ambizioni dei volonterosi: a
marcare la persistenza di una distanza siderale.
Oppure,
“l’incontro ha offerto l’opportunità di affrontare” Medio Oriente (aka Israele)
e Libia: a marcare, pure qui, la stessa distanza siderale.
Oppure
ancora, “l’incontro ha offerto l’opportunità … di coordinare le proprie
posizioni in tema di relazioni transatlantiche, nonché sulla sicurezza
economica e commerciale”: a marcare che manca piena comprensione reciproca pure
in materia di dazi.
Infine,
“Francia e Italia sono inoltre determinate a collaborare nella preparazione del
prossimo Consiglio europeo e, più in generale, sul prossimo quadro finanziario
pluriennale, sulla migrazione, sull’allargamento e sulle riforme”.
Il che
letteralmente significa che, in tutti e quattro questi temi, non esiste
accordo.
In particolare, qui ci interessa il tema delle
spese per la difesa:
il quadro finanziario pluriennale sono i soldi
della Ue, quelli a bilancio; ma se manca un accordo sui soldi a bilancio,
figurarsi su quelli fuori bilancio.
In
altri termini, Parigi e Roma non sanno nemmeno come proporre alla Ue di
finanziare quelle spese militari (per il riarmo proprio, per il riarmo
dell’Ucraina, per la ricostruzione dell’Ucraina) destinate a far esplodere i
loro bilanci pubblici.
C’è da
stupirsene? No, affatto.
I
fondi europei non esistono.
Non
c’è affatto da stupirsene, in quanto è stranoto a chiunque abbia gli occhi, che
nel nuovo Bundestag tedesco “AfD” e “Linke” dispongono dei voti necessari per
bloccare qualunque nuovo fondo europeo per la difesa.
Ma, a
rifiutarlo, sono pure i partiti di governo.
Basti
scorrere il loro accordo di coalizione:
Si
tratta, in particolare, del rafforzamento della capacità europea di sicurezza e
di difesa e dell’aumento della competitività dell’UE.
In primo luogo, gli Stati membri sono
responsabili del finanziamento di questi obiettivi.
Nell’interesse
di finanze stabili e in conformità con i trattati europei, la Germania non
rimane responsabile per le passività di altri Stati membri. I finanziamenti al di fuori del
bilancio dell’UE devono rimanere l’eccezione.
Le
balle di Bankitalia.
Sicché,
davvero non si comprende perché tanti osservatori italici teoricamente
autorevoli, continuino ad immolarsi sull’altare di fantasmagorici eurobond per
la difesa che non ci saranno mai e poi mai.
E
passi per l’ex ambasciatore “Piero Benassi”, che almeno è fuori servizio.
Ma non passi affatto per il governatore di
Bankitalia “Fabio Panetta”, in carica (!):
Nel
nuovo contesto internazionale, è emersa la necessità di rafforzare la capacità
di difesa europea.
Si tratta di un obiettivo che richiede una
strategia condivisa tra gli Stati membri, una solida governance comune e
investimenti ingenti.
La
proposta della Commissione si basa su fondi nazionali e prestiti, anziché su
spese europee e trasferimenti finanziati con risorse comuni. Questo approccio
rischia di accrescere le disuguaglianze tra Paesi e di ridurre l’efficacia
della spesa.
Occorre
invece un programma unitario, sostenuto da debito europeo.
Perché,
ci chiediamo, perché un governatore in carica deve declinare simili periodi
della impossibilità?
Come può egli affermare possibili simili
impossibili?
Tanto valeva descrivesse unicorni, parlasse di
un amico suo “ittio centauro”, promettesse l’arrivo degli “onoceti”.
Conclusioni.
La
verità, l’unica ipotesi di verità che sta in piedi, è che il riarmo è
incompatibile con la moneta unica.
Lo
aveva capito persino” Sergio Mattarella”.
Perciò,
noi che amiamo la Nato, amavamo la Cee e detestiamo la Ue, speriamo
fortissimamente che Trump abbia partita vinta e ci imponga un riarmo immenso e
rapidissimo.
Così
da trovarsi molto presto ben riarmati e con in tasca la Lira italiana.
Atlantici sempre, europeisti mai.
TRAMONTO
DELL’OCCIDENTE?
Opinione.it - Renato Cristin – (07 febbraio 2025) – ci
dice:
Tramonto
dell’Occidente?
Pubblichiamo
il testo integrale della lectio magistralis tenuta a Piacenza il 26 gennaio
2025 in occasione della IX edizione del Festival della Cultura della Libertà
dal titolo: “Libertà educativa, meno Stato, più società”.
Secondo
il metodo filosofico di Platone, ripreso da Aristotele, per comprendere e spiegare un
oggetto o un problema è necessario ricondurlo a unità (synagoge) e scomporlo
poi nelle sue parti (diairesis), ed eventualmente proseguire l’operazione
secondo il medesimo schema.
È evidente, per ragioni di tempo, che non
posso applicare qui questa regola, tanto più perché sto per trattare un oggetto
gigantesco per quantità e qualità, e quindi dovrò assumere che Occidente sia un
concetto sufficientemente condiviso nonostante la pluralità di interpretazioni,
e sufficientemente definito nonostante la sua complessità.
Già,
la sua complessità.
Infatti, analogamente a come affermava
Aristotele riguardo al concetto di «essere», si può dire l’Occidente in molti
modi: “pollachos legetai”.
Lo si
può dire in molti modi, non solo perché contiene una pluralità di
determinazioni, ma anche perché è stato determinato in vari modi a seconda
della prospettiva dalla quale è stato considerato ed elaborato.
Occidente
è dunque un concetto che si articola e si sviluppa in molti versi, un concetto
che può declinarsi al plurale senza però perdere quel nucleo identitario che
gli conferisce unità e che consiste nella sedimentazione delle idee
fondamentali etiche, religiose, gnoseologiche, estetiche e politiche, che
costituiscono la peculiarità della sua cultura rispetto a tutte le altre e che
formano quello che possiamo chiamare il canone occidentale.
Per
elaborare la questione specifica che mi è stata posta con il titolo di questa
relazione, se cioè l’Occidente stia tramontando, vorrei iniziare enunciando una
tesi.
Ritengo che l’Occidente si fondi su sei
pilastri principali:
anima,
spirito, libertà, verità, natura e tecnica, che esprimono rispettivamente il
nucleo dell’esistenza e della coscienza individuale, il senso del sacro o della
religione, l’anelito alla libertà e la ricerca della verità, la cura della
natura e l’essenza tecnica dell’uomo.
Se da questa struttura, che potremmo chiamare
l’esagono occidentale, togliamo anche una sola di queste colonne, l’edificio
collasserà.
Incriniamone
una, e la struttura inizierà a franare.
Nel
primo caso ci sarà un crollo devastante, nel secondo (l’incrinatura) si avvierà
uno smottamento dall’esito incerto, perché ci sarà tempo e quindi modo per
intervenire.
Nelle
profondità cosmogoniche della storia occidentale troviamo quello che è il
principale mito di fondazione della grecità, secondo il quale Prometeo dona
agli uomini il fuoco e il sapere tecnico per usarlo, i quali però si rivelano
insufficienti perché agli uomini mancava lo spirito, quell’elemento che
permettesse loro di convivere secondo le leggi e nel rispetto del sacro; gli
mancava l’anima, senza la quale la natura sarebbe vuota e la conoscenza sarebbe
cieca.
Nella
versione platonica di questo celebre mito, Zeus allora interviene, donando agli
uomini i due elementi fondamentali per la loro vita sociale, “dike” e “aidos”,
cioè il senso della giustizia e quello del rispetto (dell’onore o del pudore),
senza i quali il fuoco e la tecnica sono insufficienti per la coesistenza
umana.
Ecco dunque che la natura e la tecnica devono
essere accompagnate e anzi guidate dallo spirito umano che, nel caso della vita
sociale, si manifesta nella politica, nella “politike techne”, che non
rappresenta una mera tecnica bensì costituisce l’essenza della ragione umana
sul piano dell’esistenza collettiva configurata anche in senso istituzionale:
dall’anima
educata secondo giustizia e onore nasce la democrazia, che – nella sua forma
originaria e ideale – rappresenta lo spazio in cui gli uomini cercano la verità
dei discorsi ed esercitano la libertà del giudizio individuale.
E tutto ciò nel rispetto del sacro e della
naturalità del mondo circostante.
Queste sono le condizioni di partenza della
civiltà occidentale, sulle quali si sono innestati il patrimonio giuridico
romano e il contributo morale della religione cristiana, anche nel suo
intreccio con quella ebraica rappresentato da San Paolo, e poi via via tutti
gli altri grandi movimenti di idee e di sapienza dell’età medievale e moderna.
Oggi,
un’analisi strutturale della tenuta di quegli antichi pilastri concettuali
evidenzierebbe, oltre a normali modifiche sopravvenute nel corso dei secoli,
anche preoccupanti lesioni, fenditure causate da errori nell’uso dei concetti e
da fraintendimenti nella loro interpretazione, entrambi – errori ed equivoci –
a loro volta generati da variazioni di prospettiva e di obiettivi, cambiamenti
talvolta radicali rispetto all’essenza di quei concetti, che pur con la
necessaria relativizzazione storica dovrebbero rimanere inalterati.
A
peggiorare la situazione, si sta instaurando oggi una mancanza di finalità,
un’inquietante assenza di “telos”:
smarrito il fine, abbiamo perso
l’orientamento.
Emerge
una sorta di nihilismo pervasivo e al tempo stesso non percepito come tale.
Disorientati
in tutte le dimensioni dell’esistenza, procediamo a tentoni credendo però – e
questo è l’autoinganno più drammatico – di avanzare con sicurezza.
L’esempio
più eclatante di questa mancanza di finalità si osserva nella tecnoscienza,
riguardo alla quale l’autoinganno risalta in modo addirittura contundente.
La
crisi che ci avvolge riguarda tutte le dimensioni della vita e dello spirito,
dalla religione alla politica, dalla cultura all’educazione, dall’arte al
pensiero.
Gli
unici campi che, in apparenza, non sembrano in crisi sono la scienza e la
tecnica, perché stanno procedendo tanto rapidamente e con tale efficacia come
se fossero immuni da tutto, ma in realtà anche la tecnoscienza è, sia pure in
forma diversa, in crisi.
La
differenza è che negli altri ambiti a essere in crisi non sono i princìpi (o i
valori) ma le loro applicazioni, mentre nella tecnoscienza a essere in crisi
(anche se essa non se ne rende conto) sono i princìpi nella loro versione
moderna, non le applicazioni, che appunto la fanno sembrare in piena integrità.
Un
abbaglio dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche.
La
crisi dei fondamenti delle scienze che un secolo fa “Edmund Husserl” aveva
individuato e denunciato non è scomparsa, anzi, per molti aspetti è diventata
cronica e al tempo stesso più acuta.
La
scienza si è degradata a mera tecnica, smarrendo ogni orizzonte strategico e
riducendo la sua visione a mera tattica. L’efficacia operativa istantanea ha
fatto scomparire la finalità etica di lungo periodo: è svanito il “telos
storico” ed è rimasto solo l’”utile pragmatico.
La
tecnoscienza oggi si muove senza alcun fine trascendente, incapsulata nella sua
mera immanenza pragmatica. E sta correndo verso un baratro ancora peggiore, nel
quale l’obiettivo sarà consegnato alla convenienza, nemmeno più all’utilità.
La
crescita della tecnica è direttamente proporzionale alla debolezza dell’anima,
alla crisi dello spirito.
Non si
tratta però di rifiutare la scienza, né di demonizzare la tecnica, tanto più
perché quest’ultima si è sviluppata in simbiosi con l’evoluzione umana.
Per
l’uomo, infatti, la tecnica è come la propria ombra, che lo segue sempre e di
cui egli non può sbarazzarsi, perché l’ombra è la traccia simbolica della sua
essenza umana: finitezza e persistenza.
Ma il
rischio, tanto maggiore in quanto implica la disgregazione dello spirito
occidentale, è che la tecnica si renda autonoma dall’uomo, allontanandolo da se
stesso, in un paradossale processo di auto estraneazione.
La
tecnica autonomizzata sfocia nell’automa antropologico.
Quando
la tecnica smette di essere un mezzo e diventa un fine, l’umano ha non solo
perduto il controllo su di essa ma ha anche smarrito sé stesso.
In questo modo si arriva alla tecnica senza
uomo e si avvia il percorso per arrivare all’uomo senza l’umano, paradosso
estremo e finale.
Poiché
l’uomo ha annullato o ammutolito la voce della coscienza, gli resta soltanto
l’algoritmo della tecnoscienza.
Per
l’Occidente, questo possibile disastro discende anche dalla perdita di uno dei
fondamentali aspetti della nostra civiltà, cioè dalla rescissione del legame
originario con la tradizione religiosa ebraico-cristiana e con quella sfera
etica alla quale, pur con mille oscillazioni, la politica ha sempre fatto
riferimento.
Tanto
meno la sfera etico-religiosa conta nella società, tanto più la tecnoscienza
assurge a faro della vita collettiva, attirando a sé la mente delle persone,
che si affidano ad essa con una fede analoga a quella religiosa.
In questo modo, la tecnoscienza da un lato
acquisisce in modo indebito una dimensione di altro genere (cioè la fede) che è
essenzialmente incompatibile con essa, e dall’altro lato perde un aspetto che
ne aveva pervaso l’origine, e cioè il carattere di ricerca libera ma pur sempre
sottoposta al giudizio morale.
Oggi invece gli scienziati o almeno molti di
essi vorrebbero anche dettare legge nelle scelte della politica e dell’etica.
Ed è
sulla propria ambiguità o “anfibietà” che la tecnoscienza fa leva per
trasformarsi nel demiurgo della nuova epoca storica:
poiché
le scoperte scientifiche e le loro applicazioni possiedono, oggettivamente,
molti aspetti utili per la crescita dell’umanità, allora tutto il lavoro, i
prodotti e gli atti della scienza sarebbero indiscutibilmente positivi.
E ciò
che non è in discussione è, per definizione, assoluto.
Ma il fatto che la scienza sia in molti casi
salvatrice, non implica che essa non possa anche essere, se non viene guidata,
distruttiva.
Quando
gli scienziati dicono che bisogna credere nella scienza, diventano sacerdoti di
una falsa religione, e smettono di essere scienziati nel senso autentico del
concetto, e quando i politici esprimono la medesima credenza incondizionata
nella scienza, si alimenta lo scientismo, la degenerazione della scienza in una
forma di burocrazia dittatoriale; e a sua volta lo scientismo opera per
asservire le persone a sé come la stregoneria faceva a dispetto sia della
scienza autentica sia della religione.
Così,
le tecnologie d’avanguardia rappresentano il catalizzatore di questa credenza.
Per esempio, la cosiddetta intelligenza artificiale
(una denominazione che è un obbrobrio concettuale, un ossimoro mentale)
potrebbe diventare il più evocativo totem del settarismo scientifico che si sta
manifestando.
Anche
nel caso dell’intelligenza artificiale, ci possono essere alcuni aspetti
positivi di carattere meramente strumentale, ma la dinamica interna alla scienza
contemporanea tende a farli affondare nei flutti della sua volontà di dominio.
Questo
neo-paganesimo tecnoscientifico disintegra la religiosità autentica
smantellando l’influsso della tradizione ebraico-cristiana, e annienta la
coscienza personale come condizione di possibilità di una critica della
tecnoscienza.
Così,
la sacralità della persona come sacralità dell’essere umano viene ridotta a
questione meramente funzionale.
Ne
scaturisce l’idea che l’uomo non sia la sua coscienza ovvero la sua anima,
bensì la serie delle sue operazioni scientificamente misurabili: tutto ciò che
sfugge a questa misurabilità diventa superfluo.
E così svanirebbe anche la scienza autentica,
scomparirebbero i suoi princìpi originari, sostituiti dalle loro applicazioni
tecniche.
In
pericolo qui è non solo la verità a cui lo spirito occidentale ha da sempre
anelato, ma anche la libertà, quella libertà che, come affermava Benedetto
Croce, «è il principio supremo della vita morale e veramente umana, e non è
conseguenza di altre cose, ma la premessa di tutte le altre».
Ma se
soltanto la coscienza della libertà permette di giungere a questo
riconoscimento, è solo la civiltà occidentale a pervenire a questa
consapevolezza, perché lo spirito di questa civiltà ha posto fin dall’origine
la libertà come premessa fondamentale della propria vita storica.
Pur differenziandosi, come segnalava Constant,
in antica e moderna, la libertà è stata e rimane – ancora Croce – il motore
della storia occidentale.
Occorre
però interpretarla correttamente, seguendo il solco crociano dell’intreccio fra
libertà e responsabilità, nel quale la libertà di tutti si affianca alla
responsabilità di ciascuno, perché altrimenti si rischia di ridurre la libertà
a mero arbitrio o a semplice oggetto di propaganda, oppure di trasformarla in
un feticcio, in un simulacro e, alla fine, di usurarne il concetto
ridicolizzandone il nome.
Infatti, per lo spirito occidentale la libertà
non deve mai essere disgiunta dalla verità, mentre la propaganda o la sofistica
sono, in sé, l’opposto della verità.
Per
inciso, segnalo che dietro a questa degradazione del concetto di libertà si
cela un problema enorme, benché sotterraneo, costituito dalla perdita del senso
delle parole, dallo svilimento del linguaggio, da un analfabetismo
transgenerazionale (primario o anche di ritorno) che affligge la nostra
contemporaneità.
L’Occidente potrebbe liquefarsi per inflazione
linguistica causata dall’immiserimento del linguaggio.
L’erosione
dunque di quei pilastri originari, la debolezza dello spirito che abdica in
favore della scienza, l’incapacità della politica di essere all’altezza della
sua essenza e di governare la tecnica, la trasformazione della verità e della
libertà in opinione e anarchia, tutto ciò genera una condizione di asfissia,
nella quale l’Occidente sembra sempre più soffocare.
A poco
più di un secolo dalla pubblicazione dell’edizione definitiva del” Tramonto
dell’Occidente” di “Oswald Spengler” e a novant’anni esatti dalla conferenza
che “Edmund Husserl” tenne a Vienna sulla” Crisi delle scienze europee”, lo
scenario geopolitico è cambiato radicalmente, ma quello spirituale e culturale
è ancora identico nella sua essenza.
Spengler riteneva che la civiltà occidentale
stesse giungendo al termine e, con sguardo neutrale quasi da naturalista, lo
considerava come analogo agli altri epiloghi delle grandi civiltà e ne
ravvisava l’inevitabilità.
“Husserl
“invece guarda con estrema preoccupazione alla decadenza dello spirito europeo,
alla perdita della ragione (la cui accezione originaria di logos e theorein è
stata stravolta dal razionalismo illuministico, pur con tutti gli altri
imperituri meriti dell’Aufklärung, dell’Illuminismo) e allo smarrimento del
telos che caratterizza la missione storica della civiltà occidentale,
individuando la soluzione proprio nel recupero dell’origine e del telos in essa
annunciato.
Atteggiamenti
differenti, prospettive diverse, intenzioni divergenti.
Ma sia Spengler sia Husserl avevano ben chiare
le cause:
l’Occidente sta decadendo per inerzia, per
aver lasciato esaurire le sue fonti, che secondo Spengler si trovavano nella
potenza pre-culturale dei suoi popoli, mentre secondo Husserl erano insite
nella forza per così dire visionaria ovvero teoretica del pensiero greco e
nella connessa ricerca del senso.
Per
Spengler l’Occidente decade quando la Kultur diventa Zivilisation; per Husserl
svanisce quando il pensiero si trasforma da intuizione in intelletto, da eidos
in Verstand, smarrendo il Sinn, il senso.
In
entrambi i casi però il punto critico consiste nella razionalizzazione, in quel
processo di conformazione della pluralità dell’esperienza all’unicità della
razionalità e di semplificazione della complessità del mondo a mera efficienza
pragmatica.
Questo
processo epistemologico, analogo a quello che sul piano spirituale è il
processo di secolarizzazione, può sfociare nel caos tecnocratico oppure può
essere governato dalla politica.
Il
finale non è ancora scritto.
In
natura, il tramonto è spesso uno spettacolo meraviglioso. Nella cultura, può
essere talvolta tragicamente grandioso, malinconicamente epico. Posto che il
tramonto sia quello della civiltà occidentale, cosa facciamo? Assistiamo allo
spettacolo?
Qualcuno
è straziato dal dolore, altri guardano con piacere, alcuni ne traggono
profitto, altri ancora agiscono per accelerare il declino, altri preferiscono
contrastarlo, pur nella consapevolezza delle difficoltà.
Stoicamente,
come suggerisce Spengler:
«Siamo nati in questo tempo e dobbiamo
percorrere coraggiosamente sino alla fine la via che ci è destinata. È dovere
tener fermo sulle posizioni perdute, anche se non c’è più speranza né salvezza.
Tener fermo come quel soldato romano le cui gambe furono trovate a Pompei
davanti a una porta: egli morì perché quando scoppiò l’eruzione del Vesuvio, il
comandante si dimenticò di rilevarlo dal suo posto. Questa onorevole fine è
l’unica che non si può togliere all’uomo».
Oppure
unendo stoicismo e attivismo, come propone Husserl:
«La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi:
il tramonto dell’Europa, nell’estraneazione rispetto al senso razionale della
propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la
rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo
della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo.
Il maggior pericolo dell’Europa è la
stanchezza. Combattiamo contro questo pericolo estremo, da “buoni europei”, con
quella fortezza d’animo che non teme nemmeno una lotta destinata a durare in
eterno».
C’è
chi – come abbiamo visto nell’esempio della tecnoscienza – sta, forse anche
inconsapevolmente, erodendo l’Occidente dall’interno.
E poi, c’è chi lo teme e chi lo auspica; chi
lo difende e chi lo combatte.
E
tutto ciò avviene sia all’esterno sia all’interno dello spazio occidentale.
Nella
più specifica prospettiva geopolitica e geoculturale, oggi l’Occidente si trova
– letteralmente – sotto assedio; un assedio anomalo e anche paradossale, perché
proviene appunto sia da fuori sia da dentro.
Ribadito il fatto che l’Occidente è una
dimensione composita e quindi non facilmente descrivibile in modo sintetico
sotto il profilo politico-sociale, spiccano in particolare due tipi di
aggressioni interne e due tipi esterni.
All’interno,
da sinistra, agiscono la “cancel culture”, l’”ideologia woke” e più in generale
il progressismo tendente a un marcato controllo sociale fin nell’uso del
linguaggio.
La “cancel culture” è pervasa di ideologia marxista
terzomondista ma è anche intrisa di conformismo paraideologico e quindi è una
sorta di moda culturale, e come tale è esposta all’usura del tempo, tanto che
oggi la sua curva sembra in flessione, pur mantenendo tutta la velenosità che
ha pervaso non solo i movimenti ma perfino le istituzioni.
Dalla
parte opposta opera una pseudo destra antiamericana e filorussa, una tendenza
che è presente oggi in forma trasversale nello scenario politico, che vede
l’Occidente come un mondo in putrefazione e spera che l’eurasianismo putiniano
lo spazzi finalmente via.
In
entrambi i poli di questo antioccidentalismo interno vige un preciso rifiuto
del liberalismo:
a sinistra viene respinto soprattutto il
liberismo economico e in misura meno accentuata il liberalismo sociale;
a destra (ma insisto: pseudo destra) viene rigettato il
liberalismo sociale e culturale, mentre quello economico viene in buona parte
accolto.
La sinistra liberal è socialista in economia,
la (pseudo) destra tradizionalista è liberista ma è illiberale in campo
socioculturale. In entrambe le aree, a essere avversato dunque è il senso pieno e
autentico del liberalismo.
Dall’esterno, si concentrano sul mondo occidentale
vecchie e nuove potenze economiche e militari che, da differenti premesse e con
diverse motivazioni, mirano tutte all’indebolimento del campo occidentale.
Il
gruppo dei Brics è minaccioso sul piano finanziario, ma è troppo eterogeneo per esserlo
anche sul piano politico, e quindi, almeno a medio termine, resta
sostanzialmente inerte nello scacchiere strategico globale.
Invece
attivo e mortalmente pericoloso sul piano geopolitico è l’asse”
Russia-Cina-Iran”, mentre l’altro acerrimo nemico, cioè il “fondamentalismo
islamico sunnita”, per varie ragioni fra cui la sua frammentazione e la nostra
azione di contenimento, non è per ora altrettanto efficace quanto l’asse
sopraindicato, nel quale è oggi incluso il fondamentalismo sciita (Iran e
affini).
Tuttavia,
non va trascurata la penetrazione sottotraccia di islamisti radicalizzati nel
territorio europeo, la quale si innesta su un terreno favorevole costituito da
folti strati di immigrati musulmani.
Al di là degli attentati, già subìti e sempre
incombenti, la presenza dell’islam radicale in Europa è diffusa in modo
pulviscolare e capillare, come si vede dalla situazione nelle periferie
francesi o belghe, e non solo, dove si sono formate enclaves in cui vige di
fatto la legge islamica.
Terreno
di coltura per terroristi, attuali e potenziali.
E a
proposito di terrorismo, gli attacchi del 7 ottobre in Israele e la guerra che
hanno scatenato sono gli eventi più recenti di una lunga serie di provocazioni
e conflitti che l’Iran, supportato più o meno occultamente dalla Russia,
insieme ai suoi più piccoli satelliti ha sferrato contro lo Stato ebraico,
nell’ottica di una strategia di vasta portata e a lungo termine.
Ripensando
agli ultimi due decenni, vedo diversi stress test significativi, volti a
saggiare le capacità di reazione e di difesa del mondo occidentale. Ne
elencherò rapidamente alcuni.
Il
primo si è diffuso nel tempo e nello spazio, nasce dall’integralismo islamico e
si è configurato nella forma degli attentati terroristici, a partire dall’11
settembre, per giungere alle ondate in Europa e in Israele.
Quegli
attacchi alla civiltà occidentale hanno avuto anche lo scopo di mettere alla
prova la reazione dei governi e della popolazione all’aggressione islamica,
incoraggiata anche dall'immigrazione massiccia e incontrollata in Europa.
Il
secondo test è la penetrazione cinese e russa in varie aree del mondo
(dall’Asia al Sudamerica), che rappresenta un tentativo sia di espandere la
propria sfera di influenza sia di minacciare gli Stati Uniti, in quanto nucleo
forte dell’Occidente, perfino sul suolo stesso del continente americano, per
vedere quanto Washington tolleri questa invasione sottotraccia e quindi fino a
che punto sia docile o condiscendente.
Un
terzo tentativo è consistito nell’esplosione della pandemia causata dal virus cinese,
uscito dal laboratorio di Wuhan con l’intento palesemente nascosto (mi si
perdoni l’ossimoro) di verificare come il sistema sociale e politico dei Paesi
occidentali possa resistere a crisi sanitarie così gravi;
in che
misura siamo disposti ad attuare misure tiranniche per controllarle, e fino a
che punto la popolazione sia disposta a sottomettersi, contro la propria
libertà e le garanzie che la tutelano.
Concretamente,
il test pandemico è servito ai nemici, esterni e interni, dell’Occidente a
produrre caos, a snervare la popolazione, a individuare possibili quinte
colonne, a sondare le capacità di reazione e a valutare le conoscenze dei paesi
occidentali per trattare una pandemia dal punto di vista sia medico-sanitario
sia organizzativo (le oscure missioni dei militari russi e degli specialisti
cinesi in Italia nel marzo del 2020 sono un inquietante esempio di questa
subdola strategia).
È
accaduto che, per ironico paradosso, con le misure restrittive delle libertà
individuali – dalla vaccinazione obbligatoria al lasciapassare sanitario – i
governi occidentali, tutti liberaldemocratici, abbiano adottato la medesima
prassi illiberale della Cina comunista.
Con
conseguenze devastanti sul piano sociale e psichico, perché se in Cina le
persone sono abituate a tollerare molte restrizioni alle loro libertà personali
(certo, assai meno di quanto accadeva con il maoismo, ma pur tuttavia ancora
con una certa remissività) e quindi le assurde misure coercitive sono state
accettate senza eccessivi sconquassi socio-psicologici, in Occidente siamo
ancora – ed è un bene che sia così – molto reattivi dinanzi a imposizioni
governative che toccano e limitano la libertà del pensiero e dell’espressione,
della mente e del corpo, e quindi i soprusi e gli abusi che i governi ci hanno
fatto – inutilmente – subire in quella circostanza hanno sconvolto la vita
collettiva e la psiche stessa degli individui, colpendoli nel profondo,
squilibrandone l’esistenza, causando sconcerto, disorientamento, paura e
rabbia.
Monito dunque ai governanti: guai a toccare
con tale violenza l’interiorità e il corpo delle persone, perché si provocano
danni incalcolabili e reazioni imprevedibili.
La
gestione della pandemia ha svelato molti punti deboli: la fragilità delle
società occidentali, la facilità con cui in esse si possono instaurare
meccanismi dispotici che sequestrano le libertà individuali, l’inadeguatezza di
un certo liberalismo e di un certo conservatorismo rispetto al giudizio sulla
scienza e riguardo al rapporto fra politica e scienza, che in quella
circostanza si è esplicato come un rapporto di sudditanza della prima nei
confronti della seconda, contraddicendo così l’essenza di entrambe.
La
scienza mitizzata diventa infatti un feticcio e finisce per contravvenire a uno
dei fondamenti dell’idea stessa di scienza, cioè l’essere costantemente critica
verso sé stessa;
e lo
scientismo è l’anticamera del totalitarismo epistemico e un ottimo alleato per
i dispotismi politici.
Combattere
lo scientismo significa sia aiutare la politica a comprendere i rischi insiti
nella burocratizzazione della scienza, sia salvare l’essenza della scienza da
quella tendenza autoritaria e autofagica che la minaccia dall’interno.
Ciò non implica scivolare nel fanatismo:
anti-scientismo non è anti-scientificità, anzi, è una forma di difesa della
scienza autentica.
Un
ulteriore test è costituito dall’invasione dell'Ucraina.
L’ignobile
aggressione russa, iniziata non a caso subito dopo il ritiro dell’Occidente
dall’Afghanistan (fra parentesi: forse bisognerà prima o poi chiedere conto a
Donald Trump del catastrofico esito degli accordi di Doha con i talebani),
aveva cercato di decapitare il governo legittimo di Kyiv sostituendolo con uno
fantoccio, come in Bielorussia, immaginando che di fronte al fatto compiuto
l’Occidente avrebbe chiuso un occhio, o anche entrambi.
Tuttavia, non è stato così, anche grazie alla
massiccia e solidale reazione dei paesi della NATO.
Ma il
sanguinoso test ucraino continua:
a
Russia attacca via terra, la Cina sviluppa un’azione diplomatica fantasmatica,
l’Iran sostiene materialmente l’attacco dalle retrovie, aggirando l’embargo
occidentale.
L’attacco
è multiforme e organizzato, come dimostra l’ingresso ufficiale della Corea del
Nord sul terreno di battaglia.
L’antico
espansionismo russo, che aveva visto con l’Unione Sovietica la sua massima
realizzazione, è oggi ripreso – con una retorica nazionalista che unisce
zarismo e sovietismo – dalla Russia di Putin, che continuerà nei tentativi di
penetrare in Europa orientale saggiando allo stesso tempo la capacità di
risposta della NATO.
Altro
test, la guerra contro Israele, nella quale i ruoli della «triade» sono
cambiati e si sono aggiunti altri attori, ma la sostanza rimane la stessa.
L’Iran, attraverso “Hamas” e “Hezbollah”, ha
attaccato via terra;
la Russia ha sostenuto segretamente l’attacco
coprendo i pasdaran iraniani in Siria, e la Cina continua ad agire secondo una
diplomazia fittizia.
Da
qualche settimana nello scenario mediorientale le cose sono cambiate, in meglio
per l’Occidente, perché Israele ha rafforzato la sua posizione, l’Iran è
fiaccato, i gruppi terroristici palestinesi e libanesi sono ridimensionati e
per loro la Siria non è più zona franca, la Russia dovrà almeno parzialmente
sloggiare dalle coste siriane, e l’Arabia Saudita sembra poter riprendere il
cammino degli accordi con Israele.
Ma la missione antioccidentale rimane la
stessa: attaccare, dividere e indebolire.
E in
questa chiave, le prossime mosse ipotizzabili sono:
in
Asia, la pressione cinese su Taiwan;
in
America Latina, maggiore penetrazione economica e militare da parte di Cina e
Russia (l’Iran agisce soprattutto sul Venezuela e su alcuni paesi dell’America
Centrale);
in
Europa, la pressione russa sugli Stati baltici e sulla Polonia, con un
possibile attacco al corridoio strategico di “Suwałki”, che separa l'enclave
russa di Kaliningrad dalla Bielorussia.
Al di
là delle più o meno facili ipotesi, la realtà è che l’Occidente è in guerra,
trascinatovi da un nemico molteplice e multiforme, dislocato su vari quadranti
e che sul terreno europeo è incarnato dalla Russia putiniana, che sta giorno
dopo giorno non solo conquistando terreno in Ucraina ma anche acquisendo
alleati fra i paesi europei.
Di
fronte a tutto ciò, l’Occidente reagisce con geometrie variabili, con
l’incognita statunitense attuale, talvolta perfino con la passività.
Uno
dei problemi che lo assillano è il rapporto con quello che un tempo veniva
detto terzo mondo, nei confronti del quale sembra sempre assumere un
atteggiamento segnato da una sorta di senso di colpa proveniente dalla vulgata
della teoria della decolonizzazione, secondo la quale, da ex-colonizzatori, gli
occidentali dovrebbero farsi carico in modo integrale e in misura esorbitante
dello sviluppo del terzo mondo.
Certo,
il senso di colpa è, sia psicologicamente sia moralmente, un elemento elevato
della coscienza, che le permette di valutare i propri errori e, nel caso, di
espiarli, e quindi di perfezionarsi, anche sul piano storico-politico (per
esempio, la colpa del nazismo per aver compiuto la Shoah va sempre ricordata e
condannata, proprio perché non abbia più a ripetersi), ma quando degenera in
maniacale, cinica o stolida autocolpevolizzazione, allora è un fattore nocivo.
E da quasi un secolo questa autofustigazione è
diventata uno dei temi preferiti della propaganda ideologica della sinistra,
sia di quella dichiaratamente ostile all’Occidente sia di quella inconsciamente
antioccidentale, finendo per costituire una delle maggiori zavorre che
trascinano lo spirito occidentale verso la paralisi.
Oggetto
di scontro sono oggi i «valori» della nostra civiltà, nella quale convive
un’ampia varietà di virtù e princìpi, dei quali la libertà è, pur nella sua
grande genericità, quello fondante e vitale.
I
valori classici occidentali sono calpestati dall’interno (dalla sinistra legata
al marxismo culturale e anche da quella forma di pseudo destra populista
nettamente distante dal liberal conservatorismo) e strumentalizzati
dall’esterno (la Russia neo sovietica di Putin che si proclama alfiere dei
valori spirituali dell’Occidente è un insulto all’intelligenza oltre che
un’ingiuria politica).
Come
ho già accennato, il principio maggiormente bersagliato da questa anomala e,
fino a qualche tempo fa, inconcepibile convergenza, è la libertà, insieme al
paradigma che la dinamizza, cioè il liberalismo nella sua forma concettualmente
e politicamente più raffinata che è il liberal conservatorismo.
Alcuni
influenti settori del tradizionalismo cattolico sostengono che il liberalismo
sia il male dell’Occidente, riferendosi non solo alle teorie liberals
nordamericane, ma alla concezione liberale in generale.
A questi tradizionalisti antiliberali e
filorussi bisognerebbe spiegare che il liberalismo non è un male, anzi, è la
soluzione politica e culturale delle varie patologie del mondo occidentale.
Ma
temo che siano refrattari a qualsiasi spiegazione, tanto sono ottusamente
incistati nel loro pregiudizio antiliberale.
D’altra
parte, un certo libertarismo radicale – il quale se usato in modo intelligente
resta un eccellente propulsore di libertà sul piano sociale e dei diritti
civili – vagheggia la distruzione dello Stato definito come un’associazione a
delinquere, a tal punto da sostenere – con un effetto grottesco perché causato
da premesse del tutto differenti – la medesima tesi di Marx: l’estinzione o
abolizione (dialetticamente: la Aufhebung) dello Stato.
Ma
questo non è liberalismo.
In
questo modo infatti si comprometterebbe la libertà individuale, perché, sia
pure per eterogenesi dei fini, l’estinzione dello Stato non solo equivale
all’obiettivo di lungo periodo teorizzato da Marx, ma ci farebbe ricadere, come
abbiamo visto con il mito di fondazione greco, anche nella condizione di
conflittualità precedente a quell’arrivo di “dike” e “aidos” che libera gli
individui dal sopruso dell’arbitrio.
Certo,
in molte circostanze storiche la libertà viene negata dallo Stato, spesso
l’amministrazione statale è oppressiva e iniqua (e tutti noi avremmo centinaia
di casi molto gravi da denunciare), ma il compito del liberalismo è di far sì
che la libertà trovi nello Stato un alleato e un difensore, pur mantenendolo il
più limitato possibile.
Compito
difficile ma ineludibile.
Il
titolo di questo convegno fornisce la chiave per comprendere il senso di questo
complesso rapporto fra liberalismo e Stato: «meno Stato, più società».
Da qui
quella che potremmo definire la regola aurea del liberalismo (e del
libertarismo intelligente): libertà equivale a meno Stato e più società ovvero
più individuo. Ecco, appunto, meno Stato, non zero Stato. Meno, non zero: una
concezione minarchica dello Stato non deve mai diventare una concezione
anarchica, che porta inevitabilmente alla scomparsa delle condizioni di
possibilità della libertà sia teorica sia concreta, sia generale sia
individuale.
Lo
Stato e la proprietà privata non sono, in sé, antitetici, anzi; uno Stato
virtuoso protegge la persona e la sua proprietà con l’autorità delle leggi.
Certo, quando lo Stato deborda e si trasforma nel Leviatano, allora tutti sono
minacciati, anche la proprietà privata è intaccata, ma la colpa qui è del
potere politico che in quel momento governa. Lo statalismo è anche, di fatto,
socialismo, il quale però non deriva dall’idea di Stato bensì da ideologie che
si impadroniscono dello Stato stravolgendone il concetto.
Se per
i totalitaristi lo Stato è l’entità suprema («tutto nello Stato, niente al di
fuori dello Stato, nulla contro lo Stato»: espressione mussoliniana che
potrebbe perfettamente essere anche di Stalin, non di Lenin però, il quale
rimane, almeno fino a Stato e rivoluzione (1918), nel solco marxiano), se per gli statalisti lo Stato è lo
strumento per la statizzazione o nazionalizzazione dell’economia e della
società (l’esempio
del sistema scolastico che è al centro di questo convegno è, a tal proposito,
perfettamente adatto), per i liberalconservatori (come pure per i libertari
illuminati), esso è la quarta gamba di quel tavolo storico che include popolo,
patria e nazione.
Su
questo punto altamente controverso che è lo Stato, non possiamo non dirci
crociani (con tutto il rispetto, la stima e anche l’affetto per Giovanni
Gentile, che assegna invece molta più influenza alla gestione statale).
Che
Croce non avesse compreso il senso autentico del liberismo, non inficia la sua
posizione verso lo Stato, che potremmo definire monarchica.
Distinguendo
patria da Stato, “Croce sostiene” che l’amor di patria esiste, mentre non vi
può essere amore per lo Stato, perché quest’ultimo va servito e rispettato come
qualcosa che è necessario, senza quel coinvolgimento spirituale e anche
sentimentale con cui si guarda alla patria, ed è solo in virtù di questo amore
per la patria che si possono osservare le leggi dello Stato, accettandole con
un senso di dovere morale.
Detto ciò, è evidente che per” Croce” lo Stato come
struttura amministrativa è una figura storico-politica che ha una sua precisa
necessità.
Se
infatti, oltre ad essere limitato nella sua funzione, lo Stato è concepito come
“Stato nazionale”, ovvero come sostanza vivente che racchiude un popolo, allora esso si consolida
connettendosi con una figura superiore, la nazione appunto, che esprime la
volontà di un popolo di unirsi e di riconoscersi nella propria nazione.
L’Occidente
dunque potrebbe reggere l’urto dei nemici e l’usura della storia, proprio
perché è un insieme di nazioni, che ne costituiscono l’ossatura originaria ed
essenziale, che a sua volta si è strutturata storicamente sul concetto di
patria e sul popolo che la determina. Forse la salvezza dell’insieme
sovranazionale occidentale dipenderà dal virtuoso operare delle sue nazioni.
Il
tramonto è una strada che può essere anche molto lunga, e oggi l’Occidente è a
un passo dall’imboccarla.
Ma
fino a quel momento è ancora in salvo, in crisi ma ancora vivo.
(Aggiornato
il 10 febbraio 2025).
Commenti
Posta un commento