Cancellazione della storia.
Cancellazione
della storia.
“Cnn”
e “TikTok” Passano al Sionista Ceo di Oracle Larry Ellison, Regalando a
Netanyahu “la Grande e Potente Arma della Comunicazione”.
Conoscenzealconfine.it
– (1° Ottobre 2025) – il giornale d’Italia.it – Redazione - ci dice:
TikTok
e Cnn verso il controllo di Larry Ellison, storico sostenitore di Israele:
Netanyahu parla di social come “armi” decisive nella guerra della
comunicazione.
(Oracle
Is Expected to Become TikTok's Tech Partner in United States).
Il
primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che già aveva fatto diverse
affermazioni pubbliche in cui descriveva i social come “una potente arma” nelle
mani di Tel Aviv, ha gioito del generoso regalo concessogli da” Ellison” e, in ultima analisi, dal presidente
americano Donald Trump, che ha sancito l’accordo con la Cina per TikTok Usa.
Ellison,
inoltre, non è solo uno dei nuovi proprietari della piattaforma social, ma è
anche uno dei patroni della televisione a stelle e strisce:
dopo Paramount Global, Skydance Media, Cbs
ed altri, il figlio David è pronto ad acquisire anche la Cnn.
Quando
il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto davanti a un gruppo di
influencer statunitensi che i social media sono “la più importante arma” a
disposizione di Israele, non stava esagerando.
Pochi giorni dopo, la Casa Bianca di Donald
Trump firmava l’ordine esecutivo che sancisce il passaggio dell’80% delle
attività statunitensi di TikTok a un consorzio di investitori americani.
Al
centro dell’operazione: Larry Ellison, fondatore di Oracle, tra i più noti e
generosi donatori allo Stato di Israele e alle Forze di Difesa Israeliane (si calcolano oltre 26 milioni di
dollari versati tramite la “Friends of the Idf” negli ultimi anni).
Il
Deal TikTok: gli Acquirenti Sionisti, da Oracle a MGX Fino a Silver Lake
Partners.
Secondo
i documenti depositati a settembre 2025, il pacchetto di maggioranza di TikTok
Usa è suddiviso così:
Oracle,
Silver Lake e il fondo emiratino MGX controllano circa il 45% della nuova
entità;
ByteDance,
la società madre cinese, resta con meno del 20%;
il resto finisce nelle mani di un parterre
selezionato di investitori, da Rupert Murdoch a Michael Dell, da Sequoia
Capital a Susquehanna International Group.
Oracle
non si limita a possedere quote:
avrà la supervisione totale dell’algoritmo di
TikTok, ricostruito da zero sulle proprie infrastrutture cloud.
Significa
che Ellison e i suoi manager avranno accesso ai dati di 170 milioni di utenti
americani e soprattutto al cuore pulsante della piattaforma:
il meccanismo che decide quali contenuti viene
mostrato.
Dietro
l’operazione spicca “Silver Lake Partners”, uno dei maggiori azionisti di
Oracle e socio storico di Ellison.
Il fondo non è neutro: ha investimenti diretti
nella cybersecurity israeliana e in società legate all’intelligence militare.
Tra i
casi più rilevanti c’è la “partnership con Group 42”, colosso emiratino
dell’intelligenza artificiale che ha joint venture con “Israel Aerospace
Industries “e con “Rafael Advanced Defense Systems”, i due giganti delle armi
israeliane.
Significa
che parte dei profitti generati dall’operazione TikTok andrà a finanziare
indirettamente aziende che forniscono equipaggiamento all’”Idf”.
Il
terzo pilastro del deal è” MGX”, un fondo statale degli Emirati Arabi Uniti
specializzato in intelligenza artificiale e data economy.
Anche qui il legame con Israele è diretto.
Dal
2020, con gli “Accordi di Abramo”, Emirati e Israele hanno stretto relazioni
politiche e militari sempre più strette.
“MGX” è partner in diversi progetti con aziende
israeliane di difesa e sicurezza digitale, in particolare nel settore della
sorveglianza predittiva e dei sistemi di riconoscimento biometrico.
Se
TikTok negli anni scorsi era diventato un megafono naturale per i contenuti
pro-Palestina — uno studio della “Northeastern University “nel 2024 stimava che
i post solidali con Gaza superassero di venti volte quelli filo-israeliani —
ora tutto potrebbe cambiare.
Già
negli ultimi mesi erano emerse denunce di” shadowbanning” contro creatori
palestinesi;
con
Oracle al comando, il rischio è che il social venga “normalizzato” in senso
filo-israeliano.
La
Scalata ai Media Tradizionali della Famiglia Ellison:
da
Skydance Media e Paramount Global Verso “Cnn.”
Ma
TikTok è solo un tassello.
Ad
agosto 2025, David Ellison, figlio di Larry, ha completato la fusione da 8,4
miliardi di dollari tra Skydance Media e Paramount Global.
Con
quella mossa, la famiglia Ellison ha acquisito il controllo effettivo di “Cbs”,
Paramount Pictures, MTV, Nickelodeon, BET e Paramount+, oltre a una quota
determinante su “Comedy Central”.
Larry
detiene oggi il 77,5% di “National Amusements”, la holding che controlla il
tutto.
Secondo
fonti di settore, “Paramount-Skydance” sarebbe in trattative avanzate per
rilevare proprio “Warner Bros. Discovery, cioè Hbo Max, gli studi Dc Comics e
soprattutto Cnn”.
Se
l’operazione andasse in porto, Ellison avrebbe il monopolio di fatto della
principale emittente televisiva mondiale e contemporaneamente il controllo
dell’algoritmo di TikTok.
Netanyahu
e la “Nuova Arma” della Comunicazione e di TikTok.
(TikTok
İsrail'e mi satılacak, yeni sahibi kim, Oracle ne yapacak, Larry Ellison
iddiaları gerçek mi?).
Non
sorprende che Netanyahu abbia accolto con entusiasmo la svolta.
Nel
video diffuso dall’influencer “Debra Lea”, il premier israeliano dice
chiaramente:
“Le
armi cambiano nel tempo. Le più importanti oggi sono i social media. L’acquisto
più rilevante in corso è quello di TikTok. Spero che vada a buon fine perché
può essere davvero consequenziale “.
E
ancora, parlando di “X”:
“Dobbiamo parlare con Elon (Musk). Non è un
nemico, è un amico”.
L’obiettivo
dichiarato è “securizzare la base negli Stati Uniti“, cioè consolidare il
sostegno politico, mediatico ed economico alla prosecuzione del genocidio a
Gaza.
Per
Netanyahu, isolato a livello internazionale e contestato perfino all’Assemblea
Generale dell’Onu, la possibilità di trasformare TikTok e Cnn in strumenti di
soft power filo-israeliano è un regalo insperato.
La
propaganda di guerra non passerà più solo dai canali governativi, ma potrà
contare su piattaforme di intrattenimento e informazione usate quotidianamente
da centinaia di milioni di persone.
Tra
Cnn e TikTok: un Monopolio Pericoloso in Mano del Sionista Ellison.
In
pratica, Ellison e Netanyahu si trovano a condividere lo stesso terreno:
il primo come controllore di un impero
mediatico che fonde social network e televisioni, il secondo come leader
politico deciso a usare quell’impero come “arma”.
È
un’alleanza che mette a rischio non solo la libertà di espressione negli Stati
Uniti, ma anche la possibilità stessa che la tragedia di Gaza trovi spazio
mediatico indipendente.
Mentre
a Gaza si contano oltre 67 mila vittime (alcuni analisti però, più
verosimilmente, sostengono che il numero delle vittime sia 10 volte tanto –
nota di conoscenze al confine), per la maggior parte donne e bambini, la
macchina mediatica internazionale rischia di essere assorbita da un monopolio
che ha già dichiarato da che parte stare.
E la
linea è chiara: cancellare la narrazione palestinese e trasformare ogni
schermo, dal cellulare alla TV, in una cassa di risonanza per Tel Aviv.
(ilgiornaleditalia.it/news/esteri/735076/usa-cnn-e-tiktok-passano-al-sionista-ceo-di-oracle-larry-ellison-regalando-a-netanyahu-la-grande-e-potente-arma-della-comunicazione.html).
Si può
cancellare ciò che è stato fatto nel passato?
Quello
che non sapevi sul fenomeno della “Cancel Culture.”
Time4child.com
– Veronica Granata – (6 -11- 2024) – ci dice:
“Cancellazione”
o “Risignificazione”: qual è il modo migliore di definire l’ondata di proteste
raggruppate sotto la generica (e negativa) definizione di “Cancellazione
Culturale”?
Dopo
la formazione di movimenti come il “Me Too” e il “Black Lives Matters”,
numerosi gruppi si sono mobilitati su piazze virtuali e fisiche per lottare
contro le discriminazioni e le violenze di ogni genere.
Mentre
le città vedevano decadere statue e monumenti che trasmettevano tracce di una
storia efferata, e le opere artistiche e letterarie subivano rivisitazioni e
modifiche nel loro stile, l’opinione pubblica si divideva tra promotori e
oppositori verso tali gesta.
Le
iniziative, intanto, venivano raggruppate sotto il generico nome di “Cancel
Culture”, un termine fuorviante, complesso da comprendere e che dà spazio a un
quesito: il fenomeno rappresenta qualcosa di negativo che mira ad eliminare la
cultura occidentale o un movimento positivo improntato sulla giustizia sociale?
Ha
risposto “Veronica Granata”, docente all’Università di Liegi, specialista di
storia della censura in età Moderna e Contemporanea e docente nel Master
“Cancel Culture.
Storia,
Politica, Cultura” dell’Università degli Studi Niccolò Cusano, diretto dalla
professoressa “Alessia Lirosi”.
Prima
di tutto: cosa significa Cancel Culture e perché se ne sente sempre più spesso
parlare?
La
cosiddetta “Cancellazione della Cultura” è un fenomeno molto difficile da
inquadrare e può cambiare di significato a seconda di chi ne parla o del
contesto in cui è inserito.
Lo potremmo descrivere come un agglomerato di
attività attraverso le quali si tenta di attirare l’attenzione dell’opinione
pubblica su delle disuguaglianze sociali, delle discriminazioni o delle
violenze che hanno riguardato dei gruppi o delle minoranze nel passato e che
continuano ancora oggi a manifestarsi.
La
particolarità di queste proteste è che utilizzano i social media per denunciare
le questioni di interesse che generalmente riguardano:
il
razzismo, il colonialismo, il sessismo, le discriminazioni in generale e il
degrado ambientale.
Quale
risvolto ha avuto la “Cancel Culture” nell’ambito artistico e letterario?
Per
riuscire a rispondere alla domanda e per capire da cosa è scaturito il
fenomeno, è necessario fare un passo indietro nella storia.
Il mondo occidentale, infatti, attraverso la
colonizzazione, ha praticato in maniera massiccia la cancellazione di altri
popoli e culture e, oggi, proprio questi ultimi stanno tornando in superficie a
chiedere giustizia.
La Cancel Culture viene, quindi, tradotta come
una messa in discussione della cultura occidentale nel suo insieme perché per
secoli è stata considerata un modello dalla validità universale.
Se
pensiamo poi all’aspetto artistico e letterario, ciò emerge ancora più
visibilmente: basti riflettere sul programma proposto all’interno di scuole e
università che, per chi sostiene questo movimento, è semplicemente il frutto di
una selezione operata da un’élite intellettuale, bianca e maschile.
Parlo
di “movimento” in senso generico perché gli attivisti e i difensori di quella
che è stata definita “Cancel Culture “contestano l’uso dispregiativo di questo
termine, parlano piuttosto di una “cultura della contestazione” e di protesta
in difesa della giustizia sociale e dei diritti civili.
Il
concetto è stato forgiato da chi, invece, si oppone al movimento, per questo è
stata scelta una forma negativa come la “cancellazione”.
Inquadrare
bene il fenomeno è però fondamentale per evitare che possa essere tradotto e
utilizzato a sproposito.
Ovvero?
L’esempio
di uso erroneo più recente è quello russo:
da
quanto ha avuto inizio il conflitto in Ucraina, abbiamo assistito alla
soppressione, tanto in Europa quanto in America, di alcuni eventi incentrati
sulla cultura del Paese.
Il
Governo russo ha parlato di “Cancel Culture”, ma in realtà siamo di fronte a
scelte prese da singole università, singoli teatri o singole organizzazioni che
hanno applicato forme di boicottaggio culturale che da sempre si verificano in
tempo di guerra.
Tali
iniziative non sono collegate alle nuove forme di attivismo e di mobilitazione
collettiva.
Oltre
al caso russo, si sono verificate situazioni in cui gli attivisti hanno toccato
opere di “mostri sacri” della letteratura mondiale, basti pensare a
Shakespeare, Dickens o Austen.
Questo
ha scatenato non poche polemiche nell’opinione pubblica, arrivando perfino a
parlare di censura.
Anche
questo modo di leggere il fenomeno potrebbe essere fuorviante.
La censura è un fenomeno che affonda le sue
radici nel passato ed è un’azione legittimata e condotta dalle istituzioni,
siano queste civili o religiose.
La Cancel Culture ha delle proprie peculiarità
che non possono essere trascurate, ad esempio il fatto di utilizzare i social
media per denunciare il monopolio esercitato per secoli dai gruppi dominanti
sui mezzi di comunicazione e informazione tradizionali.
In questo senso, affermano i difensori della
Cancel Culture, i social media rappresentano libertà ed emancipazione per tutte
quelle voci che non hanno trovato posto nello spazio pubblico.
Si ha,
però, un altro risvolto. In passato era il potere dall’alto a decidere cosa si
potesse o non si potesse dire.
Oggi,
soprattutto attraverso i social, chiunque può essere attaccato per le proprie
affermazioni, e chiunque può prendere l’iniziativa di mobilitare delle folle
digitali contro un individuo, un artista, uno scrittore e un’opera letteraria.
Per
capire meglio il fenomeno in ambito letterario, quali sono le proteste più
significative emerse negli ultimi anni?
Spesso,
le contestazioni partono da delle espressioni quali, ad esempio, “male gaze” o
“whitegaze”, che letteralmente significano “sguardo maschile” e “sguardo
bianco”.
I nomi
di per sé fanno capire molto.
Nel
primo caso, la protesta si concentra sul modo di raffigurare la donna nella
letteratura e nell’arte in generale.
Le
opere, infatti, sono spesso atte a soddisfare le aspettative di un pubblico
maschile ed eterosessuale, rappresentando così la donna come l’oggetto del
desiderio.
Un’opera
accusata di attuare questo tipo di sguardo è quella di un autore francese del
Settecento, “André Chénier,” all’interno della quale viene descritta in maniera
esplicita una violenza sessuale.
La
poesia è stata oggetto, nel 2017, di una lettera aperta di alcune studentesse
verso l’opinione pubblica e le commissioni di concorso.
Le
studentesse, in questo caso, segnalavano come gli insegnanti, nel commentare
l’opera, sottolineassero i soli aspetti estetici e letterari, lasciando
nell’ombra gli abusi.
Questo
è un esempio di ciò che è la” Cancel Culture”, ovvero la volontà di rileggere
alcuni testi alla luce di nuove sensibilità.
Mentre
il “white gaze” in che modo viene contestato?
Nel
caso dello “sguardo bianco”, si contesta la “santificazione” dell’individuo
bianco, che rispecchia il target di pubblico per cui venne scritta l’opera
stessa.
A
proposito di questo si può citare “Via col Vento” di “Margaret Mitchell”, un
successo planetario che manifesta una rappresentazione edulcorata dello
schiavismo nell’Ottocento, prima e durante la guerra di Secessione americana.
Nel
romanzo (e nel conseguente film) si mostra l’affettuosità che gli schiavi
rivolgono ai padroni, omettendo la violenza a cui queste persone erano
sottoposte.
Per
tale motivo il lavoro è stato considerato intriso di messaggi velatamente
razzisti e impregnati dello “sguardo bianco”.
Un
altro caso è quello dell’opera di “Harper Lee”, “Il buio oltre la siepe”, dove
viene valorizzato un avvocato bianco che decide di difendere un imputato nero,
ereggendo il primo a paladino dell’antirazzismo.
Tutto
questo oggi viene rivalutato, suggerendo come, spesso, vengano messe in risalto
le virtù dei bianchi lasciando in secondo piano la questione delle
discriminazioni razziali.
Piuttosto
di “cancellazione”, si può quindi parlare di “significazione”?
Questo
è esattamente ciò che, personalmente, reputo il lato sano della “Cancel
Culture,” ovvero l’attività di rilettura delle opere del passato con un nuovo
sguardo. Infondo, i capolavori, meritano sempre di essere riletti e
reinterpretati alla luce della modernità.
Dall’altro lato non possiamo nascondere che esista la
volontà e la tendenza di voler cancellare e abolire lo studio di determinati
autori o discipline.
Oggi è
molto discussa l’idea di voler eliminare dai programmi scolastici la
letteratura greca e latina perché appannaggio di un’élite bianca e modello
negativo per i valori che questa trasmette.
Così
facendo, però, non ci si priva soltanto di un ricchissimo patrimonio, ma si
dimentica che queste culture sono state i capisaldi e le fonti di ispirazione
di molti personaggi che hanno fatto la storia battendosi per i diritti civili e
la giustizia sociale.
Quando
si pensa che certe opere possano influenzare il pubblico in negativo, non
dobbiamo dimenticare che quest’ultimo non rappresenta una cera che si lascia
plasmare dall’opera, non è passivo a ciò che sta leggendo o guardando.
Ha
fatto molto discutere la possibilità che nel nuovo film de “La Sirenetta”
potessero essere cambiate alcune parole della colonna sonora, peraltro per
scelta dello stesso autore che nello scorso secolo l’ha composta, in omaggio
alle norme del consenso esplicito nei rapporti di coppia. In questo caso si può
parlare di” Cancel Culture”?
In
questo caso la scelta è stata autonoma, non sollecitata da un movimento più o
meno numeroso di attivisti, per questo la definirei più un tipo di autocensura
atta a evitare polemiche.
In
certi casi la scelta viene presa sull’onda di cambiamenti culturali che non
possono essere ignorati dagli autori.
Il nostro linguaggio, infatti, sta subendo
un’evoluzione e alcuni termini che prima venivano utilizzati in maniera libera
oggi vengono sempre più spesso scartati perché offensivi.
Dobbiamo,
inoltre, considerare che le grandi corporation guadagnano in termini di
immagine a mostrarsi attente alle nuove sensibilità. Ci sono quindi motivazioni
di ordine economico oltreché morale o stilistico.
Oltre
a questo esempio, sono però numerose le favole che nella storia sono state
modificate rispetto a quelle diffuse nella cultura popolare.
Faccio un esempio: “La Bella addormentata nel
bosco” prevedeva, in passato, che durante il sonno la principessa desse alla
luce diversi figli, il che sottintendeva una violenza reiterata sulla ragazza
da parte del principe.
I
nuovi costumi che si sono diffusi nel Settecento hanno riadattato questa e
molte altre storie, andando a cancellare per sempre alcuni elementi presenti
nelle favole tradizionali.
Quanta
importanza ha oggi studiare questo fenomeno? Può davvero far nascere un
cambiamento a livello sociale?
Il
tema va affrontato in ogni sua sfaccettatura, vista la sua complessità e visto
il risvolto che ha in alcuni settori e attività cruciali, quali l’economia, la
politica, la cultura, l’insegnamento, la ricerca, l’informazione e le relazioni
sociali.
Per
poter, invece, parlare di un cambiamento reale all’interno del contesto
culturale è necessario del tempo. Non è un caso se opere letterarie
recentemente composte siano state accusate per i loro contenuti.
Nel
2020 una scrittrice, dopo aver prodotto un testo sulla condizione dei migranti
messicani, è stata accusata di rappresentare una condizione a lei ignota non
essendo né messicana né migrante.
Questa è, peraltro, un’ambizione e una
controversia della “Cancel Culture”, che rischia di eliminare la creatività dal
lavoro dell’artista.
Per
questo è fondamentale studiare, diffondere e far capire all’opinione pubblica
quelle che sono le reali radici del movimento, il quale opera per dar voce ai
gruppi sottorappresentati, per denunciare le violenze e la discriminazione e
per poter provare a emancipare il linguaggio e la cultura del passato con un
occhio sul presente.
“Time4child”
è una “Cooperativa Sociale” che ha l’obiettivo di fornire a studenti, famiglie
e scuole gli strumenti per affrontare le sfide del “domani Policy privacy”.
(info@time4child.com).
(time4child@pec.it).
Da
dove nasce
là
cancel culture?
Marcelloveneziani.com
- Marcello Veneziani – (09 Gennaio 2021) – ci dice:
Ma in
quale abisso ci porterà l’idiozia criminale che cancella ogni cultura e ogni
passato, da “Omero” a” John Travolta”, passando pure per l’”Amen”, considerato
stupidamente maschilista?
Sarebbe
facile indignarsi, inveire, scandalizzarsi e pure deridere quest’onda globale
che parte dagli States ma arriva, eccome, pure in Europa.
Ma
dopo che ci siamo sfogati con una bella sequela di insulti, ci resta la magra
consolazione di essere migliori di questa onda demente.
Proviamo
a chiederci invece dove nasce questa “cancel culture”, con la preghiera
preliminare di non tradurre “cultura della cancellazione”, come solitamente si
fa, ma al contrario, “cancellazione della cultura”.
Non ci può essere alcuna cultura dietro la
pretesa di cancellare autori, pensieri e linguaggi.
La
cultura cancellata è a ogni livello e latitudine, se colpisce da “Shakespeare”
a “Fausto Leali”, da “Dante” a “Mister Bean”, da “Omero” a “Homer Simpson”.
L’ignoranza
è sempre stata maggioritaria sul pianeta, come la stupidità;
ma
diventa inquietante quando si fa potere, esprime “lo spirito del tempo” e
quando a professarla e veicolarla non sono poveri analfabeti del popolino ma
classi dominanti.
Diventa
preoccupante se i suoi sostenitori sono accademici come il professor “Heather
Lavine “che insegna nella “High School di Lawrence”, o come l’insegnante
antirazzista “Lorena German”, come il deputato democratico “Emanuel Cleaver”
che inveisce contro l’”Amen”, e addirittura presidenti dem della Camera Usa
come “Nancy Pelosi” che cancella il lessico primario delle famiglie, con
l’aggravante di un’origine italiana pur sotto la peluria animalesca del
cognome. Cito quattro personaggi ma ne potrei citare altri quattrocento,
arrivando pure dalle nostre parti.
Ma la
domanda resta inevasa: dove nasce la cancel culture, qual è il dispositivo
mentale, ideologico, neuropsichiatrico che la induce a cancellare autori
classici ritenuti sconvenienti, espressioni linguistiche, comuni o liturgiche,
giù fino agli usi della vita quotidiana, sportiva, perfino filmetti come
Grease?
Ci
sono precedenti, analogie, presupposti a quest’onda nichilista?
C’è un nesso tra le idiozie poc’anzi segnalate
e le precedenti epurazioni di culture e civiltà?
Per
non inseguire la barbarie lungo i millenni, e risalire ad Attila, al fanatismo
cristiano e musulmano che nei secoli voleva cancellare le vestigia pagane o
delle altre religioni, fino agli orrori delle guerre mondiali, proviamo a
limitare lo sguardo all’arco temporale della nostra vita.
Cito
almeno quattro tipi di cancel culture dagli anni Sessanta in poi:
quella
del fanatismo religioso che in nome del suo Dio vuol radere al suolo,
desertificare, ogni altra civiltà, cultura, tradizione e religione:
e nei
nostri anni questo fanatismo è stato islamista più di ogni altro, con la
distruzione di monumenti e chiese dedicati a Buddha e Cristo, alle civiltà
antiche, templi e biblioteche.
Poi la
pretesa del “totalitarismo ideologico” che nel nome di un’utopia vuole abolire
la realtà e ridurre il passato, come disse “Mao Tse Tung”, a una pagina bianca,
e nei nostri anni questo fanatismo ha avuto soprattutto una matrice comunista,
perché il nucleo del comunismo, lo dice Marx, è abolire la realtà.
Quindi
il suprematismo economico e tecno-militare che nel nome della potenza ha
cancellato impunemente vestigia di civiltà in Medio Oriente, in Mesopotamia,
ovunque, con l’imperialismo americano;
si
pensi solo alla guerra del Golfo, le bombe sui luoghi sacri o sulle opere
d’arte, distruzioni e profanazioni.
E infine, l’idiozia moralista del “politically
correct” nata sull’onda del Sessantotto, oggi imperante, che cancella tutto
quanto non rientra nei suoi paradigmi su gender, razze, sessi, linguaggi.
Quattro
diverse espressioni di un analogo abolizionismo radicale.
Qual è
il loro punto in comune?
Elevano
un punto di vista – religioso, ideologico, imperiale, politico-morale – ad
assoluto:
tutto viene relativizzato rispetto a quel
punto di vista, e tutto può essere rimosso e cancellato in suo nome.
Mutano i riferimenti temporali:
i
fanatici religiosi sacrificano ogni storia e ogni tradizione altrui sull’altare
dell’eternità del loro Dio;
i totalitari politici sacrificano ogni altra
cultura al sogno della società perfetta nel nome del futuro;
i suprematisti compiono il reset della tecnica
sulla cultura nel nome della potenza, decretando la fine della storia;
i fautori del “politically correct” cancellano
ogni passato e ogni tradizione non conforme al catechismo d’oggi.
E si potrebbe aprire il capitolo “reset” nella
Chiesa di Bergoglio… Nella loro diversità sono forme dispotiche, assolutiste,
di cancel culture e tutte sussistono, benché modificate, nel nostro presente;
ma l’ultima ci riguarda più da vicino.
È forse la meno cruenta ma la più subdola,
perché viene praticata nel nome della democrazia e dei diritti umani.
Paradossalmente
la salvezza di autori, filoni e tradizioni è risparmiata solo dalla loro
ignoranza:
se
davvero sapessero cosa hanno sostenuto nel corso della loro vita e nelle loro
opere tanti pensatori, artisti, scienziati, condottieri, perfino santi e
martiri, oggi sarebbero all’indice, cancellati pure loro.
Idem,
autori insospettabili, tutt’altro che reazionari, come Voltaire, Marx e
Gramsci, per citare alla rinfusa qualcuno.
La
beffa aggiuntiva è che il sostrato ideologico del” politically correct “non è
dogmatico, non crede alla verità, ma è relativistico.
Ma è
la dimostrazione sul campo che può essere instaurata la dittatura del
relativismo;
la
negazione della Verità convive con la pretesa di avere ragione in assoluto,
anzi di essere dalla parte della Ragione, senza possibilità di confutazione.
Dai
giacobini in poi.
Non so
se vi consola o vi sconforta pensare che non viviamo però nel peggiore dei
mondi possibili:
cambiano
le forme ma l’umanità coabita con questa follia da quando esiste.
Certo,
ci sono fasi cicliche, e noi ci ritroviamo in uno di quei momenti bassi.
Non si
muore di solo covid.
(MV,
La Verità).
Algoritmo,
cancel culture e
Stomachion:
chi decide la memoria?
Siamomine.com
– (25-06 -2025) - Lara Gigante – ci dice:
Prima
degli algoritmi, c'erano i rasoi per cancellare le pergamene.
Prima
della “cancel culture”, c'era la “damnatio memoriae”.
La storia si ripete e la posta in gioco è
sempre la stessa:
controllare
cosa può esistere nello spazio pubblico della memoria.
Dai
papiri di Osiriaco alle scritte sui muri, al meme e ai filtri sui social.
Palinsesti
del presente, nelle politiche della scrittura e della memoria.
Il
tratto di una bomboletta spray scivola rapido sul muro, lasciandosi dietro un
sibilo secco e nervoso.
Un gesto contrassegnato dall’urgenza di
trovare spazio dove qualcosa, forse, è già stato scritto.
Di tutt’altro ritmo, il movimento di un
pennino immerso nell’inchiostro che incide la pergamena nel silenzio, con la
lentezza rituale della scrittura antica.
Due
gesti lontani nel tempo, accomunati dalla stessa tensione:
lasciare
un segno che modifichi ciò che esiste.
Scritte
sui muri, papiri riutilizzati, testi cancellati e riscritti:
ciò
che li unisce è l’atto della sovra scrizione.
Una
pratica antica, originata dalla scarsità dei materiali, che si rivela chiave
per comprendere trasformazioni culturali e politiche più recenti.
Ogni strato aggiunto è un’interferenza nel
tempo: riscrive, altera, cancella.
DALLO
“STOMACHION” A “PEPE THE FROG.”
Nell’antichità
si parlava di palinsesto per indicare una pergamena riutilizzata, dopo aver
raschiato via il testo precedente.
Pratica
diffusa, che spesso non riusciva a eliminare del tutto il contenuto originario:
le tracce riemergevano col tempo, rendendo
quei supporti testimoni involontari della loro stessa riscrittura.
Il
palinsesto diventa così, una metafora efficace della cultura contemporanea, che
accosta, stratifica, ricompone: crossing, remix, mashup.
Un
esempio emblematico è il “Codice C”, contenente lo “Stomachion” di Archimede.
Un
testo scientifico risalente al III a.C. e cancellato nel Medioevo, intorno al
1229, per far posto a preghiere nuziali e benedizioni pasquali.
La cancellazione avvenne con l’acido, ma
l’inchiostro sbiadito riaffiorò secoli dopo e, grazie ai raggi X, si poté
recuperare parte dell’originale.
Certamente,
non un caso isolato, considerato che la gran parte dei manoscritti antichi
pervenuti a noi, sono in forma di palinsesti.
Pagine
provenienti dal Palinsesto di Archimede.
Trovano
un corrispettivo nel palinsesto collettivo rappresentato dalle scritte sui muri
delle città e delle metropoli contemporanee.
Una
sorte simile toccò anche ad un cospicuo gruppo di papiri.
Tra il 1896 e il 1907, a Osiriaco, in Egitto,
Bernard Grendel e Arthur Hunt riportarono alla luce migliaia di papiri
greco-romani.
Lettere,
capolavori perduti della letteratura greca, insieme con frammenti di vangeli
apocrifi, editti, atti di compravendita e testi letterari componevano un
archivio involontario, di una parte di storia del mondo antico.
Anche in questo caso, la sovrascrittura si
manifesta come parte della storia stessa del documento e delle sue tangibili
mutazioni nel tempo.
Esempi
di stratificazioni storico culturali, che trovano un corrispettivo nel
palinsesto collettivo rappresentato dalle scritte sui muri delle città e delle
metropoli contemporanee:
sovrapposte,
cancellate, frasi brevi che si rispondono a distanza di anni, per mano di
anonimi.
Frammenti
e stratificazioni che compongono una narrazione, il cui messaggio è sempre
parziale, esposto al rischio della cancellazione e al potere della riemersione.
Graffito
di protesta raffigurante “Min Aung Hlaing”.
E, in
certi casi, diventano atto politico, come dopo il colpo di Stato del 1°
febbraio 2021 a Yangon, in Myanmar, quando l’esercito destituì il governo
eletto democraticamente.
In
risposta alla repressione, le scritte contro la giunta militare si
moltiplicarono, nonostante la sorveglianza armata.
O,
come in Iran, durante le proteste per la morte di “Mahsa Amini”, graffiti e
poster clandestini divennero strumenti di dissenso.
Le
scritte venivano cancellate e riscritte in un ciclo continuo, azione che si è
poi estesa anche alle piattaforme digitali, conservando la stessa logica:
comparire, sparire, tornare.
Schema
analogo si replica negli ambienti digitali, dove i contenuti emergono,
scompaiono e riappaiono alterati.
Il caso di “Pepe the Frog”, personaggio dei
fumetti di “Matt Furie”, ne è un esempio.
Nato
come innocuo carattere, dal 2015 fu associato ai movimenti dell’alt-right
statunitense e usato per veicolare contenuti razzisti, dai membri di 4chan e
8chan.
Usato
in modo distorto, per diffondere hate speech e contenuti razzisti, l’”Anti-Defamation
League” arrivò a classificarlo come simbolo d’odio.
Una trasformazione resa possibile dal riuso,
dalla circolazione libera, dalla perdita di controllo sul significato
originario.
CANCELLARE
DAL BASSO.
«L’immagine
si trasforma nel tassello di una conversazione, generando a sua volta altri
contenuti e altri messaggi, in un processo potenzialmente infinito e dagli
esiti imprevedibili», osserva “Valentina Tann”i, in “Me estetica”.
Il
settembre eterno dell’arte (Nero Editions, 2020) a proposito di fenomeni di
appropriazione e riscrittura che coinvolgono il mondo delle immagini.
L’originalità
si dissolve in una pratica continua di riconfigurazione, ogni contenuto può
essere rieditato, ricondiviso, deformato.
Lo
stesso accade con la viralità dei filtri su “TikTok”, come quello recentemente
ispirato allo stile dello “Studio Ghibli”.
Così
ampiamente condiviso, che ha visto il suo impiego non solo su piattaforme
social generaliste, ma anche sui profili ufficiali del governo e di alcuni
parlamentari italiani, che li hanno utilizzati per veicolare messaggi
istituzionali in modo più accessibile e visivamente accattivante.
Anche la Casa Bianca ha scelto di farne uso
per comunicare operazioni di polizia con toni rassicuranti, creando una
narrazione estetizzata che distorce e rielabora contenuti controversi in forme
accettabili, normalizzate.
Si
tratta del post pubblicato a marzo 2025 sull’account ufficiale “X” della Casa
Bianca.
L’immagine mostrava “Virginia Basora-Gonzalez”,
una donna dominicana precedentemente deportata per” traffico di fentanyl”, arrestata
nuovamente dall’ICE per tentativo di rientro illegale negli Stati Uniti.
Episodi
che evidenziano come le dinamiche di viralità digitale, assimilate nei codici
visivi del potere, siano determinanti anche per la comunicazione politica
ufficiale, che ne adotta le forme per riconfigurare la propria narrazione
pubblica.
La
dinamica contemporanea della rimozione si manifesta nella cosiddetta “cancel
culture”.
Un’altra
dinamica si attiva quando, invece, sovrascrivere coincide con il cancellare:
non più il semplice riuso di uno spazio, ma un’azione intenzionale volta a
oscurare o rimuovere una memoria.
Le
forme storiche di questa pratica sono molteplici:
dall’ostracismo
greco, che allontanava per dieci anni i cittadini ritenuti pericolosi per la polis,
alla damnatio memoriae romana, come nel caso dell’”imperatore Domiziano”,
cancellato dalle epigrafi pubbliche, fino alla redazione degli “Index librorum
prohibitorum” da parte della Chiesa cattolica nel XVI secolo.
In
continuità con queste pratiche, la dinamica contemporanea della rimozione si
manifesta nella cosiddetta “cancel culture”, che si esprime tanto attraverso
interventi collettivi dal basso, come l’abbattimento di monumenti o simboli del
colonialismo, riconosciuti come espressione materiale di una violenza storica e
sistemica, quanto attraverso azioni dall’alto, di natura istituzionale o
algoritmica, attraverso l’oscuramento dei contenuti online.
Il
caso della statua dedicata a” Indro Montanelli” a Milano è tra i più discussi e
rappresentativi:
più
volte ricoperta di vernice rosa, è diventata un punto focale del dibattito
sulla necessità di dismettere pubblicamente i segni di una memoria coloniale,
ancora troppo spesso normalizzata.
Al
centro delle proteste, la relazione di Montanelli con una sposa bambina durante
la guerra d’Etiopia, da lui stesso rivendicata come pratica consueta e
inevitabile, che evidenzia quanto certi riferimenti storici, troppo a lungo
celebrati, risultino oggi eticamente e politicamente insostenibili.
Il
dibattito sui monumenti, come quello sui contenuti online, non riguarda solo la
memoria, ma la loro gestione pubblica e politica.
In
questo senso, la necessità di decolonizzare la memoria, di divellere o
ripensare i monumenti può essere un atto di giustizia simbolica, un tentativo
di correggere le asimmetrie storiche e dare rilievo a memorie alternative,
spesso marginalizzate.
LA
CENSURA DELL’ALGORITMO.
Non
tutte le cancellazioni, però, rispondono a questa logica di emancipativi.
In altri casi, la rimozione, più subdola
perché operata tramite algoritmi, mira a oscurare informazioni che metterebbero
in discussione l’ordine dominante del discorso pubblico.
E’
quanto avviene, in particolare, dopo il 7 ottobre 2023, quando “Meta” ha
iniziato a oscurare numerosi contenuti legati alla Palestina.
Un’inchiesta
di “Human Rights Watch” (2024) ha documentato casi di” shadow banning” e “deindicizzazione
“che ostacolano la libera circolazione di informazioni. Utenti palestinesi,
giornalisti e attivisti hanno subito rimozioni arbitrarie, restrizioni sugli
account.
Tra
gli episodi documentati: la rimozione di post relativi ai bombardamenti su
Gaza, la censura di contenuti critici verso Israele, la sospensione di account
che diffondevano testimonianze dirette.
Le piattaforme giustificano spesso questi
interventi richiamando le violazioni delle linee guida, ma cresce il numero di
osservatori che denunciano una tendenza sistemica a deformare la
rappresentazione di una realtà ridotta a “conflitto”, etichetta che nasconde
l’asimmetria profonda della situazione.
La
censura algoritmica, quindi, alimenta una narrazione distorta, che parla di
guerra in luogo di occupazione, apartheid e genocidio.
Una disparità strutturale, nascosta e normalizzata
anche nello spazio digitale.
A
queste forme di censura dettata da diverse forme di potere, si affiancano forme
di censura che si rivelano strategiche.
Di
emblematica rilevanza il caso del 2021 in cui, durante una manifestazione
davanti al tribunale della contea di “Alameda”, il sergente “David Shelby del
County Sheriff’s Office” ha riprodotto la canzone “Blank Space” di Taylor
Swift, dal suo telefono mentre veniva filmato da attivisti del gruppo “Anti
Police-Terror Project”.
L’intento era quello di sfruttare le leggi sul
copyright per impedire la diffusione del video online, poiché la presenza di
musica protetta da diritti d’autore può attivare i sistemi di rimozione
automatica, su piattaforme come YouTube.
Un uso tattico e strumentale, per evitare
trasparenza e responsabilità pubblica.
Ogni
riscrittura è una presa di parola, ogni cancellazione una forma di controllo
sul racconto del passato e sulla sua ricaduta nel presente.
Sovrascrivere,
allora, non è solo un gesto tecnico, ma un atto eminentemente politico.
Interviene sulla trasmissione della memoria, agendo selettivamente su ciò che
viene conservato, trasformato o cancellato.
Ogni
riscrittura è una presa di parola, ogni cancellazione una forma di controllo
sul racconto del passato e sulla sua ricaduta nel presente.
Sovrascrivere
significa decidere cosa può essere visibile, legittimo, tramandabile.
È un gesto che sfida l’autorevolezza della storia,
delle sue fonti e pervade le dinamiche di potere che determinano cosa è degno
di essere ricordato e cosa, invece, deve scomparire.
In
questo senso, diventa il luogo in cui si misurano conflitti simbolici,
culturali e istituzionali.
Dal
palinsesto antico alle scritte murali, dai meme ai filtri digitali, si
riproduce una tensione costante tra conservazione e trasformazione.
Gli
spazi della scrittura, antichi o digitali, diventano campi di conflitto, in cui
si negoziano continuamente rappresentazioni, memorie, identità.
Le
cancellazioni algoritmiche, le rimozioni selettive, i riusi strategici del
linguaggio sono strumenti di governance, tanto quanto lo sono gli interventi di
dissenso, le scritture dal basso, i gesti che sottraggono i segni alla
narrazione dominante.
Riconoscere
questa dimensione significa comprendere che la posta in gioco non è solo la
forma dei contenuti, ma il potere di definirne il significato.
Ogni atto di sovrascrittura è così un’azione
sul senso e sulla sua possibilità di circolare.
Lo aveva intuito, profeticamente, “Kenneth
Goldsmith”, in “Uncreative Writing: Managing Language in the Digital Age”,
formulando, forse, una provocazione divenuta ormai diagnosi:
oggi
scrivere significa sempre più confrontarsi con ciò che è già stato detto,
risemantizzarlo, deviarlo, riscriverlo.
Ma è
proprio nella gestione di questo linguaggio, nel modo in cui viene usato,
deformato, oscurato o rilanciato, che si gioca oggi una delle forme più
pervasive di conflitto culturale e politico.
L’Italia
senza migranti non ha un futuro.
E i
numeri ce lo dicono chiaramente.
Lespresso.it
– inchiesta – (18 gennaio 2023) – Simone Alliva – ci dice:
(Vatican
city – 3 ottobre 2025).
Pagano
in tasse più di quanto ricevano in assistenza e il loro contributo pesa 9 punti
di Pil.
In un Paese che invecchia sono una risorsa. E
il fatto che stiano diminuendo dovrebbe farci preoccupare, non gioire.
Questo
non è un tema da affrontare con argomenti sentimentali o retorici. Non
c’entrano la solidarietà, la compassione, la giustizia. Anche, certo. Ma prima
ancora c’entra la ragione.
L’inserimento
dei cittadini stranieri nella comunità italiana è interesse di tutti. Sono il
motore di questo Paese.
Inceppato per anni, da discussioni su porti
chiusi, blocchi navali, possibilità di dare ai loro figli la cittadinanza.
L’Italia multietnica e il suo valore non è
teoria di sinistra ma un dato di fatto censito persino dal rapporto Ocse 2021
che ha evidenziato come «i migranti contribuiscono in tasse più di quanto
ricevono in prestazioni assistenziali, salute e istruzione».
Siamo
un Paese di immigrazione, con oltre cinque milioni di stranieri residenti
(Istat, 2020), in valore assoluto dopo la Germania (che ne ha oltre 10
milioni), il Regno Unito (con oltre 6 milioni) e con un numero di presenze
analoghe a quelle francesi e spagnole.
Per
l’Italia il loro contributo all’economia vale quasi 144 miliardi, il 9 per
cento del Pil che è tornato a crescere e così l’occupazione straniera.
Il
tasso di occupazione degli stranieri è oggi al 57,8 per cento, ancora
leggermente inferiore rispetto a quello degli italiani (58,3 per cento).
La maggior parte di questa “ricchezza” si
concentra nel settore dei servizi, ovvero il comparto che registra il maggior
numero di occupati stranieri.
Se,
invece, osserviamo l’incidenza per settore, i valori più alti si registrano in
agricoltura (17,9 per cento), ristorazione (16,9) ed edilizia (16,3).
A
calcolare l’impatto del lavoro degli stranieri sull’economia italiana è la
“Fondazione Leone Moresca”, nel Rapporto annuale sull’economia
dell’immigrazione.
Dalla
salute alla scuola, dai servizi sociali all’assistenza, il rapporto calcola i
“costi medi” della presenza straniera ovvero l’incidenza sulla spesa pubblica,
e la confronta con il gettito fiscale e contributivo generato dagli immigrati.
Dati
che aiutano «a sfatare il luogo comune secondo cui la presenza immigrata in
Italia sia principalmente un costo per lo Stato», spiega il ricercatore della
Fondazione, “Enrico Di Pasquale”.
Il nostro è un Paese che sta morendo di
vecchiaia.
I
piccoli centri sono sempre più spopolati, senza lavoro, le scuole chiudono.
Gli
stranieri in Italia, per la prima volta in vent’anni, sono in calo.
Nessuno
si ferma abbastanza per restare: hanno accesso limitato alle risorse del
welfare e al riconoscimento sociale e politico.
Per la
propaganda rappresentano il centro di ogni problema.
Ma il futuro dell’Italia non è immaginabile
senza di loro.
I dati
si sviluppano come una fotografia in negativo sul saldo che riguarda cittadini
giovani e anziani, che negli ultimi vent’anni si è ridotto di 4,6 milioni (da
23,8 a 19,2).
Cioè
sono sempre meno le persone tra i 20 e i 50 anni, quelle nella cosiddetta età
per il mercato del lavoro.
Un
deficit che la presenza di stranieri ha compensato solo in parte, passando
nello stesso periodo da 900 mila a 3 milioni.
Se
apriamo lo sguardo non solo ai migranti in arrivo via mare e successivamente
collocati nei centri di accoglienza in Italia (80 mila presenze a fine 2020),
ma a tutti i residenti regolari con cittadinanza straniera (5,2 milioni di
persone, di cui oltre 2,2 milioni di occupati) possiamo capire l’importanza
della loro presenza vitale.
Gli stranieri non sono «un costo», come
ripetuto durante la campagna elettorale. Alla sanità sono costati 6,1 miliardi
di euro su 130 miliardi di spesa complessiva. Un’incidenza bassa che ha precise
ragioni demografiche.
Secondo
il ministero della Salute la metà dei ricoveri in ospedale riguarda la
popolazione con più di 65 anni, dove appena l’1,8 per cento è straniero.
E così
anche i ricoveri degli immigrati sono più brevi, riguardano i reparti di pronto
soccorso e maternità.
I
figli di stranieri nati nel nostro Paese oggi sono quasi un milione.
Nati e
cresciuti in Italia ma con il Ghana, la Nigeria e la Somalia nei volti.
Sono
ragazzi che parlano con l’accento della città che abitano da sempre, che vanno
a scuola - quando sono messi in condizione di andarci - coi nostri figli.
Nelle classi superano ormai il 10 per cento
(877mila nell’anno 2019-2020).
Un beneficio per la sostenibilità di un
sistema scolastico che altrimenti risentirebbe del calo demografico nazionale,
il rapporto Moresca attribuisce alla presenza straniera 6 miliardi di euro di
spesa sul totale di 58 miliardi.
Inoltre
nell’anno scolastico 2019/20 per la prima volta gli alunni stranieri iscritti
al liceo superano quelli iscritti agli istituti professionali.
Aumentano anche gli imprenditori immigrati,
pari al 10 per cento del totale.
In
dieci anni (2011-21), gli immigrati sono cresciuti (+31,6 per cento) mentre gli
italiani sono diminuiti (-8,6 per cento).
Incidenza
più alta al Centro-Nord e nei settori di costruzioni, commercio e ristorazione.
L’immigrazione
resta ai fatti una questione di risorse:
l’Italia
ha incassato dagli stranieri residenti 3,7 miliardi di Irpef, comprese
addizionali comunali e regionali, su un volume di redditi dichiarato pari a
27,1 miliardi.
Sulla
base delle rilevazioni sui consumi che indicano per gli immigrati una spesa
prevalentemente di sussistenza, il rapporto calcola 3,2 miliardi di Iva, pari
al 3 per cento di tutta quella riscossa in Italia.
Altri
3,3 miliardi arrivano dalle altre imposte sui beni di consumo, dai tabacchi ai
rifiuti, dall’auto al canone tv.
Considerando
poi che solo il 14 per cento degli stranieri ha una casa di proprietà, Imu,
Tasi, Tari e imposte su luce e gas ammontano a 1,9 miliardi di gettito.
Tra
rilasci e rinnovi dei permessi di soggiorno (2,3 milioni) e acquisizioni di
cittadinanza (131 mila nel 2020) gli immigrati pagano tasse per 200 milioni di
euro.
Sono
una risorsa anche i contributi previdenziali e sociali versati dagli stranieri,
che secondo il rapporto Inps 2022 valgono 15,9 miliardi.
Tutto sommato, le entrate così calcolate
ammontano a 28,2 miliardi, che a fronte di uscite per 26,8 miliardi di euro
restituiscono un saldo positivo di 1,4 miliardi.
«Per tornare ai livelli occupazionali
pre-Covid, l’Italia avrebbe bisogno di circa 534 mila lavoratori – scrive la
Fondazione Moresca nel suo rapporto -.
Considerando l’attuale presenza straniera per
settore, il fabbisogno di manodopera straniera sarebbe di circa 80 mila unità.
La restante quota di lavoratori potrebbe arrivare valorizzando donne e
giovani».
È
comune l’equazione stranieri e assistenza familiare – le cosiddette badanti –
ma è nella sanità che potrebbero giocare un ruolo fondamentale.
Per capirlo basterebbe pensare all’anno
conclusosi con l’arrivo a Cosenza dei primi 50 medici cubani che dovranno
contribuire a sostenere il deficitario sistema sanitario della Calabria.
È una storia che retro illumina l’esercito
invisibile di medici e infermieri presente nel nostro Paese, professionisti,
già formati, nati e cresciuti in Italia, ma senza cittadinanza.
E, dunque, impossibilitati a partecipare ai
bandi pubblici degli ospedali.
Secondo
le stime di Amis (Associazione medici stranieri in Italia) sono circa 77 mila,
tra questi 38 mila sono infermieri e 22 mila medici.
In
particolare, secondo Amis, negli ultimi anni un numero alto di professionisti
sono arrivati dall’Est Europa ma non avendo ancora la cittadinanza italiana
sono costretti a lavorare nel settore privato.
Dire
no all’Italia multietnica è come opporsi al passare del tempo. I numeri che non
conoscono eufemismi e mezzi toni ci dicono che il Paese crollerebbe
precipitosamente, chiuderebbero le fabbriche, si bloccherebbero i cantieri
edili.
Certo,
sono criteri di convenienza.
I migranti non sono semplicemente forza
lavoro.
Prima,
però, chi governa dovrebbe avere in mente dove stiamo andando e come possiamo
salvarci.
Mettendo
ordine nel lavoro precario con salari adeguati, agevolando il riconoscimento
dei cittadini che sono già italiani.
Non è politica, è affrontare la realtà.
Fare
un muro per non vedere la direzione della storia non serve a nulla.
Israele
Approva un Disegno di Legge
per
l’Esecuzione dei Prigionieri Palestinesi.
Conoscenzealconfine.it
– (2 Ottobre 2025) – Redazione – ci dice:
Palestina
occupata:
La
“Knesset israeliana” ha approvato domenica scorsa un disegno di legge che consentirebbe
l’esecuzione di prigionieri palestinesi.
Durante
la sessione del cosiddetto “comitato per la sicurezza nazionale israeliano”, il
ministro della Sicurezza nazionale, “Itamar Ben-Gvir”, ha dichiarato che,
sebbene alcuni politici vicini al primo ministro Benjamin Netanyahu abbiano
suggerito di rinviare la discussione, lui ha respinto l’idea.
“Questa
legge è una questione urgente, per creare un forte deterrente e imporre la pena
di morte ai prigionieri”, ha affermato.
La
Commissione per gli Affari dei detenuti ed ex detenuti e la Società dei
prigionieri palestinesi hanno affermato in una dichiarazione congiunta che
l’approvazione del disegno di legge che apre la strada alla sua prima lettura,
dopo aver superato quella preliminare prima del genocidio israeliano a Gaza,
non sorprende più alla luce della brutalità senza precedenti praticata dal
regime di occupazione.
La
dichiarazione ha sottolineato che, nonostante la chiarezza del diritto
internazionale, che proibisce la pena di morte, l’insistenza dell’occupazione
nel codificare questo crimine e nel concedergli una cosiddetta copertura legale
conferma ancora una volta che lo stato di occupazione agisce come se fosse al
di sopra della legge e al di là di ogni responsabilità.
La
dichiarazione ha sottolineato che ciò è stato ulteriormente messo in luce dalla
guerra genocida, che ha rivelato il fallimento della comunità internazionale e
la sua sistematica complicità con il regime di uccisioni coloniale.
La
dichiarazione congiunta ha spiegato che la brutalità dell’occupazione ha
raggiunto un livello indescrivibile, poiché ha ucciso decine di prigionieri e
rapiti dalla guerra genocida e ora sta cercando di consolidare il reato di
esecuzione attraverso l’emanazione di una legge speciale.
Questa
legge, ha osservato la dichiarazione, si aggiunge a un sistema legislativo
repressivo che per decenni ha preso di mira tutti gli aspetti della vita
palestinese, gran parte dei quali diretti specificamente contro prigionieri e
detenuti.
(qudsnen.co/israeli-knesset-approves-bill-to-execute-palestinian-prisoners/).
(infopal.it/la-knesset-israeliana-approva-un-disegno-di-legge-per-lesecuzione-dei-prigionieri-palestinesi/).
Come
gli immigrati salvano
l’economia
e le pensioni italiane.
Openmigration.org
– (01-10 -2025) -Stefano Solari – ci dice:
(Scritto
l’11 gennaio 2016 da Stefano Solari).
Perché
se aumentano i lavoratori stranieri in un paese migliora anche l'economia di
quel paese. Il caso della previdenza in Italia:
più di
600mila connazionali ricevono la pensione grazie ai migranti.
Il
2015 è stato l’anno europeo per lo sviluppo, anno dedicato dall’Unione Europea
all’azione esterna e al ruolo dell’Europa nel mondo.
L’immigrazione
ha un ruolo importante nei processi di sviluppo, d’altra parte questo discorso
si colloca nell’ambito degli obiettivi di sviluppo sostenibile e nel contesto
della riforma della cooperazione allo sviluppo effettuata in Italia nel 2014,
che ha visto rafforzare il ruolo del settore privato e delle associazioni di
immigrati nello sviluppo dei Paesi di origine.
Tuttavia
queste tematiche, che dovevano essere tematiche portanti del 2015, sono state
in qualche modo spiazzate dall’emergenza profughi:
il fatto più rilevante è ovviamente lo
sviluppo dell’”agenda Juncker” sull’immigrazione che riguarda la lotta al
traffico di migranti, il ricollocamento tra paese e paese e il sostegno ai
Paesi di frontiera.
Perché
i migranti fanno bene a uno Stato.
Nell’Unione
Europea ci sono 34 milioni di persone straniere, cioè il 6,7% della popolazione
complessiva.
I paesi con più stranieri sono la Germania, il
Regno Unito e l’Italia, mentre in alcuni paesi più piccoli come la Svizzera
queste percentuali sono ancora più elevate anche se prevalentemente poi dovute
a persone provenienti da paesi europei limitrofi.
Ovviamente
il concetto di straniero riguarda non solo persone provenienti da altri
continenti o da Paesi esterni all’Unione europea ma anche flussi interni
all’Unione europea stessa:
i
romeni che stanno in Italia sono cittadini europei ma in qualche modo li
consideriamo stranieri rispetto alla cittadinanza italiana.
Quando andiamo ad analizzare l’incidenza della
popolazione straniera vediamo che il saldo migratorio – la differenza tra
arrivi e partenze di stranieri – è positivo nei Paesi del nord Europa dove si
mantengono dei tassi di occupazione piuttosto elevati (in Germania c’è un tasso
di occupazione degli immigrati prossimo al 63%, nel Regno Unito siamo prossimi
al 70%).
Vedete
come l’Italia invece abbia dei tassi molto più bassi ma ancora superiori a
quelli che troviamo in Spagna in Grecia.
L’Italia tutto sommato mantiene un saldo
migratorio positivo, determinato però soprattutto dai ricongiungimenti
familiari.
Il
nostro Paese attira ancora abbastanza immigrati, ma questi sono soprattutto
familiari di persone che già lavorano in Italia:
quindi
persone che vengono e trovano impiego in Italia in questo momento non ce ne
sono molte, se non per un naturale riciclo delle posizioni lavorative.
Questo
ovviamente è anche un segnale positivo nel senso che chi è arrivato in Italia e
ha trovato lavoro decide di radicarsi e stabilizzare la sua presenza.
Osservando
le dinamiche demografiche, in Italia nel 2005 l’incidenza degli stranieri sulla
popolazione era del 3,8%.
Oggi è
all’8,2% e abbiamo superato la media europea, che abbiamo visto in precedenza
essere del 6,7%.
Abbiamo
circa 5 milioni di persone residenti in Italia di origine straniera. Ovviamente
non stiamo semplicemente parlando di fenomeni migratori da Paesi più poveri o
in guerra, ma stiamo parlando di fenomeni migratori su tutte le direttrici.
Le
previsioni dell’Istat ci dicono che questa incidenza andrà aumentando.
In
dieci anni dovrebbe raggiungere almeno il 13%.
La
cosa che possiamo dire con certezza è che l’età media degli stranieri è più
bassa:
l’incidenza
della popolazione che ha almeno 75 anni è di 1 a 10 tra gli italiani e 1 a 100
tra gli stranieri.
Si tratta dunque di persone che incidono meno
sulle spese previdenziali e su tutti i comparti del Welfare.
Questo ci permette di dire che effettivamente
in questo momento abbiamo una certa rilevante partecipazione degli stranieri
alla forza di lavoro e quindi sono dei contributori netti dell’Inps.
Nel
complesso possiamo dire che in questo momento di crisi l’immigrato ha
contribuito a tenere in piedi tante aziende che altrimenti avrebbero chiuso.
Questo è un dato di fatto, ci troveremmo con qualche centinaio di migliaia di
imprese in meno, grazie a una maggiore capacità di sopportazione del
sacrificio, della quale ovviamente non bisogna abusare.
Facendo
delle stime più precise in funzione dei diversi settori, il contributo degli
stranieri in questo momento alla produzione di ricchezza in Italia si aggira
sui 125 miliardi, cioè questa la quota di prodotto interno lordo attribuibile
al lavoro autonomo o dipendente degli immigrati, quindi siamo a un 8,6% del
valore aggiunto complessivo che più o meno è anche la quota degli immigrati sul
totale della popolazione.
L’incidenza
maggiore è nel settore della ristorazione e nell’edilizia dove siamo al 17-18%.
Poi non dobbiamo dimenticare quel settore dei servizi come il servizio di
assistenza familiare – le cosiddette badanti – che contribuisce in modo
essenziale e probabilmente anche inestimabile a certi servizi che altrimenti
sarebbero infinitamente più costosi o produrrebbero disagi maggiori.
I
contribuenti stranieri
Su 5
milioni di residenti stranieri, 3 milioni e 460 mila sono contribuenti:
contribuiscono al fisco e alle assicurazioni sociali e hanno dichiarato nel
2014 redditi imponibili per 45 miliardi e mezzo di euro e versato Irpef netta
per 6,8 miliardi di euro.
Come
proporzione è un po’ bassa rispetto a quella degli italiani anche a causa della
progressività dell’Irpef (i lavoratori con stipendi più bassi si trovano ad
avere aliquote medie più basse):
il reddito medio infatti dei nati all’estero è
molto più basso di quello degli italiani, 13 mila euro contro 20 mila quindi
c’è un differenziale di circa 7 mila euro all’anno.
Anche
qui si può però trarre una conclusione: se vogliamo che paghino le nostre
pensioni, bisogna pagarli in maniera decorosa perché altrimenti i contributi
sociali necessari non si formano.
C’è
poi più di mezzo milione di imprese condotte da stranieri, nel 2014 erano 524
mila e hanno prodotto il 6,5% dell’intero valore aggiunto – quasi 95 miliardi
di euro.
Quindi abbiamo numerosi imprenditori, persone che
hanno cariche imprenditoriali o sono in qualche consiglio di società di
capitali: sono 632 mila.
Quindi
ormai il fenomeno dell’imprenditorialità di persone straniere è di grande
rilevanza:
tra
l’altro con un trend di imprenditori italiani in calo di quasi il 7% negli
ultimi 5 anni e un aumento del 21,3% degli imprenditori stranieri.
Osservando
la spesa pubblica italiana essa è assorbita in modo importante dalla
popolazione italiana:
la popolazione immigrata è prevalentemente
giovane quindi le entrate dello Stato italiano dovute a persone nate all’estero
sono circa 16,5 miliardi e le uscite sono 12,6 miliardi.
Quindi
il fatto è che c’è un saldo di cassa di poco meno di quattro miliardi attivo e
quindi le nostre finanze pubbliche in questo momento hanno un beneficio da
questa situazione.
È
anche chiaro che guardando con gli occhi del cittadino, se nella mia città non
ci fosse un certo numero di stranieri avremmo dovuto licenziare un po’ di
medici, avremmo dovuto chiudere qualche reparto in più dell’ospedale, avremmo
dovuto chiudere delle intere scuole, avremmo dovuto non assumere altri
insegnanti.
Immigrazione
regolare, una
risorsa
per il bene comune.
Vaticannews.va
- Sara Costantini - Città del Vaticano – (29 settembre 2025) – ci dice:
Secondo
il “dossier Idos”, gli stranieri contribuiscono significativamente all’economia
nazionale e al funzionamento dei servizi pubblici.
Nonostante ostacoli burocratici e
sottoimpiego, il loro apporto rimane stabile e rilevante.
Il 4
novembre a Roma la presentazione del Dossier statistico immigrazione 2025.
L’immigrazione
regolare non è un peso per l’Italia, ma una risorsa concreta e tangibile,
capace di sostenere le finanze pubbliche e di contribuire al tessuto sociale
del Paese, lo evidenzia il “Dossier curato dal Centro Studi e Ricerche Idos”.
Gli immigrati regolari - sottolinea lo studio - versano più di quanto ricevono
in servizi e prestazioni sociali:
nel
2023, le entrate generate dalla popolazione straniera hanno superato le spese
sostenute per loro, con un saldo positivo di 4,6 miliardi di euro.
Contributo
reale degli stranieri.
Gli
stranieri rappresentano il 9% della popolazione residente, ma assorbono solo il
5,2% della spesa pubblica.
Il
loro contributo va oltre le cifre: partecipano attivamente alla vita delle
comunità, sostengono il sistema sanitario e sociale, e con il loro lavoro
quotidiano alimentano il bene comune.
È un
equilibrio tra dare e ricevere che non si limita alla dimensione economica:
racconta di persone che si impegnano, rispettano le regole e contribuiscono a
costruire una società più coesa e solidale.
Criticità
e ostacoli.
Persistono,
però, criticità significative.
L’accesso
al lavoro regolare è ostacolato da procedure complesse e norme rigide: nel
2023, solo il 13% delle quote disponibili per i permessi non comunitari è stato
richiesto, e appena il 7,5% dei permessi effettivi è stato rilasciato.
Questa
rigidità spinge molti nella condizione di irregolarità, con ricadute negative
sul contributo fiscale e sulla sicurezza del lavoro.
Il
sottoimpiego e il demansionamento colpiscono una larga parte dei lavoratori
stranieri.
Opportunità
e futuro condiviso
Nonostante
queste difficoltà, il contributo degli immigrati rimane rilevante e positivo.
Garantire loro opportunità reali significa
permettere all’Italia di crescere insieme a loro, valorizzando competenze e
talenti che altrimenti rimarrebbero inespresse.
Come
osserva “Luca Di Sciullo”, presidente di “Idos”:
«Superare
questi ostacoli non è soltanto giusto, è lungimirante.
Solo
così il contributo già positivo degli immigrati può diventare una risorsa ancora
più solida per la società».
Il
Dossier invita a guardare all’immigrazione come a una possibilità di rafforzare
la coesione sociale e promuovere principi di giustizia e solidarietà.
Dietro
ogni dato ci sono persone che lavorano, crescono e contribuiscono alla vita
comune.
“Mi
invita nella sua
stanza
anche se è vietato.”
Internazionale.it
- Lorraine de Foucher, Le Monde, Francia
– (10.9.2025) – ci dice:
Amore
che vieni, amore che vai.
Due
giorni nella vita di due persone innamorate.
Il primo, quando tutto comincia, e l’ultimo,
quando ci si lascia.
A chi
legge, la possibilità di immaginare cosa è successa in mezzo.
In
questa puntata: Arthur, 31 anni.
Il
primo giorno.
“Entro
in ospedale psichiatrico il 31 dicembre.
Già da qualche giorno ho dei problemi.
Vedo
ovunque segni, coincidenze che secondo me non sono casuali.
Ho
l’impressione di vivere in una caccia al tesoro e che la gente mi parli
attraverso dei sottintesi.
Sono
nel pieno di un delirio megalomane, seguo solo il mio istinto, come in quei
libri in cui sei un eroe.
Studente
in medicina, cerco di andare a studiare in biblioteca, ma passo le giornate in
uno stato di agitazione, a vagabondare al volante della mia auto.
Di ritorno in biblioteca mi nascondo per
fumare nelle sale di lettura e finisco per essere scoperto da una grossa
guardia della sicurezza.
La
insulto, lei chiama la polizia.
Arrivano,
li provoco ancora di più.
Mi
ammanettano a un termosifone del commissariato, grido più forte che posso,
finché non mi trasferiscono al pronto soccorso dove mi immobilizzano, mi
sedano, mi legano.
Il mio
arrivo in ospedale dopo questo episodio è un sollievo.
Esco da un incubo delirante.
Fa
molto freddo, ho quasi i geloni alle dita.
Siamo
sparpagliati in piccoli padiglioni, davanti ai quali passiamo ore a fumare.
È l’ultimo dell’anno, ma ho perso la
cognizione del tempo.
All’ora della distribuzione dei farmaci, ci
mettiamo in fila davanti a un carrello con sopra dei bicchierini di plastica
pieni di pillole di tutti i colori – le nostre medicine. In fila vedo una
ragazza bruna, molto alta, bellissima, con i lineamenti un po’ egiziani.
Ha i
capelli lunghi sotto un colbacco, occhiali squadrati e stivali imbottiti.
Più tardi scoprirò che in realtà porta una
parrucca:
si era
rasata la testa in un momento di panico.
Ci
accompagnano poi nel refettorio dell’ospedale, dove assistiamo a una scena
degna del libro “Il grande Meaulnes”:
persone con sembianze adulte ma comportamenti
da bambini.
Tutti
gli schizofrenici, i depressi e quelli con disturbi maniacali urlano ‘evviva, è
festa!’ mentre mangiano del foie gras.
Esausto
dopo il mio primo giorno, chiedo di tornare in stanza.
Gioco
a carte con un tipo che somiglia a “Bob Marley”, accanto c’è un altro che parla
con “Joy”, il suo amico immaginario al quale è collegato tramite un chip, e “Félicie”,
una fan sfegatata del compositore” Maurice Ravel”, che entra sempre nella
stanza sbattendo i piedi e urlando:
‘Voglio ascoltare Maurice Ravel!’.
Poi si
unisce a noi la ragazza bruna e molto bella, si chiama Flore… Il mio delirio
sembra calmarsi, sono semplicemente un po’ su di giri, eccitato, spiritoso… La
faccio ridere, siamo complici.
Dopo
le carte mi invita nella sua stanza, anche se in teoria non si potrebbe.
La
prendo in giro per il suo colbacco, i suoi occhi brillano, la bacio.
Lei è piuttosto borderline, con disturbi
dell’attaccamento, io in piena euforia maniacale.
Lei ha
18 anni e ha un ragazzo che gestisce un fast food.
Mi
innamoro subito, mi costruisco un piccolo mondo composto da lei e dagli amici
dell’ospedale con cui gioco a carte.
Stare
con lei non mi fa sempre bene.
A
causa della mia condizione ho bisogno di dormire, ma non dormo mai perché
chiacchieriamo e ridiamo insieme tutta la notte.
Ho un
altro attacco di panico.
Ma
siamo anche felici insieme:
passiamo
ore nel parco ad ascoltare musica con il mio telefono, a dirci, come degli
adolescenti, che ‘quello che non ci uccide, ci rende più forti’, che siamo noi
due contro il resto del mondo e che ne usciremo insieme”.
L’ultimo
giorno.
“Alla
lunga l’ospedale può essere iatrogeno: può farti stare peggio di prima.
Su consiglio dei miei genitori mi rado, mi
metto una camicia per convincere lo psichiatra a lasciarmi andare.
Uscire
dall’ospedale psichiatrico è come uscire di prigione:
tutti
sono contenti per te, ti organizzano una festa d’addio con succo di frutta. Con
Flore siamo convinti che resteremo insieme.
Riprendo
la mia vita ‘normale’, una sera vado a una festa.
Qui
spiego a un’amica, divertito, che ho una nuova ragazza, conosciuta in ospedale.
Lei mi dice di fare attenzione, che Flore
potrebbe essere un po’ disorientata, instabile, che forse non è quello di cui
ho bisogno per stare meglio.
Le sue
osservazioni mi fanno venire i primi dubbi.
Alla
fine Flore esce.
Vado a
prenderla all’ospedale con la mia Citroën Saxo, l’aiuto a traslocare tutta la
sua vita, non più di qualche borsa di vestiti.
Ha
trovato un posto in un centro per giovani lavoratori. Sono molto contento per
lei, ora potrà cominciare una nuova vita.
Già adesso la nostra relazione è meno intensa,
ci baciamo in modo più tranquillo.
Ma ai
piedi di quell’edificio freddo e senz’anima, con la mia auto parcheggiata in
doppia fila, la realtà mi colpisce in pieno.
Il suo
nuovo alloggio è minuscolo e sporco, non riesco a vedermi lì, non mi vedo a
dormire nel suo letto, non la immagino nella mia vita.
La
lascio, tutta contenta, e la bacio appassionatamente.
Sarà
il nostro ultimo bacio.
Una
settimana dopo ci scambiamo qualche messaggio: la nostra relazione è finita,
senza drammi.
Flore
ha sposato poi il gestore del fast food.
E
ricordo questa storia con grande orgoglio:
essere
riusciti a creare uno spazio di libertà, di trasgressione nell’universo
mortifero dell’ospedale.
Di
aver umanizzato tutti quei reparti freddi e psicotici con i nostri abbracci.
Flore
ha fatto parte della mia crisi, di quella colonia estiva che è stato l’ospedale
psichiatrico, dove ci si nascondeva dagli infermieri per fare quello che
volevamo.
A vent’anni la mia preoccupazione era
soprattutto di incontrare il maggior numero possibile di ragazze nelle
circostanze più piacevoli possibili – e quella volta così è stato”.
(Traduzione
di Andrea De Ritis).
Zone
rosse: la costruzione
di
persone pericolose.
Dinamopress.it
- Vanessa Bilancetta – (15 Gennaio 2025) – ci dice:
Dai
social alle ordinanze dei prefetti una serie di gruppi sociali e di persone
razzializzate sono definiti “pericolosi”, dando molto più potere nelle mani
delle forze dell’ordine lasciandogli piena discrezionalità.
Mercoledì
della scorsa settimana – il giorno dopo l’uscita del video dell’inseguimento e
dell’uccisione di “Ramy Elgaml” – abbiamo pubblicato sul nostro canale
Instagram il video di un fermo avvenuto nel quartiere San Lorenzo di Roma che
ci era stato inviato da una nostra lettrice che era sul posto.
Nella
descrizione del video scrivevamo:
«Quattro volanti corrono a sirene spiegate più
di dieci agenti escono e afferrano un uomo lo buttano a terra violentemente, lo
chiudono, si stringono intorno a lui per impedire di vedere la scena, lo
ammanettano e poi lo caricano sull’auto.
Una persona che faceva un video è stata
identificata.
E le persone accorse sono state allontanate.
La
dinamica non è chiara, ma era stato trovato a rubare delle cose da mangiare in
un supermercato accanto a dove è stato preso in arresto.
Le
violenze contro le persone razzializzate e povere da parte delle forze
dell’ordine nelle nostre città si moltiplicano e amplificano, il governo Meloni
si compiace e lo trascrive tra i propri successi.
Ma
questa è veramente sicurezza?».
Abbiamo
avuto la conferma nei giorni seguenti che la persona era stata fermata perché
trovata a rubare nel supermercato vicino al luogo del suo arresto.
Non
crediamo sia utile chiederci quante volanti siano necessarie per fermare un
uomo che sottrae del cibo e che, scoperto, tenta di scappare dopo aver avuto
una colluttazione con il responsabile del negozio.
Ci
sembra invece più utile inquadrare questo video nella partita aperta dal
governo intorno alla questione “sicurezza”.
Data 3
gennaio, infatti, l’ordinanza del prefetto di Roma, che istituisce le nuove
zone rosse nella città, tra cui la stazione Termini ed Esquilino, a seguito
della direttiva inviata dal Ministro degli Interni ai prefetti poco prima di
Capodanno e già attuate a Firenze, Bologna, Milano e Napoli.
Nelle
aree individuate in queste città «sono state controllate complessivamente
24.987 persone, con l’emissione di 228 provvedimenti di allontanamento», come
leggiamo nella nota del Ministero aggiornata al 9 gennaio.
In queste zone è possibile emettere ordini di
allontanamento e divieti di accesso per persone considerate pericolose «perché
denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei
cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio
commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie,
aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano»,
come definisce la direttiva Piantedosi del 17 dicembre.
L’idea
è quella di «prevenire e contrastare l’insorgenza di condotte di diversa natura
che – anche quando non costituiscono violazioni di legge – sono comunque di
ostacolo al pieno godimento di determinate aree pubbliche, caratterizzate dal
persistente afflusso di un notevole numero di persone».
Quindi
con l’istituzione delle zone rosse diventa possibile allontanare tutte le
persone che possono “sembrare” pericolose.
Ma
sulla base di quali percezioni i comportamenti e le persone possono essere
considerate pericolose?
E qui
ritorniamo al nostro video di una persona che viene fermata e portata via da
quattro volanti per aver rubato in un supermercato.
La
persona in questione è razzializzata e il fermo avviene nel quartiere limitrofo
alla nuova zona rossa, stazione Termini.
Il video in poche ore è virale, oggi ha
superato le 210.000 visualizzazioni.
Più il video gira più i commenti diventano
apertamente razzisti, in supporto dell’operato delle forze dell’ordine e di
offesa al nostro lavoro considerato “buonista”.
La
torsione avviene, in particolare, quando tre pagine Instagram “notizie locali”,
“Italia spaccona” e “non fa ridere” remixano il video con il solo titolo
“quattro volanti” e riportando solo la parte introduttiva della nostra
descrizione.
Queste
sono pagine che ripostano solo contenuti riguardanti gli spazi urbani
“degradati”, persone che vivono in strada in situazioni difficili e contenuti
denigratori nei confronti di persone migranti e razzializzate.
Ed
ecco come il nostro stesso contenuto si trasforma in qualcos’altro.
Da un video di denuncia di un uso eccessivo
della forza pubblica, a un video che insulta la persona in stato di fermo, ed
esulta del suo arresto.
A questo punto abbiamo bloccato i commenti e i
remix, limitando la circolazione del video, perché il nostro obiettivo non
erano le visualizzazioni in quanto tali.
Una
traccia simile può essere seguita per le “borseggiatrici”, che dall’estate
scorsa sono diventate virali in centinaia di video girati in tutte le città
d’Italia.
Fino ad approdare in un articolo del DdL
Sicurezza, dove si apre «la possibilità per le donne incinte e per le madri con
figli entro l’anno di età, il rinvio della pena non più obbligatorio, come
stabilisce l’articolo 146 del codice penale, ma diventerà facoltativo, a
discrezione del giudice», come scrive Anna Pizzo sul nostro sito.
Anche
qui la norma ha una chiara matrice etnica e si indirizza alle donne rom e
sinti.
E
potremmo continuare con le polemiche montate ad arte tra giornali cartacei,
programmi televisivi e social sui “maranza” del capodanno a Milano, o le baby
gang (sempre di seconda generazione) nell’estate di Rimini.
La
percezione, quindi, si costruisce in questo ecosistema mediale, che amplifica e
moltiplica razzismo, xenofobia, e islamofobia, per questioni di click e
accaparramento di fette di mercato.
E che
con l’abolizione del” fact checking di Meta” potrà solo peggiorare.
Gli
youtuber, ripresi dalle televisioni e ormai invitati alle feste di partito, che
fanno milioni di views sulla stazione Termini «violenta» e «insicura»
costruiscono questa percezione sociale di pericolosità.
Decreti
e ordinanze iscrivono questa pericolosità a livello istituzionale, dando alle
forze dell’ordine la possibilità di perseguire qualsiasi «condotta di diversa
natura» e lasciando loro piena discrezionalità al di fuori di qualsiasi
controllo.
Stati
Uniti. Spray urticante e
manette
su bimba di 9 anni,
poliziotti
sospesi.
Avvenire.it - Redazione Internet – (lunedì 1
febbraio 2021) – ci dice:
La
piccola era in preda a una crisi psichiatrica e minacciava di uccidersi.
Un video mostra la reazione degli agenti, che
la volevano portare in ospedale. Il fatto a Rochester (New York).
Un
fermo immagine del video che accusa la polizia.
Un
fermo immagine del video che accusa la polizia - via Reuters-
Un
nuovo video choc sui metodi della polizia scuote gli Usa e scatena l'ira della
comunità black.
Il filmato, ripreso dalla “body cam” di uno
degli agenti, mostra i poliziotti ammanettare e usare spray al peperoncino
contro una bambina afroamericana di nove anni in preda ad una crisi
psichiatrica.
Nei
confronti della minore vengono utilizzate maniere brutali nel tentativo di
farla entrare in una volante, e le immagini sono destinate a far esplodere
nuove polemiche e proteste sull'uso della forza da parte della polizia.
Gli agenti, di cui non è stata resa nota
l'identità, sono stati sospesi dal servizio su richiesta della sindaca mentre è
stata avviata un'indagine interna.
L'episodio
è avvenuto a Rochester, nello stato di New York, cittadina che già nel marzo
scorso era finita al centro della bufera per la morte di “Daniel Prude”,
afroamericano con problemi mentali rimasto soffocato dopo che alcuni poliziotti
gli avevano coperto il capo con un cappuccio (lui aveva sputato contro di loro
affermando di avere il Covid).
La
morte di Prude aveva scatenato un'ondata di proteste e spinto il sindaco a
licenziare il capo della polizia.
In
questo caso, a scatenare l'indignazione generale è il fatto che i metodi duri
siano stati usati nei confronti di una bambina di soli 9 anni.
Il
vice capo della polizia, “Andre Anderson”, ha spiegato che gli agenti hanno
ricevuto una chiamata al pronto intervento in cui si citavano "problemi
famigliari", e quando sono arrivati sul posto hanno trovato la minore
"che minacciava di uccidersi e di uccidere sua madre".
Nel
video si vede la bambina che cerca di scappare e i poliziotti che l'ammanettano
cercando di farla salire su una volante per portarla in ospedale.
Alla
fine la prelevano con la forza e cercano di bloccarla spruzzandole una sostanza
urticante.
Nel video si sente pure un'agente che minaccia
di usare lo spray: "Stai seduta, questa è l'ultima possibilità oppure ti
spruzzo negli occhi".
I
poliziotti hanno detto di essere stati "obbligati" a fare ricorso a
questi sistemi per garantire la sicurezza stessa della minore.
Ma la sindaca afroamericana di Rochester,
“Lovely Warren”, ha condannato l'uso della forza contro una bambina,
preannunciando un'inchiesta interna.
"Io
stessa sono madre di una bambina di 10 anni - ha detto “Warren” - e in quanto
madre dico che questo video non è qualcosa che vogliamo vedere".
Quindi
ha esortato le forze dell'ordine a rispondere agli incidenti con maggiore
empatia e comprensione, ribadendo che serve anche una migliore formazione.
"Non
starò qui a dirvi che va bene usare lo spray urticante con una bambina di 9
anni", ha sottolineato da parte sua il capo della polizia di Rochester,
“Cynthia Herriott-Sullivan”.
Per
gli attivisti locali, tuttavia, il video è un'ulteriore prova che la polizia
tratta le persone colpite da crisi psichiatriche come criminali.
IAI
(intelligenza ad intermittenza).
Articolo21.org
- Angelita Russo – (24 Marzo 2025) – ci dice:
Che si
tratti di una qualche forma di intelligenza, nutro seri dubbi, però anche forme
di vita meno evolute, le classifichiamo appunto con il segno meno, ma
riconosciamo loro una coscienza evolutiva.
Mentre
non saprei come approcciare le sub-evoluzioni di molti, tanti, troppi (mutanti)
il loro cinismo, la loro indifferenza, la loro violenza.
Sto
vedendo un uomo a terra, caricato da tre poliziotti uomini e una quarta donna,
con il peso dei loro corpi su di lui, un ginocchio sopra, lo trascinano, lo
tirano sull’asfalto, lo ammanettano in pieno giorno e lo portano via, lo
rilasceranno più tardi, ed è “Gabriele Carchidi”, noto giornalista e direttore
del “blog Iacchite”’, che in Calabria si occupa di denunciare, senza troppi
timori, politica e malaffare.
L’Ansa
Calabria lancerà con quasi due giorni di ritardo la notizia, mentre su Facebook
il video ha già fatto grandi giri ed è partita la solidarietà, almeno da
tastiera.
La
Cgil ha convocato un presidio, giovedì prossimo 27 marzo ore 17,30 davanti alla
Prefettura cosentina, per difendere la libertà di stampa e contro ogni
intimidazione.
“Carchidi”
e” Iacchite”’ ritengono si sia trattato, non di un normale controllo di
polizia, ma di un’intimidazione squadrista, per aver pubblicato articoli
scomodi.
Fatto
sta che il clima di violenza è più percepibile, sembra di non trovare più un
argine al dilagare, come se l’esponenzialità di ciò che è possibile fare, alla
luce del sole, senza neppure avere remore a muoversi apertamente, stia dando
modo di sfogare istinti e pruriti, calcoli e “cunti” per dirla alla calabra.
“Iacchite’”
lascia intendere che dietro questa aggressione ci sia una faida interna alla
polizia, qualcuno che voglia farsi bello agli occhi dei superiori e di una
lezione da impartire per far capire che è meglio stare zitti, allinearsi.
Si
parla di un metodo che si sta estendendo anche ad altre categorie, è stato in
primis usato in magistratura, a gestione delle nomine e delle purghe e, ora,
tocca alla stampa, dice “Di Giorno” su Iacchite’.
A me
lascia impressionata la violenza verbale e prima ancora mentale a cui assisto,
come tutti, giornalmente, in questa terra che sembra essere sempre il
laboratorio per eccellenza, l’avamposto del male che da criminale diventa
istituzionalizzato.
Una
decina di giorni fa hanno inviato un discreto numero tra agenti delle forze
dell’ordine e sanitari, per togliere dal centro, dal salotto buono di Reggio
Calabria, dal lungomare, non la statua alla memoria dell’”onorevole fascista
Ciccio Franco”, colui che ha contribuito a far fare stragi e centinaia di morti
e feriti negli anni settanta, no, la squadra d’assalto aveva cose ben più serie
da sbrigare, veniva infatti inviata a braccare un uomo, solo e anziano,
toglierlo dalla vetrina buona e spedirlo in TSO, anziché averlo sudicio in
centro città a bivaccare, troppo poco chic per la città che gareggiava come
città della cultura 2027.
Peccato
che lui in centro ci sia stato una vita da imprenditore, noto e stimato e molto
generoso a quanto dicono.
Anche in questo caso, il video, ha fatto il
giro dei social e sono partite le tifoserie, tra chi lo vorrebbe rendere un
insetto e chi lo difende perché lo conosceva, a nessuno o pochi viene in mente
che la misura adottata risponde a ben altre esigenze, più di passerella che di
salute.
Inutile
dire che a fine dicembre scorso la Cassazione infatti ha deciso che le modalità
dei” tso” non possono più essere le stesse, medievali e brutali.
Ci sarebbero
anche due leggi di iniziativa popolare in tal senso, che necessitano di firme.
Altro
che Cassazione, a leggere i commenti su Facebook si accappona la pelle, c’è
persino chi invoca la ratio sempre utile dello “anziché spendere i soldi per
gli immigrati” curino questa gente molesta. Peccato che non siano mai passati
da un TSO, magari avrebbero capito che di cura non c’è l’ombra, né prima, né
durante, né dopo trattamenti tanto degradanti ed inutili.
E di
diritti non parliamone nemmeno, non è tutelato neppure quello alla difesa
minima, alla revoca del provvedimento per mano del sindaco, cosa già prevista
dalla legge e di fatto impossibile da applicare, almeno per la persona vittima
e abusata.
Quest’uomo,
ho letto, era un imprenditore noto, che la sorte ha beffato e che, molti bravi
benpensanti e compaesani reggini, hanno sfruttato finché non l’hanno portato
sul lastrico.
Poi,
naturalmente, quando è rimasto senza soldi e disperato, l’hanno abbandonato
tutti, amici e parenti in primis.
E
tanto per restare sempre in regione, a giorni a Crotone parte il processo
all’ex sindaco di Strongoli, “Luigi Arrighi”, che in veste di medico è accusato
di falso ideologico per aver indotto l’ex sindaco “Bruno”, a disporre ancora
una volta un “TSO” per un cittadino che, a quanto pare, non necessitava di
tanto caritatevole soccorso.
Il
caso credo che farà giurisprudenza.
Siamo
a un punto in cui, l’intelligenza ad intermittenza è la sola a poter spiegare,
a lasciarci sperare che il cortocircuito a cui assistiamo, necessiti solo di
aggiornamenti, per una versione più cazzuta, in vista di un salto di specie,
altrimenti non mi spiego.
Non mi
spiego come si possano indire manifestazioni pro-pace a chi riarma la guerra,
non mi spiego come faccia a guidare il Paese chi giura sulla Costituzione, la
piccona di continuo e rinnega pure il” Manifesto di Ventotene”, non mi spiego
perché per un giornalista che cerca e dice la verità, preso a calci sulla via,
ce ne siano una mandria che tacciono,
non mi spiego perché si intercettino uomini e donne che salvano dal
mare, dalla miseria e dal dolore persone in fuga che non hanno altro se non se
stesse, non
mi spiego perché due e più idioti pompati, in un salotto, decidano i destini
della vita di tutti noi e del pianeta.
Non mi
spiego, devo avere il software danneggiato, posso solo addebitare tanta
pervicace stupidità, solo a dei bachi informatici, anticipatori della
intellighenzia a venire.
Solo
così posso giustificarci, avere pena per uomini e donne che indossano come
soldatini i panni loro assegnati ed eseguono, senza alcuna coscienza, perché
non abbiamo più coscienza, non serve averla.
Ci
stiamo suicidando in massa.
Trump
stravolge l’America:
dal
caos alla paura.
Lavocedinewyork.com
- Claudia Cosi – (15 aprile 2025) – ci dice:
La
Casa Bianca ignora i tribunali, censura la stampa, ribalta i ministeri
ispirandosi ai regimi di Russia e Cina.
L’America
da alcune settimane ha un uomo solo al comando.
Si
chiama Donald Trump.
Non è
un re e non è un imperatore, ma si comporta some se avesse un grande regno e un
impero globale.
Gli
Stati Uniti, dal 20 gennaio, non hanno più una Costituzione perché il
presidente la ignora.
Non hanno più una Corte Suprema perché invece
di decidere nel bene e nel male, com’è accaduto sull’aborto o nel 2000
assegnando la vittoria a George Bush, adesso, sul rientro di un cittadino
spedito per errore in un super carcere del Salvador, l’Alta Corte suggerisce ma
non ordina di farlo tornare in America.
Trump
snobba i giudici e sfida i tribunali per capire chi riesce a fermarlo visto che
Camera e Senato sono impotenti e asservite al presidente padrone.
Gli
agenti federali dell’ICE, anche senza prove, fermano le persone per strada o
nelle auto, le ammanettano per deportarle e spaventare chi resta.
È praticamente uno stato di polizia
strisciante soprattutto per i cittadini stranieri di origini arabe, asiatiche o
africane anche se in regola con la carta verde o i visti di soggiorno.
Sembra di essere entrati senza regole e senza
freni in un mondo alla rovescia.
Un
balzo indietro di quasi un secolo che sta azzerando progressi e conquiste
sociali considerati inarrestabili.
Nei
quaranta anni che vivo in USA non mi sono mai trovata in un caos simile
pericoloso e con leader non trasparenti e spesso bugiardi che mentono in
pubblico come se fosse una nuova dottrina dell’ambiguità, nella quale nemmeno
Trump riesce a orientarsi perché si ostina a navigare a vista.
Nel
Paese non c’è più una libera stampa che risponde dei suoi atti o delle sue
denunce se ritenute non vere.
La
Casa Bianca censura e ammette solo chi vuole agli appuntamenti col presidente e
ignora anche gli ordini del tribunale che ha imposto di riammettere nello
Studio Ovale la più autorevole e rispettata agenzia di stampa del Paese come l’”Associated
Press”, famosa per la sua neutralità e utilizzata da decenni come il vero
barometro della certificazione elettorale.
I
modelli ispiratori di Trump non pescano più tra i leader di governi
democratici, ma tra i dittatori e i regimi autoritari di Russia, Turchia,
Ungheria, India e Cina, sapendo che il vero desiderio inespresso dell’attuale
presidente USA è avere lo stesso potere di Xi Jinping, che, oltre a un regime,
ha l’intera struttura del partito comunista cinese a proteggerlo.
Trump
sta ribaltando il Ministero degli Esteri, la CIA, l’FBI e anche il Pentagono,
imponendo purghe e arbitri e mettendo ai vertici di questi dicasteri solo
soldatini obbedienti e inesperti, a partire dal suo “vicepresidente Vance” che
non sembra più incontrare tutti i suoi favori perché cerca uno spazio autonomo.
I
miliardari che fanno parte del suo cerchio magico sono visti come degli
stimolatori egoisti e, con le misure draconiane del taglio agli sprechi
affidati a “Elon Musk”, cominciano già a vedersi le prime forti crepe nel
consenso popolare trumpiano sceso al 43 per cento.
La sua
intolleranza verso LGBTQ+, l’assalto alle università considerate estremiste e
covi della sinistra, alle quali vuole togliere miliardi di dollari per la
ricerca, sta avendo le prime contro-reazioni.
Harvard è stata la prima a ribellarsi e a non
cedere al ricatto della sottomissione ideologica di Trump dicendo “decidiamo
noi cosa insegnare…”.
Forse
altri seguiranno il loro esempio e molti donatori torneranno ad alzare la
testa.
Chi dovrebbe però fare altrettanto sono gli
avvocati.
Molti
grandi studi legali sono diventati bersagli di Trump e hanno accettato di
lavorare gratuitamente offrendo fino a 100 milioni di dollari per non
indispettire il presidente che li vuole punire.
E non
fa certo onore al marito di “Kamala Harris” scoprire che “Doug Emhoff”, tornato
a fare l’avvocato dopo la sconfitta elettorale, è stato fra i primi a
inchinarsi ai voleri del presidente vendicativo.
Se partono messaggi come questi dal fronte democratico
è facile capire perché il partito, se vuole tornare a vincere, forse ha bisogno
di un profondo bagno di coerenza che non deve fare più sconti a nessuno.
Se questo non è caos, allora stiamo arrivando
alla paura.
(Claudia
Cosi).
Trump
pronto a entrare in guerra contro l'Iran (e la risposta di Khamenei).
Corriere.it
– (mercoledì 18 giugno 2025) - Luca Angelini – Editorialista - ci dice:
Quel
«noi» che catapulta l’America nel conflitto.
Trump
«convinto» di dover aiutare Bibi.
Ancora
pochi giorni fa, il presidente americano Donald Trump metteva alla berlina i “neocon
Usa” per i tentativi di esportare la democrazia con le armi e «intervenire in
società complesse che non capivano» e si diceva convinto che la via maestra per
disinnescare l’Iran e la sua corsa al nucleare fossero i negoziati in corso in
Oman.
Ieri, invece, dopo essere stato platealmente
scavalcato da “Benjamin Netanyahu” con l’attacco militare a Teheran (e dopo
aver firmato, pur di malavoglia, la dichiarazione del G7 che auspicava una
de-escalation), si è detto pronto a entrare in guerra a fianco di Israele e ha
chiesto la «resa incondizionata» del regime degli ayatollah.
Condendo
il tutto, sul suo “social Truth”, con una minaccia non troppo velata
all’ayatollah “Ali Khamenei” (che secondo alcune voci avrebbe ceduto per il momento il
potere ai pasdaran):
«Sappiamo esattamente dove si nasconde il
cosiddetto "Leader Supremo".
È un bersaglio facile, ma lì è al sicuro. Non
lo elimineremo (non lo uccideremo!), almeno non per ora».
Un
cambio di atteggiamento, rispetto al Trump che si proclamava meritevole del “Nobel
per la Pace”, che “Massimo Gaggi” spiega con le delusioni e le sconfitte che
finora, il presidente americano ha dovuto incassare:
«Dai
dazi (imposti, sospesi, rilanciati, rinviati e uno scontro con la Cina concluso
con un accordo vantaggioso per Pechino) all’Ucraina (col presidente costretto a
dire che quando prometteva la pace in 24 ore, scherzava), passando per i
tentativi falliti di ottenere un cessate il fuoco a Gaza, Trump ha dovuto
ricorrere ad acrobazie dialettiche per nascondere l’inefficacia delle sue
mosse:
riflesso
anche del ridimensionamento del potere degli Stati Uniti accentuato da una”
logica America First” che inevitabilmente cambia il ruolo della superpotenza.
Sulla
guerra tra Israele e Iran, però, il presidente è oramai al momento della verità
nel quale non potrà più sostenere tutto e il contrario di tutto come ha fatto
fin qui».
Un
momento della verità gravido di enormi rischi.
Bastino
solo le parole che lo “storico israeliano Benny Morris” consegna a “Lorenzo
Cremonesi”:
in
caso di mancato stop definitivo alla corsa nucleare iraniana, «Israele messo
nell’angolo potrebbe ricorrere a bombe atomiche tattiche».
Nessuno
potrebbe fare il tifo per i teocrati liberticidi di Teheran.
Ma dei
pericoli dei cambi di regime imposti dall’esterno con le armi hanno già
scritto, sul Corriere, Paolo Mieli, Angelo Panebianco, lo stesso Cremonesi e
Aldo Cazzullo (più Gianluca Mercuri nella nostra Rassegna).
Gaggi
si augura che anche Donald Trump almeno un’idea di quei pericoli se la sia
fatta: «Lezioni come quelle dell’Iraq e della Libia hanno insegnato, al
Dipartimento di Stato, al Pentagono, ma anche allo stesso Trump, che, eliminato
un dittatore, il potere può passare in mani ancora peggiori o sbriciolarsi in
schegge incontrollabili, perfino più pericolose.
Ma
Trump è arrivato proprio a questo punto col suo “sappiamo dove ti nascondi” che
unisce la minaccia all'ammissione di essere ormai allineato a Israele.
Non
d’accordo con Netanyahu, ma spinto da lui sul piano inclinato di un’offensiva
militare israeliana di efficacia devastante che può ridisegnare la mappa del
Medio Oriente, ora gli si impone una scelta drammatica:
se la
sua combinazione di persuasione e coercizione non avrà successo, dovrà decidere
se trasformare la guerra di Israele in una guerra degli Stati Uniti con
l’intervento diretto dei suoi bombardieri e dei suoi piloti.
Una
scelta drammatica per le enormi conseguenze internazionali che potrà avere, ma
anche per i problemi interni che Trump deve fronteggiare:
aveva
promesso di essere un presidente di pace, avverso a ogni nuovo conflitto e ora
la prospettiva di un intervento in Iran spacca il partito repubblicano, ma
soprattutto il fronte dei Maga, coi suoi sostenitori più accesi, come la star
televisiva “Tucker Carlson,” che avevano creduto in un Trump sostanzialmente
isolazionista». (Viviana Mazza spiega che è il vicepresidente JD Vance a provare a persuadere
la base Maga).
Le
portaerei Usa dirette verso il Golfo, le flotte di aerei cisterna per il
rifornimento in volo trasferite dagli Stati Uniti in Europa e Asia e la
sottolineatura, da parte della Casa Bianca, della volontà di evitare a tutti i
costi che gli ayatollah si procurino l’arma nucleare, fanno pensare che Trump
si prepari ad autorizzare un qualche tipo di sostegno militare a Israele.
Se si
arriverà anche all’impiego delle “bunker buster”, le mega bombe Gbu ad alto
grado di penetrazione da quasi 15 tonnellate, sganciate dai bombardieri B-2
(magari per distruggere l’impianto nucleare iraniano sotto una montagna a
Fordow) è da vedere.
Mentre
l’Iran preparerebbe i missili per colpire le basi americane in Medio Oriente
nel caso Washington decidesse di prendere parte al conflitto, e valuta di
piazzare mine nello stretto di Hormuz, il cancelliere tedesco “Friedrich Merz”
ha affermato che Israele «ha il coraggio di fare il lavoro sporco per tutti
noi: se l’Iran non fa marcia indietro, la distruzione completa del programma
nucleare iraniano è all’ordine del giorno, cosa che Israele non può ottenere da
solo».
Da
Beirut, l’inviato Andrea Nicastro prova a disegnare il possibile futuro
(prossimo) dell’Iran dopo una possibile “spallata” americana:
«Teheran
deve decidere in fretta.
Lottare
fino al martirio, come ha imposto a tanti suoi combattenti in questo mezzo
secolo, o inseguire un compromesso?
Si
aprono tre scenari.
Il
regime degli ayatollah resiste, va in pezzi o si riforma.
Resiste
se convince i 90 milioni di iraniani che nessuno avrebbe potuto fare di meglio,
che la strada è quella giusta e che un giorno arriverà la vendetta.
Il
padre dell’Islam politico che fermò la guerra con l’Iraq disse di dover “bere
l’amaro calice della tregua”.
Khamenei,
lasciato in vita per gentile concessione, potrebbe ingoiare il disgusto della
resa.
L’Iran va in pezzi se i suoi leader continuano
a morire sotto le bombe israeliane, soldi dall’estero finanziano la rivolta di
minoranze etniche e pezzi di Stato si combattono tra loro.
La Repubblica islamica si riforma, invece, se
il sistema tiene, la gente scende in piazza, ma continua ad obbedire, chi ha le
armi non le usa, la vecchia leadership scompare per le bombe o la lungimiranza.
Cambiano
non solo i governanti, ma anche la Costituzione, la collocazione internazionale, la
scelta di sviluppo di lungo periodo».
“Daniele
Santoro” di Limes, citato da “Gianluca” nella nostra Rassegna, disegna un
quarto scenario, assai peggiore:
«Se
prima del 13 giugno esisteva un’esigua possibilità che in Iran venisse
instaurato un regime progressista, tendenzialmente filo-occidentale e
simpatetico, o comunque non ostile, a Israele, tale eventualità è stata
seppellita sotto le macerie dei palazzi di Teheran abbattuti dall’Aeronautica
israeliana.
È
infatti biologicamente impossibile che i giovani persiani accettino
l’umiliazione subita dalla loro tri-millenaria tradizione imperiale fino a
legittimarla.
Dopo
il 13 giugno il cambio di regime è più probabile che in passato.
Ma il
nuovo regime non sarebbe composto da giovani desiderosi di fare la pace con
Israele per comprarsi l’ultimo modello di iPhone, bensì da un’oligarchia
militare legittimata unicamente dalla guerra con lo Stato ebraico.
Che
diventerebbe permanente. È esattamente ciò che vuole Netanyahu».
(Quando
in Italia era notte, l'ayatollah Khamenei, in una serie di post su X, ha
scritto che «la battaglia ha inizio», l'Iran «non farà mai compromessi con i
sionisti» e non mostererà per loro «nessuna pietà»; mentre Israele ha condotto
attacchi al Distretto 18, vicino all'aeroporto internazionale di Mehrabad a
Teheran. Corriere.it)
Le
guerre a Gaza e in Ucraina.
Il
conflitto fra Israele e Iran non dovrebbe far dimenticare che anche a Gaza e in
Ucraina si continua a morire.
Sono
oltre 50 i palestinesi che ieri hanno perso la vita nella Striscia meridionale,
200 i feriti.
Testimoni
dicono che le forze israeliane hanno aperto il fuoco e bombardato un’area nei
pressi di un incrocio a est di Khan Younis, dove migliaia di palestinesi si
erano radunati nella speranza di ricevere un po’ di farina dal Programma
alimentare mondiale (Pam).
Un
giornalista locale — alla stampa internazionale continua ad essere interdetto
l’accesso — racconta che i droni israeliani hanno lanciato due missili, seguiti
poco dopo da un proiettile sparato da un carro armato israeliano posizionato
tra i 400 e i 500 metri dalla folla che si era radunata nei pressi di una
strada principale che conduce alla città di “Bani Suheila”, area che da
settimane è teatro di operazioni militari.
Da
Kiev, l’inviato “Francesco Battistini” scrive che «nella disattenzione dei
Sette Grandi per questo pezzetto di Terza guerra mondiale, mentre provano a
domare le fiamme fra Israele e Iran, ecco che a Kiev, a Odessa, a Zaporizhzha,
a Cherniv, a Zhytomyr, a Kirovohrad, a Mykolaiv va in scena una delle notti più
infiammate nel buio ucraino.
Il bilancio: 34 località centrate, 440 droni,
31 missili più due ipersonici sparati dal Mar Nero, 16 morti, 138 feriti,
Iskander e Kinzhal sul secondo aeroporto della capitale, Zhuliany.
Muore
anche un cittadino americano di 62 anni che in un quartiere della capitale, a
Solomjanskij, non ha fatto in tempo a scendere nel bunker e a ricevere i
soccorsi dei medici, che stavano intervenendo in un palazzo di fronte».
Il
presidente ucraino” Volodymyr Zelensky” è arrivato ieri al G7 di Kananaskis, in
Canada, ma non ha potuto incontrare Donald Trump, andatosene con un giorno
d’anticipo per occuparsi della guerra Israele-Iran.
Il
padrone di casa Mark Canery ha ribadito «l’importanza della totale solidarietà
con l’Ucraina e il popolo ucraino. Il supporto sarà incrollabile fino a quando
non otterremo una pace giusta per l’Ucraina».
Ma era
da Trump che Zelensky sperava di ottenere aiuti e pressioni e sanzioni contro
Mosca.
Che
appaiono lontanissime, visto che il presidente americano ha addirittura
proposto Vladimir Putin come mediatore fra Israele e Iran.
Il G7,
Meloni e i dazi.
A
proposito di G7, la premier italiana Giorgia Meloni è riuscita a ottenere
l’agognato faccia a faccia con Donald Trump, anche se su una panchina e per una
quindicina di minuti in tutto.
Un po’
pochi per parlare di Iran, Gaza, Ucraina, dazi e aumento delle spese Nato.
Incontrando
i giornalisti a G7 concluso, la premier ha comunque rivendicato, scrive”
Adriana Logroscino”, inviata a Kananaskis, di aver portato tutti sulla sua
posizione su Gaza:
«Questo
è il momento giusto, spingendo adeguatamente, per ottenere un cessate il fuoco.
Ho lavorato molto in questi giorni trovando la convergenza di tutti».
Interpellata sulle dichiarazioni del cancelliere Friedrich Merz — «Israele sta
facendo il lavoro sporco nell’interesse di tutti noi» — e del presidente
francese Emmanuel Macron — «Non si può arrivare a un cambio di regime per via
militare» — la premier italiana sembra propendere verso la riflessione del
primo. «Tutti vogliamo la de-escalation ma c’è una minaccia da disinnescare. E
purtroppo le negoziazioni non hanno portato a risultati. Può darsi che ora lo
scenario cambi».
Se gli
Usa entrassero in guerra e chiedessero le basi all’Italia?
«È prematuro parlarne».
Rispetto
a Macron, invece, Meloni ha fatto ricorso a una metafora popolare:
«Si fa
il pane con la farina che si ha. Io ho sempre pensato che lo scenario migliore
fosse quello di un oppresso popolo iraniano che riesce a rovesciare il regime.
Dopodiché ovviamente si opera nello scenario
nel quale ci si trova. L’obiettivo è impedire che l’Iran sia potenza nucleare».
Sui
dazi, «c’è una negoziazione in corso — ha detto ancora la premier - il dialogo
è sereno e aperto, si continua a parlare e cercare soluzioni»
. Ma,
di ritorno a Washington, Trump (che al G7 ha incontrato anche Ursula von der
Leyen) ha detto ai giornalisti:
«Gli
europei non stanno proponendo un accordo equo; per lungo tempo si sono
approfittati di noi: o troviamo un’intesa equa, oppure pagheranno qualsiasi
somma gli diremo di pagare».
Von
der Leyen, invece, ha preferito commentare sulla piattaforma X:
«Con
il presidente Trump abbiamo esaminato questioni cruciali. Per quanto riguarda
il commercio, abbiamo dato indicazioni ai nostri team di accelerare il
confronto e di arrivare a concludere un accordo buono ed equo».
«La
sensazione – commenta “Giuseppe Sarcina” - è che la distanza tra le parti sia
ancora ampia e che il dialogo non sia facile».
La
congiuntura americana mentre
l'ottavo
fronte di Israele si accende.
Unz.com
- Alastair Crooke – (2 ottobre 2025) – ci dice:
Putin
può convivere con la "schizofrenia di Giano" di Trump, mentre le
forze russe avanzano su tutti i fronti di battaglia chiave.
La
seconda fase del "passaggio di consegne" della guerra in Ucraina agli
europei da parte di Trump è stata chiaramente delineata nel suo post su Truth
Social del 23 settembre.
Nella
prima fase del passaggio di consegne, Trump si è ritirato dall'essere il
principale fornitore di armamenti a Kiev e ha indicato che d'ora in poi
l'Europa avrebbe dovuto pagare praticamente tutto, con armi acquistate da
produttori statunitensi.
Naturalmente,
Trump sa che l'Europa è fiscalmente "in bancarotta".
Non
abbiamo soldi per finanziarci, figuriamoci una grande guerra.
Ha poi
"strofinato il sale" su questa ferita di crisi fiscale sfidando gli
Stati della NATO ad essere i primi a sanzionare tutti i combustibili russi.
Anche
questo non accadrà, ovviamente.
Sarebbe
una follia.
In
questo ultimo post su “Truth Socia”l , Trump porta la linea di “Keith Kellogg”
alla sua “reductio ad assurdo” .
"L'Ucraina, con il sostegno dell'UE, può
riportare il paese [l'Ucraina] alla sua forma originale, facendo sembrare la
Russia una 'tigre di carta'... E chissà, forse si vada ancora oltre!"
Sicuro
– Kiev avanza alle porte di Mosca? Tira l'altra gamba, signor Trump.
Naturalmente sta “trollando Kellogg” e gli europei.
Poi,
dopo l'incontro di Trump con Zelensky, Francia, Germania e Regno Unito all'ONU,
è stata proposta una bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite che riecheggia la richiesta diluita dell'Europa e della “Coalizione
dei Volenterosi” di capitolare la Russia.
Trump
ha consentito ai funzionari statunitensi di partecipare attivamente alla
discussione sulla risoluzione, ma poi, all'ultimo momento, gli Stati Uniti
hanno posto il veto.
In
questo modo contorto, Trump riesce quindi – come “Giano Giano” – ad affrontare
due direzioni contemporaneamente:
di
fronte a una direzione, è al 100% dietro l'Ucraina, esaltando il "Grande
Spirito" dell'Ucraina e adottando la” linea Kellogg” secondo cui Putin è
in grossi guai.
Ma "guardando dall'altra parte",
Trump si impegna al contrario a " non limitare la possibilità di colloqui
di pace, né a far aumentare ulteriormente le tensioni ".
Putin
può convivere con la "schizofrenia di Giano" di Trump, mentre le
forze russe avanzano su tutti i fronti di battaglia chiave.
La linea di fondo è che la Casa Bianca ha
segnalato di non essere interessata alla guerra con la Russia.
Questo
è ovvio.
C'è comunque una guerra più preoccupante che
si sta preparando negli Stati Uniti.
Questa
guerra è l'ottavo fronte di Israele – Netanyahu ha recentemente iniziato a
proclamarla così.
L'Ottavo
Fronte è in America.
Ed è
lì proprio perché l'America domina i media mondiali.
Il
cosiddetto progetto dell'"Ordine Basato sulle Regole" (se mai è
veramente esistito al di là della narrazione) è stato strappato da Israele –
molto deliberatamente e a sangue freddo.
“Tom
Barrack”, amico di lunga data di Trump e inviato speciale in Medio Oriente,
alla domanda su quale fosse l'obiettivo finale degli Stati Uniti per la
regione, ha respinto categoricamente il discorso sulla "pace":
"Quando
diciamo pace, è un'illusione", ha detto Barrack.
"
Non c'è mai stata pace. [Alcuni] potrebbero dire, beh, stanno combattendo per
confini e limiti.
[Ma] non è per questo che stanno combattendo.
Un
confine o una linea di demarcazione sono [semplicemente] la moneta di scambio
di una negoziazione ".
Ha
continuato: " Il risultato finale è che qualcuno vuole il predominio, il
che significa che qualcuno deve sottomettersi. In quella parte del mondo... non
esiste una parola araba per sottomettersi. Non riescono a capire cosa
significhi sottomettersi...".
Una
guerra senza limiti, senza regole, senza legge – e più in particolare senza
confini etici – diventa il prerequisito per raggiungere la completa
sottomissione di ogni opposizione.
L'ex
Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Netanyahu, “Meir Ben-Shabbat”,
scrivendo (insieme ad Asher Fredman) su “Foreign Affairs” a settembre, ha
affermato che:
"Israele
non aderisce più a linee rosse che i suoi vicini credevano non avrebbe mai
oltrepassato.
Israele
non concederà l'immunità a nessun leader di gruppi ostili, indipendentemente
dal loro titolo politico o dalla loro ubicazione ".
Quando
Ben Shabbat scrive "ostile", è un eufemismo per indicare "non
conforme".
Questa
nuova dottrina riguarda il "dominio" israeliano – e per questo,
logicamente, gli altri devono "sottomettersi", insiste Barrack.
Il “Ministro degli Affari Strategici”
israeliano, “Ron Dermer,” ha suggerito che una "sottomissione"
sufficiente a far "sentire Israele completamente al sicuro"
emergerebbe solo se la coscienza arabo-musulmana fosse stata bruciata da una
sconfitta "deradicalizzante".
L'idea
di Netanyahu di "Ottavo Fronte" deriva quindi dall'assunto che il
pieno dominio ebraico (come delineato dall'inviato statunitense Barrack)
richieda un certo dominio anche in America.
Israele
non può raggiungere questo dominio da solo:
ha
bisogno del sostegno incondizionato dell'America, che mantiene costante il
flusso di denaro, armamenti e supporto operativo.
Fino a
poco tempo fa, questo sostegno incondizionato veniva ottenuto tramite
l'acquisto da parte di ricchissimi miliardari ebrei di politici e influencer
americani, e l'acquisizione diretta dei media mainstream.
Tuttavia,
l'ascesa dei media alternativi come principale fonte di informazione per gli
americani ha cambiato i calcoli e ha diffuso ondate di paura nella comunità dei
miliardari ebrei.
L'assassinio
di “Charlie Kirk “è avvenuto sulla scia delle molteplici pressioni esercitate
su Kirk da miliardari ebrei preoccupati che il principale elettorato giovanile
americano si stesse rivoltando contro Israele, come ha sottolineato Max
Blumenthal.
Il
conflitto con i grandi donatori ebrei di Kirk ha messo in luce la questione più
ampia del loro predominio sulla politica degli influencer statunitensi.
La
controversia che ne è seguita ha portato a un tentativo a oltranza da parte dei
miliardari filo-israeliani di prendere il controllo dei media alternativi
statunitensi, in particolare Tik Tok .
(Tutte
le piattaforme social statunitensi hanno un algoritmo che propende per Israele,
mentre Tik Tok no.
I
miliardari filo-israeliani che sono pronti ad acquistare Tik Tok insistono sul
fatto che il suo algoritmo debba essere "riqualificato").
"[Ciò
che i sionisti] si trovano ad affrontare ", afferma Blumenthal , " è
uno tsunami politico [di riallineamento politico] negli Stati Uniti, e non
hanno modo di fermarlo.
Ed è
per questo che, in seguito alla morte di “Kirk”, e nei giorni precedenti la sua
morte, alcuni di questi uomini d'affari sionisti hanno avviato una vera e
propria campagna di acquisizione dei media statunitensi.
È come
una stampa a tutto campo negli Stati Uniti.
Netanyahu
aveva condotto una guerra su sette fronti nella regione, e ora gli Stati Uniti
sono diventati l'ottavo fronte.
E vogliono impedire a chiunque di potersi
esprimere ovunque nell'ecosistema digitale online, semplicemente comprando
tutto".
Pochi
tra quei donatori miliardari che hanno sostenuto l'organizzazione di Kirk, TPU.
SA, hanno fatto più di “Robert Shillman” per
"Uso
la penna per fornire 'munizioni' [donazioni] a quelle organizzazioni come “ZoA “in
prima linea in questa battaglia che affronta i nemici di Israele e del popolo
ebraico - difendendosi dagli islamisti che desiderano distruggere Israele e
dalla sinistra radicale che odia gli ebrei che desiderano distruggere il popolo
ebraico".
In che
modo questa vicenda si traduce in pressioni su Trump affinché continui a
perseguire lo sforzo bellico ucraino contro la Russia?
Cosa
unisce i ricchissimi donatori ebrei, i classici russofobi statunitensi e
l'establishment europeo nella causa comune di fare pressione su Trump affinché
intraprenda un'azione dura contro la Russia?
La
risposta è che i donatori e le élite filo-israeliane statunitensi ed europee
hanno tutti un interesse comune nel fatto che la Russia sia preoccupata (e, a
loro avviso, indebolita) dal conflitto in Ucraina.
La
loro preoccupazione particolare è la prospettiva di una guerra in Medio
Oriente.
Non vogliono vedere Russia o Cina impegnarsi
direttamente a sostegno dell'Iran, qualora venisse attaccato militarmente.
Queste élite temono per il futuro di Israele,
in particolare qualora l'Iran dovesse essere rafforzato dagli alleati dei
BRICS.
Preferiscono una Russia impantanata e che non
torni a essere un attore in Medio Oriente – cosa che potrebbe indebolire
l'ambizione di supremazia ebraica/israeliana in tutta la regione.
Ricordiamo
che nel 1992, l'allora Sottosegretario alla Difesa “Paul Wolfowitz”, autore
della cosiddetta “Dottrina Wolfowitz”, dichiarò che, con l'uscita dei sovietici
dal Medio Oriente, gli Stati Uniti erano diventati l'unica superpotenza
incontrastata nella regione e potevano perseguire la loro agenda globale.
Wolfowitz
sottolineò l'uscita della Russia come fattore cruciale per il raggiungimento
dell'egemonia statunitense sul Medio Oriente.
Ricordiamo
inoltre che, in seguito all'invocazione delle sanzioni "Snap back"
all'Iran il 28 agosto, Russia e Cina hanno firmato congiuntamente dichiarazioni
in cui denunciavano il voto procedurale dell'E3 come "illegale e
proceduralmente viziato".
In un
certo senso, ciò fornisce a Cina e Russia le basi per ignorare eventuali
sanzioni successive imposte all'Iran ai sensi della disposizione "Snap back".
È la
prima volta che Russia e Cina contestano direttamente il Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite e implicitamente indicano che ignoreranno qualsiasi
sanzione "Snap back".
Tuttavia,
vista da una prospettiva diversa, la denuncia congiunta di Snap back potrebbe
aprire la porta a "un ritorno nella regione" da parte della Russia (e
della Cina) fornendo sostegno militare all'Iran, se dovesse essere attaccato da
Israele, dagli Stati Uniti o da entrambi.
Con la
Russia attualmente pienamente impegnata in Ucraina, è meno probabile che inizi
un sostegno diretto all'Iran in caso di attacco (la Russia è molto attenta ai
pericoli di un'eccessiva estensione).
Quando
la guerra in Ucraina sarà finita, allora la Russia potrebbe avere meno scrupoli
nell'intervenire direttamente a sostegno dell'Iran.
Lo
stesso varrebbe per la Cina nel caso in cui il conflitto in Ucraina avesse
raggiunto un certo risultato.
L'ultima
cosa che il triumvirato di influencer sionisti ebrei, i falchi della Russia
statunitense e le élite europee filo-israeliane vogliono è che la Russia
"torni in Medio Oriente".
Ciò
costituirebbe un incubo per loro.
Quando
all'inviato degli Stati Uniti Tom Barrack” è stato chiesto se Israele sentisse
il bisogno di un altro "attacco definitivo" contro l'Iran, ha
risposto:
"Sembra
proprio che stiano marciando verso la risoluzione dell'intero problema – che è
ciò che è Gaza – giusto?
Immagino
che mettere semplicemente Gaza sotto controllo, Hezbollah sotto controllo e gli
Houthi sotto controllo non sia fruttuoso – se non si riesce a tenere sotto
controllo il regime iraniano.
Non ho
informazioni su cosa faranno, ma non lo escluderei... Dobbiamo tagliare la
testa a quei serpenti e bloccare il flusso di fondi.
È l'unico modo per fermare Hezbollah".
Quindi
la sparatoria inaspettata di “Charlie Kirk” è avvenuta
"inaspettatamente" in un momento chiave del tentativo di Netanyahu di
predominare nella regione, evidenziando il sostegno già in calo per Israele tra
una schiera di giovani americani.
Anche
l'omicidio di Kirk ha inavvertitamente svelato la fase successiva della lunga
guerra culturale che cova negli Stati Uniti:
l'assassinio
di Kirk è già diventato significativo quanto qualsiasi altro nella recente
storia americana.
Se le
parole di “Rober Shillman” al suo pubblico ebraico, in cui esortava a "
affrontare i nemici di Israele e del popolo ebraico, difendendosi dagli
islamisti che desiderano distruggere Israele e dagli odiatori di sinistra
radicali degli ebrei che desiderano distruggere il popolo ebraico", non
fossero una dichiarazione di guerra abbastanza chiara e ampia, allora ascoltate
“Stephen Miller”, vice capo di gabinetto della Casa Bianca, mentre si rivolge
alla folla al “Charlie Kirk Memorial Service”, tra gli applausi scroscianti
delle 100.000 persone presenti:
"La Luce sconfiggerà l'Oscurità.
Prevarremo
sulle forze della malvagità e del male. Non possono immaginare ciò che hanno
risvegliato.
Non
possono concepire l'esercito che è sorto in tutti noi.
Perché noi rappresentiamo ciò che è buono, ciò
che è virtuoso, ciò che è nobile.
E a
coloro che cercano di incitare alla violenza contro di noi, a coloro che
cercano di fomentare l'odio contro di noi: cosa avete?
Non
avete nulla.
Siete
malvagità, invidia, odio. Non siete nulla.
Non
potete produrre nulla. Noi siamo coloro che costruiscono, che creano, che
elevano l'umanità".
Un'altra
settimana infernale grazie
alla
Casa Bianca e ai suoi amici.
Unz.com - Filippo Giraldi – (2 ottobre 2025)
- ci dice:
Sarebbe
interessante analizzare e considerare retrospettivamente la settimana iniziata
con il discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 23
settembre, che ha incluso la performance all'uscita dei delegati ONU per
"I vostri paesi stanno andando all'inferno" del presidente Donald
Trump, seguita il 26 dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu che ha assistito il
boicottaggio, prima di passare a Netanyahu alla Casa Bianca per rivedere il
piano di Trump per Gaza.
La
settimana si è conclusa con l'incontro di Trump e del “Segretario alla Guerra”
Pete Hegseth” a Quantico con gli ufficiali di bandiera americani.
Si
potrebbe, senza alcun particolare pregiudizio contro Trump o Netanyahu,
giungere alla conclusione che quei giorni costituiscono il peggio in assoluto
che il governo degli Stati Uniti ha ora da offrire al popolo americano e al
mondo in generale.
I
momenti più bassi della settimana sono stati senza dubbio la patetica richiesta
di Trump di ottenere il "suo" Premio Nobel per la Pace, alla luce del
fatto che lui e Hegseth stavano preparando il terreno per un cambio di regime
con iniziative di intervento militare sia in Venezuela che in Iran, aumentando
al contempo la tensione con la Russia e consentendo al criminale di guerra
Netanyahu di avere mano libera con i palestinesi.
I resoconti dei media sottolineano l'imminente
fornitura di nuovi missili statunitensi agli stati NATO che si confrontano con
la Russia e lo spostamento di aerei cisterna statunitensi dalle basi
statunitensi verso il Medio Oriente, simili ai preparativi per attaccare l'Iran
a giugno.
Quindi si tratta solo di nuove guerre?
Lunedì,
in merito alla pubblicazione della "sua" proposta di cessate il fuoco
per Gaza, Trump ha dichiarato con entusiasmo:
"Questo è un giorno grandioso, un giorno
meraviglioso, potenzialmente uno dei più grandi giorni di sempre per la
civiltà".
Ha
aggiunto che l'accordo avrebbe risolto problemi millenari e portato "pace
eterna".
In
seguito ha mitigato l'entusiasmo incolpando, come di consueto, gli arabi se il
piano non avesse avuto successo, dichiarando:
"Se
Hamas rifiuta l'accordo, Bibi, avrai il nostro pieno appoggio per fare ciò che
devi fare" per "concluderlo" a Gaza.
Ha
aggiunto che "Hamas lo farà o non lo farà, e se non lo farà, sarà una fine
molto triste".
Non
dovrebbe sorprendere nessuno che a Netanyahu sia stata concessa in forma
privata una modifica finale alla bozza del piano/proposta di Trump in 20 punti
per Gaza, che diversi stati arabi avevano accettato di sostenere nella sua
prima versione in 21 punti.
Le
modifiche "significative" sono state apportate domenica dopo un
incontro tra il capo negoziatore degli Stati Uniti “Steve Witkoff” e il suo
collega “Jared Kushner”, insieme al capo negoziatore di Netanyahu, il Ministro
degli Affari Strategici “Ron Dermer”.
Il
testo, tra l'altro, aveva già concesso a Israele un corridoio di
"sicurezza" intorno a Gaza, non dissimile dal confinamento dei
"Gazani in un campo di concentramento" che prevaleva prima del 7
ottobre , oltre ad altre modifiche, consentendo mano libera per continuare il
massacro, indipendentemente da come andassero le cose.
Le
principali modifiche richieste da Netanyahu riguardavano due delle questioni
più delicate dei negoziati:
l'effettivo disarmo di Hamas e il ritmo e la
sostanza del ritiro fisico dell'esercito israeliano da Gaza.
La
questione di un futuro Stato palestinese è stata ignorata.
La
nuova proposta collega l'effettivo ritiro di Israele dal territorio alla
"smilitarizzazione" di Gaza e alla capacità di una forza armata
internazionale di peacekeeping/polizia di prendere il controllo del territorio,
il che sarà un processo altamente soggettivo su entrambi i fronti.
Israele,
nel testo modificato o promosso da Trump, "si ritirerà sulla base di
standard, tappe e tempistiche legate alla smilitarizzazione che saranno
concordati tra l'IDF, le ISF, i garanti e gli Stati Uniti".
Il
testo originale affermava solo che l'IDF "consegnerà progressivamente il
territorio di Gaza che [occupa]".
La proposta rivista consentirà invece a
Israele di occupare la zona perimetrale di "sicurezza" che circonda e
persino di intromettersi nella Striscia fino a quando Gaza non sarà
"adeguatamente protetta da qualsiasi minaccia terroristica
risorgente".
Questo
sarà molto soggettivo e può essere utilizzato per prolungare il processo o
addirittura sovvertirlo.
Netanyahu
ha chiarito che non ci sarà nessuno Stato palestinese accanto a Israele.
Anzi,
vede i passi che porteranno alla negazione di qualsiasi entità politica
palestinese come una corsa di lunga distanza piuttosto che uno sprint,
soprattutto quando parla in ebraico a un pubblico israeliano, affermando in una
dichiarazione televisiva domenica sera che "Ora il mondo intero, incluso
il mondo arabo e musulmano, sta facendo pressione su Hamas affinché accetti i
termini che abbiamo creato insieme a Trump, per riportare indietro tutti gli
ostaggi – vivi e morti – mentre le Forze di Difesa israeliane rimangono nella
Striscia".
Hamas
ha infatti chiaramente dichiarato la sua disponibilità a rilasciare tutti i
prigionieri israeliani rimasti in cambio del completo ritiro israeliano da
Gaza, pur essendo consapevole che in tal caso non avrebbe alcuna influenza sul
governo Netanyahu.
Ha
anche indicato che non procederà al disarmo finché non ci sarà la creazione di
un vero e proprio Stato palestinese o di una forza di occupazione palestinese
che possa sostituirlo.
Hamas è anche pienamente consapevole che gli
ordini di sterminio per tutti i palestinesi sono ancora in vigore.
Il 1 °
ottobre Israele ha ordinato a tutti i palestinesi rimasti di lasciare Gaza
City, affermando che chiunque fosse rimasto sarebbe stato considerato un
"terrorista", quindi autorizzato a essere ucciso, compresi i civili.
I
l
Ministro della Difesa” Israel Katz” ha dichiarato : "Coloro che rimarranno a Gaza
saranno (considerati) terroristi e sostenitori del terrorismo".
Hamas,
infatti, ha chiesto chiarimenti sulla proposta rivista in venti punti alla luce
del fatto che Israele ha apportato alcune modifiche e potrebbe ancora accettare
il nuovo testo, anche se molti osservatori dubitano che lo farà.
Hamas
ha chiesto che "si faccia una distinzione tra il mantenimento di armi
offensive e difensive, poiché queste ultime sono garantite dal diritto
internazionale" e ha anche insistito su "una completa cessazione
della guerra e che le forze israeliane non tornino nella Striscia".
Hamas
vuole anche un calendario chiaro per il ritiro israeliano da Gaza e insiste sul
fatto che il comitato che gestirà la Striscia sia palestinese, non
internazionale.
Sia
Israele che Washington saranno in ogni caso pronti a snocciolare le solite
bugie sui palestinesi e sul "terrorismo" per giustificare qualsiasi
cosa Israele faccia, e qualunque cosa sia, sarà completamente finanziata,
armata e coperta politicamente da Trump.
È
interessante notare che, se Trump e Netanyahu fossero stati sinceri riguardo ai
loro piani di disimpegnarsi da Gaza, Israele avrebbe potuto incoraggiare un po'
il processo sospendendo i bombardamenti, i cannoneggiamenti e gli spari contro
i palestinesi per un giorno o due, mentre la proposta veniva presa in
considerazione da Hamas.
Centinaia
di abitanti di Gaza, per lo più donne e bambini, sono stati assassinati da
Israele da quando il piano di cessate il fuoco è stato proposto per la prima
volta, e centinaia di altri sono morti di fame.
Non è
certo un buon segno, soprattutto se si considera che Israele ha violato ogni
cessate il fuoco e l'accordo di pace che apparentemente ha stipulato
nell'ultimo anno a Gaza, in Libano e in Siria, uccidendo al contempo molti
altri palestinesi in Cisgiordania.
Gli
Stati Uniti, spesso garanti degli accordi, non hanno mai ritenuto Israele
responsabile delle proprie azioni.
Lo
Stato ebraico ha inoltre imprigionato, in condizioni incredibilmente brutali,
più di 10.000 palestinesi senza alcuna accusa a loro carico, il che rende
difficile essere ottimisti sulle possibilità di pace.
E a
proposito di piani di pace, cosa si dovrebbe pensare di un piano di cessate il
fuoco supervisionato e garantito da personaggi come Trump in qualità di
"Presidente" del cosiddetto "New Gaza Board of Peace" con
Sir Tony Blair come suo collaboratore per contribuire a "supervisionare la
transizione di Gaza".
Saranno
senza dubbio abilmente assistiti dal genero di Trump, “Jared Kushner”, che non
ha mai rifiutato l'opportunità di promuovere la devastazione di Gaza e la
ricostruzione e il reinsediamento del suo territorio da parte di non
palestinesi per consentire la costruzione del “Trump Riviera Resort”.
Le
apparizioni di Trump e Netanyahu all'apertura delle Nazioni Unite sono state
avvolte in una certa misura intorno alla prevista proposta di cessate il fuoco,
ma hanno anche caratterizzato il discorso sordo di Trump incentrato su sé
stesso e sui suoi successi, mentre Netanyahu si è sdraiato in modo aggressivo
davanti a una sala quasi completamente vuota dopo che quasi tutti i delegati lo
avevano abbandonato.
A
parte la fedeltà di Trump a Israele, il viaggio a Quantico per parlare agli
ufficiali di bandiera americani potrebbe essere stato ancora più bizzarro della
performance alle Nazioni Unite e delle sue conseguenze.
Trump,
renitente alla leva durante la guerra del Vietnam, si considera un duro,
agitando costantemente il suo piccolo pugno e minacciando la prigione per
chiunque gli si pari davanti e lo offenda in qualsiasi modo.
È noto
per la sua generale belligeranza nel trattare con i critici e i suoi stessi
subordinati, così come per il suo disprezzo per l'esercito che ha ereditato,
definendolo "woke" e privo di "volontà di vincere,", il che
ha portato alla ridenominazione del Dipartimento della Difesa come
Dipartimento della Guerra e alla sua richiesta di una rinascita dell'"ethos
guerriero" con la convinzione di infliggere "la massima
letalità" provocata dalla ferocia delle truppe e dei loro leader.
Questi
cambiamenti vengono proposti nonostante l'America, prima di Trump, non fosse
minacciata da alcuna potenza straniera e tutte le guerre in corso attualmente
siano condotte dagli Stati Uniti senza che siano in gioco veri e propri
interessi di sicurezza nazionale.
Mentre
Trump lasciava la Casa Bianca per dirigersi verso l'elicottero per parlare a
Quantico, ha ironicamente affermato che se i generali e gli ammiragli non
avessero gradito il suo messaggio, li avrebbe "licenziati
all'istante"!
Il “Segretario
alla Guerra” “Hegseth” ha contribuito a creare un'atmosfera più concitata, se
così si può chiamare, affermando che "per garantire la pace dobbiamo
prepararci alla guerra", lamentandosi al contempo del fatto che troppi
alti ufficiali fossero grassi e fuori forma.
Ha
chiesto misure per farli impegnare in un allenamento fisico per essere in forma
e in grado di guidare le truppe in battaglia.
La successiva invettiva di Trump ha suscitato
anche molte perplessità tra gli 800 ufficiali di bandiera, impassibili e
silenziosi, la maggior parte dei quali si chiedeva il motivo della loro
presenza.
Per coloro che conoscevano la Costituzione degli Stati
Uniti e il “Posse Comitatus Act”, la volontà della Casa Bianca di inviare
soldati nelle città americane come una sorta di esercitazione di addestramento
per rimettere in riga gli amministratori cittadini e statali, insegnando al
contempo alle truppe armate a fare tutto il necessario per ristabilire
l'ordine, è così esagerata che è difficile persino ricordarla.
Il presidente ha spiegato come "difendere la
patria" fosse la "priorità più importante" dell'esercito e ha
detto agli ufficiali di bandiera presenti nella stanza che potrebbero essere
incaricati di contribuire agli "interventi federali" in città a guida
democratica come Chicago e New York.
Ha
descritto come "Sono luoghi molto pericolosi, e li risolveremo uno per
uno.
E questo sarà un aspetto fondamentale per
alcune delle persone presenti in questa stanza.
Anche
questa è una guerra. È una guerra dall'interno.
Ho
detto [al Segretario alla Difesa Pete Hegseth] che dovremmo usare alcune di
queste città pericolose come campi di addestramento per i nostri militari – la
Guardia Nazionale, ma i nostri militari, perché entreremo a Chicago molto
presto.
È una
grande città con un governatore incompetente".
Ma
questo è ciò che si ottiene quando si elegge un uomo profondamente ignorante,
pieno di sé e della sua presunta gloria, incline a ripetere l'ultima cosa
sussurratagli all'orecchio dai suoi altrettanto disinformati consiglieri.
Il risultato
finale potrebbe essere, purtroppo, un addio America!
(Philip
M. Giraldi, Ph.D., è Direttore Esecutivo del Council for the National Interest,
una fondazione educativa fiscalmente deducibile 501(c)3).
L’auto
totalitarismo è
il
pilastro del totalitarismo.
Comedonchisciotte.org
– Redazione CDC – (3 Ottobre 2025) – Leonardo Guerra – ci dice:
Il
totalitarismo (Totalitarismo – Enciclopedia – Treccani) sta utilizzando sempre
più la tecnologia per i suoi scopi disumani.
Si
tratta di un sistema di controllo (L’ascesa della tecnocrazia e della società
del controllo. – Leonardo Guerra), occulto e impersonale, sulle masse, attuato
dallo stato profondo (Anatomia del “Deep State”: come funziona lo Stato
profondo – Osservatorio Globalizzazione).
Il governo ombra globale.
L’evoluzione
tecnologica ne guida la trasformazione, nel tempo, perché rappresenta la leva
più potente.
L’obiettivo
di rinchiudere le masse in gabbie mentali e digitali, invisibili, sempre più
sottili, garantisce di poter manipolare la mente collettiva a piacimento,
sfruttando le vulnerabilità dell’essere umano.
Grazie in particolare alla tecnologia
persuasiva (Interattivo | Tecnologie Persuasive: una veloce introduzione) è
stato aggiunto alla loro cassetta degli attrezzi, un potente effetto indotto:
l’auto
totalitarismo, che è diventato il pilastro portante del totalitarismo moderno.
Perché è in grado di garantire stabilità e il
consenso che serve al sistema in ogni situazione.
Rappresenta
un potente forma di auto-condizionamento e auto-limitazione che l’individuo
sviluppa inconsapevolmente.
Nel
tempo può portare allo stato mentale dell’assuefatta rassegnazione (Assuefatto
– Significato ed etimologia – Ricerca – Treccani; Rassegnazióne – Significato
ed etimologia – Vocabolario – Treccani). L’obiettivo finale di tutti i sistemi
mafiosi.
Il
totalitarismo tecnologico rappresenta la forma più avanzata e sottile
dell’estremizzazione del razionalismo e della tecnologia.
Stato
profondo, il dominio delle masse e la mistificazione del passato, presente e
futuro.
Il totalitarismo è una forma di dominio arcaico,
oscuro.
Utilizza come copertura la scienza, che è
diventata la “nuova religione” per le masse atee.
La
medicina e la farmaceutica, incluse.
Per
ottenere il risultato voluto, fa convergere e integra le conoscenze e le
competenze di varie branche della scienza, quali: psicologia, neurobiologia e
informatica.
Per
potenziare i suoi effetti mentali non disdegna gli antichi rituali di magia
nera.
Trasforma,
così, le vittime in strumenti passivi per legittimare la sottrazione di potere
e di ricchezza al popolo per concentrarli nelle mani dell’élite oligarchica.
Questo
potere arcaico e disumano, camuffato da democrazia, ne conserva esclusivamente
la retorica, i rituali e i cerimoniali esteriori. Non pretende che si creda
alle sue enormi menzogne, con cui falsifica il passato, il presente e il
futuro.
Pretende,
invece, conformismo dalle persone.
Che si
partecipi ai suoi rituali prestabiliti con lo scopo di radicare le regole
comportamentali da far rispettare socialmente.
Tutti
devono sapere cosa fare e cosa aspettarsi dagli altri.
Un
sistema di sorveglianza sociale, capillare, Orwelliano, in cui identificare e
segnalare le persone non conformi (perché diversi) diventa un riflesso
condizionato e un “dovere sociale”.
La minaccia e il ricatto costante, che
aleggiano su tutti i cittadini, sono l’esclusione dal sistema e dalla società,
mettendo così a rischio la propria tranquillità, stabilità e sicurezza.
Pertanto,
la maggior parte delle persone rimane dentro il recinto invisibile in cui si
trovano ammassati, anche se sono consapevoli di essere prigionieri.
Corpi e menti delle persone usate per scopi disumani.
Nell’ultimo
periodo il totalitarismo ha fatto un ulteriore balzo evolutivo. Pretende di
usare a suo piacimento i nostri corpi, le nostre menti e la nostra anima per i
suoi scopi materiali e disumani.
La “PsyOP
Covid” con gli altri due genocidi in corso, Ucraina e Medioriente, ne sono la
prova matematica.
Si
tratta di un attacco senza limiti attuato dei governi occidentali ai propri
cittadini.
Lo fanno per conto dei potenti del mondo, ai quali
rispondono.
Siamo nel bel mezzo di una guerra ibrida, modulare, mai dichiarata, portata
avanti dai nostri governi, sotto traccia.
Cambiano
solo i metodi, gli strumenti e l’intensità.
Perché li adattano alle circostanze e al
contesto, ma la finalità è sempre la stessa: sottomettere in modo completo e
progressivo l’umanità.
Saccheggiano
dignità, salute e ricchezze delle persone, per farle diventare veri strumenti
passivi nelle loro mani.
Di
volta in volta, i nostri corpi vogliono usarli come bioreattori per
sperimentare direttamente su cavie umana terapie geniche, come recipienti in
cui inoculare nanotecnologie di IA per monitorare i nostri parametri vitali,
oppure in torri 5G/6G programmabili.
Agenda 2030, il piano generale del globalismo
che vuole trasformare gli esseri umani.
L’attuale sistema di potere unisce il peggio
del centralismo statale, di stampo socialista, con il cinismo disumano, sadico,
del capitalismo.
Se non
fosse chiaro, è in gioco la salvezza di tutti.
Il
piano generale cui fa riferimento il totalitarismo corrisponde all’Agenda 2030
(Agenda 21 .:. Sustainable Development Knowledge Platform), lanciata a Rio de
Janeiro nel 1992 e sottoscritta 194 governi. Prevedono di appropriarsi della
natura, con la collaborazione degli stessi individui e la corruzione della loro
mente.
Vogliono sostituirsi al mistero della vita e a
Dio.
Incantesimi,
megere e sindrome di Stoccolma.
Come accennato sopra, questi tecnocrati
oligarchi abbinano scienza e tecnologia con l’antica pratica del sortilegio
(Sortilègio – Significato ed etimologia – Vocabolario – Treccani) delle megere.
Riescono
così ad indurre, grazie alla potentissima propaganda, una vera sindrome di
Stoccolma (Stoccolma, sindrome di – Enciclopedia – Treccani), collettiva.
In questo incantesimo tecnologico le vittime
si trasformano in strumenti.
Controllo mentale delle masse tramite il
terrore e traumi.
Il terrore generato ciclicamente serve per
produrre forti traumi emotivi che paralizzano le funzioni mentali, portando le
persone in una costante “fase di competenza o recettiva” utile per essere
programmate e riprogrammate, annullando le difese mentali.
In questo modo ne possono disporre a
piacimento.
Fabbricano,
così, consenso “ad arte” per i loro piani disumani, in nome di una presunta
sicurezza sociale, del cambiamento climatico o della transizione energetica in
cui spennano i contribuenti e i cittadini con le loro Corporation.
Il
tutto avviene anche grazie all’ideologia del nemico da combattere.
Il
potere politico è il primo propagandista e sostenitore di questa ideologia che
serve per tenere sempre alta la tensione e la preoccupazione nelle persone in
una fase di recettività costante.
Il
caos progressivo è l’altra chiave del sistema di controllo e di distrazione.
Le guerre svolgono servono a saccheggiare, anche i
conti dello stato, ma anche a terrorizzare e a distrarre.
I
governi le usano come scusa e minaccia per trattenere l’attenzione delle masse
su cosa vogliono loro.
Evitano
così di parlare e affrontare i problemi interni che riguardano la vita dei
propri cittadini.
In questo modo i problemi esistenziali dei
loro cittadini (impoverimento, liste d’attesa, deindustrializzazione) passano
in secondo o terzo ordine anche per le stesse persone coinvolte.
Il
confronto con quanto succede in Ucraina o a Gaza ne disinnesca le possibili
rimostranze, compattandole nel recinto del consenso. il meccanismo è più che
collaudato.
Dialettica hegheliana, per far accadere ciò
che vogliono.
Lo
schema che attuano in modo sistematico è quello della dialettica hegeliana.
Generano
un problema, fatto percepire come grave (vero o falso non importa).
Quindi,
inducono una percezione di alto rischio per la loro incolumità, imminente,
mobilitando le persone e le masse e portandole all’esasperazione.
Scatta
così nelle persone una richiesta di una soluzione urgente al governo che,
prontamente, scodella la soluzione pianificata.
Inevitabilmente,
questa sarà accettata senza discussione e vissuta come salvifica.
Il risultato di questo incantesimo dialettico fa
percepire alle masse, alla fine, il carnefice come salvatore.
In questo modo ribaltano la realtà, creando
allo stesso tempo consenso nelle loro vittime.
Usano,
inoltre, la strategia secolare della “capra Giuda.“
Cioè,
cooptano influenzatori che spingono le masse nella direzione desiderata dal
potere.
Emblematico
è stato il reclutamento di personaggi pubblici per spingere le masse a
vaccinarsi con un prodotto sperimentale, né sicuro né efficace, iniettato al
90% della popolazione italiana.
Il
totalitarismo è una forma di potere molto seduttivo.
Fornisce, oltre all’ideologia, ai cittadini,
ignari, anche gli strumenti per una trasmutazione alchemica di loro stessi.
Li
predispone, così, alla sottrazione consenziente di:
forza
di volontà, energia, lucidità, dignità, pensiero critico, sovranità sul proprio
corpo, sulla propria mente.
Li
rende dipendenti e asserviti, mantenendoli in una sorta di “trance agonistica“.
Un
vero e proprio effetto “curva sud“.
La trappola psicologica dell’auto
totalitarismo e della doppia mentalità.
Questo
profondo condizionamento produce una forma di auto totalitarismo.
In
grado di prevenire e bloccare sul nascere sia il pensiero critico che il libero
arbitrio negli individui.
Si
istaura, in questo modo, una prevalente doppia mentalità che li imbriglia, li
mantiene in un costante conflitto interiore e confusione mentale.
Mantengono,
inevitabilmente, il piede su due staffe.
Diventano
così impotenti.
Non
riescono a decidere e a muoversi nella direzione in cui vorrebbero.
Il
risultato è un’indecisione costante.
Rimangono
legati a doppio filo allo “status quo”, anche se desiderosi di uscirne.
Non
riescono ad attingere a quel minimo coraggio sufficiente che serve per tagliare
le corde dalle dipendenze che li imbrigliano ed affrontare la costruzione della
condizione cui ambiscono.
Dipendono, di fatto, dal loro carnefice.
Rappresentando alla fine la parte prevalente
della base che sostiene la piramide del potere impersonale (La cupola e il
recente caso della commissione NITAG – Leonardo Guerra) e le varie cupole
ibride, che governano il paese per conto dello stato profondo globalista.
Il
sistema di potere è ben organizzato e molto abile nella gestione e nella
prevenzione.
Fornisce
in anticipo tutte le possibili risposte e scuse alle possibili obiezioni interiori
per disinnescare la volontà e rendere le persone impotenti.
Si auto assolvono e auto giustificano.
Coprendo gli infimi fondamenti morali che li
spingono all’obbedienza e, allo stesso tempo, anche quelli del sistema che si
basa su menzogne continue.
Gli strumenti culturali dell’auto
totalitarismo.
Gli
strumenti dell’auto totalitarismo vengono forniti, somministrati e fatti
assorbire passivamente durante tutto il percorso dell’Istruzione e della
formazione fornite dalle Istituzioni ai nostri giovani.
Dalla scuola primaria fino all’Università.
Continua,
inoltre, nell’ambiente di lavoro, in particolare nelle aziende globali, anche
in quelle nazionali.
Un
vero processo di formattazione costante delle menti delle masse, tenute
costantemente sotto il ricatto della minaccia di essere esclusi socialmente.
I
giovani vengono così addestrati fin dalla prima età a memorizzare e non a
sviluppare un pensiero creativo né tanto meno critico. Apprendono il pensiero
lineare, l’analisi scientifica fatta di passi successivi in sequenza, con una
visione della realtà e dei fenomeni piatta: “causa-effetto”, meccanica.
Vengono
schiacciati nel percorso scolastico sulla memorizzazione delle nozioni, non
alla comprensione dei concetti, e delle ragioni dietro ai fatti.
Sviluppano una formazione di tipo
professionale, incline all’esecuzione acritica.
La scienza e la tecnologia, la nuova religione
delle masse.
Il paradigma del pensiero scientifico, newtoniano, è
un problema in tutti i settori della nostra vita umana.
Senza
il necessario contro bilanciamento della fede, della ragione e del buon senso
comune (visione sistemica), fornisce una dimensione esclusivamente materiale,
meccanica della esistenza e della vita.
Lo si
nota chiaramente anche nella medicina attuale.
Una
scienza che è stata fatta diventata una “religione dogmatica” per le masse.
“Lo
dice la scienza” è lo slogan più utilizzato negli ultimi 5 anni, per far
accettare qualsiasi cosa alle masse.
La
tecnologia, in particolare la cosiddetta Intelligenza Artificiale, rappresenta
la proiezione operativa della visione, dei valori e della concezione della vita
umana, dei tecnocrati che ne detengono in esclusiva i codici sorgenti.
I tre
pilastri del dominio delle masse e l’aiutante magico.
Un
vero potere oscuro che si basa su tre pilastri: Ignoranza, impoverimento e
terrore.
Più un
catalizzatore (aiutante magico) che è la tecnologia.
ll
primo dei tre è il più potente perché preclude la possibilità di comprendere e
mette fuori gioco costantemente gli individui.
L’accesso
alla conoscenza, non a caso, è stato fatto diventare esclusivo per le élite.
L’essersi
adattati per anni alle circostanze, l‘aver accettato compromessi con questo
sistema, per interesse personale o per mancanza di tempo e attenzione, vuol
dire aver contribuito a crearle.
Diventando
facile preda di questi meccanismi di cooptazione e fagocitosi mentale da parte
del potere impersonale.
Si è
venuta a radicare, così, nel cuore dell’uomo moderno una tendenza che risuona,
vibra, si rispecchia, si collega, si sintonizza e riflette il totalitarismo dei
potenti del mondo.
Questa
tendenza si annida nel ego materiale.
Riducendoci,
così, a vivere nella menzogna perché costretti da un’abitudine radicata,
socialmente accettata e prevalente. Un’ abitudine di cui rischiamo di rimanere
schiavi per tutta la durata della propria esistenza.
Cosa
possiamo fare.
Per
essere d’aiuto, non è più sufficiente, quindi, scendere in piazza e gridare
slogan, perché il problema è anche, e soprattutto, dentro di noi. Dobbiamo
scegliere e deciderci di curare noi stessi dall’auto totalitarismo, come prima
cosa.
L’essere umano sincero con sé stesso, se scava
dentro di sé, è capace di auto diagnosi e di stabilire la cura più efficace per
estirpare i condizionamenti ricevuti.
Per
tornare ad essere libero di coltivare una dimensione di vita umana, felice e,
anche, eterna.
In
fondo all’animo di ciascuno di noi la vita resiste ed è sempre presente. Nel
profondo del nostro cuore desideriamo pace, dignità, integrità morale, libertà
e sincera espressione del nostro essere.
Abbiamo
un desiderio innato di trascendere ed elevarci sopra al mondo sensoriale e
materiale.
Allo
stesso tempo siamo più o meno inclini a rassegnarci e ad adagiarci alla vita
nella menzogna.
Di
accettare di vivere in simulazioni e simulacri (Viviamo in un mondo di
simulazioni e simulacri – Leonardo Guerra) costruiti ad arte, con nessun
collegamento con la realtà e la Verità.
Somministrati
tramite i media e la tecnologia, continuamente.
Le trappole del falso io materiale.
Spesso s’inizia con l’identificare sé stessi
con il ruolo che la società ci affibbia.
Si rinuncia a scoprire chi siamo veramente,
scavando dentro noi stessi. Creando quello spazio e quella capacità
indispensabili per accogliere la dimensione spirituale della vita,
interiormente.
Riducendo
allo stesso tempo ciò che ci obnubila: la densità del ego materiale.
Che ci
lega alla realtà sensoriale, risultato della stratificazione delle nostre
abitudini nel tempo.
Ci si
deve ritrovare, riprendere in mano e ricominciare a sviluppare la propria
coscienza.
Concentrarci
su ciò che è essenziale, cambiando le nostre abitudini, eliminando quelle
controproducenti.
Molto
spesso ci si consegna nelle mani di un presunto esperto che occupa una
posizione di prestigio nella società che, quasi sempre, si rivela un falso
esperto, se non un falso profeta.
Un
sistema di potere preconfezionato che apparentemente si prende cura di noi,
promette protezione e semplificazione della nostra vita.
Se si accetta di prendere parte, si rinuncia
alla propria umanità.
Quella
capacità di rispondere personalmente, in nome di qualcosa che è superiore alla
condizione umana.
A sacrificare aspetti secondari per dare senso
alla propria esistenza.
Gli
slogan del potere sono veri e propri traccianti, segnali di riconoscimento.
Servono
a veicolare un messaggio a livello subconscio che se adottato ritorna
un’informazione di adesione al sistema.
Si
sceglie di vivere ordinatamente nel “paese dei balocchi” e nella “famiglia del
Mulino Bianco.“
Immersi
in un oceano di menzogne continue, in piena conformità, che è il valore
principale per questo sistema di potere.
Dobbiamo
tornare ad essere donne e uomini concreti, antichi come diceva Pasolini (Pier
Paolo Pasolini – const).
Recuperando la propria piena sovranità sul
proprio corpo, sulla propria mente e sulla propria anima.
Tornare
ad essere responsabili e ricostruire la nostra umanità ed identità.
La
scienza e il materialismo hanno scalzato il senso del Sacro.
La
scienza moderna ha contribuito a distruggere il senso del sacro e Dio nel cuore
dell’uomo.
Hanno usato la tecnica del cuculo.
L’illuminismo
ha deposto l’uovo del materialismo nella testa degli uomini.
Lo
abbiamo covato per tutti questi decenni, perché illusi e distratti.
È,
purtroppo, successo che scienza e il materialismo sono cresciuti in modo
spropositato e strumentale scalzando Dio, e il senso del divino, dal cuore
degli uomini, usurpandone il trono.
Guarire
sé stessi.
Per
guarire è fondamentale tornare ad una vita consapevole, essenziale e naturale
fatta di contatto con la natura e rapporti sinceri con i nostri simili.
Tornare
a vivere costantemente nel mondo dei sentimenti e non in superficie in quello
delle emozioni in cui ci vogliono trattenere costantemente.
È fondamentale avere chiaro in mente che noi
viviamo in questo sistema ma non vi apparteniamo e non vogliamo contribuire ai
suoi obiettivi disumani.
Le richieste delle circostanze della vita.
Le circostanze della vita attuali, infine, ci
richiedono di ricostruire a livello di territorio una società umana parallela.
Composta da tante comunità in rete.
Una
società umana, libera, solidale e felice, che viva nel rispetto delle nostre
radici culturali e valoriali, costituita da persone con le quali condividiamo
la visione, e il percorso da compiere.
(Leonardo
Guerra).
(Leonardo Guerra. Consulente e
scrittore, il suo primo saggio è Covid-19 e Agenda 2030: inganno criminale,
edizioni Il Punto d’Incontro.)
(leonardoguerra.eu/agenda-2030-e-nwo/lauto-totalitarismo-e-il-pilastro-del-totalitarismo/).
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